commit d95e596ee8501f43e19f76dd9cab80cc45c705ef Author: andrea Date: Thu Oct 22 16:31:33 2020 +0200 first commit diff --git a/.gitignore b/.gitignore new file mode 100644 index 0000000..37dc9c4 --- /dev/null +++ b/.gitignore @@ -0,0 +1,84 @@ +# Covers JetBrains IDEs: IntelliJ, RubyMine, PhpStorm, AppCode, PyCharm, CLion, Android Studio and WebStorm +# Reference: https://intellij-support.jetbrains.com/hc/en-us/articles/206544839 + +# eventExtractionHDN +/_ideas +/docs +/models2 +/commentaries/*.xml +/commentaries/*.xsd +/commentaries/*.zip + +# User-specific stuff +.idea/**/workspace.xml +.idea/**/tasks.xml +.idea/**/usage.statistics.xml +.idea/**/dictionaries +.idea/**/shelf +__pycache__ +.idea + +# Generated files +.idea/**/contentModel.xml + +# Sensitive or high-churn files +.idea/**/dataSources/ +.idea/**/dataSources.ids +.idea/**/dataSources.local.xml +.idea/**/sqlDataSources.xml +.idea/**/dynamic.xml +.idea/**/uiDesigner.xml +.idea/**/dbnavigator.xml + +# Gradle +.idea/**/gradle.xml +.idea/**/libraries + +# Gradle and Maven with auto-import +# When using Gradle or Maven with auto-import, you should exclude module files, +# since they will be recreated, and may cause churn. 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DESIDERANO DI SAPERE,"sono le parole con cui si apre la Metafisica di Aristotele (I 1, 980a 21) il Filosofo per antonomasia in tutta la produzione filosofica e teologica del tardo Medioevo. Il sintagma prima Filosofia"" verrà applicato da Dante alla Metafisica in Cv II xiii 8, ma esso è già presente nello stesso Aristotele per distinguere questa scienza dalla Fisica, filosofia seconda (cfr. Metaph. VI 1, 1026 a 27-30). Prima e seconda hanno qui valore assoluto ed indicano il grado di dignità nella gerarchia delle scienze. La Metafisica infatti si occupa sia dell'essere in assoluto che di quel particolare tipo di enti (gli enti divini) che è causa dell'essere per tutti gli altri. Venire dopo la Fisica (questo infatti significa in greco Metafisica) significa allora essere al vertice del sistema del sapere. Dal punto di vista della nostra conoscenza e del nostro apprendimento il rapporto però si inverte e la Metafisica viene dopo la Fisica nel senso che non può essere padroneggiata senza una previa conoscenza del mondo fisico. Con la frase iniziale del Convivio si aprono molti dei commenti aristotelici del XIII secolo (per esempio ben Gianfranco Fioravanti, Sermones in lode della Filosofia e della Logica a Bologna nella prima metà del XIV secolo, in AAVV, L'insegnamento della logica a Bologna nel XIV secolo a cura di Dino Buzzetti, Maurizio Ferriani, Andrea Tabarroni, Presso l' Istituto per la storia dell' Università di Bologna, Bologna 1992. undici dei tredici commenti di Tommaso. Cfr. Cheneval - Imbach 1993). Essa era comunque diventata il vessillo di battaglia dei maestri parigini di filosofia della seconda metà del '200, che la utilizzavano nei loro scritti per fondare e difendere la dignità superiore del filosofare. Usandola Dante dimostra così fin dall'inizio di volersi mantenere al livello della cultura alta ed universitaria.","I 1, 980a 21",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO ... DESIDERANO DI SAPERE,"sono le parole con cui si apre la Metafisica di Aristotele (I 1, 980a 21) il Filosofo per antonomasia in tutta la produzione filosofica e teologica del tardo Medioevo. Il sintagma prima Filosofia"" verrà applicato da Dante alla Metafisica in Cv II xiii 8, ma esso è già presente nello stesso Aristotele per distinguere questa scienza dalla Fisica, filosofia seconda (cfr. Metaph. VI 1, 1026 a 27-30). Prima e seconda hanno qui valore assoluto ed indicano il grado di dignità nella gerarchia delle scienze. La Metafisica infatti si occupa sia dell'essere in assoluto che di quel particolare tipo di enti (gli enti divini) che è causa dell'essere per tutti gli altri. Venire dopo la Fisica (questo infatti significa in greco Metafisica) significa allora essere al vertice del sistema del sapere. Dal punto di vista della nostra conoscenza e del nostro apprendimento il rapporto però si inverte e la Metafisica viene dopo la Fisica nel senso che non può essere padroneggiata senza una previa conoscenza del mondo fisico. Con la frase iniziale del Convivio si aprono molti dei commenti aristotelici del XIII secolo (per esempio ben Gianfranco Fioravanti, Sermones in lode della Filosofia e della Logica a Bologna nella prima metà del XIV secolo, in AAVV, L'insegnamento della logica a Bologna nel XIV secolo a cura di Dino Buzzetti, Maurizio Ferriani, Andrea Tabarroni, Presso l' Istituto per la storia dell' Università di Bologna, Bologna 1992. undici dei tredici commenti di Tommaso. Cfr. Cheneval - Imbach 1993). Essa era comunque diventata il vessillo di battaglia dei maestri parigini di filosofia della seconda metà del '200, che la utilizzavano nei loro scritti per fondare e difendere la dignità superiore del filosofare. Usandola Dante dimostra così fin dall'inizio di volersi mantenere al livello della cultura alta ed universitaria.","VI 1, 1026 a 27-30",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA RAGIONE... SUBIETTI,"Dante sintetizza in poche righe una argomentazione rintracciabile abbastanza correntemente in molti di quegli elogi della filosofia con i quali i maestri parigini aprivano i loro corsi o che comunque inserivano nelle loro lezioni (su questa letteratura cfr. per un primo sguardo d'insieme: Lafleur 1988): 'ogni realtà, indirizzata (impinta"") dall'ordine provvidenziale (""provedenza di prima natura""), desidera come suo fine e suo bene la piena realizzazione della propria natura (""è inclinabile alla sua propria perfezione""); l' uomo si caratterizza per il possesso e l'esercizio dell'intelletto; dunque la piena realizzazione della sua natura si identificherà per lui con l'attività intellettuale, cioè con la scienza (che per Dante, come per i suoi contemporanei, significa, aristotelicamente, sapere rigorosamente dimostrativo). E poiché il raggiungimento del fine si identifica con la felicità assoluta (""ultima"") solo chi possiede la scienza è veramente felice. Dunque tutti noi, per natura, siamo soggetti (""semo subietti"") a questo desiderio'. Sonia Gentili ha richiamato l'attenzione sulla stretta corrispondenza tra l'inizio del Convivio e le prime frasi del prologo del Commento al De anima del domenicano Graziadio di Ascoli (""Sicut in principio metaphisice Philosophus dicit: Omnes homine naturaliter scire desiderant. Huius autem aliqualiter ratio esse potest quia unumquodque naturali quadam inclinacione seu desiderio inclinatur et appetit suum proprium et ultimum complementum""; cfr. Gentili 2004, p. 179, nota 1) Graziadio è cronologicamente posteriore al testo dantesco così come lo è l'anonimo professore bolognese che utilizzerà, quasi con le stesse parole, il medesimo sillogismo.: ""Philosophus in principio Metaphysicae: omnes homines etc. Unumquodque enim naturaliter appetit suam perfectionem; sed scire est perfectio hominis per quam distinguitur a brutis animalibus; ergo omnis homo naturaliter scire desiderat"" (cfr. Fioravanti 1992, p. 172). Si tratta comunque di un motivo pervasivo, presente anche nel Prologo ad un corso di lezioni sull' Etica Nicomachea del domenicano fiorentino Remigio de' Girolami, lui sì contemporaneo e concittadino di Dante. Probabilmente questo testo è stato composto durante un soggiorno parigino di Remigio, ma le idee che esprime avranno avuto certamente modo di essere divulgate anche a Firenze (cfr. Panella 1981, pp. 122). La ""prima natura"" con la sua ""provedenza"" è con tutta probabilità da identificare con la ""natura universale che ordina la particulare a sua perfezione"" di cui si parla in Convivio I vii 9; III iv 10; IV ix 2, xxvi 3. Gli argomenti di Giorgio Inglese a favore della lezione ""propia natura"" (cfr. Inglese 2000, pp. 79-97) si scontrano, a mio avviso, con la difficoltà di attribuire ad una inclinazione naturale non consapevole una 'provvidenza'. Vedi a questo proposito Pd I 109 sgg. dove Dante distingue chiaramente tra l'istinto che orienta ogni singolo ente nel ""gran mar dell'essere"" e la ""provedenza che cotanto assetta"".",elogi alla filosofia dei maestri parigini,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Elogi_della_filosofia,Elogi della Filosofia,,,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +LA RAGIONE... SUBIETTI,"Dante sintetizza in poche righe una argomentazione rintracciabile abbastanza correntemente in molti di quegli elogi della filosofia con i quali i maestri parigini aprivano i loro corsi o che comunque inserivano nelle loro lezioni (su questa letteratura cfr. per un primo sguardo d'insieme: Lafleur 1988): 'ogni realtà, indirizzata (impinta"") dall'ordine provvidenziale (""provedenza di prima natura""), desidera come suo fine e suo bene la piena realizzazione della propria natura (""è inclinabile alla sua propria perfezione""); l' uomo si caratterizza per il possesso e l'esercizio dell'intelletto; dunque la piena realizzazione della sua natura si identificherà per lui con l'attività intellettuale, cioè con la scienza (che per Dante, come per i suoi contemporanei, significa, aristotelicamente, sapere rigorosamente dimostrativo). E poiché il raggiungimento del fine si identifica con la felicità assoluta (""ultima"") solo chi possiede la scienza è veramente felice. Dunque tutti noi, per natura, siamo soggetti (""semo subietti"") a questo desiderio'. Sonia Gentili ha richiamato l'attenzione sulla stretta corrispondenza tra l'inizio del Convivio e le prime frasi del prologo del Commento al De anima del domenicano Graziadio di Ascoli (""Sicut in principio metaphisice Philosophus dicit: Omnes homine naturaliter scire desiderant. Huius autem aliqualiter ratio esse potest quia unumquodque naturali quadam inclinacione seu desiderio inclinatur et appetit suum proprium et ultimum complementum""; cfr. Gentili 2004, p. 179, nota 1) Graziadio è cronologicamente posteriore al testo dantesco così come lo è l'anonimo professore bolognese che utilizzerà, quasi con le stesse parole, il medesimo sillogismo.: ""Philosophus in principio Metaphysicae: omnes homines etc. Unumquodque enim naturaliter appetit suam perfectionem; sed scire est perfectio hominis per quam distinguitur a brutis animalibus; ergo omnis homo naturaliter scire desiderat"" (cfr. Fioravanti 1992, p. 172). Si tratta comunque di un motivo pervasivo, presente anche nel Prologo ad un corso di lezioni sull' Etica Nicomachea del domenicano fiorentino Remigio de' Girolami, lui sì contemporaneo e concittadino di Dante. Probabilmente questo testo è stato composto durante un soggiorno parigino di Remigio, ma le idee che esprime avranno avuto certamente modo di essere divulgate anche a Firenze (cfr. Panella 1981, pp. 122). La ""prima natura"" con la sua ""provedenza"" è con tutta probabilità da identificare con la ""natura universale che ordina la particulare a sua perfezione"" di cui si parla in Convivio I vii 9; III iv 10; IV ix 2, xxvi 3. Gli argomenti di Giorgio Inglese a favore della lezione ""propia natura"" (cfr. Inglese 2000, pp. 79-97) si scontrano, a mio avviso, con la difficoltà di attribuire ad una inclinazione naturale non consapevole una 'provvidenza'. Vedi a questo proposito Pd I 109 sgg. dove Dante distingue chiaramente tra l'istinto che orienta ogni singolo ente nel ""gran mar dell'essere"" e la ""provedenza che cotanto assetta"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Prologo_Etica_Nicomachea,Prologo a lezioni sull'Etica Nicomachea,Remigio dei Girolami,http://dbpedia.org/resource/Remigio_dei_Girolami,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DENTRO DALL'UOMO ...,"secondo uno schema anch'esso presente nei commenti agli scritti aristotelici, soprattutto alla Metafisica, e nel genere letterario degli elogi della Filosofia cui abbiamo accennato, Dante affronta il tema degli ostacoli (impedimenta nel linguaggio tecnico di Parigi) che allontanano di fatto gli uomini dal filosofare. Il ricorso ai vari tipi di impedimenta serve a risolvere una difficoltà di fondo: se è vero che per natura tutti gli uomini tenderebbero alla conoscenza scientifica (cioè, nel nostro caso, filosofica), perchè, nella realtà effettuale sono così pochi quelli che la raggiungono, e così tanti quelli che non la considerano o addirittura la disprezzano?. Anche la classificazione degli ostacoli in ostacoli interni ed esterni (dentro all'uomo e di fuori da esso"") rientra nella tradizione universitaria. Relativamente agli ostacoli interni va tenuto presente che, secondo un diffuso adagio aristotelico, un difetto sensoriale dovuto alla cattiva struttura degli organi, esemplificato qui dalla mancanza di udito e quindi di parola, rende impossibile l' acquisizione della scienza corrispondente (cfr. An. Post. I 18, 81 a 38-40 ); per la cultura tardo medievale funziona il principio che il più delle volte ad un handicap fisico corrisponde una qualche mancanza nelle facoltà conoscitive (è un adagio diffuso, tratto dalla Physiognomica pseudoaristotelica, quello per cui ""animae, ut plurimum, sequuntur corpora"" e Dante stesso vi farà riferimento in Cv IV ii 7 ""La nostra mente ... è fondata sopra la complessione del corpo"". Cfr. anche Cv III viii 17). Quanto all'anima, la malizia consiste in una radicata abitudine a commettere azioni malvage (""malizia"") cui segue un irrimediabile stravolgimento del giudizio (""inganno"") che ritiene desiderabile e trova piacevole ciò che non lo è veramente (""viziose delettazioni"") e disprezza (""tiene a vile"") ciò che dovrebbe è fonte di vera felicità. Il termine malitia (traduzione latina del greco kakia) si trova nel primo capitolo del settimo libro dell' Etica Nicomachea (1145 a 16-17); nel suo Commento Tommaso d'Aquino la caratterizza appunto come una perversione abituale del desiderio talmente forte da dominare (""vincere"") la stessa ragione, portandola a considerare il piacere vizioso come il vero fine da raggiungere. Chi è in queste condizioni fa il male per scelta (In libros Ethicorum expositio, VII, lectio 1, n. 1294). I quattro impedimenti erano già elencati in trattati tipicamente universitari, anche se non tutti contemporaneamente: vedi ad esempio Tommaso d'Aquino nella Summa contra Gentiles (un'opera che Dante citerà esplicitamente in Cv IV xv 12 e IV xxx 3) I, cap. 4, n. 23 ""A fructu enim studiosae inquisitionis, qui est inventio veritatis, plurimi impediuntur tribus de causis. Quidam siquidem propter complexionis indispositionem (""parti indebitamente disposte"") ... Quidam vero impediuntur necessitate rei familiaris ... (""la cura familiare e civile"") ... Quidam autem impediuntur pigritia (""cagione ... induttrice ... di pigrizia"")""; Boezio di Dacia, De summo bono (p. 373) ""Cum enim omnes homines naturaliter scire desiderant, paucissimi tamen ... studio sapientiae vacant. Videmus enim quosdam pigritiam sequi, quosdam autem voluptates sensibiles (""viziose delettazioni"") et quosdam desiderium bonorum fortunae""; Giovanni di Jandun, Quaestiones super Metaphysicam I q. 4 ""Aliquis impeditur propter defectum necessariorum ad vitam ... Similiter aliquis retrahitur propter malitiam individualis naturae (""quando la malizia vince in essa""). Alia causa est segnities propter quam aliquis abhorret studere"". Meno diretto mi sembra il rapporto con la prefazione del Didascalicon di Ugo di San Vittore, accennato nel Commento Busnelli e sottolineato particolarmente da Baranski (cfr. Baranski 2000, pp. 92-7). In ogni caso la trattazione dei due impedimenti esterni riflette preoccupazioni e giudizi propri di Dante: la ""cura familiare"" (cioè l'impegno relativo alla gestione dei rapporti e dei beni privati) e quella ""civile"" (cioè l' impegno relativo alla cosa pubblica, alla politica; con civilis viene infatti reso, nella traduzione latina della Politica aristotelica il termine politikòs) è visto non solo come inevitabile (""cagione di necessitade"", cioè causa che toglie ogni possibilità di dedicars allo studio), ma anche giustificato (""convenevole""). La pigritia poi si colora di notazioni socio-geografiche: la mancanza di scuole superiori (indicate al tempo di Dante con il nome di Studia), quindi di intellettuali (""gente studiosa"") e la lontananza geografica che ne rende difficile la frequentazione saranno per tutto il Trecento ed oltre una delle motivazioni con cui le classi dirigenti dei Comuni italiani (Firenze, Pisa, Siena, Perugia ...) si impegnano nella fondazione di università municipali. Dante, che è stato a Bologna, la città dello Studio per antonomasia, pensa evidentemente che l' ostacolo sia ritenuto insormontabile solo dal vizio della pigrizia, degno di biasimo anche se non quanto la malizia. Ma soprattutto, come vedremo, Dante non accetta come irriformabile il dato di fatto per cui l'umanità è divisa tra una piccola minoranza di fruitori del sapere ed una stragrande maggioranza di frustrati inconsapevoli; il suo Convivio è infatti apparecchiato per rimuovere, almeno in parte, i due ostacoli esterni. Una più ampia e anche in parte diversa trattazione dei difetti fisici e mentali che impediscono il raggiungimento della verità si avrà in Cv IV xv 11-18.",,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commenti_agli_scritti_aristotelici,Commenti agli scritti aristotelici,,,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +DENTRO DALL'UOMO ...,"secondo uno schema anch'esso presente nei commenti agli scritti aristotelici, soprattutto alla Metafisica, e nel genere letterario degli elogi della Filosofia cui abbiamo accennato, Dante affronta il tema degli ostacoli (impedimenta nel linguaggio tecnico di Parigi) che allontanano di fatto gli uomini dal filosofare. Il ricorso ai vari tipi di impedimenta serve a risolvere una difficoltà di fondo: se è vero che per natura tutti gli uomini tenderebbero alla conoscenza scientifica (cioè, nel nostro caso, filosofica), perchè, nella realtà effettuale sono così pochi quelli che la raggiungono, e così tanti quelli che non la considerano o addirittura la disprezzano?. Anche la classificazione degli ostacoli in ostacoli interni ed esterni (dentro all'uomo e di fuori da esso"") rientra nella tradizione universitaria. Relativamente agli ostacoli interni va tenuto presente che, secondo un diffuso adagio aristotelico, un difetto sensoriale dovuto alla cattiva struttura degli organi, esemplificato qui dalla mancanza di udito e quindi di parola, rende impossibile l' acquisizione della scienza corrispondente (cfr. An. Post. I 18, 81 a 38-40 ); per la cultura tardo medievale funziona il principio che il più delle volte ad un handicap fisico corrisponde una qualche mancanza nelle facoltà conoscitive (è un adagio diffuso, tratto dalla Physiognomica pseudoaristotelica, quello per cui ""animae, ut plurimum, sequuntur corpora"" e Dante stesso vi farà riferimento in Cv IV ii 7 ""La nostra mente ... è fondata sopra la complessione del corpo"". Cfr. anche Cv III viii 17). Quanto all'anima, la malizia consiste in una radicata abitudine a commettere azioni malvage (""malizia"") cui segue un irrimediabile stravolgimento del giudizio (""inganno"") che ritiene desiderabile e trova piacevole ciò che non lo è veramente (""viziose delettazioni"") e disprezza (""tiene a vile"") ciò che dovrebbe è fonte di vera felicità. Il termine malitia (traduzione latina del greco kakia) si trova nel primo capitolo del settimo libro dell' Etica Nicomachea (1145 a 16-17); nel suo Commento Tommaso d'Aquino la caratterizza appunto come una perversione abituale del desiderio talmente forte da dominare (""vincere"") la stessa ragione, portandola a considerare il piacere vizioso come il vero fine da raggiungere. Chi è in queste condizioni fa il male per scelta (In libros Ethicorum expositio, VII, lectio 1, n. 1294). I quattro impedimenti erano già elencati in trattati tipicamente universitari, anche se non tutti contemporaneamente: vedi ad esempio Tommaso d'Aquino nella Summa contra Gentiles (un'opera che Dante citerà esplicitamente in Cv IV xv 12 e IV xxx 3) I, cap. 4, n. 23 ""A fructu enim studiosae inquisitionis, qui est inventio veritatis, plurimi impediuntur tribus de causis. Quidam siquidem propter complexionis indispositionem (""parti indebitamente disposte"") ... Quidam vero impediuntur necessitate rei familiaris ... (""la cura familiare e civile"") ... Quidam autem impediuntur pigritia (""cagione ... induttrice ... di pigrizia"")""; Boezio di Dacia, De summo bono (p. 373) ""Cum enim omnes homines naturaliter scire desiderant, paucissimi tamen ... studio sapientiae vacant. Videmus enim quosdam pigritiam sequi, quosdam autem voluptates sensibiles (""viziose delettazioni"") et quosdam desiderium bonorum fortunae""; Giovanni di Jandun, Quaestiones super Metaphysicam I q. 4 ""Aliquis impeditur propter defectum necessariorum ad vitam ... Similiter aliquis retrahitur propter malitiam individualis naturae (""quando la malizia vince in essa""). Alia causa est segnities propter quam aliquis abhorret studere"". Meno diretto mi sembra il rapporto con la prefazione del Didascalicon di Ugo di San Vittore, accennato nel Commento Busnelli e sottolineato particolarmente da Baranski (cfr. Baranski 2000, pp. 92-7). In ogni caso la trattazione dei due impedimenti esterni riflette preoccupazioni e giudizi propri di Dante: la ""cura familiare"" (cioè l'impegno relativo alla gestione dei rapporti e dei beni privati) e quella ""civile"" (cioè l' impegno relativo alla cosa pubblica, alla politica; con civilis viene infatti reso, nella traduzione latina della Politica aristotelica il termine politikòs) è visto non solo come inevitabile (""cagione di necessitade"", cioè causa che toglie ogni possibilità di dedicars allo studio), ma anche giustificato (""convenevole""). La pigritia poi si colora di notazioni socio-geografiche: la mancanza di scuole superiori (indicate al tempo di Dante con il nome di Studia), quindi di intellettuali (""gente studiosa"") e la lontananza geografica che ne rende difficile la frequentazione saranno per tutto il Trecento ed oltre una delle motivazioni con cui le classi dirigenti dei Comuni italiani (Firenze, Pisa, Siena, Perugia ...) si impegnano nella fondazione di università municipali. Dante, che è stato a Bologna, la città dello Studio per antonomasia, pensa evidentemente che l' ostacolo sia ritenuto insormontabile solo dal vizio della pigrizia, degno di biasimo anche se non quanto la malizia. Ma soprattutto, come vedremo, Dante non accetta come irriformabile il dato di fatto per cui l'umanità è divisa tra una piccola minoranza di fruitori del sapere ed una stragrande maggioranza di frustrati inconsapevoli; il suo Convivio è infatti apparecchiato per rimuovere, almeno in parte, i due ostacoli esterni. Una più ampia e anche in parte diversa trattazione dei difetti fisici e mentali che impediscono il raggiungimento della verità si avrà in Cv IV xv 11-18.","I, cap. 4, n. 23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DENTRO DALL'UOMO ...,"secondo uno schema anch'esso presente nei commenti agli scritti aristotelici, soprattutto alla Metafisica, e nel genere letterario degli elogi della Filosofia cui abbiamo accennato, Dante affronta il tema degli ostacoli (impedimenta nel linguaggio tecnico di Parigi) che allontanano di fatto gli uomini dal filosofare. Il ricorso ai vari tipi di impedimenta serve a risolvere una difficoltà di fondo: se è vero che per natura tutti gli uomini tenderebbero alla conoscenza scientifica (cioè, nel nostro caso, filosofica), perchè, nella realtà effettuale sono così pochi quelli che la raggiungono, e così tanti quelli che non la considerano o addirittura la disprezzano?. Anche la classificazione degli ostacoli in ostacoli interni ed esterni (dentro all'uomo e di fuori da esso"") rientra nella tradizione universitaria. Relativamente agli ostacoli interni va tenuto presente che, secondo un diffuso adagio aristotelico, un difetto sensoriale dovuto alla cattiva struttura degli organi, esemplificato qui dalla mancanza di udito e quindi di parola, rende impossibile l' acquisizione della scienza corrispondente (cfr. An. Post. I 18, 81 a 38-40 ); per la cultura tardo medievale funziona il principio che il più delle volte ad un handicap fisico corrisponde una qualche mancanza nelle facoltà conoscitive (è un adagio diffuso, tratto dalla Physiognomica pseudoaristotelica, quello per cui ""animae, ut plurimum, sequuntur corpora"" e Dante stesso vi farà riferimento in Cv IV ii 7 ""La nostra mente ... è fondata sopra la complessione del corpo"". Cfr. anche Cv III viii 17). Quanto all'anima, la malizia consiste in una radicata abitudine a commettere azioni malvage (""malizia"") cui segue un irrimediabile stravolgimento del giudizio (""inganno"") che ritiene desiderabile e trova piacevole ciò che non lo è veramente (""viziose delettazioni"") e disprezza (""tiene a vile"") ciò che dovrebbe è fonte di vera felicità. Il termine malitia (traduzione latina del greco kakia) si trova nel primo capitolo del settimo libro dell' Etica Nicomachea (1145 a 16-17); nel suo Commento Tommaso d'Aquino la caratterizza appunto come una perversione abituale del desiderio talmente forte da dominare (""vincere"") la stessa ragione, portandola a considerare il piacere vizioso come il vero fine da raggiungere. Chi è in queste condizioni fa il male per scelta (In libros Ethicorum expositio, VII, lectio 1, n. 1294). I quattro impedimenti erano già elencati in trattati tipicamente universitari, anche se non tutti contemporaneamente: vedi ad esempio Tommaso d'Aquino nella Summa contra Gentiles (un'opera che Dante citerà esplicitamente in Cv IV xv 12 e IV xxx 3) I, cap. 4, n. 23 ""A fructu enim studiosae inquisitionis, qui est inventio veritatis, plurimi impediuntur tribus de causis. Quidam siquidem propter complexionis indispositionem (""parti indebitamente disposte"") ... Quidam vero impediuntur necessitate rei familiaris ... (""la cura familiare e civile"") ... Quidam autem impediuntur pigritia (""cagione ... induttrice ... di pigrizia"")""; Boezio di Dacia, De summo bono (p. 373) ""Cum enim omnes homines naturaliter scire desiderant, paucissimi tamen ... studio sapientiae vacant. Videmus enim quosdam pigritiam sequi, quosdam autem voluptates sensibiles (""viziose delettazioni"") et quosdam desiderium bonorum fortunae""; Giovanni di Jandun, Quaestiones super Metaphysicam I q. 4 ""Aliquis impeditur propter defectum necessariorum ad vitam ... Similiter aliquis retrahitur propter malitiam individualis naturae (""quando la malizia vince in essa""). Alia causa est segnities propter quam aliquis abhorret studere"". Meno diretto mi sembra il rapporto con la prefazione del Didascalicon di Ugo di San Vittore, accennato nel Commento Busnelli e sottolineato particolarmente da Baranski (cfr. Baranski 2000, pp. 92-7). In ogni caso la trattazione dei due impedimenti esterni riflette preoccupazioni e giudizi propri di Dante: la ""cura familiare"" (cioè l'impegno relativo alla gestione dei rapporti e dei beni privati) e quella ""civile"" (cioè l' impegno relativo alla cosa pubblica, alla politica; con civilis viene infatti reso, nella traduzione latina della Politica aristotelica il termine politikòs) è visto non solo come inevitabile (""cagione di necessitade"", cioè causa che toglie ogni possibilità di dedicars allo studio), ma anche giustificato (""convenevole""). La pigritia poi si colora di notazioni socio-geografiche: la mancanza di scuole superiori (indicate al tempo di Dante con il nome di Studia), quindi di intellettuali (""gente studiosa"") e la lontananza geografica che ne rende difficile la frequentazione saranno per tutto il Trecento ed oltre una delle motivazioni con cui le classi dirigenti dei Comuni italiani (Firenze, Pisa, Siena, Perugia ...) si impegnano nella fondazione di università municipali. Dante, che è stato a Bologna, la città dello Studio per antonomasia, pensa evidentemente che l' ostacolo sia ritenuto insormontabile solo dal vizio della pigrizia, degno di biasimo anche se non quanto la malizia. Ma soprattutto, come vedremo, Dante non accetta come irriformabile il dato di fatto per cui l'umanità è divisa tra una piccola minoranza di fruitori del sapere ed una stragrande maggioranza di frustrati inconsapevoli; il suo Convivio è infatti apparecchiato per rimuovere, almeno in parte, i due ostacoli esterni. Una più ampia e anche in parte diversa trattazione dei difetti fisici e mentali che impediscono il raggiungimento della verità si avrà in Cv IV xv 11-18.","(p. 373) ""Cum enim omnes homines naturaliter scire desiderant, paucissimi tamen ... studio sapientiae vacant. Videmus enim quosdam pigritiam sequi, quosdam autem voluptates sensibiles (""viziose delettazioni"") et quosdam desiderium bonorum fortunae""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SI MANUCA,"‘si mangia’. Il pane degli angeli, nella tradizione veterotestamentaria è la manna (cfr. Ps. 77, 25 «Panem angelorum manducavit homo»). Nel vangelo di Giovanni (6, 59) il nuovo pane del cielo, che si oppone alla manna dei padri, è Cristo che si offre come vero cibo. L’esegesi patristica, a partire da Agostino, aveva visto nel ‘panis angelorum’ il Verbo stesso (cfr. le Enarrationes in Psalmos, ps. 77, 17, p. 1081, seguite quasi alla lettera da Cassiodoro e da Remigio di Auxerre, fino alla Glossa ordinaria, PL. 113, p. 970: «Panis caeli, non aliter quam Christus de quo coelestes, id est angeli, reficiuntur eius contemplatione»). A questa interpretazione se ne era aggiunta un’altra che collegava il pane degli angeli mangiato dagli uomini al mistero eucaristico (cfr. Aimone di Halberstadt, Explanatio in Psalmos, PL 116, p. 462). Nei decenni immediatamente precedenti il Convivio, nella sequenza della nuova festa del Corpus Domini da lui composta Tommaso d’Aquino aveva particolarmente sottolineato quest’ultimo aspetto («in figuris praesignatus … datur manna patribus»; «ecce panis angelorum factus cibus viatorum»). Che, come qui avviene, il pane degli angeli indichi anche per gli uomini il sapere e la conoscenza è dunque un’ esegesi abbastanza originale di Dante: infatti solo nel Commento ai Salmi di Brunone di Asti viene identificato oltre che con il corpo di Cristo, con la “intelligentia” e la “scientia spiritualis” (cfr. PL 164, p. 998). Si è molto discusso se questo sapere si identificasse per Dante con la teologia o con la filosofia. Molto opportunamente Bruno Nardi ha fatto notare che questa distinzione non sembra applicabile al pensiero dantesco, per cui il Verbo identificato appunto con il “panis angelorum” dall’esegesi patristica e scolastica, riassume in sé entrambe (cfr. Nardi 1944, pp. 47-53). Minor attenzione è stata riservata al fatto che per l’autore del Convivio questo pane viene distribuito ad alcuni (pochi) mentre altri, molti e sociologicamente ben connotati, ne rimangono esclusi: l’immagine della mensa alla quale si siede e dove lo si può trovare e mangiare ha tutta l’aria di rimandare ad un contesto istituzionale. Per questo mi sembra plausibile che Dante stia pensando anche ad un sapere concreto e curriculare ed alle istituzioni che lo forniscono, prima di tutti l’Università (nella bolla con cui nell’aprile 1231 il papa Gregorio IX annunciava ai maestri e agli studenti parigini una revisione dei libri aristotelici in funzione di un loro uso legittimo come testi di insegnamento, la città ed il suo Studio venivano definiti ‘parens scientiarum’ e ‘officina specialis sapientie’ (cfr.Denifle-Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis, I, n. 78).","6, 59",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SI MANUCA,"‘si mangia’. Il pane degli angeli, nella tradizione veterotestamentaria è la manna (cfr. Ps. 77, 25 «Panem angelorum manducavit homo»). Nel vangelo di Giovanni (6, 59) il nuovo pane del cielo, che si oppone alla manna dei padri, è Cristo che si offre come vero cibo. L’esegesi patristica, a partire da Agostino, aveva visto nel ‘panis angelorum’ il Verbo stesso (cfr. le Enarrationes in Psalmos, ps. 77, 17, p. 1081, seguite quasi alla lettera da Cassiodoro e da Remigio di Auxerre, fino alla Glossa ordinaria, PL. 113, p. 970: «Panis caeli, non aliter quam Christus de quo coelestes, id est angeli, reficiuntur eius contemplatione»). A questa interpretazione se ne era aggiunta un’altra che collegava il pane degli angeli mangiato dagli uomini al mistero eucaristico (cfr. Aimone di Halberstadt, Explanatio in Psalmos, PL 116, p. 462). Nei decenni immediatamente precedenti il Convivio, nella sequenza della nuova festa del Corpus Domini da lui composta Tommaso d’Aquino aveva particolarmente sottolineato quest’ultimo aspetto («in figuris praesignatus … datur manna patribus»; «ecce panis angelorum factus cibus viatorum»). Che, come qui avviene, il pane degli angeli indichi anche per gli uomini il sapere e la conoscenza è dunque un’ esegesi abbastanza originale di Dante: infatti solo nel Commento ai Salmi di Brunone di Asti viene identificato oltre che con il corpo di Cristo, con la “intelligentia” e la “scientia spiritualis” (cfr. PL 164, p. 998). Si è molto discusso se questo sapere si identificasse per Dante con la teologia o con la filosofia. Molto opportunamente Bruno Nardi ha fatto notare che questa distinzione non sembra applicabile al pensiero dantesco, per cui il Verbo identificato appunto con il “panis angelorum” dall’esegesi patristica e scolastica, riassume in sé entrambe (cfr. Nardi 1944, pp. 47-53). Minor attenzione è stata riservata al fatto che per l’autore del Convivio questo pane viene distribuito ad alcuni (pochi) mentre altri, molti e sociologicamente ben connotati, ne rimangono esclusi: l’immagine della mensa alla quale si siede e dove lo si può trovare e mangiare ha tutta l’aria di rimandare ad un contesto istituzionale. Per questo mi sembra plausibile che Dante stia pensando anche ad un sapere concreto e curriculare ed alle istituzioni che lo forniscono, prima di tutti l’Università (nella bolla con cui nell’aprile 1231 il papa Gregorio IX annunciava ai maestri e agli studenti parigini una revisione dei libri aristotelici in funzione di un loro uso legittimo come testi di insegnamento, la città ed il suo Studio venivano definiti ‘parens scientiarum’ e ‘officina specialis sapientie’ (cfr.Denifle-Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis, I, n. 78).","ps. 77, 17, p. 1081",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Enarrationes_in_psalmos,Enarrationes in Psalmos,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +NON SANZA ... MANGIANDO,"‘provano compassione verso coloro che vedono andar («veggion sen gire») mangiando erba e ghiande, cibo degno di bestie («bestiale pastura») e non di uomini’. La pastura di ghiande rimanda alla condizione del figliol prodigo costretto a desiderare il cibo dei porci che conduceva al pascolo (cfr. Lc. 15, 16).","15, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LIBERALMENTE,"la liberalità, virtù che aristotelicamente consiste nel saper acquisire e donare in modo corretto ricchezze materiali (cfr. Eth. Nic. IV 1, 1119 b 22 sgg. e lo stesso Convivio, IV xvii 4 «liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali») viene estesa al bene della scienza. Qui essa dovrebbe trovare la sua applicazione insieme più alta e più necessaria: la scienza infatti è un dono di Dio e, come il tempo, non può essere comprata e venduta, ma solo dispensata (cfr. Post –Giocarinis- Kay 1955). Ma questa linea di pensiero andava ormai soccombendo sotto la pressione delle ‘artes lucrativae’, diritto e medicina, dove la preparazione universitaria dei professionisti serviva semmai ad alzare le tariffe (cfr. Cv IV xxvii 9). L’affermazione del Convivio, dunque, riguarda più il dover essere che l’essere e forse non è priva di una sfumatura di ironia. Sulla relazione tra liberalità e misericordia in Dante vedi Artale 2000, pp. 69-97.","IV 1, 1119 b 22 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA NATURALE SETE CHE DI SOPRA È NOMINATA,"si tratta del desiderio di sapere di cui Dante ha parlato nel primo paragrafo di questo capitolo. La metafora della sete e l’ immagine del fonte vivo richiamano le parole rivolte da Gesù alla Samaritana nel Vangelo di Giovanni «Aqua quam dabo … fiet … fons aquae salientis in vitam aeternam» (4, 14). La stessa metafora verrà usata da Dante in Pg XXI 1-4, con un rimando esplicito al testo evangelico: «La sete natural che mai non sazia / se non con l’acqua onde la femminetta / sammaritana dimandò la grazia / mi travagliava …». Ma nel Convivio, come vedremo, Dante pensa che la sete “naturale” possa essere saziata “naturalmente” dal sapere che l’uomo è capace di raggiungere usando al meglio il proprio intelletto.","«Aqua quam dabo … fiet … fons aquae salientis in vitam aeternam» (4, 14)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +RICOLGO,"‘raccolgo’. Anche l'immagine del raccogliere ciò che cade dalla mensa rimanda a due passi evangelici: la parabola di Lazzaro e del ricco epulone (Lc. 16, 21) e il colloquio di Gesù con la donna cananea (Mt. 15, 26-27). Con questa similitudine Dante in qualche modo caratterizza la sua collocazione particolare nei confronti del mondo della cultura alta: egli non fa parte strutturalmente della corporazione dei ‘viri scientifici’, ma, nonostante le cure civili e familiari è riuscito (come egli stesso ci dirà) a fruire in qualche misura del loro sapere, prima leggendo da solo alcuni testi, poi frequentando le istituzioni culturali che lo producono e lo tramandano. Di questo sapere egli vuole ora essere in qualche modo il tramite verso coloro che ne sono stati totalmente esclusi. Da cosa deriva questo desiderio di divulgazione? Come vedremo Dante è un convertito alla Filosofia; a differenza degli intellettuali di professione ha sperimentato e sperimenta personalmente la distanza abissale tra il pane degli angeli e l' erba e le ghiande che lui stesso non dimentica di aver mangiato («non me dimenticando»); quindi è maggiormente aperto ad un sentimento di compassione («misericordievolmente mosso») per coloro che sono rimasti in bestiale pastura e sente forte un bisogno che gli uomini di scienza non provano: quello di avvicinare al sapere filosofico il numero maggiormente possibile di persone. In effetti, come ha giustamente notato F. Cheneval (Cheneval 1998, p. 354) i maestri universitari avevano sì elencato gli impedimenti ad una vita veramente degna dell'uomo, ma non avevano mai pensato che fosse loro compito rimuoverli. La novità dell’atteggiamento di Dante risulterà ancora più evidente se, con Ruedi Imbach, sottolineeremo che nell’esegesi di Alberto Magno, un filosofo e teologo già da vivo modello di cultura alta, cui Dante si riferirà spesso nel Convivio, il pane che Gesù rifiuta inizialmente alla donna cananea è appunto la dottrina profonda, negata ai laici (cfr. In Joel prophetam enarratio, c. 1, n. 11 «Et cum laica peteret panem delicatum, respondit: non est bonum sumere panem filiorum et mittere canibus», citato in Imbach, 1989, p. 133).","15, 26-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +RICOLGO,"‘raccolgo’. Anche l'immagine del raccogliere ciò che cade dalla mensa rimanda a due passi evangelici: la parabola di Lazzaro e del ricco epulone (Lc. 16, 21) e il colloquio di Gesù con la donna cananea (Mt. 15, 26-27). Con questa similitudine Dante in qualche modo caratterizza la sua collocazione particolare nei confronti del mondo della cultura alta: egli non fa parte strutturalmente della corporazione dei ‘viri scientifici’, ma, nonostante le cure civili e familiari è riuscito (come egli stesso ci dirà) a fruire in qualche misura del loro sapere, prima leggendo da solo alcuni testi, poi frequentando le istituzioni culturali che lo producono e lo tramandano. Di questo sapere egli vuole ora essere in qualche modo il tramite verso coloro che ne sono stati totalmente esclusi. Da cosa deriva questo desiderio di divulgazione? Come vedremo Dante è un convertito alla Filosofia; a differenza degli intellettuali di professione ha sperimentato e sperimenta personalmente la distanza abissale tra il pane degli angeli e l' erba e le ghiande che lui stesso non dimentica di aver mangiato («non me dimenticando»); quindi è maggiormente aperto ad un sentimento di compassione («misericordievolmente mosso») per coloro che sono rimasti in bestiale pastura e sente forte un bisogno che gli uomini di scienza non provano: quello di avvicinare al sapere filosofico il numero maggiormente possibile di persone. In effetti, come ha giustamente notato F. Cheneval (Cheneval 1998, p. 354) i maestri universitari avevano sì elencato gli impedimenti ad una vita veramente degna dell'uomo, ma non avevano mai pensato che fosse loro compito rimuoverli. La novità dell’atteggiamento di Dante risulterà ancora più evidente se, con Ruedi Imbach, sottolineeremo che nell’esegesi di Alberto Magno, un filosofo e teologo già da vivo modello di cultura alta, cui Dante si riferirà spesso nel Convivio, il pane che Gesù rifiuta inizialmente alla donna cananea è appunto la dottrina profonda, negata ai laici (cfr. In Joel prophetam enarratio, c. 1, n. 11 «Et cum laica peteret panem delicatum, respondit: non est bonum sumere panem filiorum et mittere canibus», citato in Imbach, 1989, p. 133).","16, 21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UN GENERALE CONVIVIO,"il termine “convivio” che come Dante ci dice immediatamente dopo, sarà anche il titolo dell'opera, è carico di richiami e suggestioni. Che Platone avesse parlato di un banchetto filosofico veniva asserito nel XII secolo non a partire, come ci aspetteremmo, dal Simposio (un testo del tutto sconosciuto per il Medioevo) ma dal Timeo in cui proprio all’inizio Socrate aveva accennato ad un convito del giorno prima. Così aveva glossato un suo interprete: «Plato per involucrum cuiusdam convivii tractat … materiam. Volens enim per positivam justitiam accedere ad naturalem … inducit Socratem … pridie Timaeo … dedisse epulum, id est tractatum de positiva iustitia» (Bernardo di Chartres, Glosae super Timaeum, ed. Dutton, p. 145). E poco dopo, spiegando il termine epulum: «Epulum, id est convivium, dicitur disputatio philosophorum per simile, quia sicut in convivio multa habentur fercula, ita in eorum disputatione multae et variae tractantur sententiae» (ivi, p. 147). Nella Bibbia, poi, la Sapienza stessa allestiva un banchetto per gli uomini (cfr. Prv 9, 1-5). Infine, nella stessa linea del pane degli angeli, il termine era stato utilizzato nella liturgia del Corpus Domini («O sacrum convivium in quo Christus sumitur»). Nella letteratura volgare, immediatamente prima di Dante, Guittone d’Arezzo, richiesto di ammaestramenti, aveva parlato della sua poveretta mensa e di una vivanda che sarebbe stata utile al suo convitato (Lettera a Gianni Bentivegna, in Lettere, ed. Margueron, p. 4). Dante, a differenza di Guittone, parla però di un «convivio generale», cioè pubblico, aperto a tutti. Il paragone può dunque rimandare anche ad una di quelle tavole bandite che nella Firenze del XIII secolo mostravano la “larghezza” di magnati come Betto Brunelleschi (cfr. Decameron VI 9). La Cronica di Giovanni Villani (VIII 89, pp. 547-548) parla di una corte bandita nell’estate del 1283 alla quale parteciparono «mille uomini e più tutti vestiti di robe bianche … stando in conviti insieme,in desinari e in cene» e richiamò a Firenze «di diverse parti molti gentiluomini di corte e giocolari» (meno convincente il richiamo del Commento di Cheneval ai ‘convivia publica’ caratteristici di alcune città greche e ricordati nella Politica aristotelica). Viene così ulteriormente sottolineata l'intenzione di venire incontro ai bisogni più profondi di chi, non per disgrazia o colpa, è rimasto escluso dal sapere. Il De vulgari eloquentia (I i 1) esprime con la metafora del bere la medesima intenzione di venire incontro ad un vasto pubblico di non specialisti.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Timaeus_(dialogue),Timeo,Platone,http://dbpedia.org/resource/Plato,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +UN GENERALE CONVIVIO,"il termine “convivio” che come Dante ci dice immediatamente dopo, sarà anche il titolo dell'opera, è carico di richiami e suggestioni. Che Platone avesse parlato di un banchetto filosofico veniva asserito nel XII secolo non a partire, come ci aspetteremmo, dal Simposio (un testo del tutto sconosciuto per il Medioevo) ma dal Timeo in cui proprio all’inizio Socrate aveva accennato ad un convito del giorno prima. Così aveva glossato un suo interprete: «Plato per involucrum cuiusdam convivii tractat … materiam. Volens enim per positivam justitiam accedere ad naturalem … inducit Socratem … pridie Timaeo … dedisse epulum, id est tractatum de positiva iustitia» (Bernardo di Chartres, Glosae super Timaeum, ed. Dutton, p. 145). E poco dopo, spiegando il termine epulum: «Epulum, id est convivium, dicitur disputatio philosophorum per simile, quia sicut in convivio multa habentur fercula, ita in eorum disputatione multae et variae tractantur sententiae» (ivi, p. 147). Nella Bibbia, poi, la Sapienza stessa allestiva un banchetto per gli uomini (cfr. Prv 9, 1-5). Infine, nella stessa linea del pane degli angeli, il termine era stato utilizzato nella liturgia del Corpus Domini («O sacrum convivium in quo Christus sumitur»). Nella letteratura volgare, immediatamente prima di Dante, Guittone d’Arezzo, richiesto di ammaestramenti, aveva parlato della sua poveretta mensa e di una vivanda che sarebbe stata utile al suo convitato (Lettera a Gianni Bentivegna, in Lettere, ed. Margueron, p. 4). Dante, a differenza di Guittone, parla però di un «convivio generale», cioè pubblico, aperto a tutti. Il paragone può dunque rimandare anche ad una di quelle tavole bandite che nella Firenze del XIII secolo mostravano la “larghezza” di magnati come Betto Brunelleschi (cfr. Decameron VI 9). La Cronica di Giovanni Villani (VIII 89, pp. 547-548) parla di una corte bandita nell’estate del 1283 alla quale parteciparono «mille uomini e più tutti vestiti di robe bianche … stando in conviti insieme,in desinari e in cene» e richiamò a Firenze «di diverse parti molti gentiluomini di corte e giocolari» (meno convincente il richiamo del Commento di Cheneval ai ‘convivia publica’ caratteristici di alcune città greche e ricordati nella Politica aristotelica). Viene così ulteriormente sottolineata l'intenzione di venire incontro ai bisogni più profondi di chi, non per disgrazia o colpa, è rimasto escluso dal sapere. Il De vulgari eloquentia (I i 1) esprime con la metafora del bere la medesima intenzione di venire incontro ad un vasto pubblico di non specialisti.","«Plato per involucrum cuiusdam convivii tractat … materiam. Volens enim per positivam justitiam accedere ad naturalem … inducit Socratem … pridie Timaeo … dedisse epulum, id est tractatum de positiva iustitia»ed. Dutton, p. 145",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glosae_super_Timaeum,Glosae super Timaeum,Bernardo di Chartres,http://dbpedia.org/resource/Bernard_of_Chartres,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +UN GENERALE CONVIVIO,"il termine “convivio” che come Dante ci dice immediatamente dopo, sarà anche il titolo dell'opera, è carico di richiami e suggestioni. Che Platone avesse parlato di un banchetto filosofico veniva asserito nel XII secolo non a partire, come ci aspetteremmo, dal Simposio (un testo del tutto sconosciuto per il Medioevo) ma dal Timeo in cui proprio all’inizio Socrate aveva accennato ad un convito del giorno prima. Così aveva glossato un suo interprete: «Plato per involucrum cuiusdam convivii tractat … materiam. Volens enim per positivam justitiam accedere ad naturalem … inducit Socratem … pridie Timaeo … dedisse epulum, id est tractatum de positiva iustitia» (Bernardo di Chartres, Glosae super Timaeum, ed. Dutton, p. 145). E poco dopo, spiegando il termine epulum: «Epulum, id est convivium, dicitur disputatio philosophorum per simile, quia sicut in convivio multa habentur fercula, ita in eorum disputatione multae et variae tractantur sententiae» (ivi, p. 147). Nella Bibbia, poi, la Sapienza stessa allestiva un banchetto per gli uomini (cfr. Prv 9, 1-5). Infine, nella stessa linea del pane degli angeli, il termine era stato utilizzato nella liturgia del Corpus Domini («O sacrum convivium in quo Christus sumitur»). Nella letteratura volgare, immediatamente prima di Dante, Guittone d’Arezzo, richiesto di ammaestramenti, aveva parlato della sua poveretta mensa e di una vivanda che sarebbe stata utile al suo convitato (Lettera a Gianni Bentivegna, in Lettere, ed. Margueron, p. 4). Dante, a differenza di Guittone, parla però di un «convivio generale», cioè pubblico, aperto a tutti. Il paragone può dunque rimandare anche ad una di quelle tavole bandite che nella Firenze del XIII secolo mostravano la “larghezza” di magnati come Betto Brunelleschi (cfr. Decameron VI 9). La Cronica di Giovanni Villani (VIII 89, pp. 547-548) parla di una corte bandita nell’estate del 1283 alla quale parteciparono «mille uomini e più tutti vestiti di robe bianche … stando in conviti insieme,in desinari e in cene» e richiamò a Firenze «di diverse parti molti gentiluomini di corte e giocolari» (meno convincente il richiamo del Commento di Cheneval ai ‘convivia publica’ caratteristici di alcune città greche e ricordati nella Politica aristotelica). Viene così ulteriormente sottolineata l'intenzione di venire incontro ai bisogni più profondi di chi, non per disgrazia o colpa, è rimasto escluso dal sapere. Il De vulgari eloquentia (I i 1) esprime con la metafora del bere la medesima intenzione di venire incontro ad un vasto pubblico di non specialisti.","9, 1-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +UN GENERALE CONVIVIO,"il termine “convivio” che come Dante ci dice immediatamente dopo, sarà anche il titolo dell'opera, è carico di richiami e suggestioni. Che Platone avesse parlato di un banchetto filosofico veniva asserito nel XII secolo non a partire, come ci aspetteremmo, dal Simposio (un testo del tutto sconosciuto per il Medioevo) ma dal Timeo in cui proprio all’inizio Socrate aveva accennato ad un convito del giorno prima. Così aveva glossato un suo interprete: «Plato per involucrum cuiusdam convivii tractat … materiam. Volens enim per positivam justitiam accedere ad naturalem … inducit Socratem … pridie Timaeo … dedisse epulum, id est tractatum de positiva iustitia» (Bernardo di Chartres, Glosae super Timaeum, ed. Dutton, p. 145). E poco dopo, spiegando il termine epulum: «Epulum, id est convivium, dicitur disputatio philosophorum per simile, quia sicut in convivio multa habentur fercula, ita in eorum disputatione multae et variae tractantur sententiae» (ivi, p. 147). Nella Bibbia, poi, la Sapienza stessa allestiva un banchetto per gli uomini (cfr. Prv 9, 1-5). Infine, nella stessa linea del pane degli angeli, il termine era stato utilizzato nella liturgia del Corpus Domini («O sacrum convivium in quo Christus sumitur»). Nella letteratura volgare, immediatamente prima di Dante, Guittone d’Arezzo, richiesto di ammaestramenti, aveva parlato della sua poveretta mensa e di una vivanda che sarebbe stata utile al suo convitato (Lettera a Gianni Bentivegna, in Lettere, ed. Margueron, p. 4). Dante, a differenza di Guittone, parla però di un «convivio generale», cioè pubblico, aperto a tutti. Il paragone può dunque rimandare anche ad una di quelle tavole bandite che nella Firenze del XIII secolo mostravano la “larghezza” di magnati come Betto Brunelleschi (cfr. Decameron VI 9). La Cronica di Giovanni Villani (VIII 89, pp. 547-548) parla di una corte bandita nell’estate del 1283 alla quale parteciparono «mille uomini e più tutti vestiti di robe bianche … stando in conviti insieme,in desinari e in cene» e richiamò a Firenze «di diverse parti molti gentiluomini di corte e giocolari» (meno convincente il richiamo del Commento di Cheneval ai ‘convivia publica’ caratteristici di alcune città greche e ricordati nella Politica aristotelica). Viene così ulteriormente sottolineata l'intenzione di venire incontro ai bisogni più profondi di chi, non per disgrazia o colpa, è rimasto escluso dal sapere. Il De vulgari eloquentia (I i 1) esprime con la metafora del bere la medesima intenzione di venire incontro ad un vasto pubblico di non specialisti.","in Lettere, ed. Margueron, p. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lettera_a_Gianni_Bentivegna,Lettera a Gianni Bentivegna,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +UN GENERALE CONVIVIO,"il termine “convivio” che come Dante ci dice immediatamente dopo, sarà anche il titolo dell'opera, è carico di richiami e suggestioni. Che Platone avesse parlato di un banchetto filosofico veniva asserito nel XII secolo non a partire, come ci aspetteremmo, dal Simposio (un testo del tutto sconosciuto per il Medioevo) ma dal Timeo in cui proprio all’inizio Socrate aveva accennato ad un convito del giorno prima. Così aveva glossato un suo interprete: «Plato per involucrum cuiusdam convivii tractat … materiam. Volens enim per positivam justitiam accedere ad naturalem … inducit Socratem … pridie Timaeo … dedisse epulum, id est tractatum de positiva iustitia» (Bernardo di Chartres, Glosae super Timaeum, ed. Dutton, p. 145). E poco dopo, spiegando il termine epulum: «Epulum, id est convivium, dicitur disputatio philosophorum per simile, quia sicut in convivio multa habentur fercula, ita in eorum disputatione multae et variae tractantur sententiae» (ivi, p. 147). Nella Bibbia, poi, la Sapienza stessa allestiva un banchetto per gli uomini (cfr. Prv 9, 1-5). Infine, nella stessa linea del pane degli angeli, il termine era stato utilizzato nella liturgia del Corpus Domini («O sacrum convivium in quo Christus sumitur»). Nella letteratura volgare, immediatamente prima di Dante, Guittone d’Arezzo, richiesto di ammaestramenti, aveva parlato della sua poveretta mensa e di una vivanda che sarebbe stata utile al suo convitato (Lettera a Gianni Bentivegna, in Lettere, ed. Margueron, p. 4). Dante, a differenza di Guittone, parla però di un «convivio generale», cioè pubblico, aperto a tutti. Il paragone può dunque rimandare anche ad una di quelle tavole bandite che nella Firenze del XIII secolo mostravano la “larghezza” di magnati come Betto Brunelleschi (cfr. Decameron VI 9). La Cronica di Giovanni Villani (VIII 89, pp. 547-548) parla di una corte bandita nell’estate del 1283 alla quale parteciparono «mille uomini e più tutti vestiti di robe bianche … stando in conviti insieme,in desinari e in cene» e richiamò a Firenze «di diverse parti molti gentiluomini di corte e giocolari» (meno convincente il richiamo del Commento di Cheneval ai ‘convivia publica’ caratteristici di alcune città greche e ricordati nella Politica aristotelica). Viene così ulteriormente sottolineata l'intenzione di venire incontro ai bisogni più profondi di chi, non per disgrazia o colpa, è rimasto escluso dal sapere. Il De vulgari eloquentia (I i 1) esprime con la metafora del bere la medesima intenzione di venire incontro ad un vasto pubblico di non specialisti.","VIII 89, pp. 547-548",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nova_Cronica,Nova Cronica,Giovanni Villani,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_Villani,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +PURGARE DA OGNI MACULA,"‘pulire da ogni macchia, da ogni sporcizia’. Il termine ‘purgare’ era già ststo usato da Brunetto Latini nel senso traslato che gli darà Dante (cfr. La Rettorica I, 13, p. 7 «Tulio, volendo che la rettorica fosse amata e tenuta cara …, mise davanti questo prolago, nel quale purgò quelle cose che pareano a llui gravose » ).","I, 13, p. 7 «Tulio, volendo che la rettorica fosse amata e tenuta cara …, mise davanti questo prolago, nel quale purgò quelle cose che pareano a llui gravose »",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_Rettorica,La Rettorica,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +NON SI CONCEDE PER LI RETTORICI,"‘non è ammesso dai maestri di retorica’ (“per”, nell’italiano antico, ha spesso il valore di complemento di mezzo o di agente). Dante si riferisce con tutta probabilità agli autori di quei testi che per la cultura medievale fondano e trasmettono la retorica come scienza capace di essere insegnata: essenzialmente il Cicerone del De inventione e della Rhetorica ad Herennium al tempo di Dante comunemente attribuita all’Arpinate. Non è da escludere la presenza di “rettorici” contemporanei come Brunetto Latini che nel Trésor aveva abbondantemente parafrasato Cicerone e nella Rettorica aveva commentato il De inventione. Né in Cicerone né in Brunetto si trova però un divieto di parlare di sé medesimi, bensì suggerimenti su come accattivarsi l’animo degli uditori parlando di sé, ma con modestia e senza iattanza (cfr. Trésor, III xxv 2, p. 678 che parafrasa De inventione I.22, e Rettorica 95, pp. 120 sgg. che lo commenta). Tra questi, quello di «diluere crimina inlata et aliquas inhonestas suspiciones iniectas» corrisponde effettivamente ad una delle due cause che rendono necessario il parlare di sé alla quale si riferirà Dante nel paragrafo 13 («L’una è quando senza ragionare di sé grande infamia o pericolo non si può cessare»). Come hanno notato i commenti di Busnelli e di Vasoli, il divieto di parlare sia bene sia male di sé si trova piuttosto attribuito ad Aristotele in un’opera assai diffusa e utlizzata nel Medio Evo, i Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (cfr. VII.ii.11 «Aristoteles de semet ipso in neutram partem loqui debere praedicabat, quoniam laudare se vani, vituperare stulti esset»). Da qui era passato in una delle più diffuse opere enciclopediche del Medioevo, lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (IV, cap. 82, p. 174) e dallo Speculum in un’opera in volgare coeva di Dante, il Fiori e vita di filosafi e d’altri savi e d’imperadori, p. 128. L’ipotesi più probabile è che Dante avesse trovato la massima nei Disticha Catonis, uno dei testi base delle scuole medievali di grammatica. In ogni caso, accanto alla auctoritas degli “autori”, Dante registra il fatto che in linea di massima ci si astiene comunque («da ciò l’uomo è rimosso »: «l’uomo» ha un valore impersonale, come nel francese “on”) dal parlare di sé: se infatti parlare di qualcuno implica sempre lode o biasimo, chi parla di sé non può riferire la lode o il biasimo altro che a se stesso, e questo rende necessariamente il suo discorso rozzo e volgare («stanno a far dire rusticamente nella bocca di ciascuno»). Sulla necessità di non essere «laudatore di sé medesimo, la quale cosa è al postutto biasimevole a chi lo fa» cfr. Vn 19, 2.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Distichs_of_Cato,Disticha Catonis,,,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +NON SI CONCEDE PER LI RETTORICI,"‘non è ammesso dai maestri di retorica’ (“per”, nell’italiano antico, ha spesso il valore di complemento di mezzo o di agente). Dante si riferisce con tutta probabilità agli autori di quei testi che per la cultura medievale fondano e trasmettono la retorica come scienza capace di essere insegnata: essenzialmente il Cicerone del De inventione e della Rhetorica ad Herennium al tempo di Dante comunemente attribuita all’Arpinate. Non è da escludere la presenza di “rettorici” contemporanei come Brunetto Latini che nel Trésor aveva abbondantemente parafrasato Cicerone e nella Rettorica aveva commentato il De inventione. Né in Cicerone né in Brunetto si trova però un divieto di parlare di sé medesimi, bensì suggerimenti su come accattivarsi l’animo degli uditori parlando di sé, ma con modestia e senza iattanza (cfr. Trésor, III xxv 2, p. 678 che parafrasa De inventione I.22, e Rettorica 95, pp. 120 sgg. che lo commenta). Tra questi, quello di «diluere crimina inlata et aliquas inhonestas suspiciones iniectas» corrisponde effettivamente ad una delle due cause che rendono necessario il parlare di sé alla quale si riferirà Dante nel paragrafo 13 («L’una è quando senza ragionare di sé grande infamia o pericolo non si può cessare»). Come hanno notato i commenti di Busnelli e di Vasoli, il divieto di parlare sia bene sia male di sé si trova piuttosto attribuito ad Aristotele in un’opera assai diffusa e utlizzata nel Medio Evo, i Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (cfr. VII.ii.11 «Aristoteles de semet ipso in neutram partem loqui debere praedicabat, quoniam laudare se vani, vituperare stulti esset»). Da qui era passato in una delle più diffuse opere enciclopediche del Medioevo, lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (IV, cap. 82, p. 174) e dallo Speculum in un’opera in volgare coeva di Dante, il Fiori e vita di filosafi e d’altri savi e d’imperadori, p. 128. L’ipotesi più probabile è che Dante avesse trovato la massima nei Disticha Catonis, uno dei testi base delle scuole medievali di grammatica. In ogni caso, accanto alla auctoritas degli “autori”, Dante registra il fatto che in linea di massima ci si astiene comunque («da ciò l’uomo è rimosso »: «l’uomo» ha un valore impersonale, come nel francese “on”) dal parlare di sé: se infatti parlare di qualcuno implica sempre lode o biasimo, chi parla di sé non può riferire la lode o il biasimo altro che a se stesso, e questo rende necessariamente il suo discorso rozzo e volgare («stanno a far dire rusticamente nella bocca di ciascuno»). Sulla necessità di non essere «laudatore di sé medesimo, la quale cosa è al postutto biasimevole a chi lo fa» cfr. Vn 19, 2.","IV, cap. 82, p. 174",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +NON SI CONCEDE PER LI RETTORICI,"‘non è ammesso dai maestri di retorica’ (“per”, nell’italiano antico, ha spesso il valore di complemento di mezzo o di agente). Dante si riferisce con tutta probabilità agli autori di quei testi che per la cultura medievale fondano e trasmettono la retorica come scienza capace di essere insegnata: essenzialmente il Cicerone del De inventione e della Rhetorica ad Herennium al tempo di Dante comunemente attribuita all’Arpinate. Non è da escludere la presenza di “rettorici” contemporanei come Brunetto Latini che nel Trésor aveva abbondantemente parafrasato Cicerone e nella Rettorica aveva commentato il De inventione. Né in Cicerone né in Brunetto si trova però un divieto di parlare di sé medesimi, bensì suggerimenti su come accattivarsi l’animo degli uditori parlando di sé, ma con modestia e senza iattanza (cfr. Trésor, III xxv 2, p. 678 che parafrasa De inventione I.22, e Rettorica 95, pp. 120 sgg. che lo commenta). Tra questi, quello di «diluere crimina inlata et aliquas inhonestas suspiciones iniectas» corrisponde effettivamente ad una delle due cause che rendono necessario il parlare di sé alla quale si riferirà Dante nel paragrafo 13 («L’una è quando senza ragionare di sé grande infamia o pericolo non si può cessare»). Come hanno notato i commenti di Busnelli e di Vasoli, il divieto di parlare sia bene sia male di sé si trova piuttosto attribuito ad Aristotele in un’opera assai diffusa e utlizzata nel Medio Evo, i Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (cfr. VII.ii.11 «Aristoteles de semet ipso in neutram partem loqui debere praedicabat, quoniam laudare se vani, vituperare stulti esset»). Da qui era passato in una delle più diffuse opere enciclopediche del Medioevo, lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (IV, cap. 82, p. 174) e dallo Speculum in un’opera in volgare coeva di Dante, il Fiori e vita di filosafi e d’altri savi e d’imperadori, p. 128. L’ipotesi più probabile è che Dante avesse trovato la massima nei Disticha Catonis, uno dei testi base delle scuole medievali di grammatica. In ogni caso, accanto alla auctoritas degli “autori”, Dante registra il fatto che in linea di massima ci si astiene comunque («da ciò l’uomo è rimosso »: «l’uomo» ha un valore impersonale, come nel francese “on”) dal parlare di sé: se infatti parlare di qualcuno implica sempre lode o biasimo, chi parla di sé non può riferire la lode o il biasimo altro che a se stesso, e questo rende necessariamente il suo discorso rozzo e volgare («stanno a far dire rusticamente nella bocca di ciascuno»). Sulla necessità di non essere «laudatore di sé medesimo, la quale cosa è al postutto biasimevole a chi lo fa» cfr. Vn 19, 2.","VII.ii.11 «Aristoteles de semet ipso in neutram partem loqui debere praedicabat, quoniam laudare se vani, vituperare stulti esset»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Facta_et_dicta_memorabilia,Facta et dicta memorabilia,Valerio Massimo,http://dbpedia.org/resource/Valerius_Maximus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +'L NUMERO E LA QUANTITÀ E 'L PESO DEL BENE,"Dante riecheggia qui un brano della Scrittura (Sap. 11, 21 «Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti»).","11, 21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +E QUESTA NECESSITATE MOSSE BOEZIO,"Dante usa come esempio di un lecito parlare di sé Boezio e il suo De consolatione philosophiae, scritto nel 524 d.C. mentre il filosofo e uomo politico latino era incarcerato a Pavia sotto l’ accusa di alto tradimento nei confronti del re Teodorico. All’ inizio del trattato Boezio, rivolgendosi alla Filosofia (personificata in una veneranda matrona che gli è apparsa in prigione), pronuncia una appassionata apologia di se stesso, lamentandosi che nessuno si fosse levato a difenderlo («poi che altro escusatore non si levava») e dimostrando infondate le accuse che lo avevano fatto incarcerare lontano da Roma («essilio»; cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 3, p. 9 «tu in has essilii nostri solitudines, o omnium magistra virtutum, venisti?») che, altrimenti, sarebbero rimaste per lui marchio d'infamia perenne («perpetual infamia». Boezio si lamenta di esser stato «existimatione foedatus»; cfr De consolatione philosophiae I, prosa 4, 45, p. 18).","I, prosa 3, 3, p. 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +E QUESTA NECESSITATE MOSSE BOEZIO,"Dante usa come esempio di un lecito parlare di sé Boezio e il suo De consolatione philosophiae, scritto nel 524 d.C. mentre il filosofo e uomo politico latino era incarcerato a Pavia sotto l’ accusa di alto tradimento nei confronti del re Teodorico. All’ inizio del trattato Boezio, rivolgendosi alla Filosofia (personificata in una veneranda matrona che gli è apparsa in prigione), pronuncia una appassionata apologia di se stesso, lamentandosi che nessuno si fosse levato a difenderlo («poi che altro escusatore non si levava») e dimostrando infondate le accuse che lo avevano fatto incarcerare lontano da Roma («essilio»; cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 3, p. 9 «tu in has essilii nostri solitudines, o omnium magistra virtutum, venisti?») che, altrimenti, sarebbero rimaste per lui marchio d'infamia perenne («perpetual infamia». Boezio si lamenta di esser stato «existimatione foedatus»; cfr De consolatione philosophiae I, prosa 4, 45, p. 18).","I, prosa 4, 45, p. 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LA QUALE ... NON SI POTEA,"il senso è che nessuno avrebbe potuto certificare con una testimonianza più attendibile la dottrina e gli esempi di vita offerti alla nostra considerazione. Agostino, infatti, li aveva sperimentati di persona prima di narrarli. In effetti il vescovo di Ippona afferma chiaramente di aver scritto le Confessioni spinto non dalla curiosità, ma dalla carità perchè rechino frutto a chi le legge (cfr. Confessiones, X iii 3-iv 6, pp. 156-58).","X iii 3-iv 6, pp. 156-58",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Confessions_(St._Augustine),Confessiones,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +LA PIAGA DELLA FORTUNA,"‘il colpo inferto dalla Fortuna’. Il termine “fortuna” ha per Dante significati più complessi che per noi. La tarda antichità greco-latina aveva fatto della fortuna una divinità (la Tyche) che reggeva a suo capriccio il mondo delle ricchezze, del potere e del successo, e anche dell’agonismo sportivo (una statua della Tyche dominava l’ingresso al grande stadio di Costantinopoli). Attraverso il De consolatione philosophiae questa personificazione era passata al Medioevo sia latino che romanzo (dal Policraticus di Giovanni di Salisbury al Roman de la rose) mantenendo la medesima sfera di competenza (gli «splendori mondani» di If VII 77). La Fortuna, però, come la Natura dei maestri chartriani o di Alano di Lilla, era diventata una ancella di Dio. L’alternarsi dei suoi favori è plasticamente reso da un simbolo diffusissimo: la ruota della Fortuna (cfr. If XV 95-6 «però giri Fortuna la sua rota / come le piace …»). Il suo girare non può essere fermato da preghiere perché fa parte esso stesso di un ordine provvidenziale che il più delle volte sfugge alla nostra comprensione immediata; come aveva già detto Agostino nel Contra Academicos (I i.1, p. 3): «quae vulgo fortuna nominatur, occulto quodam ordine regitur» (cfr. Mn II ix 9). Se riuscissimo ad adottare il punto di vista della totalità la Fortuna dovrebbe essere lodata, non biasimata (cfr. If VII 91-3). Se in Cv IV xi 6 sgg., nel caso particolare della distribuzione delle ricchezze, la fortuna viene vista come principio di ingiustizia e quindi di irrazionalità, ciò dipende dalla natura stessa dei beni distribuiti, e inoltre si tratta di giudizi formulati dal punto di vista di una giustizia e di una razionalità umane (cfr. Renucci, 1954, pp. 99-100). In ogni modo qui e nella Commedia Dante ha come punto di riferimento Boezio, e non Aristotele o i suoi commentatori medievali, che presentano della fortuna e della casualità una dottrina piuttosto diversa (cfr. Phys. II, 5-6) e soprattutto assai più tecnica e meno trasfigurabile poeticamente.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LA PIAGA DELLA FORTUNA,"‘il colpo inferto dalla Fortuna’. Il termine “fortuna” ha per Dante significati più complessi che per noi. La tarda antichità greco-latina aveva fatto della fortuna una divinità (la Tyche) che reggeva a suo capriccio il mondo delle ricchezze, del potere e del successo, e anche dell’agonismo sportivo (una statua della Tyche dominava l’ingresso al grande stadio di Costantinopoli). Attraverso il De consolatione philosophiae questa personificazione era passata al Medioevo sia latino che romanzo (dal Policraticus di Giovanni di Salisbury al Roman de la rose) mantenendo la medesima sfera di competenza (gli «splendori mondani» di If VII 77). La Fortuna, però, come la Natura dei maestri chartriani o di Alano di Lilla, era diventata una ancella di Dio. L’alternarsi dei suoi favori è plasticamente reso da un simbolo diffusissimo: la ruota della Fortuna (cfr. If XV 95-6 «però giri Fortuna la sua rota / come le piace …»). Il suo girare non può essere fermato da preghiere perché fa parte esso stesso di un ordine provvidenziale che il più delle volte sfugge alla nostra comprensione immediata; come aveva già detto Agostino nel Contra Academicos (I i.1, p. 3): «quae vulgo fortuna nominatur, occulto quodam ordine regitur» (cfr. Mn II ix 9). Se riuscissimo ad adottare il punto di vista della totalità la Fortuna dovrebbe essere lodata, non biasimata (cfr. If VII 91-3). Se in Cv IV xi 6 sgg., nel caso particolare della distribuzione delle ricchezze, la fortuna viene vista come principio di ingiustizia e quindi di irrazionalità, ciò dipende dalla natura stessa dei beni distribuiti, e inoltre si tratta di giudizi formulati dal punto di vista di una giustizia e di una razionalità umane (cfr. Renucci, 1954, pp. 99-100). In ogni modo qui e nella Commedia Dante ha come punto di riferimento Boezio, e non Aristotele o i suoi commentatori medievali, che presentano della fortuna e della casualità una dottrina piuttosto diversa (cfr. Phys. II, 5-6) e soprattutto assai più tecnica e meno trasfigurabile poeticamente.","I i.1, p. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Contra_Academicos,Contra Academicos,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DAL VENTO SECCO,"la metafora della povertà che «vapora» (cioè esala) un vento secco, si spiega con la teoria generale dei venti esposta da Aristotele nel secondo libro dei Meteorologici (c. 4, 360 a 12 sgg.), un testo che Dante utilizzerà attraverso la parafrasi di Alberto Magno, e che comunque era tra i più diffusi, in traduzioni e compendi in volgare, anche al di fuori del circuito universitario (un esempio per tutti è La composizione del mondo colle sue cascioni di Ristoro d’Arezzo).","4, 360 a 12 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Meteorology_(Aristotle),Meteorologica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DAL VENTO SECCO,"la metafora della povertà che «vapora» (cioè esala) un vento secco, si spiega con la teoria generale dei venti esposta da Aristotele nel secondo libro dei Meteorologici (c. 4, 360 a 12 sgg.), un testo che Dante utilizzerà attraverso la parafrasi di Alberto Magno, e che comunque era tra i più diffusi, in traduzioni e compendi in volgare, anche al di fuori del circuito universitario (un esempio per tutti è La composizione del mondo colle sue cascioni di Ristoro d’Arezzo).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA SECONDA MENTE,"Dante illustra analiticamente (usando il suo linguaggio, diremmo “sottilmente”) il processo per cui la buona opinione di una persona si accresce esponenzialmente passando di bocca in bocca: il secondo anello della catena («la seconda mente») non si limita a recepire l’ampliamento della fama operato dal primo («non solamente alla dilatazione della prima sta contenta»), ma a sua volta amplia ulteriormente rispetto a quello che le è giunto («quella più ampia fa che a lei non vene») per uno dei due motivi già prima accennati: o perché consapevolmente cerca di abbellire («procura di adornare») quel che trasmette agli altri («riportamento») considerandolo come fosse un suo proprio prodotto («sì quasi come suo effetto»), o perché è ingannato dall’amore disinteressato che in lui si genera verso la persona lodata («per l’inganno che riceve della caritade in lei generata»). Anche qui nel primo caso si va contro coscienza, nel secondo no. Lo stesso si verifica in chi a sua volta riceve («la terza ricevitrice») e così la fama buona si accresce («si dilata») all’infinito. Una medesima struttura («ragione») possiamo osservare («si può vedere») nel processo con cui si accresce la cattiva fama («infamia»), solo che le cause vanno rovesciate nel loro contrario («volgendo le cagioni …nelle contrarie»); prodotta da una mente nemica, infatti, essa è cresciuta dall’odio anzi che dalla «caritade». Per dar forza alla sua spiegazione Dante cita e traduce Eneide IV 175 «fama mobilitate viget viresque adquirit eundo». Dato che in latino viget non significa “vive”, ma “ha vigore”, è possibile sia che il codice di Virgilio letto da Dante avesse la variante vivit al posto di viget, sia che Dante sbagliasse citando a memoria.",IV 175 «fama mobilitate viget viresque adquirit eundo»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +A GUISA DI PARGOLI,"‘come fossero dei bambini’. Con l’ espressione ‘fanciullezza d’animo’, indipendentemente dall’età effettiva, Aristotele aveva caratterizzato chi vive assecondando le passioni e non la ragione (cfr. Eth. Nic. I 2, 1095a 6-8. Dante si riferirà espressamente a questo passo in Cv IV xvi 5). Il testo aristotelico osservava che costoro si lasciano trascinare da qualsiasi tipo di attrazione. Dante allarga questa breve notazione: quelli che seguono i sensi ora desiderano ardentemente una cosa («sono vaghi»), e poi velocemente ne sono sazi, si rallegrano e si rattristano intensamente ma per breve tempo e per motivi futili («si tratta di brievi dilettazioni e tristizie»), rapidamente diventano amici e rapidamente nemici («tosto» ha il valore di subito, improvvisamente). Osservazioni simili sono presenti in altri passi dell’ Etica Nicomachea e della Retorica in cui Aristotele illustra i caratteri propri dei giovani (cfr. Eth. Nic. VIII 3, 1156 a 34-35 « i giovani rapidamente diventano amici e rapidamente cessano di esserlo»; Rhet. II 12, 1389 a 5-6 «sono incostanti e volubili nei loro desideri; il loro desiderio è intenso ma viene meno rapidamente»). Dante usa queste notazioni estraendole dal loro contesto socio-psicologico ed inserendole nel quadro più ampio già delineato dalle linee iniziali del Convivio: nonostante tutti gli uomini abbiano come loro fine e loro perfezione il conoscere, nei fatti la grande maggioranza non raggiunge nemmeno lo stadio dell’ uso di ragione, e rimane, come i bambini, al livello della sensibilità .Ora chi usa i sensi non coglie se non l'aspetto esteriore delle cose («semplicemente di fuori») ed il suo giudizio sarà per forza di cose affrettato e superficiale («onde tosto veggiono tutto ciò che ponno, e giudicano secondo la loro veduta»). Solo gli occhi della ragione colgono le cose nella loro realtà profonda, caratterizzata da una finalità che le rende buone, («la loro bontade la quale a debito fine è ordinata») andando oltre le apparenze («passano a veder quello», cioè il bene ed il fine che non sono percepibili dai sensi). Che la maggioranza degli uomini, seguendo i sensi, non viva da uomo è una affermazione comune agli intellettuali universitari, siano essi filosofi o teologi, accompagnata spesso non solo dalla deplorazione, ma anche dall'orgogliosa coscienza di essere l' eccezione. (cfr. il De summo bono di Boezio di Dacia, pp. 371-372 «Et ita omnes homines hodie impedit inordinata concupiscentia a suo summo bono exceptis paucissimis honorandis viris … et isti sunt philosophi qui ponunt vitam suam in studio sapientiae»). Il caso di Dante sembra però diverso. Per molti di coloro che mangiano il pan degli angeli gli altri uomini sono assimilabili a bestie, secondo un adagio attribuito indifferentemente ad Aristotele, Averroè e Seneca ed usatissimo dai ‘magistri in philosophia’ del XIII secolo «Vae vobis homines qui computati estis in numero bestiarum» (cfr. il De summo bono di Boezio di Dacia, p. 369, ll. 19-21). Nel Convivio il paragone è con i fanciulli: come i bambini, non ancora uomini, sono però in potenza a diventarlo, così chi vive secondo i sensi per natura rimane sempre in grado di esercitare pienamente la sua natura razionale (cfr. If XXVI 119-120 «fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza»). Il Convivio proprio a questo vuole contribuire.","II 12, 1389 a 5-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PARITADE NELLI VIZIOSI È CAGIONE DI INVIDIA,"che l’invidia sia una passione viziosa presente solo tra pari grado è dottrina peculiare della Retorica aristotelica (III 10, 1387 b 24).","III 10, 1387 b 24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +COME DICE AGUSTINO,"la citazione di Agostino non è letterale. Il concetto è comunque chiaramente presente nelle Confessioni: «Nemo mundus a peccato coram te, nec infans cuius est unius diei vita super terram» (I vii 11, p. 6)","I vii 11, p. 6 «Nemo mundus a peccato coram te, nec infans cuius est unius diei vita super terram»",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Confessions_(St._Augustine),Confessiones,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +PER VERTÙ,"il termine “virtù”, come dimostrano gli esempi del cavallo e della spada, ha per Dante qui come in seguito un significato più ampio di quello strettamente morale. Esso indica per ciascuna cosa e non solo per l’uomo la capacità di realizzare al livello massimo tutte le proprie potenzialità e raggiungere il fine cui è ordinata. L’esempio del cavallo “virtuoso” si ritrova sia nell’ Etica Nicomachea (II 6, 1106 a 19-21) sia nel Commento di Tommaso (I, lectio 10, n. 128 «sed hoc pertinet ad rationem virtutis quod unusquisque habens virtutem, secundum eam bene operetur, sicut virtus equi est secundum quam bene currit»; II, lectio 6, n. 307 «Similiter etiam virtus equi est quae facit equum bonum, et per quam equus bene operatur opus suum, quod est velociter currere»).","II 6, 1106 a 19-21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VERTÙ,"il termine “virtù”, come dimostrano gli esempi del cavallo e della spada, ha per Dante qui come in seguito un significato più ampio di quello strettamente morale. Esso indica per ciascuna cosa e non solo per l’uomo la capacità di realizzare al livello massimo tutte le proprie potenzialità e raggiungere il fine cui è ordinata. L’esempio del cavallo “virtuoso” si ritrova sia nell’ Etica Nicomachea (II 6, 1106 a 19-21) sia nel Commento di Tommaso (I, lectio 10, n. 128 «sed hoc pertinet ad rationem virtutis quod unusquisque habens virtutem, secundum eam bene operetur, sicut virtus equi est secundum quam bene currit»; II, lectio 6, n. 307 «Similiter etiam virtus equi est quae facit equum bonum, et per quam equus bene operatur opus suum, quod est velociter currere»).","I, lectio 10, n. 128 «sed hoc pertinet ad rationem virtutis quod unusquisque habens virtutem, secundum eam bene operetur, sicut virtus equi est secundum quam bene currit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER VERTÙ,"il termine “virtù”, come dimostrano gli esempi del cavallo e della spada, ha per Dante qui come in seguito un significato più ampio di quello strettamente morale. Esso indica per ciascuna cosa e non solo per l’uomo la capacità di realizzare al livello massimo tutte le proprie potenzialità e raggiungere il fine cui è ordinata. L’esempio del cavallo “virtuoso” si ritrova sia nell’ Etica Nicomachea (II 6, 1106 a 19-21) sia nel Commento di Tommaso (I, lectio 10, n. 128 «sed hoc pertinet ad rationem virtutis quod unusquisque habens virtutem, secundum eam bene operetur, sicut virtus equi est secundum quam bene currit»; II, lectio 6, n. 307 «Similiter etiam virtus equi est quae facit equum bonum, et per quam equus bene operatur opus suum, quod est velociter currere»).","II, lectio 6, n. 307 «Similiter etiam virtus equi est quae facit equum bonum, et per quam equus bene operatur opus suum, quod est velociter currere»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CIASCUNA COSA È VIRTUOSA ... TANTO È PIÙ,"è stato notato come questa frase richiami un’affermazione presente proprio in un testo di linguistica: le Quaestiones supra Prisciano Minori di Gentile da Cingoli, un maestro che ha insegnato a Bologna dal 1290 al 1318 circa: «in natura … dicitur esse perfectum quod attingit propriam operationem et finem, et quantum magis potest in propriam operationem et finem … tanto dicitur esse perfectius». (cfr. Longoni 1991, pp. 110-111).","«in natura … dicitur esse perfectum quod attingit propriam operationem et finem, et quantum magis potest in propriam operationem et finem … tanto dicitur esse perfectius». (cfr. Longoni 1991, pp. 110-111)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestiones_supra_Prisciano_Minori,Quaestiones supra Prisciano Minori,Gentile da Cingoli,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gentile_da_Cingoli,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN VITA CONTEMPLATIVA O ATTIVA,"compare qui per la prima volta e quasi per inciso un tema che avrà largo spazio nella trattazione seguente (cfr. per esempio Cv II iv 10). Nella trattazione patristica e monastica attiva è la vita dedicata al servizio dei fratelli, anche attraverso l’esercizio di responsabilità e di cariche che rendono necessario un certo tasso di immersione nel “mondo” (i buoni prelati ne sono l’incarnazione); contemplativa è invece quella totalmente spesa nella preghiera e nella meditazione della parola divina: la vita del monaco. La prima è raffigurata da Marta, la seconda da Maria. Nell’episodio della accoglienza di Gesù nella casa di Lazzaro, infatti, Marta si preoccupa dei doveri dell’ospitalità, mentre Maria siede ai piedi dell’ospite attenta alle sue parole (cfr. Lc. 10, 38-42. Dante si riferirà esplicitamente a questo episodio in Cv IV xvii 10 ). Alla radice di questa interpretazione e di questa dottrina (certamente non presente nel Vangelo) sta, anche se profondamente modificata, la teoria dei generi di vita elaborata dalla filosofia greca. Con la traduzione, a metà del XIII secolo, dell’ Etica Nicomachea, questa teoria torna ad essere conosciuta direttamente dai medievali e reagisce a sua volta sul modello teologico. Aristotele aveva distinto tre tipi di vita: una basata sulla ricerca del piacere, una sulla ricerca dell’onore che è dovuto alle virtù, una terza dedicata all’esercizio della conoscenza pura (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 17 sgg.). Ovviamente, come per lo Stagirita, anche per gli intellettuali delle Università la prima era da respingere in assoluto; la terza, quella contemplativa (così infatti era stato reso il termine greco theoretiké nella traduzione latina del testo aristotelico) era, come quella di cui avevano parlato Padri e monaci, la migliore. L’identità verbale nascondeva però una forte diversità di contenuti: alla meditazione delle “cose” divine rivelate nella Scrittura si sostituiva la contemplazione dell’ordine razionale del cosmo. Per parte sua la seconda vita era stata identificata con quella attiva. Anch’essa peraltro aveva assunto caratteri assai diversi da quelli tradizionali identificandosi, molto laicamente, con l’esercizio delle virtù politiche (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 29-31 e più ampiamente X 7, 1177 b 6 sgg.), soprattutto della giustizia. In questo senso il primo commentatore del testo aristotelico nella sua interezza, Alberto Magno, parlerà di due felicità collegate a due tipi di vita: quella contemplativa, appunto, e quella politica (cfr. Super Ethica commentum et quaestiones I, lectio 7, p. 33, ll. 1-15) e Dante in questo lo seguirà.","10, 38-42",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN VITA CONTEMPLATIVA O ATTIVA,"compare qui per la prima volta e quasi per inciso un tema che avrà largo spazio nella trattazione seguente (cfr. per esempio Cv II iv 10). Nella trattazione patristica e monastica attiva è la vita dedicata al servizio dei fratelli, anche attraverso l’esercizio di responsabilità e di cariche che rendono necessario un certo tasso di immersione nel “mondo” (i buoni prelati ne sono l’incarnazione); contemplativa è invece quella totalmente spesa nella preghiera e nella meditazione della parola divina: la vita del monaco. La prima è raffigurata da Marta, la seconda da Maria. Nell’episodio della accoglienza di Gesù nella casa di Lazzaro, infatti, Marta si preoccupa dei doveri dell’ospitalità, mentre Maria siede ai piedi dell’ospite attenta alle sue parole (cfr. Lc. 10, 38-42. Dante si riferirà esplicitamente a questo episodio in Cv IV xvii 10 ). Alla radice di questa interpretazione e di questa dottrina (certamente non presente nel Vangelo) sta, anche se profondamente modificata, la teoria dei generi di vita elaborata dalla filosofia greca. Con la traduzione, a metà del XIII secolo, dell’ Etica Nicomachea, questa teoria torna ad essere conosciuta direttamente dai medievali e reagisce a sua volta sul modello teologico. Aristotele aveva distinto tre tipi di vita: una basata sulla ricerca del piacere, una sulla ricerca dell’onore che è dovuto alle virtù, una terza dedicata all’esercizio della conoscenza pura (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 17 sgg.). Ovviamente, come per lo Stagirita, anche per gli intellettuali delle Università la prima era da respingere in assoluto; la terza, quella contemplativa (così infatti era stato reso il termine greco theoretiké nella traduzione latina del testo aristotelico) era, come quella di cui avevano parlato Padri e monaci, la migliore. L’identità verbale nascondeva però una forte diversità di contenuti: alla meditazione delle “cose” divine rivelate nella Scrittura si sostituiva la contemplazione dell’ordine razionale del cosmo. Per parte sua la seconda vita era stata identificata con quella attiva. Anch’essa peraltro aveva assunto caratteri assai diversi da quelli tradizionali identificandosi, molto laicamente, con l’esercizio delle virtù politiche (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 29-31 e più ampiamente X 7, 1177 b 6 sgg.), soprattutto della giustizia. In questo senso il primo commentatore del testo aristotelico nella sua interezza, Alberto Magno, parlerà di due felicità collegate a due tipi di vita: quella contemplativa, appunto, e quella politica (cfr. Super Ethica commentum et quaestiones I, lectio 7, p. 33, ll. 1-15) e Dante in questo lo seguirà.","I 5, 1095 b 17 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN VITA CONTEMPLATIVA O ATTIVA,"compare qui per la prima volta e quasi per inciso un tema che avrà largo spazio nella trattazione seguente (cfr. per esempio Cv II iv 10). Nella trattazione patristica e monastica attiva è la vita dedicata al servizio dei fratelli, anche attraverso l’esercizio di responsabilità e di cariche che rendono necessario un certo tasso di immersione nel “mondo” (i buoni prelati ne sono l’incarnazione); contemplativa è invece quella totalmente spesa nella preghiera e nella meditazione della parola divina: la vita del monaco. La prima è raffigurata da Marta, la seconda da Maria. Nell’episodio della accoglienza di Gesù nella casa di Lazzaro, infatti, Marta si preoccupa dei doveri dell’ospitalità, mentre Maria siede ai piedi dell’ospite attenta alle sue parole (cfr. Lc. 10, 38-42. Dante si riferirà esplicitamente a questo episodio in Cv IV xvii 10 ). Alla radice di questa interpretazione e di questa dottrina (certamente non presente nel Vangelo) sta, anche se profondamente modificata, la teoria dei generi di vita elaborata dalla filosofia greca. Con la traduzione, a metà del XIII secolo, dell’ Etica Nicomachea, questa teoria torna ad essere conosciuta direttamente dai medievali e reagisce a sua volta sul modello teologico. Aristotele aveva distinto tre tipi di vita: una basata sulla ricerca del piacere, una sulla ricerca dell’onore che è dovuto alle virtù, una terza dedicata all’esercizio della conoscenza pura (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 17 sgg.). Ovviamente, come per lo Stagirita, anche per gli intellettuali delle Università la prima era da respingere in assoluto; la terza, quella contemplativa (così infatti era stato reso il termine greco theoretiké nella traduzione latina del testo aristotelico) era, come quella di cui avevano parlato Padri e monaci, la migliore. L’identità verbale nascondeva però una forte diversità di contenuti: alla meditazione delle “cose” divine rivelate nella Scrittura si sostituiva la contemplazione dell’ordine razionale del cosmo. Per parte sua la seconda vita era stata identificata con quella attiva. Anch’essa peraltro aveva assunto caratteri assai diversi da quelli tradizionali identificandosi, molto laicamente, con l’esercizio delle virtù politiche (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 29-31 e più ampiamente X 7, 1177 b 6 sgg.), soprattutto della giustizia. In questo senso il primo commentatore del testo aristotelico nella sua interezza, Alberto Magno, parlerà di due felicità collegate a due tipi di vita: quella contemplativa, appunto, e quella politica (cfr. Super Ethica commentum et quaestiones I, lectio 7, p. 33, ll. 1-15) e Dante in questo lo seguirà.","I, lectio 7, p. 33, ll. 1-15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO SERMONE,"il principio generale enunciato al paragrafo precedente viene applicato specificamente al linguaggio. Esso per natura ha il compito di rendere palese («è ordinato a manifestare») agli altri ciò che la mente internamente concepisce («lo umano concetto» «cose concepute nella mente»), come dice esplicitamente il De vulgari eloquentia «Si ... perspicaciter consideramus quid cum loquimur intendamus, patet quod nichil aliud quam nostre mentis enucleare aliis conceptum» (I ii 3). Un testo di Tommaso, segnalato nel Commento di Cheneval (cfr. Summa Theologiae I, q. 107, a. 1, respondeo: «Nihil est … aliud loqui ad alterum quam conceptum mentis alteri manifestare») sembra poter essere la fonte specifica di Dante, sia per il Convivio che per il De vulgari eloquentia. Si tratta comunque di dottrina presente in molti trattati universitari di grammatica, di origine sia parigina che bolognese. Per Parigi cfr. il Tractatus de modis significandi di Boezio di Dacia («Est etiam grammatica necessaria ut per ipsam homo sciat exprimere conceptum intentum per sermonem congruum» ed. Pinborg, p. 22, ll. 46-47); per Bologna le già citate Quaestiones supra Prisciano Minori di Gentile da Cingoli composte probabilmente prima o al massimo negli anni stessi della stesura del Convivio (quaestio 4 «Nomina necessaria sunt ut exprimamus nostros conceptus alteri», ed. Martorelli, p. 21, ll. 67-68).","I, q. 107, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CON CIÒ SIA COSA CHE LO LATINO,"la maggior capacità del latino rispetto al volgare di esprimere concetti e dottrine viene sottolineata con queste parole dal De regimine principum di Egidio Romano, opera di un universitario diffusissima in ambienti non universitari, tradotta in volgare prima della composizione del Convivio, conosciuta sicuramente da Dante e da lui citata in Convivio IV xxiv 9 «Videntes philosophi nullum idioma vulgare esse completum et perfectum per quod perfecte exprimere possent naturas rerum et mores hominum et cursus astrorum ... invenerunt sibi quasi proprium idioma, quod dicitur latinum, vel idioma literale, quod constituerunt adeo latum et copiosum ut per ipsum possent omne suos conceptus sufficienter exprimere» (II ii 7, p. 304. Cfr. Alessio 1984)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RESULTA PIACIMENTO,"‘deriva piacere’. La definizione del bello come simmetria ed armonia delle parti ha sicuramente ascendenze agostiniane («congruentia partium» in Epistula III. 4, p. 8. Cfr. De civitate Dei XXII 19, p. 838) e nel caso specifico dell’uomo, ciceroniane (De officiis, I, 28, 98 «pulchritudo corporis apta compositione membrorum movet oculos»). Essa peraltro era condivisa dagli autori medievali cui Dante fa riferimento. Cfr. Alberto Magno, Physica VII tr. 1, cap. 7, p. 531, ll. 39-41 «Est pulcritudo in proportione commensurationis membrorum adinvicem»; Tommaso, In libros Ethicorum expositio, I, lectio 13, n. 159 «Nam in debita commensuratione partium pulchritudo consistit». Il termine «debitamente» sembra indicare un rapporto preferenziale con il testo di Tommaso come vedremo ben conosciuto e spesso utilizzato da Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 87-8). Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui per far bello un canto le voci devono essere tra loro in rapporti stabiliti dalla teoria musicale («intra sé rispondenti secondo debito dell’arte») bisogna ricordare che al tempo di Dante erano diffuse, almeno nella musica sacra, forme di polifonia come gli organa in cui una voce teneva un canto fermo mentre un’altra eseguiva variazioni melismatiche (cfr. Pd VIII 17-18 «… e come voce in voce si discerne / quand’una è ferma, e l’altra va e riede»).","I, 28, 98 «pulchritudo corporis apta compositione membrorum movet oculos»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +RESULTA PIACIMENTO,"‘deriva piacere’. La definizione del bello come simmetria ed armonia delle parti ha sicuramente ascendenze agostiniane («congruentia partium» in Epistula III. 4, p. 8. Cfr. De civitate Dei XXII 19, p. 838) e nel caso specifico dell’uomo, ciceroniane (De officiis, I, 28, 98 «pulchritudo corporis apta compositione membrorum movet oculos»). Essa peraltro era condivisa dagli autori medievali cui Dante fa riferimento. Cfr. Alberto Magno, Physica VII tr. 1, cap. 7, p. 531, ll. 39-41 «Est pulcritudo in proportione commensurationis membrorum adinvicem»; Tommaso, In libros Ethicorum expositio, I, lectio 13, n. 159 «Nam in debita commensuratione partium pulchritudo consistit». Il termine «debitamente» sembra indicare un rapporto preferenziale con il testo di Tommaso come vedremo ben conosciuto e spesso utilizzato da Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 87-8). Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui per far bello un canto le voci devono essere tra loro in rapporti stabiliti dalla teoria musicale («intra sé rispondenti secondo debito dell’arte») bisogna ricordare che al tempo di Dante erano diffuse, almeno nella musica sacra, forme di polifonia come gli organa in cui una voce teneva un canto fermo mentre un’altra eseguiva variazioni melismatiche (cfr. Pd VIII 17-18 «… e come voce in voce si discerne / quand’una è ferma, e l’altra va e riede»).","I, 28, 98 «pulchritudo corporis apta compositione membrorum movet oculos»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +RESULTA PIACIMENTO,"‘deriva piacere’. La definizione del bello come simmetria ed armonia delle parti ha sicuramente ascendenze agostiniane («congruentia partium» in Epistula III. 4, p. 8. Cfr. De civitate Dei XXII 19, p. 838) e nel caso specifico dell’uomo, ciceroniane (De officiis, I, 28, 98 «pulchritudo corporis apta compositione membrorum movet oculos»). Essa peraltro era condivisa dagli autori medievali cui Dante fa riferimento. Cfr. Alberto Magno, Physica VII tr. 1, cap. 7, p. 531, ll. 39-41 «Est pulcritudo in proportione commensurationis membrorum adinvicem»; Tommaso, In libros Ethicorum expositio, I, lectio 13, n. 159 «Nam in debita commensuratione partium pulchritudo consistit». Il termine «debitamente» sembra indicare un rapporto preferenziale con il testo di Tommaso come vedremo ben conosciuto e spesso utilizzato da Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 87-8). Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui per far bello un canto le voci devono essere tra loro in rapporti stabiliti dalla teoria musicale («intra sé rispondenti secondo debito dell’arte») bisogna ricordare che al tempo di Dante erano diffuse, almeno nella musica sacra, forme di polifonia come gli organa in cui una voce teneva un canto fermo mentre un’altra eseguiva variazioni melismatiche (cfr. Pd VIII 17-18 «… e come voce in voce si discerne / quand’una è ferma, e l’altra va e riede»).","VII tr. 1, cap. 7, p. 531, ll. 39-41 «Est pulcritudo in proportione commensurationis membrorum adinvicem»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Physicorum(Alberto_Magno),Physicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RESULTA PIACIMENTO,"‘deriva piacere’. La definizione del bello come simmetria ed armonia delle parti ha sicuramente ascendenze agostiniane («congruentia partium» in Epistula III. 4, p. 8. Cfr. De civitate Dei XXII 19, p. 838) e nel caso specifico dell’uomo, ciceroniane (De officiis, I, 28, 98 «pulchritudo corporis apta compositione membrorum movet oculos»). Essa peraltro era condivisa dagli autori medievali cui Dante fa riferimento. Cfr. Alberto Magno, Physica VII tr. 1, cap. 7, p. 531, ll. 39-41 «Est pulcritudo in proportione commensurationis membrorum adinvicem»; Tommaso, In libros Ethicorum expositio, I, lectio 13, n. 159 «Nam in debita commensuratione partium pulchritudo consistit». Il termine «debitamente» sembra indicare un rapporto preferenziale con il testo di Tommaso come vedremo ben conosciuto e spesso utilizzato da Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 87-8). Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui per far bello un canto le voci devono essere tra loro in rapporti stabiliti dalla teoria musicale («intra sé rispondenti secondo debito dell’arte») bisogna ricordare che al tempo di Dante erano diffuse, almeno nella musica sacra, forme di polifonia come gli organa in cui una voce teneva un canto fermo mentre un’altra eseguiva variazioni melismatiche (cfr. Pd VIII 17-18 «… e come voce in voce si discerne / quand’una è ferma, e l’altra va e riede»).","I, lectio 13, n. 159 «Nam in debita commensuratione partium pulchritudo consistit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"PIÙ BELLO, PIÙ VIRTUOSO E PIÙ NOBILE","tutti gli studiosi di Dante hanno sottolineato come il rapporto latino-volgare presente nel Convivio venga rovesciato nel De vulgari eloquentia dove è il volgare ad essere «nobilior» (I i 4-5). Nel De vulgari la priorità temporale, l’universalità e la naturalità del volgare, fanno aggio sulla immutabilità rivendicata al latino dal Convivio di cui, nello scritto linguistico, si sottolinea piuttosto l’artificialità (cfr. VE I ix 1). E’ probabile, ipotizzando una più che verosimile posteriorità del trattato linguistico, che la prospettiva di Dante sia cambiata e che egli «abbia scoperto, sotto lo svantaggio vistoso della instabilità, il pregio nascosto della naturalità.» (Tavoni). Bisogna peraltro sottolineare come nel Convivio la superiorità del latino non consiste esclusivamente nella sua presunta immutabilità. Esso è non solo più nobile, ma più «virtuoso» e più bello, e sotto questo aspetto, quello delle capacità espressive, non si tratta, come nel De vulgari, di un rapporto tra natura (volgare) e artificio (latino), ma tra semplice uso ed arte. E se è vero che, nella cultura di Dante, la natura è superiore all’arte è anche vero, aristotelicamente parlando, che l’ artifex è superiore al puro empirico (cfr. Metaph. I 1, 981 a 24 sgg.). Qui deve allora entrare in campo la diversità dei contesti: nel De vulgari il confronto è tra il volgare come genere, anteriore ad ogni sua specificazione storico geografica, e il concetto, pure generale, di lingua “regolata”. Nel Convivio si tratta invece da un lato di un volgare particolare, la lingua del sì, esso stesso specificazione di un particolare “ydioma”, e dall’altro di una particolare “grammatica”, il latino; il loro rapporto non è visto in un contesto di teoria linguistica, ma in funzione di uno specifico problema letterario, quello del Commento ad un testo, dove, paradossalmente, la superiorità del latino risulterebbe un ostacolo alla piena fruizione delle canzoni volgari (come dice acutamente Cecil Grayson: «Whatever Dante may say about the greater nobility of the natural vernacular… he leaves no doubt that he regarded the artistic achievement of Latin as superior and as a model of imitation» Grayson 1965, p. 63). Se volessimo risolvere il problema usando una distinzione tipica della cultura delle Scuole potremmo dire che il volgare è più nobile in assoluto (simpliciter) mentre la “gramatica” lo è sotto certe particolari condizioni (secundum quid). Come dunque giustamente afferma Irène Rosier-Catach, non c’è contraddizione tra le affermazioni del Convivio e quelle del De vulgari eloquentia; nei due testi il termine ‘nobile’ non ha il medesimo referente (cfr. Rosier-Catach 2011b). Infine, il confronto tra i due mezzi espressivi non rimane qualcosa di astrattamente dato: il compito che Dante si assegna è infatti quello di attuare le possibilità espressive del volgare ancora non attuate, facendolo uscire dal semplice uso, portandolo allo stesso livello della “gramatica” (cfr. Cv I x 13) e trasformandolo nel «sole nuovo che darà luce a coloro che sono in tenebre ed oscuritade» (cfr. Cv I xiii 12). E sarà qui da notare che anche nel De vulgari, dopo le affermazioni di principio sulla superiorità del volgare come genere, la trattazione è tutta volta alla caccia di un volgare illustre, di un volgare normativo per tutte le varie ‘loquele’ italiche, che non risulterà dunque così immediatamente naturale (sul tipo di artificialità del volgare illustre vedi Alessio 1995).","I 1, 981 a 24 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERÒ CHE 'L TUTTO LORO,"il tutto di cui gli amici sono parte è un volere e un non volere comune («uno»). Che gli amici siano un’ anima sola e che essi abbiano un unico volere era stato detto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX 8, 1168 b 7-8; Rhet. II 4, 1381 a 8-9) e da Cicerone (cfr. De amicitia XVII.61, un testo che Dante, in Cv II.xii.3 dice esplicitamente di aver letto), ma anche dal Trésor di Brunetto Latini, che però attribuisce il detto a Sallustio («Salustet dit: l’office de ceste vertu est voloir et desvoloir une meisme chose» II CIV 1, p. 578).","IX 8, 1168 b 7-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERÒ CHE 'L TUTTO LORO,"il tutto di cui gli amici sono parte è un volere e un non volere comune («uno»). Che gli amici siano un’ anima sola e che essi abbiano un unico volere era stato detto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX 8, 1168 b 7-8; Rhet. II 4, 1381 a 8-9) e da Cicerone (cfr. De amicitia XVII.61, un testo che Dante, in Cv II.xii.3 dice esplicitamente di aver letto), ma anche dal Trésor di Brunetto Latini, che però attribuisce il detto a Sallustio («Salustet dit: l’office de ceste vertu est voloir et desvoloir une meisme chose» II CIV 1, p. 578).","II 4, 1381 a 8-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERÒ CHE 'L TUTTO LORO,"il tutto di cui gli amici sono parte è un volere e un non volere comune («uno»). Che gli amici siano un’ anima sola e che essi abbiano un unico volere era stato detto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX 8, 1168 b 7-8; Rhet. II 4, 1381 a 8-9) e da Cicerone (cfr. De amicitia XVII.61, un testo che Dante, in Cv II.xii.3 dice esplicitamente di aver letto), ma anche dal Trésor di Brunetto Latini, che però attribuisce il detto a Sallustio («Salustet dit: l’office de ceste vertu est voloir et desvoloir une meisme chose» II CIV 1, p. 578).",XVII.61,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Laelius_de_Amicitia,De amicitia,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PERÒ CHE 'L TUTTO LORO,"il tutto di cui gli amici sono parte è un volere e un non volere comune («uno»). Che gli amici siano un’ anima sola e che essi abbiano un unico volere era stato detto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX 8, 1168 b 7-8; Rhet. II 4, 1381 a 8-9) e da Cicerone (cfr. De amicitia XVII.61, un testo che Dante, in Cv II.xii.3 dice esplicitamente di aver letto), ma anche dal Trésor di Brunetto Latini, che però attribuisce il detto a Sallustio («Salustet dit: l’office de ceste vertu est voloir et desvoloir une meisme chose» II CIV 1, p. 578).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +IN GENERE,"‘in generale, non nella sua specificità’. Che la conoscenza umana inizi, imperfettamente, come percezione non articolata di un tutto ancora confuso (universale, genere) è dottrina presente nella Fisica di Aristotele (I, 1, 184 a 23 sgg.) e nei suoi commentatori medievali. Le parole di Dante sono molto simili a quelle usate da Tommaso nella Summa contra Gentiles « Per similitudinem animalis, per quam cognoscimus aliquid in genere tantum, imperfectiorem cognitionem habemus quam per similitudinem hominis per quam cognoscimus speciem completam: cognosceree enim aliquid secundum genus tantum est cognoscere imperfecte» (II, cap. 98, n. 1837).","I, 1, 184 a 23 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN GENERE,"‘in generale, non nella sua specificità’. Che la conoscenza umana inizi, imperfettamente, come percezione non articolata di un tutto ancora confuso (universale, genere) è dottrina presente nella Fisica di Aristotele (I, 1, 184 a 23 sgg.) e nei suoi commentatori medievali. Le parole di Dante sono molto simili a quelle usate da Tommaso nella Summa contra Gentiles « Per similitudinem animalis, per quam cognoscimus aliquid in genere tantum, imperfectiorem cognitionem habemus quam per similitudinem hominis per quam cognoscimus speciem completam: cognosceree enim aliquid secundum genus tantum est cognoscere imperfecte» (II, cap. 98, n. 1837).","« Per similitudinem animalis, per quam cognoscimus aliquid in genere tantum, imperfectiorem cognitionem habemus quam per similitudinem hominis per quam cognoscimus speciem completam: cognosceree enim aliquid secundum genus tantum est cognoscere imperfecte» (II, cap. 98, n. 1837)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DA LUNGI,"‘da lontano’. Cfr. il Commento alla Fisica di Tommaso: «cum aliquis a remotis (da lungi) videtur, prius percipimus ipsum esse corpus quam esse animal, et hoc prius quam quod sit homo, et ultimo quod sit Socrates» (I, lectio 1, n. 11).","I, lectio 1, n. 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_octo_libros_Physicorum(Tommaso),Commentaria in octo libros Physicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SANZA COMANDAMENTO,"senza averne ricevuto l’ordine. Che l’atto di obbedienza non debba dipendere dalla volontà di chi obbedisce, ma da quella di chi comanda era stato affermato da Tommaso nella Summa Theologiae (IIa-IIae, q. 104, a. 2, ad 3m).","IIa-IIae, q. 104, a. 2, ad 3m",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME LA NATURA PARTICULARE ... ALLA UNIVERSALE,"non è del tutto chiaro, rimanendo all’interno di questo paragrafo, quale realtà Dante indichi con l’espressione «natura universale» qui usata per la prima volta (ma cfr. la nota a Cv I i 1). In Cv III.iv.10 la natura universale è identificata con Dio («anzi fece ciò la natura universale, cioè Dio»), ma in Cv IV.ix.2 il rapporto tra natura universale e Dio non è quello di identità, bensì quello di limitato a limitante: Dio, l'unica realtà infinita, costituisce appunto il suo limite. Nella tradizione filosofica peripatetica il concetto di ‘natura universalis’ e la sua distinzione da/ relazione con la ‘natura particularis’ (concetti e distinzione non presenti in Aristotele) risalgono ad Avicenna (Liber de philosophia prima sive de scientia divina, VI. 5, vol. II, p. 335): da qui passano sia in Alberto Magno (cfr. Physica II, tr. 1, cap. 5, vol. I, pp. 83-84) che in Tommaso d'Aquino (cfr. Summa Theologiae, Ia-IIae, q.85, a. 6, respondeo). Per tutti questi autori la natura universale è un principio che regola in vista di un fine (quindi di un bene) la totalità delle trasformazioni che producono, alterano e distruggono le singole sostanze (le nature particolari); essa dunque, in qualche modo comanda («gubernat», dice Avicenna; «regit», dice Alberto) le nature particolari. Questo principio si identifica sia per Avicenna, che per Alberto e per Tommaso, con l' azione delle intelligenze celesti che si servono come di strumenti dei cieli e degli astri e sta a fondamento dell' ordinato svolgersi dei mutamenti terrestri. Concetti analoghi vengono espressi da Dante nel primo canto del Paradiso, dove l’ordine «cui sono accline /tutte nature per diverse sorte» è forma generale dell’universo, segno visibile di Dio e del suo essere Provvidenza (cfr. Pd I 103-120). Mentre l'esempio dei denti sembra essere originale, quello delle cinque dita delle mani è diffusissimo nei testi coevi di filosofia (cfr. Alberto Magno, Physica II, tr. 2, cap. 17, vol. I, p. 125, ll. 26-30); la presenza sporadica di un ‘sextus digitus’ fa vedere come non sempre la natura particolare sia capace di raggiungere il fine che le è comandato.","VI. 5, vol. II, p. 335",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_philosophia_prima_sive_de_scientia_divina,Liber de philosophia prima sive de scientia divina,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME LA NATURA PARTICULARE ... ALLA UNIVERSALE,"non è del tutto chiaro, rimanendo all’interno di questo paragrafo, quale realtà Dante indichi con l’espressione «natura universale» qui usata per la prima volta (ma cfr. la nota a Cv I i 1). In Cv III.iv.10 la natura universale è identificata con Dio («anzi fece ciò la natura universale, cioè Dio»), ma in Cv IV.ix.2 il rapporto tra natura universale e Dio non è quello di identità, bensì quello di limitato a limitante: Dio, l'unica realtà infinita, costituisce appunto il suo limite. Nella tradizione filosofica peripatetica il concetto di ‘natura universalis’ e la sua distinzione da/ relazione con la ‘natura particularis’ (concetti e distinzione non presenti in Aristotele) risalgono ad Avicenna (Liber de philosophia prima sive de scientia divina, VI. 5, vol. II, p. 335): da qui passano sia in Alberto Magno (cfr. Physica II, tr. 1, cap. 5, vol. I, pp. 83-84) che in Tommaso d'Aquino (cfr. Summa Theologiae, Ia-IIae, q.85, a. 6, respondeo). Per tutti questi autori la natura universale è un principio che regola in vista di un fine (quindi di un bene) la totalità delle trasformazioni che producono, alterano e distruggono le singole sostanze (le nature particolari); essa dunque, in qualche modo comanda («gubernat», dice Avicenna; «regit», dice Alberto) le nature particolari. Questo principio si identifica sia per Avicenna, che per Alberto e per Tommaso, con l' azione delle intelligenze celesti che si servono come di strumenti dei cieli e degli astri e sta a fondamento dell' ordinato svolgersi dei mutamenti terrestri. Concetti analoghi vengono espressi da Dante nel primo canto del Paradiso, dove l’ordine «cui sono accline /tutte nature per diverse sorte» è forma generale dell’universo, segno visibile di Dio e del suo essere Provvidenza (cfr. Pd I 103-120). Mentre l'esempio dei denti sembra essere originale, quello delle cinque dita delle mani è diffusissimo nei testi coevi di filosofia (cfr. Alberto Magno, Physica II, tr. 2, cap. 17, vol. I, p. 125, ll. 26-30); la presenza sporadica di un ‘sextus digitus’ fa vedere come non sempre la natura particolare sia capace di raggiungere il fine che le è comandato.","Ia-IIae, q.85, a. 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME LA NATURA PARTICULARE ... ALLA UNIVERSALE,"non è del tutto chiaro, rimanendo all’interno di questo paragrafo, quale realtà Dante indichi con l’espressione «natura universale» qui usata per la prima volta (ma cfr. la nota a Cv I i 1). In Cv III.iv.10 la natura universale è identificata con Dio («anzi fece ciò la natura universale, cioè Dio»), ma in Cv IV.ix.2 il rapporto tra natura universale e Dio non è quello di identità, bensì quello di limitato a limitante: Dio, l'unica realtà infinita, costituisce appunto il suo limite. Nella tradizione filosofica peripatetica il concetto di ‘natura universalis’ e la sua distinzione da/ relazione con la ‘natura particularis’ (concetti e distinzione non presenti in Aristotele) risalgono ad Avicenna (Liber de philosophia prima sive de scientia divina, VI. 5, vol. II, p. 335): da qui passano sia in Alberto Magno (cfr. Physica II, tr. 1, cap. 5, vol. I, pp. 83-84) che in Tommaso d'Aquino (cfr. Summa Theologiae, Ia-IIae, q.85, a. 6, respondeo). Per tutti questi autori la natura universale è un principio che regola in vista di un fine (quindi di un bene) la totalità delle trasformazioni che producono, alterano e distruggono le singole sostanze (le nature particolari); essa dunque, in qualche modo comanda («gubernat», dice Avicenna; «regit», dice Alberto) le nature particolari. Questo principio si identifica sia per Avicenna, che per Alberto e per Tommaso, con l' azione delle intelligenze celesti che si servono come di strumenti dei cieli e degli astri e sta a fondamento dell' ordinato svolgersi dei mutamenti terrestri. Concetti analoghi vengono espressi da Dante nel primo canto del Paradiso, dove l’ordine «cui sono accline /tutte nature per diverse sorte» è forma generale dell’universo, segno visibile di Dio e del suo essere Provvidenza (cfr. Pd I 103-120). Mentre l'esempio dei denti sembra essere originale, quello delle cinque dita delle mani è diffusissimo nei testi coevi di filosofia (cfr. Alberto Magno, Physica II, tr. 2, cap. 17, vol. I, p. 125, ll. 26-30); la presenza sporadica di un ‘sextus digitus’ fa vedere come non sempre la natura particolare sia capace di raggiungere il fine che le è comandato.","II, tr. 2, cap. 17, vol. I, p. 125, ll. 26-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Physicorum(Alberto_Magno),Physicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME LA NATURA PARTICULARE ... ALLA UNIVERSALE,"non è del tutto chiaro, rimanendo all’interno di questo paragrafo, quale realtà Dante indichi con l’espressione «natura universale» qui usata per la prima volta (ma cfr. la nota a Cv I i 1). In Cv III.iv.10 la natura universale è identificata con Dio («anzi fece ciò la natura universale, cioè Dio»), ma in Cv IV.ix.2 il rapporto tra natura universale e Dio non è quello di identità, bensì quello di limitato a limitante: Dio, l'unica realtà infinita, costituisce appunto il suo limite. Nella tradizione filosofica peripatetica il concetto di ‘natura universalis’ e la sua distinzione da/ relazione con la ‘natura particularis’ (concetti e distinzione non presenti in Aristotele) risalgono ad Avicenna (Liber de philosophia prima sive de scientia divina, VI. 5, vol. II, p. 335): da qui passano sia in Alberto Magno (cfr. Physica II, tr. 1, cap. 5, vol. I, pp. 83-84) che in Tommaso d'Aquino (cfr. Summa Theologiae, Ia-IIae, q.85, a. 6, respondeo). Per tutti questi autori la natura universale è un principio che regola in vista di un fine (quindi di un bene) la totalità delle trasformazioni che producono, alterano e distruggono le singole sostanze (le nature particolari); essa dunque, in qualche modo comanda («gubernat», dice Avicenna; «regit», dice Alberto) le nature particolari. Questo principio si identifica sia per Avicenna, che per Alberto e per Tommaso, con l' azione delle intelligenze celesti che si servono come di strumenti dei cieli e degli astri e sta a fondamento dell' ordinato svolgersi dei mutamenti terrestri. Concetti analoghi vengono espressi da Dante nel primo canto del Paradiso, dove l’ordine «cui sono accline /tutte nature per diverse sorte» è forma generale dell’universo, segno visibile di Dio e del suo essere Provvidenza (cfr. Pd I 103-120). Mentre l'esempio dei denti sembra essere originale, quello delle cinque dita delle mani è diffusissimo nei testi coevi di filosofia (cfr. Alberto Magno, Physica II, tr. 2, cap. 17, vol. I, p. 125, ll. 26-30); la presenza sporadica di un ‘sextus digitus’ fa vedere come non sempre la natura particolare sia capace di raggiungere il fine che le è comandato.","II, tr. 1, cap. 5, vol. I, pp. 83-84",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Physicorum(Alberto_Magno),Physicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TRANSMUTAZIONE,"‘traduzione’. Piuttosto sorprendente è il giudizio sulla mancanza di musica e di armonia dei Salmi tradotti in latino, un testo centrale per la teologia e la spiritualità medievali, e soprattutto un testo poetico e musicale quotidianamente salmodiato nei monasteri, ampiamente usato nella liturgia e sicuramente ascoltato da Dante: le anime che approdano al lido del Purgatorio cantano appunto il salmo 113, «In exitu Israel de Aegypto» (cfr. Pg II 46-48) che fa parte della liturgia dei vespri della domenica; gli angeli stessi nel Paradiso terrestre intonano alcuni versetti del salmo 30, «In te Domine speravi». (cfr. Pg XXX 82-84). Il tutto, ovviamente, nella traduzione latina. Con tutta probabilità gioca qui l'autorità del traduttore per eccellenza, San Girolamo, che, nella prefazione alla versione latina del Chronicon Eusebii (PL XXVII, pp. 36-37) aveva già sottolineato la difficoltà di rendere in un'altra lingua tutto il “decoro” del testo originale, dando come esempio proprio quello di Omero («Quod si cui non videtur linguae gratiam interpretatione mutari, Homerum ad verbum exprimat in latinum») Riguardo ai Salmi, testo poetico e musicale per eccellenza, degno di stare accanto a Orazio e a Pindaro («Quid Psalterio canorius quod in morem nostri Flacci et graeci Pindari, nunc iambo currit, nun alcaico personat, nunc sapphico tumet, nunc semipede ingreditur») egli notava come, letti nella traduzione greca dei Settanta, dessero tutt'altro suono («aliud quiddem sonant»).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +TRANSMUTAZIONE,"‘traduzione’. Piuttosto sorprendente è il giudizio sulla mancanza di musica e di armonia dei Salmi tradotti in latino, un testo centrale per la teologia e la spiritualità medievali, e soprattutto un testo poetico e musicale quotidianamente salmodiato nei monasteri, ampiamente usato nella liturgia e sicuramente ascoltato da Dante: le anime che approdano al lido del Purgatorio cantano appunto il salmo 113, «In exitu Israel de Aegypto» (cfr. Pg II 46-48) che fa parte della liturgia dei vespri della domenica; gli angeli stessi nel Paradiso terrestre intonano alcuni versetti del salmo 30, «In te Domine speravi». (cfr. Pg XXX 82-84). Il tutto, ovviamente, nella traduzione latina. Con tutta probabilità gioca qui l'autorità del traduttore per eccellenza, San Girolamo, che, nella prefazione alla versione latina del Chronicon Eusebii (PL XXVII, pp. 36-37) aveva già sottolineato la difficoltà di rendere in un'altra lingua tutto il “decoro” del testo originale, dando come esempio proprio quello di Omero («Quod si cui non videtur linguae gratiam interpretatione mutari, Homerum ad verbum exprimat in latinum») Riguardo ai Salmi, testo poetico e musicale per eccellenza, degno di stare accanto a Orazio e a Pindaro («Quid Psalterio canorius quod in morem nostri Flacci et graeci Pindari, nunc iambo currit, nun alcaico personat, nunc sapphico tumet, nunc semipede ingreditur») egli notava come, letti nella traduzione greca dei Settanta, dessero tutt'altro suono («aliud quiddem sonant»).","PL XXVII, pp. 36-37",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Chronicon_(Jerome),Chronicon,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +PRONTA LIBERALITATE,"‘liberalità che dona subito, senza riluttanza’ (commentando appunto il testo dell’Etica Nicomachea relativo alla liberalitas, Tommaso aveva scritto che chi la esercita «est promptus ad benefaciendum donando» IV, lectio 2, n. 670 ).","IV, lectio 2, n. 670",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME QUANDO,"‘come nel caso in cui’. Esempi di doni non convenienti alla condizione di chi li riceve sono offerti da Seneca nel De beneficiis: donare a donne o vecchi armi da caccia, libri a contadini, reti da pesca a chi è dedito agli studi (I i 11). Dante ne trova altri, più aderenti alle professioni e alle condizioni sociali del mondo dei suoi lettori (e suo). Gli Aforismi attribuiti ad Ippocrate (tradotti in latino già dal VI secolo d. C.) e l’ Ars medica o Ars parva di Galeno (129-201 d. c.), tradotta in latino a partire da una traduzione araba prima da Costantino Africano nell’ XI secolo e poi da Gerardo da Cremona, nella seconda metà del XII (Tegni è la translitterazione, corrotta, del termine greco Techne, arte, sottinteso medica. Dante tratta il titolo Tegni, che nei testi medici latini è indeclinabile, come un maschile plurale. Cfr. Nardi 1944 , pp. 53-55) erano i testi su cui nell’ Università di Bologna si insegnava medicina al tempo di Dante (si correva dietro ad Aforismi, come vien detto in Pd XI 4-5). Dopo la laurea, rimanevano strumenti indispensabili della pratica medica e facevano parte della biblioteca di ogni professionista affermato (cfr. Ottosson 1984).",I i 11,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Beneficiis,De beneficiis,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +COME QUANDO,"‘come nel caso in cui’. Esempi di doni non convenienti alla condizione di chi li riceve sono offerti da Seneca nel De beneficiis: donare a donne o vecchi armi da caccia, libri a contadini, reti da pesca a chi è dedito agli studi (I i 11). Dante ne trova altri, più aderenti alle professioni e alle condizioni sociali del mondo dei suoi lettori (e suo). Gli Aforismi attribuiti ad Ippocrate (tradotti in latino già dal VI secolo d. C.) e l’ Ars medica o Ars parva di Galeno (129-201 d. c.), tradotta in latino a partire da una traduzione araba prima da Costantino Africano nell’ XI secolo e poi da Gerardo da Cremona, nella seconda metà del XII (Tegni è la translitterazione, corrotta, del termine greco Techne, arte, sottinteso medica. Dante tratta il titolo Tegni, che nei testi medici latini è indeclinabile, come un maschile plurale. Cfr. Nardi 1944 , pp. 53-55) erano i testi su cui nell’ Università di Bologna si insegnava medicina al tempo di Dante (si correva dietro ad Aforismi, come vien detto in Pd XI 4-5). Dopo la laurea, rimanevano strumenti indispensabili della pratica medica e facevano parte della biblioteca di ogni professionista affermato (cfr. Ottosson 1984).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aforismi,Aforismi,Ippocrate,http://dbpedia.org/resource/Hippocrates,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +COME QUANDO,"‘come nel caso in cui’. Esempi di doni non convenienti alla condizione di chi li riceve sono offerti da Seneca nel De beneficiis: donare a donne o vecchi armi da caccia, libri a contadini, reti da pesca a chi è dedito agli studi (I i 11). Dante ne trova altri, più aderenti alle professioni e alle condizioni sociali del mondo dei suoi lettori (e suo). Gli Aforismi attribuiti ad Ippocrate (tradotti in latino già dal VI secolo d. C.) e l’ Ars medica o Ars parva di Galeno (129-201 d. c.), tradotta in latino a partire da una traduzione araba prima da Costantino Africano nell’ XI secolo e poi da Gerardo da Cremona, nella seconda metà del XII (Tegni è la translitterazione, corrotta, del termine greco Techne, arte, sottinteso medica. Dante tratta il titolo Tegni, che nei testi medici latini è indeclinabile, come un maschile plurale. Cfr. Nardi 1944 , pp. 53-55) erano i testi su cui nell’ Università di Bologna si insegnava medicina al tempo di Dante (si correva dietro ad Aforismi, come vien detto in Pd XI 4-5). Dopo la laurea, rimanevano strumenti indispensabili della pratica medica e facevano parte della biblioteca di ogni professionista affermato (cfr. Ottosson 1984).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ars_Medica,Ars medica,Galeno,http://dbpedia.org/resource/Galen,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +NON TRISTA,"‘senza tristezza’. Che il piacere sia connaturato all’ azione virtuosa è dottrina fondamentale dell’etica aristotelica, non sempre facilmente conciliabile con la tradizione cristiana. La virtù infatti, per Aristotele, si possiede e si esercita solo dopo che è diventata una seconda natura, quando non si deve più contrastare la passione contraria con una violenza verso se stessi che produce dolore e fatica («tristezza»). Come dice con perfetta chiarezza il Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea «ante virtutem facit homo sibi quandam violentiam ad operandum …, et ideo tales operationes habent quandam tristitiam admixtam. Sed post habitum virtutis generatum huiusmodi operationes fiunt delectabiliter» (II, lectio 3, n.265). Questo principio generale viene affermato anche nella trattazione aristotelica della liberalità (cfr. Eth. Nic. IV, 2, 1120 a 26-31 «Quod enim secundum virtutem, delectabile vel non triste» Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 103, l. 20) e ribadito dal Commento di Tommaso con parole che trovano un’eco in quelle di Dante («in omni virtute … actus virtuosus vel est delectabilis, vel saltem est sine tristitia» IV, lectio 2, n. 667). Causa del piacere («letizia») è l’utilità che il dono procura sia a chi dona, per il fatto che dona («per lo donare») sia a chi riceve per il fatto di riceverlo («per lo ricevere»). Si tratta della medesima utilità vista da due differenti angolature; esattamente come nella fisica aristotelica unico è il movimento di ciò che muove e di ciò che è mosso, ma esso rimane nel movente e passa nel mosso, così l’utilità rimane nel donatore nel dare e passa in chi riceve nel ricevere.","II, lectio 3, n.265",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL DATORE,"chi dona, secondo Dante, deve aver l’accortezza («providenza») di donare in modo da mantenere per sé («dalla sua parte») l’utilità che consiste nell’onestà («onestade»). Nella dottrina tradizionale, che risale al De officiis di Cicerone, la virtù è un ‘bonum honestum’; cfr. ad esempio De officiis III, 3, 11 sgg ) e di dare all’altro un bene dal cui uso possa derivare utilità («l’utilitade dell’uso della cosa donata»). I commentatori hanno giustamente richiamato l’attenzione su testi in cui Tommaso distingue l’atto di chi fa del bene da quello di chi lo riceve. Nel primo caso abbiamo un “actus virtutis” e quindi un “bonum honestum”, nel secondo esclusivamente un “bonum utile”. Rimane il problema dell’ identificazione piuttosto ardita di honestas e utilitas operata dall’espressione «utilitade dell’onestade». Nella tradizione cui abbiamo accennato, infatti, honestum ed utile sono distinti, anche se non opposti. La precisazione successiva («ch’è sopra ogni utilitade») sembrerebbe dire che l’ utilitade può riferirsi all’ onestade in senso solo metaforico. Ma allora tutta l’argomentazione ne risulta viziata.","III, 3, 11 sgg",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +E PERÒ CHE ... UTILE,"il senso è che se un qualcosa è utile in una posizione data, trasportarla in un’altra in cui sarebbe pure egualmente utile è altrettanto da condannare (è «biasimevole») quanto trasportarla in una in cui sarebbe meno utile; facendo così, infatti, avremmo agito senza produrre quel miglioramento che è appunto il fine della virtù, avremmo agito («adoperato»») invano; e questo è un male (per Aristotele l’ “invano” si ha quando una azione non raggiunge lo scopo per cui è stata intrapresa. Cfr. Phys. II 6, 197 b 22-27).","II 6, 197 b 22-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ABBISOGNI,"‘abbia bisogno’. Che la nostra vita abbia bisogno degli amici è affermato all'inizio dell’ottavo libro dell’ Etica Nicomachea (1155 a 3-6), un testo cui Dante rimanderà esplicitamente in Cv IV xxv 1.",1155 a 3-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERÒ CHE L'UTILITADE ... DONO,"quando il dono sarà materialmente venuto meno, la sua immagine rimarrà nella memoria come l’ impronta di un sigillo rimane nella cera anche in assenza del sigillo e sarà la sua utilità che ve la avrà impressa. La metafora del sigillo e della cera era stata usata da Alberto Magno proprio per spiegare il permanere di una sensazione nella memoria anche in assenza della cosa che l’aveva prodotta. Cfr. De memoria et reminiscentia, tr. 1, cap. 4, pp. 103-104).","tr. 1, cap. 4, pp. 103-104",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_memoria_et_reminiscentia(Alberto_Magno),De memoria et reminiscentia (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER CHE DICE SENECA,"si tratta di una frase del De beneficiis di Seneca («nulla res carius constat quam quae praecibus empta est» II i 4) che però, con tutta probabilità, Dante traduce di seconda mano da una citazione presente nella Summa Theologiae di Tommaso («sicut Seneca dicit, nulla res carius emitur quam quae praecibus empta est» IIa-IIae, q. 83, a.2 Utrum si conveniens orare, terzo argomento in contrario)",«nulla res carius constat quam quae praecibus empta est» II i 4,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Beneficiis,De beneficiis,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PER CHE DICE SENECA,"si tratta di una frase del De beneficiis di Seneca («nulla res carius constat quam quae praecibus empta est» II i 4) che però, con tutta probabilità, Dante traduce di seconda mano da una citazione presente nella Summa Theologiae di Tommaso («sicut Seneca dicit, nulla res carius emitur quam quae praecibus empta est» IIa-IIae, q. 83, a.2 Utrum si conveniens orare, terzo argomento in contrario)","«sicut Seneca dicit, nulla res carius emitur quam quae praecibus empta est» IIa-IIae, q. 83, a.2 Utrum si conveniens orare, terzo argomento in contrario",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRESTARLA PER PREZZO,"‘affittarla’. L’esempio del suonatore di cetra richiama un passo dell’ Etica Nicomachea (I 6, 1098 a 7-12 ) dove Aristotele, ancora una volta reso più chiaro dal Commento di Tommaso, afferma che l’attività propria del suonatore di cetra (cytharista) è suonare la cetra, quella del buon suonatore, suonarla bene. Dietro l’apparente tautologia è presente la dottrina per cui, per ogni attività o abilità che perfeziona un ente, il fine consiste semplicemente nel suo pieno esercizio. Basandosi su questo Dante si scaglia contro la trasformazione del valore d’uso in valore di scambio e di ciò che è perfezione interna in merce esterna. Nella sua rapida invettiva sono presenti echi del dibattito, particolarmente vivace tra la fine del XII e per tutto il XIII secolo, se la scienza, che è “donum Dei”, possa essere venduta e comprata (ovvero il problema del salario ai professori; cfr. Post – Giocarinis - Kay 1955) e della polemica dei teologi e dei professori di filosofia contro le discipline che danno guadagno, le “scientiae lucrativae” come medicina e giurisprudenza (cfr. ancora Pd XII 83 «chi dietro a iura, chi dietro ad aforismi sen giva»). Ma il quadro è più vasto ed originale e non si ferma ai luoghi comuni di una polemica interna a gruppi di intellettuali più o meno professionisti. Qui è già presente la consapevolezza della grande trasformazione economica e sociale cominciata con il conio del fiorino d’oro, e con la consapevolezza, il rifiuto del «maladetto fiore» che Firenze spande per il mondo trasformando ogni cosa in merce (Pd IX, 126 sgg.). Cfr. Cv III x 11.","I 6, 1098 a 7-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PRESTARLA PER PREZZO,"‘affittarla’. L’esempio del suonatore di cetra richiama un passo dell’ Etica Nicomachea (I 6, 1098 a 7-12 ) dove Aristotele, ancora una volta reso più chiaro dal Commento di Tommaso, afferma che l’attività propria del suonatore di cetra (cytharista) è suonare la cetra, quella del buon suonatore, suonarla bene. Dietro l’apparente tautologia è presente la dottrina per cui, per ogni attività o abilità che perfeziona un ente, il fine consiste semplicemente nel suo pieno esercizio. Basandosi su questo Dante si scaglia contro la trasformazione del valore d’uso in valore di scambio e di ciò che è perfezione interna in merce esterna. Nella sua rapida invettiva sono presenti echi del dibattito, particolarmente vivace tra la fine del XII e per tutto il XIII secolo, se la scienza, che è “donum Dei”, possa essere venduta e comprata (ovvero il problema del salario ai professori; cfr. Post – Giocarinis - Kay 1955) e della polemica dei teologi e dei professori di filosofia contro le discipline che danno guadagno, le “scientiae lucrativae” come medicina e giurisprudenza (cfr. ancora Pd XII 83 «chi dietro a iura, chi dietro ad aforismi sen giva»). Ma il quadro è più vasto ed originale e non si ferma ai luoghi comuni di una polemica interna a gruppi di intellettuali più o meno professionisti. Qui è già presente la consapevolezza della grande trasformazione economica e sociale cominciata con il conio del fiorino d’oro, e con la consapevolezza, il rifiuto del «maladetto fiore» che Firenze spande per il mondo trasformando ogni cosa in merce (Pd IX, 126 sgg.). Cfr. Cv III x 11.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MALVAGIA DISUSANZA DEL MONDO,"‘perversa abitudine universalmente diffusa’. “Mondo” non è un termine neutro, ma ha qui una valenza negativa risalente alla contrapposizione del Vangelo di Giovanni (ma anche di alcune lettere di Paolo) tra il regno divino di verità e di giustizia, accolto da pochi, e questo mondo, la maggioranza, che appunto ha rifiutato e rifiuta verità e giustizia.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +MALVAGIA DISUSANZA DEL MONDO,"‘perversa abitudine universalmente diffusa’. “Mondo” non è un termine neutro, ma ha qui una valenza negativa risalente alla contrapposizione del Vangelo di Giovanni (ma anche di alcune lettere di Paolo) tra il regno divino di verità e di giustizia, accolto da pochi, e questo mondo, la maggioranza, che appunto ha rifiutato e rifiuta verità e giustizia.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pauline_epistles,Lettere di Paolo,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UNA RONDINE,"Aristotele (cfr. Eth Nic. I 7, 1098 a 18-19 «Una enim hirundo ver non facit» Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 151, l. 14) utilizza il detto per mostrare come una vita felice, per esser tale, debba esserlo ininterrottamente e non maniera discontinua. Diverso è l’uso che fa Dante di questa espressione che doveva esser diventata ormai proverbiale: l’esistenza di alcuni “litterati” che possiedono nobiltà vera è l’eccezione che conferma la regola. Da questo paragrafo, e da quello precedente risulta che il concetto di nobiltà d’animo, ancor prima di essere definito nel suo contenuto, ha già una sua estensione di carattere politico-sociale: hanno nobiltà d’animo solo pochi “litterati” e molti “volgari” e tra questi, sembra, tutti i principi, baroni, cavalieri ed altra nobile gente cui è rivolto il Commento delle canzoni.","I 7, 1098 a 18-19 «Una enim hirundo ver non facit» Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 151, l. 14",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NELLO STATUIRE,"Dante traduce, adattandolo alle sue esigenze, un passo del Digesto (I, 4, 2) attribuito a Ulpiano, giurista del II secolo d. C. «In rebus novis constituendis evidens utilitas debet, ut recedatur ab eo iure quod diu aequum visum est» (la massima era già stato citata da Boncompagno da Signa nel prologo alla sua Rhetorica Novissima, p. 252 b, e da Tommaso nella Summa Theologiae Ia-IIae, q. 97, a. 2, respondeo).","I, 4, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NELLO STATUIRE,"Dante traduce, adattandolo alle sue esigenze, un passo del Digesto (I, 4, 2) attribuito a Ulpiano, giurista del II secolo d. C. «In rebus novis constituendis evidens utilitas debet, ut recedatur ab eo iure quod diu aequum visum est» (la massima era già stato citata da Boncompagno da Signa nel prologo alla sua Rhetorica Novissima, p. 252 b, e da Tommaso nella Summa Theologiae Ia-IIae, q. 97, a. 2, respondeo).",p. 252 b,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rhetorica_Novissima,Rhetorica Novissima,Boncompagno da Signa,http://dbpedia.org/resource/Boncompagno_da_Signa,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +NELLO STATUIRE,"Dante traduce, adattandolo alle sue esigenze, un passo del Digesto (I, 4, 2) attribuito a Ulpiano, giurista del II secolo d. C. «In rebus novis constituendis evidens utilitas debet, ut recedatur ab eo iure quod diu aequum visum est» (la massima era già stato citata da Boncompagno da Signa nel prologo alla sua Rhetorica Novissima, p. 252 b, e da Tommaso nella Summa Theologiae Ia-IIae, q. 97, a. 2, respondeo).","Ia-IIae, q. 97, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER GELOSIA DI LUI,"i termini “geloso”, “gelosia” piuttosto che sospetti di infedeltà indicano, come dice Egidio Romano, un amore particolarmente forte (cfr. De regimine principum I iii 10, p. 181, «zelus nihil est aliud quam quidam amor intensus»): nel caso specifico la preoccupazione costante che l'amico non abbia a patir danno da un qualsiasi evento esterno al rapporto di amicizia. Questo atteggiamento rende attenti («fa l’uomo sollicito») a prevedere e a prevenire anche mali ipotetici e comunque molto lontani («a lunga providenza»).","I iii 10, p. 181, «zelus nihil est aliud quam quidam amor intensus»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ONDE ... ALTRO,"ho pensato che se avessi composto il Commento in latino, il desiderio di comprendere («intendere») le canzoni avrebbe spinto qualcuno che non conosceva il latino («alcuno illitterato») a farlo tradurre in italiano («avrebbe fatto lo comento latino trasmutare in volgare»). Così ho avuto paura che la traduzione fosse stata fatta («temendo che ‘l volgare non fosse stato posto») da un cattivo traduttore, cioè da chi avrebbe fatto apparire brutto il volgare («l’avesse laido fatto parere»); dunque ho provveduto ad usarlo io direttamente («providi io a ponere lui»). Il «Taddeo ipocratista», cioè seguace, ma anche commentatore di Ippocrate, che ha volto in italiano la traduzione latina dell' Etica Nicomachea è Taddeo Alderotti, fiorentino e professore di medicina a Bologna dal 1260 ca fino alla morte nel 1295. La sua fama, sia nell'insegnamento sia nell'esercizio della professione, è attestata da Pd XII 81-83 dove Taddeo personifica la medicina, così come Enrico di Susa cardinale vescovo di Ostia incarna il diritto canonico (accomunati per altro entrambi dal giudizio negativo sulle “scientiae lucrativae”: «Non per lo mondo, per cui mo s'affanna / di retro a Ostiense e a Tadeo»). Il testo di cui parla Dante non è quello dell’ Etica Nicomachea nella sua interezza, bensì un compendio arabo (il cosiddetto Liber Ethicorum o Summa Alexandrinorum) tradotto in latino da Ermanno il Tedesco nel 1243, sicuramente conosciuto ed utilizzato da Dante. Della Summa esistono due versioni in volgare: quella in italiano tramandata sotto il nome di Taddeo Alderotti (ma presente anche nella traduzione italiana del Trésor attribuita a Bono Giamboni) e quella in antico francese inserita nel Trésor di Brunetto Latini. I rapporti tra queste versioni sono problematici. Con tutta probabilità la traduzione di Brunetto dipende da quella di Taddeo (in effetti il testo del Convivio parla di una versione diretta dal latino: «trasmutò lo latino dell’Etica»). Entrambe sono posteriori al Commento all’ Etica Nicomachea di Tommaso d’Aquino (cfr. Gentili 2005, pp. 41-47. Sul metodo di lavoro di Taddeo vedi Gentili 2006). In ogni caso con Taddeo sembra aver inizio un interesse dei professori di medicina per la filosofia morale che sarà caratteristico delle università medievali italiane.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Volgarizzamento_Etica_Nicomachea,Volgarizzamento dell'Etica Nicomachea,Taddeo Alderotti,http://it.dbpedia.org/resource/Taddeo_Alderotti,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ONDE ... ALTRO,"ho pensato che se avessi composto il Commento in latino, il desiderio di comprendere («intendere») le canzoni avrebbe spinto qualcuno che non conosceva il latino («alcuno illitterato») a farlo tradurre in italiano («avrebbe fatto lo comento latino trasmutare in volgare»). Così ho avuto paura che la traduzione fosse stata fatta («temendo che ‘l volgare non fosse stato posto») da un cattivo traduttore, cioè da chi avrebbe fatto apparire brutto il volgare («l’avesse laido fatto parere»); dunque ho provveduto ad usarlo io direttamente («providi io a ponere lui»). Il «Taddeo ipocratista», cioè seguace, ma anche commentatore di Ippocrate, che ha volto in italiano la traduzione latina dell' Etica Nicomachea è Taddeo Alderotti, fiorentino e professore di medicina a Bologna dal 1260 ca fino alla morte nel 1295. La sua fama, sia nell'insegnamento sia nell'esercizio della professione, è attestata da Pd XII 81-83 dove Taddeo personifica la medicina, così come Enrico di Susa cardinale vescovo di Ostia incarna il diritto canonico (accomunati per altro entrambi dal giudizio negativo sulle “scientiae lucrativae”: «Non per lo mondo, per cui mo s'affanna / di retro a Ostiense e a Tadeo»). Il testo di cui parla Dante non è quello dell’ Etica Nicomachea nella sua interezza, bensì un compendio arabo (il cosiddetto Liber Ethicorum o Summa Alexandrinorum) tradotto in latino da Ermanno il Tedesco nel 1243, sicuramente conosciuto ed utilizzato da Dante. Della Summa esistono due versioni in volgare: quella in italiano tramandata sotto il nome di Taddeo Alderotti (ma presente anche nella traduzione italiana del Trésor attribuita a Bono Giamboni) e quella in antico francese inserita nel Trésor di Brunetto Latini. I rapporti tra queste versioni sono problematici. Con tutta probabilità la traduzione di Brunetto dipende da quella di Taddeo (in effetti il testo del Convivio parla di una versione diretta dal latino: «trasmutò lo latino dell’Etica»). Entrambe sono posteriori al Commento all’ Etica Nicomachea di Tommaso d’Aquino (cfr. Gentili 2005, pp. 41-47. Sul metodo di lavoro di Taddeo vedi Gentili 2006). In ogni caso con Taddeo sembra aver inizio un interesse dei professori di medicina per la filosofia morale che sarà caratteristico delle università medievali italiane.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +DELLA PRIMA ... LA DISCREZIONE,"nella dottrina aristotelica il senso della vista ha come suo oggetto proprio i colori (cfr. De an. II 7, 418 a 26 sgg.). All'inizio della Metafisica, poi, Aristotele noterà come noi preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni proprio perché ci fa conoscere maggiormente la differenza tra le cose (I 1, 980 a 21-27). La metafora dell’ occhio della ragione ed il paragone con l’occhio fisico sono presenti nel Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea (III, lectio 13, n. 521), ma attribuiti ad altri e senza che l’ Aquinate li faccia propri. Sempre nel Commento all' Etica, e più precisamente nel prologo, Dante poteva però leggere che è prerogativa della ragione, e non dei sensi, «cognoscere ordinem» . La discrezione di cui qui si parla è appunto una capacità razionale di giudicare distinguendo in base all’ ordine dei fini.","II 7, 418 a 26 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DELLA PRIMA ... LA DISCREZIONE,"nella dottrina aristotelica il senso della vista ha come suo oggetto proprio i colori (cfr. De an. II 7, 418 a 26 sgg.). All'inizio della Metafisica, poi, Aristotele noterà come noi preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni proprio perché ci fa conoscere maggiormente la differenza tra le cose (I 1, 980 a 21-27). La metafora dell’ occhio della ragione ed il paragone con l’occhio fisico sono presenti nel Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea (III, lectio 13, n. 521), ma attribuiti ad altri e senza che l’ Aquinate li faccia propri. Sempre nel Commento all' Etica, e più precisamente nel prologo, Dante poteva però leggere che è prerogativa della ragione, e non dei sensi, «cognoscere ordinem» . La discrezione di cui qui si parla è appunto una capacità razionale di giudicare distinguendo in base all’ ordine dei fini.","I 1, 980 a 21-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DELLA PRIMA ... LA DISCREZIONE,"nella dottrina aristotelica il senso della vista ha come suo oggetto proprio i colori (cfr. De an. II 7, 418 a 26 sgg.). All'inizio della Metafisica, poi, Aristotele noterà come noi preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni proprio perché ci fa conoscere maggiormente la differenza tra le cose (I 1, 980 a 21-27). La metafora dell’ occhio della ragione ed il paragone con l’occhio fisico sono presenti nel Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea (III, lectio 13, n. 521), ma attribuiti ad altri e senza che l’ Aquinate li faccia propri. Sempre nel Commento all' Etica, e più precisamente nel prologo, Dante poteva però leggere che è prerogativa della ragione, e non dei sensi, «cognoscere ordinem» . La discrezione di cui qui si parla è appunto una capacità razionale di giudicare distinguendo in base all’ ordine dei fini.","III, lectio 13, n. 521",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +È SCRITTO,"il riferimento è a Mt, 15, 14 «Caecus autem si caeco ducatum praestet, ambo in foveam cadent», ma la citazione non è letterale.","15, 14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ONDE BOEZIO,"cfr. De consolatione philosophiae III, prosa 6, 6, p. 71: «Popularem gratiam ne commemoratione quidem dignam puto, quia nec iudicio provenit nec umquam firma perdurat».","III, prosa 6, 6, p. 71: «Popularem gratiam ne commemoratione quidem dignam puto, quia nec iudicio provenit nec umquam firma perdurat»",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +GRIDA TULLIO,"Tullio esclama: la exclamatio, figura retorica presente nella Rhetorica ad Herennium (IV xv 22) era appunto diventata “gridare” nel Fiore di Rettorica di Bono Giamboni «E’ un altro ornamento che s’appella gridare, il quale si fa con boce di dolore, rammaricandosi d’alcuno uomo overo città overo luogo overo altra cosa» (ed. Speroni, p. 13). All’inizio de De finibus bonorum et malorum (I 2, 4 sgg.) Cicerone, affrontando anticipatamente le critiche cui il suo lavoro di latinizzazione del patrimonio filosofico greco sarebbe andato incontro, difende le capacità espressive del ‘sermo patrius’ contro coloro che, esaltatori della lingua greca, disprezzano ciò che è scritto in latino. I sintagmi «latino romano» e «gramatica greca» e soprattutto la loro opposizione danno origine a qualche problema interpretativo. Sembra infatti che qui Dante opponga una lingua nativa (quasi un “volgare” latino) ad una lingua regolata. Risulta però alquanto improbabile, anche alla luce delle sue affermazioni precedenti sulla sua incorruttibilità che Dante pensi ad un latino in movimento (come abbiamo detto bisognerà aspettare gli umanisti perché si ponga il problema del rapporto lingua scritta-lingua parlata dei Romani). Inoltre, anche se così fosse, il paragone non reggerebbe in quanto il linguaggio preferito al volgare del sì è esso stesso un volgare. Dunque è preferibile non dare troppo peso all’espressione “latino-romano” e considerarlo come un sinonimo di latino-grammatica.","I 2, 4 sgg.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +MAGNIFICARE E PARVIFICARE,il farsi grandi ed il farsi piccoli hanno sempre come termine di riferimento («rispetto» dal latino respectus che indica la categoria filosofica della relazione) qualcosa nei cui confronti il magnanimo si sente grande ed il pusillanime piccolo (i termini “magnificare” e “parvificare” sono calchi sia dalla Summa Alexandrinorum che dalla traduzione latina dell’ Etica Nicomachea del Grossatesta).,traduzione latina dell’Etica Nicomachea del Grossatesta,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CON QUELLA MISURA CHE,"‘con la stessa misura con cui’ In questi paragrafi viene ampiamente utilizzata la terminologia dell Etica Nicomachea. Con “magnanimo” (la traduzione latina aveva reso con magnanimus il corrispondente greco megalopsychos, così come pusillanimus traduceva mikropsychos) il Convivio, introduce nell’uso italiano un vocabolo che fino ad allora era stato usato solo dai volgarizzamenti della Summa Alexandrinorum, del De regimine principum di Egidio Romano, dalla versione italiana del Trésor di Brunetto Latini e che anche in seguito avrà occorrenze assai rare (cfr. Corti 2003, pp. 67-75) Ma, al di là dell’uso dei termini, Dante non sa o non vuole cogliere appieno il senso profondo del discorso aristotelico sulla magnanimità: in nessun modo, per Aristotele, il magnanimo giudica gli altri minori di quello che effettivamente sono, ed ancor meno al magnanimo «le sue cose paiono migliori che non sono», come se si trattasse di una valutazione in eccesso, speculare e contraria a quella del pusillanime («e così lo pusillanimo, per contrario …»). Per lo Stagirita il megalopsychos è colui che guarda tutto dall’alto, e addirittura tutto disprezza giustamente, perché conscio della propria reale superiorità (cfr. Eth. Nic. IV 3, 1124 a 20; 1124 b 5-6 e Moore, p. 104). Egli stesso è misura delle cose: come dice la Summa Alexandrinorum «Et est quidem magnanimus finis et extremum respectu rebus quibus comparatur». (ed. Marchesi, p. LVII). Se questo testo è stato presente a Dante, come vuole Maria Corti (Corti 2003, p. 123) sulla base della presenza in entrambi del termine respectus-respetto (il testo autentico di Aristotele nella traduzione latina del Grossatesta ha solo «est autem magnanimus magnitudine quidem extremus»), è stato sicuramente male interpretato. Il fatto è che una figura del genere poteva difficilmente ottenere diritto di cittadinanza tra i modelli di virtù cristiane. Allo stesso modo la condanna di chi, pur essendo degno di onore, non vi aspira o lo rifiuta (questo, infatti, per contrasto, è il pusillanime) poteva risultare una condanna della virtuosa umiltà. Né il tentativo di Tommaso di far accettare questi concetti tipicamente greci distinguendo e precisando ebbe pieno successo (Gauthier 1951). Dante ha sicuramente una certa simpatia per i magnanimi: nella Commedia la qualifica è riservata a Virgilio (If II 43) e a Farinata (If X 73); pienamente fondata risulta la tesi sostenuta contemporaneamente da Fiorenzo Forti e Kenelm Forster per cui ciò che accomuna gli ‘spiriti magni’ del Limbo sarebbe appunto la magnanimità (cfr. Forti 1977, pp. 10-48; Forster 1977, p. 194). Ma se anche la magnanimità è una virtù, si tratta di una virtù quanto mai ambigua (cfr. Marchesi 2001, pp. 103-107, che si riferisce all’atteggiamento di Cicerone sempre in bilico fra l’ammirazione per il magnanimo e la paura dei suoi eccessi).","IV 3, 1124 a 20; 1124 b 5-6 e Moore, p. 104",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CON QUELLA MISURA CHE,"‘con la stessa misura con cui’ In questi paragrafi viene ampiamente utilizzata la terminologia dell Etica Nicomachea. Con “magnanimo” (la traduzione latina aveva reso con magnanimus il corrispondente greco megalopsychos, così come pusillanimus traduceva mikropsychos) il Convivio, introduce nell’uso italiano un vocabolo che fino ad allora era stato usato solo dai volgarizzamenti della Summa Alexandrinorum, del De regimine principum di Egidio Romano, dalla versione italiana del Trésor di Brunetto Latini e che anche in seguito avrà occorrenze assai rare (cfr. Corti 2003, pp. 67-75) Ma, al di là dell’uso dei termini, Dante non sa o non vuole cogliere appieno il senso profondo del discorso aristotelico sulla magnanimità: in nessun modo, per Aristotele, il magnanimo giudica gli altri minori di quello che effettivamente sono, ed ancor meno al magnanimo «le sue cose paiono migliori che non sono», come se si trattasse di una valutazione in eccesso, speculare e contraria a quella del pusillanime («e così lo pusillanimo, per contrario …»). Per lo Stagirita il megalopsychos è colui che guarda tutto dall’alto, e addirittura tutto disprezza giustamente, perché conscio della propria reale superiorità (cfr. Eth. Nic. IV 3, 1124 a 20; 1124 b 5-6 e Moore, p. 104). Egli stesso è misura delle cose: come dice la Summa Alexandrinorum «Et est quidem magnanimus finis et extremum respectu rebus quibus comparatur». (ed. Marchesi, p. LVII). Se questo testo è stato presente a Dante, come vuole Maria Corti (Corti 2003, p. 123) sulla base della presenza in entrambi del termine respectus-respetto (il testo autentico di Aristotele nella traduzione latina del Grossatesta ha solo «est autem magnanimus magnitudine quidem extremus»), è stato sicuramente male interpretato. Il fatto è che una figura del genere poteva difficilmente ottenere diritto di cittadinanza tra i modelli di virtù cristiane. Allo stesso modo la condanna di chi, pur essendo degno di onore, non vi aspira o lo rifiuta (questo, infatti, per contrasto, è il pusillanime) poteva risultare una condanna della virtuosa umiltà. Né il tentativo di Tommaso di far accettare questi concetti tipicamente greci distinguendo e precisando ebbe pieno successo (Gauthier 1951). Dante ha sicuramente una certa simpatia per i magnanimi: nella Commedia la qualifica è riservata a Virgilio (If II 43) e a Farinata (If X 73); pienamente fondata risulta la tesi sostenuta contemporaneamente da Fiorenzo Forti e Kenelm Forster per cui ciò che accomuna gli ‘spiriti magni’ del Limbo sarebbe appunto la magnanimità (cfr. Forti 1977, pp. 10-48; Forster 1977, p. 194). Ma se anche la magnanimità è una virtù, si tratta di una virtù quanto mai ambigua (cfr. Marchesi 2001, pp. 103-107, che si riferisce all’atteggiamento di Cicerone sempre in bilico fra l’ammirazione per il magnanimo e la paura dei suoi eccessi).","«Et est quidem magnanimus finis et extremum respectu rebus quibus comparatur». (ed. Marchesi, p. LVII)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_Alexandrinorum,Summa Alexandrinorum,Nicola Damasceno,http://dbpedia.org/resource/Nicolaus_of_Damascus,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"DICO CHE, SÌ COME VEDERE SI PUÒ CHE SCRIVE TULIO","l’ affermazione che per natura («naturalmente») la vicinanza e la bontà («prossimitade e bontade») fanno nascere («siano cagioni generative») l’amicizia, e che il bene ricevuto («beneficio»), la comunanza di intenti («studio») e una lunga frequentazione tra amici («consuetudine») la fanno crescere («siano cagioni accrescitive») è costruita unendo una espressione di Cicerone tradotta quasi alla lettera (De amicitia, ix 29, «Confirmatur amor et beneficio accepto et studio perspecto et consuetudine adiuncta») con una breve citazione del Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea («Ratio dilectionis in omni amicitia cognata est propinquitas unius ad alterum» VIII, lectio 12, n. 1708). In questo secondo caso, però, Dante forza il testo perché Tommaso, e Aristotele, stanno parlando di un particolare tipo di amicizia, quella tra consanguinei (appunto la ‘amicitia cognata’) e la «prossimitade» è dunque quella della parentela. Che vera amicizia sia solo quella che si instaura tra i buoni e che gli amici desiderino passare la vita insieme, sono affermazioni ampiamente presenti nell’ Etica Nicomachea, ma non collegate alla nascita o alla crescita della amicizia. Questo piccolo esempio anticipa ciò di cui ci renderemo conto meglio man mano che procediamo nella lettura del Convivio: Dante utilizza con una certa libertà le sue “auctoritates”, piegandole spesso a conclusioni che sono tutte sue.","ix 29, «Confirmatur amor et beneficio accepto et studio perspecto et consuetudine adiuncta»",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Laelius_de_Amicitia,De amicitia,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"DICO CHE, SÌ COME VEDERE SI PUÒ CHE SCRIVE TULIO","l’ affermazione che per natura («naturalmente») la vicinanza e la bontà («prossimitade e bontade») fanno nascere («siano cagioni generative») l’amicizia, e che il bene ricevuto («beneficio»), la comunanza di intenti («studio») e una lunga frequentazione tra amici («consuetudine») la fanno crescere («siano cagioni accrescitive») è costruita unendo una espressione di Cicerone tradotta quasi alla lettera (De amicitia, ix 29, «Confirmatur amor et beneficio accepto et studio perspecto et consuetudine adiuncta») con una breve citazione del Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea («Ratio dilectionis in omni amicitia cognata est propinquitas unius ad alterum» VIII, lectio 12, n. 1708). In questo secondo caso, però, Dante forza il testo perché Tommaso, e Aristotele, stanno parlando di un particolare tipo di amicizia, quella tra consanguinei (appunto la ‘amicitia cognata’) e la «prossimitade» è dunque quella della parentela. Che vera amicizia sia solo quella che si instaura tra i buoni e che gli amici desiderino passare la vita insieme, sono affermazioni ampiamente presenti nell’ Etica Nicomachea, ma non collegate alla nascita o alla crescita della amicizia. Questo piccolo esempio anticipa ciò di cui ci renderemo conto meglio man mano che procediamo nella lettura del Convivio: Dante utilizza con una certa libertà le sue “auctoritates”, piegandole spesso a conclusioni che sono tutte sue.","VIII, lectio 12, n. 1708",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AL MUSICO,"non si tratta dell’esecutore vocale o strumentale, ma del teorico, dell’ artifex che conosce razionalmente i principi della disciplina, sia riguardo ai toni, sia riguardo ai ritmi, sia riguardo alla struttura dei canti e delle stesse produzioni poetiche. Cfr. la Institutio musica di Boezio, I, c. 34, ed. Friedlein , p. 225, 11-15.","I, c. 34, ed. Friedlein , p. 225, 11-15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_institutione_musica,De institutione musica,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +E QUESTA È LA GIUSTIZIA,"che la giustizia sia la virtù tipica dell’uomo («più umana») in quanto radicata esclusivamente nella parte razionale e non, come fortezza e temperanza rivolta alle facoltà inferiori era stato detto da Alberto Magno nel suo Commento all’ Etica Nicomachea «iustitia est in ratione, non secundum quod habet ordinationem ad potentias inferiores … sed secundum quod habet ordinem ad exteriora, et ideo etiam iustitia est magis humana quam aliae duo» (scil. fortitudo et temperantia) Super Ethica commentum et quaestiones I, lectio 16, vol. I, p. 86, ll. 69-73). Sul rapporto privilegiato tra giustizia e volontà vedi il Commento di Tommaso alle prime righe del quinto libro dell’ Etica Nicomachea «Et est considerandum quod convenienter Aristotiles notificavit iustitiam per voluntatem, in qua non fiunt passiones … unde est proprium subiectum iustitiae quae non est circa passiones» (V, lectio 1, n. 889).","I, lectio 16, vol. I, p. 86, ll. 69-73",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E QUESTA È LA GIUSTIZIA,"che la giustizia sia la virtù tipica dell’uomo («più umana») in quanto radicata esclusivamente nella parte razionale e non, come fortezza e temperanza rivolta alle facoltà inferiori era stato detto da Alberto Magno nel suo Commento all’ Etica Nicomachea «iustitia est in ratione, non secundum quod habet ordinationem ad potentias inferiores … sed secundum quod habet ordinem ad exteriora, et ideo etiam iustitia est magis humana quam aliae duo» (scil. fortitudo et temperantia) Super Ethica commentum et quaestiones I, lectio 16, vol. I, p. 86, ll. 69-73). Sul rapporto privilegiato tra giustizia e volontà vedi il Commento di Tommaso alle prime righe del quinto libro dell’ Etica Nicomachea «Et est considerandum quod convenienter Aristotiles notificavit iustitiam per voluntatem, in qua non fiunt passiones … unde est proprium subiectum iustitiae quae non est circa passiones» (V, lectio 1, n. 889).","«Et est considerandum quod convenienter Aristotiles notificavit iustitiam per voluntatem, in qua non fiunt passiones … unde est proprium subiectum iustitiae quae non est circa passiones» (V, lectio 1, n. 889)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME DICE LO FILOSOFO NEL QUINTO DELL'ETICA,"nonostante la precisione del rimando (in effetti il quinto libro dell’Etica Nicomachea è dedicato alla virtù della giustizia) l’affermazione per cui anche una banda di malfattori («ladroni» ha il senso generico di malfattori come il latino latrones) e di ladri («rubatori») ha bisogno di leggi interne per mantenersi coesa (e quindi rende omaggio involontario alla giustizia) non si trova in Aristotele. Si trova invece nel De officiis di Cicerone (II, 11, 40) da cui è passato nella sezione del Trésor di Brunetto Latini dedicata alle virtù, nella rubrica appunto della giustizia (II CXI 2, p. 545), che sembra essere la fonte diretta di Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 92-93). Neppure nel Trésor, per altro, si trova l’idea che anche i malfattori amano la giustizia.","II, 11, 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +COME DICE LO FILOSOFO NEL QUINTO DELL'ETICA,"nonostante la precisione del rimando (in effetti il quinto libro dell’Etica Nicomachea è dedicato alla virtù della giustizia) l’affermazione per cui anche una banda di malfattori («ladroni» ha il senso generico di malfattori come il latino latrones) e di ladri («rubatori») ha bisogno di leggi interne per mantenersi coesa (e quindi rende omaggio involontario alla giustizia) non si trova in Aristotele. Si trova invece nel De officiis di Cicerone (II, 11, 40) da cui è passato nella sezione del Trésor di Brunetto Latini dedicata alle virtù, nella rubrica appunto della giustizia (II CXI 2, p. 545), che sembra essere la fonte diretta di Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 92-93). Neppure nel Trésor, per altro, si trova l’idea che anche i malfattori amano la giustizia.","II CXI 2, p. 545",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +COME DICE LO FILOSOFO NEL QUINTO DELL'ETICA,"nonostante la precisione del rimando (in effetti il quinto libro dell’Etica Nicomachea è dedicato alla virtù della giustizia) l’affermazione per cui anche una banda di malfattori («ladroni» ha il senso generico di malfattori come il latino latrones) e di ladri («rubatori») ha bisogno di leggi interne per mantenersi coesa (e quindi rende omaggio involontario alla giustizia) non si trova in Aristotele. Si trova invece nel De officiis di Cicerone (II, 11, 40) da cui è passato nella sezione del Trésor di Brunetto Latini dedicata alle virtù, nella rubrica appunto della giustizia (II CXI 2, p. 545), che sembra essere la fonte diretta di Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 92-93). Neppure nel Trésor, per altro, si trova l’idea che anche i malfattori amano la giustizia.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LO BENE MANIFESTARE DEL CONCETTO,"‘la capacità di rendere accessibili agli altri i propri contenuti mentali’. «Concetto» sta per tutto ciò che viene “concepito” internamente, non solo al livello puramente intellettuale, ma anche emozionale, secondo la dottrina aristotelica del De interpretatione (cfr. 16 a 2-4 «Sunt ergo ea quae sunt in voce earum quae sunt in anima passionum notae» Translatio Boethii, p.5, ll. 4-6).","cfr. 16 a 2-4 «Sunt ergo ea quae sunt in voce earum quae sunt in anima passionum notae» Translatio Boethii, p.5, ll. 4-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Interpretatione,De interpretatione,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER LA PERFEZIONE,"‘in vista della perfezione’. Che il fine ultimo sia ciò che è voluto di per se stesso e non in vista d’altro, che esso coincida con il bene e che tutto il resto sia voluto in vista del fine e del bene, dottrina comune al tempo di Dante, era chiaramente affermato proprio all’inizio dell’ Etica Nicomachea: così per la precisazione che il fine ed il bene consistono per ogni ente nella realizzazione delle proprie specifiche capacità, cioè nella sua perfezione. L’affermazione della esistenza di due perfezioni («una prima e una seconda») non presente in Aristotele, deriva invece dal Commento di Tommaso all’ Etica, dove si distingue una ‘perfectio prima’ data ad ogni ente dalla sua forma specifica, ed una ‘perfectio secunda et ultima’ consistente nella sua operatio (I, lectio 10, n. 119). Ora, secondo un adagio sempre ripetuto nei testi filosofici coevi, ‘forma dat esse’; dunque la prima lo fa essere. La operatio in cui consiste la ‘perfectio secunda’ è l’attuazione piena delle capacità proprie dell’agente; in essa consiste il suo bene, la sua “bontade”; dunque «la seconda lo fa essere buono»",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER LA PERFEZIONE,"‘in vista della perfezione’. Che il fine ultimo sia ciò che è voluto di per se stesso e non in vista d’altro, che esso coincida con il bene e che tutto il resto sia voluto in vista del fine e del bene, dottrina comune al tempo di Dante, era chiaramente affermato proprio all’inizio dell’ Etica Nicomachea: così per la precisazione che il fine ed il bene consistono per ogni ente nella realizzazione delle proprie specifiche capacità, cioè nella sua perfezione. L’affermazione della esistenza di due perfezioni («una prima e una seconda») non presente in Aristotele, deriva invece dal Commento di Tommaso all’ Etica, dove si distingue una ‘perfectio prima’ data ad ogni ente dalla sua forma specifica, ed una ‘perfectio secunda et ultima’ consistente nella sua operatio (I, lectio 10, n. 119). Ora, secondo un adagio sempre ripetuto nei testi filosofici coevi, ‘forma dat esse’; dunque la prima lo fa essere. La operatio in cui consiste la ‘perfectio secunda’ è l’attuazione piena delle capacità proprie dell’agente; in essa consiste il suo bene, la sua “bontade”; dunque «la seconda lo fa essere buono»","I, lectio 10, n. 119",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DISPONITORE DEL FERRO AL FABBRO,"‘ciò che rende possibile al fabbro lavorare il ferro’ (la ‘causa disponens’ di cui parla Tommaso nel Commento alla Fisica II, lectio 5, n. 180).","lectio 5, n. 180",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_octo_libros_Physicorum(Tommaso),Commentaria in octo libros Physicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +STUDIA NATURALMENTE A LA SUA CONSERVAZIONE,"‘per natura indirizza tutte le sue energie al proprio mantenimento in essere’ (in latino studere vale impegnarsi, sforzarsi, tendere verso qualcosa). Il concetto deriva direttamente dal De consolatione philosophiae III, prosa 11, 33, p. 90: «dedit enim providentia rebus … ut quoad possunt naturaliter manere desiderent». Per una sua ulteriore utilizzazione cfr. Cv IV xxii.","III, prosa 11, 33, p. 90: «dedit enim providentia rebus … ut quoad possunt naturaliter manere desiderent»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"DILIBERANDO, INTERPETRANDO E QUESTIONANDO","deliberare ha un valore tecnico e si riferisce non tanto ad una indistinta attività di esame e di giudizio, quanto ad un preciso genere letterario, quello della oratio deliberativa che ha carattere squisitamente politico e viene usato nelle assemblee e nei consigli delle città italiane nel XIII secolo e oltre; cfr. Brunetto Latini, Rettorica 21 2, p. 21 «E questo modo di causare (cioè la causa diliberativa) è quello che fanno tutto die i signori e le podestà delle genti, che raunano li consillieri per diliberare che ssia da fare sopra alcuna vicenda e che non da fare: e quasi ciascuno dice la sua sentenza, sicché alla fine si prende quella che pare migliore». L’ interpretare si riferisce invece alla lettura e spiegazione di testi. “Questionare” è poi un verbo derivato dal termine latino quaestio. La prima di queste tre attività può essere con certezza accostata ad un uso del volgare da parte di Dante, membro della classe dirigente del Comune fiorentino, negli anni precedenti la stesura del Convivio. Sappiamo infatti, dai verbali coevi, che egli ha espresso pareri nei diversi Consigli, nel dicembre del 1295, nel 1296 (giugno) e nel 1297, più volte nei mesi cruciali del 1301. Per quanto riguarda l’ interpretare Inglese ha proposto, sia pure dubitativamente, il riferimento alle prose della Vita Nova in cui viene data una spiegazione alle composizioni poetiche. Dante lo fa mediante la divisio textus: una tecnica tipica della interpretatio universitaria in cui i testi filosofici e medici venivano suddivisi in parti e parti di parti, fino ad arrivare alla unità minima di significato della sententia dell’autore. Il caso più evidente mi sembra quello della canzone Donne ch’avete intelletto d’amore dove troviamo, accanto ad una articolazione del testo particolarmente complessa, la partizione in “proemio’ e “trattato”, esattamente come avverrà per il quarto trattato del Convivio (cfr. Cv IV i 2). Sulla struttura e sull’ importanza della divisio textus nella Vita Nuova cfr. D’Andrea 1980). Quanto al “questionare”, se con il termine si intendesse (come a prima vista sembrerebbe ovvio) la tecnica tipica del dibattito universitario, l’affermazione sarebbe davvero strana. Prima della stesura del Convivio Dante avrà pure partecipato alle dispute dei filosofi, ma certo come uditore e non come protagonista. Solo nell’ultima parte della sua vita, maestro ormai affermato, potrà disputare e determinare autonomamente una quaestio (la Quaestio de aqua et terra), ma comunque lo farà in latino, come in latino si svolgevano sempre simili performances. Il testo filosofico in volgare edito da Francesca Geymonat sotto il titolo Questioni filosofiche in volgare mediano dei primi del Trecento (Geymonat 2000) non è ricollegabile, nemmeno in maniera mediata, ad alcun atto effettivo di disputa (più interessanti potrebbero essere i Sillogismi di maestro Giandino da Carmignano, la cui edizione è stata promessa da Giuseppina Brunetti. Cfr. Brunetti, 2002). Il riferimento più probabile rimane quello alle discussioni politiche e soprattutto ai ‘contrasti’ d’amore’, siano essi espressi in lettere o canzoni, cui la Rettorica di Brunetto estende il termine di “questione”, anche se non usa mai in questo contesto il verbo “questionare” (76, 15, pp. 101-2).","21 2, p. 21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_Rettorica,La Rettorica,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +QUESTO SARÀ QUELLO PANE ORZATO,"il paragrafo conclusivo del primo trattato è tutto intriso di richiami scritturistici: presentando il pane d’orzo («orzato») di cui si sazieranno («si satolleranno) a migliaia e di cui ne avanzeranno («me ne soperchieranno») le sporte Dante rimanda consapevolmente («questo sarà quello …» ) al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci raccontato dal Vangelo di Giovanni (6, 5-14) ; «dare lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade» rimanda al brano messianico di Isaia 9, 2, ripreso in Mt 4, 16. In questo secondo caso è interessante notare come il testo di Isaia parli di tenebre della morte («qui in umbra mortis sedent»). Si tratta in qualche modo di una anticipazione di Cv IV vii 10 sgg. dove Dante sosterrà esplicitamente che chi non usa la ragione, anche se sembra vivo, è in realtà morto (cfr. anche Cv II xv 4). Se è evidente che l’immagine del pane, usata fin dall’inizio del trattato indica il contenuto del Commento, ci si è chiesti se quella, nuova, del sole e della luce, si riferisca al contenuto o alla veste linguistica del trattato. In realtà risulta difficile, dal punto di vista della novità, scindere le due cose. Il termine «questo», ripetuto due volte, indica abbastanza chiaramente il Convivio nel suo insieme: coloro che sono nelle tenebre lo sono per ragioni di lingua; il sole «usato» che non li illumina («che a loro non luce») è lo strumento espressivo normalmente usato per la scienza, cioè il latino. Ma d’altro lato l’uso del volgare e l’individuazione di un pubblico diverso e più ampio comporta anche una nuova organizzazione del sapere che si vuole trasmettere, anche se non proprio un sapere nuovo contenutisticamente (cfr. Imbach 2003, pp. 135-9). Rimane infine il problema di cosa intende Dante parlando del sorgere di un sole nuovo e del tramontare di quello vecchio. Difficile pensare che egli ipotizzasse, dopo la pubblicazione del Convivio, la scomparsa del latino e della scienza dei “litterati:” dando all’espressione «là dove» un senso rigorosamente spaziale (e non temporale) la frase potrebbe essere interpretata nel senso di un nuovo sole che sorge ad illuminare quell’emisfero dell’umanità che il sole normale ha lasciato in ombra (ma il «tramonterà» indica pur sempre un qualcosa che deve avvenire, non un antefatto da modificare).","6, 5-14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUESTO SARÀ QUELLO PANE ORZATO,"il paragrafo conclusivo del primo trattato è tutto intriso di richiami scritturistici: presentando il pane d’orzo («orzato») di cui si sazieranno («si satolleranno) a migliaia e di cui ne avanzeranno («me ne soperchieranno») le sporte Dante rimanda consapevolmente («questo sarà quello …» ) al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci raccontato dal Vangelo di Giovanni (6, 5-14) ; «dare lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade» rimanda al brano messianico di Isaia 9, 2, ripreso in Mt 4, 16. In questo secondo caso è interessante notare come il testo di Isaia parli di tenebre della morte («qui in umbra mortis sedent»). Si tratta in qualche modo di una anticipazione di Cv IV vii 10 sgg. dove Dante sosterrà esplicitamente che chi non usa la ragione, anche se sembra vivo, è in realtà morto (cfr. anche Cv II xv 4). Se è evidente che l’immagine del pane, usata fin dall’inizio del trattato indica il contenuto del Commento, ci si è chiesti se quella, nuova, del sole e della luce, si riferisca al contenuto o alla veste linguistica del trattato. In realtà risulta difficile, dal punto di vista della novità, scindere le due cose. Il termine «questo», ripetuto due volte, indica abbastanza chiaramente il Convivio nel suo insieme: coloro che sono nelle tenebre lo sono per ragioni di lingua; il sole «usato» che non li illumina («che a loro non luce») è lo strumento espressivo normalmente usato per la scienza, cioè il latino. Ma d’altro lato l’uso del volgare e l’individuazione di un pubblico diverso e più ampio comporta anche una nuova organizzazione del sapere che si vuole trasmettere, anche se non proprio un sapere nuovo contenutisticamente (cfr. Imbach 2003, pp. 135-9). Rimane infine il problema di cosa intende Dante parlando del sorgere di un sole nuovo e del tramontare di quello vecchio. Difficile pensare che egli ipotizzasse, dopo la pubblicazione del Convivio, la scomparsa del latino e della scienza dei “litterati:” dando all’espressione «là dove» un senso rigorosamente spaziale (e non temporale) la frase potrebbe essere interpretata nel senso di un nuovo sole che sorge ad illuminare quell’emisfero dell’umanità che il sole normale ha lasciato in ombra (ma il «tramonterà» indica pur sempre un qualcosa che deve avvenire, non un antefatto da modificare).","4,16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUESTO SARÀ QUELLO PANE ORZATO,"il paragrafo conclusivo del primo trattato è tutto intriso di richiami scritturistici: presentando il pane d’orzo («orzato») di cui si sazieranno («si satolleranno) a migliaia e di cui ne avanzeranno («me ne soperchieranno») le sporte Dante rimanda consapevolmente («questo sarà quello …» ) al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci raccontato dal Vangelo di Giovanni (6, 5-14) ; «dare lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade» rimanda al brano messianico di Isaia 9, 2, ripreso in Mt 4, 16. In questo secondo caso è interessante notare come il testo di Isaia parli di tenebre della morte («qui in umbra mortis sedent»). Si tratta in qualche modo di una anticipazione di Cv IV vii 10 sgg. dove Dante sosterrà esplicitamente che chi non usa la ragione, anche se sembra vivo, è in realtà morto (cfr. anche Cv II xv 4). Se è evidente che l’immagine del pane, usata fin dall’inizio del trattato indica il contenuto del Commento, ci si è chiesti se quella, nuova, del sole e della luce, si riferisca al contenuto o alla veste linguistica del trattato. In realtà risulta difficile, dal punto di vista della novità, scindere le due cose. Il termine «questo», ripetuto due volte, indica abbastanza chiaramente il Convivio nel suo insieme: coloro che sono nelle tenebre lo sono per ragioni di lingua; il sole «usato» che non li illumina («che a loro non luce») è lo strumento espressivo normalmente usato per la scienza, cioè il latino. Ma d’altro lato l’uso del volgare e l’individuazione di un pubblico diverso e più ampio comporta anche una nuova organizzazione del sapere che si vuole trasmettere, anche se non proprio un sapere nuovo contenutisticamente (cfr. Imbach 2003, pp. 135-9). Rimane infine il problema di cosa intende Dante parlando del sorgere di un sole nuovo e del tramontare di quello vecchio. Difficile pensare che egli ipotizzasse, dopo la pubblicazione del Convivio, la scomparsa del latino e della scienza dei “litterati:” dando all’espressione «là dove» un senso rigorosamente spaziale (e non temporale) la frase potrebbe essere interpretata nel senso di un nuovo sole che sorge ad illuminare quell’emisfero dell’umanità che il sole normale ha lasciato in ombra (ma il «tramonterà» indica pur sempre un qualcosa che deve avvenire, non un antefatto da modificare).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DOMANDA LA MIA NAVE,"chiede alla mia nave'. Alla metafora del banchetto si sovrappone quella della navigazione. La trattazione vera e propria, nel suo inizio, è paragonata all'uscita di un naviglio dal porto per affrontare l'alto mare (entrare in pelago""; cfr. Cv I ix 7); essa è mossa dal vento (""ora"": aura) del desiderio, ma guidata dalla vela innalzata (""drizzata"") della ragione (l'artimone, secondo Isidoro di Siviglia è una vela che serve non tanto a far muovere quanto a indirizzare la nave. Cfr. Etymologiae XIX 3, 3, vol. II, p. 307. Il termine è usato dagli Atti degli Apostoli 27, 40 nella narrazione di un episodio della navigazione di Paolo prigioniero verso Roma). Il viaggio deve comunque concludersi in un approdo sicuro (""salutevole"") che sarà motivo di lode per chi lo avrà raggiunto (""laudevole"" ha significato causativo). L'immagine della navigazione e dell'approdo per indicare un percorso intellettuale o più genericamente spirituale è un luogo comune della tradizione. Basterà ricordare il prologo del De beata vita di Agostino (I, i-ii, p. 65). La metafora è applicata specificamente alla produzione di un testo da San Girolamo, nella prefazione del suo Commento ad Osea, anche se in questo caso il vento è quello dello Spirito Santo ""Nobis interpretationis vela pandentibus, tu debes illud propheticum dicere: A quattuor ventis caeli veni spiritus, ut celeri cursu …merces dominicas … ad portus tutissimos perferamus"" (PL 25, p. 905).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +DOMANDA LA MIA NAVE,"chiede alla mia nave'. Alla metafora del banchetto si sovrappone quella della navigazione. La trattazione vera e propria, nel suo inizio, è paragonata all'uscita di un naviglio dal porto per affrontare l'alto mare (entrare in pelago""; cfr. Cv I ix 7); essa è mossa dal vento (""ora"": aura) del desiderio, ma guidata dalla vela innalzata (""drizzata"") della ragione (l'artimone, secondo Isidoro di Siviglia è una vela che serve non tanto a far muovere quanto a indirizzare la nave. Cfr. Etymologiae XIX 3, 3, vol. II, p. 307. Il termine è usato dagli Atti degli Apostoli 27, 40 nella narrazione di un episodio della navigazione di Paolo prigioniero verso Roma). Il viaggio deve comunque concludersi in un approdo sicuro (""salutevole"") che sarà motivo di lode per chi lo avrà raggiunto (""laudevole"" ha significato causativo). L'immagine della navigazione e dell'approdo per indicare un percorso intellettuale o più genericamente spirituale è un luogo comune della tradizione. Basterà ricordare il prologo del De beata vita di Agostino (I, i-ii, p. 65). La metafora è applicata specificamente alla produzione di un testo da San Girolamo, nella prefazione del suo Commento ad Osea, anche se in questo caso il vento è quello dello Spirito Santo ""Nobis interpretationis vela pandentibus, tu debes illud propheticum dicere: A quattuor ventis caeli veni spiritus, ut celeri cursu …merces dominicas … ad portus tutissimos perferamus"" (PL 25, p. 905).","Atti degli Apostoli 27, 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DOMANDA LA MIA NAVE,"chiede alla mia nave'. Alla metafora del banchetto si sovrappone quella della navigazione. La trattazione vera e propria, nel suo inizio, è paragonata all'uscita di un naviglio dal porto per affrontare l'alto mare (entrare in pelago""; cfr. Cv I ix 7); essa è mossa dal vento (""ora"": aura) del desiderio, ma guidata dalla vela innalzata (""drizzata"") della ragione (l'artimone, secondo Isidoro di Siviglia è una vela che serve non tanto a far muovere quanto a indirizzare la nave. Cfr. Etymologiae XIX 3, 3, vol. II, p. 307. Il termine è usato dagli Atti degli Apostoli 27, 40 nella narrazione di un episodio della navigazione di Paolo prigioniero verso Roma). Il viaggio deve comunque concludersi in un approdo sicuro (""salutevole"") che sarà motivo di lode per chi lo avrà raggiunto (""laudevole"" ha significato causativo). L'immagine della navigazione e dell'approdo per indicare un percorso intellettuale o più genericamente spirituale è un luogo comune della tradizione. Basterà ricordare il prologo del De beata vita di Agostino (I, i-ii, p. 65). La metafora è applicata specificamente alla produzione di un testo da San Girolamo, nella prefazione del suo Commento ad Osea, anche se in questo caso il vento è quello dello Spirito Santo ""Nobis interpretationis vela pandentibus, tu debes illud propheticum dicere: A quattuor ventis caeli veni spiritus, ut celeri cursu …merces dominicas … ad portus tutissimos perferamus"" (PL 25, p. 905).","I, i-ii, p. 65",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_beata_vita,De beata vita,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DOMANDA LA MIA NAVE,"chiede alla mia nave'. Alla metafora del banchetto si sovrappone quella della navigazione. La trattazione vera e propria, nel suo inizio, è paragonata all'uscita di un naviglio dal porto per affrontare l'alto mare (entrare in pelago""; cfr. Cv I ix 7); essa è mossa dal vento (""ora"": aura) del desiderio, ma guidata dalla vela innalzata (""drizzata"") della ragione (l'artimone, secondo Isidoro di Siviglia è una vela che serve non tanto a far muovere quanto a indirizzare la nave. Cfr. Etymologiae XIX 3, 3, vol. II, p. 307. Il termine è usato dagli Atti degli Apostoli 27, 40 nella narrazione di un episodio della navigazione di Paolo prigioniero verso Roma). Il viaggio deve comunque concludersi in un approdo sicuro (""salutevole"") che sarà motivo di lode per chi lo avrà raggiunto (""laudevole"" ha significato causativo). L'immagine della navigazione e dell'approdo per indicare un percorso intellettuale o più genericamente spirituale è un luogo comune della tradizione. Basterà ricordare il prologo del De beata vita di Agostino (I, i-ii, p. 65). La metafora è applicata specificamente alla produzione di un testo da San Girolamo, nella prefazione del suo Commento ad Osea, anche se in questo caso il vento è quello dello Spirito Santo ""Nobis interpretationis vela pandentibus, tu debes illud propheticum dicere: A quattuor ventis caeli veni spiritus, ut celeri cursu …merces dominicas … ad portus tutissimos perferamus"" (PL 25, p. 905).","PL 25, p. 905",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_a_Osea,Commento a Osea,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +SÌ COME NEL PRIMO CAPITOLO ...,"in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia"". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (""Le scritture possono intendersi ... ""). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come ""favole"" e ""belle menzogne"" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler ""prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato"" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (""solas aurium delicias profitetur"") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui ""notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur"" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre ""Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che ""peccatum est uti metaphoris in problematibus"". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Postilla_Lettera_ai_Galati,Postilla alla Lettera ai Galati,Nicolò di Lira,http://dbpedia.org/resource/Nicholas_of_Lyra,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_nuovo_testamento,WORK +SÌ COME NEL PRIMO CAPITOLO ...,"in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia"". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (""Le scritture possono intendersi ... ""). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come ""favole"" e ""belle menzogne"" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler ""prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato"" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (""solas aurium delicias profitetur"") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui ""notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur"" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre ""Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che ""peccatum est uti metaphoris in problematibus"". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarii_in_Somnium_Scipionis,Commentarii in Somnium Scipionis,Macrobio,http://dbpedia.org/resource/Macrobius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SÌ COME NEL PRIMO CAPITOLO ...,"in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia"". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (""Le scritture possono intendersi ... ""). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come ""favole"" e ""belle menzogne"" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler ""prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato"" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (""solas aurium delicias profitetur"") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui ""notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur"" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre ""Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che ""peccatum est uti metaphoris in problematibus"". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.","Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_De_nuptiis_Mercurii_et_Philologiae,Commento al De nuptiis Mercurii et Philologiae,Bernardo Silvestre,http://dbpedia.org/resource/Bernard_Silvestris,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +SÌ COME NEL PRIMO CAPITOLO ...,"in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia"". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (""Le scritture possono intendersi ... ""). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come ""favole"" e ""belle menzogne"" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler ""prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato"" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (""solas aurium delicias profitetur"") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui ""notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur"" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre ""Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che ""peccatum est uti metaphoris in problematibus"". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guglielmo di Conches,http://dbpedia.org/resource/William_of_Conches,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +SÌ COME NEL PRIMO CAPITOLO ...,"in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia"". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (""Le scritture possono intendersi ... ""). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come ""favole"" e ""belle menzogne"" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler ""prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato"" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (""solas aurium delicias profitetur"") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui ""notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur"" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre ""Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che ""peccatum est uti metaphoris in problematibus"". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.",,CONCORDANZA GENERICA,,,Alano di Lilla,http://dbpedia.org/resource/Alain_de_Lille,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,CONCEPT +SÌ COME NEL PRIMO CAPITOLO ...,"in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia"". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (""Le scritture possono intendersi ... ""). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come ""favole"" e ""belle menzogne"" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler ""prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato"" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (""solas aurium delicias profitetur"") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui ""notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur"" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre ""Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che ""peccatum est uti metaphoris in problematibus"". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.","Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_De_nuptiis_Mercurii_et_Philologiae,Commento al De nuptiis Mercurii et Philologiae,Bernardo Silvestre,http://dbpedia.org/resource/Bernard_Silvestris,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +SÌ COME NEL PRIMO CAPITOLO ...,"in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia"". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (""Le scritture possono intendersi ... ""). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come ""favole"" e ""belle menzogne"" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler ""prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato"" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (""solas aurium delicias profitetur"") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui ""notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur"" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre ""Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit"" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che ""peccatum est uti metaphoris in problematibus"". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.","peccatum est uti metaphoris in problematibus. Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Topica(Aristotele),Topica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUESTO È QUELLO CHE] SI NASCONDE ... SOTTO BELLA MENZOGNA,"la definizione, assai vicina a quella data dal Commento a Marziano Capella, è egualmente presente in un Commento all' Eneide databile al XII secolo attribuito anch'esso a Bernardo Silvestre (ed. Jones, p. 3, ll. 14-15). Il termine stesso significa letteralmente qualcosa che copre il corpo (manto"" appunto) e a questo insieme di idee sembrano far riferimento i versi di If IX 60-3 ""O voi ch'avete li 'ntelletti sani / mirate la dottrina che s'asconde /sotto il velame delli versi strani"" e di Pg VIII 19-21 ""Aguzza qui, lettor, bel gli occhi al vero /ché 'l velo è ora ben tanto sottile, / certo che 'l trapassar dentro è leggiero"" (ma già nella canzone Doglia mi reca Dante aveva affermato ai vv. 57-9 ""ché rado sotto benda / parola oscura giugne all'intelletto"").","ed. Jones, p. 3, ll. 14-15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_Eneide,Commento all'Eneide,Bernardo Silvestre,http://dbpedia.org/resource/Bernard_Silvestris,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/epica_latina_commenti,WORK +SI MOSTERRÀ,"si mostrerà'. Dante, promettendo una più ampia spiegazione del motivo per cui i poeti (che sono anche uomini del sapere, saggi) hanno velato la verità che i loro scritti contengono, si riallaccia implicitamente ad una domanda già presente nel Commento al Somnium Scipionis. Con tutta probabilità anche la risposta sarebbe stata analoga. Per Macrobio i saggi sanno che la natura non ama essere vista nuda, cioè contemplata direttamente da tutti. I suoi segreti sono come i segreti dei culti misterici, devono essere difesi da una divulgazione che li svilirebbe. A questo servono i miti escogitati dai prudentes"" (cfr. In Somnium Scipionis I.ii.17-18, p. 7 ""… sciunt inimicam esse naturae apertam nudamque expositionem sui, quae sicut vulgaribus hominum sensibus intellectum suum vario rerum tegmine operimentoque subtraxit, ita a prudentibus arcana sua voluit per fabulosa tractari"").","I.ii.17-18, p. 7 ""... sciunt inimicam esse naturae apertam nudamque expositionem sui, quae sicut vulgaribus hominum sensibus intellectum suum vario rerum tegmine operimentoque subtraxit, ita a prudentibus arcana sua voluit per fabulosa tractari"").""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarii_in_Somnium_Scipionis,Commentarii in Somnium Scipionis,Macrobio,http://dbpedia.org/resource/Macrobius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +CRISTO SALIO LO MONTE ... LI TRE,"l'episodio della trasfigurazione sul monte Tabor in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni è narrato dai tre Vangeli sinottici (cfr. Mt 17, 1-9; Mc 9, 1-9; Lc 9, 28-36).","17, 1-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CRISTO SALIO LO MONTE ... LI TRE,"l'episodio della trasfigurazione sul monte Tabor in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni è narrato dai tre Vangeli sinottici (cfr. Mt 17, 1-9; Mc 9, 1-9; Lc 9, 28-36).","17, 1-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CRISTO SALIO LO MONTE ... LI TRE,"l'episodio della trasfigurazione sul monte Tabor in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni è narrato dai tre Vangeli sinottici (cfr. Mt 17, 1-9; Mc 9, 1-9; Lc 9, 28-36).","9, 28-36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LO QUARTO SENSO SI CHIAMA ANAGOGICO,"l'aggettivo greco anagoghikos significa letteralmente 'ciò che trasporta in alto' (Dante parla di sovrasenso"" traducendo giustamente il prefisso greco ano come super-sopra). Si ricorre al senso anagogico quando si espone oltre la lettera (""spiritualmente si spone"") un brano delle Scritture (""una scrittura"") che è certamente vero anche (""eziandio"") nel senso letterale, ma in cui attraverso le cose (""per le cose"") significate dalle parole, rimanda non più a verità di fede, o a precetti morali, ma alla gloria eterna di Dio e del suo regno ultramondano (""significa dell'etternal gloria delle superne cose"". L'espressione è un calco di quella usata da Tommaso per definire appunto il senso anagogico. Cfr. Summa Theologiae I, q. 1, a. 10, respondeo). L'esempio è tratto dai due primi versetti del salmo 113, dove si parla dell'uscita di Israele dall'Egitto: benchè (""ancora che"") sia evidente che il fatto è vero letteralmente (""essere vero secondo la lettera sia manifesto"") esso rimanda ad una verità superiore: che l'anima, liberata dal peccato (""nell'uscita dell'anima dal peccato"") diviene santa e liberamente padrona di sé (""libera in sua potestate""). Non per nulla il salmo viene cantato dalle anime traghettate dall'angelo verso la montagna del Purgatorio (cfr. Pg II 45-48). Nella Lettera a Cangrande gli stessi versetti dello stesso salmo verranno interpretati anche secondo i sensi morale ed anagogico (Epistula XIII 7, 21-22, p. 611). Come nota J. Pépin, il salmo 113 era stato nella storia dell'esegesi biblica uno dei testi più usati per esemplificare i vari sensi della Scrittura (cfr. Pépin 1970, pp.87-8).","Cfr. Summa Theologiae I, q. 1, a. 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO QUARTO SENSO SI CHIAMA ANAGOGICO,"l'aggettivo greco anagoghikos significa letteralmente 'ciò che trasporta in alto' (Dante parla di sovrasenso"" traducendo giustamente il prefisso greco ano come super-sopra). Si ricorre al senso anagogico quando si espone oltre la lettera (""spiritualmente si spone"") un brano delle Scritture (""una scrittura"") che è certamente vero anche (""eziandio"") nel senso letterale, ma in cui attraverso le cose (""per le cose"") significate dalle parole, rimanda non più a verità di fede, o a precetti morali, ma alla gloria eterna di Dio e del suo regno ultramondano (""significa dell'etternal gloria delle superne cose"". L'espressione è un calco di quella usata da Tommaso per definire appunto il senso anagogico. Cfr. Summa Theologiae I, q. 1, a. 10, respondeo). L'esempio è tratto dai due primi versetti del salmo 113, dove si parla dell'uscita di Israele dall'Egitto: benchè (""ancora che"") sia evidente che il fatto è vero letteralmente (""essere vero secondo la lettera sia manifesto"") esso rimanda ad una verità superiore: che l'anima, liberata dal peccato (""nell'uscita dell'anima dal peccato"") diviene santa e liberamente padrona di sé (""libera in sua potestate""). Non per nulla il salmo viene cantato dalle anime traghettate dall'angelo verso la montagna del Purgatorio (cfr. Pg II 45-48). Nella Lettera a Cangrande gli stessi versetti dello stesso salmo verranno interpretati anche secondo i sensi morale ed anagogico (Epistula XIII 7, 21-22, p. 611). Come nota J. Pépin, il salmo 113 era stato nella storia dell'esegesi biblica uno dei testi più usati per esemplificare i vari sensi della Scrittura (cfr. Pépin 1970, pp.87-8).",dai due primi versetti del salmo 113,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CANTO DEL PROFETA,"i Salmi erano stati composti, fin dall'inizio, per essere cantati e il re Davide, cui il Medioevo li attribuiva tutti senza problemi, era considerato anche profeta, in quanto si pensava che numerosi brani dei suoi canti"" avessero un carattere decisamente messianico e prefigurassero nascita, morte e resurrezione del Cristo.",,CONCORDANZA GENERICA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DEE ANDARE INNANZI,"deve essere il primo'. La priorità del primo senso sugli altri era dottrina comune a teologi come Alberto Magno e Tommaso (cfr. di Alberto, Summa Theologica sive de mirabili scientia Dei I, tr. I, q. 5, cap. 4 Sensus litteralis prius est et in ipso fundantur tres alii sensus spirituales"", ed. Kübel, p. 21, e di Tommaso, Summa Theologiae I, q. 1, a.10, ad 1m ""Omnes sensus fundantur super unum, scilicet litteralem, ex quo solo potest trahi argumentum"").","Summa Theologiae I, q. 1, a.10, ad 1m ""Omnes sensus fundantur super unum, scilicet litteralem, ex quo solo potest trahi argumentum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DEE ANDARE INNANZI,"deve essere il primo'. La priorità del primo senso sugli altri era dottrina comune a teologi come Alberto Magno e Tommaso (cfr. di Alberto, Summa Theologica sive de mirabili scientia Dei I, tr. I, q. 5, cap. 4 Sensus litteralis prius est et in ipso fundantur tres alii sensus spirituales"", ed. Kübel, p. 21, e di Tommaso, Summa Theologiae I, q. 1, a.10, ad 1m ""Omnes sensus fundantur super unum, scilicet litteralem, ex quo solo potest trahi argumentum"").","cfr. di Alberto, Summa Theologica sive de mirabili scientia Dei I, tr. I, q. 5, cap. 4 Sensus litteralis prius est et in ipso fundantur tres alii sensus spirituales"", ed. Kübel, p. 21""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_Theologica_sive_de_mirabili_scientia_Dei,Summa theologica sive de mirabili scientia Dei,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN CIASCUNA COSA ...,"in ogni produzione, sia essa opera della natura o dell'arte, è impossibile che si abbia luogo il processo di introduzione della forma (procedere alla forma"") se prima il sostrato che è fondamento della forma (""lo subietto sopra che la forma dee stare"") non si trova nella dovuta disposizione (""sanza prima esser disposto""). Dante applica al caso particolare del rapporto lettera-altri sensi la teoria aristotelica della generazione naturale (di cui quella artificiale è imitazione) come processo in cui una forma si unisce ad una materia precedente che le fa da sostrato (questo è il significato di ""subietto"", dal latino subiectum, esso stesso traduzione del greco ypokeimenon: che sta sotto) .Questo sostrato, che in sé sarebbe pura potenza, in ogni produzione deve assumere quelle effettive caratteristiche (di calore, umidità, durezza etc.) che sole rendono possibile l' unione con quel tipo di forma. Vengono portati due esempi: uno tratto dalla generazione naturale (l'oro), l'altro dalla produzione artificiale (l'arca): ciò che viene strutturato dalla forma dell'oro non può essere una materia qualsiasi: essa è invece il risultato di un lavoro di trasformazione che Dante chiama ""digestione"", in Aristotele termine generico indicante ogni tipo di cottura da parte del calore (cfr. Meteor. IV 2, 379 b 10-380 a 10), applicato specificamente alla produzione dei minerali da Alberto Magno (cfr. De mineralibus III, tr. 1, capp. 3 e 5, pp. 62-66 e la nota di B. Nardi in Nardi 1944, pp .61-65 che si riferisce anche alle teorie alchemiche). Solo quando questo tipo di sostrato sarà pronto e disponibile (""apparecchiata"") si genererà l'oro. In maniera diversa, ma analoga, nel fabbricare un mobile, non basta che il legno sia presente (""apparecchiato""), ma occorre che abbia alcune caratteristiche (""disposto""): ad esempio, esser già ridotto in tavole. Il linguaggio di Dante risulta qui del tutto debitore di quello della cultura universitaria: l'endiadi ""subietto-materia"" è frequentissima negli scritti dei magistri artium parigini, anzi è quasi la cifra di Boezio di Dacia (cfr. De aeternitate mundi, p. 350, ll. 401-402 ""Natura omnem suum effectum facit ex subiecto et materia""). Lo stesso esempio dell' arca (in sé termine del linguaggio quotidiano indicante un mobile tipico dell'arredamento medievale, la cassapanca) si trova spesso usato in contesti filosofici (cfr. ad esempio il Commento di Tommaso alla Metafisica di Aristotele, VIII, lectio 4, n. 1734 o il Commento di Bonaventura al secondo libro delle Sentenze, dist. I, pars I, a. 1, q. 1, p. 17) ) fin da quando i traduttori della Fisica aristotelica avevano usato archa per rendere in latino il greco kibotion (cfr. ad es. Phys. III 6, 207 a 10. Translatio Vetus, p 128, l. 13).","cfr. Meteor. IV 2, 379 b 10-380 a 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Meteorology_(Aristotle),Meteorologica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN CIASCUNA COSA ...,"in ogni produzione, sia essa opera della natura o dell'arte, è impossibile che si abbia luogo il processo di introduzione della forma (procedere alla forma"") se prima il sostrato che è fondamento della forma (""lo subietto sopra che la forma dee stare"") non si trova nella dovuta disposizione (""sanza prima esser disposto""). Dante applica al caso particolare del rapporto lettera-altri sensi la teoria aristotelica della generazione naturale (di cui quella artificiale è imitazione) come processo in cui una forma si unisce ad una materia precedente che le fa da sostrato (questo è il significato di ""subietto"", dal latino subiectum, esso stesso traduzione del greco ypokeimenon: che sta sotto) .Questo sostrato, che in sé sarebbe pura potenza, in ogni produzione deve assumere quelle effettive caratteristiche (di calore, umidità, durezza etc.) che sole rendono possibile l' unione con quel tipo di forma. Vengono portati due esempi: uno tratto dalla generazione naturale (l'oro), l'altro dalla produzione artificiale (l'arca): ciò che viene strutturato dalla forma dell'oro non può essere una materia qualsiasi: essa è invece il risultato di un lavoro di trasformazione che Dante chiama ""digestione"", in Aristotele termine generico indicante ogni tipo di cottura da parte del calore (cfr. Meteor. IV 2, 379 b 10-380 a 10), applicato specificamente alla produzione dei minerali da Alberto Magno (cfr. De mineralibus III, tr. 1, capp. 3 e 5, pp. 62-66 e la nota di B. Nardi in Nardi 1944, pp .61-65 che si riferisce anche alle teorie alchemiche). Solo quando questo tipo di sostrato sarà pronto e disponibile (""apparecchiata"") si genererà l'oro. In maniera diversa, ma analoga, nel fabbricare un mobile, non basta che il legno sia presente (""apparecchiato""), ma occorre che abbia alcune caratteristiche (""disposto""): ad esempio, esser già ridotto in tavole. Il linguaggio di Dante risulta qui del tutto debitore di quello della cultura universitaria: l'endiadi ""subietto-materia"" è frequentissima negli scritti dei magistri artium parigini, anzi è quasi la cifra di Boezio di Dacia (cfr. De aeternitate mundi, p. 350, ll. 401-402 ""Natura omnem suum effectum facit ex subiecto et materia""). Lo stesso esempio dell' arca (in sé termine del linguaggio quotidiano indicante un mobile tipico dell'arredamento medievale, la cassapanca) si trova spesso usato in contesti filosofici (cfr. ad esempio il Commento di Tommaso alla Metafisica di Aristotele, VIII, lectio 4, n. 1734 o il Commento di Bonaventura al secondo libro delle Sentenze, dist. I, pars I, a. 1, q. 1, p. 17) ) fin da quando i traduttori della Fisica aristotelica avevano usato archa per rendere in latino il greco kibotion (cfr. ad es. Phys. III 6, 207 a 10. Translatio Vetus, p 128, l. 13).","cfr. De mineralibus III, tr. 1, capp. 3 e 5, pp. 62-66",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_mineralibus,De mineralibus,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN CIASCUNA COSA ...,"in ogni produzione, sia essa opera della natura o dell'arte, è impossibile che si abbia luogo il processo di introduzione della forma (procedere alla forma"") se prima il sostrato che è fondamento della forma (""lo subietto sopra che la forma dee stare"") non si trova nella dovuta disposizione (""sanza prima esser disposto""). Dante applica al caso particolare del rapporto lettera-altri sensi la teoria aristotelica della generazione naturale (di cui quella artificiale è imitazione) come processo in cui una forma si unisce ad una materia precedente che le fa da sostrato (questo è il significato di ""subietto"", dal latino subiectum, esso stesso traduzione del greco ypokeimenon: che sta sotto) .Questo sostrato, che in sé sarebbe pura potenza, in ogni produzione deve assumere quelle effettive caratteristiche (di calore, umidità, durezza etc.) che sole rendono possibile l' unione con quel tipo di forma. Vengono portati due esempi: uno tratto dalla generazione naturale (l'oro), l'altro dalla produzione artificiale (l'arca): ciò che viene strutturato dalla forma dell'oro non può essere una materia qualsiasi: essa è invece il risultato di un lavoro di trasformazione che Dante chiama ""digestione"", in Aristotele termine generico indicante ogni tipo di cottura da parte del calore (cfr. Meteor. IV 2, 379 b 10-380 a 10), applicato specificamente alla produzione dei minerali da Alberto Magno (cfr. De mineralibus III, tr. 1, capp. 3 e 5, pp. 62-66 e la nota di B. Nardi in Nardi 1944, pp .61-65 che si riferisce anche alle teorie alchemiche). Solo quando questo tipo di sostrato sarà pronto e disponibile (""apparecchiata"") si genererà l'oro. In maniera diversa, ma analoga, nel fabbricare un mobile, non basta che il legno sia presente (""apparecchiato""), ma occorre che abbia alcune caratteristiche (""disposto""): ad esempio, esser già ridotto in tavole. Il linguaggio di Dante risulta qui del tutto debitore di quello della cultura universitaria: l'endiadi ""subietto-materia"" è frequentissima negli scritti dei magistri artium parigini, anzi è quasi la cifra di Boezio di Dacia (cfr. De aeternitate mundi, p. 350, ll. 401-402 ""Natura omnem suum effectum facit ex subiecto et materia""). Lo stesso esempio dell' arca (in sé termine del linguaggio quotidiano indicante un mobile tipico dell'arredamento medievale, la cassapanca) si trova spesso usato in contesti filosofici (cfr. ad esempio il Commento di Tommaso alla Metafisica di Aristotele, VIII, lectio 4, n. 1734 o il Commento di Bonaventura al secondo libro delle Sentenze, dist. I, pars I, a. 1, q. 1, p. 17) ) fin da quando i traduttori della Fisica aristotelica avevano usato archa per rendere in latino il greco kibotion (cfr. ad es. Phys. III 6, 207 a 10. Translatio Vetus, p 128, l. 13).","cfr. De aeternitate mundi, p. 350, ll. 401-402 ""Natura omnem suum effectum facit ex subiecto et materia""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_aeternitate_mundi,De aeternitate mundi,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN CIASCUNA COSA ...,"in ogni produzione, sia essa opera della natura o dell'arte, è impossibile che si abbia luogo il processo di introduzione della forma (procedere alla forma"") se prima il sostrato che è fondamento della forma (""lo subietto sopra che la forma dee stare"") non si trova nella dovuta disposizione (""sanza prima esser disposto""). Dante applica al caso particolare del rapporto lettera-altri sensi la teoria aristotelica della generazione naturale (di cui quella artificiale è imitazione) come processo in cui una forma si unisce ad una materia precedente che le fa da sostrato (questo è il significato di ""subietto"", dal latino subiectum, esso stesso traduzione del greco ypokeimenon: che sta sotto) .Questo sostrato, che in sé sarebbe pura potenza, in ogni produzione deve assumere quelle effettive caratteristiche (di calore, umidità, durezza etc.) che sole rendono possibile l' unione con quel tipo di forma. Vengono portati due esempi: uno tratto dalla generazione naturale (l'oro), l'altro dalla produzione artificiale (l'arca): ciò che viene strutturato dalla forma dell'oro non può essere una materia qualsiasi: essa è invece il risultato di un lavoro di trasformazione che Dante chiama ""digestione"", in Aristotele termine generico indicante ogni tipo di cottura da parte del calore (cfr. Meteor. IV 2, 379 b 10-380 a 10), applicato specificamente alla produzione dei minerali da Alberto Magno (cfr. De mineralibus III, tr. 1, capp. 3 e 5, pp. 62-66 e la nota di B. Nardi in Nardi 1944, pp .61-65 che si riferisce anche alle teorie alchemiche). Solo quando questo tipo di sostrato sarà pronto e disponibile (""apparecchiata"") si genererà l'oro. In maniera diversa, ma analoga, nel fabbricare un mobile, non basta che il legno sia presente (""apparecchiato""), ma occorre che abbia alcune caratteristiche (""disposto""): ad esempio, esser già ridotto in tavole. Il linguaggio di Dante risulta qui del tutto debitore di quello della cultura universitaria: l'endiadi ""subietto-materia"" è frequentissima negli scritti dei magistri artium parigini, anzi è quasi la cifra di Boezio di Dacia (cfr. De aeternitate mundi, p. 350, ll. 401-402 ""Natura omnem suum effectum facit ex subiecto et materia""). Lo stesso esempio dell' arca (in sé termine del linguaggio quotidiano indicante un mobile tipico dell'arredamento medievale, la cassapanca) si trova spesso usato in contesti filosofici (cfr. ad esempio il Commento di Tommaso alla Metafisica di Aristotele, VIII, lectio 4, n. 1734 o il Commento di Bonaventura al secondo libro delle Sentenze, dist. I, pars I, a. 1, q. 1, p. 17) ) fin da quando i traduttori della Fisica aristotelica avevano usato archa per rendere in latino il greco kibotion (cfr. ad es. Phys. III 6, 207 a 10. Translatio Vetus, p 128, l. 13).","VIII, lectio 4, n. 1734",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN CIASCUNA COSA ...,"in ogni produzione, sia essa opera della natura o dell'arte, è impossibile che si abbia luogo il processo di introduzione della forma (procedere alla forma"") se prima il sostrato che è fondamento della forma (""lo subietto sopra che la forma dee stare"") non si trova nella dovuta disposizione (""sanza prima esser disposto""). Dante applica al caso particolare del rapporto lettera-altri sensi la teoria aristotelica della generazione naturale (di cui quella artificiale è imitazione) come processo in cui una forma si unisce ad una materia precedente che le fa da sostrato (questo è il significato di ""subietto"", dal latino subiectum, esso stesso traduzione del greco ypokeimenon: che sta sotto) .Questo sostrato, che in sé sarebbe pura potenza, in ogni produzione deve assumere quelle effettive caratteristiche (di calore, umidità, durezza etc.) che sole rendono possibile l' unione con quel tipo di forma. Vengono portati due esempi: uno tratto dalla generazione naturale (l'oro), l'altro dalla produzione artificiale (l'arca): ciò che viene strutturato dalla forma dell'oro non può essere una materia qualsiasi: essa è invece il risultato di un lavoro di trasformazione che Dante chiama ""digestione"", in Aristotele termine generico indicante ogni tipo di cottura da parte del calore (cfr. Meteor. IV 2, 379 b 10-380 a 10), applicato specificamente alla produzione dei minerali da Alberto Magno (cfr. De mineralibus III, tr. 1, capp. 3 e 5, pp. 62-66 e la nota di B. Nardi in Nardi 1944, pp .61-65 che si riferisce anche alle teorie alchemiche). Solo quando questo tipo di sostrato sarà pronto e disponibile (""apparecchiata"") si genererà l'oro. In maniera diversa, ma analoga, nel fabbricare un mobile, non basta che il legno sia presente (""apparecchiato""), ma occorre che abbia alcune caratteristiche (""disposto""): ad esempio, esser già ridotto in tavole. Il linguaggio di Dante risulta qui del tutto debitore di quello della cultura universitaria: l'endiadi ""subietto-materia"" è frequentissima negli scritti dei magistri artium parigini, anzi è quasi la cifra di Boezio di Dacia (cfr. De aeternitate mundi, p. 350, ll. 401-402 ""Natura omnem suum effectum facit ex subiecto et materia""). Lo stesso esempio dell' arca (in sé termine del linguaggio quotidiano indicante un mobile tipico dell'arredamento medievale, la cassapanca) si trova spesso usato in contesti filosofici (cfr. ad esempio il Commento di Tommaso alla Metafisica di Aristotele, VIII, lectio 4, n. 1734 o il Commento di Bonaventura al secondo libro delle Sentenze, dist. I, pars I, a. 1, q. 1, p. 17) ) fin da quando i traduttori della Fisica aristotelica avevano usato archa per rendere in latino il greco kibotion (cfr. ad es. Phys. III 6, 207 a 10. Translatio Vetus, p 128, l. 13).","dist. I, pars I, a. 1, q. 1, p. 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_quattuor_libros_sententiaru_Magistri_Petri_Lombardi(Bonaventura),Commentaria in quattuor libros sententiarum,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO FONDAMENTO,"il fondamento da cui deve iniziare ogni processo produttivo, sia naturale che artificiale, è ovviamente diverso per ogni tipo di produzione. Dei due esempi portati da Dante, quello della casa si ritrova là dove Aristotele parla dei vari significati del termine principio"" (cfr. Metaph. V 1, 1013 a 4-5 ""Aliud unde primum generatur inexistente, ut ... domus fundamentum"" Recensio Guillelmi, p. 92, 8-9). J. Pépin ha presentato la storia della metafora del senso letterale come fondamento di tutto l'edificio esegetico, da Filone di Alessandria a Tommaso passando per il Didascalicon di Ugo di San Vittore (cfr. Pépin 1970, pp. 92-95). Nel passo già citato della Metafisica, è presente anche un'accenno al fondamento della scienza identificato con i postulati indimostrabili delle dimostrazioni (""Amplius, unde cognoscibilis res primum, et hoc principium dicitur rei, ut demonstrationum suppositiones"" 1013 a 14-16. Recensio Guillelmi, p. 92, ll. 16-18 ). Per Dante, invece, l'edificio della scienza si costruisce sulle dimostrazioni stesse (""con ciò sia cosa che 'l dimostrare sia edificazione di scienza""). Nella premessa maggiore ed in quella minore del sillogismo qui usato da Dante, però, i termini non hanno il medesimo significato: nella prima dimostrare è inteso in senso stretto (la scienza si costruisce attraverso sillogismi dimonstrativi), nella seconda la ""litterale demonstrazione"" è un'esegesi della lettera del testo piuttosto che una dimostrazione scientifica (nel paragrafo 14, infatti, si parlerà di ""dimostrare i sensi"").","cfr. Metaph. V 1, 1013 a 4-5 ""Aliud unde primum generatur inexistente, ut ... domus fundamentum"" Recensio Guillelmi, p. 92, 8-9""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ONDE ... INNATA,"Dante, citandolo espressamente, parafrasa l'inizio della Fisica aristotelica Necesse ... procedere ex incertioribus nature, nobis autem certioribus, in certiora nature et notiora ... Innata... est ex notioribus nobis via et certioribus in certiora nature et notiora (I, 1, 184 a 16-21. Translatio Vetus, p. 7, ll. 8-13).","Necesse ... procedere ex incertioribus nature, nobis autem certioribus, in certiora nature et notiora ... Innata... est ex notioribus nobis via et certioribus in certiora nature et notiora (I, 1, 184 a 16-21. Translatio Vetus, p. 7, ll. 8-13)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO CHE LA STELLA DI VENERE,"l'intervallo di tempo tra la morte di Beatrice (8 giugno 1290) e l'apparizione della 'donna gentile' già ricordata nella Vita Nova (24 sgg.) viene indicato in modo indiretto, attraverso una di quelle complesse immagini astronomiche, anch'esse presenti nella Vita Nova e che tanto spazio avranno nella Commedia: il pianeta Venere due volte (due fiate"") aveva compiuto quella rivoluzione (""rivolta era in quello suo cerchio"") che la rende visibile (""la fa parere"") alla sera, appena dopo il tramonto (""serotina"") e al mattino, poco prima dell'alba (""matutina""). La rivoluzione intorno alla terra descritta dall'astro non si svolge lungo un circolo semplice: nella astronomia tolemaica Venere si muove contemporaneamente secondo due movimenti circolari: il primo, attorno alla terra, lungo un circolo leggermente eccentrico (deferente), il secondo lungo un circolo più piccolo (epiciclo) che tocca un punto del deferente e che quindi partecipa del moto del deferente (come Dante dirà in Cv II iii 17-18, la stella si trova materialmente sul ""dosso"" del cerchio piccolo). La combinazione dei due movimenti rende ragione delle complesse posizioni del pianeta che sembra oscillare ora a destra (oriente) ora a sinistra (occidente) del sole sull'eclittica, comparendo poco prima dell'alba (Lucifero) e poco dopo il tramonto (Espero). Il ""cerchio"" di cui qui parla Dante è appunto l'epiciclo e poiché per questa sua specifica rivoluzione Venere impiega 584 giorni, il tempo intercorso sarà stato di 1168 giorni, cioè di tre anni (di cui uno, il 1292, bisestile) e 72 giorni solari. Dante conosceva la durata del periodo di Venere dal Liber aggregationum stellarum, o più semplicemente del Liber aggregationis, composto dall' astronomo arabo Al-Farghani (Alfraganus) nel IX secolo, tradotto in latino nel XII prima da Giovanni Ispano (Johannes Hispalensis) e poi da Gerardo da Cremona. Si tratta di un testo di geografia astronomica che Dante utilizzerà ampiamente per tutto quanto riguarda le misure e le distanze sia astronomiche che specificamente terrestri (cfr. Cv II iii 10; III v 10; IV viii 7 e Toynbee, pp. 64-77). La scelta, per la datazione, di Venere e del suo periodo è evidentemente collegata alla canzone che si rivolge appunto ai motori del ""bel pianeta che d'amar conforta"" (Pg I 19).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +TEMPO ALCUNO E NUDRIMENTO DI PENSIERI,"che l' amore, a differenza della benivolentia, non sia dato tutto in un attimo, ma necessiti di tempo per crescere e raggiungere la perfezione è dottrina sia di Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX, 5, 1166 b 34-35 et amacio quidem cum consuetudine, benivolencia autem et ex repentino"". Translatio Grosseteste. Textus purus, ll. 9-10) che di Tommaso nel suo Commento all' Etica IX, lectio 5, n. 1823 ""Importat ... amatio ...quemdam vehementem impetum animi. Non autem consuevit animus statim vehementer ad aliquid moveri, sed paulatim ad maius perducitur""). In essi non troviamo però traccia del ""nutrimento di pensieri"".","cfr. Eth. Nic. IX, 5, 1166 b 34-35 et amacio quidem cum consuetudine, benivolencia autem et ex repentino"". Translatio Grosseteste. Textus purus, ll. 9-10""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TEMPO ALCUNO E NUDRIMENTO DI PENSIERI,"che l' amore, a differenza della benivolentia, non sia dato tutto in un attimo, ma necessiti di tempo per crescere e raggiungere la perfezione è dottrina sia di Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX, 5, 1166 b 34-35 et amacio quidem cum consuetudine, benivolencia autem et ex repentino"". Translatio Grosseteste. Textus purus, ll. 9-10) che di Tommaso nel suo Commento all' Etica IX, lectio 5, n. 1823 ""Importat ... amatio ...quemdam vehementem impetum animi. Non autem consuevit animus statim vehementer ad aliquid moveri, sed paulatim ad maius perducitur""). In essi non troviamo però traccia del ""nutrimento di pensieri"".","Commento all' Etica IX, lectio 5, n. 1823 ""Importat ... amatio ...quemdam vehementem impetum animi. Non autem consuevit animus statim vehementer ad aliquid moveri, sed paulatim ad maius perducitur""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DALLA PARTE [DELLA VISTA],"nella metafora del castello assediato, la parte della vista è il davanti. L'integrazione dalla vista"" dopo ""dalla parte"" è sicuramente da preferire a quella ""dalla memoria"" proposta dalla edizione Simonelli ed accettata da Inglese nel suo Commento: non sembra infatti plausibile una memoria protesa sul ""dinanzi"". Anche nelle localizzazioni delle facoltà mentali trasmesse alla cultura latina dall'opera di Avicenna la memoria ""est in posteriore parte cerebri"", mentre l'immaginazione, su cui, insieme alla vista, si fonda la nascita di amore, ""est in fronte, in anteriore parte cerebri"" (cfr. Alberto Magno, De memoria et reminiscentia tr. 1, cap. 1, p. 99). Già nella canzone La dispietata mente Dante aveva scritto ""La dispietata mente (=memoria), che pur mira / di retro al tempo che se n'è andato / da l'un de' lati mi combatte il core"". Più difficile il caso di ""comento quello che"" testo trasmesso da tutta tradizione manoscritta: per l'inaccettabile ""comento"" numerose sono state le proposte di correzione, da 'comente' (dialettale, per ""come"": come quello che, lezione accettata dal Commento Inglese) a 'com'era' (Simonelli) fino all'edizione Brambilla Ageno che suggerisce di leggere l'intera espressione come 'comendante quella'. Nessuna mi sembra soddisfacente in quanto tutte sembrano attribuire al pensiero nutrito dalla memoria l'atto di impedire ""a dare dietro il volto"" (di mantenersi cioè volti verso il passato ) che invece può essere opera solo del pensiero nutrito dalla vista. Accolgo dunque la proposta ""contro quello"" del Commento Busnelli che rende abbastanza coerente la metafora militare: il pensiero assediante riceveva continuamente rinforzi dalla vista (""lo soccorso dinanzi""), il pensiero assediato dalla memoria, ma il combattimento era impari perché il primo poteva ricevere rinforzi in maniera indefinita e in misura sempre maggiore; il secondo (""l'altro"") non poteva farlo proprio perché in lotta contro un avversario capace di impedirgli di volgere l'attenzione dal presente al passato.","tr. 1, cap. 1, p. 99",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_memoria_et_reminiscentia(Alberto_Magno),De memoria et reminiscentia (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN QUELLO DELLI ANIMALI,"calco dal latino 'in illo' (sottinteso: libro). Si rimanda qui ad un celebre passo del De partibus animalium I, 5, 644 b 31-35 (nella trasmissione araba del Corpus aristotelicum e quindi nella traduzione latina di Michele Scoto i trattati della Historia animalium, del De partibus animalium e del De generatione animalium erano stati riuniti sotto un solo titolo, il De animalibus, appunto) Hec quidem enim , etsi secundum modicum attingamus, tamen … delectabilius quam que apud nos omnia, quemadmodum et amatorum quamcumque et modicam particulam considerare delectabilius est quam multa alia et magna per certitudinem videre"". Il brano era già stato ampiamente utilizzato nella produzione filosofica e teologica del XIII secolo; per questo concorderei con Boyde nel ritenere che Dante lo citi di seconda mano, attraverso la parafrasi che Tommaso ne fa nella Summa contra Gentiles I, cap. 5, n. 32: ""Unde in XI de Animalibus dicit quod quamvis parum sit quod de substantiis superioribus percipimus, tamen illud modicum est magis amatum et desideratum omni cognitione quam de substantiis inferioribus habemus"" (Boyde 1984, p. 103, nota 35).","I, 5, 644 b 31-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_partibus_animalium,De animalibus (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN QUELLO DELLI ANIMALI,"calco dal latino 'in illo' (sottinteso: libro). Si rimanda qui ad un celebre passo del De partibus animalium I, 5, 644 b 31-35 (nella trasmissione araba del Corpus aristotelicum e quindi nella traduzione latina di Michele Scoto i trattati della Historia animalium, del De partibus animalium e del De generatione animalium erano stati riuniti sotto un solo titolo, il De animalibus, appunto) Hec quidem enim , etsi secundum modicum attingamus, tamen … delectabilius quam que apud nos omnia, quemadmodum et amatorum quamcumque et modicam particulam considerare delectabilius est quam multa alia et magna per certitudinem videre"". Il brano era già stato ampiamente utilizzato nella produzione filosofica e teologica del XIII secolo; per questo concorderei con Boyde nel ritenere che Dante lo citi di seconda mano, attraverso la parafrasi che Tommaso ne fa nella Summa contra Gentiles I, cap. 5, n. 32: ""Unde in XI de Animalibus dicit quod quamvis parum sit quod de substantiis superioribus percipimus, tamen illud modicum est magis amatum et desideratum omni cognitione quam de substantiis inferioribus habemus"" (Boyde 1984, p. 103, nota 35).","I, cap. 5, n. 32: ""Unde in XI de Animalibus dicit quod quamvis parum sit quod de substantiis superioribus percipimus, tamen illud modicum est magis amatum et desideratum omni cognitione quam de substantiis inferioribus habemus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL SECONDO ... DE' LIBRI NATURALI,"il De caelo (che nella tradizione araba è intitolato De caelo et mundo) nella classificazione delle scienze naturali, e quindi dei libri corrispondenti, (i Libri naturales) era appunto il secondo, dopo la Fisica in senso stretto e prima del De generatione.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SENTENZA COSÌ ERRONEA,"opinione errata'. Gli errori aristotelici segnalati da Dante non si trovano letteralmente nel testo citato. Ad essi fanno invece riferimento i commenti di Averroè e di Alberto Magno, sottolineando come essi siano dipesi da quelli degli astronomi contemporanei dello Stagirita. Cfr. Averroè, De caelo et mundo II, c. 58, f. 137 F Hoc significat, quod astrologi dixerunt in suo tempore, quod sol erat supra lunam et Venus et Mercurius supra solem""; Alberto Magno, De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 15-22 ""Et de numero quidem omnes antiqui usque ad tempora Ptolomaei consensisse videntur, quod spherae fuerint octo quarum superior sit sphaera stellarum fixarum et secunda Saturni, et tertia Iovis, et quarta Martis, quinta autem Veneris et sexta Mercurii, et septima solis et octava lunae"" (in questo caso i cieli sono numerati a partire dal più esterno)","II, c. 58, f. 137 F Hoc significat, quod astrologi dixerunt in suo tempore, quod sol erat supra lunam et Venus et Mercurius supra solem""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo_et_mundo(Averroè),De caelo et mundo,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SENTENZA COSÌ ERRONEA,"opinione errata'. Gli errori aristotelici segnalati da Dante non si trovano letteralmente nel testo citato. Ad essi fanno invece riferimento i commenti di Averroè e di Alberto Magno, sottolineando come essi siano dipesi da quelli degli astronomi contemporanei dello Stagirita. Cfr. Averroè, De caelo et mundo II, c. 58, f. 137 F Hoc significat, quod astrologi dixerunt in suo tempore, quod sol erat supra lunam et Venus et Mercurius supra solem""; Alberto Magno, De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 15-22 ""Et de numero quidem omnes antiqui usque ad tempora Ptolomaei consensisse videntur, quod spherae fuerint octo quarum superior sit sphaera stellarum fixarum et secunda Saturni, et tertia Iovis, et quarta Martis, quinta autem Veneris et sexta Mercurii, et septima solis et octava lunae"" (in questo caso i cieli sono numerati a partire dal più esterno)","II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 15-22 ""Et de numero quidem omnes antiqui usque ad tempora Ptolomaei consensisse videntur, quod spherae fuerint octo quarum superior sit sphaera stellarum fixarum et secunda Saturni, et tertia Iovis, et quarta Martis, quinta autem Veneris et sexta Mercurii, et septima solis et octava lunae"" """,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DOVE MOSTRA ... PARLARE,"'dove mostra chiaramente di essersi limitato a seguire il parere degli altri (cioè degli astronomi) quando aveva avuto bisogno di parlare di astronomia'. Cfr. Metaph. XII 8, 1073 b 2-8 dove Aristotele si affida effettivamente all'astronomia per quanto riguarda la determinazione del numero dei movimenti celesti (e quindi dei cieli), affermando però che essi sono in numero assai maggiore dei corpi mossi, ed assegnando ad ogni astro un determinato numero di sfere che nel totale supera di molto quello di otto. Nella semplificazione operata da Dante (ed in genere dai non specialisti di astronomia) il sistema di sfere collegate ad ogni pianeta costituisce un'unità (il cielo di ...). Per una consapevolezza del problema vedi però il paragrafo 17 di questo capitolo. Che la verità venga in genere trovata solo dopo una storia di tentativi erronei, ma meritori, è dottrina di Aristotele (cfr. Metaph. II 1, 993 b 11-19) che qui viene applicata alle dottrine stesse dello Stagirita.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TOLOMEO ... PUOSE,"la correzione apportata da Tolomeo ad Aristotele ha come punto di partenza una più accurata osservazione astronomica per cui il cielo delle stelle fisse risulta soggetto ad altri movimenti oltre quello di rotazione diurna da oriente ad occidente (accorgendosi che l'ottava spera si movea per più movimenti""). Dante non specifica qui quali siano questi movimenti limitandosi a notare che Tolomeo aveva visto come il cerchio descritto dall'ottava sfera non coincidesse perfettamente (""veggendo lo cerchio suo partire"") con quello di una rotazione diurna semplice (""dallo diritto cerchio che volge tutto da oriente ad occidente""). Si tratta di un movimento assai lento (un grado ogni cento anni) lungo l'eclittica, da occidente ad oriente (analogo quindi a quello dei pianeti), ipotizzato per spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi (cfr. il Commento di Tommaso al De caelo II, lectio 17, n. 457 "" Est autem hic considerandum quod tempore Aristotelis nondum erat deprehensus motus stellarum fixarum, quas Ptolomaeus ponit moveri ab occidente in orientem super polos Zodiaci quibuslibet centum annis gradu uno, ita quod tota revolutio earum compleatur in triginta sex millibus annorum"". Di esso Dante parlerà più esplicitamente in Cv II xiv 1). L'esistenza di questo ulteriore movimento fece ipotizzare da parte di Tolomeo l'esistenza di un altro cielo esterno (""fuori"") a quello delle stelle fisse (""lo Stellato""). Che il grande astronomo di età imperiale avesse corretto Aristotele per quanto riguarda il numero dei cieli era opinione sostenuta già da Averroè (cfr. De caelo et mundo II, c. 67, ed. cit, f. 144 D) e condivisa da Alberto Magno (cfr. De caelo et mundo II, tr.3, cap.2, pp. 166-167) ma i passi portati dai commenti di Vasoli e di Ricklin non presentano specifici riscontri testuali con le affermazioni del Convivio. In realtà Tolomeo, così come lo leggeva Alberto approvandone la soluzione, aggiungeva non uno, ma due cieli: il primo che spiegasse il movimento delle stelle da occidente ad oriente, il secondo che spiegasse il loro volgersi diurno da oriente ad occidente. Dante, che, come vedremo, interpreterà il sistema di Tolomeo come un sistema fisico, attribuisce una motivazione filosofica alla correzione da lui apportata (""costretto dalli principi di filosofia""). In questo egli concorda di nuovo con Alberto: cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, pp. 166-167 ""Ptolemaei autem sententia, secundum quod ego possum intelligere, est quod decem sint orbes caelorum, et ratio sua physica est, non mathematica. Supponit enim id quo probatum est in secundo Philosophiae primae Aristotelis, quod videlicet omne quod est in multis per rationem unam existens in illis est in aliquo priore illis quod est causa omnium illorum"". Ma la motivazione filosofica specifica presentata dal Convivio, che necessariamente il primo mobile deve essere semplicissimo (e quindi avere un solo movimento) è attribuita da Alberto non a Tolomeo, bensì ad Alpetragio, cioè all'astronomo andaluso Al-Bitruji, autore del De motibus caelorum (tradotto due volte in latino da Michele Scoto nel 1217 e da Kalonymus ibn David nel 1258). Alpetragio, per altro, viene presentato come sostenitore dell'esistenza di nove sfere (Cfr. De coelo et mundo, loc. cit.). Con tutta probabilità Dante, che conosceva direttamente la parafrasi di Alberto (cfr. la nota a Cv II iii 6) ha contaminato i due testi e del resto anche Averroè aveva attribuito a Tolomeo l'aggiunta di un solo cielo a quelli aristotelici, il nono appunto. Come nota il Nardi (cfr. Nardi 1967, pp. 155-6) la necessità che il primo mobile, cioè il cielo ultimo che contiene tutti gli altri trasmettendo loro il moto diurno, sia semplicissimo è riconducibile in generale all'assioma neoplatonico che pone il semplice prima del complesso, l'uno prima del molteplice; ma se semplicissimo vuol dire qui dotato di un solo movimento si tratta di una esigenza propria anche della Fisica aristotelica: il movimento circolare del cielo mosso dal Motore primo deve essere uniforme ed unico (cfr. Phys. VIII 10, 259 a 1 sgg .).","II, c. 67, ed. cit, f. 144 D",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo_et_mundo(Averroè),De caelo et mundo,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TOLOMEO ... PUOSE,"la correzione apportata da Tolomeo ad Aristotele ha come punto di partenza una più accurata osservazione astronomica per cui il cielo delle stelle fisse risulta soggetto ad altri movimenti oltre quello di rotazione diurna da oriente ad occidente (accorgendosi che l'ottava spera si movea per più movimenti""). Dante non specifica qui quali siano questi movimenti limitandosi a notare che Tolomeo aveva visto come il cerchio descritto dall'ottava sfera non coincidesse perfettamente (""veggendo lo cerchio suo partire"") con quello di una rotazione diurna semplice (""dallo diritto cerchio che volge tutto da oriente ad occidente""). Si tratta di un movimento assai lento (un grado ogni cento anni) lungo l'eclittica, da occidente ad oriente (analogo quindi a quello dei pianeti), ipotizzato per spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi (cfr. il Commento di Tommaso al De caelo II, lectio 17, n. 457 "" Est autem hic considerandum quod tempore Aristotelis nondum erat deprehensus motus stellarum fixarum, quas Ptolomaeus ponit moveri ab occidente in orientem super polos Zodiaci quibuslibet centum annis gradu uno, ita quod tota revolutio earum compleatur in triginta sex millibus annorum"". Di esso Dante parlerà più esplicitamente in Cv II xiv 1). L'esistenza di questo ulteriore movimento fece ipotizzare da parte di Tolomeo l'esistenza di un altro cielo esterno (""fuori"") a quello delle stelle fisse (""lo Stellato""). Che il grande astronomo di età imperiale avesse corretto Aristotele per quanto riguarda il numero dei cieli era opinione sostenuta già da Averroè (cfr. De caelo et mundo II, c. 67, ed. cit, f. 144 D) e condivisa da Alberto Magno (cfr. De caelo et mundo II, tr.3, cap.2, pp. 166-167) ma i passi portati dai commenti di Vasoli e di Ricklin non presentano specifici riscontri testuali con le affermazioni del Convivio. In realtà Tolomeo, così come lo leggeva Alberto approvandone la soluzione, aggiungeva non uno, ma due cieli: il primo che spiegasse il movimento delle stelle da occidente ad oriente, il secondo che spiegasse il loro volgersi diurno da oriente ad occidente. Dante, che, come vedremo, interpreterà il sistema di Tolomeo come un sistema fisico, attribuisce una motivazione filosofica alla correzione da lui apportata (""costretto dalli principi di filosofia""). In questo egli concorda di nuovo con Alberto: cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, pp. 166-167 ""Ptolemaei autem sententia, secundum quod ego possum intelligere, est quod decem sint orbes caelorum, et ratio sua physica est, non mathematica. Supponit enim id quo probatum est in secundo Philosophiae primae Aristotelis, quod videlicet omne quod est in multis per rationem unam existens in illis est in aliquo priore illis quod est causa omnium illorum"". Ma la motivazione filosofica specifica presentata dal Convivio, che necessariamente il primo mobile deve essere semplicissimo (e quindi avere un solo movimento) è attribuita da Alberto non a Tolomeo, bensì ad Alpetragio, cioè all'astronomo andaluso Al-Bitruji, autore del De motibus caelorum (tradotto due volte in latino da Michele Scoto nel 1217 e da Kalonymus ibn David nel 1258). Alpetragio, per altro, viene presentato come sostenitore dell'esistenza di nove sfere (Cfr. De coelo et mundo, loc. cit.). Con tutta probabilità Dante, che conosceva direttamente la parafrasi di Alberto (cfr. la nota a Cv II iii 6) ha contaminato i due testi e del resto anche Averroè aveva attribuito a Tolomeo l'aggiunta di un solo cielo a quelli aristotelici, il nono appunto. Come nota il Nardi (cfr. Nardi 1967, pp. 155-6) la necessità che il primo mobile, cioè il cielo ultimo che contiene tutti gli altri trasmettendo loro il moto diurno, sia semplicissimo è riconducibile in generale all'assioma neoplatonico che pone il semplice prima del complesso, l'uno prima del molteplice; ma se semplicissimo vuol dire qui dotato di un solo movimento si tratta di una esigenza propria anche della Fisica aristotelica: il movimento circolare del cielo mosso dal Motore primo deve essere uniforme ed unico (cfr. Phys. VIII 10, 259 a 1 sgg .).","II, tr.3, cap.2, pp. 166-167",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TOLOMEO ... PUOSE,"la correzione apportata da Tolomeo ad Aristotele ha come punto di partenza una più accurata osservazione astronomica per cui il cielo delle stelle fisse risulta soggetto ad altri movimenti oltre quello di rotazione diurna da oriente ad occidente (accorgendosi che l'ottava spera si movea per più movimenti""). Dante non specifica qui quali siano questi movimenti limitandosi a notare che Tolomeo aveva visto come il cerchio descritto dall'ottava sfera non coincidesse perfettamente (""veggendo lo cerchio suo partire"") con quello di una rotazione diurna semplice (""dallo diritto cerchio che volge tutto da oriente ad occidente""). Si tratta di un movimento assai lento (un grado ogni cento anni) lungo l'eclittica, da occidente ad oriente (analogo quindi a quello dei pianeti), ipotizzato per spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi (cfr. il Commento di Tommaso al De caelo II, lectio 17, n. 457 "" Est autem hic considerandum quod tempore Aristotelis nondum erat deprehensus motus stellarum fixarum, quas Ptolomaeus ponit moveri ab occidente in orientem super polos Zodiaci quibuslibet centum annis gradu uno, ita quod tota revolutio earum compleatur in triginta sex millibus annorum"". Di esso Dante parlerà più esplicitamente in Cv II xiv 1). L'esistenza di questo ulteriore movimento fece ipotizzare da parte di Tolomeo l'esistenza di un altro cielo esterno (""fuori"") a quello delle stelle fisse (""lo Stellato""). Che il grande astronomo di età imperiale avesse corretto Aristotele per quanto riguarda il numero dei cieli era opinione sostenuta già da Averroè (cfr. De caelo et mundo II, c. 67, ed. cit, f. 144 D) e condivisa da Alberto Magno (cfr. De caelo et mundo II, tr.3, cap.2, pp. 166-167) ma i passi portati dai commenti di Vasoli e di Ricklin non presentano specifici riscontri testuali con le affermazioni del Convivio. In realtà Tolomeo, così come lo leggeva Alberto approvandone la soluzione, aggiungeva non uno, ma due cieli: il primo che spiegasse il movimento delle stelle da occidente ad oriente, il secondo che spiegasse il loro volgersi diurno da oriente ad occidente. Dante, che, come vedremo, interpreterà il sistema di Tolomeo come un sistema fisico, attribuisce una motivazione filosofica alla correzione da lui apportata (""costretto dalli principi di filosofia""). In questo egli concorda di nuovo con Alberto: cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, pp. 166-167 ""Ptolemaei autem sententia, secundum quod ego possum intelligere, est quod decem sint orbes caelorum, et ratio sua physica est, non mathematica. Supponit enim id quo probatum est in secundo Philosophiae primae Aristotelis, quod videlicet omne quod est in multis per rationem unam existens in illis est in aliquo priore illis quod est causa omnium illorum"". Ma la motivazione filosofica specifica presentata dal Convivio, che necessariamente il primo mobile deve essere semplicissimo (e quindi avere un solo movimento) è attribuita da Alberto non a Tolomeo, bensì ad Alpetragio, cioè all'astronomo andaluso Al-Bitruji, autore del De motibus caelorum (tradotto due volte in latino da Michele Scoto nel 1217 e da Kalonymus ibn David nel 1258). Alpetragio, per altro, viene presentato come sostenitore dell'esistenza di nove sfere (Cfr. De coelo et mundo, loc. cit.). Con tutta probabilità Dante, che conosceva direttamente la parafrasi di Alberto (cfr. la nota a Cv II iii 6) ha contaminato i due testi e del resto anche Averroè aveva attribuito a Tolomeo l'aggiunta di un solo cielo a quelli aristotelici, il nono appunto. Come nota il Nardi (cfr. Nardi 1967, pp. 155-6) la necessità che il primo mobile, cioè il cielo ultimo che contiene tutti gli altri trasmettendo loro il moto diurno, sia semplicissimo è riconducibile in generale all'assioma neoplatonico che pone il semplice prima del complesso, l'uno prima del molteplice; ma se semplicissimo vuol dire qui dotato di un solo movimento si tratta di una esigenza propria anche della Fisica aristotelica: il movimento circolare del cielo mosso dal Motore primo deve essere uniforme ed unico (cfr. Phys. VIII 10, 259 a 1 sgg .).","II, lectio 17, n. 457 "" Est autem hic considerandum quod tempore Aristotelis nondum erat deprehensus motus stellarum fixarum, quas Ptolomaeus ponit moveri ab occidente in orientem super polos Zodiaci quibuslibet centum annis gradu uno, ita quod tota revolutio earum compleatur in triginta sex millibus annorum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_libros_Aristotelis_De_caelo_et_mundo_expositio(Tommaso),In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TOLOMEO ... PUOSE,"la correzione apportata da Tolomeo ad Aristotele ha come punto di partenza una più accurata osservazione astronomica per cui il cielo delle stelle fisse risulta soggetto ad altri movimenti oltre quello di rotazione diurna da oriente ad occidente (accorgendosi che l'ottava spera si movea per più movimenti""). Dante non specifica qui quali siano questi movimenti limitandosi a notare che Tolomeo aveva visto come il cerchio descritto dall'ottava sfera non coincidesse perfettamente (""veggendo lo cerchio suo partire"") con quello di una rotazione diurna semplice (""dallo diritto cerchio che volge tutto da oriente ad occidente""). Si tratta di un movimento assai lento (un grado ogni cento anni) lungo l'eclittica, da occidente ad oriente (analogo quindi a quello dei pianeti), ipotizzato per spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi (cfr. il Commento di Tommaso al De caelo II, lectio 17, n. 457 "" Est autem hic considerandum quod tempore Aristotelis nondum erat deprehensus motus stellarum fixarum, quas Ptolomaeus ponit moveri ab occidente in orientem super polos Zodiaci quibuslibet centum annis gradu uno, ita quod tota revolutio earum compleatur in triginta sex millibus annorum"". Di esso Dante parlerà più esplicitamente in Cv II xiv 1). L'esistenza di questo ulteriore movimento fece ipotizzare da parte di Tolomeo l'esistenza di un altro cielo esterno (""fuori"") a quello delle stelle fisse (""lo Stellato""). Che il grande astronomo di età imperiale avesse corretto Aristotele per quanto riguarda il numero dei cieli era opinione sostenuta già da Averroè (cfr. De caelo et mundo II, c. 67, ed. cit, f. 144 D) e condivisa da Alberto Magno (cfr. De caelo et mundo II, tr.3, cap.2, pp. 166-167) ma i passi portati dai commenti di Vasoli e di Ricklin non presentano specifici riscontri testuali con le affermazioni del Convivio. In realtà Tolomeo, così come lo leggeva Alberto approvandone la soluzione, aggiungeva non uno, ma due cieli: il primo che spiegasse il movimento delle stelle da occidente ad oriente, il secondo che spiegasse il loro volgersi diurno da oriente ad occidente. Dante, che, come vedremo, interpreterà il sistema di Tolomeo come un sistema fisico, attribuisce una motivazione filosofica alla correzione da lui apportata (""costretto dalli principi di filosofia""). In questo egli concorda di nuovo con Alberto: cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, pp. 166-167 ""Ptolemaei autem sententia, secundum quod ego possum intelligere, est quod decem sint orbes caelorum, et ratio sua physica est, non mathematica. Supponit enim id quo probatum est in secundo Philosophiae primae Aristotelis, quod videlicet omne quod est in multis per rationem unam existens in illis est in aliquo priore illis quod est causa omnium illorum"". Ma la motivazione filosofica specifica presentata dal Convivio, che necessariamente il primo mobile deve essere semplicissimo (e quindi avere un solo movimento) è attribuita da Alberto non a Tolomeo, bensì ad Alpetragio, cioè all'astronomo andaluso Al-Bitruji, autore del De motibus caelorum (tradotto due volte in latino da Michele Scoto nel 1217 e da Kalonymus ibn David nel 1258). Alpetragio, per altro, viene presentato come sostenitore dell'esistenza di nove sfere (Cfr. De coelo et mundo, loc. cit.). Con tutta probabilità Dante, che conosceva direttamente la parafrasi di Alberto (cfr. la nota a Cv II iii 6) ha contaminato i due testi e del resto anche Averroè aveva attribuito a Tolomeo l'aggiunta di un solo cielo a quelli aristotelici, il nono appunto. Come nota il Nardi (cfr. Nardi 1967, pp. 155-6) la necessità che il primo mobile, cioè il cielo ultimo che contiene tutti gli altri trasmettendo loro il moto diurno, sia semplicissimo è riconducibile in generale all'assioma neoplatonico che pone il semplice prima del complesso, l'uno prima del molteplice; ma se semplicissimo vuol dire qui dotato di un solo movimento si tratta di una esigenza propria anche della Fisica aristotelica: il movimento circolare del cielo mosso dal Motore primo deve essere uniforme ed unico (cfr. Phys. VIII 10, 259 a 1 sgg .).","VIII 10, 259 a 1 sgg .",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LO SITO ... RAGIONEVOLMENTE È VEDUTO,"la posizione reciproca (sito"") dei nove cieli, numero ora comunemente accettato (""secondo che si tiene"") dalla astronomia e dalla filosofia (in questo caso dalla filosofia naturale), è stata decisa in maniera chiara (""manifesto e diterminato"") e questo grazie alla scienza ottica (""perspettiva""), all'aritmetica (""arismetrica"") e alla geometria che lo hanno colto (""veduto"") sia attraverso l'osservazione sensibile, sia attraverso una dimostrazione razionale (l'endiadi ""sensibilmente e ragionevolmente"" anticipa in qualche modo le 'necessarie dimostrazioni' e le 'sensate esperienze' di Galileo. Ma già Alberto Magno, nella parafrasi della Metafisica XI (= XII), tr. 2, cap.. 22, p. 501, ll. 45-48 aveva scritto ""Astrologia ... tale motus ex tribus investigat, ex visu videlicet et ratione et instrumentis""). Il termine ""perspettiva"" è un calco del corrispondente latino perspectiva che a sua volta rende il greco optiké, la nostra ottica appunto. Già considerata da Aristotele come una scienza mista di matematica e di fisica, e quindi la più adatta a combinare esperienza e dimostrazione razionale (cfr. An. Post. I 7, 75 b 14-17; Phys. II 2, 194 a 7-12) era stata sviluppata da Tolomeo e nel mondo dell'Islam aveva registrato sostanziali progressi con trattati come il De radiis di Al-Kindi e il De aspectibus di Alhazen (testi tutti tradotti in latino verso la fine del XII secolo). Nel XIII secolo autori latini come Witelo (uno scienziato polacco attivo in Italia presso la corte papale), e Giovanni Pecham (un francescano, prima maestro di teologia a Parigi e poi arcivescovo di Canterbury) avevano a loro volta composto trattati di perspectiva che esponevano una teoria dei raggi visuali e in genere di quelli luminosi (leggi della riflessione e della rifrazione) su cui si basavano le misurazioni trigonometriche delle distanze degli astri dalla terra e fra loro. La ""perspettiva"" inoltre conteneva anche una teoria fisica della sensazione visiva, mutuata da Aristotele, ed una sua spiegazione in termini fisiologici derivata da Galeno. Sulle caratteristiche di questa scienza al tempo di Dante e sul diverso posto che i perspectivisti e gli aristotelici puri le assegnavano nel sistema del sapere vedi Gilson 2000.","XI (= XII), tr. 2, cap.. 22, p. 501, ll. 45-48. ""Astrologia ... tale motus ex tribus investigat, ex visu videlicet et ratione et instrumentis""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Metaphysicorum(Alberto_Magno),Metaphysicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO SITO ... RAGIONEVOLMENTE È VEDUTO,"la posizione reciproca (sito"") dei nove cieli, numero ora comunemente accettato (""secondo che si tiene"") dalla astronomia e dalla filosofia (in questo caso dalla filosofia naturale), è stata decisa in maniera chiara (""manifesto e diterminato"") e questo grazie alla scienza ottica (""perspettiva""), all'aritmetica (""arismetrica"") e alla geometria che lo hanno colto (""veduto"") sia attraverso l'osservazione sensibile, sia attraverso una dimostrazione razionale (l'endiadi ""sensibilmente e ragionevolmente"" anticipa in qualche modo le 'necessarie dimostrazioni' e le 'sensate esperienze' di Galileo. Ma già Alberto Magno, nella parafrasi della Metafisica XI (= XII), tr. 2, cap.. 22, p. 501, ll. 45-48 aveva scritto ""Astrologia ... tale motus ex tribus investigat, ex visu videlicet et ratione et instrumentis""). Il termine ""perspettiva"" è un calco del corrispondente latino perspectiva che a sua volta rende il greco optiké, la nostra ottica appunto. Già considerata da Aristotele come una scienza mista di matematica e di fisica, e quindi la più adatta a combinare esperienza e dimostrazione razionale (cfr. An. Post. I 7, 75 b 14-17; Phys. II 2, 194 a 7-12) era stata sviluppata da Tolomeo e nel mondo dell'Islam aveva registrato sostanziali progressi con trattati come il De radiis di Al-Kindi e il De aspectibus di Alhazen (testi tutti tradotti in latino verso la fine del XII secolo). Nel XIII secolo autori latini come Witelo (uno scienziato polacco attivo in Italia presso la corte papale), e Giovanni Pecham (un francescano, prima maestro di teologia a Parigi e poi arcivescovo di Canterbury) avevano a loro volta composto trattati di perspectiva che esponevano una teoria dei raggi visuali e in genere di quelli luminosi (leggi della riflessione e della rifrazione) su cui si basavano le misurazioni trigonometriche delle distanze degli astri dalla terra e fra loro. La ""perspettiva"" inoltre conteneva anche una teoria fisica della sensazione visiva, mutuata da Aristotele, ed una sua spiegazione in termini fisiologici derivata da Galeno. Sulle caratteristiche di questa scienza al tempo di Dante e sul diverso posto che i perspectivisti e gli aristotelici puri le assegnavano nel sistema del sapere vedi Gilson 2000.","II 2, 194 a 7-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LO SITO ... RAGIONEVOLMENTE È VEDUTO,"la posizione reciproca (sito"") dei nove cieli, numero ora comunemente accettato (""secondo che si tiene"") dalla astronomia e dalla filosofia (in questo caso dalla filosofia naturale), è stata decisa in maniera chiara (""manifesto e diterminato"") e questo grazie alla scienza ottica (""perspettiva""), all'aritmetica (""arismetrica"") e alla geometria che lo hanno colto (""veduto"") sia attraverso l'osservazione sensibile, sia attraverso una dimostrazione razionale (l'endiadi ""sensibilmente e ragionevolmente"" anticipa in qualche modo le 'necessarie dimostrazioni' e le 'sensate esperienze' di Galileo. Ma già Alberto Magno, nella parafrasi della Metafisica XI (= XII), tr. 2, cap.. 22, p. 501, ll. 45-48 aveva scritto ""Astrologia ... tale motus ex tribus investigat, ex visu videlicet et ratione et instrumentis""). Il termine ""perspettiva"" è un calco del corrispondente latino perspectiva che a sua volta rende il greco optiké, la nostra ottica appunto. Già considerata da Aristotele come una scienza mista di matematica e di fisica, e quindi la più adatta a combinare esperienza e dimostrazione razionale (cfr. An. Post. I 7, 75 b 14-17; Phys. II 2, 194 a 7-12) era stata sviluppata da Tolomeo e nel mondo dell'Islam aveva registrato sostanziali progressi con trattati come il De radiis di Al-Kindi e il De aspectibus di Alhazen (testi tutti tradotti in latino verso la fine del XII secolo). Nel XIII secolo autori latini come Witelo (uno scienziato polacco attivo in Italia presso la corte papale), e Giovanni Pecham (un francescano, prima maestro di teologia a Parigi e poi arcivescovo di Canterbury) avevano a loro volta composto trattati di perspectiva che esponevano una teoria dei raggi visuali e in genere di quelli luminosi (leggi della riflessione e della rifrazione) su cui si basavano le misurazioni trigonometriche delle distanze degli astri dalla terra e fra loro. La ""perspettiva"" inoltre conteneva anche una teoria fisica della sensazione visiva, mutuata da Aristotele, ed una sua spiegazione in termini fisiologici derivata da Galeno. Sulle caratteristiche di questa scienza al tempo di Dante e sul diverso posto che i perspectivisti e gli aristotelici puri le assegnavano nel sistema del sapere vedi Gilson 2000.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER ALTRE ESPERIENZE ... VERSO OCCIDENTE,"Dante fornisce due esempi di osservazioni del cielo che dimostrano come il cielo della luna sia inferiore sia a quello del sole che a quello di Marte. La seconda è riferita correttamente allo stesso Aristotele che ne parla appunto in De caelo II 12, 292 a 3-6. Ma il testo di Dante, che pure ha dei punti precisi di contatto con la traduzione latina del testo aristotelico (lunam...vidimus... subintrantem ... astrum Martis"") presuppone la conoscenza del Commento di Alberto Magno seguito praticamente alla lettera per una parte non presente in Aristotele (cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 56-57 ""Et oriebatur Mars ex parte illuminati in luna versus occidentem"").","II 12, 292 a 3-6",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER ALTRE ESPERIENZE ... VERSO OCCIDENTE,"Dante fornisce due esempi di osservazioni del cielo che dimostrano come il cielo della luna sia inferiore sia a quello del sole che a quello di Marte. La seconda è riferita correttamente allo stesso Aristotele che ne parla appunto in De caelo II 12, 292 a 3-6. Ma il testo di Dante, che pure ha dei punti precisi di contatto con la traduzione latina del testo aristotelico (lunam...vidimus... subintrantem ... astrum Martis"") presuppone la conoscenza del Commento di Alberto Magno seguito praticamente alla lettera per una parte non presente in Aristotele (cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 56-57 ""Et oriebatur Mars ex parte illuminati in luna versus occidentem"").","II, tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 56-57 ""Et oriebatur Mars ex parte illuminati in luna versus occidentem""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUELLO CHE NON È SENSIBILE,"il nono cielo, essendo insieme a tutti gli altri di materia trasparente come il cristallo, ma a differenza degli altri non recando infisso alcun astro non può essere percepito dal senso della vista. La sua esistenza è fondata sulla necessità di postulare un movimento perfettamente unico ed uniforme. Il diafano"", nella dottrina aristotelica della sensazione visiva, è la proprietà fondamentale di un mezzo, come l'aria o l'acqua, che rimane invisibile fino a quando la luce non l'abbia attuato attraverso un colore (cfr. De an. II 7, 418 a 4-13).","II 7, 418 a 4-13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PONGONO LO CIELO EMPIREO,"sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono"" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (""che è a dire"": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (""pongono esso essere immobile""). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due ""luminari"" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (""E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade"") e delle schiere angeliche (""Questo loco è di spiriti beati...""). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice ""Empyreus, id est igneus ... "" aveva precisato che ciò ""non ab ardore sed a splendore dicitur"" (""che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso""). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (""Veramente ... li cattolici pongono""). Era stata la posizione di teologi ""aristotelici"" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo ""nec sensu nec ratione manifestatur"" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo ""non naturali ratione, sed auctoritate est habitum"" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: ""secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna"". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è ""quieto"" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (""per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole""), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 ""E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii"" (l'espressione ""la sua materia vuole"" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: ""materia"" al posto di ""natura"". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (""il nono cielo"") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (""immediato a quello"") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di ""quel divinissimo ciel quieto"", e a causa di questo ardente desiderio (""per lo ferventissimo appetito"") il nono cielo si muove circolarmente (""si rivolve"") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (""incomprensibile""). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (""è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento""). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (""cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam"" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (""a chi bene lo 'ntende""), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (""pare ciò sentire""). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: ""Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum"". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.","II, 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PONGONO LO CIELO EMPIREO,"sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono"" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (""che è a dire"": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (""pongono esso essere immobile""). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due ""luminari"" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (""E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade"") e delle schiere angeliche (""Questo loco è di spiriti beati...""). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice ""Empyreus, id est igneus ... "" aveva precisato che ciò ""non ab ardore sed a splendore dicitur"" (""che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso""). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (""Veramente ... li cattolici pongono""). Era stata la posizione di teologi ""aristotelici"" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo ""nec sensu nec ratione manifestatur"" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo ""non naturali ratione, sed auctoritate est habitum"" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: ""secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna"". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è ""quieto"" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (""per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole""), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 ""E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii"" (l'espressione ""la sua materia vuole"" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: ""materia"" al posto di ""natura"". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (""il nono cielo"") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (""immediato a quello"") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di ""quel divinissimo ciel quieto"", e a causa di questo ardente desiderio (""per lo ferventissimo appetito"") il nono cielo si muove circolarmente (""si rivolve"") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (""incomprensibile""). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (""è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento""). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (""cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam"" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (""a chi bene lo 'ntende""), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (""pare ciò sentire""). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: ""Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum"". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.","tr. III, q. 12, a. 3, p. 423",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_creaturis,Summa de creaturis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PONGONO LO CIELO EMPIREO,"sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono"" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (""che è a dire"": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (""pongono esso essere immobile""). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due ""luminari"" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (""E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade"") e delle schiere angeliche (""Questo loco è di spiriti beati...""). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice ""Empyreus, id est igneus ... "" aveva precisato che ciò ""non ab ardore sed a splendore dicitur"" (""che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso""). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (""Veramente ... li cattolici pongono""). Era stata la posizione di teologi ""aristotelici"" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo ""nec sensu nec ratione manifestatur"" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo ""non naturali ratione, sed auctoritate est habitum"" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: ""secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna"". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è ""quieto"" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (""per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole""), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 ""E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii"" (l'espressione ""la sua materia vuole"" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: ""materia"" al posto di ""natura"". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (""il nono cielo"") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (""immediato a quello"") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di ""quel divinissimo ciel quieto"", e a causa di questo ardente desiderio (""per lo ferventissimo appetito"") il nono cielo si muove circolarmente (""si rivolve"") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (""incomprensibile""). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (""è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento""). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (""cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam"" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (""a chi bene lo 'ntende""), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (""pare ciò sentire""). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: ""Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum"". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_quatuor_coequaevis_et_de_homine,Summa de quatuor coequaevis et de homine,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PONGONO LO CIELO EMPIREO,"sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono"" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (""che è a dire"": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (""pongono esso essere immobile""). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due ""luminari"" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (""E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade"") e delle schiere angeliche (""Questo loco è di spiriti beati...""). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice ""Empyreus, id est igneus ... "" aveva precisato che ciò ""non ab ardore sed a splendore dicitur"" (""che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso""). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (""Veramente ... li cattolici pongono""). Era stata la posizione di teologi ""aristotelici"" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo ""nec sensu nec ratione manifestatur"" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo ""non naturali ratione, sed auctoritate est habitum"" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: ""secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna"". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è ""quieto"" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (""per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole""), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 ""E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii"" (l'espressione ""la sua materia vuole"" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: ""materia"" al posto di ""natura"". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (""il nono cielo"") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (""immediato a quello"") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di ""quel divinissimo ciel quieto"", e a causa di questo ardente desiderio (""per lo ferventissimo appetito"") il nono cielo si muove circolarmente (""si rivolve"") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (""incomprensibile""). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (""è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento""). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (""cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam"" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (""a chi bene lo 'ntende""), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (""pare ciò sentire""). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: ""Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum"". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.","dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Scriptum_super_sententiis,Scriptum super Sententiis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PONGONO LO CIELO EMPIREO,"sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono"" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (""che è a dire"": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (""pongono esso essere immobile""). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due ""luminari"" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (""E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade"") e delle schiere angeliche (""Questo loco è di spiriti beati...""). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice ""Empyreus, id est igneus ... "" aveva precisato che ciò ""non ab ardore sed a splendore dicitur"" (""che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso""). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (""Veramente ... li cattolici pongono""). Era stata la posizione di teologi ""aristotelici"" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo ""nec sensu nec ratione manifestatur"" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo ""non naturali ratione, sed auctoritate est habitum"" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: ""secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna"". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è ""quieto"" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (""per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole""), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 ""E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii"" (l'espressione ""la sua materia vuole"" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: ""materia"" al posto di ""natura"". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (""il nono cielo"") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (""immediato a quello"") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di ""quel divinissimo ciel quieto"", e a causa di questo ardente desiderio (""per lo ferventissimo appetito"") il nono cielo si muove circolarmente (""si rivolve"") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (""incomprensibile""). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (""è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento""). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (""cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam"" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (""a chi bene lo 'ntende""), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (""pare ciò sentire""). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: ""Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum"". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.","XII 8, 1074 b 1-14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PONGONO LO CIELO EMPIREO,"sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono"" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (""che è a dire"": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (""pongono esso essere immobile""). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due ""luminari"" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (""E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade"") e delle schiere angeliche (""Questo loco è di spiriti beati...""). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice ""Empyreus, id est igneus ... "" aveva precisato che ciò ""non ab ardore sed a splendore dicitur"" (""che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso""). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (""Veramente ... li cattolici pongono""). Era stata la posizione di teologi ""aristotelici"" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo ""nec sensu nec ratione manifestatur"" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo ""non naturali ratione, sed auctoritate est habitum"" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: ""secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna"". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è ""quieto"" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (""per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole""), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 ""E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii"" (l'espressione ""la sua materia vuole"" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: ""materia"" al posto di ""natura"". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (""il nono cielo"") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (""immediato a quello"") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di ""quel divinissimo ciel quieto"", e a causa di questo ardente desiderio (""per lo ferventissimo appetito"") il nono cielo si muove circolarmente (""si rivolve"") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (""incomprensibile""). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (""è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento""). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (""cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam"" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (""a chi bene lo 'ntende""), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (""pare ciò sentire""). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: ""Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum"". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.","Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_alla_Metafisica(Averroè),Commento alla Metafisica,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PONGONO LO CIELO EMPIREO,"sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono"" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (""che è a dire"": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (""pongono esso essere immobile""). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due ""luminari"" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (""E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade"") e delle schiere angeliche (""Questo loco è di spiriti beati...""). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice ""Empyreus, id est igneus ... "" aveva precisato che ciò ""non ab ardore sed a splendore dicitur"" (""che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso""). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (""Veramente ... li cattolici pongono""). Era stata la posizione di teologi ""aristotelici"" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo ""nec sensu nec ratione manifestatur"" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo ""non naturali ratione, sed auctoritate est habitum"" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: ""secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna"". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è ""quieto"" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (""per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole""), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 ""E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii"" (l'espressione ""la sua materia vuole"" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: ""materia"" al posto di ""natura"". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (""il nono cielo"") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (""immediato a quello"") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di ""quel divinissimo ciel quieto"", e a causa di questo ardente desiderio (""per lo ferventissimo appetito"") il nono cielo si muove circolarmente (""si rivolve"") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (""incomprensibile""). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (""è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento""). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (""cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam"" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII ""Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis"" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (""a chi bene lo 'ntende""), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (""pare ciò sentire""). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: ""Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum"". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.","Commento al Genesi, p. 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_alla_Genesi,Commento alla Genesi,Beda il Venerabile,http://dbpedia.org/resource/Bede,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +ED ESSO NON È IN LUOGO,"secondo la definizione aristotelica luogo è ciò che contiene un corpo o più precisamente il limite di un corpo che ne contiene un altro (cfr. Phys. IV 4, 212 a 3-7). L'Empireo, dunque, essendo il limite ultimo, è il luogo dell'universo, ma non è esso stesso in un luogo","IV 4, 212 a 3-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FORMATO FU SOLO ...,"la non localizzazione dell'Empireo sembra qui anticipare la negazione di ogni sua fisicità: come Pd XXVII 109-110 (e questo cielo non ha altro dove / che la mente divina"") esso è visto come una produzione esclusivamente mentale, di una prima mente divina (nel grandioso dizionario medievale, le Derivationes Magnae di Uguccione da Pisa, Dante poteva leggere ""noys , id est mens, et componitur cum protos, quod est primum, et dicitur hec protonoe-es, quasi protonoe, id est prima nois, id est mens divina"" s.v. Noys, N 61, 1, p. 849). Cfr.","noys , id est mens, et componitur cum protos, quod est primum, et dicitur hec protonoe-es, quasi protonoe, id est prima nois, id est mens divina s.v. Noys, N 61, 1, p. 849",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +QUESTA È QUELLA MAGNIFICENZA ...,"se la dizione questa magnificenza"" viene riferita alla Mente divina, come vorrebbe un approccio strettamente grammaticale, la citazione del Salmo 8, 2 (""elevata est magnificentia tua super caelos"") sottolineerebbe la trascendenza divina rispetto anche all'Empireo, e in questo senso il versetto era stato utilizzato da Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae III, q. 57, a. 4). Ma Dante aveva poco prima definito il decimo cielo proprio come il ""luogo della somma Deitade"". Dunque, da un punto di vista logico, sembrerebbe possibile riferire l'espressione all' Empireo stesso, che è l'oggetto reale del discorso, e vedere l'uso del Salmo come inteso a sottolineare la sua incommensurabilità con gli altri cieli. Non sono dunque completamente d'accordo con quegli studiosi che vedono, all'altezza del Convivio, una concezione dell'Empireo come cielo materiale, superata di colpo nella Commedia (vedi Nardi 1967 e ultimamente Ottaviani 2004, pp. 50 sgg.)","Salmo 8, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +QUESTA È QUELLA MAGNIFICENZA ...,"se la dizione questa magnificenza"" viene riferita alla Mente divina, come vorrebbe un approccio strettamente grammaticale, la citazione del Salmo 8, 2 (""elevata est magnificentia tua super caelos"") sottolineerebbe la trascendenza divina rispetto anche all'Empireo, e in questo senso il versetto era stato utilizzato da Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae III, q. 57, a. 4). Ma Dante aveva poco prima definito il decimo cielo proprio come il ""luogo della somma Deitade"". Dunque, da un punto di vista logico, sembrerebbe possibile riferire l'espressione all' Empireo stesso, che è l'oggetto reale del discorso, e vedere l'uso del Salmo come inteso a sottolineare la sua incommensurabilità con gli altri cieli. Non sono dunque completamente d'accordo con quegli studiosi che vedono, all'altezza del Convivio, una concezione dell'Empireo come cielo materiale, superata di colpo nella Commedia (vedi Nardi 1967 e ultimamente Ottaviani 2004, pp. 50 sgg.)","III, q. 57, a. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CIASCUNO CIELO ... ALCUNO RESPETTO,"tutti e nove i cieli mobili sono dotati di due poli. Nei cieli inferiori al Cristallino essi sono fissi per quanto riguarda il movimento diurno (fermi quanto a sé""): si muovono però accidentalmente in quanto trasportati dal movimento di rivoluzione lungo l'eclittica. Nel Cristallino, invece, sono immobili da tutti i punti di vista (""non mutabili secondo alcun rispetto""). Inoltre in ogni sfera celeste è individuabile un cerchio, l'equatore, che in ogni momento del movimento circolare (""in ciascuna parte della sua rivoluzione"") è egualmente distante dai due poli (""igualmente ... rimoto dall'uno polo e dall'altro"") come può vedere sperimentalmente (""sensibilmente"") chi fa girare una mela o un altro oggetto rotondo (""chi volge un pomo o altra cosa ritonda""). Lungo l'equatore la velocità del cielo (""rattezza nel muovere"") è ovviamente massima, e, per ogni sua parte, diminuisce (""è più tarda"") man mano che se ne allontana e si avvicina ai poli. Questo perché lo spazio percorso girando intorno al centro dell'universo (""la sua revoluzione"") diventa minore, ma deve essere necessariamente percorso nel medesimo tempo di quello maggiore (""conviene essere in uno medesimo tempo, di necessitade, con la maggiore""). Sulla possibile dipendenza di questo testo dal Liber aggregationis di Alfragano cfr. Toynbee, pp. 64-65.","Toynbee, pp. 64-65",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +E IN SUL DOSSO ...,"al cielo ed alla stella di Venere vengono applicati i principi precedentemente esposti: l'astro, essendo la parte più nobile, sarà come incastonato sulla superficie esterna (dosso"") della sua sfera in un punto della linea equatoriale. Dante afferma però che Venere non è posta direttamente sull'equatore della sfera che la muove da oriente ad occidente, bensì sull'equatore di una sfera più piccola che, si muove con un movimento circolare suo proprio (""una speretta che per sé medesima in esso cielo si volge"") sul dosso della sfera più grande ed è dotata delle medesime caratteristiche (poli, equatore...) Egli accetta così la dottrina tolemaica degli epicicli (""lo cerchio della quale gli astrologi chiamano epiciclo""). Ma per Tolomeo gli epicicli sono costruzioni puramente geometriche bidimensionali che servono a render conto dei moti complessi dei pianeti, non spiegati a sufficienza da un modello di sfere concentriche. Lo stesso Alberto Magno, quando definisce l'epiciclo, ne parla come di un circulus che non può essere indagato attraverso argomenti fisici (cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 3-13) e così fa Ristoro d'Arezzo nella sua Composizione del mondo I xii 3, p. 18 ""Ciascheduno di questi cerchi porta un altro cerchietto lo quale è chiamato epiciclo"". Per Dante si tratta invece di ""sfere"" e ""sferette"", cioè di corpi fisici che si collocano (e si muovono) non su di un piano, ma in uno spazio tridimensionale. Nel suo Commento al XII libro della Metafisica Averroè aveva sostenuto che il modello di Tolomeo, costruito solo per 'salvare i fenomeni' e calcolare le posizioni degli astri, era insostenibile dal punto di vista delle leggi della fisica, intendi della fisica aristotelica (cfr. c. 45: ""Eccentricum enim aut epicyclum dicere est extra naturam; epicyclus autem impossibile est ut sit omnino"" ""Astrologia autem huius temporis nihil est in esse, sed est conveniens computationi"", f. 329 G, M). D'altra parte il modello di sfere concentriche riproposto da uno stretto aristotelico come l'astronomo Al-Bitruji (Alpetragius), conosciuto e citato da Dante in Cv III ii 5, risultava troppo approssimativo proprio riguardo al calcolo. Dante, non consapevole del conflitto altamente tecnico tra astronomi-fisici ed astronomi puramente matematici, unifica i due sistemi (e d'altra parte ancor oggi si parla in modo improprio del sistema aristotelico-tolemaico). Per una breve ed essenziale illustrazione del problema cfr. Hugonnard-Roche 1998, pp. 89-109.","II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 3-13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E IN SUL DOSSO ...,"al cielo ed alla stella di Venere vengono applicati i principi precedentemente esposti: l'astro, essendo la parte più nobile, sarà come incastonato sulla superficie esterna (dosso"") della sua sfera in un punto della linea equatoriale. Dante afferma però che Venere non è posta direttamente sull'equatore della sfera che la muove da oriente ad occidente, bensì sull'equatore di una sfera più piccola che, si muove con un movimento circolare suo proprio (""una speretta che per sé medesima in esso cielo si volge"") sul dosso della sfera più grande ed è dotata delle medesime caratteristiche (poli, equatore...) Egli accetta così la dottrina tolemaica degli epicicli (""lo cerchio della quale gli astrologi chiamano epiciclo""). Ma per Tolomeo gli epicicli sono costruzioni puramente geometriche bidimensionali che servono a render conto dei moti complessi dei pianeti, non spiegati a sufficienza da un modello di sfere concentriche. Lo stesso Alberto Magno, quando definisce l'epiciclo, ne parla come di un circulus che non può essere indagato attraverso argomenti fisici (cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 3-13) e così fa Ristoro d'Arezzo nella sua Composizione del mondo I xii 3, p. 18 ""Ciascheduno di questi cerchi porta un altro cerchietto lo quale è chiamato epiciclo"". Per Dante si tratta invece di ""sfere"" e ""sferette"", cioè di corpi fisici che si collocano (e si muovono) non su di un piano, ma in uno spazio tridimensionale. Nel suo Commento al XII libro della Metafisica Averroè aveva sostenuto che il modello di Tolomeo, costruito solo per 'salvare i fenomeni' e calcolare le posizioni degli astri, era insostenibile dal punto di vista delle leggi della fisica, intendi della fisica aristotelica (cfr. c. 45: ""Eccentricum enim aut epicyclum dicere est extra naturam; epicyclus autem impossibile est ut sit omnino"" ""Astrologia autem huius temporis nihil est in esse, sed est conveniens computationi"", f. 329 G, M). D'altra parte il modello di sfere concentriche riproposto da uno stretto aristotelico come l'astronomo Al-Bitruji (Alpetragius), conosciuto e citato da Dante in Cv III ii 5, risultava troppo approssimativo proprio riguardo al calcolo. Dante, non consapevole del conflitto altamente tecnico tra astronomi-fisici ed astronomi puramente matematici, unifica i due sistemi (e d'altra parte ancor oggi si parla in modo improprio del sistema aristotelico-tolemaico). Per una breve ed essenziale illustrazione del problema cfr. Hugonnard-Roche 1998, pp. 89-109.","xii 3, p. 18 ""Ciascheduno di questi cerchi porta un altro cerchietto lo quale è chiamato epiciclo""",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_composizione_del_mondo,La composizione del mondo colle sue cascioni,Restoro d'Arezzo,http://it.dbpedia.org/resource/Restoro_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +E IN SUL DOSSO ...,"al cielo ed alla stella di Venere vengono applicati i principi precedentemente esposti: l'astro, essendo la parte più nobile, sarà come incastonato sulla superficie esterna (dosso"") della sua sfera in un punto della linea equatoriale. Dante afferma però che Venere non è posta direttamente sull'equatore della sfera che la muove da oriente ad occidente, bensì sull'equatore di una sfera più piccola che, si muove con un movimento circolare suo proprio (""una speretta che per sé medesima in esso cielo si volge"") sul dosso della sfera più grande ed è dotata delle medesime caratteristiche (poli, equatore...) Egli accetta così la dottrina tolemaica degli epicicli (""lo cerchio della quale gli astrologi chiamano epiciclo""). Ma per Tolomeo gli epicicli sono costruzioni puramente geometriche bidimensionali che servono a render conto dei moti complessi dei pianeti, non spiegati a sufficienza da un modello di sfere concentriche. Lo stesso Alberto Magno, quando definisce l'epiciclo, ne parla come di un circulus che non può essere indagato attraverso argomenti fisici (cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 3-13) e così fa Ristoro d'Arezzo nella sua Composizione del mondo I xii 3, p. 18 ""Ciascheduno di questi cerchi porta un altro cerchietto lo quale è chiamato epiciclo"". Per Dante si tratta invece di ""sfere"" e ""sferette"", cioè di corpi fisici che si collocano (e si muovono) non su di un piano, ma in uno spazio tridimensionale. Nel suo Commento al XII libro della Metafisica Averroè aveva sostenuto che il modello di Tolomeo, costruito solo per 'salvare i fenomeni' e calcolare le posizioni degli astri, era insostenibile dal punto di vista delle leggi della fisica, intendi della fisica aristotelica (cfr. c. 45: ""Eccentricum enim aut epicyclum dicere est extra naturam; epicyclus autem impossibile est ut sit omnino"" ""Astrologia autem huius temporis nihil est in esse, sed est conveniens computationi"", f. 329 G, M). D'altra parte il modello di sfere concentriche riproposto da uno stretto aristotelico come l'astronomo Al-Bitruji (Alpetragius), conosciuto e citato da Dante in Cv III ii 5, risultava troppo approssimativo proprio riguardo al calcolo. Dante, non consapevole del conflitto altamente tecnico tra astronomi-fisici ed astronomi puramente matematici, unifica i due sistemi (e d'altra parte ancor oggi si parla in modo improprio del sistema aristotelico-tolemaico). Per una breve ed essenziale illustrazione del problema cfr. Hugonnard-Roche 1998, pp. 89-109.","cfr. c. 45: ""Eccentricum enim aut epicyclum dicere est extra naturam; epicyclus autem impossibile est ut sit omnino"" ""Astrologia autem huius temporis nihil est in esse, sed est conveniens computationi"", f. 329 G, M""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_alla_Metafisica(Averroè),Commento alla Metafisica,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI MOVITORI DI QUELLI [CIELI],"dopo aver CITAZIONE ESPLICITAto quale sia questo terzo cielo di cui parla la Canzone e averne mostrato la struttura fisica, Dante parla della natura e del numero delle entità che lo muovono. Tutti sono d'accordo sulla natura dei motori (movitori"") del cielo di Venere (e di tutti gli altri cieli): si tratta di sostanze immateriali (""separate dalla materia""), vale a dire intelligenze pure, che la maggioranza degli uomini, non esperti di filosofia (""la volgare gente"") identifica con gli angeli. Come vedremo nei paragrafi seguenti, la diversità di opinione (""diversi diversamente hanno sentito"") riguarda essenzialmente la loro funzione ed il loro numero. Per Aristotele incorporeità e pensiero puro sono in primo luogo le caratteristiche del Motore immobile-Principio primo (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 18-25, 1073 a 3-7), ma per analogia esse si trasferiscono anche ai motori degli altri cieli (cfr. Metaph. XII 8, 1073 a 36-38) .Il termine intelligentia, non presente in Aristotele (che usa piuttosto quello di substantia separata), era stato usato nelle traduzioni latine di Al-Ghazali, Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, pp. 476 sgg.) ed Averroè. Al tempo di Dante si trattava di dottrina comune. Il fatto che l'identificazione sostanze separate-angeli sia attribuita alla ""volgare gente"" accomuna Dante ad Alberto Magno (cfr. ad esempio Metaphysica XI , tr. 2, cap. 10, vol. II, p. 495, ll. 55-56 ""et has intelligentias secundum vulgus angelos vocant""; In secundum librum Sententiarum, dist. 3, a. 3, p. 64 ""Dicit Avicenna quod intelligentiae sunt quas populus ... angelos vocat""). Anche Averroè nel Commento al De caelo I, c. 22, f. 17 H, aveva scritto ""Omnes gentes que concedunt Deum esse conveniunt in hoc, quod caelum est locus Dei et aliorum spirituum qui vulgariter dicuntur Angeli"". Ma mentre Alberto in più luoghi respinge decisamente l'identificazione (cfr. In secundum Sententiarum, loc. cit. pp. 64b - 66a; Problemata determinata, q. 2, p. 48, ll. 26-36), Dante la accetta pienamente, anzi considera la dottrina cristiana sugli angeli come un necessario correttivo alle manchevolezze della trattazione puramente filosofica. In questo caso la verità è stata finalmente trovata (""avvegna che la veritade sia trovata"") in grazia non della pura ragione, ma della rivelazione di Cristo. Riguardo alla identificazione delle intelligenze separate con gli angeli i teologi medievali non furono comunque concordi; cfr. Bemrose 1983.","IX, 4, vol. II, pp. 476 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_philosophia_prima_sive_de_scientia_divina,Liber de philosophia prima sive de scientia divina,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI MOVITORI DI QUELLI [CIELI],"dopo aver CITAZIONE ESPLICITAto quale sia questo terzo cielo di cui parla la Canzone e averne mostrato la struttura fisica, Dante parla della natura e del numero delle entità che lo muovono. Tutti sono d'accordo sulla natura dei motori (movitori"") del cielo di Venere (e di tutti gli altri cieli): si tratta di sostanze immateriali (""separate dalla materia""), vale a dire intelligenze pure, che la maggioranza degli uomini, non esperti di filosofia (""la volgare gente"") identifica con gli angeli. Come vedremo nei paragrafi seguenti, la diversità di opinione (""diversi diversamente hanno sentito"") riguarda essenzialmente la loro funzione ed il loro numero. Per Aristotele incorporeità e pensiero puro sono in primo luogo le caratteristiche del Motore immobile-Principio primo (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 18-25, 1073 a 3-7), ma per analogia esse si trasferiscono anche ai motori degli altri cieli (cfr. Metaph. XII 8, 1073 a 36-38) .Il termine intelligentia, non presente in Aristotele (che usa piuttosto quello di substantia separata), era stato usato nelle traduzioni latine di Al-Ghazali, Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, pp. 476 sgg.) ed Averroè. Al tempo di Dante si trattava di dottrina comune. Il fatto che l'identificazione sostanze separate-angeli sia attribuita alla ""volgare gente"" accomuna Dante ad Alberto Magno (cfr. ad esempio Metaphysica XI , tr. 2, cap. 10, vol. II, p. 495, ll. 55-56 ""et has intelligentias secundum vulgus angelos vocant""; In secundum librum Sententiarum, dist. 3, a. 3, p. 64 ""Dicit Avicenna quod intelligentiae sunt quas populus ... angelos vocat""). Anche Averroè nel Commento al De caelo I, c. 22, f. 17 H, aveva scritto ""Omnes gentes que concedunt Deum esse conveniunt in hoc, quod caelum est locus Dei et aliorum spirituum qui vulgariter dicuntur Angeli"". Ma mentre Alberto in più luoghi respinge decisamente l'identificazione (cfr. In secundum Sententiarum, loc. cit. pp. 64b - 66a; Problemata determinata, q. 2, p. 48, ll. 26-36), Dante la accetta pienamente, anzi considera la dottrina cristiana sugli angeli come un necessario correttivo alle manchevolezze della trattazione puramente filosofica. In questo caso la verità è stata finalmente trovata (""avvegna che la veritade sia trovata"") in grazia non della pura ragione, ma della rivelazione di Cristo. Riguardo alla identificazione delle intelligenze separate con gli angeli i teologi medievali non furono comunque concordi; cfr. Bemrose 1983.","XII 8, 1073 a 36-38",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI MOVITORI DI QUELLI [CIELI],"dopo aver CITAZIONE ESPLICITAto quale sia questo terzo cielo di cui parla la Canzone e averne mostrato la struttura fisica, Dante parla della natura e del numero delle entità che lo muovono. Tutti sono d'accordo sulla natura dei motori (movitori"") del cielo di Venere (e di tutti gli altri cieli): si tratta di sostanze immateriali (""separate dalla materia""), vale a dire intelligenze pure, che la maggioranza degli uomini, non esperti di filosofia (""la volgare gente"") identifica con gli angeli. Come vedremo nei paragrafi seguenti, la diversità di opinione (""diversi diversamente hanno sentito"") riguarda essenzialmente la loro funzione ed il loro numero. Per Aristotele incorporeità e pensiero puro sono in primo luogo le caratteristiche del Motore immobile-Principio primo (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 18-25, 1073 a 3-7), ma per analogia esse si trasferiscono anche ai motori degli altri cieli (cfr. Metaph. XII 8, 1073 a 36-38) .Il termine intelligentia, non presente in Aristotele (che usa piuttosto quello di substantia separata), era stato usato nelle traduzioni latine di Al-Ghazali, Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, pp. 476 sgg.) ed Averroè. Al tempo di Dante si trattava di dottrina comune. Il fatto che l'identificazione sostanze separate-angeli sia attribuita alla ""volgare gente"" accomuna Dante ad Alberto Magno (cfr. ad esempio Metaphysica XI , tr. 2, cap. 10, vol. II, p. 495, ll. 55-56 ""et has intelligentias secundum vulgus angelos vocant""; In secundum librum Sententiarum, dist. 3, a. 3, p. 64 ""Dicit Avicenna quod intelligentiae sunt quas populus ... angelos vocat""). Anche Averroè nel Commento al De caelo I, c. 22, f. 17 H, aveva scritto ""Omnes gentes que concedunt Deum esse conveniunt in hoc, quod caelum est locus Dei et aliorum spirituum qui vulgariter dicuntur Angeli"". Ma mentre Alberto in più luoghi respinge decisamente l'identificazione (cfr. In secundum Sententiarum, loc. cit. pp. 64b - 66a; Problemata determinata, q. 2, p. 48, ll. 26-36), Dante la accetta pienamente, anzi considera la dottrina cristiana sugli angeli come un necessario correttivo alle manchevolezze della trattazione puramente filosofica. In questo caso la verità è stata finalmente trovata (""avvegna che la veritade sia trovata"") in grazia non della pura ragione, ma della rivelazione di Cristo. Riguardo alla identificazione delle intelligenze separate con gli angeli i teologi medievali non furono comunque concordi; cfr. Bemrose 1983.","XII 7, 1072 b 18-25, 1073 a 3-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI MOVITORI DI QUELLI [CIELI],"dopo aver CITAZIONE ESPLICITAto quale sia questo terzo cielo di cui parla la Canzone e averne mostrato la struttura fisica, Dante parla della natura e del numero delle entità che lo muovono. Tutti sono d'accordo sulla natura dei motori (movitori"") del cielo di Venere (e di tutti gli altri cieli): si tratta di sostanze immateriali (""separate dalla materia""), vale a dire intelligenze pure, che la maggioranza degli uomini, non esperti di filosofia (""la volgare gente"") identifica con gli angeli. Come vedremo nei paragrafi seguenti, la diversità di opinione (""diversi diversamente hanno sentito"") riguarda essenzialmente la loro funzione ed il loro numero. Per Aristotele incorporeità e pensiero puro sono in primo luogo le caratteristiche del Motore immobile-Principio primo (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 18-25, 1073 a 3-7), ma per analogia esse si trasferiscono anche ai motori degli altri cieli (cfr. Metaph. XII 8, 1073 a 36-38) .Il termine intelligentia, non presente in Aristotele (che usa piuttosto quello di substantia separata), era stato usato nelle traduzioni latine di Al-Ghazali, Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, pp. 476 sgg.) ed Averroè. Al tempo di Dante si trattava di dottrina comune. Il fatto che l'identificazione sostanze separate-angeli sia attribuita alla ""volgare gente"" accomuna Dante ad Alberto Magno (cfr. ad esempio Metaphysica XI , tr. 2, cap. 10, vol. II, p. 495, ll. 55-56 ""et has intelligentias secundum vulgus angelos vocant""; In secundum librum Sententiarum, dist. 3, a. 3, p. 64 ""Dicit Avicenna quod intelligentiae sunt quas populus ... angelos vocat""). Anche Averroè nel Commento al De caelo I, c. 22, f. 17 H, aveva scritto ""Omnes gentes que concedunt Deum esse conveniunt in hoc, quod caelum est locus Dei et aliorum spirituum qui vulgariter dicuntur Angeli"". Ma mentre Alberto in più luoghi respinge decisamente l'identificazione (cfr. In secundum Sententiarum, loc. cit. pp. 64b - 66a; Problemata determinata, q. 2, p. 48, ll. 26-36), Dante la accetta pienamente, anzi considera la dottrina cristiana sugli angeli come un necessario correttivo alle manchevolezze della trattazione puramente filosofica. In questo caso la verità è stata finalmente trovata (""avvegna che la veritade sia trovata"") in grazia non della pura ragione, ma della rivelazione di Cristo. Riguardo alla identificazione delle intelligenze separate con gli angeli i teologi medievali non furono comunque concordi; cfr. Bemrose 1983.","I, c. 22, f. 17 H",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_De_caelo_et_mundo(Averroè),Commento al De caelo,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI MOVITORI DI QUELLI [CIELI],"dopo aver CITAZIONE ESPLICITAto quale sia questo terzo cielo di cui parla la Canzone e averne mostrato la struttura fisica, Dante parla della natura e del numero delle entità che lo muovono. Tutti sono d'accordo sulla natura dei motori (movitori"") del cielo di Venere (e di tutti gli altri cieli): si tratta di sostanze immateriali (""separate dalla materia""), vale a dire intelligenze pure, che la maggioranza degli uomini, non esperti di filosofia (""la volgare gente"") identifica con gli angeli. Come vedremo nei paragrafi seguenti, la diversità di opinione (""diversi diversamente hanno sentito"") riguarda essenzialmente la loro funzione ed il loro numero. Per Aristotele incorporeità e pensiero puro sono in primo luogo le caratteristiche del Motore immobile-Principio primo (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 18-25, 1073 a 3-7), ma per analogia esse si trasferiscono anche ai motori degli altri cieli (cfr. Metaph. XII 8, 1073 a 36-38) .Il termine intelligentia, non presente in Aristotele (che usa piuttosto quello di substantia separata), era stato usato nelle traduzioni latine di Al-Ghazali, Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, pp. 476 sgg.) ed Averroè. Al tempo di Dante si trattava di dottrina comune. Il fatto che l'identificazione sostanze separate-angeli sia attribuita alla ""volgare gente"" accomuna Dante ad Alberto Magno (cfr. ad esempio Metaphysica XI , tr. 2, cap. 10, vol. II, p. 495, ll. 55-56 ""et has intelligentias secundum vulgus angelos vocant""; In secundum librum Sententiarum, dist. 3, a. 3, p. 64 ""Dicit Avicenna quod intelligentiae sunt quas populus ... angelos vocat""). Anche Averroè nel Commento al De caelo I, c. 22, f. 17 H, aveva scritto ""Omnes gentes que concedunt Deum esse conveniunt in hoc, quod caelum est locus Dei et aliorum spirituum qui vulgariter dicuntur Angeli"". Ma mentre Alberto in più luoghi respinge decisamente l'identificazione (cfr. In secundum Sententiarum, loc. cit. pp. 64b - 66a; Problemata determinata, q. 2, p. 48, ll. 26-36), Dante la accetta pienamente, anzi considera la dottrina cristiana sugli angeli come un necessario correttivo alle manchevolezze della trattazione puramente filosofica. In questo caso la verità è stata finalmente trovata (""avvegna che la veritade sia trovata"") in grazia non della pura ragione, ma della rivelazione di Cristo. Riguardo alla identificazione delle intelligenze separate con gli angeli i teologi medievali non furono comunque concordi; cfr. Bemrose 1983.",loc. cit. pp. 64b - 66a,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentario_alle_Sentenze_di_Pietro_Lombardo_(Alberto_Magno),Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FURONO CERTI FILOSOFI...,"la prima scuola filosofica, di cui fa parte Aristotele, ha sostenuto che il numero delle sostanze separate equivale a quello dei movimenti circolari celesti (essere tante quante circulazioni fossero nelli cieli e non più""); questo perché se ce ne fossero delle altre esse non avrebbero una attività propria (""sanza operazione""), e quindi da sempre (""etternalmente"") non avrebbero avuto alcuna ragione di esistere (""sarebbero state indarno"", cioè invano) perché in loro l'essenza si identifica con l'attività (""con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""). Effettivamente nel libro XII della Metafisica Aristotele determina il numero delle sostanze separate in base al numero dei movimenti celesti (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 15sgg.). Nel suo Commento Averroè argomenta che se ne esistessero altre, esse sarebbero ociosae, cioè prive di attività, il che equivale a dire che esisterebbero inutilmente (frustra, termine cui corrisponde appunto ""indarno""), e questo è impossibile perché la natura non produce niente se non in vista di uno scopo (cfr. Metaph., XI = XII, c. 44, f. 327 H; vedi anche Phys. II, c. 75, f. 75 M). Pure ad Averroè è attribuibile la dottrina per cui la substantia e la perfectio delle sostanze separate consiste nel produrre il movimento dei cieli (ivi, c. 36, f. 318 K). Tutti coloro che nel XIII secolo hanno sostenuto la piena coincidenza tra essere ed operazione nelle sostanze separate, hanno identificato quest'ultima in primo luogo con l'attività del pensare e infatti anche per Dante esse muovono i cieli ""intendendo"". Il luogo del De caelo in cui Aristotele sembrerebbe ammettere, sia pure incidentalmente (""incidentemente""), l'esistenza di sostanze separate non collegate al movimento dei cieli è probabilmente I 9, 279 a 19-22 in cui si parla di entità che, al di là dell'ultima sfera del cosmo, al di fuori dello spazio e del tempo, trascorrono tutta l'eternità in una vita ottima e pienamente sufficiente a se stessa. Nella Summa theologica sive de mirabili scientia Dei Alberto aveva già interpretato questo passo come un accenno all'esistenza dell' Empireo, luogo degli angeli e dei beati: ""Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et Philosophi vocant uniforme in lumine ... est caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive firmamentum, et est illud de quo dicit Aristoteles in II De caelo et mundo quod extra caelum nihil est, nec locus nec tempus, sed vita beata quae est extra ipsum non sicut in loco vel in tempore, sed sicut in obiecto. Extra enim illud est caelum empyreum, in quo obicit se Deus beatis ad contemplandum et fruendum immediate"" (Pars Secunda, tr. 11, q. 52, membrum 2 Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile, p. 554). Per parte sua Tommaso nel Commento al De caelo (I, lectio 21, n. 214) sostiene contro Alessandro di Afrodisia che la condizione di vita descritta da Aristotele non si può riferire ai corpi celesti ma solo a Dio ed alle sostanze separate nel loro insieme, che sono 'al di là' del movimento dell'ultimo cielo in quanto lo contengono e con esso contengono tutto il cosmo. Da queste affermazioni sembra derivare (anche se l'Aquinate non lo dice esplicitamente) che l'insieme delle sostanze separate dotate di vita perfetta fuori del tempo e dello spazio sia più vasto di quello delle intelligenze motrici dei cieli, ma non viene mai fatto cenno all' Empireo.","XII 8, 1074 a 15sgg.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FURONO CERTI FILOSOFI...,"la prima scuola filosofica, di cui fa parte Aristotele, ha sostenuto che il numero delle sostanze separate equivale a quello dei movimenti circolari celesti (essere tante quante circulazioni fossero nelli cieli e non più""); questo perché se ce ne fossero delle altre esse non avrebbero una attività propria (""sanza operazione""), e quindi da sempre (""etternalmente"") non avrebbero avuto alcuna ragione di esistere (""sarebbero state indarno"", cioè invano) perché in loro l'essenza si identifica con l'attività (""con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""). Effettivamente nel libro XII della Metafisica Aristotele determina il numero delle sostanze separate in base al numero dei movimenti celesti (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 15sgg.). Nel suo Commento Averroè argomenta che se ne esistessero altre, esse sarebbero ociosae, cioè prive di attività, il che equivale a dire che esisterebbero inutilmente (frustra, termine cui corrisponde appunto ""indarno""), e questo è impossibile perché la natura non produce niente se non in vista di uno scopo (cfr. Metaph., XI = XII, c. 44, f. 327 H; vedi anche Phys. II, c. 75, f. 75 M). Pure ad Averroè è attribuibile la dottrina per cui la substantia e la perfectio delle sostanze separate consiste nel produrre il movimento dei cieli (ivi, c. 36, f. 318 K). Tutti coloro che nel XIII secolo hanno sostenuto la piena coincidenza tra essere ed operazione nelle sostanze separate, hanno identificato quest'ultima in primo luogo con l'attività del pensare e infatti anche per Dante esse muovono i cieli ""intendendo"". Il luogo del De caelo in cui Aristotele sembrerebbe ammettere, sia pure incidentalmente (""incidentemente""), l'esistenza di sostanze separate non collegate al movimento dei cieli è probabilmente I 9, 279 a 19-22 in cui si parla di entità che, al di là dell'ultima sfera del cosmo, al di fuori dello spazio e del tempo, trascorrono tutta l'eternità in una vita ottima e pienamente sufficiente a se stessa. Nella Summa theologica sive de mirabili scientia Dei Alberto aveva già interpretato questo passo come un accenno all'esistenza dell' Empireo, luogo degli angeli e dei beati: ""Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et Philosophi vocant uniforme in lumine ... est caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive firmamentum, et est illud de quo dicit Aristoteles in II De caelo et mundo quod extra caelum nihil est, nec locus nec tempus, sed vita beata quae est extra ipsum non sicut in loco vel in tempore, sed sicut in obiecto. Extra enim illud est caelum empyreum, in quo obicit se Deus beatis ad contemplandum et fruendum immediate"" (Pars Secunda, tr. 11, q. 52, membrum 2 Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile, p. 554). Per parte sua Tommaso nel Commento al De caelo (I, lectio 21, n. 214) sostiene contro Alessandro di Afrodisia che la condizione di vita descritta da Aristotele non si può riferire ai corpi celesti ma solo a Dio ed alle sostanze separate nel loro insieme, che sono 'al di là' del movimento dell'ultimo cielo in quanto lo contengono e con esso contengono tutto il cosmo. Da queste affermazioni sembra derivare (anche se l'Aquinate non lo dice esplicitamente) che l'insieme delle sostanze separate dotate di vita perfetta fuori del tempo e dello spazio sia più vasto di quello delle intelligenze motrici dei cieli, ma non viene mai fatto cenno all' Empireo.","II, c. 75, f. 75 M",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FURONO CERTI FILOSOFI...,"la prima scuola filosofica, di cui fa parte Aristotele, ha sostenuto che il numero delle sostanze separate equivale a quello dei movimenti circolari celesti (essere tante quante circulazioni fossero nelli cieli e non più""); questo perché se ce ne fossero delle altre esse non avrebbero una attività propria (""sanza operazione""), e quindi da sempre (""etternalmente"") non avrebbero avuto alcuna ragione di esistere (""sarebbero state indarno"", cioè invano) perché in loro l'essenza si identifica con l'attività (""con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""). Effettivamente nel libro XII della Metafisica Aristotele determina il numero delle sostanze separate in base al numero dei movimenti celesti (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 15sgg.). Nel suo Commento Averroè argomenta che se ne esistessero altre, esse sarebbero ociosae, cioè prive di attività, il che equivale a dire che esisterebbero inutilmente (frustra, termine cui corrisponde appunto ""indarno""), e questo è impossibile perché la natura non produce niente se non in vista di uno scopo (cfr. Metaph., XI = XII, c. 44, f. 327 H; vedi anche Phys. II, c. 75, f. 75 M). Pure ad Averroè è attribuibile la dottrina per cui la substantia e la perfectio delle sostanze separate consiste nel produrre il movimento dei cieli (ivi, c. 36, f. 318 K). Tutti coloro che nel XIII secolo hanno sostenuto la piena coincidenza tra essere ed operazione nelle sostanze separate, hanno identificato quest'ultima in primo luogo con l'attività del pensare e infatti anche per Dante esse muovono i cieli ""intendendo"". Il luogo del De caelo in cui Aristotele sembrerebbe ammettere, sia pure incidentalmente (""incidentemente""), l'esistenza di sostanze separate non collegate al movimento dei cieli è probabilmente I 9, 279 a 19-22 in cui si parla di entità che, al di là dell'ultima sfera del cosmo, al di fuori dello spazio e del tempo, trascorrono tutta l'eternità in una vita ottima e pienamente sufficiente a se stessa. Nella Summa theologica sive de mirabili scientia Dei Alberto aveva già interpretato questo passo come un accenno all'esistenza dell' Empireo, luogo degli angeli e dei beati: ""Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et Philosophi vocant uniforme in lumine ... est caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive firmamentum, et est illud de quo dicit Aristoteles in II De caelo et mundo quod extra caelum nihil est, nec locus nec tempus, sed vita beata quae est extra ipsum non sicut in loco vel in tempore, sed sicut in obiecto. Extra enim illud est caelum empyreum, in quo obicit se Deus beatis ad contemplandum et fruendum immediate"" (Pars Secunda, tr. 11, q. 52, membrum 2 Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile, p. 554). Per parte sua Tommaso nel Commento al De caelo (I, lectio 21, n. 214) sostiene contro Alessandro di Afrodisia che la condizione di vita descritta da Aristotele non si può riferire ai corpi celesti ma solo a Dio ed alle sostanze separate nel loro insieme, che sono 'al di là' del movimento dell'ultimo cielo in quanto lo contengono e con esso contengono tutto il cosmo. Da queste affermazioni sembra derivare (anche se l'Aquinate non lo dice esplicitamente) che l'insieme delle sostanze separate dotate di vita perfetta fuori del tempo e dello spazio sia più vasto di quello delle intelligenze motrici dei cieli, ma non viene mai fatto cenno all' Empireo.","I 9, 279 a 19-22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FURONO CERTI FILOSOFI...,"la prima scuola filosofica, di cui fa parte Aristotele, ha sostenuto che il numero delle sostanze separate equivale a quello dei movimenti circolari celesti (essere tante quante circulazioni fossero nelli cieli e non più""); questo perché se ce ne fossero delle altre esse non avrebbero una attività propria (""sanza operazione""), e quindi da sempre (""etternalmente"") non avrebbero avuto alcuna ragione di esistere (""sarebbero state indarno"", cioè invano) perché in loro l'essenza si identifica con l'attività (""con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""). Effettivamente nel libro XII della Metafisica Aristotele determina il numero delle sostanze separate in base al numero dei movimenti celesti (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 15sgg.). Nel suo Commento Averroè argomenta che se ne esistessero altre, esse sarebbero ociosae, cioè prive di attività, il che equivale a dire che esisterebbero inutilmente (frustra, termine cui corrisponde appunto ""indarno""), e questo è impossibile perché la natura non produce niente se non in vista di uno scopo (cfr. Metaph., XI = XII, c. 44, f. 327 H; vedi anche Phys. II, c. 75, f. 75 M). Pure ad Averroè è attribuibile la dottrina per cui la substantia e la perfectio delle sostanze separate consiste nel produrre il movimento dei cieli (ivi, c. 36, f. 318 K). Tutti coloro che nel XIII secolo hanno sostenuto la piena coincidenza tra essere ed operazione nelle sostanze separate, hanno identificato quest'ultima in primo luogo con l'attività del pensare e infatti anche per Dante esse muovono i cieli ""intendendo"". Il luogo del De caelo in cui Aristotele sembrerebbe ammettere, sia pure incidentalmente (""incidentemente""), l'esistenza di sostanze separate non collegate al movimento dei cieli è probabilmente I 9, 279 a 19-22 in cui si parla di entità che, al di là dell'ultima sfera del cosmo, al di fuori dello spazio e del tempo, trascorrono tutta l'eternità in una vita ottima e pienamente sufficiente a se stessa. Nella Summa theologica sive de mirabili scientia Dei Alberto aveva già interpretato questo passo come un accenno all'esistenza dell' Empireo, luogo degli angeli e dei beati: ""Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et Philosophi vocant uniforme in lumine ... est caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive firmamentum, et est illud de quo dicit Aristoteles in II De caelo et mundo quod extra caelum nihil est, nec locus nec tempus, sed vita beata quae est extra ipsum non sicut in loco vel in tempore, sed sicut in obiecto. Extra enim illud est caelum empyreum, in quo obicit se Deus beatis ad contemplandum et fruendum immediate"" (Pars Secunda, tr. 11, q. 52, membrum 2 Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile, p. 554). Per parte sua Tommaso nel Commento al De caelo (I, lectio 21, n. 214) sostiene contro Alessandro di Afrodisia che la condizione di vita descritta da Aristotele non si può riferire ai corpi celesti ma solo a Dio ed alle sostanze separate nel loro insieme, che sono 'al di là' del movimento dell'ultimo cielo in quanto lo contengono e con esso contengono tutto il cosmo. Da queste affermazioni sembra derivare (anche se l'Aquinate non lo dice esplicitamente) che l'insieme delle sostanze separate dotate di vita perfetta fuori del tempo e dello spazio sia più vasto di quello delle intelligenze motrici dei cieli, ma non viene mai fatto cenno all' Empireo.","Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et Philosophi vocant uniforme in lumine ... est caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive firmamentum, et est illud de quo dicit Aristoteles in II De caelo et mundo quod extra caelum nihil est, nec locus nec tempus, sed vita beata quae est extra ipsum non sicut in loco vel in tempore, sed sicut in obiecto. Extra enim illud est caelum empyreum, in quo obicit se Deus beatis ad contemplandum et fruendum immediate (Pars Secunda, tr. 11, q. 52, membrum 2 Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile, p. 554)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_Theologica_sive_de_mirabili_scientia_Dei,Summa theologica sive de mirabili scientia Dei,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FURONO CERTI FILOSOFI...,"la prima scuola filosofica, di cui fa parte Aristotele, ha sostenuto che il numero delle sostanze separate equivale a quello dei movimenti circolari celesti (essere tante quante circulazioni fossero nelli cieli e non più""); questo perché se ce ne fossero delle altre esse non avrebbero una attività propria (""sanza operazione""), e quindi da sempre (""etternalmente"") non avrebbero avuto alcuna ragione di esistere (""sarebbero state indarno"", cioè invano) perché in loro l'essenza si identifica con l'attività (""con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""). Effettivamente nel libro XII della Metafisica Aristotele determina il numero delle sostanze separate in base al numero dei movimenti celesti (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 15sgg.). Nel suo Commento Averroè argomenta che se ne esistessero altre, esse sarebbero ociosae, cioè prive di attività, il che equivale a dire che esisterebbero inutilmente (frustra, termine cui corrisponde appunto ""indarno""), e questo è impossibile perché la natura non produce niente se non in vista di uno scopo (cfr. Metaph., XI = XII, c. 44, f. 327 H; vedi anche Phys. II, c. 75, f. 75 M). Pure ad Averroè è attribuibile la dottrina per cui la substantia e la perfectio delle sostanze separate consiste nel produrre il movimento dei cieli (ivi, c. 36, f. 318 K). Tutti coloro che nel XIII secolo hanno sostenuto la piena coincidenza tra essere ed operazione nelle sostanze separate, hanno identificato quest'ultima in primo luogo con l'attività del pensare e infatti anche per Dante esse muovono i cieli ""intendendo"". Il luogo del De caelo in cui Aristotele sembrerebbe ammettere, sia pure incidentalmente (""incidentemente""), l'esistenza di sostanze separate non collegate al movimento dei cieli è probabilmente I 9, 279 a 19-22 in cui si parla di entità che, al di là dell'ultima sfera del cosmo, al di fuori dello spazio e del tempo, trascorrono tutta l'eternità in una vita ottima e pienamente sufficiente a se stessa. Nella Summa theologica sive de mirabili scientia Dei Alberto aveva già interpretato questo passo come un accenno all'esistenza dell' Empireo, luogo degli angeli e dei beati: ""Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et Philosophi vocant uniforme in lumine ... est caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive firmamentum, et est illud de quo dicit Aristoteles in II De caelo et mundo quod extra caelum nihil est, nec locus nec tempus, sed vita beata quae est extra ipsum non sicut in loco vel in tempore, sed sicut in obiecto. Extra enim illud est caelum empyreum, in quo obicit se Deus beatis ad contemplandum et fruendum immediate"" (Pars Secunda, tr. 11, q. 52, membrum 2 Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile, p. 554). Per parte sua Tommaso nel Commento al De caelo (I, lectio 21, n. 214) sostiene contro Alessandro di Afrodisia che la condizione di vita descritta da Aristotele non si può riferire ai corpi celesti ma solo a Dio ed alle sostanze separate nel loro insieme, che sono 'al di là' del movimento dell'ultimo cielo in quanto lo contengono e con esso contengono tutto il cosmo. Da queste affermazioni sembra derivare (anche se l'Aquinate non lo dice esplicitamente) che l'insieme delle sostanze separate dotate di vita perfetta fuori del tempo e dello spazio sia più vasto di quello delle intelligenze motrici dei cieli, ma non viene mai fatto cenno all' Empireo.","I, lectio 21, n. 214",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_libros_Aristotelis_De_caelo_et_mundo_expositio(Tommaso),In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SPEZIE,"specie'. I brevi cenni, quasi manualistici, relativi alla posizione di Platone sono tutti derivabili dai testi in cui Aristotele riassume ed interpreta le dottrine del suo maestro. Questo vale per l'assimilazione delle idee di Platone a sostanze separate (cfr. Metaph. XII 3, 1071b 14-16) e il Commento di Tommaso, lectio 5, n. 2493), per la restrizione del numero delle idee a quello delle specie (escludendo quindi idee degli individui; cfr. Metaph. XII 3, 1070 a 18-19), per la loro estensione agli enti geometrici (le larghezze""; cfr. De an. I 2, 404 b 20-21), per la loro capacità di produrre, come esemplari, individui della propria specie (""generatrici dell'altre cose ed essempli""; cfr. Metaph. I, 9, 991 b 3-42). Che le intelligenze separate siano produttrici dei cieli cui presiedono (""generatrici di quelli"") non è invece dottrina di Aristotele, bensì di Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, p. 483), respinta da Averroè (cfr. Metaphysica XI = XII, c.44, f. 327 H-K) ma ripresa da Alberto Magno nel De causis et processu universitatis I, tr. 4, cap. 8, pp. 55-58).","XII 3, 1071b 14-16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SPEZIE,"specie'. I brevi cenni, quasi manualistici, relativi alla posizione di Platone sono tutti derivabili dai testi in cui Aristotele riassume ed interpreta le dottrine del suo maestro. Questo vale per l'assimilazione delle idee di Platone a sostanze separate (cfr. Metaph. XII 3, 1071b 14-16) e il Commento di Tommaso, lectio 5, n. 2493), per la restrizione del numero delle idee a quello delle specie (escludendo quindi idee degli individui; cfr. Metaph. XII 3, 1070 a 18-19), per la loro estensione agli enti geometrici (le larghezze""; cfr. De an. I 2, 404 b 20-21), per la loro capacità di produrre, come esemplari, individui della propria specie (""generatrici dell'altre cose ed essempli""; cfr. Metaph. I, 9, 991 b 3-42). Che le intelligenze separate siano produttrici dei cieli cui presiedono (""generatrici di quelli"") non è invece dottrina di Aristotele, bensì di Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, p. 483), respinta da Averroè (cfr. Metaphysica XI = XII, c.44, f. 327 H-K) ma ripresa da Alberto Magno nel De causis et processu universitatis I, tr. 4, cap. 8, pp. 55-58).","lectio 5, n. 2493",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SPEZIE,"specie'. I brevi cenni, quasi manualistici, relativi alla posizione di Platone sono tutti derivabili dai testi in cui Aristotele riassume ed interpreta le dottrine del suo maestro. Questo vale per l'assimilazione delle idee di Platone a sostanze separate (cfr. Metaph. XII 3, 1071b 14-16) e il Commento di Tommaso, lectio 5, n. 2493), per la restrizione del numero delle idee a quello delle specie (escludendo quindi idee degli individui; cfr. Metaph. XII 3, 1070 a 18-19), per la loro estensione agli enti geometrici (le larghezze""; cfr. De an. I 2, 404 b 20-21), per la loro capacità di produrre, come esemplari, individui della propria specie (""generatrici dell'altre cose ed essempli""; cfr. Metaph. I, 9, 991 b 3-42). Che le intelligenze separate siano produttrici dei cieli cui presiedono (""generatrici di quelli"") non è invece dottrina di Aristotele, bensì di Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, p. 483), respinta da Averroè (cfr. Metaphysica XI = XII, c.44, f. 327 H-K) ma ripresa da Alberto Magno nel De causis et processu universitatis I, tr. 4, cap. 8, pp. 55-58).","I 2, 404 b 20-21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SPEZIE,"specie'. I brevi cenni, quasi manualistici, relativi alla posizione di Platone sono tutti derivabili dai testi in cui Aristotele riassume ed interpreta le dottrine del suo maestro. Questo vale per l'assimilazione delle idee di Platone a sostanze separate (cfr. Metaph. XII 3, 1071b 14-16) e il Commento di Tommaso, lectio 5, n. 2493), per la restrizione del numero delle idee a quello delle specie (escludendo quindi idee degli individui; cfr. Metaph. XII 3, 1070 a 18-19), per la loro estensione agli enti geometrici (le larghezze""; cfr. De an. I 2, 404 b 20-21), per la loro capacità di produrre, come esemplari, individui della propria specie (""generatrici dell'altre cose ed essempli""; cfr. Metaph. I, 9, 991 b 3-42). Che le intelligenze separate siano produttrici dei cieli cui presiedono (""generatrici di quelli"") non è invece dottrina di Aristotele, bensì di Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, p. 483), respinta da Averroè (cfr. Metaphysica XI = XII, c.44, f. 327 H-K) ma ripresa da Alberto Magno nel De causis et processu universitatis I, tr. 4, cap. 8, pp. 55-58).","IX, 4, vol. II, p. 483",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_philosophia_prima_sive_de_scientia_divina,Liber de philosophia prima sive de scientia divina,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SPEZIE,"specie'. I brevi cenni, quasi manualistici, relativi alla posizione di Platone sono tutti derivabili dai testi in cui Aristotele riassume ed interpreta le dottrine del suo maestro. Questo vale per l'assimilazione delle idee di Platone a sostanze separate (cfr. Metaph. XII 3, 1071b 14-16) e il Commento di Tommaso, lectio 5, n. 2493), per la restrizione del numero delle idee a quello delle specie (escludendo quindi idee degli individui; cfr. Metaph. XII 3, 1070 a 18-19), per la loro estensione agli enti geometrici (le larghezze""; cfr. De an. I 2, 404 b 20-21), per la loro capacità di produrre, come esemplari, individui della propria specie (""generatrici dell'altre cose ed essempli""; cfr. Metaph. I, 9, 991 b 3-42). Che le intelligenze separate siano produttrici dei cieli cui presiedono (""generatrici di quelli"") non è invece dottrina di Aristotele, bensì di Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, p. 483), respinta da Averroè (cfr. Metaphysica XI = XII, c.44, f. 327 H-K) ma ripresa da Alberto Magno nel De causis et processu universitatis I, tr. 4, cap. 8, pp. 55-58).","I, tr. 4, cap. 8, pp. 55-58",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_causis_et_processu_universitatis,De causis et processu universitatis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AVVEGNA CHE ... COME PLATO,"nonostante non attribuissero loro lo stesso significato filosofico delle idee di Platone'. Da alcuni autori l'identificazione tra Dei e Forme veniva attribuita allo stesso Platone (cfr. Sigieri di Brabante, Quaestiones in librum De causis, quaestio 17, Utrum positis ideis quaelibet earum esset Deus aliquis, p. 76). Questa posizione poteva trovare un fondamento nel famoso brano del Timeo in cui il Demiurgo affida agli Dei secondi"" il compito di iniziare il processo della generazione (cfr. Timeo 41 CD, nella traduzione latina di Calcidio, ed. Waszink, p. 36), ripetutamente citato, per esempio, da Alberto Magno. Che invece fossero stati i miti divini a prefigurare la verità filosofica relativa alle sostanze separate (cui, come abbiamo visto, egli equiparava le idee platoniche) era l' opinione di Aristotele (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 38-b 13) ed è un principio ermeneutico di Tommaso, ogni volta che trova il termine ""dei"" nel testo aristotelico, quello di trascriverlo nel registro delle sostanze separate. Dante avrebbe ben potuto contaminare le due prospettive. Gli dei cui si riferiscono sia Platone che Aristotele sono però quelli che presiedono ai sette pianeti, gli stessi ai quali lo stesso Dante accenna in Pd IV 61-3 (""questo principio, male inteso, torse / già tutto il mondo quasi, sì che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse""); quelli qui citati (Giunone, Minerva, Cerere e Vulcano) non hanno invece alcuna controparte astronomico-astrologica. Dante sembra usare un modello risalente agli Stoici, ma largamente accettato dagli interpreti medievali della mitologia antica: gli dei sono personificazioni di forze e processi naturali: Vulcano del fuoco, Cerere delle messi etc . Sulla originalità di questa utilizzazione degli dei olimpici e sulla sua presenza anche nella Commedia sono pienamente valide le penetranti osservazioni di Paul Renucci (Renucci 1954, pp. 82, 197-8). Vedi anche Bemrose 1983 , pp. 117 sgg.","XII 8, 1074 a 38-b 13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DEA DI POTENZA,"l'insolita definizione può avere come spiegazione i versi dell' Eneide II, 437 in cui Giunone viene definita domina potens"" (cfr. Brambilla Ageno 1986).","II, 437",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +E ANCO SI MANIFESTA IN MOLTI NOMI,"il luogo detto 'casa di Marte' a Firenze ed il mitico fiume sotterraneo della Diana a Siena sono esempi di toponomastica medievale che avevano mantenuto un ricordo degli antichi dei e che potevano essere conosciuti da Dante (cfr. G. Villani, Nuova Chronica II, 5; III, 1, vol. I, pp. 68, 98; Pg XIII 153).",II 5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nova_Cronica,Nova Cronica,Giovanni Villani,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_Villani,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +E ANCO SI MANIFESTA IN MOLTI NOMI,"il luogo detto 'casa di Marte' a Firenze ed il mitico fiume sotterraneo della Diana a Siena sono esempi di toponomastica medievale che avevano mantenuto un ricordo degli antichi dei e che potevano essere conosciuti da Dante (cfr. G. Villani, Nuova Chronica II, 5; III, 1, vol. I, pp. 68, 98; Pg XIII 153).","III, 1, vol. I, pp. 68",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nova_Cronica,Nova Cronica,Giovanni Villani,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_Villani,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +E NON È CONTRA QUELLO,"Dante risponde ad una possibile obiezione basata su di un passo dell' Etica Nicomachea (X 8, 1178 b 25-26) in cui Aristotele parla, al plurale, della vita speculativa degli dei, identificati da Tommaso nel suo Commento con le sostanze separate che muovono i cieli (Diis enim, id est substantiis separatis, quia habent solam intellectualem vitam, tota eorum vita est bona"" X, lectio 12, n. 2125), e sembra dire che solo quella appartenga loro (""convegna pure""). Dante risponde così: anche se è vero che solo la vita di contemplazione è loro propria (""come pure la speculativa convenga loro""), tuttavia, per alcune di esse, dall'attività di pensare deriva come effetto il movimento circolare dei cieli (""pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo""); esso, come abbiamo già visto, regola l'universo (""è governo del mondo""); quest'ultimo può dunque paragonarsi ad una collettività politica bene ordinata (""è quasi una ordinata civilitade"") che è presente come fine nel pensiero dei motori celesti (""intesa nella speculazione delli motori"". Per il termine ""civilitade"" cfr. la nota a Cv IV iv 1). Una CITAZIONE ESPLICITA analogia tra l'universo e una comunità politica e tra le sostanze separate e una classe di governo è presente in Averroè, Metaphysica XI (= XII), c. 44, f. 328 A-C. La risposta di Dante, comunque, contrasta con quanto affermato poco prima, e cioè che alcune sostanze separate esercitano solo l' attività di governo del mondo ed altre solo quella del pensiero puro.","X 8, 1178 b 25-26",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E NON È CONTRA QUELLO,"Dante risponde ad una possibile obiezione basata su di un passo dell' Etica Nicomachea (X 8, 1178 b 25-26) in cui Aristotele parla, al plurale, della vita speculativa degli dei, identificati da Tommaso nel suo Commento con le sostanze separate che muovono i cieli (Diis enim, id est substantiis separatis, quia habent solam intellectualem vitam, tota eorum vita est bona"" X, lectio 12, n. 2125), e sembra dire che solo quella appartenga loro (""convegna pure""). Dante risponde così: anche se è vero che solo la vita di contemplazione è loro propria (""come pure la speculativa convenga loro""), tuttavia, per alcune di esse, dall'attività di pensare deriva come effetto il movimento circolare dei cieli (""pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo""); esso, come abbiamo già visto, regola l'universo (""è governo del mondo""); quest'ultimo può dunque paragonarsi ad una collettività politica bene ordinata (""è quasi una ordinata civilitade"") che è presente come fine nel pensiero dei motori celesti (""intesa nella speculazione delli motori"". Per il termine ""civilitade"" cfr. la nota a Cv IV iv 1). Una CITAZIONE ESPLICITA analogia tra l'universo e una comunità politica e tra le sostanze separate e una classe di governo è presente in Averroè, Metaphysica XI (= XII), c. 44, f. 328 A-C. La risposta di Dante, comunque, contrasta con quanto affermato poco prima, e cioè che alcune sostanze separate esercitano solo l' attività di governo del mondo ed altre solo quella del pensiero puro.","X, lectio 12, n. 2125",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E NON È CONTRA QUELLO,"Dante risponde ad una possibile obiezione basata su di un passo dell' Etica Nicomachea (X 8, 1178 b 25-26) in cui Aristotele parla, al plurale, della vita speculativa degli dei, identificati da Tommaso nel suo Commento con le sostanze separate che muovono i cieli (Diis enim, id est substantiis separatis, quia habent solam intellectualem vitam, tota eorum vita est bona"" X, lectio 12, n. 2125), e sembra dire che solo quella appartenga loro (""convegna pure""). Dante risponde così: anche se è vero che solo la vita di contemplazione è loro propria (""come pure la speculativa convenga loro""), tuttavia, per alcune di esse, dall'attività di pensare deriva come effetto il movimento circolare dei cieli (""pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo""); esso, come abbiamo già visto, regola l'universo (""è governo del mondo""); quest'ultimo può dunque paragonarsi ad una collettività politica bene ordinata (""è quasi una ordinata civilitade"") che è presente come fine nel pensiero dei motori celesti (""intesa nella speculazione delli motori"". Per il termine ""civilitade"" cfr. la nota a Cv IV iv 1). Una CITAZIONE ESPLICITA analogia tra l'universo e una comunità politica e tra le sostanze separate e una classe di governo è presente in Averroè, Metaphysica XI (= XII), c. 44, f. 328 A-C. La risposta di Dante, comunque, contrasta con quanto affermato poco prima, e cioè che alcune sostanze separate esercitano solo l' attività di governo del mondo ed altre solo quella del pensiero puro.","X 8, 1178 b 25-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_alla_Metafisica(Averroè),Commento alla Metafisica,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'ALTRA RAGIONE ...,"il secondo argomento è ancor più generale del primo: il principio per cui nessun effetto è maggiore della sua causa (cagione""), in quanto essa non può trasfondervi più di quanto non sia la sua capacità produttiva (""poi che la cagione non può dare quello che non ha"") viene applicato al rapporto tra l'intelletto divino, che è produttore della totalità delle cose, e l'intelletto umano che ne è per così dire un prodotto privilegiato (""massimamente dell'intelletto umano""): chiaramente dunque quest'ultimo non può sopravanzare (""soperchiare"") il primo; anzi ne è superato in maniera infinita (il termine ""improporzionalmente"" indica in maniera implicita l'infinità dell'intelletto divino: infatti, come dice Aristotele in De caelo I 6, 274 a 7, tra finito ed infinito non è possibile alcuna proporzione ). Se dunque abbiamo capito attraverso le argomentazioni precedenti (""per le ragioni di sopra ... intendiamo"") che Dio avrebbe potuto (""possuto"") creare un numero quasi infinito (""innumerabile quasi"") di intelligenze, risulta evidente che Dio effettivamente ne ha create un numero maggiore di quelle che muovono i cieli (""questo avere fatto maggiore numero""). L'argomento, oltre ad essere generalissimo, è anche di non facile interpretazione: esso si presenta come un passaggio dal posse all' esse e sembra presupporre in qualche modo un principio di pienezza (tutto quello che Dio poteva produrre, lo ha effettivamente prodotto). Non risulta però chiaro quale funzione abbia la tesi della improporzionalità tra intelletto divino ed intelletto umano e soprattutto le ""ragioni di sopra"" avevano argomentato a favore non della possibilità, ma della effettiva esistenza di un numero più alto di Intelligenze. Sui limiti dell'argomentazione di Dante cfr. Nardi 1992, pp. 60-2.","I 6, 274 a 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NÉ SI MARAVIGLI,"Dante riconosce il carattere solo probabile e non strettamente dimostrativo delle sue argomentazioni. Nessuno se ne deve meravigliare perché. questo dipende dalla natura della realtà che si vuole conoscere. Ora, per quanto riguarda le sostanze separate, noi possiamo affermare che esse esistono (affermar loro essere"") ma contemporaneamente (""medesimamente"") dobbiamo limitarci alla ammirazione della loro altissima natura (""loro eccellenza""), senza poterla conoscere poiché supera le nostre capacità di comprensione (""soverchia gli occhi della mente umana"". Da un punto di vista strettamente sintattico le affermazioni delle proposizioni dipendenti dalla prima dovrebbero essere riferite a ""queste e altre ragioni"". In realtà esse hanno come soggetto sottinteso le Intelligenze-angeli. Cfr. Porro 2006, p. 315) Come Dante preciserà in Cv II xiv 8 e III iv 9 in maniera sicura noi conosciamo solo l'esistenza delle Intelligenze, dimostrata a partire dai loro effetti (i movimenti dei cieli, appunto), mentre poco o niente ci è accessibile della loro essenza. Non per nulla nel secondo libro della Metafisica (cap. 1, 993 b 9-11) Aristotele, riguardo alla nostra conoscenza delle realtà immateriali, istituisce il famosissimo paragone tra l'intelletto umano e l'occhio di un animale notturno che voglia vedere il sole (il termine greco nykteris è stato reso nelle varie traduzioni latine medievali con termini diversi, noctua, vespertilio oppure nicticorax, ma vespertilio-pipistrello è quello che ha avuto maggiore diffusione )","cap. 1, 993 b 9-11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME AFFERMA,"Dante porta come esempio quello di chi, nonostante abbia gli occhi chiusi, può egualmente dire che l'aria è luminosa perché un minimo di splendore dei raggi solari passa attraverso le pupille trapelando dalla palpebra (passa per le pupille del palpastrello"") Nonostante la vicinanza della citazione del secondo libro della Metafisica abbia portato editori e commentatori a scegliere tra le varianti testuali il più facile ""vipistrello"" al posto di ""palpastrello"", la proposta della Ageno è resa del tutto plausibile dal contesto. Infatti il poco di splendore che permette di affermare la luminosità dell'aria anche a chi tiene gli occhi chiusi trapela nelle sue pupille, non in quelle di un non meglio identificato pipistrello. Ovviamente gli occhi sono ""gli occhi intellettuali"": il poco di luce percepibile sono le conclusioni raggiunte dalle ""ragioni non dimostrative"". Infine gli occhi della mente sono come ciechi finché (""mentre che"") sono impediti (""legati"") dalla sensibilità corporea (""per gli organi del nostro corpo""). Che la conoscenza umana abbia come punto di partenza e come limite la sensazione è dottrina aristotelica. La convinzione che il corpo sia un ostacolo che impedisce la conoscenza delle realtà soprasensibili, raggiungibili solo quando l'anima riesce a liberarsene (momentaneamente, come nei sogni e nelle visioni, definitivamente dopo la morte) risale invece a Platone. Si tratta di una dottrina ripresa da Avicenna (""anima impedita est in corpore et ex corpore, et ... in multis eget corpore, sed corpus elongat eam a dignioribus suis perfectionibus ...; cum autem aufertur de anima nostra ispa aggravatio et impedimentum, tunc intelligentia animae de his est melior quam habet anima et quae est purior et delectabilior"" Liber de anima seu sextus de naturalibus, V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28). Lo schema continua a funzionare in quasi tutti i pensatori latini, anche in chi, come Tommaso accetta in pieno la noetica aristotelica (cfr. Quaestio disputata de anima, art 15: ""Nec … dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus""). La definizione del corpo come carcere dell'anima richiama però un platonismo piuttosto estremo (quello del Fedone) e non mi sembra compaia negli stessi termini né in Tommaso né in Alberto (cfr. nota a Cv. III ii 14). La troviamo invece nella prefazione di alla traduzione latina del De pomo sive de morte Aristotelis, un testo in cui lo Stagirita, in punto di morte, si esprime attraverso concetti decisamente platonici (in Aristotelis librorum deperditorum fragmenta, ed. Gigon, p. 54b). Dante poteva leggere qualcosa di simile anche nella Scrittura, e precisamente in Sap. 9, 15 ""Corpus enim quod corrumpitur aggravat animam et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem"", un brano che, in contesto assai simile, Boncompagno da Signa mette in bocca proprio all'anima: ""Ego... sum de angeli natura creata et tu factum de terra, immo de limo et fece terrestri. Te mecum idem esse fateris? Scirem quidem preterita, presentia et futura, si tua non essem putredine sordidata. Nam corpus, quod corrumpitur, aggravat animam et deprimit terrena inhabitatio sensum plurima cogitantem, et tu dicis: Sum idem cum illa. "" (Amicitia , ed. Nathan, p. 47)","V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_anima_seu_sextus_de_naturalibus,Liber de anima seu sextus de naturalibus,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME AFFERMA,"Dante porta come esempio quello di chi, nonostante abbia gli occhi chiusi, può egualmente dire che l'aria è luminosa perché un minimo di splendore dei raggi solari passa attraverso le pupille trapelando dalla palpebra (passa per le pupille del palpastrello"") Nonostante la vicinanza della citazione del secondo libro della Metafisica abbia portato editori e commentatori a scegliere tra le varianti testuali il più facile ""vipistrello"" al posto di ""palpastrello"", la proposta della Ageno è resa del tutto plausibile dal contesto. Infatti il poco di splendore che permette di affermare la luminosità dell'aria anche a chi tiene gli occhi chiusi trapela nelle sue pupille, non in quelle di un non meglio identificato pipistrello. Ovviamente gli occhi sono ""gli occhi intellettuali"": il poco di luce percepibile sono le conclusioni raggiunte dalle ""ragioni non dimostrative"". Infine gli occhi della mente sono come ciechi finché (""mentre che"") sono impediti (""legati"") dalla sensibilità corporea (""per gli organi del nostro corpo""). Che la conoscenza umana abbia come punto di partenza e come limite la sensazione è dottrina aristotelica. La convinzione che il corpo sia un ostacolo che impedisce la conoscenza delle realtà soprasensibili, raggiungibili solo quando l'anima riesce a liberarsene (momentaneamente, come nei sogni e nelle visioni, definitivamente dopo la morte) risale invece a Platone. Si tratta di una dottrina ripresa da Avicenna (""anima impedita est in corpore et ex corpore, et ... in multis eget corpore, sed corpus elongat eam a dignioribus suis perfectionibus ...; cum autem aufertur de anima nostra ispa aggravatio et impedimentum, tunc intelligentia animae de his est melior quam habet anima et quae est purior et delectabilior"" Liber de anima seu sextus de naturalibus, V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28). Lo schema continua a funzionare in quasi tutti i pensatori latini, anche in chi, come Tommaso accetta in pieno la noetica aristotelica (cfr. Quaestio disputata de anima, art 15: ""Nec … dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus""). La definizione del corpo come carcere dell'anima richiama però un platonismo piuttosto estremo (quello del Fedone) e non mi sembra compaia negli stessi termini né in Tommaso né in Alberto (cfr. nota a Cv. III ii 14). La troviamo invece nella prefazione di alla traduzione latina del De pomo sive de morte Aristotelis, un testo in cui lo Stagirita, in punto di morte, si esprime attraverso concetti decisamente platonici (in Aristotelis librorum deperditorum fragmenta, ed. Gigon, p. 54b). Dante poteva leggere qualcosa di simile anche nella Scrittura, e precisamente in Sap. 9, 15 ""Corpus enim quod corrumpitur aggravat animam et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem"", un brano che, in contesto assai simile, Boncompagno da Signa mette in bocca proprio all'anima: ""Ego... sum de angeli natura creata et tu factum de terra, immo de limo et fece terrestri. Te mecum idem esse fateris? Scirem quidem preterita, presentia et futura, si tua non essem putredine sordidata. Nam corpus, quod corrumpitur, aggravat animam et deprimit terrena inhabitatio sensum plurima cogitantem, et tu dicis: Sum idem cum illa. "" (Amicitia , ed. Nathan, p. 47)","V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_anima_seu_sextus_de_naturalibus,Liber de anima seu sextus de naturalibus,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME AFFERMA,"Dante porta come esempio quello di chi, nonostante abbia gli occhi chiusi, può egualmente dire che l'aria è luminosa perché un minimo di splendore dei raggi solari passa attraverso le pupille trapelando dalla palpebra (passa per le pupille del palpastrello"") Nonostante la vicinanza della citazione del secondo libro della Metafisica abbia portato editori e commentatori a scegliere tra le varianti testuali il più facile ""vipistrello"" al posto di ""palpastrello"", la proposta della Ageno è resa del tutto plausibile dal contesto. Infatti il poco di splendore che permette di affermare la luminosità dell'aria anche a chi tiene gli occhi chiusi trapela nelle sue pupille, non in quelle di un non meglio identificato pipistrello. Ovviamente gli occhi sono ""gli occhi intellettuali"": il poco di luce percepibile sono le conclusioni raggiunte dalle ""ragioni non dimostrative"". Infine gli occhi della mente sono come ciechi finché (""mentre che"") sono impediti (""legati"") dalla sensibilità corporea (""per gli organi del nostro corpo""). Che la conoscenza umana abbia come punto di partenza e come limite la sensazione è dottrina aristotelica. La convinzione che il corpo sia un ostacolo che impedisce la conoscenza delle realtà soprasensibili, raggiungibili solo quando l'anima riesce a liberarsene (momentaneamente, come nei sogni e nelle visioni, definitivamente dopo la morte) risale invece a Platone. Si tratta di una dottrina ripresa da Avicenna (""anima impedita est in corpore et ex corpore, et ... in multis eget corpore, sed corpus elongat eam a dignioribus suis perfectionibus ...; cum autem aufertur de anima nostra ispa aggravatio et impedimentum, tunc intelligentia animae de his est melior quam habet anima et quae est purior et delectabilior"" Liber de anima seu sextus de naturalibus, V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28). Lo schema continua a funzionare in quasi tutti i pensatori latini, anche in chi, come Tommaso accetta in pieno la noetica aristotelica (cfr. Quaestio disputata de anima, art 15: ""Nec … dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus""). La definizione del corpo come carcere dell'anima richiama però un platonismo piuttosto estremo (quello del Fedone) e non mi sembra compaia negli stessi termini né in Tommaso né in Alberto (cfr. nota a Cv. III ii 14). La troviamo invece nella prefazione di alla traduzione latina del De pomo sive de morte Aristotelis, un testo in cui lo Stagirita, in punto di morte, si esprime attraverso concetti decisamente platonici (in Aristotelis librorum deperditorum fragmenta, ed. Gigon, p. 54b). Dante poteva leggere qualcosa di simile anche nella Scrittura, e precisamente in Sap. 9, 15 ""Corpus enim quod corrumpitur aggravat animam et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem"", un brano che, in contesto assai simile, Boncompagno da Signa mette in bocca proprio all'anima: ""Ego... sum de angeli natura creata et tu factum de terra, immo de limo et fece terrestri. Te mecum idem esse fateris? Scirem quidem preterita, presentia et futura, si tua non essem putredine sordidata. Nam corpus, quod corrumpitur, aggravat animam et deprimit terrena inhabitatio sensum plurima cogitantem, et tu dicis: Sum idem cum illa. "" (Amicitia , ed. Nathan, p. 47)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Phaedo,Fedone,Platone,http://dbpedia.org/resource/Plato,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +SÌ COME AFFERMA,"Dante porta come esempio quello di chi, nonostante abbia gli occhi chiusi, può egualmente dire che l'aria è luminosa perché un minimo di splendore dei raggi solari passa attraverso le pupille trapelando dalla palpebra (passa per le pupille del palpastrello"") Nonostante la vicinanza della citazione del secondo libro della Metafisica abbia portato editori e commentatori a scegliere tra le varianti testuali il più facile ""vipistrello"" al posto di ""palpastrello"", la proposta della Ageno è resa del tutto plausibile dal contesto. Infatti il poco di splendore che permette di affermare la luminosità dell'aria anche a chi tiene gli occhi chiusi trapela nelle sue pupille, non in quelle di un non meglio identificato pipistrello. Ovviamente gli occhi sono ""gli occhi intellettuali"": il poco di luce percepibile sono le conclusioni raggiunte dalle ""ragioni non dimostrative"". Infine gli occhi della mente sono come ciechi finché (""mentre che"") sono impediti (""legati"") dalla sensibilità corporea (""per gli organi del nostro corpo""). Che la conoscenza umana abbia come punto di partenza e come limite la sensazione è dottrina aristotelica. La convinzione che il corpo sia un ostacolo che impedisce la conoscenza delle realtà soprasensibili, raggiungibili solo quando l'anima riesce a liberarsene (momentaneamente, come nei sogni e nelle visioni, definitivamente dopo la morte) risale invece a Platone. Si tratta di una dottrina ripresa da Avicenna (""anima impedita est in corpore et ex corpore, et ... in multis eget corpore, sed corpus elongat eam a dignioribus suis perfectionibus ...; cum autem aufertur de anima nostra ispa aggravatio et impedimentum, tunc intelligentia animae de his est melior quam habet anima et quae est purior et delectabilior"" Liber de anima seu sextus de naturalibus, V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28). Lo schema continua a funzionare in quasi tutti i pensatori latini, anche in chi, come Tommaso accetta in pieno la noetica aristotelica (cfr. Quaestio disputata de anima, art 15: ""Nec … dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus""). La definizione del corpo come carcere dell'anima richiama però un platonismo piuttosto estremo (quello del Fedone) e non mi sembra compaia negli stessi termini né in Tommaso né in Alberto (cfr. nota a Cv. III ii 14). La troviamo invece nella prefazione di alla traduzione latina del De pomo sive de morte Aristotelis, un testo in cui lo Stagirita, in punto di morte, si esprime attraverso concetti decisamente platonici (in Aristotelis librorum deperditorum fragmenta, ed. Gigon, p. 54b). Dante poteva leggere qualcosa di simile anche nella Scrittura, e precisamente in Sap. 9, 15 ""Corpus enim quod corrumpitur aggravat animam et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem"", un brano che, in contesto assai simile, Boncompagno da Signa mette in bocca proprio all'anima: ""Ego... sum de angeli natura creata et tu factum de terra, immo de limo et fece terrestri. Te mecum idem esse fateris? Scirem quidem preterita, presentia et futura, si tua non essem putredine sordidata. Nam corpus, quod corrumpitur, aggravat animam et deprimit terrena inhabitatio sensum plurima cogitantem, et tu dicis: Sum idem cum illa. "" (Amicitia , ed. Nathan, p. 47)","art 15: ""Nec ... dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestio_disputata_de_anima,Quaestio disputata de anima,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME AFFERMA,"Dante porta come esempio quello di chi, nonostante abbia gli occhi chiusi, può egualmente dire che l'aria è luminosa perché un minimo di splendore dei raggi solari passa attraverso le pupille trapelando dalla palpebra (passa per le pupille del palpastrello"") Nonostante la vicinanza della citazione del secondo libro della Metafisica abbia portato editori e commentatori a scegliere tra le varianti testuali il più facile ""vipistrello"" al posto di ""palpastrello"", la proposta della Ageno è resa del tutto plausibile dal contesto. Infatti il poco di splendore che permette di affermare la luminosità dell'aria anche a chi tiene gli occhi chiusi trapela nelle sue pupille, non in quelle di un non meglio identificato pipistrello. Ovviamente gli occhi sono ""gli occhi intellettuali"": il poco di luce percepibile sono le conclusioni raggiunte dalle ""ragioni non dimostrative"". Infine gli occhi della mente sono come ciechi finché (""mentre che"") sono impediti (""legati"") dalla sensibilità corporea (""per gli organi del nostro corpo""). Che la conoscenza umana abbia come punto di partenza e come limite la sensazione è dottrina aristotelica. La convinzione che il corpo sia un ostacolo che impedisce la conoscenza delle realtà soprasensibili, raggiungibili solo quando l'anima riesce a liberarsene (momentaneamente, come nei sogni e nelle visioni, definitivamente dopo la morte) risale invece a Platone. Si tratta di una dottrina ripresa da Avicenna (""anima impedita est in corpore et ex corpore, et ... in multis eget corpore, sed corpus elongat eam a dignioribus suis perfectionibus ...; cum autem aufertur de anima nostra ispa aggravatio et impedimentum, tunc intelligentia animae de his est melior quam habet anima et quae est purior et delectabilior"" Liber de anima seu sextus de naturalibus, V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28). Lo schema continua a funzionare in quasi tutti i pensatori latini, anche in chi, come Tommaso accetta in pieno la noetica aristotelica (cfr. Quaestio disputata de anima, art 15: ""Nec … dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus""). La definizione del corpo come carcere dell'anima richiama però un platonismo piuttosto estremo (quello del Fedone) e non mi sembra compaia negli stessi termini né in Tommaso né in Alberto (cfr. nota a Cv. III ii 14). La troviamo invece nella prefazione di alla traduzione latina del De pomo sive de morte Aristotelis, un testo in cui lo Stagirita, in punto di morte, si esprime attraverso concetti decisamente platonici (in Aristotelis librorum deperditorum fragmenta, ed. Gigon, p. 54b). Dante poteva leggere qualcosa di simile anche nella Scrittura, e precisamente in Sap. 9, 15 ""Corpus enim quod corrumpitur aggravat animam et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem"", un brano che, in contesto assai simile, Boncompagno da Signa mette in bocca proprio all'anima: ""Ego... sum de angeli natura creata et tu factum de terra, immo de limo et fece terrestri. Te mecum idem esse fateris? Scirem quidem preterita, presentia et futura, si tua non essem putredine sordidata. Nam corpus, quod corrumpitur, aggravat animam et deprimit terrena inhabitatio sensum plurima cogitantem, et tu dicis: Sum idem cum illa. "" (Amicitia , ed. Nathan, p. 47)","9, 15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SÌ COME AFFERMA,"Dante porta come esempio quello di chi, nonostante abbia gli occhi chiusi, può egualmente dire che l'aria è luminosa perché un minimo di splendore dei raggi solari passa attraverso le pupille trapelando dalla palpebra (passa per le pupille del palpastrello"") Nonostante la vicinanza della citazione del secondo libro della Metafisica abbia portato editori e commentatori a scegliere tra le varianti testuali il più facile ""vipistrello"" al posto di ""palpastrello"", la proposta della Ageno è resa del tutto plausibile dal contesto. Infatti il poco di splendore che permette di affermare la luminosità dell'aria anche a chi tiene gli occhi chiusi trapela nelle sue pupille, non in quelle di un non meglio identificato pipistrello. Ovviamente gli occhi sono ""gli occhi intellettuali"": il poco di luce percepibile sono le conclusioni raggiunte dalle ""ragioni non dimostrative"". Infine gli occhi della mente sono come ciechi finché (""mentre che"") sono impediti (""legati"") dalla sensibilità corporea (""per gli organi del nostro corpo""). Che la conoscenza umana abbia come punto di partenza e come limite la sensazione è dottrina aristotelica. La convinzione che il corpo sia un ostacolo che impedisce la conoscenza delle realtà soprasensibili, raggiungibili solo quando l'anima riesce a liberarsene (momentaneamente, come nei sogni e nelle visioni, definitivamente dopo la morte) risale invece a Platone. Si tratta di una dottrina ripresa da Avicenna (""anima impedita est in corpore et ex corpore, et ... in multis eget corpore, sed corpus elongat eam a dignioribus suis perfectionibus ...; cum autem aufertur de anima nostra ispa aggravatio et impedimentum, tunc intelligentia animae de his est melior quam habet anima et quae est purior et delectabilior"" Liber de anima seu sextus de naturalibus, V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28). Lo schema continua a funzionare in quasi tutti i pensatori latini, anche in chi, come Tommaso accetta in pieno la noetica aristotelica (cfr. Quaestio disputata de anima, art 15: ""Nec … dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus""). La definizione del corpo come carcere dell'anima richiama però un platonismo piuttosto estremo (quello del Fedone) e non mi sembra compaia negli stessi termini né in Tommaso né in Alberto (cfr. nota a Cv. III ii 14). La troviamo invece nella prefazione di alla traduzione latina del De pomo sive de morte Aristotelis, un testo in cui lo Stagirita, in punto di morte, si esprime attraverso concetti decisamente platonici (in Aristotelis librorum deperditorum fragmenta, ed. Gigon, p. 54b). Dante poteva leggere qualcosa di simile anche nella Scrittura, e precisamente in Sap. 9, 15 ""Corpus enim quod corrumpitur aggravat animam et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem"", un brano che, in contesto assai simile, Boncompagno da Signa mette in bocca proprio all'anima: ""Ego... sum de angeli natura creata et tu factum de terra, immo de limo et fece terrestri. Te mecum idem esse fateris? Scirem quidem preterita, presentia et futura, si tua non essem putredine sordidata. Nam corpus, quod corrumpitur, aggravat animam et deprimit terrena inhabitatio sensum plurima cogitantem, et tu dicis: Sum idem cum illa. "" (Amicitia , ed. Nathan, p. 47)","ed. Nathan, p. 47",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_Amicitiae,Liber Amicitiae,Boncompagno da Signa,http://dbpedia.org/resource/Boncompagno_da_Signa,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +"DETTO È CHE, PER DIFETTO D'AMAESTRAMENTO","dopo aver cercato di ovviare con le sue argomentazioni al difetto di ragione"", Dante affronta ora il tema del ""difetto di ammaestramento"", cioè della assenza della rivelazione divina che ha impedito ai pagani una piena conoscenza della natura delle sostanze angeliche. A questa particolare materia Dante applica un modello generale già enunciato dalle lettere paoline, quello della progressività della rivelazione divina. All'interno della storia della salvezza, l'ammaestramento relativo agli angeli è iniziato parzialmente (""in parte"") con gli israeliti, istruiti dai profeti, come dice la lettera agli Ebrei (attribuita ovviamente all'Apostolo per eccellenza, Paolo; Dante traduce, con lievi mutamenti il versetto primo del primo capitolo ""multifariam multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis""). Il processo si è compiuto per noi con Cristo, venuto direttamente da Dio (""ma noi semo di ciò ammaestrati da colui che venne da quello"" cfr. Jo. 17, 28 ""veni a Patre..."" ) lui che ha creato (""fece"") e mantiene in essere (""conserva"") le creature spirituali (e quindi le conosce perfettamente).","versetto primo del primo capitolo ""multifariam multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Hebrews,Epistula ad Hebraeos,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +FIGLIA DI IOACCHINO E D'ADAM,"figlia di Giovacchino e discendente come noi tutti, eccetto Cristo, da Adamo'. I nomi dei genitori di Maria (Giovacchino ed Anna) non compaiono nei vangeli canonici, bensì risalgono ad una tradizione diffusa da Girolamo e poi universalmente accettata, presente anche nel testo base per l'insegnamento della teologia, le Sententiae di Pier Lombardo.",,CONCORDANZA GENERICA,,,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica,CONCEPT +FIGLIA DI IOACCHINO E D'ADAM,"figlia di Giovacchino e discendente come noi tutti, eccetto Cristo, da Adamo'. I nomi dei genitori di Maria (Giovacchino ed Anna) non compaiono nei vangeli canonici, bensì risalgono ad una tradizione diffusa da Girolamo e poi universalmente accettata, presente anche nel testo base per l'insegnamento della teologia, le Sententiae di Pier Lombardo.",,CONCORDANZA GENERICA,http://dbpedia.org/resource/Sentences,Sententiae,Pietro Lombardo,http://dbpedia.org/resource/Pietro_Lombardo,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +LO QUAL FU LUCE,"Dante fonde due versetti del prologo del Vangelo di Giovanni : 1, 5 lux in tenebris lucet"" e 1, 9 ""erat lux vera quae illuminat omnem hominem"".","1, 5 "" lux in tenebris lucet""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LO QUAL FU LUCE,"Dante fonde due versetti del prologo del Vangelo di Giovanni : 1, 5 lux in tenebris lucet"" e 1, 9 ""erat lux vera quae illuminat omnem hominem"".","1, 9 ""erat lux vera quae illuminat omnem hominem""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DI TREDICI ANNI,"come nel caso del nome dei genitori di Maria, così anche in quello della sua età al momento dell'annunciazione i Vangeli (nel caso specifico Luca) non dicono niente. Dante attinge da una tradizione che faceva oscillare gli anni tra i dodici e i quattordici.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUESTO NOSTRO SALVATORE ... MOLTE LEGIONI D'ANGELI,"si riferisce a quanto detto da Gesù a chi, nell' orto degli Ulivi, aveva cercato di difenderlo usando la spada (cfr. Mt 26, 53).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUESTI NON NEGÒ ... SERVISSERO,"si riferisce all'episodio della seconda tentazione nel deserto, quando Satana esorta Cristo a gettarsi dal pinnacolo del Tempio perché si adempia quanto detto dal Salmo Angelis tuis mandavit de te, et in manibus tollent te"" (cfr. Mt 4, 6-11). La risposta di Gesù effettivamente non nega che l'affermazione del versetto sia vera, ma nel contesto della disputa ne respinge l'uso che Satana vuol farne. Solo nella conclusione dell'episodio delle tentazioni, però, e non nelle parole del demonio, appare il termine ""ministrare"" : ""et ecce angeli accesserunt, et ministrabant ei"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LA SUA SPOSA ... SANTA ECCLESIA,"nel Medioevo una linea esegetica interpretava l'amato e l'amata del Cantico dei Cantici come figure di Cristo e della sua Chiesa (cfr. Bernardo di Chiaravalle, Sermones in Cantica, PL 178, p. 788. La metafora nuziale era già stata adoperata da Paolo nella Lettera agli Efesini 5, 25-32). Con tutta la tradizione Dante attribuisce il Cantico a Salomone, citando e traducendo il versetto 5 del cap. 8: Quae est ista quae ascendit de deserto, deliciis affluens (""piena delle cose che dilettano""), innixa super dilectum suum?"".","versetto 5 del cap. 8: Quae est ista quae ascendit de deserto, deliciis affluens (""piena delle cose che dilettano""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +LA SUA SPOSA ... SANTA ECCLESIA,"nel Medioevo una linea esegetica interpretava l'amato e l'amata del Cantico dei Cantici come figure di Cristo e della sua Chiesa (cfr. Bernardo di Chiaravalle, Sermones in Cantica, PL 178, p. 788. La metafora nuziale era già stata adoperata da Paolo nella Lettera agli Efesini 5, 25-32). Con tutta la tradizione Dante attribuisce il Cantico a Salomone, citando e traducendo il versetto 5 del cap. 8: Quae est ista quae ascendit de deserto, deliciis affluens (""piena delle cose che dilettano""), innixa super dilectum suum?"".","PL 178, p. 788",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sermones_super_Cantica_Canticorum,Sermones super Cantica Canticorum,Bernardo di Chiaravalle,http://dbpedia.org/resource/Bernard_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +LA SUA SPOSA ... SANTA ECCLESIA,"nel Medioevo una linea esegetica interpretava l'amato e l'amata del Cantico dei Cantici come figure di Cristo e della sua Chiesa (cfr. Bernardo di Chiaravalle, Sermones in Cantica, PL 178, p. 788. La metafora nuziale era già stata adoperata da Paolo nella Lettera agli Efesini 5, 25-32). Con tutta la tradizione Dante attribuisce il Cantico a Salomone, citando e traducendo il versetto 5 del cap. 8: Quae est ista quae ascendit de deserto, deliciis affluens (""piena delle cose che dilettano""), innixa super dilectum suum?"".","5, 25-32",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CHE È A DIRE,"che equivale a dire'. Principati santi"" corrisponde in effetti al greco hierai archai, santi poteri, attraverso la mediazione del latino (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 80, n. 2548 ""hierarchiae, id est sacri principatus""). La affermazione di una ""quasi innumerabilità"" degli angeli trova appoggi nella Scrittura (cfr. Dan. 7, 10), ma la loro distinzione in tre gruppi di tre schiere gerarchicamente ordinate è creazione ecclesiatica non anteriore al VI secolo dopo Cristo.","III, cap. 80, n. 2548 ""hierarchiae, id est sacri principatus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CHE È A DIRE,"che equivale a dire'. Principati santi"" corrisponde in effetti al greco hierai archai, santi poteri, attraverso la mediazione del latino (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 80, n. 2548 ""hierarchiae, id est sacri principatus""). La affermazione di una ""quasi innumerabilità"" degli angeli trova appoggi nella Scrittura (cfr. Dan. 7, 10), ma la loro distinzione in tre gruppi di tre schiere gerarchicamente ordinate è creazione ecclesiatica non anteriore al VI secolo dopo Cristo.","7, 10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +LO PRIMO È QUELLO DELLI ANGELI,"l' ordine ascendente delle schiere angeliche (quanto al nostro salire a loro altezza"", cioè dal basso in alto) rispecchia quello presentato da Gregorio Magno nei Moralia in Iob XXXII, c. 23 (PL 76, p. 665). In realtà nelle Homiliae in Evangelia II, xxxiv 7-10 (PL 76, p. 1249 sgg. Gregorio fornisce un altro schema, quasi identico a quello di Dionigi). Nella Divina Commedia Dante accoglierà invece l'ordine presente nel capitolo sesto del De coelesti hierarchia dello pseudo Dionigi Areopagita: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini. Il modello di Dionigi risultò più autorevole in quanto lo si riteneva derivato dalla diretta testimonianza di Paolo che nella seconda Lettera ai Corinzi 12, 1-4 aveva detto di essere stato ""rapito"" in Paradiso.. Di Paolo l'anonimo compositore del De coelesti hierarchia si presentava come discepolo e poteva farlo in quanto gli Atti degli Apostoli 17, 34 raccontavano di come tra i pochi convertiti ateniesi dell'apostolo ci fosse stato un Dionigi giudice dell'Areopago. Cfr. Pd XXVIII 136-8 ""E se tanto segreto ver proferse / mortale in terra non voglio ch'ammiri / ché chi 'l vide quassù, gliel scoperse"" (cfr. ""lo primo secreto che ne mostrò"" del paragrafo 4. Dunque la Santa Chiesa è veramente ""secretaria"" delle verità divine). Quanto a Gregorio anch'egli dopo la morte, in Paradiso, sarebbe stato testimone 'de visu' della verità di questa diversa classificazione. Cfr. Pd XXVIII, 133 sgg. ""Ma Gregorio da lui (scil. Dionigi) poi si divise / onde sì tosto come l'occhio aperse / in questo ciel, di se medesmo rise"". Nell' uso del modello di Gregorio Dante sembra dipendere dal Trésor di Brunetto Latini (I XII 5, p. 26). Quando nel cielo di Venere Carlo Martello citerà proprio la canzone Voi ch'intendendo il terzo ciel movete, Dante, commetterà un piccolo falso, facendo dire al principe angioino che essa era rivolta ai Principati, in modo da retrocedere all'altezza del Convivio la sua accettazione del modello angelologico dell' Areopagita (cfr. Pd VIII 34-7). Su tutta la questione vedi un documentatissimo contributo di Agostino Pertusi (Pertusi 1988) che fornisce una tavola comparativa dei diversi modi di ordinamento delle schiere angeliche, da cui risulta che lo schema di Gregorio era stato usato anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia. Risulta comunque strano il ricorso a Gregorio dato che, guardando i mosaici del suo bel San Giovanni e leggendo le raffigurazioni delle gerarchie angeliche da sinistra a destra e da destra a sinistra, rispetto alla figura del Cristo, Dante avrebbe potuto vedere proprio l'ordine stabilito da Dionigi (cfr. Wilkins 1927).","XXXII, c. 23 (PL 76, p. 665)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Moralia_in_Iob,Moralia in Iob,Gregorio Magno,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_I,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +LO PRIMO È QUELLO DELLI ANGELI,"l' ordine ascendente delle schiere angeliche (quanto al nostro salire a loro altezza"", cioè dal basso in alto) rispecchia quello presentato da Gregorio Magno nei Moralia in Iob XXXII, c. 23 (PL 76, p. 665). In realtà nelle Homiliae in Evangelia II, xxxiv 7-10 (PL 76, p. 1249 sgg. Gregorio fornisce un altro schema, quasi identico a quello di Dionigi). Nella Divina Commedia Dante accoglierà invece l'ordine presente nel capitolo sesto del De coelesti hierarchia dello pseudo Dionigi Areopagita: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini. Il modello di Dionigi risultò più autorevole in quanto lo si riteneva derivato dalla diretta testimonianza di Paolo che nella seconda Lettera ai Corinzi 12, 1-4 aveva detto di essere stato ""rapito"" in Paradiso.. Di Paolo l'anonimo compositore del De coelesti hierarchia si presentava come discepolo e poteva farlo in quanto gli Atti degli Apostoli 17, 34 raccontavano di come tra i pochi convertiti ateniesi dell'apostolo ci fosse stato un Dionigi giudice dell'Areopago. Cfr. Pd XXVIII 136-8 ""E se tanto segreto ver proferse / mortale in terra non voglio ch'ammiri / ché chi 'l vide quassù, gliel scoperse"" (cfr. ""lo primo secreto che ne mostrò"" del paragrafo 4. Dunque la Santa Chiesa è veramente ""secretaria"" delle verità divine). Quanto a Gregorio anch'egli dopo la morte, in Paradiso, sarebbe stato testimone 'de visu' della verità di questa diversa classificazione. Cfr. Pd XXVIII, 133 sgg. ""Ma Gregorio da lui (scil. Dionigi) poi si divise / onde sì tosto come l'occhio aperse / in questo ciel, di se medesmo rise"". Nell' uso del modello di Gregorio Dante sembra dipendere dal Trésor di Brunetto Latini (I XII 5, p. 26). Quando nel cielo di Venere Carlo Martello citerà proprio la canzone Voi ch'intendendo il terzo ciel movete, Dante, commetterà un piccolo falso, facendo dire al principe angioino che essa era rivolta ai Principati, in modo da retrocedere all'altezza del Convivio la sua accettazione del modello angelologico dell' Areopagita (cfr. Pd VIII 34-7). Su tutta la questione vedi un documentatissimo contributo di Agostino Pertusi (Pertusi 1988) che fornisce una tavola comparativa dei diversi modi di ordinamento delle schiere angeliche, da cui risulta che lo schema di Gregorio era stato usato anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia. Risulta comunque strano il ricorso a Gregorio dato che, guardando i mosaici del suo bel San Giovanni e leggendo le raffigurazioni delle gerarchie angeliche da sinistra a destra e da destra a sinistra, rispetto alla figura del Cristo, Dante avrebbe potuto vedere proprio l'ordine stabilito da Dionigi (cfr. Wilkins 1927).","II, xxxiv 7-10 (PL 76, p. 1249 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Homiliae_in_Evangelia,Homiliae in Evangelia,Gregorio Magno,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_I,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +LO PRIMO È QUELLO DELLI ANGELI,"l' ordine ascendente delle schiere angeliche (quanto al nostro salire a loro altezza"", cioè dal basso in alto) rispecchia quello presentato da Gregorio Magno nei Moralia in Iob XXXII, c. 23 (PL 76, p. 665). In realtà nelle Homiliae in Evangelia II, xxxiv 7-10 (PL 76, p. 1249 sgg. Gregorio fornisce un altro schema, quasi identico a quello di Dionigi). Nella Divina Commedia Dante accoglierà invece l'ordine presente nel capitolo sesto del De coelesti hierarchia dello pseudo Dionigi Areopagita: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini. Il modello di Dionigi risultò più autorevole in quanto lo si riteneva derivato dalla diretta testimonianza di Paolo che nella seconda Lettera ai Corinzi 12, 1-4 aveva detto di essere stato ""rapito"" in Paradiso.. Di Paolo l'anonimo compositore del De coelesti hierarchia si presentava come discepolo e poteva farlo in quanto gli Atti degli Apostoli 17, 34 raccontavano di come tra i pochi convertiti ateniesi dell'apostolo ci fosse stato un Dionigi giudice dell'Areopago. Cfr. Pd XXVIII 136-8 ""E se tanto segreto ver proferse / mortale in terra non voglio ch'ammiri / ché chi 'l vide quassù, gliel scoperse"" (cfr. ""lo primo secreto che ne mostrò"" del paragrafo 4. Dunque la Santa Chiesa è veramente ""secretaria"" delle verità divine). Quanto a Gregorio anch'egli dopo la morte, in Paradiso, sarebbe stato testimone 'de visu' della verità di questa diversa classificazione. Cfr. Pd XXVIII, 133 sgg. ""Ma Gregorio da lui (scil. Dionigi) poi si divise / onde sì tosto come l'occhio aperse / in questo ciel, di se medesmo rise"". Nell' uso del modello di Gregorio Dante sembra dipendere dal Trésor di Brunetto Latini (I XII 5, p. 26). Quando nel cielo di Venere Carlo Martello citerà proprio la canzone Voi ch'intendendo il terzo ciel movete, Dante, commetterà un piccolo falso, facendo dire al principe angioino che essa era rivolta ai Principati, in modo da retrocedere all'altezza del Convivio la sua accettazione del modello angelologico dell' Areopagita (cfr. Pd VIII 34-7). Su tutta la questione vedi un documentatissimo contributo di Agostino Pertusi (Pertusi 1988) che fornisce una tavola comparativa dei diversi modi di ordinamento delle schiere angeliche, da cui risulta che lo schema di Gregorio era stato usato anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia. Risulta comunque strano il ricorso a Gregorio dato che, guardando i mosaici del suo bel San Giovanni e leggendo le raffigurazioni delle gerarchie angeliche da sinistra a destra e da destra a sinistra, rispetto alla figura del Cristo, Dante avrebbe potuto vedere proprio l'ordine stabilito da Dionigi (cfr. Wilkins 1927).","I XII 5, p. 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +LO PRIMO È QUELLO DELLI ANGELI,"l' ordine ascendente delle schiere angeliche (quanto al nostro salire a loro altezza"", cioè dal basso in alto) rispecchia quello presentato da Gregorio Magno nei Moralia in Iob XXXII, c. 23 (PL 76, p. 665). In realtà nelle Homiliae in Evangelia II, xxxiv 7-10 (PL 76, p. 1249 sgg. Gregorio fornisce un altro schema, quasi identico a quello di Dionigi). Nella Divina Commedia Dante accoglierà invece l'ordine presente nel capitolo sesto del De coelesti hierarchia dello pseudo Dionigi Areopagita: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini. Il modello di Dionigi risultò più autorevole in quanto lo si riteneva derivato dalla diretta testimonianza di Paolo che nella seconda Lettera ai Corinzi 12, 1-4 aveva detto di essere stato ""rapito"" in Paradiso.. Di Paolo l'anonimo compositore del De coelesti hierarchia si presentava come discepolo e poteva farlo in quanto gli Atti degli Apostoli 17, 34 raccontavano di come tra i pochi convertiti ateniesi dell'apostolo ci fosse stato un Dionigi giudice dell'Areopago. Cfr. Pd XXVIII 136-8 ""E se tanto segreto ver proferse / mortale in terra non voglio ch'ammiri / ché chi 'l vide quassù, gliel scoperse"" (cfr. ""lo primo secreto che ne mostrò"" del paragrafo 4. Dunque la Santa Chiesa è veramente ""secretaria"" delle verità divine). Quanto a Gregorio anch'egli dopo la morte, in Paradiso, sarebbe stato testimone 'de visu' della verità di questa diversa classificazione. Cfr. Pd XXVIII, 133 sgg. ""Ma Gregorio da lui (scil. Dionigi) poi si divise / onde sì tosto come l'occhio aperse / in questo ciel, di se medesmo rise"". Nell' uso del modello di Gregorio Dante sembra dipendere dal Trésor di Brunetto Latini (I XII 5, p. 26). Quando nel cielo di Venere Carlo Martello citerà proprio la canzone Voi ch'intendendo il terzo ciel movete, Dante, commetterà un piccolo falso, facendo dire al principe angioino che essa era rivolta ai Principati, in modo da retrocedere all'altezza del Convivio la sua accettazione del modello angelologico dell' Areopagita (cfr. Pd VIII 34-7). Su tutta la questione vedi un documentatissimo contributo di Agostino Pertusi (Pertusi 1988) che fornisce una tavola comparativa dei diversi modi di ordinamento delle schiere angeliche, da cui risulta che lo schema di Gregorio era stato usato anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia. Risulta comunque strano il ricorso a Gregorio dato che, guardando i mosaici del suo bel San Giovanni e leggendo le raffigurazioni delle gerarchie angeliche da sinistra a destra e da destra a sinistra, rispetto alla figura del Cristo, Dante avrebbe potuto vedere proprio l'ordine stabilito da Dionigi (cfr. Wilkins 1927).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +E CON CIÒ SIA COSA CHE CIASCUNA PERSONA ...,"anche il numero e la partizione degli ordini angelici all'interno delle tre gerarchie obbedisce ad una logica trinitaria dato che (con ciò sia cosa che"") la conoscenza di ognuna delle tre persone assume a sua volta tre forme (""triplicemente si possa considerare""). La contemplazione del Padre, infatti, può essere o assoluta (""non avendo rispetto se non ad esso""), o nel suo rapporto di distinzione (""come da lui si parte"") e di unità (""come con lui sé unisce"") con il Figlio, o nella relazione con lo Spirito Santo in quanto, come dice il credo niceno-costantinopolitano ""ex Patre procedit"" (""secondo che da lui procede""). Applicando questo schema alle altre due persone della Trinità (nella versione latina del Credo, a differenza di quella greca, lo Spirito Santo non procede solo dal Padre, ma anche dal Figlio) ricaviamo appunto nove ordini, tre per ognuna delle tre gerarchie. Un collegamento tra le tre gerarchie angeliche e la Trinità era stato operato da San Bonaventura: anche in questo caso ad ognuna di esse erano stati attribuiti tre ordini individuati dal triplice rapporto con ogni sigola persona della Trinità, vista in se stessa e nella relazione simmetrica con le altre due; cfr. Collationes in Hexaemeron XXI, 20, PL 76, p. 434: ""ordo respondens Patri secundum quod est in seipso ... secundum quod est in Filio ... secundum quod est in Spiritu Sancto ; ordo respondens Filio secundum quod est in Patre ... secundum quod est in seipso ... secundum quod est in Spiritu Sancto; ordo respondens Spiritui Sancto secundum quod est in Patre ... secundum quod est in Filio ... secundum quod est in seipso"". Ma i nomi degli ordini attribuiti ad ognuno di questi nove rapporti sono diversi da quelli di Dante (che li individua solo per la prima terna): i Troni in relazione al Padre in se stesso, i Cherubini in relazione al Padre in quanto è nel Figlio, i Serafini in relazione al Padre in quanto è nello Spirito Santo (come si vede Bonaventura segue la classificazione dello pseudo-Dionigi e non quella di Gregorio Magno).","XXI, 20, PL 76, p. 434: ""ordo respondens Patri secundum quod est in seipso ... secundum quod est in Filio ... secundum quod est in Spiritu Sancto ; ordo respondens Filio secundum quod est in Patre ... secundum quod est in seipso ... secundum quod est in Spiritu Sancto; ordo respondens Spiritui Sancto secundum quod est in Patre ... secundum quod est in Filio ... secundum quod est in seipso""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Collationes_in_Hexaemeron,Collationes in Hexaemeron,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E NON È QUI DA TACERE UNA PAROLA,"e a questo punto non bisogna passare sotto silenzio una cosa'. In questo breve inciso Dante ricorda la caduta di una parte degli angeli (si perderono alquanti"") immediatamente dopo la loro creazione (""tosto che furono creati""). Per quanto riguarda il numero, quello fornito da Dante (""forse in numero della decima parte"") è da riallacciare ad una interpretazione allegorica della parabola delle dieci dracme (cfr. Lc 15, 8-9) data da Gregorio Magno: la moneta perduta simboleggia quella decima parte del numero complessivo degli eletti che è caduta e ha dovuto essere 'restaurata' (cfr. Homiliae in Evangelia II xxxiv 6, 1249). Per quanto riguarda l'intervallo tra la creazione e la caduta degli angeli ribelli il Convivio è molto vicino, anche testualmente, a Tommaso (Summa Theologiae I, q. 63, a. 6, respondeo ""Opinio probabilior et Sanctorum dictis magis consona est quod statim post instans suae creationis diabolus peccaverit""). Cfr. Pd XXIX 49-51 ""Né giugnerìesi, numerando, al venti / sì tosto, come delli angeli parte /turbò il suggetto de' vostri elementi"".","II xxxiv 6, 1249",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Homiliae_in_Evangelia,Homiliae in Evangelia,Gregorio Magno,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_I,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +E NON È QUI DA TACERE UNA PAROLA,"e a questo punto non bisogna passare sotto silenzio una cosa'. In questo breve inciso Dante ricorda la caduta di una parte degli angeli (si perderono alquanti"") immediatamente dopo la loro creazione (""tosto che furono creati""). Per quanto riguarda il numero, quello fornito da Dante (""forse in numero della decima parte"") è da riallacciare ad una interpretazione allegorica della parabola delle dieci dracme (cfr. Lc 15, 8-9) data da Gregorio Magno: la moneta perduta simboleggia quella decima parte del numero complessivo degli eletti che è caduta e ha dovuto essere 'restaurata' (cfr. Homiliae in Evangelia II xxxiv 6, 1249). Per quanto riguarda l'intervallo tra la creazione e la caduta degli angeli ribelli il Convivio è molto vicino, anche testualmente, a Tommaso (Summa Theologiae I, q. 63, a. 6, respondeo ""Opinio probabilior et Sanctorum dictis magis consona est quod statim post instans suae creationis diabolus peccaverit""). Cfr. Pd XXIX 49-51 ""Né giugnerìesi, numerando, al venti / sì tosto, come delli angeli parte /turbò il suggetto de' vostri elementi"".","II xxxiv 6, 1249",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E NON È QUI DA TACERE UNA PAROLA,"e a questo punto non bisogna passare sotto silenzio una cosa'. In questo breve inciso Dante ricorda la caduta di una parte degli angeli (si perderono alquanti"") immediatamente dopo la loro creazione (""tosto che furono creati""). Per quanto riguarda il numero, quello fornito da Dante (""forse in numero della decima parte"") è da riallacciare ad una interpretazione allegorica della parabola delle dieci dracme (cfr. Lc 15, 8-9) data da Gregorio Magno: la moneta perduta simboleggia quella decima parte del numero complessivo degli eletti che è caduta e ha dovuto essere 'restaurata' (cfr. Homiliae in Evangelia II xxxiv 6, 1249). Per quanto riguarda l'intervallo tra la creazione e la caduta degli angeli ribelli il Convivio è molto vicino, anche testualmente, a Tommaso (Summa Theologiae I, q. 63, a. 6, respondeo ""Opinio probabilior et Sanctorum dictis magis consona est quod statim post instans suae creationis diabolus peccaverit""). Cfr. Pd XXIX 49-51 ""Né giugnerìesi, numerando, al venti / sì tosto, come delli angeli parte /turbò il suggetto de' vostri elementi"".","15, 8-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ALLA QUALE RESTAURARE,"per rimediare alla cui caduta'. Un collegamento tra ribellione e caduta di Lucifero e creazione dell'uomo era stato istituito da Agostino (cfr. De civitate Dei XXII 1, p. 807: Deus ... de mortali progenie ... tantum populum gratia sua colligit, ut inde subpleat et instauret partem quae lapsa est angelorum"") e da Gregorio Magno, sempre nella interpretazione della parabola delle dracme (cfr. Homiliae in Evangelia, loc. cit. ""Decem ... drachmas habuit mulier, quia novem sunt ordines Angelorum, sed ut compleretur electorum numerus homo decimus est creatus, qui a conditore suo nec post culpam periit"".). Anselmo d'Aosta, però, aveva sostenuto che la seconda non poteva esser considerata semplicemente in funzione della prima e quindi ad essa posteriore (Cur Deus homo I xviii, pp. 76 sgg.); con questa precisazione la dottrina della restauratio della caduta degli angeli da parte degli uomini predestinati al Paradiso era stata accolta nelle Sentenze di Pier Lombardo, II, dist. I, cap. 5, vol. I ii, p. 334 ""De homine quoque in Scriptura interdum reperitur quod factus sit propter reparationem angelicae ruinae. Quod non ita est intelligendum quasi non fuisset homo factus si non peccasset Angelus, sed quia inter alias causas, ut praecipuas, haec etiam nonnulla existit""). Dante, affermando che l'uomo fu creato in un secondo momento (""poi""), sembra invece aderire alla forma meno ortodossa di questa credenza (cfr. Nardi 1985, pp. 250-53. Vedi anche Pd XXX 130-132, dove Beatrice, mostrando a Dante la candida rosa e gli scanni su cui siedono i beati, precisa che ormai il numero perfetto dei beati sta per essere raggiunto: ""Vedi nostra città quant'ella gira :/ vedi li nostri scanni sì ripieni / che poca gente più ci si disira"").","XXII 1, p. 807: Deus ... de mortali progenie ... tantum populum gratia sua colligit, ut inde subpleat et instauret partem quae lapsa est angelorum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +ALLA QUALE RESTAURARE,"per rimediare alla cui caduta'. Un collegamento tra ribellione e caduta di Lucifero e creazione dell'uomo era stato istituito da Agostino (cfr. De civitate Dei XXII 1, p. 807: Deus ... de mortali progenie ... tantum populum gratia sua colligit, ut inde subpleat et instauret partem quae lapsa est angelorum"") e da Gregorio Magno, sempre nella interpretazione della parabola delle dracme (cfr. Homiliae in Evangelia, loc. cit. ""Decem ... drachmas habuit mulier, quia novem sunt ordines Angelorum, sed ut compleretur electorum numerus homo decimus est creatus, qui a conditore suo nec post culpam periit"".). Anselmo d'Aosta, però, aveva sostenuto che la seconda non poteva esser considerata semplicemente in funzione della prima e quindi ad essa posteriore (Cur Deus homo I xviii, pp. 76 sgg.); con questa precisazione la dottrina della restauratio della caduta degli angeli da parte degli uomini predestinati al Paradiso era stata accolta nelle Sentenze di Pier Lombardo, II, dist. I, cap. 5, vol. I ii, p. 334 ""De homine quoque in Scriptura interdum reperitur quod factus sit propter reparationem angelicae ruinae. Quod non ita est intelligendum quasi non fuisset homo factus si non peccasset Angelus, sed quia inter alias causas, ut praecipuas, haec etiam nonnulla existit""). Dante, affermando che l'uomo fu creato in un secondo momento (""poi""), sembra invece aderire alla forma meno ortodossa di questa credenza (cfr. Nardi 1985, pp. 250-53. Vedi anche Pd XXX 130-132, dove Beatrice, mostrando a Dante la candida rosa e gli scanni su cui siedono i beati, precisa che ormai il numero perfetto dei beati sta per essere raggiunto: ""Vedi nostra città quant'ella gira :/ vedi li nostri scanni sì ripieni / che poca gente più ci si disira"").","""Decem ... drachmas habuit mulier, quia novem sunt ordines Angelorum, sed ut compleretur electorum numerus homo decimus est creatus, qui a conditore suo nec post culpam periit"".""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Homiliae_in_Evangelia,Homiliae in Evangelia,Gregorio Magno,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_I,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +LI NUMERI ...,"Dante afferma che le verità sugli angeli rivelate dalla Scrittura e insegnate dalla Chiesa non contrastano con la cosmologia aristotelica delle Intelligenze celesti, anzi le forniscono il quadro complessivo di riferimento: i nove ordini angelici spiegano (narrano"") l'esistenza dei nove cieli soggetti a movimento mentre il decimo (l'Empireo) sta a significare l'unità e l'immobilità (""stabilitade"") di Dio che qui è sia l'Imperatore dell'Universo che il Primo Motore immobile di Aristotele.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NEL PRIMO DELLO ENEIDA,"Dante traduce i versi 664-5 del primo libro dell'Eneide (nate, meae vires ... solus / nate patris summi qui tela typhoea temnis"") concordando ""patris summi"" con ""nate"" (""figlio del sommo padre"") invece che con ""tela"" (i dardi del sommo padre) e quindi attribuendo questi ultimi al gigante Tifeo (""cioè quello gigante""). Il senso del brano virgiliano ne viene ovviamente stravolto. Si è peraltro ipotizzato che si tratti di uno stravolgimento consapevole: facendo di Amore il figlio del Sommo Padre, un figlio per di più che non teme i dardi infernali, Dante gli avrebbe conferito un valore figurale e cristologico. Cfr. Brugnoli 2002.","664-5 del primo libro dell'Eneide (nate, meae vires ... solus / nate patris summi qui tela typhoea temnis""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +"OVIDIO, NEL QUINTO DI METAMORPHOSEOS","cfr. Metamorfosi, V, 365 Arma manusque meae, mea, nate, potentia"". Come nel caso di ""Eneidos"" (cfr. Cv III xi 16) e di ""Tebaidos"" (cfr. Cv III xi 16) il volgare di Dante trasforma in sostantivo maschile un genitivo femminile alla greca retto in latino da un ""liber"" spesso sottinteso ('in libro Metamorfoseos'). Vedi però Cv IV xxv 6, 8 ""nel libro primo di Tebe","V, 365 ""Arma manusque meae, mea, nate, potentia""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SECONDO CHE NEL LIBRO ....DELLI ASTROLOGI,"seguendo il compendio delle migliori prove astronomiche presente nel Libro dell'Aggregazione'. Si tratta, come abbiamo già visto (cfr. Cv II ii 2) del Liber aggregationis qui nominativamente citato, dove Alfragano sostiene che a Venere, Marte, Giove e Saturno vanno attribuiti tre movimenti: cursus qui videtur in orbe signorum uniuscuiusque harum stellarum ... aggregatur ex tribus motibus tantum, videlicet motu stellae in orbe revolutionis, et motu centri revolutionis in orbe egredientis centri et motu omnium spaerarum aequali motui stellarum fixarum"" (cap. XIV, pp. 124-5). Dante interpreta correttamente il primo come il movimento di Venere nel suo epiciclo e il secondo come il movimento per cui Venere e l'epiciclo insieme si muovono circolarmente intorno ad un punto (""l'altro secondo che lo epiciclo si muove con tutto lo cielo""); in questo caso, però, egli omette di precisare che la rivoluzione avviene intorno ad un centro che non coincide con il centro dell'universo (il ""motus egredientis centri"" di Alfragano, in termini tecnici il deferente) ed aggiunge la precisazione che questo avviene in sintonia con l'epiciclo del sole. Con il terzo movimento Venere, insieme agli altri pianeti, segue quello del cielo delle stelle fisse (""lo terzo secondo che tutto quello cielo si muove seguendo lo movimento della stellata spera""). Sempre seguendo (ma anche precisando) il testo di Alfragano, Dante, memore di quanto detto sopra (cfr. Cv II iii 5) articola il terzo movimento in due: quello, lentissimo, con cui il cielo delle stelle fisse si muove da occidente ad oriente un grado ogni cento anni e quello, velocissimo, con cui si muove da oriente ad occidente una volta ogni giorno astronomico (""ogni die naturale una fiata""). Mentre per il primo non sembrano esserci dubbi, per il secondo Dante afferma di non sapere se esso sia causato da uno specifico motore (""se esso è da intelletto alcuno"") o da un trascinamento (""rapina"") puramente meccanico esercitato dal movimento del primo Mobile, cioè il nono cielo, o, con altro nome il Cristallino. Solo Dio lo sa e quindi sarebbe segno di arroganza intellettuale optare per una delle due soluzioni (""presuntuoso a decidere""; cfr. Cv III iv 10. In Pd XXVIII 70, invece, usando proprio il verbo ""rapire"", Dante farà sua la seconda ipotesi, quella del resto comunemente accettata). In conclusione i movimenti a cui corrispondono con certezza altrettanti motori (""a questi tre movimenti sono tre movitori"") sono tre. Tra filosofi ed astrologi Dante sceglie dunque la soluzione dei secondi, sia pure con una importante correzione, e cioè l'eliminazione del deferente: la distinzione tra un orbe il cui centro coincide perfettamente con il centro dell'universo e un altro che ha un centro non coincidente con il primo e sul quale il pianeta appare effettivamente muoversi è infatti difficilmente conciliabile con il modello fisico del mondo che Dante ha qui in mente ed avrà anche nella Commedia.","cap. XIV, pp. 124-5",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +PER TATTO DI VERTÙ,"il testo è dottrinalmente insostenibile dato che il contatto (tatto"") è precisamente il modo con cui interagiscono le realtà corporee. Non sarebbe quindi fuori luogo tornare alla lezione ""per tanto di virtù"" attestata dal ramo principale della tradizione manoscritta, e considerare il ""per tatto"" presente in un solo manoscritto come correzione (erronea) di copista. Né è da escludere, come altra possibilità, che ""per tatto"", seguito da una lacuna, debba essere collegato a ""corporalmente"", come sua specificazione: ""non corporalmente per tatto [ ma per ***] di virtù"". Alberto Magno aveva impiegato in proposito l'immagine della forma presente nell'anima che muove la mano dell'artigiano in vista della produzione di un oggetto (Metaphysica XI = XII, tr. 2, cap. 13, p. 500, ll. 70-74).","XI = XII, tr. 2, cap. 13, p. 500, ll. 70-74",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Metaphysicorum(Alberto_Magno),Metaphysicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME LI RETTORICI SANNO,"i rettorici"", come in Cv I.ii.3, sono gli autori di testi di retorica conosciuti ed usati dal Medioevo. Nella frase seguente, infatti, Dante cita la Rhetorica ad Herennium pur senza nominarla esplicitamente.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Rhetorica_ad_Herennium,Rhetorica ad Herennium,,,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +PROMETTERE DI DIRE NUOVE E GRANDISSIME COSE,"cfr. Rhetorica ad Herennium I 4 6 Auditores attentos habebimus si pollicebimur nos de rebus magnis, novis, inusitatis verba facturos"".","I 4 6 Auditores attentos habebimus si pollicebimur nos de rebus magnis, novis, inusitatis verba facturos",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Rhetorica_ad_Herennium,Rhetorica ad Herennium,,,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +CHE CI HA DI SPAZIO,"che è lungo'. Se dunque il raggio terrestre è misurato in 3250 miglia la distanza di Venere dalla terra sarà qualcosa di più di 542.750 miglia. Le misure derivano dal già citato Liber aggregationis di Alfragano, che al cap XXI, p. 146, dà la distanza in assoluto, lasciando sottintesa la misura del moltiplicando Et propinquior longitudo Veneris est 167 aequalis medietati diametri terrae quod est 542 et 750 miliaria"" (cfr. Toynbee, p. 66). Dante, viceversa, lascia al lettore il calcolo fornendogli la lunghezza del raggio terrestre, ricavata peraltro sempre dal testo di Alfragano che nel cap. VIII aveva dato la misura del diametro. La distanza così calcolata (circa settecentomila chilometri, visto che il miglio corrisponde circa a 1450 metri ) è decisamente inferiore a quella effettiva. Nonostante questo essa non poteva non colpire la fantasia dei lettori, e di Dante stesso. Anche il cosmo chiuso e finito dei medievali albergava lontananze che facevano apparire la terra come una ""aiuola"", come ""l'infima lacuna dell'universo"" (cfr. Pd XXII 153; XXXIII 22-3).","cap XXI, p. 146",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +COME DICE,"cfr. De consolatione philosophiae IV, prosa 3, 19, p. 111). In realtà Boezio collega la vita asinina non all'assenza della ragione, ma alla pigrizia e all'insensibilità, in una descrizione dei malvagi in cui ad ogni vizio o insieme di vizi corrisponde un animale, interpretazione allegorica del mito di Circe.","IV, prosa 3, 19, p. 111",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +'SOAVE' È TANTO QUANTO,"il termine soave ha lo stesso significato di'. L'accostamento dell'aggettivo suavis al participio passato del verbo suadeo può essere stato suggerito a Dante dalle Derivationes di Uguccione da Pisa per cui suadere equivale a suavia dare (s.v. Sueo, S 210, 2, p. 1121); cfr. Pd XXXI 49 Vedea visi a carità suadi"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +A QUESTA QUESTIONE SI PUÒ... RISPONDERE ...,"Per Dante il dubbio è risolvibile facilmente (leggiermente"": senza sforzo): gli angeli del cielo di Venere possono produrre e mantenere (""salvare"") il loro effetto solo in quelle realtà che possono fungere da sostrato all'azione del cielo che essi muovono (""in quei subietti che sono sottoposti alla loro circulazione""); essi dunque tenderanno a trasferirlo da ciò che non è più soggetto alla loro attività (""quella parte che è fuori di loro podestade"") a ciò che lo è ancora o lo diventa (""in quella che v'è dentro""); le anime separate dal corpo dopo la morte (""partite da questa vita"") non lo sono più, mentre quelle che vivificano un corpo lo sono ancora. Dunque, è la conclusione implicita, l'amore di Beatrice, ormai beata in cielo, non viene mantenuto, mentre viene acceso un altro amore per una donna che è ancora in vita. La risposta di Dante merita qualche riflessione. In primo luogo il ragionamento non sembra corretto: l'effetto d'amore, infatti, si è prodotto in Dante, che è ancora ben vivo e soggetto al movimento del terzo cielo, non in Beatrice. Ma soprattutto colpisce una trattazione dell'effetto d'amore come di un dato fisico oggettivo. Già nel terzo paragrafo di questo capitolo era intervenuto il modello dell'alternarsi necessario di generazioni e corruzioni. Qui esso viene ripreso e rafforzato con il riferimento alla natura umana che, come ogni altra specie, mantiene la sua struttura (la ""forma umana"") attraverso una successione continua di generanti e di generati (""trasmuta la sua conservazione di padre in figlio"") poiché non può mantenerla, come suo effetto, in un solo individuo per un periodo infinito (""non può in esso padre perpetualmente cotal suo effetto salvare""). La dottrina è aristotelica (cfr. De an. II, 4, 415 b 3-7). Ripresa da Averroè (cfr. De anima II, tc. 34, p. 182, ll. 51-56) era ormai al tempo di Dante una formula vulgata (cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 179, n. 58 ""Nihil de numero corruptibilium contingit idem numero manere semper, tamen potest unum permanere in specie per generationem""). Dante però, applicandola all'azione degli Angeli -motori di Venere, fa dell'amore un prodotto di cause naturali e come tale costante, al di là delle variazioni individuali, al di là degli amori, diremmo, ""soggettivi"". In questo modello l'astro, e chi lo muove, raggia indifferentemente ogni tipo di amore (anche quello ""folle"" di Pd VIII 1-3): nel loro succedersi i singoli amori non alterano l'unità specifica dell'effetto più di quanto i singoli generati diversifichino l'unità della specie umana. Come ha giustamente notato Claudio Giunta commentando nel vol. I la canzone Amor che movi tua virtù da cielo Amore per Dante è qualcosa di più del dio della tradizione lirica: è una forza cosmica che pervade tutto l'universo, ""per lo qual tutto il mondo si travaglia""; proprio nel Convivio si affermerà che ogni realtà, corpi semplici, minerali, vegetali, animali, è mossa da un suo ""speziale amore"" (III iii 2 sgg.), guidato da un ""amore universale"" (cfr. Cv. III viii 13). Ma se è vero che alle radici di questo modo di pensare agisce un modello neoplatonico (impressionante è il raffronto che Giunta fa tra la canzone suddetta e il metro nono del libro terzo del De consolatione Philosophiae ) è anche vero che, sulla scia di Alberto Magno, Dante lo ha ritrascritto in termini rigorosamente peripatetici. Amore è una forza cosmica nel senso strettamente fisico: agisce solo attraverso un mezzo corporeo (i cieli) e produce il suo effetto sulle anime solo attraverso le strutture corporee; sull'anima separata dal corpo ed ormai ""divina"" esso non ha più potere né si vede come si possano rivolgere domande o preghiere (cosa che Dante ha fatto nella canzone) a chi agisce secondo leggi del tutto impersonali; l'individuo stesso, in quanto unione di anima e di corpo (""l'anima col corpo congiunti"") viene qui definito come effetto naturale (""effetto di quella"", cioè della natura umana): viene così dato fondamento all'affermazione precedente per cui l'anima unita al corpo è soggetta alla ""circulazione"" dei cieli causata dai loro motori. Solo dopo la morte (""poi ch'è partita"") essa dura eterna (""perpetualmente"") rivelando la sua vera natura che è più alta di quella umana.","II, 4, 415 b 3-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +A QUESTA QUESTIONE SI PUÒ... RISPONDERE ...,"Per Dante il dubbio è risolvibile facilmente (leggiermente"": senza sforzo): gli angeli del cielo di Venere possono produrre e mantenere (""salvare"") il loro effetto solo in quelle realtà che possono fungere da sostrato all'azione del cielo che essi muovono (""in quei subietti che sono sottoposti alla loro circulazione""); essi dunque tenderanno a trasferirlo da ciò che non è più soggetto alla loro attività (""quella parte che è fuori di loro podestade"") a ciò che lo è ancora o lo diventa (""in quella che v'è dentro""); le anime separate dal corpo dopo la morte (""partite da questa vita"") non lo sono più, mentre quelle che vivificano un corpo lo sono ancora. Dunque, è la conclusione implicita, l'amore di Beatrice, ormai beata in cielo, non viene mantenuto, mentre viene acceso un altro amore per una donna che è ancora in vita. La risposta di Dante merita qualche riflessione. In primo luogo il ragionamento non sembra corretto: l'effetto d'amore, infatti, si è prodotto in Dante, che è ancora ben vivo e soggetto al movimento del terzo cielo, non in Beatrice. Ma soprattutto colpisce una trattazione dell'effetto d'amore come di un dato fisico oggettivo. Già nel terzo paragrafo di questo capitolo era intervenuto il modello dell'alternarsi necessario di generazioni e corruzioni. Qui esso viene ripreso e rafforzato con il riferimento alla natura umana che, come ogni altra specie, mantiene la sua struttura (la ""forma umana"") attraverso una successione continua di generanti e di generati (""trasmuta la sua conservazione di padre in figlio"") poiché non può mantenerla, come suo effetto, in un solo individuo per un periodo infinito (""non può in esso padre perpetualmente cotal suo effetto salvare""). La dottrina è aristotelica (cfr. De an. II, 4, 415 b 3-7). Ripresa da Averroè (cfr. De anima II, tc. 34, p. 182, ll. 51-56) era ormai al tempo di Dante una formula vulgata (cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 179, n. 58 ""Nihil de numero corruptibilium contingit idem numero manere semper, tamen potest unum permanere in specie per generationem""). Dante però, applicandola all'azione degli Angeli -motori di Venere, fa dell'amore un prodotto di cause naturali e come tale costante, al di là delle variazioni individuali, al di là degli amori, diremmo, ""soggettivi"". In questo modello l'astro, e chi lo muove, raggia indifferentemente ogni tipo di amore (anche quello ""folle"" di Pd VIII 1-3): nel loro succedersi i singoli amori non alterano l'unità specifica dell'effetto più di quanto i singoli generati diversifichino l'unità della specie umana. Come ha giustamente notato Claudio Giunta commentando nel vol. I la canzone Amor che movi tua virtù da cielo Amore per Dante è qualcosa di più del dio della tradizione lirica: è una forza cosmica che pervade tutto l'universo, ""per lo qual tutto il mondo si travaglia""; proprio nel Convivio si affermerà che ogni realtà, corpi semplici, minerali, vegetali, animali, è mossa da un suo ""speziale amore"" (III iii 2 sgg.), guidato da un ""amore universale"" (cfr. Cv. III viii 13). Ma se è vero che alle radici di questo modo di pensare agisce un modello neoplatonico (impressionante è il raffronto che Giunta fa tra la canzone suddetta e il metro nono del libro terzo del De consolatione Philosophiae ) è anche vero che, sulla scia di Alberto Magno, Dante lo ha ritrascritto in termini rigorosamente peripatetici. Amore è una forza cosmica nel senso strettamente fisico: agisce solo attraverso un mezzo corporeo (i cieli) e produce il suo effetto sulle anime solo attraverso le strutture corporee; sull'anima separata dal corpo ed ormai ""divina"" esso non ha più potere né si vede come si possano rivolgere domande o preghiere (cosa che Dante ha fatto nella canzone) a chi agisce secondo leggi del tutto impersonali; l'individuo stesso, in quanto unione di anima e di corpo (""l'anima col corpo congiunti"") viene qui definito come effetto naturale (""effetto di quella"", cioè della natura umana): viene così dato fondamento all'affermazione precedente per cui l'anima unita al corpo è soggetta alla ""circulazione"" dei cieli causata dai loro motori. Solo dopo la morte (""poi ch'è partita"") essa dura eterna (""perpetualmente"") rivelando la sua vera natura che è più alta di quella umana.","II, tc. 34, p. 182, ll. 51-56",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_al_De_anima(Averroè),Commento al De anima,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +A QUESTA QUESTIONE SI PUÒ... RISPONDERE ...,"Per Dante il dubbio è risolvibile facilmente (leggiermente"": senza sforzo): gli angeli del cielo di Venere possono produrre e mantenere (""salvare"") il loro effetto solo in quelle realtà che possono fungere da sostrato all'azione del cielo che essi muovono (""in quei subietti che sono sottoposti alla loro circulazione""); essi dunque tenderanno a trasferirlo da ciò che non è più soggetto alla loro attività (""quella parte che è fuori di loro podestade"") a ciò che lo è ancora o lo diventa (""in quella che v'è dentro""); le anime separate dal corpo dopo la morte (""partite da questa vita"") non lo sono più, mentre quelle che vivificano un corpo lo sono ancora. Dunque, è la conclusione implicita, l'amore di Beatrice, ormai beata in cielo, non viene mantenuto, mentre viene acceso un altro amore per una donna che è ancora in vita. La risposta di Dante merita qualche riflessione. In primo luogo il ragionamento non sembra corretto: l'effetto d'amore, infatti, si è prodotto in Dante, che è ancora ben vivo e soggetto al movimento del terzo cielo, non in Beatrice. Ma soprattutto colpisce una trattazione dell'effetto d'amore come di un dato fisico oggettivo. Già nel terzo paragrafo di questo capitolo era intervenuto il modello dell'alternarsi necessario di generazioni e corruzioni. Qui esso viene ripreso e rafforzato con il riferimento alla natura umana che, come ogni altra specie, mantiene la sua struttura (la ""forma umana"") attraverso una successione continua di generanti e di generati (""trasmuta la sua conservazione di padre in figlio"") poiché non può mantenerla, come suo effetto, in un solo individuo per un periodo infinito (""non può in esso padre perpetualmente cotal suo effetto salvare""). La dottrina è aristotelica (cfr. De an. II, 4, 415 b 3-7). Ripresa da Averroè (cfr. De anima II, tc. 34, p. 182, ll. 51-56) era ormai al tempo di Dante una formula vulgata (cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 179, n. 58 ""Nihil de numero corruptibilium contingit idem numero manere semper, tamen potest unum permanere in specie per generationem""). Dante però, applicandola all'azione degli Angeli -motori di Venere, fa dell'amore un prodotto di cause naturali e come tale costante, al di là delle variazioni individuali, al di là degli amori, diremmo, ""soggettivi"". In questo modello l'astro, e chi lo muove, raggia indifferentemente ogni tipo di amore (anche quello ""folle"" di Pd VIII 1-3): nel loro succedersi i singoli amori non alterano l'unità specifica dell'effetto più di quanto i singoli generati diversifichino l'unità della specie umana. Come ha giustamente notato Claudio Giunta commentando nel vol. I la canzone Amor che movi tua virtù da cielo Amore per Dante è qualcosa di più del dio della tradizione lirica: è una forza cosmica che pervade tutto l'universo, ""per lo qual tutto il mondo si travaglia""; proprio nel Convivio si affermerà che ogni realtà, corpi semplici, minerali, vegetali, animali, è mossa da un suo ""speziale amore"" (III iii 2 sgg.), guidato da un ""amore universale"" (cfr. Cv. III viii 13). Ma se è vero che alle radici di questo modo di pensare agisce un modello neoplatonico (impressionante è il raffronto che Giunta fa tra la canzone suddetta e il metro nono del libro terzo del De consolatione Philosophiae ) è anche vero che, sulla scia di Alberto Magno, Dante lo ha ritrascritto in termini rigorosamente peripatetici. Amore è una forza cosmica nel senso strettamente fisico: agisce solo attraverso un mezzo corporeo (i cieli) e produce il suo effetto sulle anime solo attraverso le strutture corporee; sull'anima separata dal corpo ed ormai ""divina"" esso non ha più potere né si vede come si possano rivolgere domande o preghiere (cosa che Dante ha fatto nella canzone) a chi agisce secondo leggi del tutto impersonali; l'individuo stesso, in quanto unione di anima e di corpo (""l'anima col corpo congiunti"") viene qui definito come effetto naturale (""effetto di quella"", cioè della natura umana): viene così dato fondamento all'affermazione precedente per cui l'anima unita al corpo è soggetta alla ""circulazione"" dei cieli causata dai loro motori. Solo dopo la morte (""poi ch'è partita"") essa dura eterna (""perpetualmente"") rivelando la sua vera natura che è più alta di quella umana.","p. 179, n. 58 ""Nihil de numero corruptibilium contingit idem numero manere semper, tamen potest unum permanere in specie per generationem""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FARÒ UNA DIGRESSIONE,"come il dubium così la digressio è un procedimento tipico dell'esegesi universitaria di testi filosofico-scientifici, più precisamente delle parafrasi di Alberto Magno agli scritti aristotelici.",,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Parafrasi_scritti_aristotelici(Alberto_Magno),Parafrasi agli scritti aristotelici,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +PARTE ALCUNA PERPETUALE,"almeno una parte che dura in eterno'. Il termine perpetuo"" (lat. perpetuus), che anche nella sua forma avverbiale (""perpetuamente"") Dante ha già usato più volte, ha sia in teologia che in filosofia, un valore tecnico per indicare una durata che ha un inizio, ma non ha una fine. Dietro all'affermazione del Convivio (""se noi rivolgiamo tutte le scritture de' filosofi"") è probabilmente presente un testo del De natura et origine animae dove Alberto Magno afferma che tutte le scuole filosofiche, pur nella loro diversità, sono concordi nell'affermare che l'anima umana sopravvive oltre la morte: Alberto estende questa convinzione anche agli Epicurei (De natura et origine animae, tr. 2, cap. 13, p. 36, ll. 5-8, 43-52 ""Omnium Epicureorum opinione habetur quod anima immortalis est et secundum ea quae in corpore gessit, felicitatem vel infelicitatem habebit""; ""Ex his igitur ... iam aliquis concipere poterit quod tam Peripatetici ... quam Stoici ... quam etiam Epicurei ... concorditer ab ipsa coacti veritate animam post dissolutionem corporis immortaliter vivere perpetuo tradiderunt""). E' dunque probabile che, al livello del Convivio, Dante non avesse ancora motivo di collocare tra i dannati, come capofila e come seguaci dell'eresia per eccellenza, Epicuro e gli ""epicuri che l'anima col corpo morta fanno"" (If X 14-15. Cfr. Lucchesi 1987). Bisogna però dire che nel Commento al De anima (II, tr. 1, cap. 8, p. 76, ll. 17-19) lo stesso Alberto aveva attribuito agli Epicurei la dottrina della mortalità dell'intelletto con parole molto simili a quelle della Commedia: ""Et ideo falsum est quod dixerunt Epicurei, intellectum extingui corpore extincto"". Sulle motivazioni del doppio atteggiamento di Dante nei confronti dell'epicureismo del tutto persuasive sono le osservazioni di Giorgio Stabile curatore della voce Epicuro per l'Enciclopedia Dantesca, riprodotta ora con lievissime modifiche in Stabile 2007, pp. 317-327.","tr. 2, cap. 13, p. 36, ll. 5-8, 43-52 ""Omnium Epicureorum opinione habetur quod anima immortalis est et secundum ea quae in corpore gessit, felicitatem vel infelicitatem habebit""; ""Ex his igitur ... iam aliquis concipere poterit quod tam Peripatetici ... quam Stoici ... quam etiam Epicurei ... concorditer ab ipsa coacti veritate animam post dissolutionem corporis immortaliter vivere perpetuo tradiderunt""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_et_origine_animae,De natura et origine animae,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PARTE ALCUNA PERPETUALE,"almeno una parte che dura in eterno'. Il termine perpetuo"" (lat. perpetuus), che anche nella sua forma avverbiale (""perpetuamente"") Dante ha già usato più volte, ha sia in teologia che in filosofia, un valore tecnico per indicare una durata che ha un inizio, ma non ha una fine. Dietro all'affermazione del Convivio (""se noi rivolgiamo tutte le scritture de' filosofi"") è probabilmente presente un testo del De natura et origine animae dove Alberto Magno afferma che tutte le scuole filosofiche, pur nella loro diversità, sono concordi nell'affermare che l'anima umana sopravvive oltre la morte: Alberto estende questa convinzione anche agli Epicurei (De natura et origine animae, tr. 2, cap. 13, p. 36, ll. 5-8, 43-52 ""Omnium Epicureorum opinione habetur quod anima immortalis est et secundum ea quae in corpore gessit, felicitatem vel infelicitatem habebit""; ""Ex his igitur ... iam aliquis concipere poterit quod tam Peripatetici ... quam Stoici ... quam etiam Epicurei ... concorditer ab ipsa coacti veritate animam post dissolutionem corporis immortaliter vivere perpetuo tradiderunt""). E' dunque probabile che, al livello del Convivio, Dante non avesse ancora motivo di collocare tra i dannati, come capofila e come seguaci dell'eresia per eccellenza, Epicuro e gli ""epicuri che l'anima col corpo morta fanno"" (If X 14-15. Cfr. Lucchesi 1987). Bisogna però dire che nel Commento al De anima (II, tr. 1, cap. 8, p. 76, ll. 17-19) lo stesso Alberto aveva attribuito agli Epicurei la dottrina della mortalità dell'intelletto con parole molto simili a quelle della Commedia: ""Et ideo falsum est quod dixerunt Epicurei, intellectum extingui corpore extincto"". Sulle motivazioni del doppio atteggiamento di Dante nei confronti dell'epicureismo del tutto persuasive sono le osservazioni di Giorgio Stabile curatore della voce Epicuro per l'Enciclopedia Dantesca, riprodotta ora con lievissime modifiche in Stabile 2007, pp. 317-327.","II, tr. 1, cap. 8, p. 76, ll. 17-19",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E QUESTO ... PARE VOLERE ARISTOTELE,"Dante articola la sua dimostrazione dell'immortalità in quattro argomenti: 1. il consenso universale (viii 9); 2. le assurdità che sorgerebbero nell'ipotesi che questa credenza universale non corrispondesse a verità (viii 10-11); 3. l'impossibilità che il desiderio naturale dell'immortalità rimanga frustrato (viii 12); 4. l'esperienza della visione del futuro nei sogni (viii 13). Per quanto riguarda il primo argomento, sembrano sostenere (par volere"") l'immortalità: 1. Aristotele, in particolare (""massimamente"") nel De anima (""in quello dell'Anima"" è, come abbiamo già visto, un calcodal latino: 'in illo De anima', sottinteso' libro' ); 2. soprattutto (""massimamente"") i filosofi stoici; 3. Cicerone, specialmente nel breve trattato (""libello"") sulla vecchiaia (""vegliezza"". Si tratta del De senectute); 4 tutti i poeti greci e latini che hanno scritto (""parlato"") aderendo alle credenze pagane (""secondo la fede de' Gentili""); 5. tutte le religioni (il termine ""leggi"" indica al tempo di Dante le grandi religioni rivelate, intese come complesso di norme etico-giuridiche) e tutti coloro che vivono seguendo una qualche norma razionale (""qualunque altri vivono secondo alcuna ragione""). Ora, per quanto riguarda Aristotele è vero che alcuni passi particolarmente difficili del De anima parlano dell'intelletto come di una realtà separata dalla materia, eterna ed incorruttibile (cfr. ad esempio II 2, 413 b 26-27; III,5, 430 a 23) e che tutti i suoi esegeti medievali concordano nel dire che esso ""non est neque corpus neque virtus in corpore"". Se, per lo Stagirita, l'intelletto si ""moltiplicasse"" nei singoli uomini garantendo così un'immortalità individuale e non fosse invece una realtà unica ed impersonale era stato invece un problema dibattutissimo prima di Dante (basti pensare alla polemica di Tommaso contro Sigieri di Brabante e gli ""averroisti"") e, in forme diverse, tale rimase anche dopo, almeno fino a Pietro Pomponazzi. Per quanto riguarda gli Stoici, essi con tutta probabilità si identificano qui con i Pitagorici e i Platonici secondo la particolare classificazione delle scuole filosofiche usata da Alberto Magno: Pitagora e Platone, infatti, sono sempre stati considerati come i più convinti campioni della immortalità dell'anima. (vedi il Commento a Cv III xiv 15). Riguardo a Cicerone, negli ultimi paragrafi del De senectute (xxi-xxiii) Catone il Vecchio esprime effettivamente la convinzione dell'esistenza dopo la morte, di una vita che sola è degna di esser definita tale. Per quanto riguarda i poeti, che per Dante sono in qualche modo i testimoni privilegiati della ""fede de' Gentili"", egli avrà pensato senz'altro al sesto libro dell' Eneide, al viaggio di Enea nell'al di là ed il suo incontro con le anime dei defunti (vv. 268 sgg. Ovviamente Dante non conosceva Lucrezio). Per quanto riguarda la lex Moysi (i Giudei) noi sappiamo che la credenza nell'immortalità dell'anima vi compare assai tardi, all'altezza dei libri dei Maccabei, ma la tradizione esegetica cristiana l'aveva considerata coestensiva a tutto il Vecchio Testamento. Per quanto invece concerne la lex Machometi (""saracino""-saraceno è l'equivalente medievale di musulmano) che essa promettesse un paradiso ai suoi fedeli (e sia pure un paradiso di gioie sensuali) era conoscenza vulgata (cfr. ad esempio lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais XXII, cap. 6, pp. 921-922). Infine, a partire dalla metà del XIII secolo i Tartari erano divenuti per la Cristianità occidentale oggetto prima di timore e poi di interesse politico-teologico: si pensava infatti che essi avrebbero potuto essere un valido alleato contro l'Islam, e pochi anni prima della stesura del Convivio, Egidio Romano compilava su incarico di Bonifacio VIII un testo (i Capitula fidei ad Tartarum Maiorem) che si pensava avrebbe aiutato la loro auspicata conversione. Un accenno alla credenza dei Mongoli-Tartari in una vita dopo la morte (ma una vita senza né Inferno né Paradiso) è nella Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine.","II 2, 413 b 26-27",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUESTO ... PARE VOLERE ARISTOTELE,"Dante articola la sua dimostrazione dell'immortalità in quattro argomenti: 1. il consenso universale (viii 9); 2. le assurdità che sorgerebbero nell'ipotesi che questa credenza universale non corrispondesse a verità (viii 10-11); 3. l'impossibilità che il desiderio naturale dell'immortalità rimanga frustrato (viii 12); 4. l'esperienza della visione del futuro nei sogni (viii 13). Per quanto riguarda il primo argomento, sembrano sostenere (par volere"") l'immortalità: 1. Aristotele, in particolare (""massimamente"") nel De anima (""in quello dell'Anima"" è, come abbiamo già visto, un calcodal latino: 'in illo De anima', sottinteso' libro' ); 2. soprattutto (""massimamente"") i filosofi stoici; 3. Cicerone, specialmente nel breve trattato (""libello"") sulla vecchiaia (""vegliezza"". Si tratta del De senectute); 4 tutti i poeti greci e latini che hanno scritto (""parlato"") aderendo alle credenze pagane (""secondo la fede de' Gentili""); 5. tutte le religioni (il termine ""leggi"" indica al tempo di Dante le grandi religioni rivelate, intese come complesso di norme etico-giuridiche) e tutti coloro che vivono seguendo una qualche norma razionale (""qualunque altri vivono secondo alcuna ragione""). Ora, per quanto riguarda Aristotele è vero che alcuni passi particolarmente difficili del De anima parlano dell'intelletto come di una realtà separata dalla materia, eterna ed incorruttibile (cfr. ad esempio II 2, 413 b 26-27; III,5, 430 a 23) e che tutti i suoi esegeti medievali concordano nel dire che esso ""non est neque corpus neque virtus in corpore"". Se, per lo Stagirita, l'intelletto si ""moltiplicasse"" nei singoli uomini garantendo così un'immortalità individuale e non fosse invece una realtà unica ed impersonale era stato invece un problema dibattutissimo prima di Dante (basti pensare alla polemica di Tommaso contro Sigieri di Brabante e gli ""averroisti"") e, in forme diverse, tale rimase anche dopo, almeno fino a Pietro Pomponazzi. Per quanto riguarda gli Stoici, essi con tutta probabilità si identificano qui con i Pitagorici e i Platonici secondo la particolare classificazione delle scuole filosofiche usata da Alberto Magno: Pitagora e Platone, infatti, sono sempre stati considerati come i più convinti campioni della immortalità dell'anima. (vedi il Commento a Cv III xiv 15). Riguardo a Cicerone, negli ultimi paragrafi del De senectute (xxi-xxiii) Catone il Vecchio esprime effettivamente la convinzione dell'esistenza dopo la morte, di una vita che sola è degna di esser definita tale. Per quanto riguarda i poeti, che per Dante sono in qualche modo i testimoni privilegiati della ""fede de' Gentili"", egli avrà pensato senz'altro al sesto libro dell' Eneide, al viaggio di Enea nell'al di là ed il suo incontro con le anime dei defunti (vv. 268 sgg. Ovviamente Dante non conosceva Lucrezio). Per quanto riguarda la lex Moysi (i Giudei) noi sappiamo che la credenza nell'immortalità dell'anima vi compare assai tardi, all'altezza dei libri dei Maccabei, ma la tradizione esegetica cristiana l'aveva considerata coestensiva a tutto il Vecchio Testamento. Per quanto invece concerne la lex Machometi (""saracino""-saraceno è l'equivalente medievale di musulmano) che essa promettesse un paradiso ai suoi fedeli (e sia pure un paradiso di gioie sensuali) era conoscenza vulgata (cfr. ad esempio lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais XXII, cap. 6, pp. 921-922). Infine, a partire dalla metà del XIII secolo i Tartari erano divenuti per la Cristianità occidentale oggetto prima di timore e poi di interesse politico-teologico: si pensava infatti che essi avrebbero potuto essere un valido alleato contro l'Islam, e pochi anni prima della stesura del Convivio, Egidio Romano compilava su incarico di Bonifacio VIII un testo (i Capitula fidei ad Tartarum Maiorem) che si pensava avrebbe aiutato la loro auspicata conversione. Un accenno alla credenza dei Mongoli-Tartari in una vita dopo la morte (ma una vita senza né Inferno né Paradiso) è nella Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine.","III,5, 430 a 23",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUESTO ... PARE VOLERE ARISTOTELE,"Dante articola la sua dimostrazione dell'immortalità in quattro argomenti: 1. il consenso universale (viii 9); 2. le assurdità che sorgerebbero nell'ipotesi che questa credenza universale non corrispondesse a verità (viii 10-11); 3. l'impossibilità che il desiderio naturale dell'immortalità rimanga frustrato (viii 12); 4. l'esperienza della visione del futuro nei sogni (viii 13). Per quanto riguarda il primo argomento, sembrano sostenere (par volere"") l'immortalità: 1. Aristotele, in particolare (""massimamente"") nel De anima (""in quello dell'Anima"" è, come abbiamo già visto, un calcodal latino: 'in illo De anima', sottinteso' libro' ); 2. soprattutto (""massimamente"") i filosofi stoici; 3. Cicerone, specialmente nel breve trattato (""libello"") sulla vecchiaia (""vegliezza"". Si tratta del De senectute); 4 tutti i poeti greci e latini che hanno scritto (""parlato"") aderendo alle credenze pagane (""secondo la fede de' Gentili""); 5. tutte le religioni (il termine ""leggi"" indica al tempo di Dante le grandi religioni rivelate, intese come complesso di norme etico-giuridiche) e tutti coloro che vivono seguendo una qualche norma razionale (""qualunque altri vivono secondo alcuna ragione""). Ora, per quanto riguarda Aristotele è vero che alcuni passi particolarmente difficili del De anima parlano dell'intelletto come di una realtà separata dalla materia, eterna ed incorruttibile (cfr. ad esempio II 2, 413 b 26-27; III,5, 430 a 23) e che tutti i suoi esegeti medievali concordano nel dire che esso ""non est neque corpus neque virtus in corpore"". Se, per lo Stagirita, l'intelletto si ""moltiplicasse"" nei singoli uomini garantendo così un'immortalità individuale e non fosse invece una realtà unica ed impersonale era stato invece un problema dibattutissimo prima di Dante (basti pensare alla polemica di Tommaso contro Sigieri di Brabante e gli ""averroisti"") e, in forme diverse, tale rimase anche dopo, almeno fino a Pietro Pomponazzi. Per quanto riguarda gli Stoici, essi con tutta probabilità si identificano qui con i Pitagorici e i Platonici secondo la particolare classificazione delle scuole filosofiche usata da Alberto Magno: Pitagora e Platone, infatti, sono sempre stati considerati come i più convinti campioni della immortalità dell'anima. (vedi il Commento a Cv III xiv 15). Riguardo a Cicerone, negli ultimi paragrafi del De senectute (xxi-xxiii) Catone il Vecchio esprime effettivamente la convinzione dell'esistenza dopo la morte, di una vita che sola è degna di esser definita tale. Per quanto riguarda i poeti, che per Dante sono in qualche modo i testimoni privilegiati della ""fede de' Gentili"", egli avrà pensato senz'altro al sesto libro dell' Eneide, al viaggio di Enea nell'al di là ed il suo incontro con le anime dei defunti (vv. 268 sgg. Ovviamente Dante non conosceva Lucrezio). Per quanto riguarda la lex Moysi (i Giudei) noi sappiamo che la credenza nell'immortalità dell'anima vi compare assai tardi, all'altezza dei libri dei Maccabei, ma la tradizione esegetica cristiana l'aveva considerata coestensiva a tutto il Vecchio Testamento. Per quanto invece concerne la lex Machometi (""saracino""-saraceno è l'equivalente medievale di musulmano) che essa promettesse un paradiso ai suoi fedeli (e sia pure un paradiso di gioie sensuali) era conoscenza vulgata (cfr. ad esempio lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais XXII, cap. 6, pp. 921-922). Infine, a partire dalla metà del XIII secolo i Tartari erano divenuti per la Cristianità occidentale oggetto prima di timore e poi di interesse politico-teologico: si pensava infatti che essi avrebbero potuto essere un valido alleato contro l'Islam, e pochi anni prima della stesura del Convivio, Egidio Romano compilava su incarico di Bonifacio VIII un testo (i Capitula fidei ad Tartarum Maiorem) che si pensava avrebbe aiutato la loro auspicata conversione. Un accenno alla credenza dei Mongoli-Tartari in una vita dopo la morte (ma una vita senza né Inferno né Paradiso) è nella Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine.",xxi-xxiii,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +E QUESTO ... PARE VOLERE ARISTOTELE,"Dante articola la sua dimostrazione dell'immortalità in quattro argomenti: 1. il consenso universale (viii 9); 2. le assurdità che sorgerebbero nell'ipotesi che questa credenza universale non corrispondesse a verità (viii 10-11); 3. l'impossibilità che il desiderio naturale dell'immortalità rimanga frustrato (viii 12); 4. l'esperienza della visione del futuro nei sogni (viii 13). Per quanto riguarda il primo argomento, sembrano sostenere (par volere"") l'immortalità: 1. Aristotele, in particolare (""massimamente"") nel De anima (""in quello dell'Anima"" è, come abbiamo già visto, un calcodal latino: 'in illo De anima', sottinteso' libro' ); 2. soprattutto (""massimamente"") i filosofi stoici; 3. Cicerone, specialmente nel breve trattato (""libello"") sulla vecchiaia (""vegliezza"". Si tratta del De senectute); 4 tutti i poeti greci e latini che hanno scritto (""parlato"") aderendo alle credenze pagane (""secondo la fede de' Gentili""); 5. tutte le religioni (il termine ""leggi"" indica al tempo di Dante le grandi religioni rivelate, intese come complesso di norme etico-giuridiche) e tutti coloro che vivono seguendo una qualche norma razionale (""qualunque altri vivono secondo alcuna ragione""). Ora, per quanto riguarda Aristotele è vero che alcuni passi particolarmente difficili del De anima parlano dell'intelletto come di una realtà separata dalla materia, eterna ed incorruttibile (cfr. ad esempio II 2, 413 b 26-27; III,5, 430 a 23) e che tutti i suoi esegeti medievali concordano nel dire che esso ""non est neque corpus neque virtus in corpore"". Se, per lo Stagirita, l'intelletto si ""moltiplicasse"" nei singoli uomini garantendo così un'immortalità individuale e non fosse invece una realtà unica ed impersonale era stato invece un problema dibattutissimo prima di Dante (basti pensare alla polemica di Tommaso contro Sigieri di Brabante e gli ""averroisti"") e, in forme diverse, tale rimase anche dopo, almeno fino a Pietro Pomponazzi. Per quanto riguarda gli Stoici, essi con tutta probabilità si identificano qui con i Pitagorici e i Platonici secondo la particolare classificazione delle scuole filosofiche usata da Alberto Magno: Pitagora e Platone, infatti, sono sempre stati considerati come i più convinti campioni della immortalità dell'anima. (vedi il Commento a Cv III xiv 15). Riguardo a Cicerone, negli ultimi paragrafi del De senectute (xxi-xxiii) Catone il Vecchio esprime effettivamente la convinzione dell'esistenza dopo la morte, di una vita che sola è degna di esser definita tale. Per quanto riguarda i poeti, che per Dante sono in qualche modo i testimoni privilegiati della ""fede de' Gentili"", egli avrà pensato senz'altro al sesto libro dell' Eneide, al viaggio di Enea nell'al di là ed il suo incontro con le anime dei defunti (vv. 268 sgg. Ovviamente Dante non conosceva Lucrezio). Per quanto riguarda la lex Moysi (i Giudei) noi sappiamo che la credenza nell'immortalità dell'anima vi compare assai tardi, all'altezza dei libri dei Maccabei, ma la tradizione esegetica cristiana l'aveva considerata coestensiva a tutto il Vecchio Testamento. Per quanto invece concerne la lex Machometi (""saracino""-saraceno è l'equivalente medievale di musulmano) che essa promettesse un paradiso ai suoi fedeli (e sia pure un paradiso di gioie sensuali) era conoscenza vulgata (cfr. ad esempio lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais XXII, cap. 6, pp. 921-922). Infine, a partire dalla metà del XIII secolo i Tartari erano divenuti per la Cristianità occidentale oggetto prima di timore e poi di interesse politico-teologico: si pensava infatti che essi avrebbero potuto essere un valido alleato contro l'Islam, e pochi anni prima della stesura del Convivio, Egidio Romano compilava su incarico di Bonifacio VIII un testo (i Capitula fidei ad Tartarum Maiorem) che si pensava avrebbe aiutato la loro auspicata conversione. Un accenno alla credenza dei Mongoli-Tartari in una vita dopo la morte (ma una vita senza né Inferno né Paradiso) è nella Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine.",sesto libro dell' Eneide,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +E QUESTO ... PARE VOLERE ARISTOTELE,"Dante articola la sua dimostrazione dell'immortalità in quattro argomenti: 1. il consenso universale (viii 9); 2. le assurdità che sorgerebbero nell'ipotesi che questa credenza universale non corrispondesse a verità (viii 10-11); 3. l'impossibilità che il desiderio naturale dell'immortalità rimanga frustrato (viii 12); 4. l'esperienza della visione del futuro nei sogni (viii 13). Per quanto riguarda il primo argomento, sembrano sostenere (par volere"") l'immortalità: 1. Aristotele, in particolare (""massimamente"") nel De anima (""in quello dell'Anima"" è, come abbiamo già visto, un calcodal latino: 'in illo De anima', sottinteso' libro' ); 2. soprattutto (""massimamente"") i filosofi stoici; 3. Cicerone, specialmente nel breve trattato (""libello"") sulla vecchiaia (""vegliezza"". Si tratta del De senectute); 4 tutti i poeti greci e latini che hanno scritto (""parlato"") aderendo alle credenze pagane (""secondo la fede de' Gentili""); 5. tutte le religioni (il termine ""leggi"" indica al tempo di Dante le grandi religioni rivelate, intese come complesso di norme etico-giuridiche) e tutti coloro che vivono seguendo una qualche norma razionale (""qualunque altri vivono secondo alcuna ragione""). Ora, per quanto riguarda Aristotele è vero che alcuni passi particolarmente difficili del De anima parlano dell'intelletto come di una realtà separata dalla materia, eterna ed incorruttibile (cfr. ad esempio II 2, 413 b 26-27; III,5, 430 a 23) e che tutti i suoi esegeti medievali concordano nel dire che esso ""non est neque corpus neque virtus in corpore"". Se, per lo Stagirita, l'intelletto si ""moltiplicasse"" nei singoli uomini garantendo così un'immortalità individuale e non fosse invece una realtà unica ed impersonale era stato invece un problema dibattutissimo prima di Dante (basti pensare alla polemica di Tommaso contro Sigieri di Brabante e gli ""averroisti"") e, in forme diverse, tale rimase anche dopo, almeno fino a Pietro Pomponazzi. Per quanto riguarda gli Stoici, essi con tutta probabilità si identificano qui con i Pitagorici e i Platonici secondo la particolare classificazione delle scuole filosofiche usata da Alberto Magno: Pitagora e Platone, infatti, sono sempre stati considerati come i più convinti campioni della immortalità dell'anima. (vedi il Commento a Cv III xiv 15). Riguardo a Cicerone, negli ultimi paragrafi del De senectute (xxi-xxiii) Catone il Vecchio esprime effettivamente la convinzione dell'esistenza dopo la morte, di una vita che sola è degna di esser definita tale. Per quanto riguarda i poeti, che per Dante sono in qualche modo i testimoni privilegiati della ""fede de' Gentili"", egli avrà pensato senz'altro al sesto libro dell' Eneide, al viaggio di Enea nell'al di là ed il suo incontro con le anime dei defunti (vv. 268 sgg. Ovviamente Dante non conosceva Lucrezio). Per quanto riguarda la lex Moysi (i Giudei) noi sappiamo che la credenza nell'immortalità dell'anima vi compare assai tardi, all'altezza dei libri dei Maccabei, ma la tradizione esegetica cristiana l'aveva considerata coestensiva a tutto il Vecchio Testamento. Per quanto invece concerne la lex Machometi (""saracino""-saraceno è l'equivalente medievale di musulmano) che essa promettesse un paradiso ai suoi fedeli (e sia pure un paradiso di gioie sensuali) era conoscenza vulgata (cfr. ad esempio lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais XXII, cap. 6, pp. 921-922). Infine, a partire dalla metà del XIII secolo i Tartari erano divenuti per la Cristianità occidentale oggetto prima di timore e poi di interesse politico-teologico: si pensava infatti che essi avrebbero potuto essere un valido alleato contro l'Islam, e pochi anni prima della stesura del Convivio, Egidio Romano compilava su incarico di Bonifacio VIII un testo (i Capitula fidei ad Tartarum Maiorem) che si pensava avrebbe aiutato la loro auspicata conversione. Un accenno alla credenza dei Mongoli-Tartari in una vita dopo la morte (ma una vita senza né Inferno né Paradiso) è nella Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine.","XXII, cap. 6, pp. 921-922",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +E QUESTO ... PARE VOLERE ARISTOTELE,"Dante articola la sua dimostrazione dell'immortalità in quattro argomenti: 1. il consenso universale (viii 9); 2. le assurdità che sorgerebbero nell'ipotesi che questa credenza universale non corrispondesse a verità (viii 10-11); 3. l'impossibilità che il desiderio naturale dell'immortalità rimanga frustrato (viii 12); 4. l'esperienza della visione del futuro nei sogni (viii 13). Per quanto riguarda il primo argomento, sembrano sostenere (par volere"") l'immortalità: 1. Aristotele, in particolare (""massimamente"") nel De anima (""in quello dell'Anima"" è, come abbiamo già visto, un calcodal latino: 'in illo De anima', sottinteso' libro' ); 2. soprattutto (""massimamente"") i filosofi stoici; 3. Cicerone, specialmente nel breve trattato (""libello"") sulla vecchiaia (""vegliezza"". Si tratta del De senectute); 4 tutti i poeti greci e latini che hanno scritto (""parlato"") aderendo alle credenze pagane (""secondo la fede de' Gentili""); 5. tutte le religioni (il termine ""leggi"" indica al tempo di Dante le grandi religioni rivelate, intese come complesso di norme etico-giuridiche) e tutti coloro che vivono seguendo una qualche norma razionale (""qualunque altri vivono secondo alcuna ragione""). Ora, per quanto riguarda Aristotele è vero che alcuni passi particolarmente difficili del De anima parlano dell'intelletto come di una realtà separata dalla materia, eterna ed incorruttibile (cfr. ad esempio II 2, 413 b 26-27; III,5, 430 a 23) e che tutti i suoi esegeti medievali concordano nel dire che esso ""non est neque corpus neque virtus in corpore"". Se, per lo Stagirita, l'intelletto si ""moltiplicasse"" nei singoli uomini garantendo così un'immortalità individuale e non fosse invece una realtà unica ed impersonale era stato invece un problema dibattutissimo prima di Dante (basti pensare alla polemica di Tommaso contro Sigieri di Brabante e gli ""averroisti"") e, in forme diverse, tale rimase anche dopo, almeno fino a Pietro Pomponazzi. Per quanto riguarda gli Stoici, essi con tutta probabilità si identificano qui con i Pitagorici e i Platonici secondo la particolare classificazione delle scuole filosofiche usata da Alberto Magno: Pitagora e Platone, infatti, sono sempre stati considerati come i più convinti campioni della immortalità dell'anima. (vedi il Commento a Cv III xiv 15). Riguardo a Cicerone, negli ultimi paragrafi del De senectute (xxi-xxiii) Catone il Vecchio esprime effettivamente la convinzione dell'esistenza dopo la morte, di una vita che sola è degna di esser definita tale. Per quanto riguarda i poeti, che per Dante sono in qualche modo i testimoni privilegiati della ""fede de' Gentili"", egli avrà pensato senz'altro al sesto libro dell' Eneide, al viaggio di Enea nell'al di là ed il suo incontro con le anime dei defunti (vv. 268 sgg. Ovviamente Dante non conosceva Lucrezio). Per quanto riguarda la lex Moysi (i Giudei) noi sappiamo che la credenza nell'immortalità dell'anima vi compare assai tardi, all'altezza dei libri dei Maccabei, ma la tradizione esegetica cristiana l'aveva considerata coestensiva a tutto il Vecchio Testamento. Per quanto invece concerne la lex Machometi (""saracino""-saraceno è l'equivalente medievale di musulmano) che essa promettesse un paradiso ai suoi fedeli (e sia pure un paradiso di gioie sensuali) era conoscenza vulgata (cfr. ad esempio lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais XXII, cap. 6, pp. 921-922). Infine, a partire dalla metà del XIII secolo i Tartari erano divenuti per la Cristianità occidentale oggetto prima di timore e poi di interesse politico-teologico: si pensava infatti che essi avrebbero potuto essere un valido alleato contro l'Islam, e pochi anni prima della stesura del Convivio, Egidio Romano compilava su incarico di Bonifacio VIII un testo (i Capitula fidei ad Tartarum Maiorem) che si pensava avrebbe aiutato la loro auspicata conversione. Un accenno alla credenza dei Mongoli-Tartari in una vita dopo la morte (ma una vita senza né Inferno né Paradiso) è nella Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historia_Mongalorum,Historia Mongalorum,Giovanni di Pian del Carpine,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_da_Pian_del_Carpine,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +CHE SE TUTTI FOSSERO INGANNATI,"i commentatori recenti, sulle tracce di Nardi (cfr. Nardi 1985, pp. 225-243) osservano come l'argomento del consenso universale ('consensus gentium') fosse stato fin dalla tarda antichità e fosse ancora al tempo di Dante usato comunemente a favore dell'immortalità dell'anima (cfr. ad esempio Seneca, Lettere a Lucilio, 117.6). Dante però non si ferma qui perché dimostra che se questa credenza, che è anche una speranza, fosse falsa ne deriverebbe una conseguenza impossibile (seguiterebbe una impossibilitade"") che sarebbe orribile anche solo enunciare (""che pure a retraere sarebbe orribile""), in quanto contraddirebbe ad una premessa da tutti accettata (""ciascuno è certo"" ""nullo lo niega"": nessuno lo nega): che la natura umana è la più perfetta (""perfettissima"") tra tutte le specie animali presenti nel mondo sublunare (""di qua giù"", per escludere la natura angelica). Ora, molti animali (""molti che vivono"") privi di ragione (""bruti""), sono completamente mortali e non possiedono questa speranza. Dunque il possederla senza poterla realizzare sarebbe per l'uomo un difetto che lo renderebbe inferiore a tutte le altre specie animali (""di nullo altro animale""), tanto più che molti si sono comportati prendendola tanto seriamente da sacrificarle la vita terrena (""hanno dato questa vita per quella"". Ne conseguirebbe (""seguiterebbe"") l'assurdo che l'animale perfettissimo sarebbe imperfettissimo: proprio la razionalità che lo rende superiore agli altri animali (""che è sua perfezione maggiore"") sarebbe causa di questo difetto. Questo, risulta, anche solo a dirlo (""pare a dire"") come qualcosa di assolutamente mostruoso (""del tutto diverso""). * ARISTOTILE L'AFFERMA ...: cfr. De partibus animalium II 10, 656 a 3-8. Nella raccolta degli scritti zoologici aristotelici tradotti dall'arabo da Michele Scoto sotto il titolo onnicomprensivo di Libri de animalibus (cfr. Cv II iii 2) il dodicesimo libro corrisponde al secondo del De partibus animalium.","II 10, 656 a 3-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_partibus_animalium,De animalibus (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHE SE TUTTI FOSSERO INGANNATI,"i commentatori recenti, sulle tracce di Nardi (cfr. Nardi 1985, pp. 225-243) osservano come l'argomento del consenso universale ('consensus gentium') fosse stato fin dalla tarda antichità e fosse ancora al tempo di Dante usato comunemente a favore dell'immortalità dell'anima (cfr. ad esempio Seneca, Lettere a Lucilio, 117.6). Dante però non si ferma qui perché dimostra che se questa credenza, che è anche una speranza, fosse falsa ne deriverebbe una conseguenza impossibile (seguiterebbe una impossibilitade"") che sarebbe orribile anche solo enunciare (""che pure a retraere sarebbe orribile""), in quanto contraddirebbe ad una premessa da tutti accettata (""ciascuno è certo"" ""nullo lo niega"": nessuno lo nega): che la natura umana è la più perfetta (""perfettissima"") tra tutte le specie animali presenti nel mondo sublunare (""di qua giù"", per escludere la natura angelica). Ora, molti animali (""molti che vivono"") privi di ragione (""bruti""), sono completamente mortali e non possiedono questa speranza. Dunque il possederla senza poterla realizzare sarebbe per l'uomo un difetto che lo renderebbe inferiore a tutte le altre specie animali (""di nullo altro animale""), tanto più che molti si sono comportati prendendola tanto seriamente da sacrificarle la vita terrena (""hanno dato questa vita per quella"". Ne conseguirebbe (""seguiterebbe"") l'assurdo che l'animale perfettissimo sarebbe imperfettissimo: proprio la razionalità che lo rende superiore agli altri animali (""che è sua perfezione maggiore"") sarebbe causa di questo difetto. Questo, risulta, anche solo a dirlo (""pare a dire"") come qualcosa di assolutamente mostruoso (""del tutto diverso""). * ARISTOTILE L'AFFERMA ...: cfr. De partibus animalium II 10, 656 a 3-8. Nella raccolta degli scritti zoologici aristotelici tradotti dall'arabo da Michele Scoto sotto il titolo onnicomprensivo di Libri de animalibus (cfr. Cv II iii 2) il dodicesimo libro corrisponde al secondo del De partibus animalium.",117.6,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistulae_morales_ad_Lucilium,Epistulae morales ad Lucilium,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DETTO È ... PER VIVERE NELL'ALTRA VITA,"l'abbandono della vita presente nella certezza di una vita futura viene qui espresso chiaramente nei termini di una scelta volontaria e non imposta (corsero alla morte""). Più che ai martiri cristiani potremmo allora pensare a quei filosofi pagani che, convinti dell'immortalità dell'anima, si diedero la morte per vivere una vita migliore, secondo una tradizione che risale almeno alle Divinae Institutiones di Lattanzio e che ritroviamo nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101; cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,; V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144), nel De vita et moribus philosophorum dello pseudo-Burley (capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304) e nell'anonimo Fiore di filosafi e d'altri savi e imperadori (s.v. Platone), p. 125). A questa tradizione dovrebbe essere allora riferita l 'espressione ""poi che detto è"".","III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +DETTO È ... PER VIVERE NELL'ALTRA VITA,"l'abbandono della vita presente nella certezza di una vita futura viene qui espresso chiaramente nei termini di una scelta volontaria e non imposta (corsero alla morte""). Più che ai martiri cristiani potremmo allora pensare a quei filosofi pagani che, convinti dell'immortalità dell'anima, si diedero la morte per vivere una vita migliore, secondo una tradizione che risale almeno alle Divinae Institutiones di Lattanzio e che ritroviamo nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101; cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,; V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144), nel De vita et moribus philosophorum dello pseudo-Burley (capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304) e nell'anonimo Fiore di filosafi e d'altri savi e imperadori (s.v. Platone), p. 125). A questa tradizione dovrebbe essere allora riferita l 'espressione ""poi che detto è"".","cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +DETTO È ... PER VIVERE NELL'ALTRA VITA,"l'abbandono della vita presente nella certezza di una vita futura viene qui espresso chiaramente nei termini di una scelta volontaria e non imposta (corsero alla morte""). Più che ai martiri cristiani potremmo allora pensare a quei filosofi pagani che, convinti dell'immortalità dell'anima, si diedero la morte per vivere una vita migliore, secondo una tradizione che risale almeno alle Divinae Institutiones di Lattanzio e che ritroviamo nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101; cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,; V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144), nel De vita et moribus philosophorum dello pseudo-Burley (capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304) e nell'anonimo Fiore di filosafi e d'altri savi e imperadori (s.v. Platone), p. 125). A questa tradizione dovrebbe essere allora riferita l 'espressione ""poi che detto è"".","V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +DETTO È ... PER VIVERE NELL'ALTRA VITA,"l'abbandono della vita presente nella certezza di una vita futura viene qui espresso chiaramente nei termini di una scelta volontaria e non imposta (corsero alla morte""). Più che ai martiri cristiani potremmo allora pensare a quei filosofi pagani che, convinti dell'immortalità dell'anima, si diedero la morte per vivere una vita migliore, secondo una tradizione che risale almeno alle Divinae Institutiones di Lattanzio e che ritroviamo nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101; cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,; V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144), nel De vita et moribus philosophorum dello pseudo-Burley (capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304) e nell'anonimo Fiore di filosafi e d'altri savi e imperadori (s.v. Platone), p. 125). A questa tradizione dovrebbe essere allora riferita l 'espressione ""poi che detto è"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Divinae_Institutiones,Divinae Institutiones,Lattanzio,http://dbpedia.org/resource/Lactantius,http://purl.org/bncf/tid/29866,WORK +DETTO È ... PER VIVERE NELL'ALTRA VITA,"l'abbandono della vita presente nella certezza di una vita futura viene qui espresso chiaramente nei termini di una scelta volontaria e non imposta (corsero alla morte""). Più che ai martiri cristiani potremmo allora pensare a quei filosofi pagani che, convinti dell'immortalità dell'anima, si diedero la morte per vivere una vita migliore, secondo una tradizione che risale almeno alle Divinae Institutiones di Lattanzio e che ritroviamo nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101; cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,; V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144), nel De vita et moribus philosophorum dello pseudo-Burley (capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304) e nell'anonimo Fiore di filosafi e d'altri savi e imperadori (s.v. Platone), p. 125). A questa tradizione dovrebbe essere allora riferita l 'espressione ""poi che detto è"".","capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_vita_et_moribus_philosophorum,De vita et moribus philosophorum,Burley (ps.),http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/pseudo-Burley,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +DETTO È ... PER VIVERE NELL'ALTRA VITA,"l'abbandono della vita presente nella certezza di una vita futura viene qui espresso chiaramente nei termini di una scelta volontaria e non imposta (corsero alla morte""). Più che ai martiri cristiani potremmo allora pensare a quei filosofi pagani che, convinti dell'immortalità dell'anima, si diedero la morte per vivere una vita migliore, secondo una tradizione che risale almeno alle Divinae Institutiones di Lattanzio e che ritroviamo nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101; cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,; V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144), nel De vita et moribus philosophorum dello pseudo-Burley (capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304) e nell'anonimo Fiore di filosafi e d'altri savi e imperadori (s.v. Platone), p. 125). A questa tradizione dovrebbe essere allora riferita l 'espressione ""poi che detto è"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Fiore_di_filosofi,Fiore di filosofi e di molti savi,,,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +NELLE DIVINAZIONI DE' NOSTRI SOGNI,"si tratta dei sogni in cui, per dirla con il conte Ugolino, vengono squarciati i velami del futuro (cfr. If XXXIII, 27). Nel piccolo trattato intitolato De divinatione per somnum Aristotele aveva negato che il futuro potesse rendersi presente nei sogni, ma tutta la tradizione medievale non aveva seguito in questo il Filosofo. Già Alberto Magno aveva affermato che non esiste praticamente nessuno che non abbia avuto questa esperienza Vix arbitror quemquam inveniri hominem qui non de multis futuris praemonitus sit per suiipsius somnia"" (cfr. De somno et vigilia III, tr. I, cap. 2, p. 17). Questo fatto (o presunto tale. Aristotele attribuiva infatti i casi esperiti di corrispondenza tra sogni ed avvenimenti alla pura casualità) era stato usato effettivamente come argomento a favore dell'immortalità dell'anima. La conoscenza del futuro, infatti, non poteva essere frutto di congettura umana; solo una realtà immortale e quindi capace di trascendere il tempo e di avere il futuro come presente era in grado di possederla e di donarla (""con ciò sia cosa che immortale convenga essere lo rivelante"". A questa connessione tra immortalità e presenzialità, inespressa nel testo, mi sembra si riferisca il ""se bene si pensa sottilmente"", cioè analizzando a fondo i fatti). Che le anime umane fossero capaci di ricevere queste rivelazioni era poi segno della loro affinità con il rivelante immortale, secondo uno schema già presente nel Fedone, riproposto da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 ""Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula""). Dante interviene riconducendo il generico principio della somiglianza ad un preciso assioma della filosofia naturale: tra ciò che viene mosso ricevendo una forma (""o vero informato"") e ciò che muove producendo la forma, quando il rapporto sia senza mediazioni (""informatore immediato""), deve esistere un rapporto proporzionale (""debba avere proporzione""); ora tra ciò che immortale e ciò che è mortale non esiste alcuna proporzione (""nulla sia proporzione""); quindi ciò che è ""informato"" da una realtà immortale deve essere immortale. La premessa maggiore di questo sillogismo ha il suo fondamento in Aristotele (cfr. De generatione I 7, 323 b 30); viceversa lo Stagirita non ha mai affermato apertamente l'improporzionalità tra mortale ed immortale (il testo del De caelo citato dai commentatori e dalla edizione Brambilla Ageno riguarda l'incommensurabilità tra finito ed infinito, in un contesto prettamente fisico). I suoi esegeti medievali, basandosi su Metaph. III 4, 1000 a 5 sgg. gli hanno però attribuito l'assioma per cui i principi delle cose corruttibili (mortali) e quelli delle cose incorruttibili (immortali) sono specificamente diversi. La diversità di opinioni che Dante dice di avere riscontrato (""le diverse oppinioni ch'io di ciò ritruovo"") relativamente alla natura corporea o incorporea delle cause dei sogni divinatori è presente nella parafrasi al De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190) dove vengono presentate e criticate le posizioni di Averroè, Alfarabi, Isaac Israeli, sostenitori di una relazione immediata tra intelligenze ed anima umana (""rivelante incorporeo"") e si argomenta invece a favore di un'azione dei corpi celesti (""rivelante corporeo"") che comunque, nella fisica aristotelica, non sono soggetti a generazione e corruzione. Su tutta questa sezione del Convivio cfr. Nardi 1985, pp. 225-243.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divinatione_per_somnum,De divinatione per somnum,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NELLE DIVINAZIONI DE' NOSTRI SOGNI,"si tratta dei sogni in cui, per dirla con il conte Ugolino, vengono squarciati i velami del futuro (cfr. If XXXIII, 27). Nel piccolo trattato intitolato De divinatione per somnum Aristotele aveva negato che il futuro potesse rendersi presente nei sogni, ma tutta la tradizione medievale non aveva seguito in questo il Filosofo. Già Alberto Magno aveva affermato che non esiste praticamente nessuno che non abbia avuto questa esperienza Vix arbitror quemquam inveniri hominem qui non de multis futuris praemonitus sit per suiipsius somnia"" (cfr. De somno et vigilia III, tr. I, cap. 2, p. 17). Questo fatto (o presunto tale. Aristotele attribuiva infatti i casi esperiti di corrispondenza tra sogni ed avvenimenti alla pura casualità) era stato usato effettivamente come argomento a favore dell'immortalità dell'anima. La conoscenza del futuro, infatti, non poteva essere frutto di congettura umana; solo una realtà immortale e quindi capace di trascendere il tempo e di avere il futuro come presente era in grado di possederla e di donarla (""con ciò sia cosa che immortale convenga essere lo rivelante"". A questa connessione tra immortalità e presenzialità, inespressa nel testo, mi sembra si riferisca il ""se bene si pensa sottilmente"", cioè analizzando a fondo i fatti). Che le anime umane fossero capaci di ricevere queste rivelazioni era poi segno della loro affinità con il rivelante immortale, secondo uno schema già presente nel Fedone, riproposto da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 ""Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula""). Dante interviene riconducendo il generico principio della somiglianza ad un preciso assioma della filosofia naturale: tra ciò che viene mosso ricevendo una forma (""o vero informato"") e ciò che muove producendo la forma, quando il rapporto sia senza mediazioni (""informatore immediato""), deve esistere un rapporto proporzionale (""debba avere proporzione""); ora tra ciò che immortale e ciò che è mortale non esiste alcuna proporzione (""nulla sia proporzione""); quindi ciò che è ""informato"" da una realtà immortale deve essere immortale. La premessa maggiore di questo sillogismo ha il suo fondamento in Aristotele (cfr. De generatione I 7, 323 b 30); viceversa lo Stagirita non ha mai affermato apertamente l'improporzionalità tra mortale ed immortale (il testo del De caelo citato dai commentatori e dalla edizione Brambilla Ageno riguarda l'incommensurabilità tra finito ed infinito, in un contesto prettamente fisico). I suoi esegeti medievali, basandosi su Metaph. III 4, 1000 a 5 sgg. gli hanno però attribuito l'assioma per cui i principi delle cose corruttibili (mortali) e quelli delle cose incorruttibili (immortali) sono specificamente diversi. La diversità di opinioni che Dante dice di avere riscontrato (""le diverse oppinioni ch'io di ciò ritruovo"") relativamente alla natura corporea o incorporea delle cause dei sogni divinatori è presente nella parafrasi al De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190) dove vengono presentate e criticate le posizioni di Averroè, Alfarabi, Isaac Israeli, sostenitori di una relazione immediata tra intelligenze ed anima umana (""rivelante incorporeo"") e si argomenta invece a favore di un'azione dei corpi celesti (""rivelante corporeo"") che comunque, nella fisica aristotelica, non sono soggetti a generazione e corruzione. Su tutta questa sezione del Convivio cfr. Nardi 1985, pp. 225-243.","III, tr. I, cap. 2, p. 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_somno_et_vigilia(Alberto_Magno),De somno et vigilia,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NELLE DIVINAZIONI DE' NOSTRI SOGNI,"si tratta dei sogni in cui, per dirla con il conte Ugolino, vengono squarciati i velami del futuro (cfr. If XXXIII, 27). Nel piccolo trattato intitolato De divinatione per somnum Aristotele aveva negato che il futuro potesse rendersi presente nei sogni, ma tutta la tradizione medievale non aveva seguito in questo il Filosofo. Già Alberto Magno aveva affermato che non esiste praticamente nessuno che non abbia avuto questa esperienza Vix arbitror quemquam inveniri hominem qui non de multis futuris praemonitus sit per suiipsius somnia"" (cfr. De somno et vigilia III, tr. I, cap. 2, p. 17). Questo fatto (o presunto tale. Aristotele attribuiva infatti i casi esperiti di corrispondenza tra sogni ed avvenimenti alla pura casualità) era stato usato effettivamente come argomento a favore dell'immortalità dell'anima. La conoscenza del futuro, infatti, non poteva essere frutto di congettura umana; solo una realtà immortale e quindi capace di trascendere il tempo e di avere il futuro come presente era in grado di possederla e di donarla (""con ciò sia cosa che immortale convenga essere lo rivelante"". A questa connessione tra immortalità e presenzialità, inespressa nel testo, mi sembra si riferisca il ""se bene si pensa sottilmente"", cioè analizzando a fondo i fatti). Che le anime umane fossero capaci di ricevere queste rivelazioni era poi segno della loro affinità con il rivelante immortale, secondo uno schema già presente nel Fedone, riproposto da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 ""Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula""). Dante interviene riconducendo il generico principio della somiglianza ad un preciso assioma della filosofia naturale: tra ciò che viene mosso ricevendo una forma (""o vero informato"") e ciò che muove producendo la forma, quando il rapporto sia senza mediazioni (""informatore immediato""), deve esistere un rapporto proporzionale (""debba avere proporzione""); ora tra ciò che immortale e ciò che è mortale non esiste alcuna proporzione (""nulla sia proporzione""); quindi ciò che è ""informato"" da una realtà immortale deve essere immortale. La premessa maggiore di questo sillogismo ha il suo fondamento in Aristotele (cfr. De generatione I 7, 323 b 30); viceversa lo Stagirita non ha mai affermato apertamente l'improporzionalità tra mortale ed immortale (il testo del De caelo citato dai commentatori e dalla edizione Brambilla Ageno riguarda l'incommensurabilità tra finito ed infinito, in un contesto prettamente fisico). I suoi esegeti medievali, basandosi su Metaph. III 4, 1000 a 5 sgg. gli hanno però attribuito l'assioma per cui i principi delle cose corruttibili (mortali) e quelli delle cose incorruttibili (immortali) sono specificamente diversi. La diversità di opinioni che Dante dice di avere riscontrato (""le diverse oppinioni ch'io di ciò ritruovo"") relativamente alla natura corporea o incorporea delle cause dei sogni divinatori è presente nella parafrasi al De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190) dove vengono presentate e criticate le posizioni di Averroè, Alfarabi, Isaac Israeli, sostenitori di una relazione immediata tra intelligenze ed anima umana (""rivelante incorporeo"") e si argomenta invece a favore di un'azione dei corpi celesti (""rivelante corporeo"") che comunque, nella fisica aristotelica, non sono soggetti a generazione e corruzione. Su tutta questa sezione del Convivio cfr. Nardi 1985, pp. 225-243.","III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_somno_et_vigilia(Alberto_Magno),De somno et vigilia,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NELLE DIVINAZIONI DE' NOSTRI SOGNI,"si tratta dei sogni in cui, per dirla con il conte Ugolino, vengono squarciati i velami del futuro (cfr. If XXXIII, 27). Nel piccolo trattato intitolato De divinatione per somnum Aristotele aveva negato che il futuro potesse rendersi presente nei sogni, ma tutta la tradizione medievale non aveva seguito in questo il Filosofo. Già Alberto Magno aveva affermato che non esiste praticamente nessuno che non abbia avuto questa esperienza Vix arbitror quemquam inveniri hominem qui non de multis futuris praemonitus sit per suiipsius somnia"" (cfr. De somno et vigilia III, tr. I, cap. 2, p. 17). Questo fatto (o presunto tale. Aristotele attribuiva infatti i casi esperiti di corrispondenza tra sogni ed avvenimenti alla pura casualità) era stato usato effettivamente come argomento a favore dell'immortalità dell'anima. La conoscenza del futuro, infatti, non poteva essere frutto di congettura umana; solo una realtà immortale e quindi capace di trascendere il tempo e di avere il futuro come presente era in grado di possederla e di donarla (""con ciò sia cosa che immortale convenga essere lo rivelante"". A questa connessione tra immortalità e presenzialità, inespressa nel testo, mi sembra si riferisca il ""se bene si pensa sottilmente"", cioè analizzando a fondo i fatti). Che le anime umane fossero capaci di ricevere queste rivelazioni era poi segno della loro affinità con il rivelante immortale, secondo uno schema già presente nel Fedone, riproposto da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 ""Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula""). Dante interviene riconducendo il generico principio della somiglianza ad un preciso assioma della filosofia naturale: tra ciò che viene mosso ricevendo una forma (""o vero informato"") e ciò che muove producendo la forma, quando il rapporto sia senza mediazioni (""informatore immediato""), deve esistere un rapporto proporzionale (""debba avere proporzione""); ora tra ciò che immortale e ciò che è mortale non esiste alcuna proporzione (""nulla sia proporzione""); quindi ciò che è ""informato"" da una realtà immortale deve essere immortale. La premessa maggiore di questo sillogismo ha il suo fondamento in Aristotele (cfr. De generatione I 7, 323 b 30); viceversa lo Stagirita non ha mai affermato apertamente l'improporzionalità tra mortale ed immortale (il testo del De caelo citato dai commentatori e dalla edizione Brambilla Ageno riguarda l'incommensurabilità tra finito ed infinito, in un contesto prettamente fisico). I suoi esegeti medievali, basandosi su Metaph. III 4, 1000 a 5 sgg. gli hanno però attribuito l'assioma per cui i principi delle cose corruttibili (mortali) e quelli delle cose incorruttibili (immortali) sono specificamente diversi. La diversità di opinioni che Dante dice di avere riscontrato (""le diverse oppinioni ch'io di ciò ritruovo"") relativamente alla natura corporea o incorporea delle cause dei sogni divinatori è presente nella parafrasi al De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190) dove vengono presentate e criticate le posizioni di Averroè, Alfarabi, Isaac Israeli, sostenitori di una relazione immediata tra intelligenze ed anima umana (""rivelante incorporeo"") e si argomenta invece a favore di un'azione dei corpi celesti (""rivelante corporeo"") che comunque, nella fisica aristotelica, non sono soggetti a generazione e corruzione. Su tutta questa sezione del Convivio cfr. Nardi 1985, pp. 225-243.","tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 ""Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_et_origine_animae,De natura et origine animae,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NELLE DIVINAZIONI DE' NOSTRI SOGNI,"si tratta dei sogni in cui, per dirla con il conte Ugolino, vengono squarciati i velami del futuro (cfr. If XXXIII, 27). Nel piccolo trattato intitolato De divinatione per somnum Aristotele aveva negato che il futuro potesse rendersi presente nei sogni, ma tutta la tradizione medievale non aveva seguito in questo il Filosofo. Già Alberto Magno aveva affermato che non esiste praticamente nessuno che non abbia avuto questa esperienza Vix arbitror quemquam inveniri hominem qui non de multis futuris praemonitus sit per suiipsius somnia"" (cfr. De somno et vigilia III, tr. I, cap. 2, p. 17). Questo fatto (o presunto tale. Aristotele attribuiva infatti i casi esperiti di corrispondenza tra sogni ed avvenimenti alla pura casualità) era stato usato effettivamente come argomento a favore dell'immortalità dell'anima. La conoscenza del futuro, infatti, non poteva essere frutto di congettura umana; solo una realtà immortale e quindi capace di trascendere il tempo e di avere il futuro come presente era in grado di possederla e di donarla (""con ciò sia cosa che immortale convenga essere lo rivelante"". A questa connessione tra immortalità e presenzialità, inespressa nel testo, mi sembra si riferisca il ""se bene si pensa sottilmente"", cioè analizzando a fondo i fatti). Che le anime umane fossero capaci di ricevere queste rivelazioni era poi segno della loro affinità con il rivelante immortale, secondo uno schema già presente nel Fedone, riproposto da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 ""Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula""). Dante interviene riconducendo il generico principio della somiglianza ad un preciso assioma della filosofia naturale: tra ciò che viene mosso ricevendo una forma (""o vero informato"") e ciò che muove producendo la forma, quando il rapporto sia senza mediazioni (""informatore immediato""), deve esistere un rapporto proporzionale (""debba avere proporzione""); ora tra ciò che immortale e ciò che è mortale non esiste alcuna proporzione (""nulla sia proporzione""); quindi ciò che è ""informato"" da una realtà immortale deve essere immortale. La premessa maggiore di questo sillogismo ha il suo fondamento in Aristotele (cfr. De generatione I 7, 323 b 30); viceversa lo Stagirita non ha mai affermato apertamente l'improporzionalità tra mortale ed immortale (il testo del De caelo citato dai commentatori e dalla edizione Brambilla Ageno riguarda l'incommensurabilità tra finito ed infinito, in un contesto prettamente fisico). I suoi esegeti medievali, basandosi su Metaph. III 4, 1000 a 5 sgg. gli hanno però attribuito l'assioma per cui i principi delle cose corruttibili (mortali) e quelli delle cose incorruttibili (immortali) sono specificamente diversi. La diversità di opinioni che Dante dice di avere riscontrato (""le diverse oppinioni ch'io di ciò ritruovo"") relativamente alla natura corporea o incorporea delle cause dei sogni divinatori è presente nella parafrasi al De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190) dove vengono presentate e criticate le posizioni di Averroè, Alfarabi, Isaac Israeli, sostenitori di una relazione immediata tra intelligenze ed anima umana (""rivelante incorporeo"") e si argomenta invece a favore di un'azione dei corpi celesti (""rivelante corporeo"") che comunque, nella fisica aristotelica, non sono soggetti a generazione e corruzione. Su tutta questa sezione del Convivio cfr. Nardi 1985, pp. 225-243.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Phaedo,Fedone,Platone,http://dbpedia.org/resource/Plato,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +NELLE DIVINAZIONI DE' NOSTRI SOGNI,"si tratta dei sogni in cui, per dirla con il conte Ugolino, vengono squarciati i velami del futuro (cfr. If XXXIII, 27). Nel piccolo trattato intitolato De divinatione per somnum Aristotele aveva negato che il futuro potesse rendersi presente nei sogni, ma tutta la tradizione medievale non aveva seguito in questo il Filosofo. Già Alberto Magno aveva affermato che non esiste praticamente nessuno che non abbia avuto questa esperienza Vix arbitror quemquam inveniri hominem qui non de multis futuris praemonitus sit per suiipsius somnia"" (cfr. De somno et vigilia III, tr. I, cap. 2, p. 17). Questo fatto (o presunto tale. Aristotele attribuiva infatti i casi esperiti di corrispondenza tra sogni ed avvenimenti alla pura casualità) era stato usato effettivamente come argomento a favore dell'immortalità dell'anima. La conoscenza del futuro, infatti, non poteva essere frutto di congettura umana; solo una realtà immortale e quindi capace di trascendere il tempo e di avere il futuro come presente era in grado di possederla e di donarla (""con ciò sia cosa che immortale convenga essere lo rivelante"". A questa connessione tra immortalità e presenzialità, inespressa nel testo, mi sembra si riferisca il ""se bene si pensa sottilmente"", cioè analizzando a fondo i fatti). Che le anime umane fossero capaci di ricevere queste rivelazioni era poi segno della loro affinità con il rivelante immortale, secondo uno schema già presente nel Fedone, riproposto da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 ""Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula""). Dante interviene riconducendo il generico principio della somiglianza ad un preciso assioma della filosofia naturale: tra ciò che viene mosso ricevendo una forma (""o vero informato"") e ciò che muove producendo la forma, quando il rapporto sia senza mediazioni (""informatore immediato""), deve esistere un rapporto proporzionale (""debba avere proporzione""); ora tra ciò che immortale e ciò che è mortale non esiste alcuna proporzione (""nulla sia proporzione""); quindi ciò che è ""informato"" da una realtà immortale deve essere immortale. La premessa maggiore di questo sillogismo ha il suo fondamento in Aristotele (cfr. De generatione I 7, 323 b 30); viceversa lo Stagirita non ha mai affermato apertamente l'improporzionalità tra mortale ed immortale (il testo del De caelo citato dai commentatori e dalla edizione Brambilla Ageno riguarda l'incommensurabilità tra finito ed infinito, in un contesto prettamente fisico). I suoi esegeti medievali, basandosi su Metaph. III 4, 1000 a 5 sgg. gli hanno però attribuito l'assioma per cui i principi delle cose corruttibili (mortali) e quelli delle cose incorruttibili (immortali) sono specificamente diversi. La diversità di opinioni che Dante dice di avere riscontrato (""le diverse oppinioni ch'io di ciò ritruovo"") relativamente alla natura corporea o incorporea delle cause dei sogni divinatori è presente nella parafrasi al De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190) dove vengono presentate e criticate le posizioni di Averroè, Alfarabi, Isaac Israeli, sostenitori di una relazione immediata tra intelligenze ed anima umana (""rivelante incorporeo"") e si argomenta invece a favore di un'azione dei corpi celesti (""rivelante corporeo"") che comunque, nella fisica aristotelica, non sono soggetti a generazione e corruzione. Su tutta questa sezione del Convivio cfr. Nardi 1985, pp. 225-243.","I 7, 323 b 30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"VIA, VERITÀ E LUCE","contaminazione di due versetti del Vangelo di Giovanni: ""Ego sum via, veritas et vita"" (14, 6) e ""Ego sum lux mundi"" (8, 12).","14, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"VIA, VERITÀ E LUCE","contaminazione di due versetti del Vangelo di Giovanni: ""Ego sum via, veritas et vita"" (14, 6) e ""Ego sum lux mundi"" (8, 12).","8, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER RAGIONE ... MISTURA DI MORTALE CON IMMORTALE,"le argomentazioni razionali a favore dell'immortalità dell'anima non mostrano la verità con certezza assoluta, ma sono sempre in qualche modo soggette a discussione. Questo dipende (incontra"") dal fatto che la luce intellettuale della nostra parte immortale (l'anima) finché è mescolata con la nostra componente mortale (il corpo) è come offuscata da un'ombra (cfr. Alberto Magno, De causis et processu universitatis, I, tr. 4, c. 2, p. 44, ll. 16-19 ""anima ...propter dependentiam ad corpus necesse est quod primae limpiditatis et sinceritatis patiatur adumbrationem"").","I, tr. 4, c. 2, p. 44, ll. 16-19 ""anima ...propter dependentiam ad corpus necesse est quod primae limpiditatis et sinceritatis patiatur adumbrationem""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_causis_et_processu_universitatis,De causis et processu universitatis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E QUI SI VUOL SAPERE .... IN QUELLO CH'ELLO MIRA,"per fondare scientificamente il fenomeno dell'innamoramento attraverso gli occhi viene qui introdotta dalla consueta formula 'tecnica' (e qui si vuol sapere"": 'et hic sciendum est') una breve spiegazione della struttura della sensazione visiva: nonostante più oggetti possano contemporaneamente (""a un'ora"") colpire l'occhio, tuttavia (""veramente"" con valore avversativo, dal latino verumtamen ) vediamo in senso proprio (""veramente"", questa volta dal latino vere) solo quello che raggiunge il centro (""la punta"") della pupilla seguendo una linea retta; solo un tale oggetto si imprime in maniera permanente (""si suggella"") nella facoltà della immaginazione (imaginatio è il termine tecnico con cui i commentatori arabi e latini del De anima di Aristotele indicano la facoltà che ha capacità di trattenere l'immagine di un oggetto in assenza dell'oggetto stesso) L'amore nasce sì dalla vista, ma solo se la forma dell'oggetto amato si fissa nell'immaginazione; per l'uso della stessa metafora a proposito della memoria cfr. nota a Cv I viii 12). Questo perché (""però che"") il nervo che è il veicolo fisiologico della capacità di vedere (""per lo quale corre lo spirito visivo"") procede dal cervello al centro della pupilla in linea retta. Possiamo osservare come, nel solco della tradizione della scienza ottica medievale, questa spiegazione unisca elementi geometrici (la visione per linea retta) e anatomico- fisiologici (il nervo ottico). Nel primo caso i commentatori richiamano giustamente un brano del De sensu et sensato dove Alberto Magno sostiene che la vista più intensa (""fortior visus"" ) si ha lungo linea retta che costituisce l'asse della piramide visiva che ha come vertice l'occhio e come base l'oggetto e che coincide con l'asse della pupilla (si tratta di una ""recta immutatio ad centrum oculi directa""). La stessa dottrina è presente nella Perspectiva di Ruggero Bacone (cfr. Parronchi 1959, pp 5, 103, 27-28), ma come nota giustamente Simon Gilson, richiamandosi alla enciclopedia di Bartolomeo Anglico, il De naturis rerum, si trattava di dottrine ormai ampiamente diffuse (cfr. Gilson² 1997, pp. 193-4). E' invece di origine galenica la dottrina per cui gli spiriti animali, partendo dal cervello, raggiungono gli organi periferici, ed al cervello ritornano rendendo possibili le sensazioni. Una teoria generale della visione verrà presentata in Cv III ix 7-8. In questo brano le nozioni di ottica sono funzionali alla spiegazione dell'incontro degli sguardi amorosi: gli occhi che guardano altri occhi non possono fare a meno di essere a loro volta guardati (""sì che esso non sia veduto da lui""); le loro immagini (""la sua forma"") si incrociano per la medesima linea retta, ed è su questa linea retta (""nel dirizzare di questa linea"") che Amore, per cui ogni difesa è fragile (""colui al quale ogni arme è leggiere"") scocca il suo arco. Come poi avverrà in maniera più continua e complessa nella Commedia, qui Dante intreccia tra di loro linguaggi assi diversi come quello della scienza e della mitologia amorosa.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_sensu_et_sensato(Alberto_Magno),De sensu et sensato (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'ATTO DELL'AGENTE SI PRENDE NEL DISPOSTO PAZIENTE,"più che al testo latino di De an. II, 2, 414 a 11-12 (Videtur ... in patiente et disposito activorum inesse actio"") cui rimanda Busnelli ripreso da Vasoli, Dante si rifà qui alle Auctoritates Aristotelis (p. 179 n. 55) ""actus activorum sunt in patiente praedisposito"" (cfr. Ricklin ). A questo principio aristotelico Dante si riferirà anche in Cv IV xx 7.","II, 2, 414 a 11-12",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'ATTO DELL'AGENTE SI PRENDE NEL DISPOSTO PAZIENTE,"più che al testo latino di De an. II, 2, 414 a 11-12 (Videtur ... in patiente et disposito activorum inesse actio"") cui rimanda Busnelli ripreso da Vasoli, Dante si rifà qui alle Auctoritates Aristotelis (p. 179 n. 55) ""actus activorum sunt in patiente praedisposito"" (cfr. Ricklin ). A questo principio aristotelico Dante si riferirà anche in Cv IV xx 7.","p. 179 n. 55 ""actus activorum sunt in patiente praedisposito""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NON ... SANZA ALCUNO DISCORRIMENTO,"non senza una qualche fluttuazione'. Cfr. De consolatione philosophiae II, prosa 1, 6, p. 28 Verum omnis subita mutatio rerum non sine quodam quasi fluctu contingit animorum"", che Dante traduce alla lettera (probabilmente, nel codice a sua disposizione, egli leggeva 'fluxu' e non 'fluctu'. Cfr. Cv III vii 2, dove viene reso con ""discorrimento"" il termine influxio presente nella traduzione latina del Liber de causis).","II, prosa 1, 6, p. 28 ""Verum omnis subita mutatio rerum non sine quodam quasi fluctu contingit animorum""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PIETOSO LO CHIAMA,"il termine 'pius' che Dante rende con pietoso"" è nell'Eneide attributo costante di Enea.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +E NON È PIETADE ...,"in questo paragrafo e nei seguenti Dante polemizza contro il modo approssimativo con cui vengono considerate virtù, o comunque disposizioni d'animo, come pietà e cortesia. In entrambi i casi si tratta di una mancanza di analisi per cui la gente comune (la volgar gente"") scambia il genere (pietà, cortesia) con una delle sue specie (misericordia, larghezza-liberalità). Già Tommaso aveva fatto del ""dolersi del male altrui"" (""habere miserum cor super miseria alterius"", Summa Theologiae IIa-IIae, q. 30, a. 1, respondeo) una caratteristica della misericordia e nella Retorica, Aristotele aveva classificato la misericordia (traduzione latina del greco eleos) tra le passioni (cfr. Rhet. II 8, 1385 b 12 sgg.). Ma che la pietà sia una disposizione virtuosa (""nobile disposizione"") di cui la misericordia, l'amore ed altre passioni che ci fanno attenti verso il prossimo (""passioni caritative"") sono effetti particolari (""speziale effetto"") è dottrina propria di Dante, anche se un richiamo potrebbe essere fatto a De civitate Dei X 1, p. 447 dove si osserva che il termine eusebeia (pietas) in sé riservato al culto divino, ""pro misericordia Graecorum vulgus usurpat"". Sulla pietà Dante tornerà in Cv IV xix precisando che si tratta di una ""buona disposizione da natura data"", anteriore quindi ad ogni processo di raggiungimento delle virtù più propriamente morali.","IIa-IIae, q. 30, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E NON È PIETADE ...,"in questo paragrafo e nei seguenti Dante polemizza contro il modo approssimativo con cui vengono considerate virtù, o comunque disposizioni d'animo, come pietà e cortesia. In entrambi i casi si tratta di una mancanza di analisi per cui la gente comune (la volgar gente"") scambia il genere (pietà, cortesia) con una delle sue specie (misericordia, larghezza-liberalità). Già Tommaso aveva fatto del ""dolersi del male altrui"" (""habere miserum cor super miseria alterius"", Summa Theologiae IIa-IIae, q. 30, a. 1, respondeo) una caratteristica della misericordia e nella Retorica, Aristotele aveva classificato la misericordia (traduzione latina del greco eleos) tra le passioni (cfr. Rhet. II 8, 1385 b 12 sgg.). Ma che la pietà sia una disposizione virtuosa (""nobile disposizione"") di cui la misericordia, l'amore ed altre passioni che ci fanno attenti verso il prossimo (""passioni caritative"") sono effetti particolari (""speziale effetto"") è dottrina propria di Dante, anche se un richiamo potrebbe essere fatto a De civitate Dei X 1, p. 447 dove si osserva che il termine eusebeia (pietas) in sé riservato al culto divino, ""pro misericordia Graecorum vulgus usurpat"". Sulla pietà Dante tornerà in Cv IV xix precisando che si tratta di una ""buona disposizione da natura data"", anteriore quindi ad ogni processo di raggiungimento delle virtù più propriamente morali.","II 8, 1385 b 12 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E NON È PIETADE ...,"in questo paragrafo e nei seguenti Dante polemizza contro il modo approssimativo con cui vengono considerate virtù, o comunque disposizioni d'animo, come pietà e cortesia. In entrambi i casi si tratta di una mancanza di analisi per cui la gente comune (la volgar gente"") scambia il genere (pietà, cortesia) con una delle sue specie (misericordia, larghezza-liberalità). Già Tommaso aveva fatto del ""dolersi del male altrui"" (""habere miserum cor super miseria alterius"", Summa Theologiae IIa-IIae, q. 30, a. 1, respondeo) una caratteristica della misericordia e nella Retorica, Aristotele aveva classificato la misericordia (traduzione latina del greco eleos) tra le passioni (cfr. Rhet. II 8, 1385 b 12 sgg.). Ma che la pietà sia una disposizione virtuosa (""nobile disposizione"") di cui la misericordia, l'amore ed altre passioni che ci fanno attenti verso il prossimo (""passioni caritative"") sono effetti particolari (""speziale effetto"") è dottrina propria di Dante, anche se un richiamo potrebbe essere fatto a De civitate Dei X 1, p. 447 dove si osserva che il termine eusebeia (pietas) in sé riservato al culto divino, ""pro misericordia Graecorum vulgus usurpat"". Sulla pietà Dante tornerà in Cv IV xix precisando che si tratta di una ""buona disposizione da natura data"", anteriore quindi ad ogni processo di raggiungimento delle virtù più propriamente morali.","X 1, p. 447",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +E UN'ALTRA INFERMITADE ... DEL LORO SIGNORE,"traduzione di Ecl. 5, 12 Est et alia infirmitas pessima quam vidi sub sole, divitiae conservatae in malum domini sui"" ('in malum': ""a detrimento"").","5, 12 ""Est et alia infirmitas pessima quam vidi sub sole, divitiae conservatae in malum domini sui""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ecclesiastes,Ecclesiaste,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +QUELLO NON CONOSCIUTO DA MOLTI ...,"si tratta del De consolatione philosophiae, già utilizzato in Cv I ii 13; II vii 4 e che sarà ancora ampiamente presente nel resto del trattato. In realtà, come è stato fatto notare sia da Vasoli che soprattutto da Ricklin, il testo di Boezio era uno dei più conosciuti e diffusi nel Medioevo (vedi il Commento a Cv I ii 13). Come nel resto d'Italia anche a Firenze, nel XIV secolo il De consolatione era usato come libro di testo per gli studenti di latino giunti al termine del primo ciclo di letture, i cosiddetti 'auctores minores' (Lapo Mazzei in una lettera affermerà che Boezio ... si legge a corso in ogni scuola ai più giovani"". Cfr. Black-Pomaro 2000, pp. 3 sgg. ); un fiorentino contemporaneo di Dante, Bono Giamboni, lo aveva utilizzato a modello nel suo Libro de' vizi e delle virtù. Potremmo pensare che con l'espressione ""non conosciuto"" Dante voglia dire che il vero e profondo significato del testo è sfuggito e sfugge a chi lo usa come semplice mezzo di apprendimento del latino. Nei fatti le glosse presenti nei manoscritti fiorentini del De consolatione, sembrano essere di carattere esclusivamente grammaticale e non filosofico. Cfr. Black-G. Pomaro 2000, pp. 8-11.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +AMISTADE,amicizia'. Si tratta del dialogo Laelius de amicitia.,,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Laelius_de_Amicitia,De amicitia,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +AVEA TOCCATE PAROLE,"aveva parlato del modo con cui Lelio aveva alleviato il proprio dolore'. Nel dialogo (I, 3-4) Lelio afferma che il dolore per la perdita dell'amico viene mitigato dalla certezza che la morte non ha potuto fargli alcun male. Come ha rilevato il Davis, il testo di Cicerone era presente nella Biblioteca del Convento domenicano di Santa Maria Novella ed utilizzato sicuramente da Remigio de' Girolami (cfr. Davis 1988, pp. 161-162).","I, 3-4",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Laelius_de_Amicitia,De amicitia,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NON FORSE SANZA DIVINO IMPERIO,"ma non senza l'intervento della volontà divina'. L' indefinitezza della causa è per Aristotele (cfr. Phys. II 4) caratteristica degli eventi casuali e fortuiti: i primi sono coincidenze nell'ambito delle produzioni naturali, i secondi riguardano il mondo delle azioni umane (come esempio dei secondi Boezio dà il trovare un mucchio d'oro, auri pondus"", zappando il proprio campo. Cfr. De consolatione V, prosa 1, 13, p. 137. L'esempio diverrà standard per i pensatori medievali). Ma lo Stagirita non sembra propenso a farne una causa occulta, cioè indeterminata solo per la nostra mente finita. Collegare la Fortuna e il fortuito a Dio ed alla sua provvidenza il cui agire ci sfugge è piuttosto, come abbiamo visto (cfr. il Commento a Cv I iii 4) una posizione di Agostino, ripresa in maniera più tecnicamente filosofica da Tommaso. Cfr. Summa contra Gentiles III cap. 92, n. 2672 ""Aliquod fortuitum bonum vel malum potest contingere homini et per comparationem ad ipsum, et per comparationem ad caelestia corpora et per comparationem ad angelos, non autem per comparationem ad Deum. Nam per comparationem ad ipsum, non solum in rebus humanis, sed nec in aliqua re potest esse aliquid casuale et improvisum"". (collego la frase ""non forse senza divino imperio"" non a ""io trovai"", ma, come fa anche Inglese, a ""fuori dell'intenzione trova oro, la quale occulta cagione presenta"": mi sembra che qui venga espresso un principio generale, quello per cui la ""cagione occulta"", è riconducibile in ultima analisi alla volontà divina, di cui il caso di Dante è solo una istanza particolare).","V, prosa 1, 13, p. 137",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NON FORSE SANZA DIVINO IMPERIO,"ma non senza l'intervento della volontà divina'. L' indefinitezza della causa è per Aristotele (cfr. Phys. II 4) caratteristica degli eventi casuali e fortuiti: i primi sono coincidenze nell'ambito delle produzioni naturali, i secondi riguardano il mondo delle azioni umane (come esempio dei secondi Boezio dà il trovare un mucchio d'oro, auri pondus"", zappando il proprio campo. Cfr. De consolatione V, prosa 1, 13, p. 137. L'esempio diverrà standard per i pensatori medievali). Ma lo Stagirita non sembra propenso a farne una causa occulta, cioè indeterminata solo per la nostra mente finita. Collegare la Fortuna e il fortuito a Dio ed alla sua provvidenza il cui agire ci sfugge è piuttosto, come abbiamo visto (cfr. il Commento a Cv I iii 4) una posizione di Agostino, ripresa in maniera più tecnicamente filosofica da Tommaso. Cfr. Summa contra Gentiles III cap. 92, n. 2672 ""Aliquod fortuitum bonum vel malum potest contingere homini et per comparationem ad ipsum, et per comparationem ad caelestia corpora et per comparationem ad angelos, non autem per comparationem ad Deum. Nam per comparationem ad ipsum, non solum in rebus humanis, sed nec in aliqua re potest esse aliquid casuale et improvisum"". (collego la frase ""non forse senza divino imperio"" non a ""io trovai"", ma, come fa anche Inglese, a ""fuori dell'intenzione trova oro, la quale occulta cagione presenta"": mi sembra che qui venga espresso un principio generale, quello per cui la ""cagione occulta"", è riconducibile in ultima analisi alla volontà divina, di cui il caso di Dante è solo una istanza particolare).","III cap. 92, n. 2672 ""Aliquod fortuitum bonum vel malum potest contingere homini et per comparationem ad ipsum, et per comparationem ad caelestia corpora et per comparationem ad angelos, non autem per comparationem ad Deum. Nam per comparationem ad ipsum, non solum in rebus humanis, sed nec in aliqua re potest esse aliquid casuale et improvisum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VOCABULI D'AUTORI ...,"nomi di autori', cioè, ancora una volta di coloro che hanno trovato o sistematizzato le varie scienze (fisica, astronomia, medicina...) rendendole poi disponibili in opere scritte (libri""). In che modo tramite le letture di Boezio e di Cicerone Dante avesse potuto trovare questo tesoro non risulta del tutto chiaro. Nel De amicitia tra i personaggi greci e romani citati non compare un solo filosofo. Per quanto riguarda il De consolatione, gli unici contesti strettamente filosofici in cui si parla di Platone e di Aristotele sono nel quinto libro e riguardano: a) la dottrina della fortuna. b) la distinzione tra eternità di Dio e perpetuità del mondo (tutte le altre citazioni sono puramente esornative) ma non rimandano né a scienze né a libri. Una spiegazione possibile è che Dante abbia letto il De consolatione corredata un Commento (l'ipotesi è sostenuta, per altri motivi, da Antonio D'Andrea, che punta sul Commento dello pseudo-Tommaso; cfr. D' Andrea 1980, pp. 26-31). In ogni caso, come ha giustamente notato P. Boyde, Dante, leggendo Boezio avrà potuto sperimentare il fascino della definizione esatta e dei procedimenti strettamente argomentativi (cfr. Boyde 1984, p. 58).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DONNA,"'signora' . Che la filosofia fosse la donna"" di autori come Platone ed Aristotele poteva risultare chiaro dal contesto del De consolatione (è infatti la Filosofia che parla di loro come di suoi conoscenti e discepoli: ""Plato et Aristoteles mei"").",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +APPENA LO POTEA VOLGERE DA QUELLA,"'a malapena, difficilmente potevo distoglierla da lei'. La personificazione della filosofia come una donna che viene in soccorso di un infelice (quindi gentile"") risale ovviamente a Boezio. Nel Medioevo questa immagine si era fusa con la figura della Sapienza figlia di Dio protagonista di alcuni libri della Bibbia. Vedi nota a Cv II xii 9.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +MOSTRANDO LA MIA CONDIZIONE SOTTO FIGURA D'ALTRE COSE,"comunicando lo stato in cui mi trovavo in maniera indiretta, presentando un'altra situazione (altre cose"", in questo caso l'amore verso una donna reale) come una sua immagine o prefigurazione (""figura""). Il termine ""figura"" nell'esegesi biblica, a partire da San Paolo (cfr. Cor I, 10, 1-11) indica di norma un personaggio realmente vissuto o un episodio realmente accaduto del Vecchio Testamento che solo alla luce di ciò che si dice nel Nuovo trova la sua più profonda verità: il dono della manna nel deserto rimanda, come a suo compimento, al corpo di Cristo offerto come pane (cfr. nota a Cv I i 6-8). Auerbach ha mostrato come Dante applichi questo modello alla esperienza del suo amore reale per Beatrice (cfr. Auerbach 1963, pp. 176-226). Le frasi immediatamente seguenti sembrerebbero però escludere l'applicazione di questo modello al rapporto tra la ""donna gentile"" e la Filosofia. Dante afferma infatti che ha parlato sotto figura perché a) nessuna poesia in volgare (""rima di volgare"") sarebbe stata degna di parlare direttamente (""poetare palesemente"") della filosofia (""la donna di cu' io m'innamorava""); b) i destinatari della canzone (""gli uditori"") non si trovavano nella disposizione giusta (""bene disposti"") per cogliere facilmente (""leggiere"") il senso vero (""non fittizio"") delle sue parole; c) infine perché da parte loro (""per loro"") non si sarebbe creduto al senso vero (""sentenza vera"") con altrettanta facilità che a quello figurato (""come alla fittizia""). Tutti infatti credevano (""però che di vero si credea del tutto"") che Dante fosse innamorato di una donna reale (""disposto a quello amore"") piuttosto che della filosofia (""che non si credea di questo""). Dunque Dante ribadisce qui quanto già detto in Cv I i 18: la canzone avuto fin dall' origine un carattere allegorico. Ma, allo stesso tempo, la giustificazione di questo procedimento rimanda ad una situazione reale: non solo il pubblico di Dante non era preparato a comprendere una scrittura allegorica (cfr. Cv II xi 7), ma era fermamente convinto che una poesia d'amore per una donna corrispondesse, nel caso specifico, ad un amore reale per una donna reale, e questo evidentemente non senza motivo (cfr. Cv II.ii.16). Ancora una volta dietro tutto questo complesso gioco di specchi si mostra e insieme si nasconde l'episodio della donna gentile nella Vita Nova che può benissimo esser stato vissuto retrospettivamente come figura dell'innamoramento per la Filosofia.","I, 10, 1-11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"FIGLIA DI DIO, REGINA DI TUTTO, NOBILISSIMA E BELLISSIMA FILOSOFIA","in queste poche parole del Convivio è condensata una storia complessa di rappresentazioni ed elogi della Filosofia come Sapienza divina. Abbiamo già visto che la personificazione della Filosofia in una domina bellissima e nobilissima risale originariamente al De consolatione Philosophiae. Molti commentatori altomedievali, nell'ambito di complesse allegorie tese a cristianizzare il testo di Boezio, l' avevano accomunata alla Sapientia Dei (cfr. Courcelle 1967, D'Alverny 1946). Ma anche più tardi questa linea interpretativa continuò a funzionare entro la nuova cultura universitaria. Una serie di orazioni in lode della filosofia tenute a Bologna pochi decenni dopo la composizione del Convivio varia all'infinito l' immagine della domina ricorrendo a paralleli con le donne della sacra Scrittura (Abigail, le donne gloriosae et gratiosae"" dei Proverbi, addirittura la ""mulier amicta sole"" dell'Apocalisse). Alcune di queste composizioni la identificano espressamente con la Sapienza biblica, facendone quindi implicitamente una figlia di Dio (cfr. Fioravanti 1992, p. 173). Quanto al suo carattere ""regale"" un testo diffusissimo come il De disciplina scolarium, attribuito allo stesso Boezio, definiva la filosofia 'imperialis domina'. L'attributo sarebbe stato ripreso in ambiente universitario intorno al 1250 (cfr. l'elogio della Filosofia composto dal magister artium Aubry de Reims in Gauthier 1984, p. 37).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"FIGLIA DI DIO, REGINA DI TUTTO, NOBILISSIMA E BELLISSIMA FILOSOFIA","in queste poche parole del Convivio è condensata una storia complessa di rappresentazioni ed elogi della Filosofia come Sapienza divina. Abbiamo già visto che la personificazione della Filosofia in una domina bellissima e nobilissima risale originariamente al De consolatione Philosophiae. Molti commentatori altomedievali, nell'ambito di complesse allegorie tese a cristianizzare il testo di Boezio, l' avevano accomunata alla Sapientia Dei (cfr. Courcelle 1967, D'Alverny 1946). Ma anche più tardi questa linea interpretativa continuò a funzionare entro la nuova cultura universitaria. Una serie di orazioni in lode della filosofia tenute a Bologna pochi decenni dopo la composizione del Convivio varia all'infinito l' immagine della domina ricorrendo a paralleli con le donne della sacra Scrittura (Abigail, le donne gloriosae et gratiosae"" dei Proverbi, addirittura la ""mulier amicta sole"" dell'Apocalisse). Alcune di queste composizioni la identificano espressamente con la Sapienza biblica, facendone quindi implicitamente una figlia di Dio (cfr. Fioravanti 1992, p. 173). Quanto al suo carattere ""regale"" un testo diffusissimo come il De disciplina scolarium, attribuito allo stesso Boezio, definiva la filosofia 'imperialis domina'. L'attributo sarebbe stato ripreso in ambiente universitario intorno al 1250 (cfr. l'elogio della Filosofia composto dal magister artium Aubry de Reims in Gauthier 1984, p. 37).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_disciplina_scolarium,De disciplina scolarium,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SUPPONE QUELLO,"lo presuppone'. Dante utilizza la dottrina aristotelica comunemente accettata dai pensatori medievali secondo cui ogni scienza si distingue dalle altre per il campo specifico di realtà di cui tratta e che le fa, per così dire, da sostrato (subietto"": subiectum). L' esistenza del proprio oggetto è il fondamento ultimo della scienza corrispondente e in quanto tale è un presupposto non deducibile: la fisica non dimostra l'esistenza del movimento, né la matematica quella della quantità. Per il principio generale cfr. An. Post I 9, 76 a 16-17. La stessa dottrina è presentata da Dante all'inizio del De vulgari eloquentia ""Sed quia unamquamque doctrinam oportet non probare, sed suum aperire subiectum, ut sciatur quid sit id super quod illa versatur (""si muove intorno"") ..."" (I.i.2)","I 9, 76 a 16-17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +INDUCERE PERFEZIONE NELLE DISPOSTE COSE,"portare alla loro perfezione le realtà che sono in condizione di accoglierla'. Come già detto in Cv I xiii 3, due sono le perfezioni"" possedute da ogni realtà, e soprattutto da quelle più alte come l'uomo: una ""perfezione prima"" che la distingue specificamente dalle altre, e che non è se non la sua forma sostanziale, e una ""perfezione seconda"" che consiste nell'attuazione piena delle proprie capacità naturali. Come dice Tommaso nel Commento all' Etica Nicomachea "" (I, lectio 1, n.12 ) ""prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis"". L'analogia tra cieli e scienze consiste per Dante nel fatto che i primi sono causa della perfezione prima; essi infatti sono la causa della produzione (sono ""cagione di induzione"") nelle realtà predisposte (""nelle disposte cose"") delle forme che danno origine alle varie sostanze (""della generazione sustanziale""); le scienze, a loro volta, possedute nella maniera piena e costante indicata ancora una volta dal termine ""abito"", producono in noi la perfezione seconda, la conoscenza del vero (""per le quali potemo la veritade speculare""), cioè l'attività più alta e perfetta dell'uomo (""ultima perfezione nostra"". La citazione di Aristotele si riferisce a Eth. Nic. VI 2, 1139 a 27). Per costruire l'analogia Dante presenta come comune a tutti i filosofi la dottrina secondo cui i cieli producendo le forme delle realtà terrestri (anime, nel caso degli esseri viventi) e immettendole nella materia, producono così le varie sostanze, nonostante che poi i vari pensatori si differenzino nell'individuare il modo e il soggetto preciso di questa azione (""avvegna che questo diversamente pongano""). La breve dossografia filosofica al riguardo è un modello di quel lavoro 'à bricolage' che caratterizza alcune parti del discorso dantesco: che Socrate, Platone ed un misterioso Dionisio academico abbiano sostenuto che le forme e soprattutto le anime umane derivano dalle stelle rimanda direttamente alla parafrasi di Alberto Magno al De somno et vigilia che a sua volta aveva già costruito la sua informazione utilizzando frammenti di fonti diverse (""Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse"" III tr. 1, cap. 8, p. 187); quanto alla posizione per cui le forme sono prodotte non dai corpi celesti, ma dai loro motori, essa era stata attribuita a Platone ancora una volta da Alberto Magno nel suo De intellectu et intelligibili ("" Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48). Che la stessa cosa avessero pensato Avicenna ed Algazel (Al-Ghazali, filosofo e teologo islamico del XII secolo) poteva essere ricavato da un altro brano di Alberto, e precisamente dalla parafrasi al De anima, un'opera in cui i due pensatori arabi sono sempre citati insieme (""dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas"" III tr. 2, cap. 8, p. 188). Per quanto riguarda Aristotele, nella sua teoria della generazione lo Stagirita aveva effettivamente sottolineato la particolarità del calore presente nello sperma; esso non coagula o dissecca in maniera meccanica come il fuoco, ma organizza e trasforma in maniera intelligente la materia producendo un altro essere vivente e per questo è assimilabile al calore degli astri, in particolare del sole, che è principio di generazione per animali e piante (cfr. De gen. anim. II 3, 736 b 43sgg.). Dante enfatizza questo legame per ricondurre anche lo Stagirita alla posizione per cui i cieli ""sono cagione della generazione sustanziale"". La dottrina peripatetica dell'origine dell'anima verrà illustrata più dettagliatamente nel capitolo XXI del IV trattato, dove ricomparirà parte di questa dossografia.","I, lectio 1, n.12 ) ""prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INDUCERE PERFEZIONE NELLE DISPOSTE COSE,"portare alla loro perfezione le realtà che sono in condizione di accoglierla'. Come già detto in Cv I xiii 3, due sono le perfezioni"" possedute da ogni realtà, e soprattutto da quelle più alte come l'uomo: una ""perfezione prima"" che la distingue specificamente dalle altre, e che non è se non la sua forma sostanziale, e una ""perfezione seconda"" che consiste nell'attuazione piena delle proprie capacità naturali. Come dice Tommaso nel Commento all' Etica Nicomachea "" (I, lectio 1, n.12 ) ""prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis"". L'analogia tra cieli e scienze consiste per Dante nel fatto che i primi sono causa della perfezione prima; essi infatti sono la causa della produzione (sono ""cagione di induzione"") nelle realtà predisposte (""nelle disposte cose"") delle forme che danno origine alle varie sostanze (""della generazione sustanziale""); le scienze, a loro volta, possedute nella maniera piena e costante indicata ancora una volta dal termine ""abito"", producono in noi la perfezione seconda, la conoscenza del vero (""per le quali potemo la veritade speculare""), cioè l'attività più alta e perfetta dell'uomo (""ultima perfezione nostra"". La citazione di Aristotele si riferisce a Eth. Nic. VI 2, 1139 a 27). Per costruire l'analogia Dante presenta come comune a tutti i filosofi la dottrina secondo cui i cieli producendo le forme delle realtà terrestri (anime, nel caso degli esseri viventi) e immettendole nella materia, producono così le varie sostanze, nonostante che poi i vari pensatori si differenzino nell'individuare il modo e il soggetto preciso di questa azione (""avvegna che questo diversamente pongano""). La breve dossografia filosofica al riguardo è un modello di quel lavoro 'à bricolage' che caratterizza alcune parti del discorso dantesco: che Socrate, Platone ed un misterioso Dionisio academico abbiano sostenuto che le forme e soprattutto le anime umane derivano dalle stelle rimanda direttamente alla parafrasi di Alberto Magno al De somno et vigilia che a sua volta aveva già costruito la sua informazione utilizzando frammenti di fonti diverse (""Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse"" III tr. 1, cap. 8, p. 187); quanto alla posizione per cui le forme sono prodotte non dai corpi celesti, ma dai loro motori, essa era stata attribuita a Platone ancora una volta da Alberto Magno nel suo De intellectu et intelligibili ("" Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48). Che la stessa cosa avessero pensato Avicenna ed Algazel (Al-Ghazali, filosofo e teologo islamico del XII secolo) poteva essere ricavato da un altro brano di Alberto, e precisamente dalla parafrasi al De anima, un'opera in cui i due pensatori arabi sono sempre citati insieme (""dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas"" III tr. 2, cap. 8, p. 188). Per quanto riguarda Aristotele, nella sua teoria della generazione lo Stagirita aveva effettivamente sottolineato la particolarità del calore presente nello sperma; esso non coagula o dissecca in maniera meccanica come il fuoco, ma organizza e trasforma in maniera intelligente la materia producendo un altro essere vivente e per questo è assimilabile al calore degli astri, in particolare del sole, che è principio di generazione per animali e piante (cfr. De gen. anim. II 3, 736 b 43sgg.). Dante enfatizza questo legame per ricondurre anche lo Stagirita alla posizione per cui i cieli ""sono cagione della generazione sustanziale"". La dottrina peripatetica dell'origine dell'anima verrà illustrata più dettagliatamente nel capitolo XXI del IV trattato, dove ricomparirà parte di questa dossografia.","VI 2, 1139 a 27",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +INDUCERE PERFEZIONE NELLE DISPOSTE COSE,"portare alla loro perfezione le realtà che sono in condizione di accoglierla'. Come già detto in Cv I xiii 3, due sono le perfezioni"" possedute da ogni realtà, e soprattutto da quelle più alte come l'uomo: una ""perfezione prima"" che la distingue specificamente dalle altre, e che non è se non la sua forma sostanziale, e una ""perfezione seconda"" che consiste nell'attuazione piena delle proprie capacità naturali. Come dice Tommaso nel Commento all' Etica Nicomachea "" (I, lectio 1, n.12 ) ""prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis"". L'analogia tra cieli e scienze consiste per Dante nel fatto che i primi sono causa della perfezione prima; essi infatti sono la causa della produzione (sono ""cagione di induzione"") nelle realtà predisposte (""nelle disposte cose"") delle forme che danno origine alle varie sostanze (""della generazione sustanziale""); le scienze, a loro volta, possedute nella maniera piena e costante indicata ancora una volta dal termine ""abito"", producono in noi la perfezione seconda, la conoscenza del vero (""per le quali potemo la veritade speculare""), cioè l'attività più alta e perfetta dell'uomo (""ultima perfezione nostra"". La citazione di Aristotele si riferisce a Eth. Nic. VI 2, 1139 a 27). Per costruire l'analogia Dante presenta come comune a tutti i filosofi la dottrina secondo cui i cieli producendo le forme delle realtà terrestri (anime, nel caso degli esseri viventi) e immettendole nella materia, producono così le varie sostanze, nonostante che poi i vari pensatori si differenzino nell'individuare il modo e il soggetto preciso di questa azione (""avvegna che questo diversamente pongano""). La breve dossografia filosofica al riguardo è un modello di quel lavoro 'à bricolage' che caratterizza alcune parti del discorso dantesco: che Socrate, Platone ed un misterioso Dionisio academico abbiano sostenuto che le forme e soprattutto le anime umane derivano dalle stelle rimanda direttamente alla parafrasi di Alberto Magno al De somno et vigilia che a sua volta aveva già costruito la sua informazione utilizzando frammenti di fonti diverse (""Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse"" III tr. 1, cap. 8, p. 187); quanto alla posizione per cui le forme sono prodotte non dai corpi celesti, ma dai loro motori, essa era stata attribuita a Platone ancora una volta da Alberto Magno nel suo De intellectu et intelligibili ("" Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48). Che la stessa cosa avessero pensato Avicenna ed Algazel (Al-Ghazali, filosofo e teologo islamico del XII secolo) poteva essere ricavato da un altro brano di Alberto, e precisamente dalla parafrasi al De anima, un'opera in cui i due pensatori arabi sono sempre citati insieme (""dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas"" III tr. 2, cap. 8, p. 188). Per quanto riguarda Aristotele, nella sua teoria della generazione lo Stagirita aveva effettivamente sottolineato la particolarità del calore presente nello sperma; esso non coagula o dissecca in maniera meccanica come il fuoco, ma organizza e trasforma in maniera intelligente la materia producendo un altro essere vivente e per questo è assimilabile al calore degli astri, in particolare del sole, che è principio di generazione per animali e piante (cfr. De gen. anim. II 3, 736 b 43sgg.). Dante enfatizza questo legame per ricondurre anche lo Stagirita alla posizione per cui i cieli ""sono cagione della generazione sustanziale"". La dottrina peripatetica dell'origine dell'anima verrà illustrata più dettagliatamente nel capitolo XXI del IV trattato, dove ricomparirà parte di questa dossografia.","Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse III tr. 1, cap. 8, p. 187",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_somno_et_vigilia(Alberto_Magno),De somno et vigilia,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INDUCERE PERFEZIONE NELLE DISPOSTE COSE,"portare alla loro perfezione le realtà che sono in condizione di accoglierla'. Come già detto in Cv I xiii 3, due sono le perfezioni"" possedute da ogni realtà, e soprattutto da quelle più alte come l'uomo: una ""perfezione prima"" che la distingue specificamente dalle altre, e che non è se non la sua forma sostanziale, e una ""perfezione seconda"" che consiste nell'attuazione piena delle proprie capacità naturali. Come dice Tommaso nel Commento all' Etica Nicomachea "" (I, lectio 1, n.12 ) ""prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis"". L'analogia tra cieli e scienze consiste per Dante nel fatto che i primi sono causa della perfezione prima; essi infatti sono la causa della produzione (sono ""cagione di induzione"") nelle realtà predisposte (""nelle disposte cose"") delle forme che danno origine alle varie sostanze (""della generazione sustanziale""); le scienze, a loro volta, possedute nella maniera piena e costante indicata ancora una volta dal termine ""abito"", producono in noi la perfezione seconda, la conoscenza del vero (""per le quali potemo la veritade speculare""), cioè l'attività più alta e perfetta dell'uomo (""ultima perfezione nostra"". La citazione di Aristotele si riferisce a Eth. Nic. VI 2, 1139 a 27). Per costruire l'analogia Dante presenta come comune a tutti i filosofi la dottrina secondo cui i cieli producendo le forme delle realtà terrestri (anime, nel caso degli esseri viventi) e immettendole nella materia, producono così le varie sostanze, nonostante che poi i vari pensatori si differenzino nell'individuare il modo e il soggetto preciso di questa azione (""avvegna che questo diversamente pongano""). La breve dossografia filosofica al riguardo è un modello di quel lavoro 'à bricolage' che caratterizza alcune parti del discorso dantesco: che Socrate, Platone ed un misterioso Dionisio academico abbiano sostenuto che le forme e soprattutto le anime umane derivano dalle stelle rimanda direttamente alla parafrasi di Alberto Magno al De somno et vigilia che a sua volta aveva già costruito la sua informazione utilizzando frammenti di fonti diverse (""Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse"" III tr. 1, cap. 8, p. 187); quanto alla posizione per cui le forme sono prodotte non dai corpi celesti, ma dai loro motori, essa era stata attribuita a Platone ancora una volta da Alberto Magno nel suo De intellectu et intelligibili ("" Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48). Che la stessa cosa avessero pensato Avicenna ed Algazel (Al-Ghazali, filosofo e teologo islamico del XII secolo) poteva essere ricavato da un altro brano di Alberto, e precisamente dalla parafrasi al De anima, un'opera in cui i due pensatori arabi sono sempre citati insieme (""dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas"" III tr. 2, cap. 8, p. 188). Per quanto riguarda Aristotele, nella sua teoria della generazione lo Stagirita aveva effettivamente sottolineato la particolarità del calore presente nello sperma; esso non coagula o dissecca in maniera meccanica come il fuoco, ma organizza e trasforma in maniera intelligente la materia producendo un altro essere vivente e per questo è assimilabile al calore degli astri, in particolare del sole, che è principio di generazione per animali e piante (cfr. De gen. anim. II 3, 736 b 43sgg.). Dante enfatizza questo legame per ricondurre anche lo Stagirita alla posizione per cui i cieli ""sono cagione della generazione sustanziale"". La dottrina peripatetica dell'origine dell'anima verrà illustrata più dettagliatamente nel capitolo XXI del IV trattato, dove ricomparirà parte di questa dossografia.","Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_intellectu_et_intelligibili(Alberto_Magno),De intellectu et intelligibili,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INDUCERE PERFEZIONE NELLE DISPOSTE COSE,"portare alla loro perfezione le realtà che sono in condizione di accoglierla'. Come già detto in Cv I xiii 3, due sono le perfezioni"" possedute da ogni realtà, e soprattutto da quelle più alte come l'uomo: una ""perfezione prima"" che la distingue specificamente dalle altre, e che non è se non la sua forma sostanziale, e una ""perfezione seconda"" che consiste nell'attuazione piena delle proprie capacità naturali. Come dice Tommaso nel Commento all' Etica Nicomachea "" (I, lectio 1, n.12 ) ""prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis"". L'analogia tra cieli e scienze consiste per Dante nel fatto che i primi sono causa della perfezione prima; essi infatti sono la causa della produzione (sono ""cagione di induzione"") nelle realtà predisposte (""nelle disposte cose"") delle forme che danno origine alle varie sostanze (""della generazione sustanziale""); le scienze, a loro volta, possedute nella maniera piena e costante indicata ancora una volta dal termine ""abito"", producono in noi la perfezione seconda, la conoscenza del vero (""per le quali potemo la veritade speculare""), cioè l'attività più alta e perfetta dell'uomo (""ultima perfezione nostra"". La citazione di Aristotele si riferisce a Eth. Nic. VI 2, 1139 a 27). Per costruire l'analogia Dante presenta come comune a tutti i filosofi la dottrina secondo cui i cieli producendo le forme delle realtà terrestri (anime, nel caso degli esseri viventi) e immettendole nella materia, producono così le varie sostanze, nonostante che poi i vari pensatori si differenzino nell'individuare il modo e il soggetto preciso di questa azione (""avvegna che questo diversamente pongano""). La breve dossografia filosofica al riguardo è un modello di quel lavoro 'à bricolage' che caratterizza alcune parti del discorso dantesco: che Socrate, Platone ed un misterioso Dionisio academico abbiano sostenuto che le forme e soprattutto le anime umane derivano dalle stelle rimanda direttamente alla parafrasi di Alberto Magno al De somno et vigilia che a sua volta aveva già costruito la sua informazione utilizzando frammenti di fonti diverse (""Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse"" III tr. 1, cap. 8, p. 187); quanto alla posizione per cui le forme sono prodotte non dai corpi celesti, ma dai loro motori, essa era stata attribuita a Platone ancora una volta da Alberto Magno nel suo De intellectu et intelligibili ("" Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48). Che la stessa cosa avessero pensato Avicenna ed Algazel (Al-Ghazali, filosofo e teologo islamico del XII secolo) poteva essere ricavato da un altro brano di Alberto, e precisamente dalla parafrasi al De anima, un'opera in cui i due pensatori arabi sono sempre citati insieme (""dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas"" III tr. 2, cap. 8, p. 188). Per quanto riguarda Aristotele, nella sua teoria della generazione lo Stagirita aveva effettivamente sottolineato la particolarità del calore presente nello sperma; esso non coagula o dissecca in maniera meccanica come il fuoco, ma organizza e trasforma in maniera intelligente la materia producendo un altro essere vivente e per questo è assimilabile al calore degli astri, in particolare del sole, che è principio di generazione per animali e piante (cfr. De gen. anim. II 3, 736 b 43sgg.). Dante enfatizza questo legame per ricondurre anche lo Stagirita alla posizione per cui i cieli ""sono cagione della generazione sustanziale"". La dottrina peripatetica dell'origine dell'anima verrà illustrata più dettagliatamente nel capitolo XXI del IV trattato, dove ricomparirà parte di questa dossografia.","Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_intellectu_et_intelligibili(Alberto_Magno),De intellectu et intelligibili,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INDUCERE PERFEZIONE NELLE DISPOSTE COSE,"portare alla loro perfezione le realtà che sono in condizione di accoglierla'. Come già detto in Cv I xiii 3, due sono le perfezioni"" possedute da ogni realtà, e soprattutto da quelle più alte come l'uomo: una ""perfezione prima"" che la distingue specificamente dalle altre, e che non è se non la sua forma sostanziale, e una ""perfezione seconda"" che consiste nell'attuazione piena delle proprie capacità naturali. Come dice Tommaso nel Commento all' Etica Nicomachea "" (I, lectio 1, n.12 ) ""prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis"". L'analogia tra cieli e scienze consiste per Dante nel fatto che i primi sono causa della perfezione prima; essi infatti sono la causa della produzione (sono ""cagione di induzione"") nelle realtà predisposte (""nelle disposte cose"") delle forme che danno origine alle varie sostanze (""della generazione sustanziale""); le scienze, a loro volta, possedute nella maniera piena e costante indicata ancora una volta dal termine ""abito"", producono in noi la perfezione seconda, la conoscenza del vero (""per le quali potemo la veritade speculare""), cioè l'attività più alta e perfetta dell'uomo (""ultima perfezione nostra"". La citazione di Aristotele si riferisce a Eth. Nic. VI 2, 1139 a 27). Per costruire l'analogia Dante presenta come comune a tutti i filosofi la dottrina secondo cui i cieli producendo le forme delle realtà terrestri (anime, nel caso degli esseri viventi) e immettendole nella materia, producono così le varie sostanze, nonostante che poi i vari pensatori si differenzino nell'individuare il modo e il soggetto preciso di questa azione (""avvegna che questo diversamente pongano""). La breve dossografia filosofica al riguardo è un modello di quel lavoro 'à bricolage' che caratterizza alcune parti del discorso dantesco: che Socrate, Platone ed un misterioso Dionisio academico abbiano sostenuto che le forme e soprattutto le anime umane derivano dalle stelle rimanda direttamente alla parafrasi di Alberto Magno al De somno et vigilia che a sua volta aveva già costruito la sua informazione utilizzando frammenti di fonti diverse (""Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse"" III tr. 1, cap. 8, p. 187); quanto alla posizione per cui le forme sono prodotte non dai corpi celesti, ma dai loro motori, essa era stata attribuita a Platone ancora una volta da Alberto Magno nel suo De intellectu et intelligibili ("" Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum"" I tr. 1, cap. 4, p. 48). Che la stessa cosa avessero pensato Avicenna ed Algazel (Al-Ghazali, filosofo e teologo islamico del XII secolo) poteva essere ricavato da un altro brano di Alberto, e precisamente dalla parafrasi al De anima, un'opera in cui i due pensatori arabi sono sempre citati insieme (""dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas"" III tr. 2, cap. 8, p. 188). Per quanto riguarda Aristotele, nella sua teoria della generazione lo Stagirita aveva effettivamente sottolineato la particolarità del calore presente nello sperma; esso non coagula o dissecca in maniera meccanica come il fuoco, ma organizza e trasforma in maniera intelligente la materia producendo un altro essere vivente e per questo è assimilabile al calore degli astri, in particolare del sole, che è principio di generazione per animali e piante (cfr. De gen. anim. II 3, 736 b 43sgg.). Dante enfatizza questo legame per ricondurre anche lo Stagirita alla posizione per cui i cieli ""sono cagione della generazione sustanziale"". La dottrina peripatetica dell'origine dell'anima verrà illustrata più dettagliatamente nel capitolo XXI del IV trattato, dove ricomparirà parte di questa dossografia.","dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas III tr. 2, cap. 8, p. 188",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_Rettorica,La Rettorica,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)","Johnston 1930, pp. 34-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anticlaudianus,Anticlaudianus,Alano di Lilla,http://dbpedia.org/resource/Alain_de_Lille,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)","II 173, pp. 282-4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_naturis_rerum,De naturis rerum,Alexander Neckam,http://dbpedia.org/resource/Alexander_Neckam,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)","Wieruszowski, pp. 506-508",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rhetorica_Novissima,Rhetorica Novissima,Boncompagno da Signa,http://dbpedia.org/resource/Boncompagno_da_Signa,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)","Wieruszowski, pp. 506-508",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_introductorius,Liber introductorius,Michele Scoto,http://dbpedia.org/resource/Michael_Scot,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)","II viii 6, p. 202",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_composizione_del_mondo,La composizione del mondo colle sue cascioni,Restoro d'Arezzo,http://it.dbpedia.org/resource/Restoro_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Divisio_philosophiae,Divisio philosophiae,Remigio dei Girolami,http://dbpedia.org/resource/Remigio_dei_Girolami,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ORDINE,"rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione"") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (""primi a noi""), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (""quieto""). La corrispondente seriazione delle scienze (""ai sette primi rispondono le sette scienze ..."") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti ""sermocinali"", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti ""reali"", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) ""E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua"". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato ""la ragione perché ciò sia"", analizzando (e sia pure ""brievemente"") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la ""scienza naturale che Fisica si chiama"" e la Metafisica (per la Metafisica come ""prima scienza"" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)","q. 5, a. 1, ad tertium",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Boethium_De_Trinitate(Tommaso),Super Boethium De Trinitate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'OMBRA CHE È IN ESSA,"si tratta delle macchie lunari che qui Dante spiega col fatto che il corpo della luna è in alcune parti più raro che in altre (la quale non è altro che raritade del suo corpo""). In queste parti i raggi solari che illuminano il pianeta non trovarno un limite (""non possono terminare"") che funzioni come uno specchio da cui riflettersi (""ripercuotersi"") come invece avviene nel resto della luna; esse dunque appaiono non luminose, ma oscure. Nardi ha sottolineato che questo tipo di spiegazione era già stato offerto da Averroè nel suo trattato De substantia orbis (cfr. Nardi 1967, pp.1-39): esso era stato ripreso ed ampliato nel Roman de la Rose (cfr. Ottaviani 2004, pp 114-115). Nel Paradiso, nel cielo appunto della luna, Beatrice mostrerà a Dante come la teoria qui esposta sia del tutto inadatta a render ragione del fenomeno delle macchie lunari e porrà la causa del diverso grado di splendore dei corpi celesti non più in un principio materiale (""raro e denso""), ma in uno formale (la diversa natura delle intelligenze separate che informano i diversi cieli. Cfr. Pd II 58 sgg.).","Nardi 1967, pp.1-39",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_substantia_orbis,De substantia orbis,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'OMBRA CHE È IN ESSA,"si tratta delle macchie lunari che qui Dante spiega col fatto che il corpo della luna è in alcune parti più raro che in altre (la quale non è altro che raritade del suo corpo""). In queste parti i raggi solari che illuminano il pianeta non trovarno un limite (""non possono terminare"") che funzioni come uno specchio da cui riflettersi (""ripercuotersi"") come invece avviene nel resto della luna; esse dunque appaiono non luminose, ma oscure. Nardi ha sottolineato che questo tipo di spiegazione era già stato offerto da Averroè nel suo trattato De substantia orbis (cfr. Nardi 1967, pp.1-39): esso era stato ripreso ed ampliato nel Roman de la Rose (cfr. Ottaviani 2004, pp 114-115). Nel Paradiso, nel cielo appunto della luna, Beatrice mostrerà a Dante come la teoria qui esposta sia del tutto inadatta a render ragione del fenomeno delle macchie lunari e porrà la causa del diverso grado di splendore dei corpi celesti non più in un principio materiale (""raro e denso""), ma in uno formale (la diversa natura delle intelligenze separate che informano i diversi cieli. Cfr. Pd II 58 sgg.).","Ottaviani 2004, pp 114-115",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Roman_de_la_Rose,Roman de la Rose,Jean de Meung,http://dbpedia.org/resource/Jean_de_Meun,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +SÌ COME DICE ORAZIO ...,"cfr. Ars Poetica, 70-71 Multa renascentur quae iam cecidere ... vocabula"". Che la Grammatica sia caratterizzata come la luna dalla variabilità contrasta chiaramente con quanto affermato in Cv I v 7-8 dove la mutevolezza dei vocaboli è propria delle lingue volgari, non del latino-grammatica, che è ""perpetuo ed incorruttibile"". Colpisce poi il fatto che qui la variabilità sia estesa dal campo del lessico a quello delle strutture sintattiche (""construzioni""). Tutti i teorici della grammatica, nel XIII secolo, sia a Parigi (Boezio di Dacia, Martino di Dacia) che a Bologna (Gentile da Cingoli), erano infatti d'accordo nel ritenerle, al di sotto delle differenze lessicali, comuni a tutte le lingue, modi di significare fondati sulla trama stessa dell'essere (per un tentativo di interpretazione di questo contrasto cfr. Grayson 1965).","70-71 Multa renascentur quae iam cecidere ... vocabula""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ars_Poetica,Ars poetica,Orazio,http://dbpedia.org/resource/Horace,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +CHÉ PERFETTAMENTE ... SI TRUOVA,"la dialettica è pienamente (perfettamente"") espressa (""compilata"") e conclusa (""terminata"") in quei determinati testi (""in quello tanto testo"") che formano l' Organon aristotelico. Con il termine Ars Vetus (""Arte Vecchia"") si indicavano i primi trattati dell' Organon (Categorie e De interpretatione, preceduti dalla Introduzione di Porfirio) che erano sempre rimasti a disposizione del mondo latino. L' Ars Nova (""Arte Nuova"") comprendeva invece le opere tradotte alla fine del XII secolo: Analitici Primi e Secondi, Topici, Confutazioni sofistiche.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VA PIÙ VELATA ... CHE ALTRA,"la Dialettica, in misura molto maggiore che ogni altra scienza, utilizza argomenti non dimostrativi in assoluto, ma solo probabili, ed in alcuni casi anche studiatamente fallaci. (sofistici"") e quindi non mostra sempre lo splendore della verità. La caratterizzazione dantesca non è in sintonia con la concezione, sostenuta da Agostino e ripresa da un ""dialettico"" come Abelardo, che fa della Dialettica la scienza della verità e la madre di tutte le scienze (sono piuttosto la critica e la satira della Dialettica che sottolineano il suo carattere ingannatore o comunque inutilmente complicato). E' vero che, con la conoscenza completa dell' Organon aristotelico, si tenderà a distinguere tra logica e dialettica, facendo della seconda una parte della prima e più precisamente quella che argomenta partendo da proposizioni solo probabili e le cui regole sono trattate nei Topici. Ma in questo schema essa non potrebbe ovviamente coincidere, come afferma Dante, con l'insieme degli scritti logici di Aristotele (che, sia detto tra parentesi, non risulta affatto quantitativamente il minore tra tutti i testi fondativi delle scienze). Inoltre non mi risulta che qualcuno abbia posto nella caratterizzazione della Dialettica l'uso delle argomentazioni sofistiche: compito di questa scienza, nelle Confutazioni sofistiche, è semmai quello non di ""velare"" ma di svelare le fallacie. Può darsi che Dante si riferisca alle concrete ""disputazioni de' filosofanti"" in cui argomenti probabili ed argomenti sofistici potevano ed erano effettivamente utilizzati a favore e contro una posizione data.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME NELLA SCIENZA NATURALE,"come esempio della doppia pervasività dell'aritmetica rispetto alle altre scienze Dante porta quello della Fisica (scienza naturale""): suo campo di indagine (""subietto"") sono i corpi soggetti a movimento (""corpo mobile""); essi di per sé hanno la proprietà di essere continui (""ha in sé ragione di continuitade"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15) ed ogni realtà continua ha la proprietà di essere divisibile all'infinito e dunque contiene in potenza un numero infinito di parti (""e questa ha in sé ragione di numero infinito"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15). Inoltre nella trattazione, per lei fondamentale (""principalissima""), dei principi primi costitutivi di ogni realtà naturale, la Fisica giunge alla conclusione che essi sono tre: materia, forma ed assenza (""privazione"") di forma. Che oggetto della scienza naturale sia il corpo soggetto a movimento è affermazione presente in tutte le classificazioni delle scienze del XIII secolo (vedi per tutti Alberto Magno Physica I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.). Che essa debba ricercare i principi delle realtà naturali è dottrina aristotelica esposta specialmente nel primo libro della Fisica che si conclude con la dimostrazione che essi sono appunto tre (cfr. Phys. I 7, 190 b 29 - 191 a 2). Nel testo aristotelico questo numero non è casuale, ma rigorosamente dedotto (i principi non possono essere né più né meno di tre). Dante avrebbe potuto trovare altri esempi di numeri in un certo senso costitutivi delle realta che numerano: nel capitolo primo del primo libro del De caelo (a proposito delle tre dimensioni), nei capitoli 2 e 3 del secondo libro del De generatione (a proposito dei quattro elementi) e nel primo capitolo del terzo libro del De anima (a proposito dei cinque sensi).","IV 11, 219 a 10-15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME NELLA SCIENZA NATURALE,"come esempio della doppia pervasività dell'aritmetica rispetto alle altre scienze Dante porta quello della Fisica (scienza naturale""): suo campo di indagine (""subietto"") sono i corpi soggetti a movimento (""corpo mobile""); essi di per sé hanno la proprietà di essere continui (""ha in sé ragione di continuitade"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15) ed ogni realtà continua ha la proprietà di essere divisibile all'infinito e dunque contiene in potenza un numero infinito di parti (""e questa ha in sé ragione di numero infinito"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15). Inoltre nella trattazione, per lei fondamentale (""principalissima""), dei principi primi costitutivi di ogni realtà naturale, la Fisica giunge alla conclusione che essi sono tre: materia, forma ed assenza (""privazione"") di forma. Che oggetto della scienza naturale sia il corpo soggetto a movimento è affermazione presente in tutte le classificazioni delle scienze del XIII secolo (vedi per tutti Alberto Magno Physica I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.). Che essa debba ricercare i principi delle realtà naturali è dottrina aristotelica esposta specialmente nel primo libro della Fisica che si conclude con la dimostrazione che essi sono appunto tre (cfr. Phys. I 7, 190 b 29 - 191 a 2). Nel testo aristotelico questo numero non è casuale, ma rigorosamente dedotto (i principi non possono essere né più né meno di tre). Dante avrebbe potuto trovare altri esempi di numeri in un certo senso costitutivi delle realta che numerano: nel capitolo primo del primo libro del De caelo (a proposito delle tre dimensioni), nei capitoli 2 e 3 del secondo libro del De generatione (a proposito dei quattro elementi) e nel primo capitolo del terzo libro del De anima (a proposito dei cinque sensi).","I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Physicorum(Alberto_Magno),Physicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME NELLA SCIENZA NATURALE,"come esempio della doppia pervasività dell'aritmetica rispetto alle altre scienze Dante porta quello della Fisica (scienza naturale""): suo campo di indagine (""subietto"") sono i corpi soggetti a movimento (""corpo mobile""); essi di per sé hanno la proprietà di essere continui (""ha in sé ragione di continuitade"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15) ed ogni realtà continua ha la proprietà di essere divisibile all'infinito e dunque contiene in potenza un numero infinito di parti (""e questa ha in sé ragione di numero infinito"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15). Inoltre nella trattazione, per lei fondamentale (""principalissima""), dei principi primi costitutivi di ogni realtà naturale, la Fisica giunge alla conclusione che essi sono tre: materia, forma ed assenza (""privazione"") di forma. Che oggetto della scienza naturale sia il corpo soggetto a movimento è affermazione presente in tutte le classificazioni delle scienze del XIII secolo (vedi per tutti Alberto Magno Physica I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.). Che essa debba ricercare i principi delle realtà naturali è dottrina aristotelica esposta specialmente nel primo libro della Fisica che si conclude con la dimostrazione che essi sono appunto tre (cfr. Phys. I 7, 190 b 29 - 191 a 2). Nel testo aristotelico questo numero non è casuale, ma rigorosamente dedotto (i principi non possono essere né più né meno di tre). Dante avrebbe potuto trovare altri esempi di numeri in un certo senso costitutivi delle realta che numerano: nel capitolo primo del primo libro del De caelo (a proposito delle tre dimensioni), nei capitoli 2 e 3 del secondo libro del De generatione (a proposito dei quattro elementi) e nel primo capitolo del terzo libro del De anima (a proposito dei cinque sensi).","I 7, 190 b 29 - 191 a 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME NELLA SCIENZA NATURALE,"come esempio della doppia pervasività dell'aritmetica rispetto alle altre scienze Dante porta quello della Fisica (scienza naturale""): suo campo di indagine (""subietto"") sono i corpi soggetti a movimento (""corpo mobile""); essi di per sé hanno la proprietà di essere continui (""ha in sé ragione di continuitade"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15) ed ogni realtà continua ha la proprietà di essere divisibile all'infinito e dunque contiene in potenza un numero infinito di parti (""e questa ha in sé ragione di numero infinito"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15). Inoltre nella trattazione, per lei fondamentale (""principalissima""), dei principi primi costitutivi di ogni realtà naturale, la Fisica giunge alla conclusione che essi sono tre: materia, forma ed assenza (""privazione"") di forma. Che oggetto della scienza naturale sia il corpo soggetto a movimento è affermazione presente in tutte le classificazioni delle scienze del XIII secolo (vedi per tutti Alberto Magno Physica I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.). Che essa debba ricercare i principi delle realtà naturali è dottrina aristotelica esposta specialmente nel primo libro della Fisica che si conclude con la dimostrazione che essi sono appunto tre (cfr. Phys. I 7, 190 b 29 - 191 a 2). Nel testo aristotelico questo numero non è casuale, ma rigorosamente dedotto (i principi non possono essere né più né meno di tre). Dante avrebbe potuto trovare altri esempi di numeri in un certo senso costitutivi delle realta che numerano: nel capitolo primo del primo libro del De caelo (a proposito delle tre dimensioni), nei capitoli 2 e 3 del secondo libro del De generatione (a proposito dei quattro elementi) e nel primo capitolo del terzo libro del De anima (a proposito dei cinque sensi).","capitolo I, libro I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME NELLA SCIENZA NATURALE,"come esempio della doppia pervasività dell'aritmetica rispetto alle altre scienze Dante porta quello della Fisica (scienza naturale""): suo campo di indagine (""subietto"") sono i corpi soggetti a movimento (""corpo mobile""); essi di per sé hanno la proprietà di essere continui (""ha in sé ragione di continuitade"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15) ed ogni realtà continua ha la proprietà di essere divisibile all'infinito e dunque contiene in potenza un numero infinito di parti (""e questa ha in sé ragione di numero infinito"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15). Inoltre nella trattazione, per lei fondamentale (""principalissima""), dei principi primi costitutivi di ogni realtà naturale, la Fisica giunge alla conclusione che essi sono tre: materia, forma ed assenza (""privazione"") di forma. Che oggetto della scienza naturale sia il corpo soggetto a movimento è affermazione presente in tutte le classificazioni delle scienze del XIII secolo (vedi per tutti Alberto Magno Physica I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.). Che essa debba ricercare i principi delle realtà naturali è dottrina aristotelica esposta specialmente nel primo libro della Fisica che si conclude con la dimostrazione che essi sono appunto tre (cfr. Phys. I 7, 190 b 29 - 191 a 2). Nel testo aristotelico questo numero non è casuale, ma rigorosamente dedotto (i principi non possono essere né più né meno di tre). Dante avrebbe potuto trovare altri esempi di numeri in un certo senso costitutivi delle realta che numerano: nel capitolo primo del primo libro del De caelo (a proposito delle tre dimensioni), nei capitoli 2 e 3 del secondo libro del De generatione (a proposito dei quattro elementi) e nel primo capitolo del terzo libro del De anima (a proposito dei cinque sensi).",capitoli 2 e 3 del secondo libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME NELLA SCIENZA NATURALE,"come esempio della doppia pervasività dell'aritmetica rispetto alle altre scienze Dante porta quello della Fisica (scienza naturale""): suo campo di indagine (""subietto"") sono i corpi soggetti a movimento (""corpo mobile""); essi di per sé hanno la proprietà di essere continui (""ha in sé ragione di continuitade"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15) ed ogni realtà continua ha la proprietà di essere divisibile all'infinito e dunque contiene in potenza un numero infinito di parti (""e questa ha in sé ragione di numero infinito"". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15). Inoltre nella trattazione, per lei fondamentale (""principalissima""), dei principi primi costitutivi di ogni realtà naturale, la Fisica giunge alla conclusione che essi sono tre: materia, forma ed assenza (""privazione"") di forma. Che oggetto della scienza naturale sia il corpo soggetto a movimento è affermazione presente in tutte le classificazioni delle scienze del XIII secolo (vedi per tutti Alberto Magno Physica I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.). Che essa debba ricercare i principi delle realtà naturali è dottrina aristotelica esposta specialmente nel primo libro della Fisica che si conclude con la dimostrazione che essi sono appunto tre (cfr. Phys. I 7, 190 b 29 - 191 a 2). Nel testo aristotelico questo numero non è casuale, ma rigorosamente dedotto (i principi non possono essere né più né meno di tre). Dante avrebbe potuto trovare altri esempi di numeri in un certo senso costitutivi delle realta che numerano: nel capitolo primo del primo libro del De caelo (a proposito delle tre dimensioni), nei capitoli 2 e 3 del secondo libro del De generatione (a proposito dei quattro elementi) e nel primo capitolo del terzo libro del De anima (a proposito dei cinque sensi).",primo capitolo del terzo libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NON POTEMO NOI INTENDERE,"che il numero sia infinito nel senso che ad ogni numero determinato preso grande a piacere è sempre possibile aggiungere una unità e che, per questa sua indeterminazione, sfugga alla comprensione umana era dottrina ricavata da Aristotele (cfr. Phys. I 4, 187 b 7) e comunemente accettata dai suoi commentatori medievali, almeno nel XIII secolo (proprio sui paradossi derivanti dal concetto di infinito si era basata la confutazione dell'eternità del mondo da parte di Bonaventura). Le caratteristiche che Dante fornisce dell'aritmetica non sono prive di problemi. L'affermazione che essa dà lume"" a tutte le altre scienze potrebbe sembrare moderna, ma non prefigura affatto né Galileo né Cartesio. E' solo un omaggio al versetto 21 di Sap 11, in cui si dice che Dio ""omnia disposuit numero, pondere et mensura"", testo giustificativo di tutti coloro che nei singoli numeri volevano trovare proprietà insite nella struttura del cosmo. I pochi tentativi medievali di matematizzare realmente l'universo (Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone) avevano preso a modello l'espansione della luce e si erano rivolti piuttosto alla geometria ed all'ottica. In ogni modo presentare per ben due volte l'infinito incomprensibile come 'propietade' dell'aritmetica non depone a favore della sua capacità di ""illuminare"".","Phys. I 4, 187 b 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NON POTEMO NOI INTENDERE,"che il numero sia infinito nel senso che ad ogni numero determinato preso grande a piacere è sempre possibile aggiungere una unità e che, per questa sua indeterminazione, sfugga alla comprensione umana era dottrina ricavata da Aristotele (cfr. Phys. I 4, 187 b 7) e comunemente accettata dai suoi commentatori medievali, almeno nel XIII secolo (proprio sui paradossi derivanti dal concetto di infinito si era basata la confutazione dell'eternità del mondo da parte di Bonaventura). Le caratteristiche che Dante fornisce dell'aritmetica non sono prive di problemi. L'affermazione che essa dà lume"" a tutte le altre scienze potrebbe sembrare moderna, ma non prefigura affatto né Galileo né Cartesio. E' solo un omaggio al versetto 21 di Sap 11, in cui si dice che Dio ""omnia disposuit numero, pondere et mensura"", testo giustificativo di tutti coloro che nei singoli numeri volevano trovare proprietà insite nella struttura del cosmo. I pochi tentativi medievali di matematizzare realmente l'universo (Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone) avevano preso a modello l'espansione della luce e si erano rivolti piuttosto alla geometria ed all'ottica. In ogni modo presentare per ben due volte l'infinito incomprensibile come 'propietade' dell'aritmetica non depone a favore della sua capacità di ""illuminare"".","versetto 21 di Sap 11 ""omnia disposuit numero, pondere et mensura""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +L'ALTRA SI È ...,"Dante presenta come seconda proprietà di Marte quella di disseccare e bruciare, secondo quanto detto nel Quadripartito, l'opera astrologica dell'astronomo Tolomeo (Mars proprie desiccat et per vim sue nature comburit"" tr. I, cap. 4, f. 9va ) e di questo è segno il suo colore infuocato (""pare affocato di calore""). Ma, nel parallelismo con la musica, quello che conta è la capacità di attirare a sé i vapori atmosferici, quei vapori che, seguendo l'astro, lo fanno apparire più o meno rosso a seconda della loro maggiore o minore densità (""spessezza e raritade"". Alla capacità attrattiva di Marte riguardo ai vapori si fa riferimento nella profezia di Vanni Fucci in If XXIV, 145 ""Tragge Marte vapori in Val di Magra"". Che la presenza dei vapori nell'aria provochi mutamenti nella percezione del colore dell'oggetto verrà detto in maniera più articolata in Cv III ix 12). Nel primo libro dei Meteorologici (""Metaura"" è la forma volgare del titolo Metheora, ma a volte anche Methaura, dato dalle traduzioni latine all'opera aristotelica. Si tratta non di un femminile singolare, ma di un neutro plurale) Aristotele indaga sulle comete e su altri fenomeni luminosi che appaiono nella parte superiore dell'atmosfera. Nella sua parafrasi Alberto Magno ne individua la natura e l'origine in vapori terrestri secchi che salgono fino al concavo della sfera del fuoco, lì si infiammano per autocombustione (""per lor medesimi"") e secondo Al-Farghani si muovono seguendo il moto delle stelle. Ma il commentatore latino sembra preferire la precisazione di un altro astronomo-astrologo arabo, Albumasar, secondo cui tutti quei vapori, in quanto infuocati, sono della stessa natura di Marte e sono da lui causati ed attratti quando la stella è più forte nel produrre i suoi effetti, quando in linguaggio astrologico è ""dominante"" (""sono effetti della segnoria di Marte""). Il testo del Convivio dipende dunque in toto da Alberto (Meteora I tr. 3, cap. 5 ; tr. 4, cap. 9, pp. 28-29; 39-40). Questo vale anche per l'accenno alla morte dei re annunciata, secondo Albumasar, da questi fenomeni atmosferici (""Vult tamen Albumasar quod etiam ista aliquando mortem regis et principum significant"").","Mars proprie desiccat et per vim sue nature comburit"" tr. I, cap. 4, f. 9va""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quadripartito,Quadripartito,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +L'ALTRA SI È ...,"Dante presenta come seconda proprietà di Marte quella di disseccare e bruciare, secondo quanto detto nel Quadripartito, l'opera astrologica dell'astronomo Tolomeo (Mars proprie desiccat et per vim sue nature comburit"" tr. I, cap. 4, f. 9va ) e di questo è segno il suo colore infuocato (""pare affocato di calore""). Ma, nel parallelismo con la musica, quello che conta è la capacità di attirare a sé i vapori atmosferici, quei vapori che, seguendo l'astro, lo fanno apparire più o meno rosso a seconda della loro maggiore o minore densità (""spessezza e raritade"". Alla capacità attrattiva di Marte riguardo ai vapori si fa riferimento nella profezia di Vanni Fucci in If XXIV, 145 ""Tragge Marte vapori in Val di Magra"". Che la presenza dei vapori nell'aria provochi mutamenti nella percezione del colore dell'oggetto verrà detto in maniera più articolata in Cv III ix 12). Nel primo libro dei Meteorologici (""Metaura"" è la forma volgare del titolo Metheora, ma a volte anche Methaura, dato dalle traduzioni latine all'opera aristotelica. Si tratta non di un femminile singolare, ma di un neutro plurale) Aristotele indaga sulle comete e su altri fenomeni luminosi che appaiono nella parte superiore dell'atmosfera. Nella sua parafrasi Alberto Magno ne individua la natura e l'origine in vapori terrestri secchi che salgono fino al concavo della sfera del fuoco, lì si infiammano per autocombustione (""per lor medesimi"") e secondo Al-Farghani si muovono seguendo il moto delle stelle. Ma il commentatore latino sembra preferire la precisazione di un altro astronomo-astrologo arabo, Albumasar, secondo cui tutti quei vapori, in quanto infuocati, sono della stessa natura di Marte e sono da lui causati ed attratti quando la stella è più forte nel produrre i suoi effetti, quando in linguaggio astrologico è ""dominante"" (""sono effetti della segnoria di Marte""). Il testo del Convivio dipende dunque in toto da Alberto (Meteora I tr. 3, cap. 5 ; tr. 4, cap. 9, pp. 28-29; 39-40). Questo vale anche per l'accenno alla morte dei re annunciata, secondo Albumasar, da questi fenomeni atmosferici (""Vult tamen Albumasar quod etiam ista aliquando mortem regis et principum significant"").",primo libro,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Meteorology_(Aristotle),Meteorologica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'ALTRA SI È ...,"Dante presenta come seconda proprietà di Marte quella di disseccare e bruciare, secondo quanto detto nel Quadripartito, l'opera astrologica dell'astronomo Tolomeo (Mars proprie desiccat et per vim sue nature comburit"" tr. I, cap. 4, f. 9va ) e di questo è segno il suo colore infuocato (""pare affocato di calore""). Ma, nel parallelismo con la musica, quello che conta è la capacità di attirare a sé i vapori atmosferici, quei vapori che, seguendo l'astro, lo fanno apparire più o meno rosso a seconda della loro maggiore o minore densità (""spessezza e raritade"". Alla capacità attrattiva di Marte riguardo ai vapori si fa riferimento nella profezia di Vanni Fucci in If XXIV, 145 ""Tragge Marte vapori in Val di Magra"". Che la presenza dei vapori nell'aria provochi mutamenti nella percezione del colore dell'oggetto verrà detto in maniera più articolata in Cv III ix 12). Nel primo libro dei Meteorologici (""Metaura"" è la forma volgare del titolo Metheora, ma a volte anche Methaura, dato dalle traduzioni latine all'opera aristotelica. Si tratta non di un femminile singolare, ma di un neutro plurale) Aristotele indaga sulle comete e su altri fenomeni luminosi che appaiono nella parte superiore dell'atmosfera. Nella sua parafrasi Alberto Magno ne individua la natura e l'origine in vapori terrestri secchi che salgono fino al concavo della sfera del fuoco, lì si infiammano per autocombustione (""per lor medesimi"") e secondo Al-Farghani si muovono seguendo il moto delle stelle. Ma il commentatore latino sembra preferire la precisazione di un altro astronomo-astrologo arabo, Albumasar, secondo cui tutti quei vapori, in quanto infuocati, sono della stessa natura di Marte e sono da lui causati ed attratti quando la stella è più forte nel produrre i suoi effetti, quando in linguaggio astrologico è ""dominante"" (""sono effetti della segnoria di Marte""). Il testo del Convivio dipende dunque in toto da Alberto (Meteora I tr. 3, cap. 5 ; tr. 4, cap. 9, pp. 28-29; 39-40). Questo vale anche per l'accenno alla morte dei re annunciata, secondo Albumasar, da questi fenomeni atmosferici (""Vult tamen Albumasar quod etiam ista aliquando mortem regis et principum significant"").","I tr. 3, cap. 5, pp. 28-29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'ALTRA SI È ...,"Dante presenta come seconda proprietà di Marte quella di disseccare e bruciare, secondo quanto detto nel Quadripartito, l'opera astrologica dell'astronomo Tolomeo (Mars proprie desiccat et per vim sue nature comburit"" tr. I, cap. 4, f. 9va ) e di questo è segno il suo colore infuocato (""pare affocato di calore""). Ma, nel parallelismo con la musica, quello che conta è la capacità di attirare a sé i vapori atmosferici, quei vapori che, seguendo l'astro, lo fanno apparire più o meno rosso a seconda della loro maggiore o minore densità (""spessezza e raritade"". Alla capacità attrattiva di Marte riguardo ai vapori si fa riferimento nella profezia di Vanni Fucci in If XXIV, 145 ""Tragge Marte vapori in Val di Magra"". Che la presenza dei vapori nell'aria provochi mutamenti nella percezione del colore dell'oggetto verrà detto in maniera più articolata in Cv III ix 12). Nel primo libro dei Meteorologici (""Metaura"" è la forma volgare del titolo Metheora, ma a volte anche Methaura, dato dalle traduzioni latine all'opera aristotelica. Si tratta non di un femminile singolare, ma di un neutro plurale) Aristotele indaga sulle comete e su altri fenomeni luminosi che appaiono nella parte superiore dell'atmosfera. Nella sua parafrasi Alberto Magno ne individua la natura e l'origine in vapori terrestri secchi che salgono fino al concavo della sfera del fuoco, lì si infiammano per autocombustione (""per lor medesimi"") e secondo Al-Farghani si muovono seguendo il moto delle stelle. Ma il commentatore latino sembra preferire la precisazione di un altro astronomo-astrologo arabo, Albumasar, secondo cui tutti quei vapori, in quanto infuocati, sono della stessa natura di Marte e sono da lui causati ed attratti quando la stella è più forte nel produrre i suoi effetti, quando in linguaggio astrologico è ""dominante"" (""sono effetti della segnoria di Marte""). Il testo del Convivio dipende dunque in toto da Alberto (Meteora I tr. 3, cap. 5 ; tr. 4, cap. 9, pp. 28-29; 39-40). Questo vale anche per l'accenno alla morte dei re annunciata, secondo Albumasar, da questi fenomeni atmosferici (""Vult tamen Albumasar quod etiam ista aliquando mortem regis et principum significant"").","tr. 4, cap. 9, pp 39-40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E SENECA DICE PERÒ,"Seneca perciò dice. La citazione non è diretta, ma ancora una volta attinta dalla parafrasi di Alberto ai Meteorologici (I, tr. 4 cap. 9, p. 40, ll. 10-11) Unde Seneca dicit quod circa excessum divi Augusti vidit speciem pileae igneae"" Il brano di Seneca relativo a questo prodigium è in Quaestiones Naturales I i 2-3 (cfr. Toynbee, pp. 39-40)","I, tr. 4 cap. 9, p. 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E SENECA DICE PERÒ,"Seneca perciò dice. La citazione non è diretta, ma ancora una volta attinta dalla parafrasi di Alberto ai Meteorologici (I, tr. 4 cap. 9, p. 40, ll. 10-11) Unde Seneca dicit quod circa excessum divi Augusti vidit speciem pileae igneae"" Il brano di Seneca relativo a questo prodigium è in Quaestiones Naturales I i 2-3 (cfr. Toynbee, pp. 39-40)",ll. 10-11,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E SENECA DICE PERÒ,"Seneca perciò dice. La citazione non è diretta, ma ancora una volta attinta dalla parafrasi di Alberto ai Meteorologici (I, tr. 4 cap. 9, p. 40, ll. 10-11) Unde Seneca dicit quod circa excessum divi Augusti vidit speciem pileae igneae"" Il brano di Seneca relativo a questo prodigium è in Quaestiones Naturales I i 2-3 (cfr. Toynbee, pp. 39-40)","I i 2-3 (cfr. Toynbee, pp. 39-40)",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestiones_Naturales,Quaestiones Naturales,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +E IN FIORENZA ...,"il principio della destruzione"" non può essere per Dante altro che il ""trasmutamento"" avvenuto con l'entrata di Carlo di Valois e la sconfitta dei Bianchi (da osservare che il ""trasmutamento di regni"" è un'aggiunta di Dante non presente nel testo di Alberto). L'apparizione nel cielo notturno di Firenze di una croce infuocata pochi giorni dopo l'entrata in città di Carlo (inizi del novembre 1301) è raccontata nella sua Cronica (II xix 85, p. 67 ) da un altro degli sconfitti, Dino Compagni. Anch'egli la interpreta ovviamente come presagio negativo, segno dell'ira divina contro Firenze.","II xix 85, p. 67",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Cronica_delle_cose_occorrenti_ne_tempi_suoi,Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi,Dino Compagni,http://dbpedia.org/resource/Dino_Compagni,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +LO ALLEGATO LIBRO,"si tratta del Quadripartito di Tolomeo, già citato nel paragrafo precedente, che Dante traduce quasi alla lettera (cfr. tr. I, cap. 4: Jovis autem virtutis opus est complexionis temperate et locus sui motus est medianus inter frigiditatem Saturni et calorem Martis"", f. 9 rb).","cfr. tr. I, cap. 4: Jovis autem virtutis opus est complexionis temperate et locus sui motus est medianus inter frigiditatem Saturni et calorem Martis"", f. 9 rb""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quadripartito,Quadripartito,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +E QUESTE [DUE] COSE SONO NELLA SCIENZA DELLA GEOMETRIA,"come Giove si muove trovandosi delimitato da due orbite che gli sono contrarie per qualità la Geometria argomenta (metaforicamente si muove"") avendo come termini in basso (""principio"") e in alto (""fine"") due entità che vanno contro la sua natura (""repugnanti ad essa""). Si tratta del punto e del cerchio (""sì come il punto e il cerchio""), intendendo per cerchio in senso lato (""largamente"") ogni corpo rotondo, sia bidimensionale (""superficie"") che tridimensionale (""corpo"", cioè sfera). La definizione di punto apre infatti gli Elementi di Euclide, il testo base della Geometria per il tardo medioevo (""il principio di quella"") ed i problemi relativi alla iscrizione di solidi nella sfera li chiudono. Che il cerchio e la sfera siano figure perfettissime è piuttosto dottrina aristotelica (cfr. De caelo II 4, 283 a 23-26; 286 b 13-25) e di Agostino (De quantitate animae xi 17, p. 151). Ovviamente ciò che è perfetto è fine non solo come limite, ma soprattutto come perfezione a cui si tende (""conviene però avere ragione di fine""). Punto e cerchio contrastano con la esattezza caratteristica della Geometria , il primo perché, essendo indivisibile, sfugge alla misura e quindi alla comprensione (""per la sua indivisibilità è immensurabile""), il secondo perché non è mai riducibile geometricamente ad un quadrato equivalente (""è impossibile a quadrare perfettamente""). Infatti, per quanto si aumenti il numero dei lati di un poligono inscritto ad un cerchio dato, tra qualsiasi coppia di angoli contigui i cui vertici toccano due punti della circonferenza si avrà sempre una corda cui corrisponderà un arco di cerchio non pienamente riducibile a segmento di linea retta (""per lo suo arco è impossibile misurare""). Lo stesso avverrebbe per un poligono circoscritto (in questo caso i punti di contatto con la circonferenza non sono i vertici degli angoli, ma i punti medi dei lati). La quadratura del cerchio risulta dunque un processo di approssimazione all'infinito e come tale non misurabile e non padroneggiabile da parte dell'intelletto. Il testo di Dante risulta pienamente comprensibile tramite il Commento di Tommaso al passo di Phys. I 2, 185 a 14-17 dove Aristotele accenna appunto alla quadratura del cerchio (cfr. lectio 2, n. 18 ""Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli"").","II 4, 283 a 23-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUESTE [DUE] COSE SONO NELLA SCIENZA DELLA GEOMETRIA,"come Giove si muove trovandosi delimitato da due orbite che gli sono contrarie per qualità la Geometria argomenta (metaforicamente si muove"") avendo come termini in basso (""principio"") e in alto (""fine"") due entità che vanno contro la sua natura (""repugnanti ad essa""). Si tratta del punto e del cerchio (""sì come il punto e il cerchio""), intendendo per cerchio in senso lato (""largamente"") ogni corpo rotondo, sia bidimensionale (""superficie"") che tridimensionale (""corpo"", cioè sfera). La definizione di punto apre infatti gli Elementi di Euclide, il testo base della Geometria per il tardo medioevo (""il principio di quella"") ed i problemi relativi alla iscrizione di solidi nella sfera li chiudono. Che il cerchio e la sfera siano figure perfettissime è piuttosto dottrina aristotelica (cfr. De caelo II 4, 283 a 23-26; 286 b 13-25) e di Agostino (De quantitate animae xi 17, p. 151). Ovviamente ciò che è perfetto è fine non solo come limite, ma soprattutto come perfezione a cui si tende (""conviene però avere ragione di fine""). Punto e cerchio contrastano con la esattezza caratteristica della Geometria , il primo perché, essendo indivisibile, sfugge alla misura e quindi alla comprensione (""per la sua indivisibilità è immensurabile""), il secondo perché non è mai riducibile geometricamente ad un quadrato equivalente (""è impossibile a quadrare perfettamente""). Infatti, per quanto si aumenti il numero dei lati di un poligono inscritto ad un cerchio dato, tra qualsiasi coppia di angoli contigui i cui vertici toccano due punti della circonferenza si avrà sempre una corda cui corrisponderà un arco di cerchio non pienamente riducibile a segmento di linea retta (""per lo suo arco è impossibile misurare""). Lo stesso avverrebbe per un poligono circoscritto (in questo caso i punti di contatto con la circonferenza non sono i vertici degli angoli, ma i punti medi dei lati). La quadratura del cerchio risulta dunque un processo di approssimazione all'infinito e come tale non misurabile e non padroneggiabile da parte dell'intelletto. Il testo di Dante risulta pienamente comprensibile tramite il Commento di Tommaso al passo di Phys. I 2, 185 a 14-17 dove Aristotele accenna appunto alla quadratura del cerchio (cfr. lectio 2, n. 18 ""Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli"").","II 4, 286 b 13-25",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUESTE [DUE] COSE SONO NELLA SCIENZA DELLA GEOMETRIA,"come Giove si muove trovandosi delimitato da due orbite che gli sono contrarie per qualità la Geometria argomenta (metaforicamente si muove"") avendo come termini in basso (""principio"") e in alto (""fine"") due entità che vanno contro la sua natura (""repugnanti ad essa""). Si tratta del punto e del cerchio (""sì come il punto e il cerchio""), intendendo per cerchio in senso lato (""largamente"") ogni corpo rotondo, sia bidimensionale (""superficie"") che tridimensionale (""corpo"", cioè sfera). La definizione di punto apre infatti gli Elementi di Euclide, il testo base della Geometria per il tardo medioevo (""il principio di quella"") ed i problemi relativi alla iscrizione di solidi nella sfera li chiudono. Che il cerchio e la sfera siano figure perfettissime è piuttosto dottrina aristotelica (cfr. De caelo II 4, 283 a 23-26; 286 b 13-25) e di Agostino (De quantitate animae xi 17, p. 151). Ovviamente ciò che è perfetto è fine non solo come limite, ma soprattutto come perfezione a cui si tende (""conviene però avere ragione di fine""). Punto e cerchio contrastano con la esattezza caratteristica della Geometria , il primo perché, essendo indivisibile, sfugge alla misura e quindi alla comprensione (""per la sua indivisibilità è immensurabile""), il secondo perché non è mai riducibile geometricamente ad un quadrato equivalente (""è impossibile a quadrare perfettamente""). Infatti, per quanto si aumenti il numero dei lati di un poligono inscritto ad un cerchio dato, tra qualsiasi coppia di angoli contigui i cui vertici toccano due punti della circonferenza si avrà sempre una corda cui corrisponderà un arco di cerchio non pienamente riducibile a segmento di linea retta (""per lo suo arco è impossibile misurare""). Lo stesso avverrebbe per un poligono circoscritto (in questo caso i punti di contatto con la circonferenza non sono i vertici degli angoli, ma i punti medi dei lati). La quadratura del cerchio risulta dunque un processo di approssimazione all'infinito e come tale non misurabile e non padroneggiabile da parte dell'intelletto. Il testo di Dante risulta pienamente comprensibile tramite il Commento di Tommaso al passo di Phys. I 2, 185 a 14-17 dove Aristotele accenna appunto alla quadratura del cerchio (cfr. lectio 2, n. 18 ""Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli"").","xi 17, p. 151",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_quantitate_animae,De quantitate animae,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +E QUESTE [DUE] COSE SONO NELLA SCIENZA DELLA GEOMETRIA,"come Giove si muove trovandosi delimitato da due orbite che gli sono contrarie per qualità la Geometria argomenta (metaforicamente si muove"") avendo come termini in basso (""principio"") e in alto (""fine"") due entità che vanno contro la sua natura (""repugnanti ad essa""). Si tratta del punto e del cerchio (""sì come il punto e il cerchio""), intendendo per cerchio in senso lato (""largamente"") ogni corpo rotondo, sia bidimensionale (""superficie"") che tridimensionale (""corpo"", cioè sfera). La definizione di punto apre infatti gli Elementi di Euclide, il testo base della Geometria per il tardo medioevo (""il principio di quella"") ed i problemi relativi alla iscrizione di solidi nella sfera li chiudono. Che il cerchio e la sfera siano figure perfettissime è piuttosto dottrina aristotelica (cfr. De caelo II 4, 283 a 23-26; 286 b 13-25) e di Agostino (De quantitate animae xi 17, p. 151). Ovviamente ciò che è perfetto è fine non solo come limite, ma soprattutto come perfezione a cui si tende (""conviene però avere ragione di fine""). Punto e cerchio contrastano con la esattezza caratteristica della Geometria , il primo perché, essendo indivisibile, sfugge alla misura e quindi alla comprensione (""per la sua indivisibilità è immensurabile""), il secondo perché non è mai riducibile geometricamente ad un quadrato equivalente (""è impossibile a quadrare perfettamente""). Infatti, per quanto si aumenti il numero dei lati di un poligono inscritto ad un cerchio dato, tra qualsiasi coppia di angoli contigui i cui vertici toccano due punti della circonferenza si avrà sempre una corda cui corrisponderà un arco di cerchio non pienamente riducibile a segmento di linea retta (""per lo suo arco è impossibile misurare""). Lo stesso avverrebbe per un poligono circoscritto (in questo caso i punti di contatto con la circonferenza non sono i vertici degli angoli, ma i punti medi dei lati). La quadratura del cerchio risulta dunque un processo di approssimazione all'infinito e come tale non misurabile e non padroneggiabile da parte dell'intelletto. Il testo di Dante risulta pienamente comprensibile tramite il Commento di Tommaso al passo di Phys. I 2, 185 a 14-17 dove Aristotele accenna appunto alla quadratura del cerchio (cfr. lectio 2, n. 18 ""Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli"").","lectio 2, n. 18 ""Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_octo_libros_Physicorum(Tommaso),Commentaria in octo libros Physicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E QUESTE [DUE] COSE SONO NELLA SCIENZA DELLA GEOMETRIA,"come Giove si muove trovandosi delimitato da due orbite che gli sono contrarie per qualità la Geometria argomenta (metaforicamente si muove"") avendo come termini in basso (""principio"") e in alto (""fine"") due entità che vanno contro la sua natura (""repugnanti ad essa""). Si tratta del punto e del cerchio (""sì come il punto e il cerchio""), intendendo per cerchio in senso lato (""largamente"") ogni corpo rotondo, sia bidimensionale (""superficie"") che tridimensionale (""corpo"", cioè sfera). La definizione di punto apre infatti gli Elementi di Euclide, il testo base della Geometria per il tardo medioevo (""il principio di quella"") ed i problemi relativi alla iscrizione di solidi nella sfera li chiudono. Che il cerchio e la sfera siano figure perfettissime è piuttosto dottrina aristotelica (cfr. De caelo II 4, 283 a 23-26; 286 b 13-25) e di Agostino (De quantitate animae xi 17, p. 151). Ovviamente ciò che è perfetto è fine non solo come limite, ma soprattutto come perfezione a cui si tende (""conviene però avere ragione di fine""). Punto e cerchio contrastano con la esattezza caratteristica della Geometria , il primo perché, essendo indivisibile, sfugge alla misura e quindi alla comprensione (""per la sua indivisibilità è immensurabile""), il secondo perché non è mai riducibile geometricamente ad un quadrato equivalente (""è impossibile a quadrare perfettamente""). Infatti, per quanto si aumenti il numero dei lati di un poligono inscritto ad un cerchio dato, tra qualsiasi coppia di angoli contigui i cui vertici toccano due punti della circonferenza si avrà sempre una corda cui corrisponderà un arco di cerchio non pienamente riducibile a segmento di linea retta (""per lo suo arco è impossibile misurare""). Lo stesso avverrebbe per un poligono circoscritto (in questo caso i punti di contatto con la circonferenza non sono i vertici degli angoli, ma i punti medi dei lati). La quadratura del cerchio risulta dunque un processo di approssimazione all'infinito e come tale non misurabile e non padroneggiabile da parte dell'intelletto. Il testo di Dante risulta pienamente comprensibile tramite il Commento di Tommaso al passo di Phys. I 2, 185 a 14-17 dove Aristotele accenna appunto alla quadratura del cerchio (cfr. lectio 2, n. 18 ""Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli"").","I 2, 185 a 14-17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUESTE [DUE] COSE SONO NELLA SCIENZA DELLA GEOMETRIA,"come Giove si muove trovandosi delimitato da due orbite che gli sono contrarie per qualità la Geometria argomenta (metaforicamente si muove"") avendo come termini in basso (""principio"") e in alto (""fine"") due entità che vanno contro la sua natura (""repugnanti ad essa""). Si tratta del punto e del cerchio (""sì come il punto e il cerchio""), intendendo per cerchio in senso lato (""largamente"") ogni corpo rotondo, sia bidimensionale (""superficie"") che tridimensionale (""corpo"", cioè sfera). La definizione di punto apre infatti gli Elementi di Euclide, il testo base della Geometria per il tardo medioevo (""il principio di quella"") ed i problemi relativi alla iscrizione di solidi nella sfera li chiudono. Che il cerchio e la sfera siano figure perfettissime è piuttosto dottrina aristotelica (cfr. De caelo II 4, 283 a 23-26; 286 b 13-25) e di Agostino (De quantitate animae xi 17, p. 151). Ovviamente ciò che è perfetto è fine non solo come limite, ma soprattutto come perfezione a cui si tende (""conviene però avere ragione di fine""). Punto e cerchio contrastano con la esattezza caratteristica della Geometria , il primo perché, essendo indivisibile, sfugge alla misura e quindi alla comprensione (""per la sua indivisibilità è immensurabile""), il secondo perché non è mai riducibile geometricamente ad un quadrato equivalente (""è impossibile a quadrare perfettamente""). Infatti, per quanto si aumenti il numero dei lati di un poligono inscritto ad un cerchio dato, tra qualsiasi coppia di angoli contigui i cui vertici toccano due punti della circonferenza si avrà sempre una corda cui corrisponderà un arco di cerchio non pienamente riducibile a segmento di linea retta (""per lo suo arco è impossibile misurare""). Lo stesso avverrebbe per un poligono circoscritto (in questo caso i punti di contatto con la circonferenza non sono i vertici degli angoli, ma i punti medi dei lati). La quadratura del cerchio risulta dunque un processo di approssimazione all'infinito e come tale non misurabile e non padroneggiabile da parte dell'intelletto. Il testo di Dante risulta pienamente comprensibile tramite il Commento di Tommaso al passo di Phys. I 2, 185 a 14-17 dove Aristotele accenna appunto alla quadratura del cerchio (cfr. lectio 2, n. 18 ""Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli"").",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Elementi,Elementi,Euclide,http://dbpedia.org/resource/Euclid,http://purl.org/bncf/tid/2600,WORK +SECONDO LE SCRITTURE DELLI ASTROLOGI,"ancora una volta la fonte di Dante è il Liber aggregationis di Alfragano (cap. XV, p. 131. Cfr. Toynbee, p. 67).","cap. XV, p. 131. Cfr. Toynbee, p. 67",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +NEGLIGENZA NOSTRA,"mancanza di accuratezza nel dimostrare o nell'osservare' .Cfr. Quadripartito tr. 1, cap.1, f. 3vb Illi qui eiciunt hanc scientiam... dant rationes, sed non sunt recte. ... Prima ratio in qua erraverunt in hoc est quod non inspexerunt in hac scientia, nec multi studuerunt in ea sicut debebant, quoniam est grandis valde et multarum viarum ... et error quo errant aliqui in hac scientia non est ex artis debilitate, sed eius qui se intromittit de ea"". Probabilmente Dante ha presente il Commento di Ali ibn Ridwan, che parla proprio di negligentia: ""Ptolomeus destruit rationem illorum ... dicens quod error quod accidit aliquibus astrologis non est ex debilitate artis, sed ex pigritia et negligentia aliquorum qui se intromittunt de ea"" (ivi, f. 4ra)","tr. 1, cap.1, f. 3vb Illi qui eiciunt hanc scientiam... dant rationes, sed non sunt recte. ... Prima ratio in qua erraverunt in hoc est quod non inspexerunt in hac scientia, nec multi studuerunt in ea sicut debebant, quoniam est grandis valde et multarum viarum ... et error quo errant aliqui in hac scientia non est ex artis debilitate, sed eius qui se intromittit de ea"" (ivi, f. 4ra)""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quadripartito,Quadripartito,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +LO VULGO,"la gente comune, non istruita'. Cfr. le Derivationes di Uguccione da Pisa, s. v. Gala, G 14, 19, p. 506) Et per compositionem a gala et xios, quod est circulus dicitur hic galaxios, vel galaxia, id est lacteus circulus qui vulgo dicitur via Sancti Jacobi"" La tradizione popolare trovava in qualche modo una giustificazione in Uguccione stesso che aveva collegato i termini galaxia e Galitia tramite la radice comune Gala (G 14, 4). Ora la ""via di Sa' Jacopo"" è il Cammino di Santiago, l'itinerario del celebre pellegrinaggio alla tomba dell'apostolo, Giacomo il Maggiore, il ""baron di Galizia"", appunto.","s. v. Gala, G 14, 19, p. 506) Et per compositionem a gala et xios, quod est circulus dicitur hic galaxios, vel galaxia, id est lacteus circulus qui vulgo dicitur via Sancti Jacobi",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +LI SAVI D'EGITTO ... MILLE VENTIDUE CORPORA DI STELLE PONGONO,"il testo di Dante dipende direttamente dal capitolo diciannovesimo del Liber aggregationis, pp. 139-140. Cfr. Toynbee, p. 69) Dicamus ergo quod sapientes probaverunt omnes stellas fixas quarum experientia per instrumenta fuit possibilis usque ad ultimum quod apparuit eis a parte meridiei in climate tertio ... Omnes igitur quae consideratione sunt comprehensae sunt 1022 stellae"" (""che appare lor in meridie"": 'che hanno potuto vedere spingendosi a sud per quanto possibile'). Che questi savi fossero Egizi poteva essere dedotto dai testi in cui Aristotele ed i suoi commentatori sottolineavano come i sapienti di Egitto e di Babilonia avessero accumulato un patrimonio di osservazioni astronomiche (cfr. De caelo II 12, 292 a 7 sgg. e la corrispondente parafrasi di Alberto Magno II tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 59-65).","capitolo diciannovesimo del Liber aggregationis, pp. 139-140. Cfr. Toynbee, p. 69 ""Dicamus ergo quod sapientes probaverunt omnes stellas fixas quarum experientia per instrumenta fuit possibilis usque ad ultimum quod apparuit eis a parte meridiei in climate tertio ... Omnes igitur quae consideratione sunt comprehensae sunt 1022 stellae""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +LI SAVI D'EGITTO ... MILLE VENTIDUE CORPORA DI STELLE PONGONO,"il testo di Dante dipende direttamente dal capitolo diciannovesimo del Liber aggregationis, pp. 139-140. Cfr. Toynbee, p. 69) Dicamus ergo quod sapientes probaverunt omnes stellas fixas quarum experientia per instrumenta fuit possibilis usque ad ultimum quod apparuit eis a parte meridiei in climate tertio ... Omnes igitur quae consideratione sunt comprehensae sunt 1022 stellae"" (""che appare lor in meridie"": 'che hanno potuto vedere spingendosi a sud per quanto possibile'). Che questi savi fossero Egizi poteva essere dedotto dai testi in cui Aristotele ed i suoi commentatori sottolineavano come i sapienti di Egitto e di Babilonia avessero accumulato un patrimonio di osservazioni astronomiche (cfr. De caelo II 12, 292 a 7 sgg. e la corrispondente parafrasi di Alberto Magno II tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 59-65).","II 12, 292 a 7 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI SAVI D'EGITTO ... MILLE VENTIDUE CORPORA DI STELLE PONGONO,"il testo di Dante dipende direttamente dal capitolo diciannovesimo del Liber aggregationis, pp. 139-140. Cfr. Toynbee, p. 69) Dicamus ergo quod sapientes probaverunt omnes stellas fixas quarum experientia per instrumenta fuit possibilis usque ad ultimum quod apparuit eis a parte meridiei in climate tertio ... Omnes igitur quae consideratione sunt comprehensae sunt 1022 stellae"" (""che appare lor in meridie"": 'che hanno potuto vedere spingendosi a sud per quanto possibile'). Che questi savi fossero Egizi poteva essere dedotto dai testi in cui Aristotele ed i suoi commentatori sottolineavano come i sapienti di Egitto e di Babilonia avessero accumulato un patrimonio di osservazioni astronomiche (cfr. De caelo II 12, 292 a 7 sgg. e la corrispondente parafrasi di Alberto Magno II tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 59-65).","II tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 59-65",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME NEL QUINTO DEL PRIMO SUO LIBRO È PROVATO,"non si tratta del capitolo quinto del primo libro della Fisica (dove non si parla delle diverse specie di movimento), ma proprio del libro quinto della Fisica, che qui viene indicata nel suo insieme come primo libro. Infatti, nelle classificazioni medievali i Libri naturali di Aristotele (e quindi la Fisica in senso lato) comprendono diverse opere (De caelo, De generatione, Meteorologica etc.) di cui la Fisica in senso stretto (indicata a volte con il nome specifico di Naturalis auscultatio) è appunto il primo. Cfr. Phys.. V 1, 225 b 6-9; 2, 226 a 26-33).","V 1, 225 b 6-9",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME NEL QUINTO DEL PRIMO SUO LIBRO È PROVATO,"non si tratta del capitolo quinto del primo libro della Fisica (dove non si parla delle diverse specie di movimento), ma proprio del libro quinto della Fisica, che qui viene indicata nel suo insieme come primo libro. Infatti, nelle classificazioni medievali i Libri naturali di Aristotele (e quindi la Fisica in senso lato) comprendono diverse opere (De caelo, De generatione, Meteorologica etc.) di cui la Fisica in senso stretto (indicata a volte con il nome specifico di Naturalis auscultatio) è appunto il primo. Cfr. Phys.. V 1, 225 b 6-9; 2, 226 a 26-33).","V 2, 226 a 26-33",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI FILOSOFI HANNO AVUTE DIVERSE OPPINIONI,"la rassegna delle opinioni relative alla natura della Galassia pone qualche problema, aggravato dallo stato lacunoso del testo. Che i Pitagorici abbiano collegato la nascita della Via Lattea al mito della caduta di Fetonte (si mossero dalla favola di Fetonte""), conosciuto da Dante attraverso Ovidio Metamorfosi II 35 sgg, è detto nel cap. 8 del primo libro dei Meteorologici (345 a 13-b 12). Ad alcuni di essi (ma non a tutti) Aristotele attribuisce l'opinione che la Galassia fosse la traccia della combustione provocata dal sole che una qualche volta (""alcuna fiata"") uscì dalla sua orbita (""errò nella sua via"") investendo zone del cielo incapaci di sopportare il suo calore senza esserne alterate (""parti non convenienti allo suo fervore"". Cfr anche il Commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 78). La lacuna del testo non ci permette di sapere come Dante avesse riassunto le opinioni di Anassagora e di Democrito presentate dal testo aristotelico. La menzione dei raggi solari riflessi (""ripercussi"") in quella parte del cielo come causa dell'apparire della Galassia si riferisce invece ad una terza opinione menzionata in maniera anonima da Aristotele (a ragione, dunque, l'editrice ha congetturato qui una lacuna). Nell'interpretazione datane da Alberto, il lumen non si identificherebbe con i raggi solari, ma con il lumen stesso delle stelle riflesso dall'aria umida che, trovandosi sotto il cielo stellato, funge quasi da specchio (cfr. Meteora I, tr. 2, cap. 4, p 21, ll. 4-16). E' stato osservato che il testo più vicino a quello del Convivio si trova in Averroè, che appunto interpreta il raggio riflesso come raggio del sole (cfr. Meteorologica I, c. 3, f. 412 E ""Galasia est vestigium causatum ex reflexione radii solis ab aere ad illum locum""). A mio avviso, però, è arduo pensare a un Dante che compone avendo sotto gli occhi contemporaneamente il testo di Aristotele, la parafrasi di Alberto e il Commento di Averroè (e questo per un brano tutto sommato di secondaria importanza).",II 35 sgg,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +LI FILOSOFI HANNO AVUTE DIVERSE OPPINIONI,"la rassegna delle opinioni relative alla natura della Galassia pone qualche problema, aggravato dallo stato lacunoso del testo. Che i Pitagorici abbiano collegato la nascita della Via Lattea al mito della caduta di Fetonte (si mossero dalla favola di Fetonte""), conosciuto da Dante attraverso Ovidio Metamorfosi II 35 sgg, è detto nel cap. 8 del primo libro dei Meteorologici (345 a 13-b 12). Ad alcuni di essi (ma non a tutti) Aristotele attribuisce l'opinione che la Galassia fosse la traccia della combustione provocata dal sole che una qualche volta (""alcuna fiata"") uscì dalla sua orbita (""errò nella sua via"") investendo zone del cielo incapaci di sopportare il suo calore senza esserne alterate (""parti non convenienti allo suo fervore"". Cfr anche il Commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 78). La lacuna del testo non ci permette di sapere come Dante avesse riassunto le opinioni di Anassagora e di Democrito presentate dal testo aristotelico. La menzione dei raggi solari riflessi (""ripercussi"") in quella parte del cielo come causa dell'apparire della Galassia si riferisce invece ad una terza opinione menzionata in maniera anonima da Aristotele (a ragione, dunque, l'editrice ha congetturato qui una lacuna). Nell'interpretazione datane da Alberto, il lumen non si identificherebbe con i raggi solari, ma con il lumen stesso delle stelle riflesso dall'aria umida che, trovandosi sotto il cielo stellato, funge quasi da specchio (cfr. Meteora I, tr. 2, cap. 4, p 21, ll. 4-16). E' stato osservato che il testo più vicino a quello del Convivio si trova in Averroè, che appunto interpreta il raggio riflesso come raggio del sole (cfr. Meteorologica I, c. 3, f. 412 E ""Galasia est vestigium causatum ex reflexione radii solis ab aere ad illum locum""). A mio avviso, però, è arduo pensare a un Dante che compone avendo sotto gli occhi contemporaneamente il testo di Aristotele, la parafrasi di Alberto e il Commento di Averroè (e questo per un brano tutto sommato di secondaria importanza).",cap. 8 del primo libro 345 a 13-b 12,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LI FILOSOFI HANNO AVUTE DIVERSE OPPINIONI,"la rassegna delle opinioni relative alla natura della Galassia pone qualche problema, aggravato dallo stato lacunoso del testo. Che i Pitagorici abbiano collegato la nascita della Via Lattea al mito della caduta di Fetonte (si mossero dalla favola di Fetonte""), conosciuto da Dante attraverso Ovidio Metamorfosi II 35 sgg, è detto nel cap. 8 del primo libro dei Meteorologici (345 a 13-b 12). Ad alcuni di essi (ma non a tutti) Aristotele attribuisce l'opinione che la Galassia fosse la traccia della combustione provocata dal sole che una qualche volta (""alcuna fiata"") uscì dalla sua orbita (""errò nella sua via"") investendo zone del cielo incapaci di sopportare il suo calore senza esserne alterate (""parti non convenienti allo suo fervore"". Cfr anche il Commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 78). La lacuna del testo non ci permette di sapere come Dante avesse riassunto le opinioni di Anassagora e di Democrito presentate dal testo aristotelico. La menzione dei raggi solari riflessi (""ripercussi"") in quella parte del cielo come causa dell'apparire della Galassia si riferisce invece ad una terza opinione menzionata in maniera anonima da Aristotele (a ragione, dunque, l'editrice ha congetturato qui una lacuna). Nell'interpretazione datane da Alberto, il lumen non si identificherebbe con i raggi solari, ma con il lumen stesso delle stelle riflesso dall'aria umida che, trovandosi sotto il cielo stellato, funge quasi da specchio (cfr. Meteora I, tr. 2, cap. 4, p 21, ll. 4-16). E' stato osservato che il testo più vicino a quello del Convivio si trova in Averroè, che appunto interpreta il raggio riflesso come raggio del sole (cfr. Meteorologica I, c. 3, f. 412 E ""Galasia est vestigium causatum ex reflexione radii solis ab aere ad illum locum""). A mio avviso, però, è arduo pensare a un Dante che compone avendo sotto gli occhi contemporaneamente il testo di Aristotele, la parafrasi di Alberto e il Commento di Averroè (e questo per un brano tutto sommato di secondaria importanza).","I, lectio 12, n. 78",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_octo_libros_Physicorum(Tommaso),Commentaria in octo libros Physicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LI FILOSOFI HANNO AVUTE DIVERSE OPPINIONI,"la rassegna delle opinioni relative alla natura della Galassia pone qualche problema, aggravato dallo stato lacunoso del testo. Che i Pitagorici abbiano collegato la nascita della Via Lattea al mito della caduta di Fetonte (si mossero dalla favola di Fetonte""), conosciuto da Dante attraverso Ovidio Metamorfosi II 35 sgg, è detto nel cap. 8 del primo libro dei Meteorologici (345 a 13-b 12). Ad alcuni di essi (ma non a tutti) Aristotele attribuisce l'opinione che la Galassia fosse la traccia della combustione provocata dal sole che una qualche volta (""alcuna fiata"") uscì dalla sua orbita (""errò nella sua via"") investendo zone del cielo incapaci di sopportare il suo calore senza esserne alterate (""parti non convenienti allo suo fervore"". Cfr anche il Commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 78). La lacuna del testo non ci permette di sapere come Dante avesse riassunto le opinioni di Anassagora e di Democrito presentate dal testo aristotelico. La menzione dei raggi solari riflessi (""ripercussi"") in quella parte del cielo come causa dell'apparire della Galassia si riferisce invece ad una terza opinione menzionata in maniera anonima da Aristotele (a ragione, dunque, l'editrice ha congetturato qui una lacuna). Nell'interpretazione datane da Alberto, il lumen non si identificherebbe con i raggi solari, ma con il lumen stesso delle stelle riflesso dall'aria umida che, trovandosi sotto il cielo stellato, funge quasi da specchio (cfr. Meteora I, tr. 2, cap. 4, p 21, ll. 4-16). E' stato osservato che il testo più vicino a quello del Convivio si trova in Averroè, che appunto interpreta il raggio riflesso come raggio del sole (cfr. Meteorologica I, c. 3, f. 412 E ""Galasia est vestigium causatum ex reflexione radii solis ab aere ad illum locum""). A mio avviso, però, è arduo pensare a un Dante che compone avendo sotto gli occhi contemporaneamente il testo di Aristotele, la parafrasi di Alberto e il Commento di Averroè (e questo per un brano tutto sommato di secondaria importanza).","I, tr. 2, cap. 4, p 21, ll. 4-16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LI FILOSOFI HANNO AVUTE DIVERSE OPPINIONI,"la rassegna delle opinioni relative alla natura della Galassia pone qualche problema, aggravato dallo stato lacunoso del testo. Che i Pitagorici abbiano collegato la nascita della Via Lattea al mito della caduta di Fetonte (si mossero dalla favola di Fetonte""), conosciuto da Dante attraverso Ovidio Metamorfosi II 35 sgg, è detto nel cap. 8 del primo libro dei Meteorologici (345 a 13-b 12). Ad alcuni di essi (ma non a tutti) Aristotele attribuisce l'opinione che la Galassia fosse la traccia della combustione provocata dal sole che una qualche volta (""alcuna fiata"") uscì dalla sua orbita (""errò nella sua via"") investendo zone del cielo incapaci di sopportare il suo calore senza esserne alterate (""parti non convenienti allo suo fervore"". Cfr anche il Commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 78). La lacuna del testo non ci permette di sapere come Dante avesse riassunto le opinioni di Anassagora e di Democrito presentate dal testo aristotelico. La menzione dei raggi solari riflessi (""ripercussi"") in quella parte del cielo come causa dell'apparire della Galassia si riferisce invece ad una terza opinione menzionata in maniera anonima da Aristotele (a ragione, dunque, l'editrice ha congetturato qui una lacuna). Nell'interpretazione datane da Alberto, il lumen non si identificherebbe con i raggi solari, ma con il lumen stesso delle stelle riflesso dall'aria umida che, trovandosi sotto il cielo stellato, funge quasi da specchio (cfr. Meteora I, tr. 2, cap. 4, p 21, ll. 4-16). E' stato osservato che il testo più vicino a quello del Convivio si trova in Averroè, che appunto interpreta il raggio riflesso come raggio del sole (cfr. Meteorologica I, c. 3, f. 412 E ""Galasia est vestigium causatum ex reflexione radii solis ab aere ad illum locum""). A mio avviso, però, è arduo pensare a un Dante che compone avendo sotto gli occhi contemporaneamente il testo di Aristotele, la parafrasi di Alberto e il Commento di Averroè (e questo per un brano tutto sommato di secondaria importanza).","I, c. 3, f. 412 E ""Galasia est vestigium causatum ex reflexione radii solis ab aere ad illum locum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteorologica(Averroè),Meteorologica (Averroé),Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CON RAGIONI DIMOSTRATIVE RIPROVARO,"respinsero mediante argomenti aventi forza di dimostrazione'. Mi sembra impossibile interpretare il verbo riprovare"" come un rafforzativo di ""provare"". Sono quindi d'accordo con l'edizione Brambilla Ageno nel ritenere che il testo presenti una lacuna relativa a chi ha riprovato le tesi di Pitagora, di Anassagora e di Democrito, probabilmente lo stesso Aristotele integrato dalla parafrasi di Alberto Magno (cfr. Physica I, tr. 2, capp. 2-4, pp. 19-21).","Physica I, tr. 2, capp. 2-4, pp. 19-21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Physicorum(Alberto_Magno),Physicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NELLA NOVA,la nova translatio è quella condotta direttamente sul testo greco da Guglielmo di Moerbeke intorno agli anni '60 del XIII secolo.,la nova translatio è quella condotta direttamente sul testo greco da Guglielmo di Moerbeke intorno agli anni '60 del XIII secolo.,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Meteorology_(Aristotle),Meteorologica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +RITIENE E RIPRESENTA,"trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis"" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: ""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique"", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio ""Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca"". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle ""comparazioni"" che stavano a cuore a Dante.","I, tr. 2, cap. 6, p. 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RITIENE E RIPRESENTA,"trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis"" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: ""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique"", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio ""Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca"". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle ""comparazioni"" che stavano a cuore a Dante.","ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RITIENE E RIPRESENTA,"trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis"" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: ""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique"", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio ""Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca"". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle ""comparazioni"" che stavano a cuore a Dante.","ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RITIENE E RIPRESENTA,"trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis"" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: ""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique"", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio ""Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca"". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle ""comparazioni"" che stavano a cuore a Dante.","ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RITIENE E RIPRESENTA,"trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis"" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: ""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique"", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio ""Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca"". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle ""comparazioni"" che stavano a cuore a Dante.","""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_ai_Meteorologici(Radulphus_Brito),Commento ai Meteorologici,Radulphus Brito,http://dbpedia.org/resource/Radulphus_Brito,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +RITIENE E RIPRESENTA,"trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis"" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: ""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique"", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio ""Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca"". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle ""comparazioni"" che stavano a cuore a Dante.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Meteorology_(Aristotle),Meteorologica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +RITIENE E RIPRESENTA,"trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis""; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 ""nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis""; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 ""Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis"" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: ""De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique"", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio ""Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca"". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle ""comparazioni"" che stavano a cuore a Dante.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Meteorology_(Aristotle),Meteorologica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA GALASSIA SIA UNO EFFETTO,"come, nel caso della Galassia, non possiamo (potemo"") vedere direttamente le stelle che la compongono e solo mediante il loro effetto (""se non per lo effetto loro"") postuliamo mentalmente la loro esistenza (""intendiamo quelle cose""), analogamente (""simigliantemente"") nel caso della Metafisica, non possiamo conoscere Dio e le sostanze separate (""le prime sustanze"") direttamente ma solo attraverso (""per"") i loro effetti (nel caso specifico, il movimento dei cieli ; cfr. Cv II iv 16-17). Quale fosse l'effettivo oggetto della Metafisica, se l'essere in quanto essere, come affermato in Metaph. IV 1 o Dio e le sostanze separate, come altrettanto esplicitamente detto in Metaph. VI 1, era stato oggetto di un lungo dibattito tra i commentatori arabi e latini. In ogni caso, anche scegliendo, come la maggior parte aveva fatto, la prima opzione, le sostanze eterne e incorruttibili, cause di tutti gli altri enti, rimanevano un capitolo importante della riflessione metafisica (cfr. Zimmermann 1965) Per altro Dante stesso nelle numerose citazioni presenti nel Monarchia si riferirà alla Metafisica come alla scienza che ha come oggetto l'essere in quanto tale: I xii 8 ""Illud est liberum quod suimet et non alterius gratia est, ut Philosopho placet in iis quae de simpliciter ente"" (cfr. I xiii 3, 15; III xiv 6).",IV 1,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA GALASSIA SIA UNO EFFETTO,"come, nel caso della Galassia, non possiamo (potemo"") vedere direttamente le stelle che la compongono e solo mediante il loro effetto (""se non per lo effetto loro"") postuliamo mentalmente la loro esistenza (""intendiamo quelle cose""), analogamente (""simigliantemente"") nel caso della Metafisica, non possiamo conoscere Dio e le sostanze separate (""le prime sustanze"") direttamente ma solo attraverso (""per"") i loro effetti (nel caso specifico, il movimento dei cieli ; cfr. Cv II iv 16-17). Quale fosse l'effettivo oggetto della Metafisica, se l'essere in quanto essere, come affermato in Metaph. IV 1 o Dio e le sostanze separate, come altrettanto esplicitamente detto in Metaph. VI 1, era stato oggetto di un lungo dibattito tra i commentatori arabi e latini. In ogni caso, anche scegliendo, come la maggior parte aveva fatto, la prima opzione, le sostanze eterne e incorruttibili, cause di tutti gli altri enti, rimanevano un capitolo importante della riflessione metafisica (cfr. Zimmermann 1965) Per altro Dante stesso nelle numerose citazioni presenti nel Monarchia si riferirà alla Metafisica come alla scienza che ha come oggetto l'essere in quanto tale: I xii 8 ""Illud est liberum quod suimet et non alterius gratia est, ut Philosopho placet in iis quae de simpliciter ente"" (cfr. I xiii 3, 15; III xiv 6).",VI 1,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UNIVERSALMENTE PIGLIANDOLE,"'considerandole nelle loro caratteristiche comuni' (in questo caso Dante, a differenza di prima si riferisce non al complesso degli scritti naturalistici di Aristotele, ma proprio agli otto libri della Fisica che trattano in generale del corpo soggetto al movimento e che Ruggero Bacone aveva chiamato i Communia naturalium).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +EBBERO DA DIO COMINCIAMENTO DI CREAZIONE E NON AVERANNO FINE,"iniziarono ad esistere per un diretto atto creativo di Dio e quindi, a differenza delle altre realtà, non cesseranno mai di esistere'. Che le realtà incorruttibili (intelligenze separate e cieli) siano state prodotte da una diretta azione divina non è dottrina di Aristotele, ma piuttosto di Avicenna. Dante la riproporrà nel ventinovesimo canto del Paradiso (vv. 22-36). Per il filosofo arabo e per molti commentatori latini di Aristotele che a lui si rifanno il cominciamento"" non ha però un valore temporale. Dio crea, ma crea dall'eternità.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +HA COMPARAZIONE ASSAI MANIFESTA ALLA MORALE FILOSOFIA,"ha una chiara analogia con la filosofia morale'. L'ordine in cui Dante pone le scienze, con l' Etica al punto finale della classificazione, è abbastanza inusuale rispetto agli schemi normali, ma non così isolato come si è creduto. Esso risale al De divisione scientiarum di Alfarabi disponibile ai Latini nella traduzione di Gerardo da Cremona (cfr. Nardi 1944, pp.213-214) e proprio negli anni di Dante era stato ripreso a Firenze da Remigio dei Girolami in una sua predica (cfr. Panella 1979, pp. 46-47). Alberto Magno, nella parafrasi dell' Etica, aveva detto che la scientia moralis eccelleva su tutte le altre e che giustamente Avicenna, nella sua enciclopedia delle scienze, ne aveva fatto il completamento della Metafisica stessa (ma di un primato dell' etica avevano già parlato i commentatori a lui anteriori: vedi Zavattero 2010). Nell'utilizzazione di questo schema da parte del Convivio gli studiosi, a partire dal magistrale saggio di E. Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 100-113) hanno visto la spia di un vero e proprio spostamento di asse culturale. Dante, cioè, facendo dell'etica e non della metafisica la regina delle scienze profane, riorienterebbe il sapere delle scuole subordinandolo ad un progetto di riforma etico-politica rivolto ad un pubblico di laici (cfr. ultimamente Cheneval 1998). Che le intenzioni di Dante vadano in questa direzione non è dubbio. Nel caso specifico, però, le motivazioni da lui addotte per spiegare come all' Etica tocchi il cielo più alto dopo l'Empireo si fondano esclusivamente su una caratteristica esterna: il compito, che le è proprio, di orientare e salvare"" le altre scienze, mentre niente ci vien detto al livello di un rapporto tra contenuti. In questo Dante si avvicina ad autori come Giovanni di Jandun, Alberto Magno, Ruggero Bacone e lo stesso Tommaso, citati sia da Nardi che dal Commento Vasoli, sostenitori del carattere ""architettonico"" e ordinatore dell'etica-politica rispetto agli altri campi del sapere, sulla base di quanto ESPLICITAmente affermato da Aristotele in Eth. Nic. I 1, 1094 a 27-b 2. Essi peraltro, e tutti i commentatori della Metafisica che trovavano nel testo aristotelico una possibile minaccia alla supremazia della Filosofia Prima, avevano operato una distinzione tra l' ordinare quanto all'uso di una cosa e l' ordinare quanto alla struttura stessa di una cosa: solo il primo appartiene all' Etica. Del resto anche nel Convivio la Metafisica continuerà ad essere la scienza in cui la Filosofia ""con più fervore termina il suo viso"" e la vita contemplativa, basata sulle virtù intellettuali continuerà ad essere giudicata superiore a quella fondata esclusivamente sulle virtù morali (cfr. Cv III xi 16; IV xvii 11-12).",traduzione di Gerardo da Cremona,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divisione_scientiarum,De divisione scientiarum,Alfarabi,http://dbpedia.org/resource/Al-Farabi,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +HA COMPARAZIONE ASSAI MANIFESTA ALLA MORALE FILOSOFIA,"ha una chiara analogia con la filosofia morale'. L'ordine in cui Dante pone le scienze, con l' Etica al punto finale della classificazione, è abbastanza inusuale rispetto agli schemi normali, ma non così isolato come si è creduto. Esso risale al De divisione scientiarum di Alfarabi disponibile ai Latini nella traduzione di Gerardo da Cremona (cfr. Nardi 1944, pp.213-214) e proprio negli anni di Dante era stato ripreso a Firenze da Remigio dei Girolami in una sua predica (cfr. Panella 1979, pp. 46-47). Alberto Magno, nella parafrasi dell' Etica, aveva detto che la scientia moralis eccelleva su tutte le altre e che giustamente Avicenna, nella sua enciclopedia delle scienze, ne aveva fatto il completamento della Metafisica stessa (ma di un primato dell' etica avevano già parlato i commentatori a lui anteriori: vedi Zavattero 2010). Nell'utilizzazione di questo schema da parte del Convivio gli studiosi, a partire dal magistrale saggio di E. Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 100-113) hanno visto la spia di un vero e proprio spostamento di asse culturale. Dante, cioè, facendo dell'etica e non della metafisica la regina delle scienze profane, riorienterebbe il sapere delle scuole subordinandolo ad un progetto di riforma etico-politica rivolto ad un pubblico di laici (cfr. ultimamente Cheneval 1998). Che le intenzioni di Dante vadano in questa direzione non è dubbio. Nel caso specifico, però, le motivazioni da lui addotte per spiegare come all' Etica tocchi il cielo più alto dopo l'Empireo si fondano esclusivamente su una caratteristica esterna: il compito, che le è proprio, di orientare e salvare"" le altre scienze, mentre niente ci vien detto al livello di un rapporto tra contenuti. In questo Dante si avvicina ad autori come Giovanni di Jandun, Alberto Magno, Ruggero Bacone e lo stesso Tommaso, citati sia da Nardi che dal Commento Vasoli, sostenitori del carattere ""architettonico"" e ordinatore dell'etica-politica rispetto agli altri campi del sapere, sulla base di quanto ESPLICITAmente affermato da Aristotele in Eth. Nic. I 1, 1094 a 27-b 2. Essi peraltro, e tutti i commentatori della Metafisica che trovavano nel testo aristotelico una possibile minaccia alla supremazia della Filosofia Prima, avevano operato una distinzione tra l' ordinare quanto all'uso di una cosa e l' ordinare quanto alla struttura stessa di una cosa: solo il primo appartiene all' Etica. Del resto anche nel Convivio la Metafisica continuerà ad essere la scienza in cui la Filosofia ""con più fervore termina il suo viso"" e la vita contemplativa, basata sulle virtù intellettuali continuerà ad essere giudicata superiore a quella fondata esclusivamente sulle virtù morali (cfr. Cv III xi 16; IV xvii 11-12).",Remigio dei Girolami in una sua predica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divisione_scientiarum,De divisione scientiarum,Alfarabi,http://dbpedia.org/resource/Al-Farabi,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +HA COMPARAZIONE ASSAI MANIFESTA ALLA MORALE FILOSOFIA,"ha una chiara analogia con la filosofia morale'. L'ordine in cui Dante pone le scienze, con l' Etica al punto finale della classificazione, è abbastanza inusuale rispetto agli schemi normali, ma non così isolato come si è creduto. Esso risale al De divisione scientiarum di Alfarabi disponibile ai Latini nella traduzione di Gerardo da Cremona (cfr. Nardi 1944, pp.213-214) e proprio negli anni di Dante era stato ripreso a Firenze da Remigio dei Girolami in una sua predica (cfr. Panella 1979, pp. 46-47). Alberto Magno, nella parafrasi dell' Etica, aveva detto che la scientia moralis eccelleva su tutte le altre e che giustamente Avicenna, nella sua enciclopedia delle scienze, ne aveva fatto il completamento della Metafisica stessa (ma di un primato dell' etica avevano già parlato i commentatori a lui anteriori: vedi Zavattero 2010). Nell'utilizzazione di questo schema da parte del Convivio gli studiosi, a partire dal magistrale saggio di E. Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 100-113) hanno visto la spia di un vero e proprio spostamento di asse culturale. Dante, cioè, facendo dell'etica e non della metafisica la regina delle scienze profane, riorienterebbe il sapere delle scuole subordinandolo ad un progetto di riforma etico-politica rivolto ad un pubblico di laici (cfr. ultimamente Cheneval 1998). Che le intenzioni di Dante vadano in questa direzione non è dubbio. Nel caso specifico, però, le motivazioni da lui addotte per spiegare come all' Etica tocchi il cielo più alto dopo l'Empireo si fondano esclusivamente su una caratteristica esterna: il compito, che le è proprio, di orientare e salvare"" le altre scienze, mentre niente ci vien detto al livello di un rapporto tra contenuti. In questo Dante si avvicina ad autori come Giovanni di Jandun, Alberto Magno, Ruggero Bacone e lo stesso Tommaso, citati sia da Nardi che dal Commento Vasoli, sostenitori del carattere ""architettonico"" e ordinatore dell'etica-politica rispetto agli altri campi del sapere, sulla base di quanto ESPLICITAmente affermato da Aristotele in Eth. Nic. I 1, 1094 a 27-b 2. Essi peraltro, e tutti i commentatori della Metafisica che trovavano nel testo aristotelico una possibile minaccia alla supremazia della Filosofia Prima, avevano operato una distinzione tra l' ordinare quanto all'uso di una cosa e l' ordinare quanto alla struttura stessa di una cosa: solo il primo appartiene all' Etica. Del resto anche nel Convivio la Metafisica continuerà ad essere la scienza in cui la Filosofia ""con più fervore termina il suo viso"" e la vita contemplativa, basata sulle virtù intellettuali continuerà ad essere giudicata superiore a quella fondata esclusivamente sulle virtù morali (cfr. Cv III xi 16; IV xvii 11-12).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +HA COMPARAZIONE ASSAI MANIFESTA ALLA MORALE FILOSOFIA,"ha una chiara analogia con la filosofia morale'. L'ordine in cui Dante pone le scienze, con l' Etica al punto finale della classificazione, è abbastanza inusuale rispetto agli schemi normali, ma non così isolato come si è creduto. Esso risale al De divisione scientiarum di Alfarabi disponibile ai Latini nella traduzione di Gerardo da Cremona (cfr. Nardi 1944, pp.213-214) e proprio negli anni di Dante era stato ripreso a Firenze da Remigio dei Girolami in una sua predica (cfr. Panella 1979, pp. 46-47). Alberto Magno, nella parafrasi dell' Etica, aveva detto che la scientia moralis eccelleva su tutte le altre e che giustamente Avicenna, nella sua enciclopedia delle scienze, ne aveva fatto il completamento della Metafisica stessa (ma di un primato dell' etica avevano già parlato i commentatori a lui anteriori: vedi Zavattero 2010). Nell'utilizzazione di questo schema da parte del Convivio gli studiosi, a partire dal magistrale saggio di E. Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 100-113) hanno visto la spia di un vero e proprio spostamento di asse culturale. Dante, cioè, facendo dell'etica e non della metafisica la regina delle scienze profane, riorienterebbe il sapere delle scuole subordinandolo ad un progetto di riforma etico-politica rivolto ad un pubblico di laici (cfr. ultimamente Cheneval 1998). Che le intenzioni di Dante vadano in questa direzione non è dubbio. Nel caso specifico, però, le motivazioni da lui addotte per spiegare come all' Etica tocchi il cielo più alto dopo l'Empireo si fondano esclusivamente su una caratteristica esterna: il compito, che le è proprio, di orientare e salvare"" le altre scienze, mentre niente ci vien detto al livello di un rapporto tra contenuti. In questo Dante si avvicina ad autori come Giovanni di Jandun, Alberto Magno, Ruggero Bacone e lo stesso Tommaso, citati sia da Nardi che dal Commento Vasoli, sostenitori del carattere ""architettonico"" e ordinatore dell'etica-politica rispetto agli altri campi del sapere, sulla base di quanto ESPLICITAmente affermato da Aristotele in Eth. Nic. I 1, 1094 a 27-b 2. Essi peraltro, e tutti i commentatori della Metafisica che trovavano nel testo aristotelico una possibile minaccia alla supremazia della Filosofia Prima, avevano operato una distinzione tra l' ordinare quanto all'uso di una cosa e l' ordinare quanto alla struttura stessa di una cosa: solo il primo appartiene all' Etica. Del resto anche nel Convivio la Metafisica continuerà ad essere la scienza in cui la Filosofia ""con più fervore termina il suo viso"" e la vita contemplativa, basata sulle virtù intellettuali continuerà ad essere giudicata superiore a quella fondata esclusivamente sulle virtù morali (cfr. Cv III xi 16; IV xvii 11-12).","I 1, 1094 a 27-b 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECONDO CHE DICE TOMMASO SOPRA LO SECONDO DELL'ETICA,"si tratta piuttosto del Commento al primo libro, lectio 2, nn. 26-27.","primo libro, lectio 2, nn. 26-27",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME DICE LO FILOSOFO NEL QUINTO DELL'ETICA,"in realtà, come abbiamo visto, il testo aristotelico in cui si afferma che uno dei compiti della scientia civilis è stabilire quali scienze siano da coltivare nelle città e fino a qual punto non si trova nel quinto libro dell' Etica Nicomachea (che parla effettivamente della giustizia legale politica), bensì nel primo (I 1, 1094 a 27- b 2) e si riferisce non alla scienza morale in senso stretto, ma più in generale a quella politica; inoltre la citazione non è letterale (Aristotele non parla del pericolo che le scienze siano abbandonate). Possiamo pensare ad una contaminazione (se lo studio delle scienze è prescritto dalla scienza politica, lo sarà attraverso leggi, e della giustizia politica tratta il quinto libro dell' Etica Nicomachea), che produce una forzatura del testo.","I 1, 1094 a 27- b 2",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ONDE POGNAMO CHE,"per renderci conto di questo, ammettiamo per ipotesi che. Calco dal latino universitario 'unde ponamus quod'. Dante specifica le conseguenze di un' ipotetica cessazione del movimento del Primo Mobile: il cielo delle stelle fisse, se privo del moto diurno, avrebbe solo quello, lentissimo, lungo lo Zodiaco. Dalla creazione del mondo avrebbe percorso solo 65 gradi della sua orbita (6.500 anni diviso 100, il numero degli anni, ricordiamolo, necessari per procedere di un grado). Sommandoli ai 180 corrispondenti alla volta stellata visibile fin dal primo giorno si arriva a 245. Poiché l'intero è di 360 gradi, poco meno di un terzo rimarrebbe ancora invisibile ad ogni luogo della terra. Anche i pianeti si muoverebbero solo lungo l'eclittica: così essi rimarrebbero nascosti ai due emisferi per la metà del tempo impiegato a compiere la loro orbita, per il tempo, cioè, in cui viene percorsa la semisfera celeste opposta; il movimento del Cristallino, invece, fa loro percorrere ogni giorno tutta la volta celeste (i valori numerici si ottengono appunto dimezzando per ogni pianeta il tempo necessario per percorrere interamente lo Zodiaco, così come fornito da Alfragano. Vedi il rimando al Liber aggregationis in Toynbee, pp. 71-2).","Toynbee, pp. 71-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +LA DIVINA SCIENZA,"si tratta evidentemente della teologia, che sta al vertice delle scienze come l'Empireo sta al vertice del cosmo. In questa gerarchia Dante accetta pienamente il punto di vista corrente, condiviso sia dai filosofi che dai teologi (basterà per tutti rinviare al De regimine principum di Egidio Romano, II ii 8, p. 308). La teologia di cui parla il Convivio, che non ammette contrasti di dottrina o uso litigioso dell'argomentazione, (non soffera lite alcuna d'oppinione o uso di sofistici argomenti"") è però molto diversa da quella esercitata ed anche teorizzata nelle aule universitarie o negli Studi conventuali, che lungi dall'escludere ogni discussione, proprio della disputa usava come di uno strumento privilegiato: ""l'eccellentissima certezza"" del suo oggetto (""subietto"") sostenuta non solo da Dante, ma da tutti i professori di teologia non impediva affatto che ci fossero opinioni contrastanti di singoli e di scuole sostenute con tutti gli argomenti possibili (sì, proprio le ""liti d'oppinioni""). Nel tumultuoso panorama dell'Università di Parigi della seconda metà del '200 non c'è molto posto per la pace teologica. Dante ha conosciuto questo tipo di teologia, e non lo ha apprezzato: nel Paradiso Beatrice parlerà con poca simpatia delle ""vostre scole"" dove ""per apparer ciascun s'ingegna e face / sue invenzioni"" (che possono ben corrispondere agli argomenti sofistici, argomenti apparenti per eccellenza) e si dorrà che sulla terra si vada filosofando per più di un sentiero: cfr. Pd XXIX 85-95 dove trattandosi nello specifico di problemi legati alla natura degli angeli, quel ""filosofando"" vale un ""teologizzando"" (cfr. Nardi 1966, p. 42). Bisognerà allora sottolineare come Dante non adoperi qui, e neppure in alcun altro passo del Convivio il termine ""teologia"". L' espressione ""scienza divina"" risale sicuramente ad Aristotele che così aveva definito la Metafisica in quanto conoscenza posseduta in primo luogo da Dio stesso (cfr. Metaph. I 2, 983 a 5-7) e questo sembra anche il significato in cui la usa Dante: essa infatti coincide totalmente, per l'uomo viator, con i contenuti della fede (la 'fides quae creditur'), cioè con la dottrina lasciata ai discepoli da Cristo (""dando e lasciando a loro la sua dottrina, che è questa scienza di cui parlo"". La citazione è da Io 14, 27); se essa fa ""perfettamente il vero vedere"", se in questa visione la nostra anima si acquieta (""si cheta"") e trova definitivamente pace è perché in qualche modo essa anticipa qui in via la condizione dei beati in patria dove solo si vede ""pura / la verità che là giù si confonde"" (è ancora Beatrice che parla, Pd XXIX 73-74). Tra questo tipo di conoscenza e la filosofia non risulta alcun rapporto di integrazione o di subordinazione: i due ambiti rimangono del tutto distinti anche se, in qualche modo, i limiti del sapere filosofico umano sembrano racchiudere un appello alla visione completa della verità donata per grazia. Come l' Empireo fa parte e non fa parte del cosmo, perché è un luogo-non luogo, così la teologia vagheggiata da Dante chiude il sistema delle scienze essendone sostanzialmente diversa. A questo proposito rimangono fondamentali le notazioni di Etienne Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 114-122 ) riprese da K. Forster nella voce Teologia in ED (vol. V, pp. 564-8).","II ii 8, p. 308",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA DIVINA SCIENZA,"si tratta evidentemente della teologia, che sta al vertice delle scienze come l'Empireo sta al vertice del cosmo. In questa gerarchia Dante accetta pienamente il punto di vista corrente, condiviso sia dai filosofi che dai teologi (basterà per tutti rinviare al De regimine principum di Egidio Romano, II ii 8, p. 308). La teologia di cui parla il Convivio, che non ammette contrasti di dottrina o uso litigioso dell'argomentazione, (non soffera lite alcuna d'oppinione o uso di sofistici argomenti"") è però molto diversa da quella esercitata ed anche teorizzata nelle aule universitarie o negli Studi conventuali, che lungi dall'escludere ogni discussione, proprio della disputa usava come di uno strumento privilegiato: ""l'eccellentissima certezza"" del suo oggetto (""subietto"") sostenuta non solo da Dante, ma da tutti i professori di teologia non impediva affatto che ci fossero opinioni contrastanti di singoli e di scuole sostenute con tutti gli argomenti possibili (sì, proprio le ""liti d'oppinioni""). Nel tumultuoso panorama dell'Università di Parigi della seconda metà del '200 non c'è molto posto per la pace teologica. Dante ha conosciuto questo tipo di teologia, e non lo ha apprezzato: nel Paradiso Beatrice parlerà con poca simpatia delle ""vostre scole"" dove ""per apparer ciascun s'ingegna e face / sue invenzioni"" (che possono ben corrispondere agli argomenti sofistici, argomenti apparenti per eccellenza) e si dorrà che sulla terra si vada filosofando per più di un sentiero: cfr. Pd XXIX 85-95 dove trattandosi nello specifico di problemi legati alla natura degli angeli, quel ""filosofando"" vale un ""teologizzando"" (cfr. Nardi 1966, p. 42). Bisognerà allora sottolineare come Dante non adoperi qui, e neppure in alcun altro passo del Convivio il termine ""teologia"". L' espressione ""scienza divina"" risale sicuramente ad Aristotele che così aveva definito la Metafisica in quanto conoscenza posseduta in primo luogo da Dio stesso (cfr. Metaph. I 2, 983 a 5-7) e questo sembra anche il significato in cui la usa Dante: essa infatti coincide totalmente, per l'uomo viator, con i contenuti della fede (la 'fides quae creditur'), cioè con la dottrina lasciata ai discepoli da Cristo (""dando e lasciando a loro la sua dottrina, che è questa scienza di cui parlo"". La citazione è da Io 14, 27); se essa fa ""perfettamente il vero vedere"", se in questa visione la nostra anima si acquieta (""si cheta"") e trova definitivamente pace è perché in qualche modo essa anticipa qui in via la condizione dei beati in patria dove solo si vede ""pura / la verità che là giù si confonde"" (è ancora Beatrice che parla, Pd XXIX 73-74). Tra questo tipo di conoscenza e la filosofia non risulta alcun rapporto di integrazione o di subordinazione: i due ambiti rimangono del tutto distinti anche se, in qualche modo, i limiti del sapere filosofico umano sembrano racchiudere un appello alla visione completa della verità donata per grazia. Come l' Empireo fa parte e non fa parte del cosmo, perché è un luogo-non luogo, così la teologia vagheggiata da Dante chiude il sistema delle scienze essendone sostanzialmente diversa. A questo proposito rimangono fondamentali le notazioni di Etienne Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 114-122 ) riprese da K. Forster nella voce Teologia in ED (vol. V, pp. 564-8).","I 2, 983 a 5-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICE SALOMONE,"cfr. Ct 6, 7 Sexagintae sunt reginae et octoginta concubinae et adulescentularum non est numerus; una est columba mea, perfecta mea"" (nel testo del Cantico non sono presenti i termini ""amiche"" e ""ancelle"" aggiunti da Dante).","Ct 6, 7 Sexagintae sunt reginae et octoginta concubinae et adulescentularum non est numerus; una est columba mea, perfecta mea""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +GLORIOSA DI LIBERTADE,"essere libero significa essere padrone di se stesso (cfr Metaph. I 2, 982 b 25-26) e solo esercitando la razionalità l'uomo si possiede pienamente (vedi Cv III xiv 9-10)","I 2, 982 b 25-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI OCCHI ... DEMONSTRAZIONI,"come aveva affermato Alberto Magno (e prima di lui Averroè) il dimostrare è carattere distintivo della Filosofia (e dei filosofi). Ma esser conquistata dalle dimostrazioni della Filosofia e vivere sotto le sue regole (nelle sue condizioni"") significa per l'anima conquistare la libertà. (""l'anima liberata""). La metafora degli occhi della donna - dimostrazioni della filosofia tornerà in Cv. III xv 2 e IV ii 17.","cap. IX, p. 112, l. 24",CONCORDANZA GENERICA,,,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +LI OCCHI ... DEMONSTRAZIONI,"come aveva affermato Alberto Magno (e prima di lui Averroè) il dimostrare è carattere distintivo della Filosofia (e dei filosofi). Ma esser conquistata dalle dimostrazioni della Filosofia e vivere sotto le sue regole (nelle sue condizioni"") significa per l'anima conquistare la libertà. (""l'anima liberata""). La metafora degli occhi della donna - dimostrazioni della filosofia tornerà in Cv. III xv 2 e IV ii 17.","cap. IX, p. 112, l. 24",CONCORDANZA GENERICA,,,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +LA MORTE DELLA IGNORANZA,"come abbiamo già intravisto (cfr. Cv I xiii 12) e come vedremo ancora meglio in seguito (cfr. Cv IV vii 11-12), per Dante, d'accordo in questo con Averroè, con Sigieri di Brabante, e con 'molt'altri', l'uomo che non esercita a pieno la sua facoltà intellettiva è uomo solo all'apparenza, e la sua vita è, per dirla con le parole di Seneca citate da Sigieri di Brabante nel De anima intellectiva, una vivi hominis sepultura"" (cfr. De anima intellectiva, cap. IX, p. 112, l. 24).","cap. IX, p. 112, l. 24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima_intellectiva,De anima intellectiva,Sigieri di Brabante,http://dbpedia.org/resource/Siger_of_Brabant,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +MISERE E VILI DELETTAZIONI,"piaceri bassi e miserabili', cioè tutti quelli che contrastano con l'attività dell'intelletto. Come scrive Boezio di Dacia la delectatio sensibilis"" è ""minor et vilior"" di quella intellettuale (cfr. De summo bono, p. 370).",p. 370,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VULGARI COSTUMI,"comportamenti propri della massa, del volgo'. Sul contrasto tra le opinioni della massa e quella dei pochi relativamente alla felicità cfr. Eth. Nic. I 4, 1095 a 20-23; 5, 1095 b 16 sgg.","I 4, 1095 a 20-23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VULGARI COSTUMI,"comportamenti propri della massa, del volgo'. Sul contrasto tra le opinioni della massa e quella dei pochi relativamente alla felicità cfr. Eth. Nic. I 4, 1095 a 20-23; 5, 1095 b 16 sgg.","I 5, 1095 b 16 sgg",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ADORNAMENTI DELLI MIRACOLI,"Dante ritiene miracolo"" sinonimo di cosa meravigliosa (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 101, n. 2763 "" hoc sonat nomen 'miraculi', quod scilicet sit de se admiratione plenum"") e meravigliose sono le cose che suscitano meraviglia in chi le osserva. Nell'interpretazione allegorica gli ""ornamenti"" di queste realtà consistono nello svelare le loro cause (""vedere le cagioni di quelle""). Proprio questo fa la Filosofia (""le quali ella dimostra""): questo infatti sembra voler dire (""sentire"") Aristotele quando al principio della Metafisica dice che gli uomini cominciarono a filosofare (metaforicamente ""cominciaro ad innamorare di questa donna"") proprio per conoscere le cause di ciò che suscitava in loro meraviglia (""per questi adornamenti vedere""). In effetti nel secondo capitolo del primo libro della Metafisica (982 b 12-13) Aristotele pone l'inizio della riflessione filosofica nella meraviglia provata davanti ai fenomeni naturali ""Nam propter admirari coeperunt homines philosophari"". Meravigliarsi significa però non conoscere ancora la causa di ciò che ci colpisce. Filosofare è cercarla e scoprirla, cioè superare e dissolvere quel che costituiva la sua motivazione iniziale (cfr. Metaph. I 2, 982 b 13-18; 983 a 11-18).","III, cap. 101, n. 2763 "" hoc sonat nomen 'miraculi', quod scilicet sit de se admiratione plenum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ADORNAMENTI DELLI MIRACOLI,"Dante ritiene miracolo"" sinonimo di cosa meravigliosa (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 101, n. 2763 "" hoc sonat nomen 'miraculi', quod scilicet sit de se admiratione plenum"") e meravigliose sono le cose che suscitano meraviglia in chi le osserva. Nell'interpretazione allegorica gli ""ornamenti"" di queste realtà consistono nello svelare le loro cause (""vedere le cagioni di quelle""). Proprio questo fa la Filosofia (""le quali ella dimostra""): questo infatti sembra voler dire (""sentire"") Aristotele quando al principio della Metafisica dice che gli uomini cominciarono a filosofare (metaforicamente ""cominciaro ad innamorare di questa donna"") proprio per conoscere le cause di ciò che suscitava in loro meraviglia (""per questi adornamenti vedere""). In effetti nel secondo capitolo del primo libro della Metafisica (982 b 12-13) Aristotele pone l'inizio della riflessione filosofica nella meraviglia provata davanti ai fenomeni naturali ""Nam propter admirari coeperunt homines philosophari"". Meravigliarsi significa però non conoscere ancora la causa di ciò che ci colpisce. Filosofare è cercarla e scoprirla, cioè superare e dissolvere quel che costituiva la sua motivazione iniziale (cfr. Metaph. I 2, 982 b 13-18; 983 a 11-18).","I 2, 982 b 13-18; 983 a 11-18",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PITTAGORA ...,"che i termini filosofo"" e ""filosofia"" fossero stati usati per la prima volta da Pitagora era dottrina vulgata nel Medioevo: dalle Tusculanae Disputationes di Cicerone (V, 3, 8-9) infatti, era passata in un testo di amplissima diffusione come il De civitate Dei (VIII 2, p. 217. Cfr. Cv III xi 5. Cfr. anche il Commento di Tommaso a Metaph. I, lectio 3, n. 56).","V, 3, 8-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Tusculanae_disputationes,Tusculanae Disputationes,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PITTAGORA ...,"che i termini filosofo"" e ""filosofia"" fossero stati usati per la prima volta da Pitagora era dottrina vulgata nel Medioevo: dalle Tusculanae Disputationes di Cicerone (V, 3, 8-9) infatti, era passata in un testo di amplissima diffusione come il De civitate Dei (VIII 2, p. 217. Cfr. Cv III xi 5. Cfr. anche il Commento di Tommaso a Metaph. I, lectio 3, n. 56).","VIII 2, p. 217",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +PITTAGORA ...,"che i termini filosofo"" e ""filosofia"" fossero stati usati per la prima volta da Pitagora era dottrina vulgata nel Medioevo: dalle Tusculanae Disputationes di Cicerone (V, 3, 8-9) infatti, era passata in un testo di amplissima diffusione come il De civitate Dei (VIII 2, p. 217. Cfr. Cv III xi 5. Cfr. anche il Commento di Tommaso a Metaph. I, lectio 3, n. 56).","I, lectio 3, n. 56",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AVVEGNA CHE ... DELIBERAI,"nonostante (avvegna che"") la forza d'amore indebolisse in Dante la facoltà di soppesare e valutare secondo ragione le azioni da compiere (questo è il significato tecnico del ""consilio"" che il poeta confessa di aver poca capacità, ""poca potestade"" di padroneggiare), tuttavia (""pure""), o per intervento diretto di Amore o per piena e personale disponibilità (""prontezza""), egli ha discusso con se stesso cosa fare (""ad esso m' accostai"") più e più volte (""per più fiate"") finché (""in tanto ... che"") non ebbe raggiunto una decisione. ""Deliberare"" è l'atto che deriva direttamente dal ""consigliarsi"". Tutta la terminologia è attinta dai capitoli 2 e 3 del terzo libro dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele esamina le componenti dell'azione volontaria e dal commento corrispondente di Tommaso.",capitoli 2 e 3 del terzo libro dell' Etica Nicomachea,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +AVVEGNA CHE ... DELIBERAI,"nonostante (avvegna che"") la forza d'amore indebolisse in Dante la facoltà di soppesare e valutare secondo ragione le azioni da compiere (questo è il significato tecnico del ""consilio"" che il poeta confessa di aver poca capacità, ""poca potestade"" di padroneggiare), tuttavia (""pure""), o per intervento diretto di Amore o per piena e personale disponibilità (""prontezza""), egli ha discusso con se stesso cosa fare (""ad esso m' accostai"") più e più volte (""per più fiate"") finché (""in tanto ... che"") non ebbe raggiunto una decisione. ""Deliberare"" è l'atto che deriva direttamente dal ""consigliarsi"". Tutta la terminologia è attinta dai capitoli 2 e 3 del terzo libro dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele esamina le componenti dell'azione volontaria e dal commento corrispondente di Tommaso.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SIMILITUDINE S'INTENDE,"si deve pensare ad una qualche forma di somiglianza'. Che l'amicizia si basi sulla somiglianza e l'uguaglianza è dottrina dell'etica aristotelica (cfr. Eth. Nic. VIII 8, 1159 b 2-3).","VIII 8, 1159 b 2-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"Dante fa riferimento ad alcuni elementi della dottrina aristotelica sull'amicizia. Nei capitoli settimo del libro ottavo e primo del libro nono dell' Etica Nicomachea (a quest'ultimo Dante rimanda in modo esplicito) Aristotele aveva concesso che, là dove le differenze non sono insormontabili (caso limite, quelle tra uomini e dei), è possibile anche amicizia tra inferiori e superiori (tra persone dissimili di stato"", diverse cioè per condizione sociale e politica) purché si introduca un correttivo: in questo tipo di amicizia, infatti, non si ha una relazione simmetrica in cui l'amico riceve in pari misura a quanto dà, ma bisogna, perché l'amicizia si conservi (""a conservazione di quella"") che lo scambio sia proporzionato (""conviene ... una proporzione essere intra loro"") in modo che chi è superiore riceva più di quanto non dia. Questa proporzione in qualche modo riconduce la differenza iniziale ad una somiglianza (""che la dissimilitudine a similitudine quasi reduca"". Cfr. Eth. Nic. VIII 7, 1158b 23-28; IX 1, 1163 b 32-33). Nella Lettera a Cangrande Dante fonda su questa dottrina la possibilità di dichiararsi amico del Signore di Verona, inviandogli come dono adeguato la terza cantica della Commedia ""Itaque cum in dogmatibus moralis negotii amicitiam adaequari et salvari analogo doceatur, ad retribuendum pro collatis beneficiis plus quam semel analogiam mihi sequi votivum est "" (cfr. Ep. XIII 10-11, pp. 604-605).","VIII 7, 1158b 23-28",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"Dante fa riferimento ad alcuni elementi della dottrina aristotelica sull'amicizia. Nei capitoli settimo del libro ottavo e primo del libro nono dell' Etica Nicomachea (a quest'ultimo Dante rimanda in modo esplicito) Aristotele aveva concesso che, là dove le differenze non sono insormontabili (caso limite, quelle tra uomini e dei), è possibile anche amicizia tra inferiori e superiori (tra persone dissimili di stato"", diverse cioè per condizione sociale e politica) purché si introduca un correttivo: in questo tipo di amicizia, infatti, non si ha una relazione simmetrica in cui l'amico riceve in pari misura a quanto dà, ma bisogna, perché l'amicizia si conservi (""a conservazione di quella"") che lo scambio sia proporzionato (""conviene ... una proporzione essere intra loro"") in modo che chi è superiore riceva più di quanto non dia. Questa proporzione in qualche modo riconduce la differenza iniziale ad una somiglianza (""che la dissimilitudine a similitudine quasi reduca"". Cfr. Eth. Nic. VIII 7, 1158b 23-28; IX 1, 1163 b 32-33). Nella Lettera a Cangrande Dante fonda su questa dottrina la possibilità di dichiararsi amico del Signore di Verona, inviandogli come dono adeguato la terza cantica della Commedia ""Itaque cum in dogmatibus moralis negotii amicitiam adaequari et salvari analogo doceatur, ad retribuendum pro collatis beneficiis plus quam semel analogiam mihi sequi votivum est "" (cfr. Ep. XIII 10-11, pp. 604-605).","IX 1, 1163 b 32-33",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LO SIGNORE E LO SERVO,"un accenno alla possibile amicizia tra padrone e servo, non però in quanto servo, ma in quanto uomo, si trova in Eth. Nic. VIII 10, 1161 b 2-8. Precedentemente Aristotele aveva parlato dei possibili rapporti di amicizia tra governanti e governati (cfr. VIII, 7, 1158 b 13-14). Probabilmente Dante, in maniera analoga ad altri autori medievali, trascrive una relazione di tipo politico in termini di rapporti sociali, favorito in questo anche dalla traduzione latina (Altera amicitiae species ... puta ... omni imperanti ad imperatum"").","VIII 10, 1161 b 2-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LO SIGNORE E LO SERVO,"un accenno alla possibile amicizia tra padrone e servo, non però in quanto servo, ma in quanto uomo, si trova in Eth. Nic. VIII 10, 1161 b 2-8. Precedentemente Aristotele aveva parlato dei possibili rapporti di amicizia tra governanti e governati (cfr. VIII, 7, 1158 b 13-14). Probabilmente Dante, in maniera analoga ad altri autori medievali, trascrive una relazione di tipo politico in termini di rapporti sociali, favorito in questo anche dalla traduzione latina (Altera amicitiae species ... puta ... omni imperanti ad imperatum"").","VIII, 7, 1158 b 13-14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +COME DICE BOEZIO,"cfr. De consolatione philosophiae II, prosa 1, 15, p. 30: Neque enim quod ante oculos situm est, suffecerit intueri"" ripreso dal Trésor di Brunetto Latini (II LX 2, p. 462).","II, prosa 1, 15, p. 30: Neque enim quod ante oculos situm est, suffecerit intueri""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +COME DICE BOEZIO,"cfr. De consolatione philosophiae II, prosa 1, 15, p. 30: Neque enim quod ante oculos situm est, suffecerit intueri"" ripreso dal Trésor di Brunetto Latini (II LX 2, p. 462).","II LX 2, p. 462",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +UNIMENTO ... SPIRITUALE,"che ogni forma di amore sia una 'vis unitiva' è dottrina dello pseudo Dionigi Areopagita (De divinis nominibus 4 amorem sive divinum sive angelicum sive intellectualem sive animalem sive naturalem dicamus, unitivam quandam et concretivam intelligemus virtutem"" PG 3, p. 713 A; Dyonisiaca I, p. 224). I testi attribuiti a questo discepolo ateniese di Paolo (cfr. Cv II v 8), ma in realtà non anteriori al VI secolo dopo Cristo, trasmettevano al Medioevo una teologia sostanziata di elementi neo-platonici mutuati soprattutto da Proclo. La definizione dell' amor come forza di unione tra due cose era da qui passata sia in Alberto Magno che in Tommaso. La precisazione ""spirituale"" vuole operare una distinzione nei confronti della tradizione poetica e della trattatistica medica che, pur differenziandosi per molti aspetti, facevano comunque nascere l'amore dalla sensazione fisica e lo consideravano come una passione corporea.","PG 3, p. 713 A; Dyonisiaca I, p. 224",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divinis_nominibus,De divinis nominibus,Dionigi Areopagita (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Dionysius_the_Areopagite,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +E LA RAGIONE DI QUESTA ...,"a partire da qui e fino al paragrafo 8 Dante fornisce una complessa ed articolata spiegazione del processo di unione spirituale. L'amore così inteso ha come presupposto una grandiosa struttura metafisica, dal cui vertice, Dio, fluiscono insieme essere e bene. Le singole realtà che li ricevono ne partecipano tutte sia pure secondo gradi diversi e sono dunque buone e desiderabili. L'anima umana, che più riceve della natura divina che alcun'altra"" imita Dio desiderando per natura di permanere nell'essere; così facendo desidera essere unita a Dio per conservare la sua esistenza e poiché, come abbiamo visto, le altre realtà naturali partecipano della bontà divina, l'anima desidera unirsi anche a loro, e più con quelle che più ne partecipano. Il testo portato in campo da Dante è il Liber de causis (""Libro di cagioni"") un riadattamento della Elementatio Theologica di Proclo, integrata con testi di Plotino, effettuato a Bagdad, nel circolo del primo filosofo arabo, Al-Kindi. L'opuscolo, (costituito da 31 proposizioni seguite da un commento, secondo il modello degli Elementi di Euclide) era stato tradotto in latino da Gerardo da Cremona a Toledo nella seconda metà del XII secolo (l'ipotesi che esso sia stato non solo tradotto, ma anche composto in Spagna è ormai comunemente respinta). Adottato nell'insegnamento filosofico universitario aveva avuto una diffusione larghissima ed era stato commentato dai maggiori rappresentanti del pensiero medievale: Alberto Magno, Sigieri di Brabante, Tommaso, Egidio Romano. Fino a quando Guglielmo di Moerbeke non tradusse nel 1268 l' Elementatio Theologica di Proclo e dette quindi modo a Tommaso di rilevarne la sorprendente parentela con il De causis, lo scritto fu generalmente attribuito ad Aristotele. Poiché in questo paragrafo del Convivio Dante traduce parola per parola parte della proposizione XIX (XX), p. 89 ""Et diversificantur bonitates et dona ex concursu recipientis"": ""E fannosi diverse le bontadi e i doni per lo concorrimento della cosa che riceve"" (stranamente questa citazione non è presa in considerazione dal Nardi nel suo lavoro sulle citazioni dantesche del Liber de causis. Vedi Nardi 1967, pp. 81-102), potremmo pensare ad una sua conoscenza diretta del testo (altra traduzione letterale di un'altra parte della medesima proposizione in Cv III vii 2-3.). Per altro in Cv IV xxi 9 un'altra citazione dal De causis sembra mediata da Alberto Magno.",Guglielmo di Moerbeke non tradusse nel 1268,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CIASCUNO EFFETTO,"l'affermazione generale che ogni effetto mantiene in sé (""ritegna"") un qualcosa della natura della sua causa non è presente alla lettera nel Liber de causis, ma forse è derivabile dalla proposizione XVII (citata dal Vasoli e ripresa dallo Cheneval) in cui si dice che se ogni causa dà qualcosa al suo causato, l'essere primo darà a tutti gli enti l'essere.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +N' HA IN ALCUNO MODO CIRCULARE ESSERE,"ne deriva la proprietà di essere in qualche modo circolare'. Dante dà alle affermazioni del De motibus di Alpetragio - Al-Bitruji una portata generale che esse non hanno: Alpetragio infatti, quando dice che il movimento circolare del cielo imprime al fuoco nella sua sfera un movimento anch'esso circolare, non sembra volerne fare il caso particolare di una legge universale (il testo del De motibus in Nardi 1967, pp. 161-162).","Nardi 1967, pp. 161-162",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_motibus(Alpetragio),De motibus,Alpetragio,http://dbpedia.org/resource/Nur_ad-Din_al-Bitruji,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +MA DA QUELLE [è] PARTICIPATA,"il modo con cui le forme possiedono l'essere divino è quello della partecipazione"", un concetto genuinamente platonico, ripreso ed elaborato da Tommaso (cfr. il commento a Phys. I, lectio 15, n. 135: ""Omnis forma est quaedam participatio similitudinis divini esse"").","I, lectio 15, n. 135: ""Omnis forma est quaedam participatio similitudinis divini esse""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_octo_libros_Physicorum(Tommaso),Commentaria in octo libros Physicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER LO MODO QUASI CHE,"quasi nello stesso modo in cui'. Il paragone con il rapporto tra il sole e gli altri astri rimanda ad alcuni testi in cui sia lo pseudo Dionigi Areopagita sia Alberto Magno presentano un parallelo tra il sole come fonte di luce e la causa prima come fonte di bene e di essere (cfr. De divinis nominibus 4 Etenim sicut noster sol ... per ipsum esse illuminat omnia participare lumine ipsius secundum propria rationem valentia, ita quidem et bonum super solem ... per ipsam essentiam omnibus existentibus proportionaliter immittit totius bonitatis radios"", PG 3, p. 693 B; Dionysiaca I, p. 149; De causis et processu universitatis I, tr. 1, cap. 10, p. 24, ll. 3-14 e soprattutto I, tr. 4, cap. 1, p. 43, ll. 14-23). In nessuno di questi, però, si parla di una partecipazione di natura.","4 Etenim sicut noster sol ... per ipsum esse illuminat omnia participare lumine ipsius secundum propria rationem valentia, ita quidem et bonum super solem ... per ipsam essentiam omnibus existentibus proportionaliter immittit totius bonitatis radios"", PG 3, p. 693 B; Dionysiaca I, p. 149; D""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divinis_nominibus,De divinis nominibus,Dionigi Areopagita (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Dionysius_the_Areopagite,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +PER LO MODO QUASI CHE,"quasi nello stesso modo in cui'. Il paragone con il rapporto tra il sole e gli altri astri rimanda ad alcuni testi in cui sia lo pseudo Dionigi Areopagita sia Alberto Magno presentano un parallelo tra il sole come fonte di luce e la causa prima come fonte di bene e di essere (cfr. De divinis nominibus 4 Etenim sicut noster sol ... per ipsum esse illuminat omnia participare lumine ipsius secundum propria rationem valentia, ita quidem et bonum super solem ... per ipsam essentiam omnibus existentibus proportionaliter immittit totius bonitatis radios"", PG 3, p. 693 B; Dionysiaca I, p. 149; De causis et processu universitatis I, tr. 1, cap. 10, p. 24, ll. 3-14 e soprattutto I, tr. 4, cap. 1, p. 43, ll. 14-23). In nessuno di questi, però, si parla di una partecipazione di natura.","De causis et processu universitatis I, tr. 1, cap. 10, p. 24, ll. 3-14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_causis_et_processu_universitatis,De causis et processu universitatis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER LO MODO QUASI CHE,"quasi nello stesso modo in cui'. Il paragone con il rapporto tra il sole e gli altri astri rimanda ad alcuni testi in cui sia lo pseudo Dionigi Areopagita sia Alberto Magno presentano un parallelo tra il sole come fonte di luce e la causa prima come fonte di bene e di essere (cfr. De divinis nominibus 4 Etenim sicut noster sol ... per ipsum esse illuminat omnia participare lumine ipsius secundum propria rationem valentia, ita quidem et bonum super solem ... per ipsam essentiam omnibus existentibus proportionaliter immittit totius bonitatis radios"", PG 3, p. 693 B; Dionysiaca I, p. 149; De causis et processu universitatis I, tr. 1, cap. 10, p. 24, ll. 3-14 e soprattutto I, tr. 4, cap. 1, p. 43, ll. 14-23). In nessuno di questi, però, si parla di una partecipazione di natura.","I, tr. 4, cap. 1, p. 43, ll. 14-23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_causis_et_processu_universitatis,De causis et processu universitatis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NATURALISSIMO È IN DIO VOLERE ESSERE,"che Dio, per la sua stessa natura, voglia essere poteva in qualche modo leggersi nel Commento di Tommaso all' Etica Nicomachea IX, lectio 4, n. 1807 Unusquisque vult se esse inquantum conservatur id quod ipse est. Id autem quod maxime conservatur in suo esse, est Deus"".","IX, lectio 4, n. 1807 ""Unusquisque vult se esse inquantum conservatur id quod ipse est. Id autem quod maxime conservatur in suo esse, est Deus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME NELLO ALLEGATO LIBRO SI LEGGE,"il rimando al già citato (allegato"") Liber de Causis è un esempio di come Dante utilizzi le sue auctoritates decontestualizzandole e in questo caso addirittura modificandole. La frase ""prima cosa è l'essere e anzi a quello nulla è"" traduce la quarta proposizione ""prima rerum creatarum est esse et non est ante ipsum creatum aliud"" (p. 54), ma, eliminando i termini ""creatarum"" e ""creatum"" ne modifica sostanzialmente il significato: l'essere non è più, come nel modello neoplatonico di Proclo, la prima produzione del Primo Principio, ma il primo Principio stesso, cioè Dio, che volendo se stesso, vuole essere (vedi Nardi 1967, pp. 95-97). L'anima umana, partecipando al massimo grado della natura divina, con tutte le sue forze (""con tutto desiderio"") vuole anch'essa esistere. Ma proprio perché il suo essere dipende da Dio e per mezzo suo si mantiene (""per quello si conserva""; tutta la frase è calco, anche stilistico, di un topos diffusissimo nei testi filosofici universitari: 'res a Deo non solum sunt sed etiam conservantur in esse') essa, per potenziare (""fortificare"") il proprio essere desidera mantenersi unita a Dio.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO ADUNQUE,"per definire in maniera corretta il termine mente"" Dante riassume in questo paragrafo e nei seguenti la dottrina aristotelica sull'anima e le sue diverse facoltà, utilizzando sia il De anima, sia l' Etica Nicomachea, introducendo però, proprio per quel che riguarda la mente-intelletto, concetti e terminologia di tutt'altra tradizione filosofica . Il primo riferimento (""lo Filosofo nel secondo dell'anima ... dice"") risulta da una semplificazione dei capp. 2 e 3 del secondo libro del De anima dove Aristotele formulando la definizione di anima, analizza le caratteristiche del vivente riassumendole infine nelle facoltà nutritiva, sensitiva, razionale e motrice (II 2, 413 b 10-13. Cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 178, n. 49) ""Anima est principium quo primo et principaliter vivimus, intelligimus, sentimus et movemur secundum locum""). La dottrina di una identità sostanziale tra facoltà sensitiva e facoltà motrice (""questa si può col sentire fare una"") non è presente nel testo aristotelico. Aristotele afferma però che la sensibilità, anche nelle sue forme più semplici (presenza tra tutti i sensi del solo tatto: ""o con alcuno solo"") è la condizione necessaria perché sia presente nel vivente la facoltà desiderativa (II 3, 414 b 1 sgg.) e nel terzo libro sembra riferire proprio a quest'ultima la capacità di muoversi localmente (III 10-11). Dante ha dunque operato un collegamento che, ancora una volta, risulta semplificativo rispetto alla complessità della trattazione aristotelica.",capp. 2 e 3 del secondo libro del De anima,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO ADUNQUE,"per definire in maniera corretta il termine mente"" Dante riassume in questo paragrafo e nei seguenti la dottrina aristotelica sull'anima e le sue diverse facoltà, utilizzando sia il De anima, sia l' Etica Nicomachea, introducendo però, proprio per quel che riguarda la mente-intelletto, concetti e terminologia di tutt'altra tradizione filosofica . Il primo riferimento (""lo Filosofo nel secondo dell'anima ... dice"") risulta da una semplificazione dei capp. 2 e 3 del secondo libro del De anima dove Aristotele formulando la definizione di anima, analizza le caratteristiche del vivente riassumendole infine nelle facoltà nutritiva, sensitiva, razionale e motrice (II 2, 413 b 10-13. Cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 178, n. 49) ""Anima est principium quo primo et principaliter vivimus, intelligimus, sentimus et movemur secundum locum""). La dottrina di una identità sostanziale tra facoltà sensitiva e facoltà motrice (""questa si può col sentire fare una"") non è presente nel testo aristotelico. Aristotele afferma però che la sensibilità, anche nelle sue forme più semplici (presenza tra tutti i sensi del solo tatto: ""o con alcuno solo"") è la condizione necessaria perché sia presente nel vivente la facoltà desiderativa (II 3, 414 b 1 sgg.) e nel terzo libro sembra riferire proprio a quest'ultima la capacità di muoversi localmente (III 10-11). Dante ha dunque operato un collegamento che, ancora una volta, risulta semplificativo rispetto alla complessità della trattazione aristotelica.","p. 178, n. 49",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO ADUNQUE,"per definire in maniera corretta il termine mente"" Dante riassume in questo paragrafo e nei seguenti la dottrina aristotelica sull'anima e le sue diverse facoltà, utilizzando sia il De anima, sia l' Etica Nicomachea, introducendo però, proprio per quel che riguarda la mente-intelletto, concetti e terminologia di tutt'altra tradizione filosofica . Il primo riferimento (""lo Filosofo nel secondo dell'anima ... dice"") risulta da una semplificazione dei capp. 2 e 3 del secondo libro del De anima dove Aristotele formulando la definizione di anima, analizza le caratteristiche del vivente riassumendole infine nelle facoltà nutritiva, sensitiva, razionale e motrice (II 2, 413 b 10-13. Cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 178, n. 49) ""Anima est principium quo primo et principaliter vivimus, intelligimus, sentimus et movemur secundum locum""). La dottrina di una identità sostanziale tra facoltà sensitiva e facoltà motrice (""questa si può col sentire fare una"") non è presente nel testo aristotelico. Aristotele afferma però che la sensibilità, anche nelle sue forme più semplici (presenza tra tutti i sensi del solo tatto: ""o con alcuno solo"") è la condizione necessaria perché sia presente nel vivente la facoltà desiderativa (II 3, 414 b 1 sgg.) e nel terzo libro sembra riferire proprio a quest'ultima la capacità di muoversi localmente (III 10-11). Dante ha dunque operato un collegamento che, ancora una volta, risulta semplificativo rispetto alla complessità della trattazione aristotelica.","II 3, 414 b 1 sgg.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO ADUNQUE,"per definire in maniera corretta il termine mente"" Dante riassume in questo paragrafo e nei seguenti la dottrina aristotelica sull'anima e le sue diverse facoltà, utilizzando sia il De anima, sia l' Etica Nicomachea, introducendo però, proprio per quel che riguarda la mente-intelletto, concetti e terminologia di tutt'altra tradizione filosofica . Il primo riferimento (""lo Filosofo nel secondo dell'anima ... dice"") risulta da una semplificazione dei capp. 2 e 3 del secondo libro del De anima dove Aristotele formulando la definizione di anima, analizza le caratteristiche del vivente riassumendole infine nelle facoltà nutritiva, sensitiva, razionale e motrice (II 2, 413 b 10-13. Cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 178, n. 49) ""Anima est principium quo primo et principaliter vivimus, intelligimus, sentimus et movemur secundum locum""). La dottrina di una identità sostanziale tra facoltà sensitiva e facoltà motrice (""questa si può col sentire fare una"") non è presente nel testo aristotelico. Aristotele afferma però che la sensibilità, anche nelle sue forme più semplici (presenza tra tutti i sensi del solo tatto: ""o con alcuno solo"") è la condizione necessaria perché sia presente nel vivente la facoltà desiderativa (II 3, 414 b 1 sgg.) e nel terzo libro sembra riferire proprio a quest'ultima la capacità di muoversi localmente (III 10-11). Dante ha dunque operato un collegamento che, ancora una volta, risulta semplificativo rispetto alla complessità della trattazione aristotelica.",III 10-11,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO ADUNQUE,"per definire in maniera corretta il termine mente"" Dante riassume in questo paragrafo e nei seguenti la dottrina aristotelica sull'anima e le sue diverse facoltà, utilizzando sia il De anima, sia l' Etica Nicomachea, introducendo però, proprio per quel che riguarda la mente-intelletto, concetti e terminologia di tutt'altra tradizione filosofica . Il primo riferimento (""lo Filosofo nel secondo dell'anima ... dice"") risulta da una semplificazione dei capp. 2 e 3 del secondo libro del De anima dove Aristotele formulando la definizione di anima, analizza le caratteristiche del vivente riassumendole infine nelle facoltà nutritiva, sensitiva, razionale e motrice (II 2, 413 b 10-13. Cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 178, n. 49) ""Anima est principium quo primo et principaliter vivimus, intelligimus, sentimus et movemur secundum locum""). La dottrina di una identità sostanziale tra facoltà sensitiva e facoltà motrice (""questa si può col sentire fare una"") non è presente nel testo aristotelico. Aristotele afferma però che la sensibilità, anche nelle sue forme più semplici (presenza tra tutti i sensi del solo tatto: ""o con alcuno solo"") è la condizione necessaria perché sia presente nel vivente la facoltà desiderativa (II 3, 414 b 1 sgg.) e nel terzo libro sembra riferire proprio a quest'ultima la capacità di muoversi localmente (III 10-11). Dante ha dunque operato un collegamento che, ancora una volta, risulta semplificativo rispetto alla complessità della trattazione aristotelica.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E SECONDO CHE ESSO DICE,"e stando a quello che afferma'. In questi due paragrafi Dante utilizza un lavoro di semplificazione e di schematizzazione già operato dall'insegnamento universitario nei confronti delle dottrine dello Stagirita : le tre facoltà sono ordinate tra loro (sono intra sé"") in modo che la prima e la più semplice (la vegetativa ""per la quale si vive"" che presiede cioè alle operazioni vitali fondamentali: nutrimento, crescita e riproduzione) è la condizione necessaria per l'esistenza (""fondamento"") delle altre più complesse; presente in tutti i viventi, può esistere anche separata dalle altre (""puote per sé esser partita"") e funzionare autonomamente come principio organizzatore della vita (è il caso delle piante: ""per sé puote essere anima, sì come vedemo nelle piante tutte""). Più che al testo del De anima, il riferimento appropriato sembra essere ancora alle Auctoritates Aristotelis, p. 78, n. 50 ""Quattuor sunt potentiae animae principales, scilicet vegetativa, sensitiva et secundum locum motiva et intellectiva. Hae sic se habent adinvicem quod vegetativa potest esse absque sensitiva, sicut patet in plantis, et non e converso ... et tam secundum locum motiva quam sensitiva possunt esse sine intellectiva, ut patet in animalibus brutis et non e converso"".","p. 78, n. 50 ""Quattuor sunt potentiae animae principales, scilicet vegetativa, sensitiva et secundum locum motiva et intellectiva. Hae sic se habent adinvicem quod vegetativa potest esse absque sensitiva, sicut patet in plantis, et non e converso ... et tam secundum locum motiva quam sensitiva possunt esse sine intellectiva, ut patet in animalibus brutis et non e converso""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NELLE COSE ANIMATE MORTALI,"il rapporto di reciproca inclusione delle facoltà dell'anima secondo cui l'esistenza della prima è condizione della presenza della seconda e della terza non vale per le sostanze separate-angeli (che sono immortali): esse sono viventi, ma la loro vita si esaurisce tutta nella pura attività intellettuale che sussiste quindi autonomamente (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 26-30 ) ed è dubbio che in questo caso si possa parlare di anima in senso proprio.","XII 7, 1072 b 26-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUELLA ANIMA ...,"la caratterizzazione dell'anima umana come la più perfetta (perfettissima di tutte l'altre"") in quanto contiene (""comprende"") tutte e tre le facoltà ha certamente un retroterra aristotelico (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae tr. I, cap. 6, p. 15, ll. 74-81). Che attraverso la sua terza (""ultima"") facoltà o potenza, cioè la ragione, la più nobile delle tre, essa partecipi della natura divina poteva essere dedotto dai testi di Aristotele (cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 a 15-16, b 30; De gen. anim. II 3, 736 b 27-29) dove peraltro si parla non di ""ragione"" ma di ""intelletto"". Come nota giustamente Alessandro Raffi (Raffi 2004, p. 57) l'espressione ""dinudata da materia"" non è una metafora dantesca, ma ha un carattere tecnicamente filosofico. Piuttosto che in Avicenna, dove il termine è riferito alle forme delle sostanze separate conosciute dall'anima senza bisogno di mediazioni sensibili (dottrina rifiutata da Dante), è proprio in Tommaso che la qualifica di ""dinudatus ab omnibus sensibilibus formis et materiis"" viene attribuita alla natura dell'intelletto possibile. (cfr. Quaestio disputata de anima, art. 2, respondeo). Al di là della terminologia, non è però tomasiana, ma risale ad Avicenna la dottrina per cui la separazione dalla materia rende la mente umana talmente simile a quella degli Angeli da condividerne il modo di conoscenza. (vedi Raffi 2004, pp. 56 sgg.). Nel mondo latino un collegamento tra l'essere incorporea e l'essere capace di cogliere le illuminazioni divine si ha, per esempio, nella definizione dell'anima data dal De motu cordis di Alfredo di Sareshel, e ripresa da Alberto Magno nella Summa de homine I.1.1. 3.1.2.2, p. 18): ""anima est substantia incorporea, illuminationum quae sunt a Primo ... perceptibilis"".","tr. I, cap. 6, p. 15, ll. 74-81",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_et_origine_animae,De natura et origine animae,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E QUELLA ANIMA ...,"la caratterizzazione dell'anima umana come la più perfetta (perfettissima di tutte l'altre"") in quanto contiene (""comprende"") tutte e tre le facoltà ha certamente un retroterra aristotelico (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae tr. I, cap. 6, p. 15, ll. 74-81). Che attraverso la sua terza (""ultima"") facoltà o potenza, cioè la ragione, la più nobile delle tre, essa partecipi della natura divina poteva essere dedotto dai testi di Aristotele (cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 a 15-16, b 30; De gen. anim. II 3, 736 b 27-29) dove peraltro si parla non di ""ragione"" ma di ""intelletto"". Come nota giustamente Alessandro Raffi (Raffi 2004, p. 57) l'espressione ""dinudata da materia"" non è una metafora dantesca, ma ha un carattere tecnicamente filosofico. Piuttosto che in Avicenna, dove il termine è riferito alle forme delle sostanze separate conosciute dall'anima senza bisogno di mediazioni sensibili (dottrina rifiutata da Dante), è proprio in Tommaso che la qualifica di ""dinudatus ab omnibus sensibilibus formis et materiis"" viene attribuita alla natura dell'intelletto possibile. (cfr. Quaestio disputata de anima, art. 2, respondeo). Al di là della terminologia, non è però tomasiana, ma risale ad Avicenna la dottrina per cui la separazione dalla materia rende la mente umana talmente simile a quella degli Angeli da condividerne il modo di conoscenza. (vedi Raffi 2004, pp. 56 sgg.). Nel mondo latino un collegamento tra l'essere incorporea e l'essere capace di cogliere le illuminazioni divine si ha, per esempio, nella definizione dell'anima data dal De motu cordis di Alfredo di Sareshel, e ripresa da Alberto Magno nella Summa de homine I.1.1. 3.1.2.2, p. 18): ""anima est substantia incorporea, illuminationum quae sunt a Primo ... perceptibilis"".","X 7, 1177 a 15-16, b 30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUELLA ANIMA ...,"la caratterizzazione dell'anima umana come la più perfetta (perfettissima di tutte l'altre"") in quanto contiene (""comprende"") tutte e tre le facoltà ha certamente un retroterra aristotelico (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae tr. I, cap. 6, p. 15, ll. 74-81). Che attraverso la sua terza (""ultima"") facoltà o potenza, cioè la ragione, la più nobile delle tre, essa partecipi della natura divina poteva essere dedotto dai testi di Aristotele (cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 a 15-16, b 30; De gen. anim. II 3, 736 b 27-29) dove peraltro si parla non di ""ragione"" ma di ""intelletto"". Come nota giustamente Alessandro Raffi (Raffi 2004, p. 57) l'espressione ""dinudata da materia"" non è una metafora dantesca, ma ha un carattere tecnicamente filosofico. Piuttosto che in Avicenna, dove il termine è riferito alle forme delle sostanze separate conosciute dall'anima senza bisogno di mediazioni sensibili (dottrina rifiutata da Dante), è proprio in Tommaso che la qualifica di ""dinudatus ab omnibus sensibilibus formis et materiis"" viene attribuita alla natura dell'intelletto possibile. (cfr. Quaestio disputata de anima, art. 2, respondeo). Al di là della terminologia, non è però tomasiana, ma risale ad Avicenna la dottrina per cui la separazione dalla materia rende la mente umana talmente simile a quella degli Angeli da condividerne il modo di conoscenza. (vedi Raffi 2004, pp. 56 sgg.). Nel mondo latino un collegamento tra l'essere incorporea e l'essere capace di cogliere le illuminazioni divine si ha, per esempio, nella definizione dell'anima data dal De motu cordis di Alfredo di Sareshel, e ripresa da Alberto Magno nella Summa de homine I.1.1. 3.1.2.2, p. 18): ""anima est substantia incorporea, illuminationum quae sunt a Primo ... perceptibilis"".","II 3, 736 b 27-29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_genesi_animalium(Aristotele),De genesi animalium,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E QUELLA ANIMA ...,"la caratterizzazione dell'anima umana come la più perfetta (perfettissima di tutte l'altre"") in quanto contiene (""comprende"") tutte e tre le facoltà ha certamente un retroterra aristotelico (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae tr. I, cap. 6, p. 15, ll. 74-81). Che attraverso la sua terza (""ultima"") facoltà o potenza, cioè la ragione, la più nobile delle tre, essa partecipi della natura divina poteva essere dedotto dai testi di Aristotele (cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 a 15-16, b 30; De gen. anim. II 3, 736 b 27-29) dove peraltro si parla non di ""ragione"" ma di ""intelletto"". Come nota giustamente Alessandro Raffi (Raffi 2004, p. 57) l'espressione ""dinudata da materia"" non è una metafora dantesca, ma ha un carattere tecnicamente filosofico. Piuttosto che in Avicenna, dove il termine è riferito alle forme delle sostanze separate conosciute dall'anima senza bisogno di mediazioni sensibili (dottrina rifiutata da Dante), è proprio in Tommaso che la qualifica di ""dinudatus ab omnibus sensibilibus formis et materiis"" viene attribuita alla natura dell'intelletto possibile. (cfr. Quaestio disputata de anima, art. 2, respondeo). Al di là della terminologia, non è però tomasiana, ma risale ad Avicenna la dottrina per cui la separazione dalla materia rende la mente umana talmente simile a quella degli Angeli da condividerne il modo di conoscenza. (vedi Raffi 2004, pp. 56 sgg.). Nel mondo latino un collegamento tra l'essere incorporea e l'essere capace di cogliere le illuminazioni divine si ha, per esempio, nella definizione dell'anima data dal De motu cordis di Alfredo di Sareshel, e ripresa da Alberto Magno nella Summa de homine I.1.1. 3.1.2.2, p. 18): ""anima est substantia incorporea, illuminationum quae sunt a Primo ... perceptibilis"".","art. 2, respondeo",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestio_disputata_de_anima,Quaestio disputata de anima,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'UOMO ... CHIAMATO,"cfr. Boezio, De consolatione philosophiae II, prosa 5, 25, p. 44.","II, prosa 5, 25, p. 44",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO ...,"per una piena descrizione della mente"" Dante integra il De anima con l' Etica Nicomachea con particolare riferimento (""massimamente"") al sesto libro, di fatto al primo capitolo. Qui Aristotele distingue all'interno dell'anima razionale due facoltà, quella con cui contempliamo le realtà i cui principi non possono essere diversamente, l'altra che si rivolge alle realtà contingenti su cui abbiamo la possibilità di intervenire. Il testo dell'Etica, però, non parla a questo proposito di ""virtù"", ma di parti dell'anima","sesto libro, primo capitolo.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO ...,"per una piena descrizione della mente"" Dante integra il De anima con l' Etica Nicomachea con particolare riferimento (""massimamente"") al sesto libro, di fatto al primo capitolo. Qui Aristotele distingue all'interno dell'anima razionale due facoltà, quella con cui contempliamo le realtà i cui principi non possono essere diversamente, l'altra che si rivolge alle realtà contingenti su cui abbiamo la possibilità di intervenire. Il testo dell'Etica, però, non parla a questo proposito di ""virtù"", ma di parti dell'anima",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SCIENTIFICA ... RAGIONATIVA O VERO CONSILIATIVA,"gli aggettivi sostantivati che nel testo greco designano le due parti (epistēmonikón e loghistikón) erano stati appunto resi in latino con i termini scientificum e ratiocinativum e sempre nella traduzione latina, immediatamente dopo, il ratiocinari era identificato con il consiliari. (Cfr. Eth. Nic. VI 2, 1139 a 11-13. Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 253, ll. 18-19). Per quanto riguarda però le virtù inventiva e giudicativa"", se per la seconda è ancora possibile rimandare ad Eth. Nic. VI 9-10, 1142 b 34 sgg., per la prima e soprattutto per per una menzione comune delle due bisogna ricorrere al commento di Tommaso, che però le riferisce all'attività speculativa (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VI, lectio 9, n. 1239 ""Ad cuius evidentiam considerandum quod in speculativis in quibus non est actio, est solum duplex opus rationis, scilicet invenire inquirendo et de inventis iudicare"").","VI 2, 1139 a 11-13. Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 253, ll. 18-19",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SCIENTIFICA ... RAGIONATIVA O VERO CONSILIATIVA,"gli aggettivi sostantivati che nel testo greco designano le due parti (epistēmonikón e loghistikón) erano stati appunto resi in latino con i termini scientificum e ratiocinativum e sempre nella traduzione latina, immediatamente dopo, il ratiocinari era identificato con il consiliari. (Cfr. Eth. Nic. VI 2, 1139 a 11-13. Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 253, ll. 18-19). Per quanto riguarda però le virtù inventiva e giudicativa"", se per la seconda è ancora possibile rimandare ad Eth. Nic. VI 9-10, 1142 b 34 sgg., per la prima e soprattutto per per una menzione comune delle due bisogna ricorrere al commento di Tommaso, che però le riferisce all'attività speculativa (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VI, lectio 9, n. 1239 ""Ad cuius evidentiam considerandum quod in speculativis in quibus non est actio, est solum duplex opus rationis, scilicet invenire inquirendo et de inventis iudicare"").","VI 9-10, 1142 b 34 sgg.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SCIENTIFICA ... RAGIONATIVA O VERO CONSILIATIVA,"gli aggettivi sostantivati che nel testo greco designano le due parti (epistēmonikón e loghistikón) erano stati appunto resi in latino con i termini scientificum e ratiocinativum e sempre nella traduzione latina, immediatamente dopo, il ratiocinari era identificato con il consiliari. (Cfr. Eth. Nic. VI 2, 1139 a 11-13. Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 253, ll. 18-19). Per quanto riguarda però le virtù inventiva e giudicativa"", se per la seconda è ancora possibile rimandare ad Eth. Nic. VI 9-10, 1142 b 34 sgg., per la prima e soprattutto per per una menzione comune delle due bisogna ricorrere al commento di Tommaso, che però le riferisce all'attività speculativa (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VI, lectio 9, n. 1239 ""Ad cuius evidentiam considerandum quod in speculativis in quibus non est actio, est solum duplex opus rationis, scilicet invenire inquirendo et de inventis iudicare"").","In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VI, lectio 9, n. 1239 ""Ad cuius evidentiam considerandum quod in speculativis in quibus non est actio, est solum duplex opus rationis, scilicet invenire inquirendo et de inventis iudicare""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ CHIAMA INSIEME CON QUESTO VOCABULO,"le indica collettivamente con questo termine'. Nella traduzione latina del secondo capitolo del sesto libro dell' Etica Nicomachea appare effettivamente il termine mens"". Ma nel discorso aristotelico esso (o meglio, il corrispondente greco dianoia) non indica il ""luogo"" di tutte le virtù collettivamente prese, ma esclusivamente le facoltà teoretiche e così lo interpreta Tomnmaso nel suo commento (VI, lectio 2, n. 1130). Per questo significato Dante è debitore piuttosto di Boezio (citato immediatamente dopo) e di Agostino. La identificazione esplicita della ""mens"" con la parte più nobile dell'anima, anch'essa non presente in Aristotele, rimanda al De finibus di Cicerone. V, 13, 3 ""Pars animi quae princeps est ... mens nominatur"".",secondo capitolo del sesto libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SÌ CHIAMA INSIEME CON QUESTO VOCABULO,"le indica collettivamente con questo termine'. Nella traduzione latina del secondo capitolo del sesto libro dell' Etica Nicomachea appare effettivamente il termine mens"". Ma nel discorso aristotelico esso (o meglio, il corrispondente greco dianoia) non indica il ""luogo"" di tutte le virtù collettivamente prese, ma esclusivamente le facoltà teoretiche e così lo interpreta Tomnmaso nel suo commento (VI, lectio 2, n. 1130). Per questo significato Dante è debitore piuttosto di Boezio (citato immediatamente dopo) e di Agostino. La identificazione esplicita della ""mens"" con la parte più nobile dell'anima, anch'essa non presente in Aristotele, rimanda al De finibus di Cicerone. V, 13, 3 ""Pars animi quae princeps est ... mens nominatur"".",secondo capitolo del sesto libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ CHIAMA INSIEME CON QUESTO VOCABULO,"le indica collettivamente con questo termine'. Nella traduzione latina del secondo capitolo del sesto libro dell' Etica Nicomachea appare effettivamente il termine mens"". Ma nel discorso aristotelico esso (o meglio, il corrispondente greco dianoia) non indica il ""luogo"" di tutte le virtù collettivamente prese, ma esclusivamente le facoltà teoretiche e così lo interpreta Tomnmaso nel suo commento (VI, lectio 2, n. 1130). Per questo significato Dante è debitore piuttosto di Boezio (citato immediatamente dopo) e di Agostino. La identificazione esplicita della ""mens"" con la parte più nobile dell'anima, anch'essa non presente in Aristotele, rimanda al De finibus di Cicerone. V, 13, 3 ""Pars animi quae princeps est ... mens nominatur"".","VI, lectio 2, n. 1130",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ CHIAMA INSIEME CON QUESTO VOCABULO,"le indica collettivamente con questo termine'. Nella traduzione latina del secondo capitolo del sesto libro dell' Etica Nicomachea appare effettivamente il termine mens"". Ma nel discorso aristotelico esso (o meglio, il corrispondente greco dianoia) non indica il ""luogo"" di tutte le virtù collettivamente prese, ma esclusivamente le facoltà teoretiche e così lo interpreta Tomnmaso nel suo commento (VI, lectio 2, n. 1130). Per questo significato Dante è debitore piuttosto di Boezio (citato immediatamente dopo) e di Agostino. La identificazione esplicita della ""mens"" con la parte più nobile dell'anima, anch'essa non presente in Aristotele, rimanda al De finibus di Cicerone. V, 13, 3 ""Pars animi quae princeps est ... mens nominatur"".","V, 13, 3 ""Pars animi quae princeps est ... mens nominatur""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +TU E DIO ... MISE,"cfr. De consolatione philosophiae, I, prosa 4, 8, p. 12 Tu ... et qui te sapientium mentibus inseruit Deus ..."" (Dante adatta il testo alle sue esigenze sostituendo ai sapientes gli uomini in generale).","I, prosa 4, 8, p. 12 Tu ... et qui te sapientium mentibus inseruit Deus ...""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +TUTTE LE COSE PRODUCI ... NELLA MENTE PORTANTE,"traduzione, questa volta letterale, di un passo del metro 9 del terzo libro del De consolatione philosophiae (metro conosciutissimo e commentatissimo nel Medioevo), vv. 6-8, p. 80 Tu cuncta superno/ducis ab exemplo, pulchrum pulcherrimus ipse/mundum mente gerens"".",un passo del metro 9 del terzo libro,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NELLA GRAMATICA,"nella lingua latina. Che i termini composti amentia e dementia (solo il secondo è passato nell'uso del volgare) significassero etimologicamente assenza di mens era affermazione già presente in Cicerone (cfr. Tusculanae Disputationes III, 5, 10). Per amens e demens come composti da un nome (mens) e da una particella privativa cfr. Prisciano di Cesarea, Institutiones Grammaticae XVII 152, II, p. 182.","III, 5, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Tusculanae_disputationes,Tusculanae Disputationes,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NELLA GRAMATICA,"nella lingua latina. Che i termini composti amentia e dementia (solo il secondo è passato nell'uso del volgare) significassero etimologicamente assenza di mens era affermazione già presente in Cicerone (cfr. Tusculanae Disputationes III, 5, 10). Per amens e demens come composti da un nome (mens) e da una particella privativa cfr. Prisciano di Cesarea, Institutiones Grammaticae XVII 152, II, p. 182.","XVII 152, II, p. 182",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Institutiones_grammaticae,Institutiones grammaticae,Prisciano di Cesarea,http://dbpedia.org/resource/Priscian,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +CIASCUNA COSA,"ancora una volta Dante inserisce il suo amore nel quadro generale di un cosmo finito e gerarchicamente ordinato dal semplice al complesso in cui le varie realtà sono contraddistinte da specifiche inclinazioni (ciascuna cosa ha 'l suo speziale amore""). Tommaso aveva espresso con sintetica chiarezza questa concezione dell'amor, comune a tutte le realtà e diverso per ognuna di esse: Summa Theologiae, I, q. 60, a. 1, respondeo ""Est autem hoc commune omni naturae ut habeat aliquam inclinationem quae est appetitus naturalis vel amor, quae tamen inclinatio diversimode invenitur in diversis naturis, in unaquaque secundum modum eius"". Dante utilizza la dottrina comunemente accettata dai filosofi naturali e dai medici a lui contemporanei secondo cui cinque sono i piani in cui si dispongono gli esseri: i corpi semplici (gli elementi), i corpi composti e inanimati (i minerali), le piante, gli animali, l'uomo, mentre nell'individuare per ognuna di esse la specifica inclinazione egli sembra esporre una teoria abbastanza personale.","I, q. 60, a. 1, respondeo ""Est autem hoc commune omni naturae ut habeat aliquam inclinationem quae est appetitus naturalis vel amor, quae tamen inclinatio diversimode invenitur in diversis naturis, in unaquaque secundum modum eius""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LE CORPORA SIMPLICI ... SALE A QUELLO,"Dante utilizza la dottrina aristotelica dei 'luoghi naturali' (cfr. De caelo I, 2-3; III, 2; IV, 3 ): in un universo finito esistono un basso ed un alto assoluti che differenziano i movimenti dei corpi: verso il basso si muovono per loro natura i corpi pesanti, verso l'alto i corpi leggeri. Fisicamente il basso coincide con il centro della terra e l'alto con il concavo (la circumferenza di sopra"") della sfera lunare (""lungo lo cielo della luna""), dove termina il mondo delle trasformazioni fisiche ed inizia il regno della incorruttibilità celeste. Questi dunque sono i luoghi naturali cui essi tendono, se non impediti, specialmente i corpi semplici (le ""corpora simplici"") come la terra ed il fuoco che sono rispettivamente pesanti e leggeri in assoluto e questa loro tendenza è il loro amore 'speciale' insito nella loro natura (""naturato in loro"").","I, 2-3; III, 2; IV, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LE CORPORA COMPOSTE,"il secondo dominio in cui si articola la totalità del mondo è quello dei corpi composti, o misti. Anche se per Aristotele e per le teorie mediche medievali tutte le cose risultano in linea generale da una composizione degli elementi, il termine di misto"" o ""composto"" viene riservato ai minerali (""le minere"") in quanto rappresentano il primo stadio di questa commistione (""composte prima""). Anche nel caso dei minerali il loro amore riguarda un luogo e specificamente quello in cui si producono (""dove la loro generazione è ordinata"") Per Aristotele, infatti, e per Avicenna che ne integrerà e svilupperà la dottrina, i diversi minerali si generano nel ventre della terra attraverso processi di condensazione e coagulazione che possono essere assimilati ad una crescita (""in quello crescono""). L'affermazione che dal luogo della loro generazione i minerali ricevono vigore e potenza ha come retroterra la dottrina aristotelica del luogo, non uno spazio neutro, ma una realtà capace di influire sul corpo che contiene (cfr. Phys. IV 1, 208 b 34) e la convinzione, non aristotelica, ma presente nel De mineralibus di Alberto Magno (II, tr. 1, cap. 4, pp. 28-29) secondo cui i singoli minerali, specialmente le gemme, possiedono particolari poteri derivati dall'influsso degli astri sui loro processi di generazione (vedi Nardi 1944, p. 78).","IV 1, 208 b 34",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LE CORPORA COMPOSTE,"il secondo dominio in cui si articola la totalità del mondo è quello dei corpi composti, o misti. Anche se per Aristotele e per le teorie mediche medievali tutte le cose risultano in linea generale da una composizione degli elementi, il termine di misto"" o ""composto"" viene riservato ai minerali (""le minere"") in quanto rappresentano il primo stadio di questa commistione (""composte prima""). Anche nel caso dei minerali il loro amore riguarda un luogo e specificamente quello in cui si producono (""dove la loro generazione è ordinata"") Per Aristotele, infatti, e per Avicenna che ne integrerà e svilupperà la dottrina, i diversi minerali si generano nel ventre della terra attraverso processi di condensazione e coagulazione che possono essere assimilati ad una crescita (""in quello crescono""). L'affermazione che dal luogo della loro generazione i minerali ricevono vigore e potenza ha come retroterra la dottrina aristotelica del luogo, non uno spazio neutro, ma una realtà capace di influire sul corpo che contiene (cfr. Phys. IV 1, 208 b 34) e la convinzione, non aristotelica, ma presente nel De mineralibus di Alberto Magno (II, tr. 1, cap. 4, pp. 28-29) secondo cui i singoli minerali, specialmente le gemme, possiedono particolari poteri derivati dall'influsso degli astri sui loro processi di generazione (vedi Nardi 1944, p. 78).","II, tr. 1, cap. 4, pp. 28-29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_mineralibus,De mineralibus,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ONDE VEDEMO ...,"il caso della calamita (che attira il ferro), insieme a quello del diaspro (che stagna il sangue), è l'esempio standard di poteri dei minerali non spiegabili semplicemente con la loro composizione elementare, ma solo ricorrendo ad un influsso fisico del cielo (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles II, cap. 68, n. 1456 ). Non risulta però chiaro quale sia il luogo (la parte"") della sua produzione (""della sua generazione"") da cui la calamita continuerebbe a ricevere questo suo potere (""virtù""); il testo del De causis proprietatum elementorum di Alberto Magno I, tr. 2, cap. 11, p. 81, ll. 70-83, citato da Cheneval, dice infatti che il magnete attrae il ferro in quanto è il ""locus generationis ferri"", ma non parla di nessun luogo della generazione del magnete stesso. Interpretare la calamita nel senso di ago della bussola e identificare il luogo della sua generazione con il Polo verso cui essa si volge, come fa Busnelli, non risolve ancora in modo soddisfacente il problema. Il potere della calamita di cui normalmente anche i medievali parlano sta infatti nell'attrarre, non nell'essere attratto. Una risposta può forse venire dalla Epistula de magnete di Pietro Peregrino di Maricourt (il primo trattato veramente scientifico sul magnete). Qui, nel cap. 10 della prima parte (Unde magnes virtutem naturalem quam habet recipiat) Pietro polemizza con chi sostiene che il potere della calamita di attrarre il ferro le viene ""a locis mineralibus in qua invenitur"" e che dunque il ferro calamitato si volge verso il Nord perchè queste miniere si trovano concentrate appunto intorno al Polo Nord (ed. Sturlese-Thomson, p. 78): come si vede si tratta della stessa dottrina esposta nel Convivio. Purtroppo gli editori non individuano i debiles inquisitores presi di mira da Pietro. In ogni caso di monti sotto tramontana dove si genera la calamita e che , sia pure in maniera mediata dall'aria, ""dan vertude di trar lo ferro "", aveva parlato Guido Guinizzelli nella canzone Madonna il fino amor (49-55, ed. Contini, II, p. 455).","II, cap. 68, n. 1456",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ONDE VEDEMO ...,"il caso della calamita (che attira il ferro), insieme a quello del diaspro (che stagna il sangue), è l'esempio standard di poteri dei minerali non spiegabili semplicemente con la loro composizione elementare, ma solo ricorrendo ad un influsso fisico del cielo (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles II, cap. 68, n. 1456 ). Non risulta però chiaro quale sia il luogo (la parte"") della sua produzione (""della sua generazione"") da cui la calamita continuerebbe a ricevere questo suo potere (""virtù""); il testo del De causis proprietatum elementorum di Alberto Magno I, tr. 2, cap. 11, p. 81, ll. 70-83, citato da Cheneval, dice infatti che il magnete attrae il ferro in quanto è il ""locus generationis ferri"", ma non parla di nessun luogo della generazione del magnete stesso. Interpretare la calamita nel senso di ago della bussola e identificare il luogo della sua generazione con il Polo verso cui essa si volge, come fa Busnelli, non risolve ancora in modo soddisfacente il problema. Il potere della calamita di cui normalmente anche i medievali parlano sta infatti nell'attrarre, non nell'essere attratto. Una risposta può forse venire dalla Epistula de magnete di Pietro Peregrino di Maricourt (il primo trattato veramente scientifico sul magnete). Qui, nel cap. 10 della prima parte (Unde magnes virtutem naturalem quam habet recipiat) Pietro polemizza con chi sostiene che il potere della calamita di attrarre il ferro le viene ""a locis mineralibus in qua invenitur"" e che dunque il ferro calamitato si volge verso il Nord perchè queste miniere si trovano concentrate appunto intorno al Polo Nord (ed. Sturlese-Thomson, p. 78): come si vede si tratta della stessa dottrina esposta nel Convivio. Purtroppo gli editori non individuano i debiles inquisitores presi di mira da Pietro. In ogni caso di monti sotto tramontana dove si genera la calamita e che , sia pure in maniera mediata dall'aria, ""dan vertude di trar lo ferro "", aveva parlato Guido Guinizzelli nella canzone Madonna il fino amor (49-55, ed. Contini, II, p. 455).","I, tr. 2, cap. 11, p. 81, ll. 70-83",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_causis_proprietatum_elementorum(Alberto_Magno),De causis proprietatum elementorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LE PIANTE,"le piante sono il primo gradino degli esseri dotati di anima in quanto viventi (sono prima animate""). Anch'esse hanno amore per un determinato (""certo"") luogo, in questo caso quello più adatto alla loro struttura o complessione (""secondo che la complessione richiede""). Il termine complexio, indica qui la proporzione tra le qualità elementari che costituiscono gli organismi viventi e che non è in tutti la stessa: in alcuni di essi infatti predomina l'umido, in altri il secco e così via (cfr. nota a Cv III viii 17-18). Le piante a complessione umida ameranno dunque i luoghi umidi (quelle appunto che vediamo ""cansarsi"", cioè vivere esclusivamente, lungo l'acqua) mentre altre ne ameranno altri. Per il principio generale vedi le Auctoritates Aristotelis, p. 207, n. 137 ""Unumquodque maxime conservatur loco ... sibi connaturali, at vero in contrario corrumpitur"". Il rapporto stretto tra i diversi tipi di pianta ed i loro luoghi di nascita e di crescita, già riconosciuto dal De consolatione philosophiae (III, prosa 11, 18-19, ed Moreschini, p. 88), era poi stato descritto e spiegato da Alberto Magno (De vegetabilibus, I, tr. 2, cap. 6, pp. 80-83) e ripreso da Ristoro d' Arezzo (La composizione del mondo colle sue cascioni II 6 2.2, pp. 146-147).","p. 207, n. 137 ""Unumquodque maxime conservatur loco ... sibi connaturali, at vero in contrario corrumpitur""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LE PIANTE,"le piante sono il primo gradino degli esseri dotati di anima in quanto viventi (sono prima animate""). Anch'esse hanno amore per un determinato (""certo"") luogo, in questo caso quello più adatto alla loro struttura o complessione (""secondo che la complessione richiede""). Il termine complexio, indica qui la proporzione tra le qualità elementari che costituiscono gli organismi viventi e che non è in tutti la stessa: in alcuni di essi infatti predomina l'umido, in altri il secco e così via (cfr. nota a Cv III viii 17-18). Le piante a complessione umida ameranno dunque i luoghi umidi (quelle appunto che vediamo ""cansarsi"", cioè vivere esclusivamente, lungo l'acqua) mentre altre ne ameranno altri. Per il principio generale vedi le Auctoritates Aristotelis, p. 207, n. 137 ""Unumquodque maxime conservatur loco ... sibi connaturali, at vero in contrario corrumpitur"". Il rapporto stretto tra i diversi tipi di pianta ed i loro luoghi di nascita e di crescita, già riconosciuto dal De consolatione philosophiae (III, prosa 11, 18-19, ed Moreschini, p. 88), era poi stato descritto e spiegato da Alberto Magno (De vegetabilibus, I, tr. 2, cap. 6, pp. 80-83) e ripreso da Ristoro d' Arezzo (La composizione del mondo colle sue cascioni II 6 2.2, pp. 146-147).","III, prosa 11, 18-19, ed Moreschini, p. 88",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LE PIANTE,"le piante sono il primo gradino degli esseri dotati di anima in quanto viventi (sono prima animate""). Anch'esse hanno amore per un determinato (""certo"") luogo, in questo caso quello più adatto alla loro struttura o complessione (""secondo che la complessione richiede""). Il termine complexio, indica qui la proporzione tra le qualità elementari che costituiscono gli organismi viventi e che non è in tutti la stessa: in alcuni di essi infatti predomina l'umido, in altri il secco e così via (cfr. nota a Cv III viii 17-18). Le piante a complessione umida ameranno dunque i luoghi umidi (quelle appunto che vediamo ""cansarsi"", cioè vivere esclusivamente, lungo l'acqua) mentre altre ne ameranno altri. Per il principio generale vedi le Auctoritates Aristotelis, p. 207, n. 137 ""Unumquodque maxime conservatur loco ... sibi connaturali, at vero in contrario corrumpitur"". Il rapporto stretto tra i diversi tipi di pianta ed i loro luoghi di nascita e di crescita, già riconosciuto dal De consolatione philosophiae (III, prosa 11, 18-19, ed Moreschini, p. 88), era poi stato descritto e spiegato da Alberto Magno (De vegetabilibus, I, tr. 2, cap. 6, pp. 80-83) e ripreso da Ristoro d' Arezzo (La composizione del mondo colle sue cascioni II 6 2.2, pp. 146-147).","II 6 2.2, pp. 146-147",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_composizione_del_mondo,La composizione del mondo colle sue cascioni,Restoro d'Arezzo,http://it.dbpedia.org/resource/Restoro_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +CHÉ PER LA NATURA DEL SIMPLICE CORPO,"poiché il corpo semplice, cioè l'elemento che predomina (signoreggia"") nella composizione del suo sostrato materiale (""subietto""), cioè del suo corpo, è la terra (dunque è pesante), l'uomo ha una tendenza naturale (""naturalmente ama"") a cadere in basso (""andare in giuso""); questa tendenza corrisponde all'amore degli elementi verso i loro luoghi naturali (i movimenti contrari a questa inclinazione naturale verso il basso sono dunque in qualche modo violenti e per questo affaticano. Cfr. il commento di Tommaso al De caelo II, lectio 1, n. 294 ""Omne quod cum labore movetur, movetur contra motum naturalem sui corporis, propter quod motus animalis sursum est laboriosum"").","II, lectio 1, n. 294 ""Omne quod cum labore movetur, movetur contra motum naturalem sui corporis, propter quod motus animalis sursum est laboriosum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_libros_Aristotelis_De_caelo_et_mundo_expositio(Tommaso),In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ONDE SI LEGGE NELLE STORIE D'ERCULE ... CHE COMBATTENDO ANTEO,"la lotta con il gigante Anteo, figlio di Nettuno e della Terra, è una delle imprese di Ercole, non facente parte delle canoniche dodici fatiche, che Dante conosce attraverso le Metamorfosi (l' Ovidio Maggiore dei medievali) e soprattutto la Farsaglia di Lucano, dove il combattimento viene a lungo descritto (IV 609-653). Per gli altri poeti"" cfr. la Satira III di Giovenale, v. 89.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +ONDE SI LEGGE NELLE STORIE D'ERCULE ... CHE COMBATTENDO ANTEO,"la lotta con il gigante Anteo, figlio di Nettuno e della Terra, è una delle imprese di Ercole, non facente parte delle canoniche dodici fatiche, che Dante conosce attraverso le Metamorfosi (l' Ovidio Maggiore dei medievali) e soprattutto la Farsaglia di Lucano, dove il combattimento viene a lungo descritto (IV 609-653). Per gli altri poeti"" cfr. la Satira III di Giovenale, v. 89.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +ONDE SI LEGGE NELLE STORIE D'ERCULE ... CHE COMBATTENDO ANTEO,"la lotta con il gigante Anteo, figlio di Nettuno e della Terra, è una delle imprese di Ercole, non facente parte delle canoniche dodici fatiche, che Dante conosce attraverso le Metamorfosi (l' Ovidio Maggiore dei medievali) e soprattutto la Farsaglia di Lucano, dove il combattimento viene a lungo descritto (IV 609-653). Per gli altri poeti"" cfr. la Satira III di Giovenale, v. 89.",metro VII del quarto libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ONDE SI LEGGE NELLE STORIE D'ERCULE ... CHE COMBATTENDO ANTEO,"la lotta con il gigante Anteo, figlio di Nettuno e della Terra, è una delle imprese di Ercole, non facente parte delle canoniche dodici fatiche, che Dante conosce attraverso le Metamorfosi (l' Ovidio Maggiore dei medievali) e soprattutto la Farsaglia di Lucano, dove il combattimento viene a lungo descritto (IV 609-653). Per gli altri poeti"" cfr. la Satira III di Giovenale, v. 89.","Satira III di Giovenale, v. 89",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +SECONDO LE TESTIMONIANZE DELLE SCRITTURE,"Dante dà al racconto mitologico-poetico un contenuto storico letterale. Anteo che trae forza dalla terra da cui era nato è esempio particolare e reale di una legge generale e non la fabula sotto cui si nasconde una qualche verità, come interpreta Fulgenzio che fa di Anteo la personificazione della libido e di Ercole quella della virtus (Mythologiarum libri, II 4, ed. Helm, p. 43. Nel Fulgentius Metaphoralis, del domenicano Giovanni di Ridevall, posteriore al Convivio, tutte le dodici fatiche di Ercole riceveranno una interpretazione morale (ed. Liebeschütz, pp. 124 sgg.). Anche in If XXXI 112-145 Anteo compare come un personaggio reale. Virgilio gli ricorderà, lusingandolo, le imprese compiute, per indurlo a farsi calare insieme con Dante sul lago ghiacciato della Giudecca (vedi Dronke 1990, pp. 76-77).","II 4, ed. Helm, p. 43",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Mythologiarum_libri,Mythologiarum libri,Fulgenzio,http://dbpedia.org/resource/Fabius_Planciades_Fulgentius,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +HAE L'UOMO ALTRO AMORE,"nell'uomo la presenza dell'anima sensitiva propria in senso stretto degli animali produce un amore che si basa sull'immediatezza della sensazione (secondo la sensibile apparenza""). Questo amore, determinato dal piacere (""diletto"") naturalmente connesso alla attività (""operazione"") dei sensi, soprattutto (""massimamente"") del gusto e del tatto, è capace di vincere (è ""soperchievole"") ogni altra considerazione ed ha quindi bisogno di un freno e di una guida (""ha mestiere di rettore""). Che i piaceri del tatto e del gusto (considerato come una forma di tatto) siano i più bestiali tra tutti è dottrina dell' Etica Nicomachea: essi infatti, come precisa Aristotele, ci riguardano non in quanto uomini, ma in quanto animali (cfr. III 10, 1118 a 25-26, b 2-4)","III 10, 1118 a 25-26, b 2-4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"VERA UMANA O, MEGLIO DICENDO, ANGELICA, CIOÈ RAZIONALE","ancora una volta Dante eguaglia l'uomo all'angelo, considerando in sé, disgiunta in qualche modo dalla corporeità, quella razionalità che è la sua natura propria (vera umana""). Che l'uomo riassumesse in sé le caratteristiche di tutte le specie di enti e che la razionalità fosse ciò che lo accomuna agli angeli era stato detto da Gregorio Magno: "" Habet homo commune esse cum lapidibus, vivere cum arboribus, sentire cum animalibus, intelligere cum angelis"" (Homiliae in Evangelia II, xxix 2, PL 76, p.chiedere il testo era stato ripreso dallo pseudo-agostiniano De spiritu et anima ed utilizzato abbondantemente sia da teologi che da magistri artium nella trattatistica sull'anima anteriore a Tommaso; cfr. Falzone 2010. Che tramite l'intelletto l'uomo in qualche modo partecipi della natura angelica è affermato dallo stesso Tommaso (cfr. De veritate q. 16, a. 1, respondeo ""Anima humana, quantum ad id quod in ipsa supremum est, aliquid attingit de eo quod proprium est naturae angelica""). Ma anche in un contesto culturalmente diverso, un autore come Mondino de' Liuzzi nel prologo della sua Anatomia, per spiegare come mai l'uomo, tra tutti gli animali, abbia andatura eretta dice che esso ""formam habet perfectissimam, quae cum angelis et intelligentiis quae regunt universum communicat"" (Anothomia, ed. Giorgi-Pasini, p. 100, ll. 33-35). In Dante, però, l'identificazione tra l'uomo, o almeno tra la parte più alta dell'uomo, e l'angelo risulta particolarmente insistita, laddove i teologi medievali tendevano piuttosto a sottolineare le differenze. Su questo e sui diversi approcci del Convivio al tema del rapporto uomo-angelo vedi Raffi 2004","Habet homo commune esse cum lapidibus, vivere cum arboribus, sentire cum animalibus, intelligere cum angelis (Homiliae in Evangelia II, xxix 2, PL 76)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Homiliae_in_Evangelia,Homiliae in Evangelia,Gregorio Magno,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_I,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +"VERA UMANA O, MEGLIO DICENDO, ANGELICA, CIOÈ RAZIONALE","ancora una volta Dante eguaglia l'uomo all'angelo, considerando in sé, disgiunta in qualche modo dalla corporeità, quella razionalità che è la sua natura propria (vera umana""). Che l'uomo riassumesse in sé le caratteristiche di tutte le specie di enti e che la razionalità fosse ciò che lo accomuna agli angeli era stato detto da Gregorio Magno: "" Habet homo commune esse cum lapidibus, vivere cum arboribus, sentire cum animalibus, intelligere cum angelis"" (Homiliae in Evangelia II, xxix 2, PL 76, p.chiedere il testo era stato ripreso dallo pseudo-agostiniano De spiritu et anima ed utilizzato abbondantemente sia da teologi che da magistri artium nella trattatistica sull'anima anteriore a Tommaso; cfr. Falzone 2010. Che tramite l'intelletto l'uomo in qualche modo partecipi della natura angelica è affermato dallo stesso Tommaso (cfr. De veritate q. 16, a. 1, respondeo ""Anima humana, quantum ad id quod in ipsa supremum est, aliquid attingit de eo quod proprium est naturae angelica""). Ma anche in un contesto culturalmente diverso, un autore come Mondino de' Liuzzi nel prologo della sua Anatomia, per spiegare come mai l'uomo, tra tutti gli animali, abbia andatura eretta dice che esso ""formam habet perfectissimam, quae cum angelis et intelligentiis quae regunt universum communicat"" (Anothomia, ed. Giorgi-Pasini, p. 100, ll. 33-35). In Dante, però, l'identificazione tra l'uomo, o almeno tra la parte più alta dell'uomo, e l'angelo risulta particolarmente insistita, laddove i teologi medievali tendevano piuttosto a sottolineare le differenze. Su questo e sui diversi approcci del Convivio al tema del rapporto uomo-angelo vedi Raffi 2004","q. 16, a. 1, respondeo ""Anima humana, quantum ad id quod in ipsa supremum est, aliquid attingit de eo quod proprium est naturae angelica""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Tommaso),Quaestiones disputatae de veritate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"VERA UMANA O, MEGLIO DICENDO, ANGELICA, CIOÈ RAZIONALE","ancora una volta Dante eguaglia l'uomo all'angelo, considerando in sé, disgiunta in qualche modo dalla corporeità, quella razionalità che è la sua natura propria (vera umana""). Che l'uomo riassumesse in sé le caratteristiche di tutte le specie di enti e che la razionalità fosse ciò che lo accomuna agli angeli era stato detto da Gregorio Magno: "" Habet homo commune esse cum lapidibus, vivere cum arboribus, sentire cum animalibus, intelligere cum angelis"" (Homiliae in Evangelia II, xxix 2, PL 76, p.chiedere il testo era stato ripreso dallo pseudo-agostiniano De spiritu et anima ed utilizzato abbondantemente sia da teologi che da magistri artium nella trattatistica sull'anima anteriore a Tommaso; cfr. Falzone 2010. Che tramite l'intelletto l'uomo in qualche modo partecipi della natura angelica è affermato dallo stesso Tommaso (cfr. De veritate q. 16, a. 1, respondeo ""Anima humana, quantum ad id quod in ipsa supremum est, aliquid attingit de eo quod proprium est naturae angelica""). Ma anche in un contesto culturalmente diverso, un autore come Mondino de' Liuzzi nel prologo della sua Anatomia, per spiegare come mai l'uomo, tra tutti gli animali, abbia andatura eretta dice che esso ""formam habet perfectissimam, quae cum angelis et intelligentiis quae regunt universum communicat"" (Anothomia, ed. Giorgi-Pasini, p. 100, ll. 33-35). In Dante, però, l'identificazione tra l'uomo, o almeno tra la parte più alta dell'uomo, e l'angelo risulta particolarmente insistita, laddove i teologi medievali tendevano piuttosto a sottolineare le differenze. Su questo e sui diversi approcci del Convivio al tema del rapporto uomo-angelo vedi Raffi 2004","Anothomia, ed. Giorgi-Pasini, p. 100, ll. 33-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anatomia,Anatomia,Mondino dei Liuzzi,http://dbpedia.org/resource/Mondino_de_Liuzzi,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +LO FILOSOFO NELL'OTTAVO DE L'ETICA,"nel capitolo terzo dell' ottavo libro dell' Etica Nicomachea (1156 a 6 sgg.) Aristotele delinea i tratti dell'amicizia perfetta fondata sulla virtù, opponendola a quelle fondate sull'utile e sul piacevole. L'endiade vera e perfetta"" si trova nella parafrasi di Alberto Magno (VIII, tr. 1, cap. 3, p. 522b) insieme al termine ""onesto""che non è presente nelle traduzioni latine dell'ottavo libro dell' Etica Nicomachea, ma viene mutuato dal linguaggio filosofico ciceroniano. Anche Tommaso lo usa come sinonimo di bonum in assoluto nel commento a questo passo dell' Etica (cfr. VIII, lectio 2, n. 1552). Altrettanto fanno le Auctoritates Aristotelis p. 243, n. 143 ""Tripliciter fit amicitia, scilicet propter bonum utile, delectabile, et propter bonum honestum"".","capitolo terzo dell' ottavo libro, (1156 a 6 sgg.)",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LO FILOSOFO NELL'OTTAVO DE L'ETICA,"nel capitolo terzo dell' ottavo libro dell' Etica Nicomachea (1156 a 6 sgg.) Aristotele delinea i tratti dell'amicizia perfetta fondata sulla virtù, opponendola a quelle fondate sull'utile e sul piacevole. L'endiade vera e perfetta"" si trova nella parafrasi di Alberto Magno (VIII, tr. 1, cap. 3, p. 522b) insieme al termine ""onesto""che non è presente nelle traduzioni latine dell'ottavo libro dell' Etica Nicomachea, ma viene mutuato dal linguaggio filosofico ciceroniano. Anche Tommaso lo usa come sinonimo di bonum in assoluto nel commento a questo passo dell' Etica (cfr. VIII, lectio 2, n. 1552). Altrettanto fanno le Auctoritates Aristotelis p. 243, n. 143 ""Tripliciter fit amicitia, scilicet propter bonum utile, delectabile, et propter bonum honestum"".","VIII, tr. 1, cap. 3, p. 522b",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO FILOSOFO NELL'OTTAVO DE L'ETICA,"nel capitolo terzo dell' ottavo libro dell' Etica Nicomachea (1156 a 6 sgg.) Aristotele delinea i tratti dell'amicizia perfetta fondata sulla virtù, opponendola a quelle fondate sull'utile e sul piacevole. L'endiade vera e perfetta"" si trova nella parafrasi di Alberto Magno (VIII, tr. 1, cap. 3, p. 522b) insieme al termine ""onesto""che non è presente nelle traduzioni latine dell'ottavo libro dell' Etica Nicomachea, ma viene mutuato dal linguaggio filosofico ciceroniano. Anche Tommaso lo usa come sinonimo di bonum in assoluto nel commento a questo passo dell' Etica (cfr. VIII, lectio 2, n. 1552). Altrettanto fanno le Auctoritates Aristotelis p. 243, n. 143 ""Tripliciter fit amicitia, scilicet propter bonum utile, delectabile, et propter bonum honestum"".","VIII, lectio 2, n. 1552",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO FILOSOFO NELL'OTTAVO DE L'ETICA,"nel capitolo terzo dell' ottavo libro dell' Etica Nicomachea (1156 a 6 sgg.) Aristotele delinea i tratti dell'amicizia perfetta fondata sulla virtù, opponendola a quelle fondate sull'utile e sul piacevole. L'endiade vera e perfetta"" si trova nella parafrasi di Alberto Magno (VIII, tr. 1, cap. 3, p. 522b) insieme al termine ""onesto""che non è presente nelle traduzioni latine dell'ottavo libro dell' Etica Nicomachea, ma viene mutuato dal linguaggio filosofico ciceroniano. Anche Tommaso lo usa come sinonimo di bonum in assoluto nel commento a questo passo dell' Etica (cfr. VIII, lectio 2, n. 1552). Altrettanto fanno le Auctoritates Aristotelis p. 243, n. 143 ""Tripliciter fit amicitia, scilicet propter bonum utile, delectabile, et propter bonum honestum"".","p. 243, n. 143 ""Tripliciter fit amicitia, scilicet propter bonum utile, delectabile, et propter bonum honestum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONTINUANZA,"costanza nel tempo' (è sempre dottrina aristotelica che la vera amicizia, a differenza delle altre, non muta. Cfr. Eth. Nic. VIII, 3, 1156 b 11-12).","VIII, 3, 1156 b 11-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LO VISO DISGIUNTO,"quando ormai la vista resta separata dalla realtà visibile. In questo paragone Dante sembra concepire la vista come un'attività che perde potenza man mano che si allontana dalla sua origine (l'occhio), concezione che sembrerebbe debitrice della teoria platonica, peraltro esplicitamente respinta in Cv III.ix.10 a favore di quella aristotelica. L' indebolimento della visione collegato alla lontananza dell'oggetto veniva spiegato con un modello geometrico che era comunque egualmente valido per entrambe le dottrine: come dice Tommaso nel commento al De anima II, lectio 15, n. 435 omne corpus videtur sub quodam angulo cuiusdam ... pyramidis, cuius basis est in re visa, et angulus in oculo videntis, nec differt quantum ad hoc utrum visus fiat extramittendo, ita quod lineae concludentes ... pyramidem sint lineae visuales progredientes a visu ad rem visam vel e converso"". In questo schema l'occhio costituisce il punto di arrivo della linea retta che parte dal centro della base della piramide e che determina la distanza dall'oggetto visto. Quanto più la linea è lunga tanto minore sarà l'angolo sotto cui avviene la vista; per conseguenza, sempre usando le parole di Tommaso, ""quanto a remotiori videtur, minus videtur, et tanta potest esse distantia quod omnino non videatur"". Vedi anche la parafrasi di Alberto al De anima (II, tr. 3, cap. 14, p. 120, 21-25 ""Quia lineae radiales, quanto plus procedunt a re visa tanto magis coeunt, si contingat quod concludantur antequam perveniant ad oculum, res omnino non videbitur"".","II, lectio 15, n. 435 ""omne corpus videtur sub quodam angulo cuiusdam ... pyramidis, cuius basis est in re visa, et angulus in oculo videntis, nec differt quantum ad hoc utrum visus fiat extramittendo, ita quod lineae concludentes ... pyramidem sint lineae visuales progredientes a visu ad rem visam vel e converso""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sentencia_libri_De_anima(Tommaso),Sentencia libri De anima,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO VISO DISGIUNTO,"quando ormai la vista resta separata dalla realtà visibile. In questo paragone Dante sembra concepire la vista come un'attività che perde potenza man mano che si allontana dalla sua origine (l'occhio), concezione che sembrerebbe debitrice della teoria platonica, peraltro esplicitamente respinta in Cv III.ix.10 a favore di quella aristotelica. L' indebolimento della visione collegato alla lontananza dell'oggetto veniva spiegato con un modello geometrico che era comunque egualmente valido per entrambe le dottrine: come dice Tommaso nel commento al De anima II, lectio 15, n. 435 omne corpus videtur sub quodam angulo cuiusdam ... pyramidis, cuius basis est in re visa, et angulus in oculo videntis, nec differt quantum ad hoc utrum visus fiat extramittendo, ita quod lineae concludentes ... pyramidem sint lineae visuales progredientes a visu ad rem visam vel e converso"". In questo schema l'occhio costituisce il punto di arrivo della linea retta che parte dal centro della base della piramide e che determina la distanza dall'oggetto visto. Quanto più la linea è lunga tanto minore sarà l'angolo sotto cui avviene la vista; per conseguenza, sempre usando le parole di Tommaso, ""quanto a remotiori videtur, minus videtur, et tanta potest esse distantia quod omnino non videatur"". Vedi anche la parafrasi di Alberto al De anima (II, tr. 3, cap. 14, p. 120, 21-25 ""Quia lineae radiales, quanto plus procedunt a re visa tanto magis coeunt, si contingat quod concludantur antequam perveniant ad oculum, res omnino non videbitur"".","II, tr. 3, cap. 14, p. 120, 21-25 ""Quia lineae radiales, quanto plus procedunt a re visa tanto magis coeunt, si contingat quod concludantur antequam perveniant ad oculum, res omnino non videbitur""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AVVEGNA CHE ... L'UOMO MEDESIMO,"nonostante che le cose approvate e condannate appartengano in qualche modo al soggetto stesso'. Il riferimento di Dante è ad Eth. Nic. III 1, 1109 b 30-34 dove la traduzione latina di Roberto Grossatesta usa appunto i termini laus e vituperium.","III 1, 1109 b 30-34,traduzione latina di Roberto Grossatesta",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERCHÉ SIA DEL CORPO DA SUA NATIVITADE LAIDO,"per il fatto che fin dalla nascita sia brutto (laido"") nel corpo'. La precisazione ""da sua nativitade"" vuol dire che si può essere responsabili di una bruttezza fisica causata da una vita viziosa: cfr. Eth. Nic. III, 5, 1114 a 23-27.","III, 5, 1114 a 23-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NON ESSINOI,"non noi noi stessi'. Come Dante ci dice immediatamente dopo si tratta di un versetto tratto dai Salmi (Saltero"") e più precisamente del versetto 3 del Salmo 99 (""Scitote quoniam dominus ipse est Deus ; ipse fecit nos et non ipsi nos"") tradotto letteralmente (""scritte né più né meno come nella risposta del prete"". Per la qualifica di profeta attribuita a David cfr. nota a Cv II i 6). L'aneddoto è raccontato dallo Speculum Historiale di Vincenzo di Beuvais (XXV, cap. 12, p. 1006), ma in una forma assai diversa: l'imperatore Enrico II il Santo non schernisce affatto la bruttezza del povero prete, ma, mentre assiste alla messa da lui celebrata e si meraviglia perché Dio permetta che i suoi misteri siano celebrati da un simile mostro di natura, lo sente pronunciare, nella liturgia del giorno, le parole del salmo. Colpito, cessa di disprezzarlo, anzi lo fa vescovo. E' possibilein linea di pricipio, ma poco probabile, che la storia sia arrivata a Dante da un'altra fonte; ancor meno probabile che si trattasse di un'aneddoto che correndo di bocca in bocca vestisse alla fine la forma presente nel Convivio. Certo è che un exemplum edificante (non a caso si tratta, in Vincenzo, di un imperatore santo) è stato trasformato in un 'fiore di parlare' in una 'bella risposta' che potrebbe trovare collocazione nel Novellino. C'è inoltre da notare che l'aneddoto non corrisponde affatto alla dottrina sostenuta immediatamente prima secondo la quale, per usare il linguaggio tecnico della Monarchia ""peccatum in rebus inferioribus est praeter intentionem Dei naturantis"".","versetto 3 del Salmo 99 ""Scitote quoniam dominus ipse est Deus ; ipse fecit nos et non ipsi nos""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NON ESSINOI,"non noi noi stessi'. Come Dante ci dice immediatamente dopo si tratta di un versetto tratto dai Salmi (Saltero"") e più precisamente del versetto 3 del Salmo 99 (""Scitote quoniam dominus ipse est Deus ; ipse fecit nos et non ipsi nos"") tradotto letteralmente (""scritte né più né meno come nella risposta del prete"". Per la qualifica di profeta attribuita a David cfr. nota a Cv II i 6). L'aneddoto è raccontato dallo Speculum Historiale di Vincenzo di Beuvais (XXV, cap. 12, p. 1006), ma in una forma assai diversa: l'imperatore Enrico II il Santo non schernisce affatto la bruttezza del povero prete, ma, mentre assiste alla messa da lui celebrata e si meraviglia perché Dio permetta che i suoi misteri siano celebrati da un simile mostro di natura, lo sente pronunciare, nella liturgia del giorno, le parole del salmo. Colpito, cessa di disprezzarlo, anzi lo fa vescovo. E' possibilein linea di pricipio, ma poco probabile, che la storia sia arrivata a Dante da un'altra fonte; ancor meno probabile che si trattasse di un'aneddoto che correndo di bocca in bocca vestisse alla fine la forma presente nel Convivio. Certo è che un exemplum edificante (non a caso si tratta, in Vincenzo, di un imperatore santo) è stato trasformato in un 'fiore di parlare' in una 'bella risposta' che potrebbe trovare collocazione nel Novellino. C'è inoltre da notare che l'aneddoto non corrisponde affatto alla dottrina sostenuta immediatamente prima secondo la quale, per usare il linguaggio tecnico della Monarchia ""peccatum in rebus inferioribus est praeter intentionem Dei naturantis"".","XXV, cap. 12, p. 1006",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +DICO CHE NOSTRO INTELLETTO,"Dante dà la motivazione teorica della incapacità non solo del suo, ma in generale dell' intelletto umano (nostro intelletto"") a cogliere perfettamente la natura della donna gentile-filosofia. Esso non può infatti elevarsi (""salire"") alla conoscenza piena di alcune realtà come le sostanze separate (""partite"") dalla materia per incapacità (""difetto"") della facoltà (""virtù"") che gli fornisce il materiale da cui astrae i suoi concetti (""quello ch'el vede""). Si tratta della fantasia, o immaginazione, che è una facoltà (""virtù"") organica, cioè dotata di un organo, e dunque legata al corpo ed alla materia. Per questo non è in grado di dare all'intelletto alcun supporto nella conoscenza di realtà immateriali; essa infatti non può possederne alcuna immagine (""nol puote aiutare, che non ha lo di che""). Anche se qualcosa possiamo conoscerne (""le quali, etsi alcuna considerazione di quelle avere potemo""; ""etsi"" è un latinismo piuttosto crudo che sta per 'nonostante che') si tratterà sempre di una conoscenza imperfetta. La dottrina aristotelica della conoscenza, così come espressa nel De anima, ma anche nel De memoria, (cfr. De an. III 7, 431 a 17; 8, 432 a 9; De mem. I, 449 b 31 sgg.) sosteneva che nell'uomo l'atto dell'intelletto presuppone sempre un'immagine sensibile che lo accompagna. La presenza di tale immagine è il risultato dell'azione di una facoltà, la fantasia-immaginazione, appunto, che prolunga le sensazioni anche in assenza dell'oggetto. Pensatori come Avicenna ed Averroè avevano poi individuato ed analizzato in maniera più approfondita i processi di elaborazione del semplice dato sensibile iniziale necessari per orientare gli animali in un ambiente complesso e li avevano collegati ad una serie di facoltà, riassunte sotto il nome di sensi interni e localizzate nelle diverse regioni cerebrali. In particolare Averroè aveva disposto tali facoltà in un ordine ascendente a seconda della sempre minor materialità del dato elaborato. In questa scala l'immaginazione si colloca al livello più alto: nel caso specifico dell'uomo i contenuti da essa costruiti (in linguaggio tecnico i phantasmata) si distaccano dalla particolarità della materia nel grado maggiore possibile per una facoltà corporea; per questo essi contengono in potenza l'universale che l'intelletto incorporeo, e quindi privo di organi, fa passare all' atto (vedi Di Martino 2008). La dipendenza dell'attività intellettiva dai phantasmata viene sottolineata da Tommaso proprio per escludere che in questa vita l'uomo possa giungere alla conoscenza piena delle sostanze separate (alla critica delle posizioni opposte l'Aquinate dedica ben cinque capitoli, i nn. 41-45, del terzo libro della Summa contra Gentiles). Viceversa Alberto Magno, pur non negando il rapporto tra immaginazione-fantasia e attività intellettuale, è convinto che l'intelletto umano sia in grado di comprenderne l'essenza anche prima della morte (cfr. De anima III, tr. 3, capp. 6-11, pp. 214-233). In questo caso, dunque, Dante è tecnicamente tomista. Diverso però è il contesto in cui si iscrivono le due posizioni: nel caso di Tommaso l'impossibilità di cogliere intellettualmente l'essenza delle sostanze separate porta alla affermazione che la speculazione filosofica non può saziare il naturale desiderio di conoscenza e di felicità insito nell' uomo e deve quindi riconoscere la necessità della rivelazione e della grazia. Proprio su questo punto, come vedremo, l'autore del Convivio la pensa in maniera del tutto diversa.","III 7, 431 a 17; 8, 432 a 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO CHE NOSTRO INTELLETTO,"Dante dà la motivazione teorica della incapacità non solo del suo, ma in generale dell' intelletto umano (nostro intelletto"") a cogliere perfettamente la natura della donna gentile-filosofia. Esso non può infatti elevarsi (""salire"") alla conoscenza piena di alcune realtà come le sostanze separate (""partite"") dalla materia per incapacità (""difetto"") della facoltà (""virtù"") che gli fornisce il materiale da cui astrae i suoi concetti (""quello ch'el vede""). Si tratta della fantasia, o immaginazione, che è una facoltà (""virtù"") organica, cioè dotata di un organo, e dunque legata al corpo ed alla materia. Per questo non è in grado di dare all'intelletto alcun supporto nella conoscenza di realtà immateriali; essa infatti non può possederne alcuna immagine (""nol puote aiutare, che non ha lo di che""). Anche se qualcosa possiamo conoscerne (""le quali, etsi alcuna considerazione di quelle avere potemo""; ""etsi"" è un latinismo piuttosto crudo che sta per 'nonostante che') si tratterà sempre di una conoscenza imperfetta. La dottrina aristotelica della conoscenza, così come espressa nel De anima, ma anche nel De memoria, (cfr. De an. III 7, 431 a 17; 8, 432 a 9; De mem. I, 449 b 31 sgg.) sosteneva che nell'uomo l'atto dell'intelletto presuppone sempre un'immagine sensibile che lo accompagna. La presenza di tale immagine è il risultato dell'azione di una facoltà, la fantasia-immaginazione, appunto, che prolunga le sensazioni anche in assenza dell'oggetto. Pensatori come Avicenna ed Averroè avevano poi individuato ed analizzato in maniera più approfondita i processi di elaborazione del semplice dato sensibile iniziale necessari per orientare gli animali in un ambiente complesso e li avevano collegati ad una serie di facoltà, riassunte sotto il nome di sensi interni e localizzate nelle diverse regioni cerebrali. In particolare Averroè aveva disposto tali facoltà in un ordine ascendente a seconda della sempre minor materialità del dato elaborato. In questa scala l'immaginazione si colloca al livello più alto: nel caso specifico dell'uomo i contenuti da essa costruiti (in linguaggio tecnico i phantasmata) si distaccano dalla particolarità della materia nel grado maggiore possibile per una facoltà corporea; per questo essi contengono in potenza l'universale che l'intelletto incorporeo, e quindi privo di organi, fa passare all' atto (vedi Di Martino 2008). La dipendenza dell'attività intellettiva dai phantasmata viene sottolineata da Tommaso proprio per escludere che in questa vita l'uomo possa giungere alla conoscenza piena delle sostanze separate (alla critica delle posizioni opposte l'Aquinate dedica ben cinque capitoli, i nn. 41-45, del terzo libro della Summa contra Gentiles). Viceversa Alberto Magno, pur non negando il rapporto tra immaginazione-fantasia e attività intellettuale, è convinto che l'intelletto umano sia in grado di comprenderne l'essenza anche prima della morte (cfr. De anima III, tr. 3, capp. 6-11, pp. 214-233). In questo caso, dunque, Dante è tecnicamente tomista. Diverso però è il contesto in cui si iscrivono le due posizioni: nel caso di Tommaso l'impossibilità di cogliere intellettualmente l'essenza delle sostanze separate porta alla affermazione che la speculazione filosofica non può saziare il naturale desiderio di conoscenza e di felicità insito nell' uomo e deve quindi riconoscere la necessità della rivelazione e della grazia. Proprio su questo punto, come vedremo, l'autore del Convivio la pensa in maniera del tutto diversa.","III 8, 432 a 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO CHE NOSTRO INTELLETTO,"Dante dà la motivazione teorica della incapacità non solo del suo, ma in generale dell' intelletto umano (nostro intelletto"") a cogliere perfettamente la natura della donna gentile-filosofia. Esso non può infatti elevarsi (""salire"") alla conoscenza piena di alcune realtà come le sostanze separate (""partite"") dalla materia per incapacità (""difetto"") della facoltà (""virtù"") che gli fornisce il materiale da cui astrae i suoi concetti (""quello ch'el vede""). Si tratta della fantasia, o immaginazione, che è una facoltà (""virtù"") organica, cioè dotata di un organo, e dunque legata al corpo ed alla materia. Per questo non è in grado di dare all'intelletto alcun supporto nella conoscenza di realtà immateriali; essa infatti non può possederne alcuna immagine (""nol puote aiutare, che non ha lo di che""). Anche se qualcosa possiamo conoscerne (""le quali, etsi alcuna considerazione di quelle avere potemo""; ""etsi"" è un latinismo piuttosto crudo che sta per 'nonostante che') si tratterà sempre di una conoscenza imperfetta. La dottrina aristotelica della conoscenza, così come espressa nel De anima, ma anche nel De memoria, (cfr. De an. III 7, 431 a 17; 8, 432 a 9; De mem. I, 449 b 31 sgg.) sosteneva che nell'uomo l'atto dell'intelletto presuppone sempre un'immagine sensibile che lo accompagna. La presenza di tale immagine è il risultato dell'azione di una facoltà, la fantasia-immaginazione, appunto, che prolunga le sensazioni anche in assenza dell'oggetto. Pensatori come Avicenna ed Averroè avevano poi individuato ed analizzato in maniera più approfondita i processi di elaborazione del semplice dato sensibile iniziale necessari per orientare gli animali in un ambiente complesso e li avevano collegati ad una serie di facoltà, riassunte sotto il nome di sensi interni e localizzate nelle diverse regioni cerebrali. In particolare Averroè aveva disposto tali facoltà in un ordine ascendente a seconda della sempre minor materialità del dato elaborato. In questa scala l'immaginazione si colloca al livello più alto: nel caso specifico dell'uomo i contenuti da essa costruiti (in linguaggio tecnico i phantasmata) si distaccano dalla particolarità della materia nel grado maggiore possibile per una facoltà corporea; per questo essi contengono in potenza l'universale che l'intelletto incorporeo, e quindi privo di organi, fa passare all' atto (vedi Di Martino 2008). La dipendenza dell'attività intellettiva dai phantasmata viene sottolineata da Tommaso proprio per escludere che in questa vita l'uomo possa giungere alla conoscenza piena delle sostanze separate (alla critica delle posizioni opposte l'Aquinate dedica ben cinque capitoli, i nn. 41-45, del terzo libro della Summa contra Gentiles). Viceversa Alberto Magno, pur non negando il rapporto tra immaginazione-fantasia e attività intellettuale, è convinto che l'intelletto umano sia in grado di comprenderne l'essenza anche prima della morte (cfr. De anima III, tr. 3, capp. 6-11, pp. 214-233). In questo caso, dunque, Dante è tecnicamente tomista. Diverso però è il contesto in cui si iscrivono le due posizioni: nel caso di Tommaso l'impossibilità di cogliere intellettualmente l'essenza delle sostanze separate porta alla affermazione che la speculazione filosofica non può saziare il naturale desiderio di conoscenza e di felicità insito nell' uomo e deve quindi riconoscere la necessità della rivelazione e della grazia. Proprio su questo punto, come vedremo, l'autore del Convivio la pensa in maniera del tutto diversa.","I, 449 b 31 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_memoria_et_reminiscentia(Aristotele),De memoria et reminiscentia (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO CHE NOSTRO INTELLETTO,"Dante dà la motivazione teorica della incapacità non solo del suo, ma in generale dell' intelletto umano (nostro intelletto"") a cogliere perfettamente la natura della donna gentile-filosofia. Esso non può infatti elevarsi (""salire"") alla conoscenza piena di alcune realtà come le sostanze separate (""partite"") dalla materia per incapacità (""difetto"") della facoltà (""virtù"") che gli fornisce il materiale da cui astrae i suoi concetti (""quello ch'el vede""). Si tratta della fantasia, o immaginazione, che è una facoltà (""virtù"") organica, cioè dotata di un organo, e dunque legata al corpo ed alla materia. Per questo non è in grado di dare all'intelletto alcun supporto nella conoscenza di realtà immateriali; essa infatti non può possederne alcuna immagine (""nol puote aiutare, che non ha lo di che""). Anche se qualcosa possiamo conoscerne (""le quali, etsi alcuna considerazione di quelle avere potemo""; ""etsi"" è un latinismo piuttosto crudo che sta per 'nonostante che') si tratterà sempre di una conoscenza imperfetta. La dottrina aristotelica della conoscenza, così come espressa nel De anima, ma anche nel De memoria, (cfr. De an. III 7, 431 a 17; 8, 432 a 9; De mem. I, 449 b 31 sgg.) sosteneva che nell'uomo l'atto dell'intelletto presuppone sempre un'immagine sensibile che lo accompagna. La presenza di tale immagine è il risultato dell'azione di una facoltà, la fantasia-immaginazione, appunto, che prolunga le sensazioni anche in assenza dell'oggetto. Pensatori come Avicenna ed Averroè avevano poi individuato ed analizzato in maniera più approfondita i processi di elaborazione del semplice dato sensibile iniziale necessari per orientare gli animali in un ambiente complesso e li avevano collegati ad una serie di facoltà, riassunte sotto il nome di sensi interni e localizzate nelle diverse regioni cerebrali. In particolare Averroè aveva disposto tali facoltà in un ordine ascendente a seconda della sempre minor materialità del dato elaborato. In questa scala l'immaginazione si colloca al livello più alto: nel caso specifico dell'uomo i contenuti da essa costruiti (in linguaggio tecnico i phantasmata) si distaccano dalla particolarità della materia nel grado maggiore possibile per una facoltà corporea; per questo essi contengono in potenza l'universale che l'intelletto incorporeo, e quindi privo di organi, fa passare all' atto (vedi Di Martino 2008). La dipendenza dell'attività intellettiva dai phantasmata viene sottolineata da Tommaso proprio per escludere che in questa vita l'uomo possa giungere alla conoscenza piena delle sostanze separate (alla critica delle posizioni opposte l'Aquinate dedica ben cinque capitoli, i nn. 41-45, del terzo libro della Summa contra Gentiles). Viceversa Alberto Magno, pur non negando il rapporto tra immaginazione-fantasia e attività intellettuale, è convinto che l'intelletto umano sia in grado di comprenderne l'essenza anche prima della morte (cfr. De anima III, tr. 3, capp. 6-11, pp. 214-233). In questo caso, dunque, Dante è tecnicamente tomista. Diverso però è il contesto in cui si iscrivono le due posizioni: nel caso di Tommaso l'impossibilità di cogliere intellettualmente l'essenza delle sostanze separate porta alla affermazione che la speculazione filosofica non può saziare il naturale desiderio di conoscenza e di felicità insito nell' uomo e deve quindi riconoscere la necessità della rivelazione e della grazia. Proprio su questo punto, come vedremo, l'autore del Convivio la pensa in maniera del tutto diversa.","cinque capitoli, i nn. 41-45, del terzo libro",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE NOSTRO INTELLETTO,"Dante dà la motivazione teorica della incapacità non solo del suo, ma in generale dell' intelletto umano (nostro intelletto"") a cogliere perfettamente la natura della donna gentile-filosofia. Esso non può infatti elevarsi (""salire"") alla conoscenza piena di alcune realtà come le sostanze separate (""partite"") dalla materia per incapacità (""difetto"") della facoltà (""virtù"") che gli fornisce il materiale da cui astrae i suoi concetti (""quello ch'el vede""). Si tratta della fantasia, o immaginazione, che è una facoltà (""virtù"") organica, cioè dotata di un organo, e dunque legata al corpo ed alla materia. Per questo non è in grado di dare all'intelletto alcun supporto nella conoscenza di realtà immateriali; essa infatti non può possederne alcuna immagine (""nol puote aiutare, che non ha lo di che""). Anche se qualcosa possiamo conoscerne (""le quali, etsi alcuna considerazione di quelle avere potemo""; ""etsi"" è un latinismo piuttosto crudo che sta per 'nonostante che') si tratterà sempre di una conoscenza imperfetta. La dottrina aristotelica della conoscenza, così come espressa nel De anima, ma anche nel De memoria, (cfr. De an. III 7, 431 a 17; 8, 432 a 9; De mem. I, 449 b 31 sgg.) sosteneva che nell'uomo l'atto dell'intelletto presuppone sempre un'immagine sensibile che lo accompagna. La presenza di tale immagine è il risultato dell'azione di una facoltà, la fantasia-immaginazione, appunto, che prolunga le sensazioni anche in assenza dell'oggetto. Pensatori come Avicenna ed Averroè avevano poi individuato ed analizzato in maniera più approfondita i processi di elaborazione del semplice dato sensibile iniziale necessari per orientare gli animali in un ambiente complesso e li avevano collegati ad una serie di facoltà, riassunte sotto il nome di sensi interni e localizzate nelle diverse regioni cerebrali. In particolare Averroè aveva disposto tali facoltà in un ordine ascendente a seconda della sempre minor materialità del dato elaborato. In questa scala l'immaginazione si colloca al livello più alto: nel caso specifico dell'uomo i contenuti da essa costruiti (in linguaggio tecnico i phantasmata) si distaccano dalla particolarità della materia nel grado maggiore possibile per una facoltà corporea; per questo essi contengono in potenza l'universale che l'intelletto incorporeo, e quindi privo di organi, fa passare all' atto (vedi Di Martino 2008). La dipendenza dell'attività intellettiva dai phantasmata viene sottolineata da Tommaso proprio per escludere che in questa vita l'uomo possa giungere alla conoscenza piena delle sostanze separate (alla critica delle posizioni opposte l'Aquinate dedica ben cinque capitoli, i nn. 41-45, del terzo libro della Summa contra Gentiles). Viceversa Alberto Magno, pur non negando il rapporto tra immaginazione-fantasia e attività intellettuale, è convinto che l'intelletto umano sia in grado di comprenderne l'essenza anche prima della morte (cfr. De anima III, tr. 3, capp. 6-11, pp. 214-233). In questo caso, dunque, Dante è tecnicamente tomista. Diverso però è il contesto in cui si iscrivono le due posizioni: nel caso di Tommaso l'impossibilità di cogliere intellettualmente l'essenza delle sostanze separate porta alla affermazione che la speculazione filosofica non può saziare il naturale desiderio di conoscenza e di felicità insito nell' uomo e deve quindi riconoscere la necessità della rivelazione e della grazia. Proprio su questo punto, come vedremo, l'autore del Convivio la pensa in maniera del tutto diversa.","III, tr. 3, capp. 6-11, pp. 214-233",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRESUNTUOSO SAREBBE A RAGIONARE,"sarebbe presunzione cercarne il motivo'. Nel caso della volontà divina bisogna rimanere al quia. Come aveva detto Boezio di Dacia la 'forma voluntatis divinae' sfugge completamente alla ragione umana (cfr. De aeternitate mundi, p. 355, ll. 537-547). Cfr. Cv II v 18.","p. 355, ll. 537-547",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_aeternitate_mundi,De aeternitate mundi,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VOLSE ... DICERE,"volle sostenere. Secondo un modello tipico delle parafrasi di Alberto Magno Dante fa precedere alla trattazione di un tema strettamente scientifico una sezione di carattere dossografico. Per la descrizione della dottrina di Pitagora secondo cui la terra è una delle stelle che ruota intorno ad un fuoco centrale ed ha diametralmente opposta un' antiterra (questo è il significato del termine greco antichton. ) esattamente eguale (così fatta"") la fonte diretta è il De caelo di Aristotele, citato da Dante stesso nel paragrafo successivo (cfr. De caelo II 13, 293 a 17-24). Dal medesimo brano di quest'opera Dante trae la motivazione pitagorica per cui il più nobile degli elementi, il fuoco, deve occupare il luogo più nobile tra tutti (""nobilissimo intra li luoghi delli quattro corpi semplici""), ovvero il centro (""lo mezzo"") dell'universo. Il testo aristotelico, peraltro, non dice che, secondo Pitagora, terra ed antiterra (""ambe"") si sarebbero mosse su di un orbita che va da occidente in oriente (""una spera che si volvea da occidente in oriente""); le affermazioni che, per i Pitagorici, la terra si muoverebbe come una stella, e soprattutto che questo movimento causerebbe il giorno e la notte a seconda delle diverse posizioni rispetto al sole implica invece che esso sia da oriente ad occidente. Inoltre il De caelo non dice che, nel modello pitagorico, il movimento circolare del sole attorno alla terra e quindi il suo periodico apparire e scomparire per ogni emisfero (""ora si vedea e ora non si vedea"") dipende dal movimento congiunto di terra ed antiterra attorno al fuoco centrale. Infine sembra propria di Dante l'osservazione che secondo questa teoria il movimento del fuoco verso il suo luogo naturale solo apparentemente è ascensionale (""quando parea salire""), ma nella realtà è discensionale (""discendea"") perché si indirizza verso il centro (""mezzo"") dell'universo occupato appunto dal fuoco centrale. Il ricorso ad Alberto Magno da parte di non pochi commentatori, si rivela ingannevole. Nella sua parafrasi del De caelo, infatti, il domenicano tedesco non aggiunge niente di sostanzialmente nuovo al testo di Aristotele ed interpreta correttamente il movimento della terra come un movimento diurno, così come fa Tommaso. Inoltre Alberto per indicare la seconda terra usa il termine antigyon (cfr. De caelo et mundo II, tr. 4, cap. 1, ed Hossfeld, p. 179, ll. 18-40) mentre Dante ha presente, usando antichtona, la traduzione dal greco di Guglielmo di Moerbeke su cui si basa il commento di Tommaso (cfr. In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio II, lectio 20, n. 481). Si è dunque ipotizzato la conoscenza da parte di Dante di un qualche altro commento (peraltro finora non identificato) al testo di Aristotele (vedi G. Stabile, alla voce Pitagora della ED chiedere e la nota a Cv II xiv 7)","II 13, 293 a 17-24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VOLSE ... DICERE,"volle sostenere. Secondo un modello tipico delle parafrasi di Alberto Magno Dante fa precedere alla trattazione di un tema strettamente scientifico una sezione di carattere dossografico. Per la descrizione della dottrina di Pitagora secondo cui la terra è una delle stelle che ruota intorno ad un fuoco centrale ed ha diametralmente opposta un' antiterra (questo è il significato del termine greco antichton. ) esattamente eguale (così fatta"") la fonte diretta è il De caelo di Aristotele, citato da Dante stesso nel paragrafo successivo (cfr. De caelo II 13, 293 a 17-24). Dal medesimo brano di quest'opera Dante trae la motivazione pitagorica per cui il più nobile degli elementi, il fuoco, deve occupare il luogo più nobile tra tutti (""nobilissimo intra li luoghi delli quattro corpi semplici""), ovvero il centro (""lo mezzo"") dell'universo. Il testo aristotelico, peraltro, non dice che, secondo Pitagora, terra ed antiterra (""ambe"") si sarebbero mosse su di un orbita che va da occidente in oriente (""una spera che si volvea da occidente in oriente""); le affermazioni che, per i Pitagorici, la terra si muoverebbe come una stella, e soprattutto che questo movimento causerebbe il giorno e la notte a seconda delle diverse posizioni rispetto al sole implica invece che esso sia da oriente ad occidente. Inoltre il De caelo non dice che, nel modello pitagorico, il movimento circolare del sole attorno alla terra e quindi il suo periodico apparire e scomparire per ogni emisfero (""ora si vedea e ora non si vedea"") dipende dal movimento congiunto di terra ed antiterra attorno al fuoco centrale. Infine sembra propria di Dante l'osservazione che secondo questa teoria il movimento del fuoco verso il suo luogo naturale solo apparentemente è ascensionale (""quando parea salire""), ma nella realtà è discensionale (""discendea"") perché si indirizza verso il centro (""mezzo"") dell'universo occupato appunto dal fuoco centrale. Il ricorso ad Alberto Magno da parte di non pochi commentatori, si rivela ingannevole. Nella sua parafrasi del De caelo, infatti, il domenicano tedesco non aggiunge niente di sostanzialmente nuovo al testo di Aristotele ed interpreta correttamente il movimento della terra come un movimento diurno, così come fa Tommaso. Inoltre Alberto per indicare la seconda terra usa il termine antigyon (cfr. De caelo et mundo II, tr. 4, cap. 1, ed Hossfeld, p. 179, ll. 18-40) mentre Dante ha presente, usando antichtona, la traduzione dal greco di Guglielmo di Moerbeke su cui si basa il commento di Tommaso (cfr. In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio II, lectio 20, n. 481). Si è dunque ipotizzato la conoscenza da parte di Dante di un qualche altro commento (peraltro finora non identificato) al testo di Aristotele (vedi G. Stabile, alla voce Pitagora della ED chiedere e la nota a Cv II xiv 7)","II, tr. 4, cap. 1, ed Hossfeld, p. 179, ll. 18-40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VOLSE ... DICERE,"volle sostenere. Secondo un modello tipico delle parafrasi di Alberto Magno Dante fa precedere alla trattazione di un tema strettamente scientifico una sezione di carattere dossografico. Per la descrizione della dottrina di Pitagora secondo cui la terra è una delle stelle che ruota intorno ad un fuoco centrale ed ha diametralmente opposta un' antiterra (questo è il significato del termine greco antichton. ) esattamente eguale (così fatta"") la fonte diretta è il De caelo di Aristotele, citato da Dante stesso nel paragrafo successivo (cfr. De caelo II 13, 293 a 17-24). Dal medesimo brano di quest'opera Dante trae la motivazione pitagorica per cui il più nobile degli elementi, il fuoco, deve occupare il luogo più nobile tra tutti (""nobilissimo intra li luoghi delli quattro corpi semplici""), ovvero il centro (""lo mezzo"") dell'universo. Il testo aristotelico, peraltro, non dice che, secondo Pitagora, terra ed antiterra (""ambe"") si sarebbero mosse su di un orbita che va da occidente in oriente (""una spera che si volvea da occidente in oriente""); le affermazioni che, per i Pitagorici, la terra si muoverebbe come una stella, e soprattutto che questo movimento causerebbe il giorno e la notte a seconda delle diverse posizioni rispetto al sole implica invece che esso sia da oriente ad occidente. Inoltre il De caelo non dice che, nel modello pitagorico, il movimento circolare del sole attorno alla terra e quindi il suo periodico apparire e scomparire per ogni emisfero (""ora si vedea e ora non si vedea"") dipende dal movimento congiunto di terra ed antiterra attorno al fuoco centrale. Infine sembra propria di Dante l'osservazione che secondo questa teoria il movimento del fuoco verso il suo luogo naturale solo apparentemente è ascensionale (""quando parea salire""), ma nella realtà è discensionale (""discendea"") perché si indirizza verso il centro (""mezzo"") dell'universo occupato appunto dal fuoco centrale. Il ricorso ad Alberto Magno da parte di non pochi commentatori, si rivela ingannevole. Nella sua parafrasi del De caelo, infatti, il domenicano tedesco non aggiunge niente di sostanzialmente nuovo al testo di Aristotele ed interpreta correttamente il movimento della terra come un movimento diurno, così come fa Tommaso. Inoltre Alberto per indicare la seconda terra usa il termine antigyon (cfr. De caelo et mundo II, tr. 4, cap. 1, ed Hossfeld, p. 179, ll. 18-40) mentre Dante ha presente, usando antichtona, la traduzione dal greco di Guglielmo di Moerbeke su cui si basa il commento di Tommaso (cfr. In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio II, lectio 20, n. 481). Si è dunque ipotizzato la conoscenza da parte di Dante di un qualche altro commento (peraltro finora non identificato) al testo di Aristotele (vedi G. Stabile, alla voce Pitagora della ED chiedere e la nota a Cv II xiv 7)","expositio II, lectio 20, n. 481, traduzione dal greco di Guglielmo di Moerbeke",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_libros_Aristotelis_De_caelo_et_mundo_expositio(Tommaso),In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PLATONE FU POI,"nonostante il riferimento esplicito al Timeo, la esposizione delle dottrine platoniche dipende da quanto ne dice Aristotele sempre nel tredicesimo capitolo del secondo libro del De caelo (293b 30-32) con alcune differenze: dopo aver detto che, per Platone l'orbe terracqueo (la terra col mare"") era effettivamente (""bene"") il centro dell'universo (""lo mezzo di tutto"") Dante parla di un movimento di rotazione della sfera terrestre attorno al proprio centro ("" 'l suo tondo tutto si girava a torno al suo centro""); nel testo aristotelico questo movimento si svolgerebbe piuttosto intorno all'asse dell'universo, un termine che nelle due traduzioni latine, (quella quella dall'arabo di Gerardo da Cremona e quella dal greco di Guglielmo di Moerbeke) viene reso rispettivamente con ""orbe"" e ""polo"". Inoltre, come nel caso dei Pitagorici, anche qui vengono introdotte precisazioni non presenti nel De caelo e neppure nei commenti di Alberto Magno e di Tommaso, e cioè che questo movimento ha la medesima direzione di quello del primo cielo (""seguendo lo primo movimento del cielo""), quindi da oriente ad occidente, ma che la terra si muove assai più lentamente (""tardi molto"") a causa sia della sua pesantezza (""per la sua grossa matera""), sia della sua distanza dal primo mobile (""quello"") che è la più alta rispetto a tutti gli altri corpi celesti. Come per la discussione della natura della Galassia (cfr. Cv II xiv 5-7) potremmo ipotizzare che Dante abbia avuto a disposizione un qualche altro commento presente nelle librerie dei conventi fiorentini.",tredicesimo capitolo del secondo libro del De caelo (293b 30-32),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL SECONDO DI CIELO E MONDO,"il riferimento è a De caelo II 13, 293 b 6-15; 14, 296 a 24 sgg .","II 13, 293 b 6-15;",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL SECONDO DI CIELO E MONDO,"il riferimento è a De caelo II 13, 293 b 6-15; 14, 296 a 24 sgg .","14, 296 a 24 sgg .",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUIVI,"la dimostrazione aristoteliche della centralità e della immobilità della terra si trova sempre in De caelo II, al capitolo 14.","II, al capitolo 14",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SETTEMILA CINQUECENTO MIGLIA,"sommate alle duemila settecento che dividono Roma dal Polo nord danno la cifra di 10.200 miglia che è quella appunto di un semimeridiano, ovvero la metà delle 20.400 miglia calcolate da Alfragano per la circonferenza terrestre nel cap. ottavo del Liber aggregationis, p. 89. Cfr. Toynbee, p. 73). Ovviamente nell'astronomo arabo non si trovano espresse le distanze di Roma dai due poli. La loro determinazione presuppone la conoscenza della latitudine della città (la corrispondenza tra gradi e miglia poteva invece essere ricavata a partire dal testo di Alfragano).","cap. Ottavo, p. 89. Cfr. Toynbee, p. 73",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +SÌ CHE LI CITTADINI DI MARIA ...DI LUCIA,"avere le piante dei piedi opposte le une alle altre è il significato primario del termine antipodi"", ed in questo senso era stato usato da Agostino nel De civitate Dei (XVI 9, p. 510): coloro che ""calcant adversa pedibus nostris vestigia"" sono appunto gli antipodes. Il passo del De civitate era stato poi ripreso quasi alla lettera dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, uno dei testi di consultazione più diffuso tra i medievali (""ii qui Antipodae dicuntur eo quod contrarii esse vestigiis nostris putantur, ut qui sub terris positi adversa pedibus nostris calcent vestigia"" IX ii 133, vol. I, s.p.). Bisogna però ricordare che sia i cittadini di Maria che quelli di Lucia sono immaginari come le loro città. Dante, dunque non prende posizione sulla controversa questione dell'esistenza reale degli antipodi, negata da Agostino e dalla tradizione teologica successiva, ma ammessa da Alberto Magno.","XVI 9, p. 510",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +SÌ CHE LI CITTADINI DI MARIA ...DI LUCIA,"avere le piante dei piedi opposte le une alle altre è il significato primario del termine antipodi"", ed in questo senso era stato usato da Agostino nel De civitate Dei (XVI 9, p. 510): coloro che ""calcant adversa pedibus nostris vestigia"" sono appunto gli antipodes. Il passo del De civitate era stato poi ripreso quasi alla lettera dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, uno dei testi di consultazione più diffuso tra i medievali (""ii qui Antipodae dicuntur eo quod contrarii esse vestigiis nostris putantur, ut qui sub terris positi adversa pedibus nostris calcent vestigia"" IX ii 133, vol. I, s.p.). Bisogna però ricordare che sia i cittadini di Maria che quelli di Lucia sono immaginari come le loro città. Dante, dunque non prende posizione sulla controversa questione dell'esistenza reale degli antipodi, negata da Agostino e dalla tradizione teologica successiva, ma ammessa da Alberto Magno.","""ii qui Antipodae dicuntur eo quod contrarii esse vestigiis nostris putantur, ut qui sub terris positi adversa pedibus nostris calcent vestigia"" IX ii 133, vol. I, s.p.""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +NEL LIBRO DELLA NATURA DE' LUOGHI E DELLE PROPIETADI DELLI ELEMENTI,"nella tradizione manoscritta le due opere di Alberto (il De natura loci e il De causis proprietatum elementorum) sono quasi sempre associate (e quindi non è necessario integrare il testo con in quello"" prima di ""delle propietadi"" come fa l'edizione Brambilla Ageno). In esse Dante poteva trovare la definizione del 'circulus aequinoctialis' (cioè dell'equatore) come linea che divide il globo terrestre in due parti eguali (lo stesso avevano già detto gli astronomi-astrologi Alfragano nel Liber aggregationis e Giovanni di Sacrobosco nel Tractatus de sphera) e la descrizione della prima zona climatica come una fascia che si estende fino al sedicesimo grado a nord dell'equatore il quale funge quindi in gran parte da suo limite estremo meridionale (""là nel mezzo die quasi per tutta l'estremità del primo climate"") e divide le terre emerse (""questa terra discoperta"") dalle acque dell'Oceano che coprono l'emisfero australe. (cfr. De natura loci tr.1, capp. 9 e 12, p. 16, ll. 50-2, 93-6; pp. 20-21; De causis proprietatum elementorum tr. 1, cap. 5, p. 57, ll. 23-5. In realtà che l'emisfero australe sia occupato dall'Oceano è opinione riportata, ma non condivisa, da Alberto). Infine Lucano dice nel nono libro della Farsaglia che ad un certo momento, nella ritirata attraverso il deserto libico per sfuggire al potere assoluto di Cesare (""la signoria di Cesare fuggendo"") Catone e le sue legioni repubblicane (indicate con metonimia come ""il popolo romano"") si sono imbattuti nei Garamanti che abitano là dove ""circulus alti / solstitii medium signorum percutit orbem"" (IX 531-2; 511-3), quindi alla estremità meridionale del primo clima. Né in Lucano, però, né comunque nella tradizione classica i Garamanti sono associati alla nudità (lo è invece la popolazione contermine dei Nasamoni), mentre Dante ripeterà la medesima caratterizzazione in Mn I i 6 (""Garamantes qui ... ob estus aeris nimietatem vestimentis operiri non possunt"").","tr.1, capp. 9 e 12, p. 16, ll. 50-2, 93-6; pp. 20-21",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_locorum(Alberto_Magno),De natura locorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL LIBRO DELLA NATURA DE' LUOGHI E DELLE PROPIETADI DELLI ELEMENTI,"nella tradizione manoscritta le due opere di Alberto (il De natura loci e il De causis proprietatum elementorum) sono quasi sempre associate (e quindi non è necessario integrare il testo con in quello"" prima di ""delle propietadi"" come fa l'edizione Brambilla Ageno). In esse Dante poteva trovare la definizione del 'circulus aequinoctialis' (cioè dell'equatore) come linea che divide il globo terrestre in due parti eguali (lo stesso avevano già detto gli astronomi-astrologi Alfragano nel Liber aggregationis e Giovanni di Sacrobosco nel Tractatus de sphera) e la descrizione della prima zona climatica come una fascia che si estende fino al sedicesimo grado a nord dell'equatore il quale funge quindi in gran parte da suo limite estremo meridionale (""là nel mezzo die quasi per tutta l'estremità del primo climate"") e divide le terre emerse (""questa terra discoperta"") dalle acque dell'Oceano che coprono l'emisfero australe. (cfr. De natura loci tr.1, capp. 9 e 12, p. 16, ll. 50-2, 93-6; pp. 20-21; De causis proprietatum elementorum tr. 1, cap. 5, p. 57, ll. 23-5. In realtà che l'emisfero australe sia occupato dall'Oceano è opinione riportata, ma non condivisa, da Alberto). Infine Lucano dice nel nono libro della Farsaglia che ad un certo momento, nella ritirata attraverso il deserto libico per sfuggire al potere assoluto di Cesare (""la signoria di Cesare fuggendo"") Catone e le sue legioni repubblicane (indicate con metonimia come ""il popolo romano"") si sono imbattuti nei Garamanti che abitano là dove ""circulus alti / solstitii medium signorum percutit orbem"" (IX 531-2; 511-3), quindi alla estremità meridionale del primo clima. Né in Lucano, però, né comunque nella tradizione classica i Garamanti sono associati alla nudità (lo è invece la popolazione contermine dei Nasamoni), mentre Dante ripeterà la medesima caratterizzazione in Mn I i 6 (""Garamantes qui ... ob estus aeris nimietatem vestimentis operiri non possunt"").","tr. 1, cap. 5, p. 57, ll. 23-5",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_causis_proprietatum_elementorum(Alberto_Magno),De causis proprietatum elementorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL LIBRO DELLA NATURA DE' LUOGHI E DELLE PROPIETADI DELLI ELEMENTI,"nella tradizione manoscritta le due opere di Alberto (il De natura loci e il De causis proprietatum elementorum) sono quasi sempre associate (e quindi non è necessario integrare il testo con in quello"" prima di ""delle propietadi"" come fa l'edizione Brambilla Ageno). In esse Dante poteva trovare la definizione del 'circulus aequinoctialis' (cioè dell'equatore) come linea che divide il globo terrestre in due parti eguali (lo stesso avevano già detto gli astronomi-astrologi Alfragano nel Liber aggregationis e Giovanni di Sacrobosco nel Tractatus de sphera) e la descrizione della prima zona climatica come una fascia che si estende fino al sedicesimo grado a nord dell'equatore il quale funge quindi in gran parte da suo limite estremo meridionale (""là nel mezzo die quasi per tutta l'estremità del primo climate"") e divide le terre emerse (""questa terra discoperta"") dalle acque dell'Oceano che coprono l'emisfero australe. (cfr. De natura loci tr.1, capp. 9 e 12, p. 16, ll. 50-2, 93-6; pp. 20-21; De causis proprietatum elementorum tr. 1, cap. 5, p. 57, ll. 23-5. In realtà che l'emisfero australe sia occupato dall'Oceano è opinione riportata, ma non condivisa, da Alberto). Infine Lucano dice nel nono libro della Farsaglia che ad un certo momento, nella ritirata attraverso il deserto libico per sfuggire al potere assoluto di Cesare (""la signoria di Cesare fuggendo"") Catone e le sue legioni repubblicane (indicate con metonimia come ""il popolo romano"") si sono imbattuti nei Garamanti che abitano là dove ""circulus alti / solstitii medium signorum percutit orbem"" (IX 531-2; 511-3), quindi alla estremità meridionale del primo clima. Né in Lucano, però, né comunque nella tradizione classica i Garamanti sono associati alla nudità (lo è invece la popolazione contermine dei Nasamoni), mentre Dante ripeterà la medesima caratterizzazione in Mn I i 6 (""Garamantes qui ... ob estus aeris nimietatem vestimentis operiri non possunt"").",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +NEL LIBRO DELLA NATURA DE' LUOGHI E DELLE PROPIETADI DELLI ELEMENTI,"nella tradizione manoscritta le due opere di Alberto (il De natura loci e il De causis proprietatum elementorum) sono quasi sempre associate (e quindi non è necessario integrare il testo con in quello"" prima di ""delle propietadi"" come fa l'edizione Brambilla Ageno). In esse Dante poteva trovare la definizione del 'circulus aequinoctialis' (cioè dell'equatore) come linea che divide il globo terrestre in due parti eguali (lo stesso avevano già detto gli astronomi-astrologi Alfragano nel Liber aggregationis e Giovanni di Sacrobosco nel Tractatus de sphera) e la descrizione della prima zona climatica come una fascia che si estende fino al sedicesimo grado a nord dell'equatore il quale funge quindi in gran parte da suo limite estremo meridionale (""là nel mezzo die quasi per tutta l'estremità del primo climate"") e divide le terre emerse (""questa terra discoperta"") dalle acque dell'Oceano che coprono l'emisfero australe. (cfr. De natura loci tr.1, capp. 9 e 12, p. 16, ll. 50-2, 93-6; pp. 20-21; De causis proprietatum elementorum tr. 1, cap. 5, p. 57, ll. 23-5. In realtà che l'emisfero australe sia occupato dall'Oceano è opinione riportata, ma non condivisa, da Alberto). Infine Lucano dice nel nono libro della Farsaglia che ad un certo momento, nella ritirata attraverso il deserto libico per sfuggire al potere assoluto di Cesare (""la signoria di Cesare fuggendo"") Catone e le sue legioni repubblicane (indicate con metonimia come ""il popolo romano"") si sono imbattuti nei Garamanti che abitano là dove ""circulus alti / solstitii medium signorum percutit orbem"" (IX 531-2; 511-3), quindi alla estremità meridionale del primo clima. Né in Lucano, però, né comunque nella tradizione classica i Garamanti sono associati alla nudità (lo è invece la popolazione contermine dei Nasamoni), mentre Dante ripeterà la medesima caratterizzazione in Mn I i 6 (""Garamantes qui ... ob estus aeris nimietatem vestimentis operiri non possunt"").",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tractatus_de_sphera,Tractatus de sphera,Giovanni di Sacrobosco,http://dbpedia.org/resource/Johannes_de_Sacrobosco,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +NEL LIBRO DELLA NATURA DE' LUOGHI E DELLE PROPIETADI DELLI ELEMENTI,"nella tradizione manoscritta le due opere di Alberto (il De natura loci e il De causis proprietatum elementorum) sono quasi sempre associate (e quindi non è necessario integrare il testo con in quello"" prima di ""delle propietadi"" come fa l'edizione Brambilla Ageno). In esse Dante poteva trovare la definizione del 'circulus aequinoctialis' (cioè dell'equatore) come linea che divide il globo terrestre in due parti eguali (lo stesso avevano già detto gli astronomi-astrologi Alfragano nel Liber aggregationis e Giovanni di Sacrobosco nel Tractatus de sphera) e la descrizione della prima zona climatica come una fascia che si estende fino al sedicesimo grado a nord dell'equatore il quale funge quindi in gran parte da suo limite estremo meridionale (""là nel mezzo die quasi per tutta l'estremità del primo climate"") e divide le terre emerse (""questa terra discoperta"") dalle acque dell'Oceano che coprono l'emisfero australe. (cfr. De natura loci tr.1, capp. 9 e 12, p. 16, ll. 50-2, 93-6; pp. 20-21; De causis proprietatum elementorum tr. 1, cap. 5, p. 57, ll. 23-5. In realtà che l'emisfero australe sia occupato dall'Oceano è opinione riportata, ma non condivisa, da Alberto). Infine Lucano dice nel nono libro della Farsaglia che ad un certo momento, nella ritirata attraverso il deserto libico per sfuggire al potere assoluto di Cesare (""la signoria di Cesare fuggendo"") Catone e le sue legioni repubblicane (indicate con metonimia come ""il popolo romano"") si sono imbattuti nei Garamanti che abitano là dove ""circulus alti / solstitii medium signorum percutit orbem"" (IX 531-2; 511-3), quindi alla estremità meridionale del primo clima. Né in Lucano, però, né comunque nella tradizione classica i Garamanti sono associati alla nudità (lo è invece la popolazione contermine dei Nasamoni), mentre Dante ripeterà la medesima caratterizzazione in Mn I i 6 (""Garamantes qui ... ob estus aeris nimietatem vestimentis operiri non possunt"").",IX 531-2; 511-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +O INEFFABILE SAPIENZA,"per un singolo verso della canzone, che inoltre sembrerebbe di comprensione immediata (il sole che gira intorno al mondo), Dante ha costruito una spiegazione che si protrae per un intero capitolo facendo ricorso a nozioni di astronomia, di geografia fisica ed umana (i Garamanti ignudi"") ed anche di storia antica (Catone e la marcia nel deserto delle legioni repubblicane) arricchite da un uso affascinante, ma sempre controllato, dell'immaginazione (le due città poste sui due poli, i loro abitanti che hanno lo sguardo rivolto verso il sole). Non si tratta, come potrebbe sembrare a prima vista, di uno sfoggio piuttosto ridondante di competenze di seconda mano. Piuttosto si vuole mostrare al pubblico del Convivio (quelli ""a cui utilitade e diletto io scrivo"") come una esperienza comune ed irriflessa possa e debba essere inquadrata in un orizzonte dove le distanze immense, ma pur sempre misurabili, dei luoghi e l'ampiezza dei ritmi cosmici rimandano alla grandezza indicibile della mente divina che ha ordinato con sapienza i rapporti tra i tempi e gli spazi. Così l'apparentemente ovvio diventa motivo per rendersi conto di come debole (""povera"") sia la mente umana nella comprensione del disegno divino. Questa consapevolezza deve allora trasformarsi nel bisogno di levare lo sguardo, dalla ristrettezza cieca dei bisogni e degli interessi immediati (la ""cechitade"", il ""fango della vostra stoltezza"") all'ordine complessivo dell'universo, modello di ogni corretto ordine della vita umana, sia singola che associata. (cfr. Pg XIV 148-150 ""Chiamavi il cielo e 'ntorno vi si gira / mostrandovi le sue bellezze etterne / e l'occhio vostro pur a terra mira""; cfr. anche Pd X 7-25). L'appello all'ineffabile sapienza divina riecheggia quello di Paolo nella Lettera ai Romani (cfr. Rm 11, 33 ""O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei, quam incomprehensibilia sunt iudicia eius ... "") che peraltro lo applica a tutt'altra materia. Cfr. Cv IV v 9; xxi 6.","Lettera ai Romani (cfr. Rm 11, 33 ""O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei, quam incomprehensibilia sunt iudicia eius ... "")""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +'ORA' PER DUE MODI SI PRENDE DALLI ASTROLOGI,"gli astronomi danno un doppio significato al termine ora"". Il testo di riferimento per le due definizioni è ancora una volta il Liber aggregationis di Alfragano (cap. XI De quantitate temporis noctis et diei et diversitate horarum aequalium et temporalium, pp. 106-7. Cfr. Toynbee, pp. 74-5).","(cap. XI De quantitate temporis noctis et diei et diversitate horarum aequalium et temporalium, pp. 106-7. Cfr. Toynbee, pp. 74-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +CIASCUNO INTELLETTO DI SOPRA ...,"Dante per spiegare come le Intelligenze angeliche (di sopra"" in contrapposizione alla gente di qua giù) conoscono la donna gentile ricorre alla dottrina del Liber De causis e più precisamente alla proposizione VII (VIII), p. 64, che afferma ""omnis Intelligentia scit quod est supra se et quod est sub se "": conosce ciò che le è inferiore in quanto ne è la causa (""conosce quello che è sotto di lei sì come suo effetto""; ""scit quod est sub se, quoniam est causa ei""); conosce ciò che le è superiore in quanto ne è causata (""e sa che ciò che le è superiore è la sua causa""; ""et scit quod illud quod est supra eam, est causa ei""). Ma mentre le affermazioni del De causis presuppongono una gerarchia di Intelligenze in cui ognuna è in contatto immediato solo con quella superiore, di cui è effetto, e con quella inferiore di cui è causa, Dante le mette tutte direttamente in relazione con Dio facendo di Lui la loro causa (""cagione"") immediata (la tesi di Bruno Nardi relativa ad una piena adesione di Dante al modello emanatistico di Avicenna dovrebbe dunque essere soggetta a cautele). In questo modo scatta il riferimento ad un meccanismo conoscitivo non presente nel Liber: poiché (""però che"") Dio è causa di tutto (""universalissima cagione di tutte le cose""), le Intelligenze, conoscendolo conoscono tutte le cose, ma le conoscono ""dentro di sé"" cioè secondo una modalità esclusivamente intellettuale (""secondo lo modo della Intelligenza""). Questo significa che oggetto della loro conoscenza non sono in primo luogo gli individui, ma le strutture formali (nel caso che interessa a Dante la ""forma umana"") presenti nella mente divina come regole della produzione delle cose (""in quanto per intenzione regolata""). Utilizzando la distinzione tra Angeli che esclusivamente contemplano Dio ed Angeli deputati invece al movimento dei cieli tracciata in Cv II iv (posizione anch'essa del tutto estranea alle dottrine del De causis) Dante afferma che questi ultimi (""le Intelligenze motrici"") hanno una conoscenza ancora più piena (""massimamente conoscono"") della forma dell'uomo: essi infatti, proprio attraverso il moto dei cieli da loro retti, sono causa della sua specificazione nei singoli individui che si generano nella realtà, e questo per quella come per ogni altra forma (""sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generata""). La conoscenza della forma umana in Dio, che ha tutte le perfezioni possibili (""perfettissima tanto quanto essere puote""), diventa per loro la regola e il modello (""essemplo"") in base a cui riprodurla in natura. Sembra dunque che soltanto le Intelligenze deputate al governo dei cieli producano in senso stretto effetti da loro pienamente conoscibili e che questi effetti si identifichino con le realtà del mondo sublunare: un altro elemento di distanza dal modello del Liber de Causis. La dottrina per cui, usando del movimento dei cieli come di uno strumento, le Intelligenze celesti, simili ad artigiani divini, riproducono nel mondo del divenire i modelli ideali (cioè le specie delle cose) è continuamente presente nelle parafrasi aristoteliche di Alberto Magno (basti per tutte Metaphysica XI = XII, tr. 3, cap. 2, vol. II, p. 537, ll. 5-34).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CIASCUNO INTELLETTO DI SOPRA ...,"Dante per spiegare come le Intelligenze angeliche (di sopra"" in contrapposizione alla gente di qua giù) conoscono la donna gentile ricorre alla dottrina del Liber De causis e più precisamente alla proposizione VII (VIII), p. 64, che afferma ""omnis Intelligentia scit quod est supra se et quod est sub se "": conosce ciò che le è inferiore in quanto ne è la causa (""conosce quello che è sotto di lei sì come suo effetto""; ""scit quod est sub se, quoniam est causa ei""); conosce ciò che le è superiore in quanto ne è causata (""e sa che ciò che le è superiore è la sua causa""; ""et scit quod illud quod est supra eam, est causa ei""). Ma mentre le affermazioni del De causis presuppongono una gerarchia di Intelligenze in cui ognuna è in contatto immediato solo con quella superiore, di cui è effetto, e con quella inferiore di cui è causa, Dante le mette tutte direttamente in relazione con Dio facendo di Lui la loro causa (""cagione"") immediata (la tesi di Bruno Nardi relativa ad una piena adesione di Dante al modello emanatistico di Avicenna dovrebbe dunque essere soggetta a cautele). In questo modo scatta il riferimento ad un meccanismo conoscitivo non presente nel Liber: poiché (""però che"") Dio è causa di tutto (""universalissima cagione di tutte le cose""), le Intelligenze, conoscendolo conoscono tutte le cose, ma le conoscono ""dentro di sé"" cioè secondo una modalità esclusivamente intellettuale (""secondo lo modo della Intelligenza""). Questo significa che oggetto della loro conoscenza non sono in primo luogo gli individui, ma le strutture formali (nel caso che interessa a Dante la ""forma umana"") presenti nella mente divina come regole della produzione delle cose (""in quanto per intenzione regolata""). Utilizzando la distinzione tra Angeli che esclusivamente contemplano Dio ed Angeli deputati invece al movimento dei cieli tracciata in Cv II iv (posizione anch'essa del tutto estranea alle dottrine del De causis) Dante afferma che questi ultimi (""le Intelligenze motrici"") hanno una conoscenza ancora più piena (""massimamente conoscono"") della forma dell'uomo: essi infatti, proprio attraverso il moto dei cieli da loro retti, sono causa della sua specificazione nei singoli individui che si generano nella realtà, e questo per quella come per ogni altra forma (""sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generata""). La conoscenza della forma umana in Dio, che ha tutte le perfezioni possibili (""perfettissima tanto quanto essere puote""), diventa per loro la regola e il modello (""essemplo"") in base a cui riprodurla in natura. Sembra dunque che soltanto le Intelligenze deputate al governo dei cieli producano in senso stretto effetti da loro pienamente conoscibili e che questi effetti si identifichino con le realtà del mondo sublunare: un altro elemento di distanza dal modello del Liber de Causis. La dottrina per cui, usando del movimento dei cieli come di uno strumento, le Intelligenze celesti, simili ad artigiani divini, riproducono nel mondo del divenire i modelli ideali (cioè le specie delle cose) è continuamente presente nelle parafrasi aristoteliche di Alberto Magno (basti per tutte Metaphysica XI = XII, tr. 3, cap. 2, vol. II, p. 537, ll. 5-34).","XI = XII, tr. 3, cap. 2, vol. II, p. 537, ll. 5-34",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Metaphysicorum(Alberto_Magno),Metaphysicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RIMAGNA,"rimanga'. Che ogni realtà tenda alla sua perfezione, come fine ultimo cui tutti gli altri sono subordinati, è dottrina di origine aristotelica riassunta da Tommaso negli stessi termini di Dante (cfr. Summa contra Gentiles I, cap. 37, n. 304 Ex hoc ...unumquodque bonum est quod perfectum est. Et inde est quod unumquodque suam perfectionem appetit sicut proprium bonum"") e comunque già utilizzata proprio all'inizio del Convivio. Nonostante la metafora della sete che sembra alludere all'episodio della Samaritana nel Vangelo di Giovanni (cfr. Cv I i 9) ed anticipare Pg XXI 1-3 non mi sembra che qui il raggiungimento della perfezione sia rinviato a dopo la morte. Il principio, infatti, riguarda tutti gli esseri e se anche il testo passa poi bruscamente a parlare dell'uomo (""l'anima nostra"") l'incapacità di ogni altra gioia a quietare il desiderio di raggiungere la perfezione non significa che esso non possa essere soddisfatto in questa vita. Come avevano detto i magistri artium parigini, riferendosi ad un testo di Averroè (Metaph. XI= XII, c.51, f. 335D) ""numquam satiatur appetitus sciendi donec sciatur ens increatum"": quello che appunto fa il filosofo, raggiungendo il grado ultimo della perfezione specificamente umana (cfr. Boezio di Dacia, De summo bono, p. 375, ll. 170-171). D'altra parte proprio nel paragrafo seguente Dante afferma chiaramente la possibilità di ""provare pace"" anche ""qua giù"", nella contemplazione della ""donna gentile"": essa, pur se non si identifica con la perfezione assoluta, è perfetta quanto può esserlo l'essenza umana e questo, come vedremo, basta a saziare la ""natural sete"" di perfezione.","I, cap. 37, n. 304 Ex hoc ...unumquodque bonum est quod perfectum est. Et inde est quod unumquodque suam perfectionem appetit sicut proprium bonum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RIMAGNA,"rimanga'. Che ogni realtà tenda alla sua perfezione, come fine ultimo cui tutti gli altri sono subordinati, è dottrina di origine aristotelica riassunta da Tommaso negli stessi termini di Dante (cfr. Summa contra Gentiles I, cap. 37, n. 304 Ex hoc ...unumquodque bonum est quod perfectum est. Et inde est quod unumquodque suam perfectionem appetit sicut proprium bonum"") e comunque già utilizzata proprio all'inizio del Convivio. Nonostante la metafora della sete che sembra alludere all'episodio della Samaritana nel Vangelo di Giovanni (cfr. Cv I i 9) ed anticipare Pg XXI 1-3 non mi sembra che qui il raggiungimento della perfezione sia rinviato a dopo la morte. Il principio, infatti, riguarda tutti gli esseri e se anche il testo passa poi bruscamente a parlare dell'uomo (""l'anima nostra"") l'incapacità di ogni altra gioia a quietare il desiderio di raggiungere la perfezione non significa che esso non possa essere soddisfatto in questa vita. Come avevano detto i magistri artium parigini, riferendosi ad un testo di Averroè (Metaph. XI= XII, c.51, f. 335D) ""numquam satiatur appetitus sciendi donec sciatur ens increatum"": quello che appunto fa il filosofo, raggiungendo il grado ultimo della perfezione specificamente umana (cfr. Boezio di Dacia, De summo bono, p. 375, ll. 170-171). D'altra parte proprio nel paragrafo seguente Dante afferma chiaramente la possibilità di ""provare pace"" anche ""qua giù"", nella contemplazione della ""donna gentile"": essa, pur se non si identifica con la perfezione assoluta, è perfetta quanto può esserlo l'essenza umana e questo, come vedremo, basta a saziare la ""natural sete"" di perfezione.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +RIMAGNA,"rimanga'. Che ogni realtà tenda alla sua perfezione, come fine ultimo cui tutti gli altri sono subordinati, è dottrina di origine aristotelica riassunta da Tommaso negli stessi termini di Dante (cfr. Summa contra Gentiles I, cap. 37, n. 304 Ex hoc ...unumquodque bonum est quod perfectum est. Et inde est quod unumquodque suam perfectionem appetit sicut proprium bonum"") e comunque già utilizzata proprio all'inizio del Convivio. Nonostante la metafora della sete che sembra alludere all'episodio della Samaritana nel Vangelo di Giovanni (cfr. Cv I i 9) ed anticipare Pg XXI 1-3 non mi sembra che qui il raggiungimento della perfezione sia rinviato a dopo la morte. Il principio, infatti, riguarda tutti gli esseri e se anche il testo passa poi bruscamente a parlare dell'uomo (""l'anima nostra"") l'incapacità di ogni altra gioia a quietare il desiderio di raggiungere la perfezione non significa che esso non possa essere soddisfatto in questa vita. Come avevano detto i magistri artium parigini, riferendosi ad un testo di Averroè (Metaph. XI= XII, c.51, f. 335D) ""numquam satiatur appetitus sciendi donec sciatur ens increatum"": quello che appunto fa il filosofo, raggiungendo il grado ultimo della perfezione specificamente umana (cfr. Boezio di Dacia, De summo bono, p. 375, ll. 170-171). D'altra parte proprio nel paragrafo seguente Dante afferma chiaramente la possibilità di ""provare pace"" anche ""qua giù"", nella contemplazione della ""donna gentile"": essa, pur se non si identifica con la perfezione assoluta, è perfetta quanto può esserlo l'essenza umana e questo, come vedremo, basta a saziare la ""natural sete"" di perfezione.","p. 375, ll. 170-171",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CIASCUNO MAESTRO AMA ...,"che ogni produttore ami in generale il suo prodotto è detto nell' Etica Nicomachea (IX 7, 1167 b 34 - 1168 a 3) dove il termine technites viene tradotto con artifex, l'equivalente appunto di maestro"". Che ogni artigiano ami di più il suo 'capo d'opera' (""opera ottima"") è ovvia deduzione di Dante.","IX 7, 1167 b 34 - 1168 a 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"la prova di quanto affermato viene condotta attraverso una catena di inferenze che partono dalla classica definizione aristotelica dell'anima (De an. II 1, 412 a 27-28 anima est actus primus corporis physici potentia vitam habentis""). Che dall'esser atto del corpo derivi all'anima l'essere la sua causa è pure dottrina esplicita del De anima (cfr. De an. II 4, 415 b 7 ""Est autem anima viventis corporis causa et principium""). Il termine ""conduce"" sembra rimandare ad un testo di Alberto Magno (Summa de creaturis, II, De homine I.1.1.3.1.1.2, ad primum, p.14, ll. 28-32) in cui si afferma che l'anima ""conducit corpus ad esse ... et ad operationes"". Vedi Gentili 2002, p. 23. Che ogni ogni causa trasmetta al proprio effetto le qualità (""infonde ... della bontade"") che essa stessa ha ricevuto dalla sua causa, invece, non è dottrina rintracciabile alla lettera nel già citato (""allegato"") Liber de causis (""Libro delle Cagioni""). Probabilmente Dante ha connesso ciò che vien detto nella proposizione prima, dove compare appunto il termine ""causa"" (""non figitur causatum causae secundae nisi per virtutem causae primae. Quod est quia causa secunda quando facit rem, influit causa prima quae est super eam super illam rem de virtute sua"") con un' affermazione della proposizione quarta dove si parla appunto di trasmissione di ""bontadi"" (""intelligentiae primae influunt super intelligentias secundas bonitates quas recipiunt a causa prima"", pp. 49, 56). Anche in questo caso, però, Dante, ignorando la catena gerarchica presentata dal De causis, mette l'anima direttamente in relazione con Dio (""la cagione sua, ch'è Dio""): l'anima trasmette al corpo tutte le perfezioni che da Dio ha ricevuto. Poiché dunque, per quanto riguarda il corpo, si vedono (""veggiono"") nella donna gentile bellezze stupende, che rendono chiunque la guarda (""ogni guardatore"") desideroso di contemplarle ulteriormente (""disioso di quelle vedere"") risulta evidente che la sua anima, che regge (""conduce"") il corpo come sua specifica causa (""come cagione propia"") accoglie miracolosamente (cioè, al di sopra delle perfezioni puramente naturali) il dono gratuito (""grazioso"") di Dio.","II 1, 412 a 27-28 anima est actus primus corporis physici potentia vitam habentis""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"la prova di quanto affermato viene condotta attraverso una catena di inferenze che partono dalla classica definizione aristotelica dell'anima (De an. II 1, 412 a 27-28 anima est actus primus corporis physici potentia vitam habentis""). Che dall'esser atto del corpo derivi all'anima l'essere la sua causa è pure dottrina esplicita del De anima (cfr. De an. II 4, 415 b 7 ""Est autem anima viventis corporis causa et principium""). Il termine ""conduce"" sembra rimandare ad un testo di Alberto Magno (Summa de creaturis, II, De homine I.1.1.3.1.1.2, ad primum, p.14, ll. 28-32) in cui si afferma che l'anima ""conducit corpus ad esse ... et ad operationes"". Vedi Gentili 2002, p. 23. Che ogni ogni causa trasmetta al proprio effetto le qualità (""infonde ... della bontade"") che essa stessa ha ricevuto dalla sua causa, invece, non è dottrina rintracciabile alla lettera nel già citato (""allegato"") Liber de causis (""Libro delle Cagioni""). Probabilmente Dante ha connesso ciò che vien detto nella proposizione prima, dove compare appunto il termine ""causa"" (""non figitur causatum causae secundae nisi per virtutem causae primae. Quod est quia causa secunda quando facit rem, influit causa prima quae est super eam super illam rem de virtute sua"") con un' affermazione della proposizione quarta dove si parla appunto di trasmissione di ""bontadi"" (""intelligentiae primae influunt super intelligentias secundas bonitates quas recipiunt a causa prima"", pp. 49, 56). Anche in questo caso, però, Dante, ignorando la catena gerarchica presentata dal De causis, mette l'anima direttamente in relazione con Dio (""la cagione sua, ch'è Dio""): l'anima trasmette al corpo tutte le perfezioni che da Dio ha ricevuto. Poiché dunque, per quanto riguarda il corpo, si vedono (""veggiono"") nella donna gentile bellezze stupende, che rendono chiunque la guarda (""ogni guardatore"") desideroso di contemplarle ulteriormente (""disioso di quelle vedere"") risulta evidente che la sua anima, che regge (""conduce"") il corpo come sua specifica causa (""come cagione propia"") accoglie miracolosamente (cioè, al di sopra delle perfezioni puramente naturali) il dono gratuito (""grazioso"") di Dio.","II 4, 415 b 7 ""Est autem anima viventis corporis causa et principium""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"la prova di quanto affermato viene condotta attraverso una catena di inferenze che partono dalla classica definizione aristotelica dell'anima (De an. II 1, 412 a 27-28 anima est actus primus corporis physici potentia vitam habentis""). Che dall'esser atto del corpo derivi all'anima l'essere la sua causa è pure dottrina esplicita del De anima (cfr. De an. II 4, 415 b 7 ""Est autem anima viventis corporis causa et principium""). Il termine ""conduce"" sembra rimandare ad un testo di Alberto Magno (Summa de creaturis, II, De homine I.1.1.3.1.1.2, ad primum, p.14, ll. 28-32) in cui si afferma che l'anima ""conducit corpus ad esse ... et ad operationes"". Vedi Gentili 2002, p. 23. Che ogni ogni causa trasmetta al proprio effetto le qualità (""infonde ... della bontade"") che essa stessa ha ricevuto dalla sua causa, invece, non è dottrina rintracciabile alla lettera nel già citato (""allegato"") Liber de causis (""Libro delle Cagioni""). Probabilmente Dante ha connesso ciò che vien detto nella proposizione prima, dove compare appunto il termine ""causa"" (""non figitur causatum causae secundae nisi per virtutem causae primae. Quod est quia causa secunda quando facit rem, influit causa prima quae est super eam super illam rem de virtute sua"") con un' affermazione della proposizione quarta dove si parla appunto di trasmissione di ""bontadi"" (""intelligentiae primae influunt super intelligentias secundas bonitates quas recipiunt a causa prima"", pp. 49, 56). Anche in questo caso, però, Dante, ignorando la catena gerarchica presentata dal De causis, mette l'anima direttamente in relazione con Dio (""la cagione sua, ch'è Dio""): l'anima trasmette al corpo tutte le perfezioni che da Dio ha ricevuto. Poiché dunque, per quanto riguarda il corpo, si vedono (""veggiono"") nella donna gentile bellezze stupende, che rendono chiunque la guarda (""ogni guardatore"") desideroso di contemplarle ulteriormente (""disioso di quelle vedere"") risulta evidente che la sua anima, che regge (""conduce"") il corpo come sua specifica causa (""come cagione propia"") accoglie miracolosamente (cioè, al di sopra delle perfezioni puramente naturali) il dono gratuito (""grazioso"") di Dio.","II, De homine I.1.1.3.1.1.2, ad primum, p.14, ll. 28-32",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_creaturis,Summa de creaturis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"la prova di quanto affermato viene condotta attraverso una catena di inferenze che partono dalla classica definizione aristotelica dell'anima (De an. II 1, 412 a 27-28 anima est actus primus corporis physici potentia vitam habentis""). Che dall'esser atto del corpo derivi all'anima l'essere la sua causa è pure dottrina esplicita del De anima (cfr. De an. II 4, 415 b 7 ""Est autem anima viventis corporis causa et principium""). Il termine ""conduce"" sembra rimandare ad un testo di Alberto Magno (Summa de creaturis, II, De homine I.1.1.3.1.1.2, ad primum, p.14, ll. 28-32) in cui si afferma che l'anima ""conducit corpus ad esse ... et ad operationes"". Vedi Gentili 2002, p. 23. Che ogni ogni causa trasmetta al proprio effetto le qualità (""infonde ... della bontade"") che essa stessa ha ricevuto dalla sua causa, invece, non è dottrina rintracciabile alla lettera nel già citato (""allegato"") Liber de causis (""Libro delle Cagioni""). Probabilmente Dante ha connesso ciò che vien detto nella proposizione prima, dove compare appunto il termine ""causa"" (""non figitur causatum causae secundae nisi per virtutem causae primae. Quod est quia causa secunda quando facit rem, influit causa prima quae est super eam super illam rem de virtute sua"") con un' affermazione della proposizione quarta dove si parla appunto di trasmissione di ""bontadi"" (""intelligentiae primae influunt super intelligentias secundas bonitates quas recipiunt a causa prima"", pp. 49, 56). Anche in questo caso, però, Dante, ignorando la catena gerarchica presentata dal De causis, mette l'anima direttamente in relazione con Dio (""la cagione sua, ch'è Dio""): l'anima trasmette al corpo tutte le perfezioni che da Dio ha ricevuto. Poiché dunque, per quanto riguarda il corpo, si vedono (""veggiono"") nella donna gentile bellezze stupende, che rendono chiunque la guarda (""ogni guardatore"") desideroso di contemplarle ulteriormente (""disioso di quelle vedere"") risulta evidente che la sua anima, che regge (""conduce"") il corpo come sua specifica causa (""come cagione propia"") accoglie miracolosamente (cioè, al di sopra delle perfezioni puramente naturali) il dono gratuito (""grazioso"") di Dio.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHE SOLA È INTELLETTUALE,"che è esclusivamente intelletto puro'. Il modo diverso con cui il flusso unico e semplice della bontà divina viene accolto dagli enti dipende dunque dal grado di purezza ed immaterialità della loro forma. Lo schema utilizzato da Dante è sicuramente presente in Alberto Magno, ma, come abbiamo già detto, nel capitolo del De intellectu parafrasato dal Convivio l'esempio della luce e dei corpi serve ad un altro scopo: quello di spiegare i diversi gradi di intelligibilità degli oggetti. L'immagine di un cosmo organizzato gerarchicamente a partire dalla nuda materia fino alla pura forma attraverso una serie continua di gradi intermedi si trova invece in un capitolo precedente (I, tr. 1, cap. 5 ) e soprattutto nel De natura et origine animae (tr. I, cap. 3, pp. 6 sgg.) dove si ripercorre la scala degli esseri, partendo dai minerali, le cui forme sono cosi immerse nella materia da non poter ricevere che quasi poco"" dello splendore divino (vedi Fioravanti 2001, p. 99). Ancora una volta Dante sembra utilizzare le sue fonti con una tecnica a bricolage.","I, tr. 1, cap. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_intellectu_et_intelligibili(Alberto_Magno),De intellectu et intelligibili,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CHE SOLA È INTELLETTUALE,"che è esclusivamente intelletto puro'. Il modo diverso con cui il flusso unico e semplice della bontà divina viene accolto dagli enti dipende dunque dal grado di purezza ed immaterialità della loro forma. Lo schema utilizzato da Dante è sicuramente presente in Alberto Magno, ma, come abbiamo già detto, nel capitolo del De intellectu parafrasato dal Convivio l'esempio della luce e dei corpi serve ad un altro scopo: quello di spiegare i diversi gradi di intelligibilità degli oggetti. L'immagine di un cosmo organizzato gerarchicamente a partire dalla nuda materia fino alla pura forma attraverso una serie continua di gradi intermedi si trova invece in un capitolo precedente (I, tr. 1, cap. 5 ) e soprattutto nel De natura et origine animae (tr. I, cap. 3, pp. 6 sgg.) dove si ripercorre la scala degli esseri, partendo dai minerali, le cui forme sono cosi immerse nella materia da non poter ricevere che quasi poco"" dello splendore divino (vedi Fioravanti 2001, p. 99). Ancora una volta Dante sembra utilizzare le sue fonti con una tecnica a bricolage.","tr. I, cap. 3, pp. 6 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_et_origine_animae,De natura et origine animae,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +[NEL]L'ORDINE INTELLETTUALE DELL'UNIVERSO ... SI SALE E SI DISCENDE,"la scala ordinata delle realtà intellettuali, in maniera analoga a ciò che riscontriamo nelle realtà sensibili (sì come vedemo nell'ordine sensibile"") si estende quasi senza soluzioni di continuità (""per gradi quasi continui"") tra una forma più bassa ed una più alta in assoluto (""infima"" ""altissima""). In questa scala non ci sono intermediari (""non sia grado alcuno"" ""ancor mezzo alcuno non sia"") tra l' anima umana e l'angelo (""l'angelica natura"") né tra l'anima degli animali più perfetti (""l'anima più perfetta delli bruti animali"") e l'anima umana: esse si dispongono appunto in continuità graduale (""quasi l'uno all'altro continuo per li ordini di gradi""). Ma che ci siano uomini assai vicini, per indole e comportamento alle bestie è attestato dall'esperienza quotidiana (lo ""veggiamo""). Bisogna dunque ipotizzare (""porre"") e credere fermamente che anche l'altro estremo sia realizzato e che esista qualche essere umano quasi identico ad un Angelo. Diversamente verrebbe meno la continuità dell'uomo con gli esseri a lui superiori ed inferiori (""altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie da ogni parte"") e questo non è possibile (""che esser non può""). Dante afferma, a conclusione del suo ragionamento, che questo è il caso della donna gentile (""cotale dico io che è questa donna""). Per questo la potenza divina (""la divina virtude"") viene infusa in lei nello stesso modo in cui viene infuso nell'angelo (""a guisa che discende nell'angelo""). A tali esseri umani Dante riserva l'aggettivo ""divino"" che Aristotele (Eth. Nic. VII 1, 1145 a 13-30) attribuiva a coloro che sono in possesso di un grado di virtù superiore al normale, la virtù eroica. Il lemma specifico 'homines divini' è usato nello stesso contesto dalla Summa Alexandrinorum, e di lì passa nel Trésor. La Summa, però, ha in più un termine, angelici, (""tales homines angelici dicuntur et quasi divini"", p. LXVIII). Il fatto che Dante non lo usi, proprio in un contesto in cui sarebbe giunto del tutto a proposito, testimonia che, almeno in questo caso, il testo di riferimento non può essere il compendio arabo. Commentando il passo dell' Etica Nicomachea in cui all'estremo della 'virtus heroica et divina' era contrapposto l'altro estremo della bestialitas (loc. cit.) Tommaso aveva fondato la possibilità, per alcuni, di elevarsi ""quasi in similitudinem substantiarum separatarum"", per altri di abbassarsi ""usque ad similitudinem bestiarum"" proprio sul principio generale utilizzato da Dante per cui ""ordo rerum se habet ut medium ex diversis partibus attingat utrumque extremum"". Applicato al caso della natura umana, che è media tra le sostanze divine ed i bruti, esso spiega come in essa esista ""aliquid quod attingit ad id quod est superius, aliquid quod coniungitur inferiori, aliquid vero quod medio modo se habet""o (VII, lectio 1, n. 1299). Ma per l'Aquinate si trattava appunto di una possibilità della cui realizzazione erano artefici gli uomini stessi, corrompendo o perfezionando le proprie facoltà. In Dante, per un principio di pienezza, queste possibilità sono comunque realizzate, indipendentemente, a quanto sembra, da ogni intenzionalità umana. Che anche all'interno di un'unica specie, ad esempio quella umana, i singoli individui si distribuiscano su una scala di maggiore o minore partecipazione alla forma specifica è piuttosto dottrina di teologi francescani come Matteo d'Aquasparta o Vitale Du Four (cfr. del primo le Quaestiones disputatae de anima XIII, q. 12, ed. Gondras, pp. 195 sgg. e del secondo il testo delle Quaestiones disputatae de rerum principio citato in Nardi 1985, p. 151). Sulla contrapposizione degli autori francescani alla posizione di Tommaso per cui le diverse capacità morali ed intellettuali registrabili tra gli uomini dovevano essere imputate ad una diversità dei corpi e non delle anime cfr.. Falzone 2010.","VII 1, 1145 a 13-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +[NEL]L'ORDINE INTELLETTUALE DELL'UNIVERSO ... SI SALE E SI DISCENDE,"la scala ordinata delle realtà intellettuali, in maniera analoga a ciò che riscontriamo nelle realtà sensibili (sì come vedemo nell'ordine sensibile"") si estende quasi senza soluzioni di continuità (""per gradi quasi continui"") tra una forma più bassa ed una più alta in assoluto (""infima"" ""altissima""). In questa scala non ci sono intermediari (""non sia grado alcuno"" ""ancor mezzo alcuno non sia"") tra l' anima umana e l'angelo (""l'angelica natura"") né tra l'anima degli animali più perfetti (""l'anima più perfetta delli bruti animali"") e l'anima umana: esse si dispongono appunto in continuità graduale (""quasi l'uno all'altro continuo per li ordini di gradi""). Ma che ci siano uomini assai vicini, per indole e comportamento alle bestie è attestato dall'esperienza quotidiana (lo ""veggiamo""). Bisogna dunque ipotizzare (""porre"") e credere fermamente che anche l'altro estremo sia realizzato e che esista qualche essere umano quasi identico ad un Angelo. Diversamente verrebbe meno la continuità dell'uomo con gli esseri a lui superiori ed inferiori (""altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie da ogni parte"") e questo non è possibile (""che esser non può""). Dante afferma, a conclusione del suo ragionamento, che questo è il caso della donna gentile (""cotale dico io che è questa donna""). Per questo la potenza divina (""la divina virtude"") viene infusa in lei nello stesso modo in cui viene infuso nell'angelo (""a guisa che discende nell'angelo""). A tali esseri umani Dante riserva l'aggettivo ""divino"" che Aristotele (Eth. Nic. VII 1, 1145 a 13-30) attribuiva a coloro che sono in possesso di un grado di virtù superiore al normale, la virtù eroica. Il lemma specifico 'homines divini' è usato nello stesso contesto dalla Summa Alexandrinorum, e di lì passa nel Trésor. La Summa, però, ha in più un termine, angelici, (""tales homines angelici dicuntur et quasi divini"", p. LXVIII). Il fatto che Dante non lo usi, proprio in un contesto in cui sarebbe giunto del tutto a proposito, testimonia che, almeno in questo caso, il testo di riferimento non può essere il compendio arabo. Commentando il passo dell' Etica Nicomachea in cui all'estremo della 'virtus heroica et divina' era contrapposto l'altro estremo della bestialitas (loc. cit.) Tommaso aveva fondato la possibilità, per alcuni, di elevarsi ""quasi in similitudinem substantiarum separatarum"", per altri di abbassarsi ""usque ad similitudinem bestiarum"" proprio sul principio generale utilizzato da Dante per cui ""ordo rerum se habet ut medium ex diversis partibus attingat utrumque extremum"". Applicato al caso della natura umana, che è media tra le sostanze divine ed i bruti, esso spiega come in essa esista ""aliquid quod attingit ad id quod est superius, aliquid quod coniungitur inferiori, aliquid vero quod medio modo se habet""o (VII, lectio 1, n. 1299). Ma per l'Aquinate si trattava appunto di una possibilità della cui realizzazione erano artefici gli uomini stessi, corrompendo o perfezionando le proprie facoltà. In Dante, per un principio di pienezza, queste possibilità sono comunque realizzate, indipendentemente, a quanto sembra, da ogni intenzionalità umana. Che anche all'interno di un'unica specie, ad esempio quella umana, i singoli individui si distribuiscano su una scala di maggiore o minore partecipazione alla forma specifica è piuttosto dottrina di teologi francescani come Matteo d'Aquasparta o Vitale Du Four (cfr. del primo le Quaestiones disputatae de anima XIII, q. 12, ed. Gondras, pp. 195 sgg. e del secondo il testo delle Quaestiones disputatae de rerum principio citato in Nardi 1985, p. 151). Sulla contrapposizione degli autori francescani alla posizione di Tommaso per cui le diverse capacità morali ed intellettuali registrabili tra gli uomini dovevano essere imputate ad una diversità dei corpi e non delle anime cfr.. Falzone 2010.","VII, lectio 1, n. 1299",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +[NEL]L'ORDINE INTELLETTUALE DELL'UNIVERSO ... SI SALE E SI DISCENDE,"la scala ordinata delle realtà intellettuali, in maniera analoga a ciò che riscontriamo nelle realtà sensibili (sì come vedemo nell'ordine sensibile"") si estende quasi senza soluzioni di continuità (""per gradi quasi continui"") tra una forma più bassa ed una più alta in assoluto (""infima"" ""altissima""). In questa scala non ci sono intermediari (""non sia grado alcuno"" ""ancor mezzo alcuno non sia"") tra l' anima umana e l'angelo (""l'angelica natura"") né tra l'anima degli animali più perfetti (""l'anima più perfetta delli bruti animali"") e l'anima umana: esse si dispongono appunto in continuità graduale (""quasi l'uno all'altro continuo per li ordini di gradi""). Ma che ci siano uomini assai vicini, per indole e comportamento alle bestie è attestato dall'esperienza quotidiana (lo ""veggiamo""). Bisogna dunque ipotizzare (""porre"") e credere fermamente che anche l'altro estremo sia realizzato e che esista qualche essere umano quasi identico ad un Angelo. Diversamente verrebbe meno la continuità dell'uomo con gli esseri a lui superiori ed inferiori (""altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie da ogni parte"") e questo non è possibile (""che esser non può""). Dante afferma, a conclusione del suo ragionamento, che questo è il caso della donna gentile (""cotale dico io che è questa donna""). Per questo la potenza divina (""la divina virtude"") viene infusa in lei nello stesso modo in cui viene infuso nell'angelo (""a guisa che discende nell'angelo""). A tali esseri umani Dante riserva l'aggettivo ""divino"" che Aristotele (Eth. Nic. VII 1, 1145 a 13-30) attribuiva a coloro che sono in possesso di un grado di virtù superiore al normale, la virtù eroica. Il lemma specifico 'homines divini' è usato nello stesso contesto dalla Summa Alexandrinorum, e di lì passa nel Trésor. La Summa, però, ha in più un termine, angelici, (""tales homines angelici dicuntur et quasi divini"", p. LXVIII). Il fatto che Dante non lo usi, proprio in un contesto in cui sarebbe giunto del tutto a proposito, testimonia che, almeno in questo caso, il testo di riferimento non può essere il compendio arabo. Commentando il passo dell' Etica Nicomachea in cui all'estremo della 'virtus heroica et divina' era contrapposto l'altro estremo della bestialitas (loc. cit.) Tommaso aveva fondato la possibilità, per alcuni, di elevarsi ""quasi in similitudinem substantiarum separatarum"", per altri di abbassarsi ""usque ad similitudinem bestiarum"" proprio sul principio generale utilizzato da Dante per cui ""ordo rerum se habet ut medium ex diversis partibus attingat utrumque extremum"". Applicato al caso della natura umana, che è media tra le sostanze divine ed i bruti, esso spiega come in essa esista ""aliquid quod attingit ad id quod est superius, aliquid quod coniungitur inferiori, aliquid vero quod medio modo se habet""o (VII, lectio 1, n. 1299). Ma per l'Aquinate si trattava appunto di una possibilità della cui realizzazione erano artefici gli uomini stessi, corrompendo o perfezionando le proprie facoltà. In Dante, per un principio di pienezza, queste possibilità sono comunque realizzate, indipendentemente, a quanto sembra, da ogni intenzionalità umana. Che anche all'interno di un'unica specie, ad esempio quella umana, i singoli individui si distribuiscano su una scala di maggiore o minore partecipazione alla forma specifica è piuttosto dottrina di teologi francescani come Matteo d'Aquasparta o Vitale Du Four (cfr. del primo le Quaestiones disputatae de anima XIII, q. 12, ed. Gondras, pp. 195 sgg. e del secondo il testo delle Quaestiones disputatae de rerum principio citato in Nardi 1985, p. 151). Sulla contrapposizione degli autori francescani alla posizione di Tommaso per cui le diverse capacità morali ed intellettuali registrabili tra gli uomini dovevano essere imputate ad una diversità dei corpi e non delle anime cfr.. Falzone 2010.","XIII, q. 12, ed. Gondras, pp. 195 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestiones_disputatae_de_anima,Quaestiones disputatae de anima,Matteo d'Aquasparta,http://dbpedia.org/resource/Matthew_of_Aquasparta,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +[NEL]L'ORDINE INTELLETTUALE DELL'UNIVERSO ... SI SALE E SI DISCENDE,"la scala ordinata delle realtà intellettuali, in maniera analoga a ciò che riscontriamo nelle realtà sensibili (sì come vedemo nell'ordine sensibile"") si estende quasi senza soluzioni di continuità (""per gradi quasi continui"") tra una forma più bassa ed una più alta in assoluto (""infima"" ""altissima""). In questa scala non ci sono intermediari (""non sia grado alcuno"" ""ancor mezzo alcuno non sia"") tra l' anima umana e l'angelo (""l'angelica natura"") né tra l'anima degli animali più perfetti (""l'anima più perfetta delli bruti animali"") e l'anima umana: esse si dispongono appunto in continuità graduale (""quasi l'uno all'altro continuo per li ordini di gradi""). Ma che ci siano uomini assai vicini, per indole e comportamento alle bestie è attestato dall'esperienza quotidiana (lo ""veggiamo""). Bisogna dunque ipotizzare (""porre"") e credere fermamente che anche l'altro estremo sia realizzato e che esista qualche essere umano quasi identico ad un Angelo. Diversamente verrebbe meno la continuità dell'uomo con gli esseri a lui superiori ed inferiori (""altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie da ogni parte"") e questo non è possibile (""che esser non può""). Dante afferma, a conclusione del suo ragionamento, che questo è il caso della donna gentile (""cotale dico io che è questa donna""). Per questo la potenza divina (""la divina virtude"") viene infusa in lei nello stesso modo in cui viene infuso nell'angelo (""a guisa che discende nell'angelo""). A tali esseri umani Dante riserva l'aggettivo ""divino"" che Aristotele (Eth. Nic. VII 1, 1145 a 13-30) attribuiva a coloro che sono in possesso di un grado di virtù superiore al normale, la virtù eroica. Il lemma specifico 'homines divini' è usato nello stesso contesto dalla Summa Alexandrinorum, e di lì passa nel Trésor. La Summa, però, ha in più un termine, angelici, (""tales homines angelici dicuntur et quasi divini"", p. LXVIII). Il fatto che Dante non lo usi, proprio in un contesto in cui sarebbe giunto del tutto a proposito, testimonia che, almeno in questo caso, il testo di riferimento non può essere il compendio arabo. Commentando il passo dell' Etica Nicomachea in cui all'estremo della 'virtus heroica et divina' era contrapposto l'altro estremo della bestialitas (loc. cit.) Tommaso aveva fondato la possibilità, per alcuni, di elevarsi ""quasi in similitudinem substantiarum separatarum"", per altri di abbassarsi ""usque ad similitudinem bestiarum"" proprio sul principio generale utilizzato da Dante per cui ""ordo rerum se habet ut medium ex diversis partibus attingat utrumque extremum"". Applicato al caso della natura umana, che è media tra le sostanze divine ed i bruti, esso spiega come in essa esista ""aliquid quod attingit ad id quod est superius, aliquid quod coniungitur inferiori, aliquid vero quod medio modo se habet""o (VII, lectio 1, n. 1299). Ma per l'Aquinate si trattava appunto di una possibilità della cui realizzazione erano artefici gli uomini stessi, corrompendo o perfezionando le proprie facoltà. In Dante, per un principio di pienezza, queste possibilità sono comunque realizzate, indipendentemente, a quanto sembra, da ogni intenzionalità umana. Che anche all'interno di un'unica specie, ad esempio quella umana, i singoli individui si distribuiscano su una scala di maggiore o minore partecipazione alla forma specifica è piuttosto dottrina di teologi francescani come Matteo d'Aquasparta o Vitale Du Four (cfr. del primo le Quaestiones disputatae de anima XIII, q. 12, ed. Gondras, pp. 195 sgg. e del secondo il testo delle Quaestiones disputatae de rerum principio citato in Nardi 1985, p. 151). Sulla contrapposizione degli autori francescani alla posizione di Tommaso per cui le diverse capacità morali ed intellettuali registrabili tra gli uomini dovevano essere imputate ad una diversità dei corpi e non delle anime cfr.. Falzone 2010.","Nardi 1985, p. 151",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestiones_disputatae_de_rerum_principio,Quaestiones disputatae de rerum principio,Vital Du Four,http://dbpedia.org/resource/Vital_du_Four,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +INTENDONO ... RIPRESENTARE,"non vogliono, attraverso quelle parole e quegli atteggiamenti (per quello""), trasmettere alcun messaggio intenzionale (""alcuna cosa significare""), ma solo ripetere imitando (""ripresentare"") quel che vedono e sentono. Notazioni sulla capacità del pappagallo e della gazza di imitare il linguaggio umano si trovano nel dizionario di Uguccione da Pisa (Derivationes, s.v. Poyo , P 100, 10, 11, pp. 948-9). La causa per cui alcuni uccelli (tra cui appunto la gazza e il pappagallo) sono capaci di emettere voci articolate imitanti il linguaggio umano era stata data da Alberto Magno, che prende in considerazione anche l'imitazione dei comportamenti umani propria delle scimmie (cfr. De animalibus XXI, tr. 1, capp. 5 e 3, pp. 1335-7; 1329-1332). Non è dunque necessario ipotizzare una diretta conoscenza di pappagalli o di scimmie da parte di Dante. Una trattazione del tutto analoga del problema è presente in VE I ii 7.","s.v. Poyo , P 100, 10, 11, pp. 948-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +INTENDONO ... RIPRESENTARE,"non vogliono, attraverso quelle parole e quegli atteggiamenti (per quello""), trasmettere alcun messaggio intenzionale (""alcuna cosa significare""), ma solo ripetere imitando (""ripresentare"") quel che vedono e sentono. Notazioni sulla capacità del pappagallo e della gazza di imitare il linguaggio umano si trovano nel dizionario di Uguccione da Pisa (Derivationes, s.v. Poyo , P 100, 10, 11, pp. 948-9). La causa per cui alcuni uccelli (tra cui appunto la gazza e il pappagallo) sono capaci di emettere voci articolate imitanti il linguaggio umano era stata data da Alberto Magno, che prende in considerazione anche l'imitazione dei comportamenti umani propria delle scimmie (cfr. De animalibus XXI, tr. 1, capp. 5 e 3, pp. 1335-7; 1329-1332). Non è dunque necessario ipotizzare una diretta conoscenza di pappagalli o di scimmie da parte di Dante. Una trattazione del tutto analoga del problema è presente in VE I ii 7.","XXI, tr. 1, capp. 5 e 3, pp. 1335-7; 1329-1332",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_animalibus,De animalibus (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO QUALE CREÒ ...,"nel fatto miracoloso il potere divino dimostra di essere più ampio delle categorie della ragione che pure egli stesso ha creato. I miracoli, infatti, per dirla con le parole di Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 101, n. 2763, divinitus fiunt praeter ordinem communiter observatum in rebus"" (il testo di Tommaso è esplicitamente citato in Mn II iv 1-2 ""Sicut dici Thomas in tertio suo contra Gentiles, miraculum est quod preter ordinem in rebus communiter institutum divinitus fit""). Sempre nella Summa contra Gentiles III, cap. 154, n. 3262 si trova la affermazione che i miracoli operati dagli Apostoli servirono come conferma della veridicità della loro predicazione (""Sed quia sermo propositus confirmatione indiget ad hoc quod recipiatur, nisi sit per se manifestus, ea autem quae sunt fidei sunt humanae rationi immanifesta, necessarium fuit aliquid adhiberi quo confirmaretur sermo praedicantium fidem. Non autem confirmari poterat per aliqua principia rationis per modum demonstrationis, cum ea quae sunt fidei rationem excedant. Oportuit igitur aliquibus indiciis confirmari praedicantium sermonem quibus manifeste ostenderetur huiusmodi sermonem processisse a Deo, dum praedicantes talia operarentur, sanando infirmos et alias virtutes operando quae non posset facere nisi Deus""). Che essi siano ""il principalissimo fondamento della nostra fede"" sembra però una esagerazione dantesca.","III, cap. 101, n. 2763, divinitus fiunt praeter ordinem communiter observatum in rebus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO QUALE CREÒ ...,"nel fatto miracoloso il potere divino dimostra di essere più ampio delle categorie della ragione che pure egli stesso ha creato. I miracoli, infatti, per dirla con le parole di Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 101, n. 2763, divinitus fiunt praeter ordinem communiter observatum in rebus"" (il testo di Tommaso è esplicitamente citato in Mn II iv 1-2 ""Sicut dici Thomas in tertio suo contra Gentiles, miraculum est quod preter ordinem in rebus communiter institutum divinitus fit""). Sempre nella Summa contra Gentiles III, cap. 154, n. 3262 si trova la affermazione che i miracoli operati dagli Apostoli servirono come conferma della veridicità della loro predicazione (""Sed quia sermo propositus confirmatione indiget ad hoc quod recipiatur, nisi sit per se manifestus, ea autem quae sunt fidei sunt humanae rationi immanifesta, necessarium fuit aliquid adhiberi quo confirmaretur sermo praedicantium fidem. Non autem confirmari poterat per aliqua principia rationis per modum demonstrationis, cum ea quae sunt fidei rationem excedant. Oportuit igitur aliquibus indiciis confirmari praedicantium sermonem quibus manifeste ostenderetur huiusmodi sermonem processisse a Deo, dum praedicantes talia operarentur, sanando infirmos et alias virtutes operando quae non posset facere nisi Deus""). Che essi siano ""il principalissimo fondamento della nostra fede"" sembra però una esagerazione dantesca.","III, cap. 154, n. 3262",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FATTI POI NEL NOME SUO PER LI SANTI SUOI,"nel racconto degli Atti degli apostoli il primo miracolo della storia cristiana, la guarigione del mendicante storpio alla porta del Tempio, viene operato da Pietro nel nome del Cristo crocifisso e risorto (cfr. Act 4, 10) e questa cornice fungerà da modello per tutti i successivi resoconti di miracoli.","4, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +MOLTI SIANO SÌ OSTINATI ...,"più che un rimando alla incredulità dell'apostolo Tommaso che chiese di constatare con i suoi sensi (fare sensibile esperienza"") la realtà del corpo glorioso di Cristo risorto (cfr. Io 20, 25), credo si trovi qui la constatazione, comune per altro a non pochi scrittori ecclesiastici precedenti, che nella storia della Chiesa il tempo dei miracoli si è in qualche modo concluso e che si tratta ora di credere al racconto dei miracoli avvenuti; come verrà detto subito dopo la donna gentile deve aiutare la fede dei contemporanei. Che qualcuno dubiti dei prodigi del passato e, come Tommaso, creda solo a miracoli effettivamente sperimentabili sembra descrivere una situazione reale e non solo letteraria.","20, 25",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DA ETTERNO ... FU ORDINATA NELLA MENTE DI DIO,"con questa citazione dal libro dei Proverbi (cfr. Prv 8, 23 ab aeterno ordinata sum"") la donna gentile di fatto diventa, anche prima della esegesi allegorica; la Filosofia. Proprio come donna, infatti, può essere esplicitamente identificata con la Sapienza divina secondo un modello che, come abbiamo visto (cfr. Cv II xii 9) risale ai commenti altomedievali al De consolatione di Boezio (vedi ad esempio il testo di Adalboldo di Utrecht citato in Courcelle1939, p. 74 ""Philosophia hic introducitur ad loquendum que cum creatore aderat quando formata sunt omnia""). Abbiamo già notato come questa personificazione permanga, sia pure a modo di topos retorico, anche nella cultura universitaria del XIII e XIV secolo.","Prv 8, 23 ab aeterno ordinata sum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DA ETTERNO ... FU ORDINATA NELLA MENTE DI DIO,"con questa citazione dal libro dei Proverbi (cfr. Prv 8, 23 ab aeterno ordinata sum"") la donna gentile di fatto diventa, anche prima della esegesi allegorica; la Filosofia. Proprio come donna, infatti, può essere esplicitamente identificata con la Sapienza divina secondo un modello che, come abbiamo visto (cfr. Cv II xii 9) risale ai commenti altomedievali al De consolatione di Boezio (vedi ad esempio il testo di Adalboldo di Utrecht citato in Courcelle1939, p. 74 ""Philosophia hic introducitur ad loquendum que cum creatore aderat quando formata sunt omnia""). Abbiamo già notato come questa personificazione permanga, sia pure a modo di topos retorico, anche nella cultura universitaria del XIII e XIV secolo.",,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commenti_altomedievali_al_De_consolatione_di_Boezio,Commenti altomedievali al De consolatione di Boezio,,,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +INTRA LI EFFETTI ...,"con un procedimento abituale Dante inserice l'elogio della bellezza corporea della donna gentile in coordinate più generali. L'uomo è la cosa più bella prodotta dalla sapienza divina (mirabilissimo effetto"") se si riflette (""considerando"") come essa abbia unito in un'unica (""una"") forma, cioè nell'anima dell'uomo, e solo in quella, tre realtà (""nature""), cioè le facoltà vegetativa, sensitiva ed intellettiva (cfr. Cv III iii 5) e come dunque il corpo umano debba esser armoniosamente composto (""armoniato""), visto che mediante quasi tutte le sue facoltà (""per tutte quasi sue virtudi"") è strutturato (""organizzato"") in funzione di questa forma complessa (la limitazione espressa dal ""quasi"" si riferisce al fatto che la facoltà intellettiva non è organica, non si avvale cioè di organi corporei). Che l'uomo possedesse una complessione corporea più equilibrata di quella degli altri animali era dottrina comune: basterà anche in questo caso ricorrere ad un testo così diffuso come il De regimine principum (II i 1, p. 216) ""Homo inter cetera animalia habet ... meliorem complexionem ... puram et redactam ad medium"". Dal canto suo Tommaso, per il corpo umano, aveva parlato (che è lo stesso) di una ""complexio maxime aequalis"" (cfr. Summa Contra Gentiles II, cap. 90 n. 1760). Per Dante, però, questo è vero solo in linea di principio; proprio per l'alto grado di armonia (""per la molta concordia"") necessario (""che conviene"") ad una armoniosa corrispondenza (""a bene rispondersi"") di tanti organi, tra tutti gli uomini (""in tanto numero"") pochi sono gli individui che raggiungono la perfezione.","II, cap. 90 n. 1760",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INTRA LI EFFETTI ...,"con un procedimento abituale Dante inserice l'elogio della bellezza corporea della donna gentile in coordinate più generali. L'uomo è la cosa più bella prodotta dalla sapienza divina (mirabilissimo effetto"") se si riflette (""considerando"") come essa abbia unito in un'unica (""una"") forma, cioè nell'anima dell'uomo, e solo in quella, tre realtà (""nature""), cioè le facoltà vegetativa, sensitiva ed intellettiva (cfr. Cv III iii 5) e come dunque il corpo umano debba esser armoniosamente composto (""armoniato""), visto che mediante quasi tutte le sue facoltà (""per tutte quasi sue virtudi"") è strutturato (""organizzato"") in funzione di questa forma complessa (la limitazione espressa dal ""quasi"" si riferisce al fatto che la facoltà intellettiva non è organica, non si avvale cioè di organi corporei). Che l'uomo possedesse una complessione corporea più equilibrata di quella degli altri animali era dottrina comune: basterà anche in questo caso ricorrere ad un testo così diffuso come il De regimine principum (II i 1, p. 216) ""Homo inter cetera animalia habet ... meliorem complexionem ... puram et redactam ad medium"". Dal canto suo Tommaso, per il corpo umano, aveva parlato (che è lo stesso) di una ""complexio maxime aequalis"" (cfr. Summa Contra Gentiles II, cap. 90 n. 1760). Per Dante, però, questo è vero solo in linea di principio; proprio per l'alto grado di armonia (""per la molta concordia"") necessario (""che conviene"") ad una armoniosa corrispondenza (""a bene rispondersi"") di tanti organi, tra tutti gli uomini (""in tanto numero"") pochi sono gli individui che raggiungono la perfezione.","II i 1, p. 216) ""Homo inter cetera animalia habet ... meliorem complexionem ... puram et redactam ad medium""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA SAPIENZA ... CHI CERCAVA ?,"cfr. Eccli 1, 3 Sapientiam Dei praecedentem omnia quis investigavit?"".","1, 3 Sapientiam Dei praecedentem omnia quis investigavit?",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER ALTRO MODO ...,"a differenza del piacere del Paradiso che è senza fine e senza interruzione (perpetuo""), quello offerto dalla contemplazione della donna gentile non può esser tale per nessun uomo (""non può ad alcuno esser questo""). Che la contemplazione filosofica avesse come limite l' esser soggetta ad interruzioni era stato detto da Aristotele e da Averroè, quando avevano sottolineato la differenza fra l'uomo e Dio per il quale l'attività di pensiero, identica con la sua stessa natura, è invece ininterrotta ed eterna (cfr. Eth. Nic. X 8, 1178 b 25-26; Metaph. XII 7, 1072 b 24-25; In libros Metaphysicorum Aristotelis, XI = XII, c. 38, f. 321 E-F). Ovviamente nessuno dei due ipotizzava un Paradiso in cui tutti avrebbero potuto fruire di una felicità simile a quella di Dio. Tommaso invece aveva fatto leva proprio su questa limitazione intrinseca al ""contentarsi"" per sostenere che il desiderio di beatitudine dell'uomo trovava il suo compimento solo in una vita futura attingibile non per natura, ma per grazia (il Paradiso, appunto). In Dante, come vedremo, limite della felicità filosofica ed esistenza di una piena felicità sovrannaturale rimarranno volutamente irrelati.","X 8, 1178 b 25-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER ALTRO MODO ...,"a differenza del piacere del Paradiso che è senza fine e senza interruzione (perpetuo""), quello offerto dalla contemplazione della donna gentile non può esser tale per nessun uomo (""non può ad alcuno esser questo""). Che la contemplazione filosofica avesse come limite l' esser soggetta ad interruzioni era stato detto da Aristotele e da Averroè, quando avevano sottolineato la differenza fra l'uomo e Dio per il quale l'attività di pensiero, identica con la sua stessa natura, è invece ininterrotta ed eterna (cfr. Eth. Nic. X 8, 1178 b 25-26; Metaph. XII 7, 1072 b 24-25; In libros Metaphysicorum Aristotelis, XI = XII, c. 38, f. 321 E-F). Ovviamente nessuno dei due ipotizzava un Paradiso in cui tutti avrebbero potuto fruire di una felicità simile a quella di Dio. Tommaso invece aveva fatto leva proprio su questa limitazione intrinseca al ""contentarsi"" per sostenere che il desiderio di beatitudine dell'uomo trovava il suo compimento solo in una vita futura attingibile non per natura, ma per grazia (il Paradiso, appunto). In Dante, come vedremo, limite della felicità filosofica ed esistenza di una piena felicità sovrannaturale rimarranno volutamente irrelati.","XII 7, 1072 b 24-25",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER ALTRO MODO ...,"a differenza del piacere del Paradiso che è senza fine e senza interruzione (perpetuo""), quello offerto dalla contemplazione della donna gentile non può esser tale per nessun uomo (""non può ad alcuno esser questo""). Che la contemplazione filosofica avesse come limite l' esser soggetta ad interruzioni era stato detto da Aristotele e da Averroè, quando avevano sottolineato la differenza fra l'uomo e Dio per il quale l'attività di pensiero, identica con la sua stessa natura, è invece ininterrotta ed eterna (cfr. Eth. Nic. X 8, 1178 b 25-26; Metaph. XII 7, 1072 b 24-25; In libros Metaphysicorum Aristotelis, XI = XII, c. 38, f. 321 E-F). Ovviamente nessuno dei due ipotizzava un Paradiso in cui tutti avrebbero potuto fruire di una felicità simile a quella di Dio. Tommaso invece aveva fatto leva proprio su questa limitazione intrinseca al ""contentarsi"" per sostenere che il desiderio di beatitudine dell'uomo trovava il suo compimento solo in una vita futura attingibile non per natura, ma per grazia (il Paradiso, appunto). In Dante, come vedremo, limite della felicità filosofica ed esistenza di una piena felicità sovrannaturale rimarranno volutamente irrelati.","In libros Metaphysicorum Aristotelis, XI = XII, c. 38, f. 321 E-F",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANTO MANIFESTA,"in modo così evidente'. Che gli occhi fossero lo specchio dell'anima era dottrina comune; cfr. lo Speculum Naturale di Vincenzo di Beauvais: Oculi inter omnes sensus animae viciniores existunt; in oculis enim omne mentis indicium est. Unde et animi perturbatio vel hilaritas in oculis apparet"" (XXVIII, cap. 47., p. 2023) e il De animalibus di Alberto Magno ""Dixit ... Palemon oculos esse tamquam fores animae et animam emicare per oculos, et solum oculorum dispositionem esse aditum per quem animus introspici possit"" (I, tr. 2, cap. 3, p. 51)","Oculi inter omnes sensus animae viciniores existunt; in oculis enim omne mentis indicium est. Unde et animi perturbatio vel hilaritas in oculis apparet"" (XXVIII, cap. 47., p. 2023)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +TANTO MANIFESTA,"in modo così evidente'. Che gli occhi fossero lo specchio dell'anima era dottrina comune; cfr. lo Speculum Naturale di Vincenzo di Beauvais: Oculi inter omnes sensus animae viciniores existunt; in oculis enim omne mentis indicium est. Unde et animi perturbatio vel hilaritas in oculis apparet"" (XXVIII, cap. 47., p. 2023) e il De animalibus di Alberto Magno ""Dixit ... Palemon oculos esse tamquam fores animae et animam emicare per oculos, et solum oculorum dispositionem esse aditum per quem animus introspici possit"" (I, tr. 2, cap. 3, p. 51)","Dixit ... Palemon oculos esse tamquam fores animae et animam emicare per oculos, et solum oculorum dispositionem esse aditum per quem animus introspici possit (I, tr. 2, cap. 3, p. 51)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_animalibus,De animalibus (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DELLE QUALI FA MENZIONE LO FILOSOFO,"nel secondo libro della Retorica, dedicato appunto all'analisi delle passioni, Aristotele parla effettivamente della gratia (c. 7), dello zelus (c.11), della misericordia (c.8), dello sdegno (nemesis, c. 9), della invidia (c. 10), dell'amore, o più precisamente dell'amare e della amicizia (c.4) e della vergogna (c. 6.; ma la traduzione latina ha erubescentia), insieme però a molte altre affezioni dell'animo, e non nello stesso ordine seguito da Dante. Il Convivio dipende qui direttamente dalla schematizzazione operata da Egidio Romano sul contenuto della Retorica aristotelica: cfr. De regimine principum I iii 10, p. 181, Sed praeter omnes has passiones Philosophus 2 Rhetoricorum sex alias passiones enumerare videtur, videlicet zelum, gratiam, nemesim (quod idem est quod indignatio de prosperitatibus malorum), misericordiam, invidiam et erubescentiam sive verecundiam"" . Si noterà che nel testo tradito del Convivio le passioni sono cinque: manca la nemesis, un termine che, semplicemente traslitterato nella traduzione latina, era stato chiarito con una parafrasi da Egidio e dal suo traduttore in volgare che parla di ""disdegno e corruccio del bene e dell'allegreza de' malvagi"" (Egidio Romano, Del reggimento dei Principi. Volgarizzamento del 1288, p.103). L'integrazione ""amore"" proposta dall'edizione Brambilla Ageno per raggiungere il numero di sei è dunque soggetta a cauzione.",secondo libro della Retorica,CITAZIONE ESPLICITA,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DELLE QUALI FA MENZIONE LO FILOSOFO,"nel secondo libro della Retorica, dedicato appunto all'analisi delle passioni, Aristotele parla effettivamente della gratia (c. 7), dello zelus (c.11), della misericordia (c.8), dello sdegno (nemesis, c. 9), della invidia (c. 10), dell'amore, o più precisamente dell'amare e della amicizia (c.4) e della vergogna (c. 6.; ma la traduzione latina ha erubescentia), insieme però a molte altre affezioni dell'animo, e non nello stesso ordine seguito da Dante. Il Convivio dipende qui direttamente dalla schematizzazione operata da Egidio Romano sul contenuto della Retorica aristotelica: cfr. De regimine principum I iii 10, p. 181, Sed praeter omnes has passiones Philosophus 2 Rhetoricorum sex alias passiones enumerare videtur, videlicet zelum, gratiam, nemesim (quod idem est quod indignatio de prosperitatibus malorum), misericordiam, invidiam et erubescentiam sive verecundiam"" . Si noterà che nel testo tradito del Convivio le passioni sono cinque: manca la nemesis, un termine che, semplicemente traslitterato nella traduzione latina, era stato chiarito con una parafrasi da Egidio e dal suo traduttore in volgare che parla di ""disdegno e corruccio del bene e dell'allegreza de' malvagi"" (Egidio Romano, Del reggimento dei Principi. Volgarizzamento del 1288, p.103). L'integrazione ""amore"" proposta dall'edizione Brambilla Ageno per raggiungere il numero di sei è dunque soggetta a cauzione.","I iii 10, p. 181",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +STAZIO POETA ... QUANDO DICE,"cfr. Tebaide I 47-8 merserat aeterna damnatum nocte pudorem / Oedipodes"" (il ""solvette"" della traduzione dantesca non corrisponde al ""merserat"" del testo e sembra piuttosto presupporre un ""solverat"" che per altro non è attestato come variante dalle moderne edizioni critiche). Publio Papinio Stazio, nato a Napoli verso il 50 d.C. e sempre a Napoli morto intorno al 96 d.C. è l'autore di due poemi epici, la Tebaide (la ""Tebana Istoria"") e l' Achilleide, ampiamente conosciuti e commentati nel tardo Medioevo.",Tebaide I 47-8 merserat aeterna damnatum nocte pudorem / Oedipodes,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Thebaid_(Latin_poem),Thebais,Stazio,http://dbpedia.org/resource/Statius,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +LO LIBRO ...,"si tratta del Liber de quattuor virtutibus (il titolo originale è Formula honestae vitae), testo di larga diffusione, opera di Martino arcivescovo di Braga ma attribuito dal Medioevo, e da Dante stesso (cfr Mn II v 3), a Seneca: Sales tui sine dente sint ... risus sine cachinno"". Questo medesimo brano era stato ripreso e volgarizzato sia dalla seconda redazione del Trésor (II LXXX 4, ed. Carmody, p. 258) che dal Liber veterum preceptorum, una raccolta di auctoritates compilata verso la fine del '200 dal domenicano pisano Bartolomeo da San Concordio, e da lui stesso tradotta in volgare sotto il titolo Ammaestramenti degli antichi (dist. vi, cap. 2 De modificatione risus, pp. 144-45. Il testo era dedicato a Geri Spini, personaggio che ha avuto qualche parte nelle vicende politiche di Dante); in nessun, però, appare il termine ""cachinno"" (riso sguaiato) che risulta un calco dantesco dal testo originale .",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_quattuor_virtutibus,Liber de quattuor virtutibus,Seneca (ps.),http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pseudo_Seneca,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"PER LO MODO CHE SOVERCHIA LO SOLE LO FRAGILE VISO, NON PUR LO SANO E FORTE","non solo (non pur"") nel modo in cui il sole vince una vista forte e sana, ma in quello (molto più potente) in cui ne vince una debole'. Compare nuovamente un' eco della affermazione di Aristotele nel secondo libro della Metafisica (1, 993 b 7-9) per cui rispetto alle realtà divine il nostro intelletto è nella medesima situazione degli occhi del pipistrello (o della civetta, a seconda delle diverse trasposizioni in latino del termine nykteris. Cfr. Cv II iv 17) nei confronti della luce del sole.","1, 993 b 7-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POTEMO,"possiamo'. Che le sostanze separate siano conoscibili solo a partire dagli effetti era già stato detto in Cv II iv 16 . A maggior ragione questo vale per Dio, la cui essenza rimane inaccessibile all'intelletto umano non aiutato dalla grazia divina (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 12, a. 4, respondeo). Anche la materia prima, aristotelicamente parlando, è in sé inconoscibile, in quanto pura privazione e pura potenza (cfr. Metaph. VII 10, 1036 a 8-9) ma, ad essere rigorosi, neppure produce alcun effetto (anche se è necessaria per spiegare tutti i mutamenti riscontrabili nel mondo fisico). Semmai, nella dottrina comune, essa è conoscibile per analogia alla forma (cfr. Alberto Magno, Metaphysica VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73; Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1496). La sua inconoscibilità dipende infatti non da un eccesso, ma da una mancanza di essere (cfr. Alberto Magno, De intellectu et intelligibili tr. III, cap. 2, p. 500. Vedi anche la nota a Cv III xv 6).","I, q. 12, a. 4, respondeo",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +POTEMO,"possiamo'. Che le sostanze separate siano conoscibili solo a partire dagli effetti era già stato detto in Cv II iv 16 . A maggior ragione questo vale per Dio, la cui essenza rimane inaccessibile all'intelletto umano non aiutato dalla grazia divina (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 12, a. 4, respondeo). Anche la materia prima, aristotelicamente parlando, è in sé inconoscibile, in quanto pura privazione e pura potenza (cfr. Metaph. VII 10, 1036 a 8-9) ma, ad essere rigorosi, neppure produce alcun effetto (anche se è necessaria per spiegare tutti i mutamenti riscontrabili nel mondo fisico). Semmai, nella dottrina comune, essa è conoscibile per analogia alla forma (cfr. Alberto Magno, Metaphysica VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73; Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1496). La sua inconoscibilità dipende infatti non da un eccesso, ma da una mancanza di essere (cfr. Alberto Magno, De intellectu et intelligibili tr. III, cap. 2, p. 500. Vedi anche la nota a Cv III xv 6).","VII 10, 1036 a 8-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POTEMO,"possiamo'. Che le sostanze separate siano conoscibili solo a partire dagli effetti era già stato detto in Cv II iv 16 . A maggior ragione questo vale per Dio, la cui essenza rimane inaccessibile all'intelletto umano non aiutato dalla grazia divina (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 12, a. 4, respondeo). Anche la materia prima, aristotelicamente parlando, è in sé inconoscibile, in quanto pura privazione e pura potenza (cfr. Metaph. VII 10, 1036 a 8-9) ma, ad essere rigorosi, neppure produce alcun effetto (anche se è necessaria per spiegare tutti i mutamenti riscontrabili nel mondo fisico). Semmai, nella dottrina comune, essa è conoscibile per analogia alla forma (cfr. Alberto Magno, Metaphysica VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73; Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1496). La sua inconoscibilità dipende infatti non da un eccesso, ma da una mancanza di essere (cfr. Alberto Magno, De intellectu et intelligibili tr. III, cap. 2, p. 500. Vedi anche la nota a Cv III xv 6).","VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Metaphysicorum(Alberto_Magno),Metaphysicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +POTEMO,"possiamo'. Che le sostanze separate siano conoscibili solo a partire dagli effetti era già stato detto in Cv II iv 16 . A maggior ragione questo vale per Dio, la cui essenza rimane inaccessibile all'intelletto umano non aiutato dalla grazia divina (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 12, a. 4, respondeo). Anche la materia prima, aristotelicamente parlando, è in sé inconoscibile, in quanto pura privazione e pura potenza (cfr. Metaph. VII 10, 1036 a 8-9) ma, ad essere rigorosi, neppure produce alcun effetto (anche se è necessaria per spiegare tutti i mutamenti riscontrabili nel mondo fisico). Semmai, nella dottrina comune, essa è conoscibile per analogia alla forma (cfr. Alberto Magno, Metaphysica VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73; Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1496). La sua inconoscibilità dipende infatti non da un eccesso, ma da una mancanza di essere (cfr. Alberto Magno, De intellectu et intelligibili tr. III, cap. 2, p. 500. Vedi anche la nota a Cv III xv 6).","vol. II, p. 361, ll. 70-73",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Metaphysicorum(Alberto_Magno),Metaphysicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +POTEMO,"possiamo'. Che le sostanze separate siano conoscibili solo a partire dagli effetti era già stato detto in Cv II iv 16 . A maggior ragione questo vale per Dio, la cui essenza rimane inaccessibile all'intelletto umano non aiutato dalla grazia divina (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 12, a. 4, respondeo). Anche la materia prima, aristotelicamente parlando, è in sé inconoscibile, in quanto pura privazione e pura potenza (cfr. Metaph. VII 10, 1036 a 8-9) ma, ad essere rigorosi, neppure produce alcun effetto (anche se è necessaria per spiegare tutti i mutamenti riscontrabili nel mondo fisico). Semmai, nella dottrina comune, essa è conoscibile per analogia alla forma (cfr. Alberto Magno, Metaphysica VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73; Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1496). La sua inconoscibilità dipende infatti non da un eccesso, ma da una mancanza di essere (cfr. Alberto Magno, De intellectu et intelligibili tr. III, cap. 2, p. 500. Vedi anche la nota a Cv III xv 6).","VII, lectio 10, n. 1496",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +POTEMO,"possiamo'. Che le sostanze separate siano conoscibili solo a partire dagli effetti era già stato detto in Cv II iv 16 . A maggior ragione questo vale per Dio, la cui essenza rimane inaccessibile all'intelletto umano non aiutato dalla grazia divina (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 12, a. 4, respondeo). Anche la materia prima, aristotelicamente parlando, è in sé inconoscibile, in quanto pura privazione e pura potenza (cfr. Metaph. VII 10, 1036 a 8-9) ma, ad essere rigorosi, neppure produce alcun effetto (anche se è necessaria per spiegare tutti i mutamenti riscontrabili nel mondo fisico). Semmai, nella dottrina comune, essa è conoscibile per analogia alla forma (cfr. Alberto Magno, Metaphysica VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73; Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1496). La sua inconoscibilità dipende infatti non da un eccesso, ma da una mancanza di essere (cfr. Alberto Magno, De intellectu et intelligibili tr. III, cap. 2, p. 500. Vedi anche la nota a Cv III xv 6).","tr. III, cap. 2, p. 500.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_intellectu_et_intelligibili(Alberto_Magno),De intellectu et intelligibili,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NON È EQUABILE ALLA NATURA,"non ha lo stesso peso della natura'. Cfr. Alberto Magno, Super Ethica commentum et quaestiones, VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80 Consuetudo, quamvis imitetur naturam, non tamen pervenit ad firmitatem ipsius"". La terminologia usata in questi due paragrafi è certamente riconducibile all'etica aristotelica: aristotelici sono infatti i concetti di virtù e di vizio come 'qualità abituali' generate dalla consuetudine (cioè dalla ripetizione di azioni virtuose o viziose), e questo è il senso del rimando piuttosto generico al secondo libro dell' Etica Nicomachea. Non è però pienamente aristotelica la distinzione tra vizi connaturati e vizi abitudinari. La stessa nozione di vizio innato sembra estranea al pensiero dello Stagirita: il testo di Eth. Nic. VII 5, 1148 b 15 sgg., citato dai commentatori, si riferisce alle depravazioni morbose (la bestialitas) alcune delle quali possono avere la loro origine in una degenerazione della natura umana, ma che comunque Aristotele distingue nettamente dai vizi normali. Allo stesso modo, all'osservazione per cui alcune inclinazioni, anche virtuose ci sono presenti per natura, segue un netto rifiuto di un loro carattere di virtù (cfr .Eth. Nic. VI 13, 1144 b4-10). L'unico accenno ad una possibile origine naturale dei vizi è presente in Eth. Nic. VII 10, 1152 a 27-30 dove Aristotele distingue tra incontinenza per natura e incontinenza per abitudine, collegando la prima alla melancholia ed affermando che l'abitudine è più correggibile della natura Proprio questo testo periferico darà modo ad Alberto Magno e a Tommaso di introdurre il tema delle complexiones ""Natura potest inclinari ad aliqua vitia secundum diversas complexiones"" (Alberto, Super Ethica commentum et quaestiones VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62) ""Illi qui sunt incontinentes per consuetudinem sunt sanabiliores illis qui sunt incontinentes per naturam, scilicet corporalis complexionis ad id inclinantis"" (Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1467). Si tratta di una teoria medica presentata esaurientemente nel Canon di Avicenna, testo ufficiale di medicina nelle Università del Medioevo e del Rinascimento; riducendola alle sue linee fondamentali essa dice il corpo dell'uomo è costituito da una mescolanza dei quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile rossa, o collera, e bile nera o melancholia) il cui equilibrio non è mai così assoluto che uno dei quattro in qualche misura non sopravanzi gli altri, o a causa dell'età, o a causa del clima, o a causa della struttura individuale. Così si avranno, con gradazioni diverse per ogni individuo, quattro tipi psicosomatici (""caratteri"") il sanguigno, il flemmatico, il collerico, il melanconico (cfr. Canon I, doctr. 3, c. 1 De complexionibus, ff. 2ra-3rb). Che queste distemperantie producano inclinazione al vizio, come dice Alberto (ma come non aveva detto Avicenna) deriva da un assioma condiviso dalla cultura medievale: ""mores animi sequuntur complexionem corporis"" (cfr. Cv I i 2-5; IV ii 7). Sulle dottrine medico filosofiche relative alla complexio vedi Bertini Malgarini 1989, pp. 35-54.","VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NON È EQUABILE ALLA NATURA,"non ha lo stesso peso della natura'. Cfr. Alberto Magno, Super Ethica commentum et quaestiones, VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80 Consuetudo, quamvis imitetur naturam, non tamen pervenit ad firmitatem ipsius"". La terminologia usata in questi due paragrafi è certamente riconducibile all'etica aristotelica: aristotelici sono infatti i concetti di virtù e di vizio come 'qualità abituali' generate dalla consuetudine (cioè dalla ripetizione di azioni virtuose o viziose), e questo è il senso del rimando piuttosto generico al secondo libro dell' Etica Nicomachea. Non è però pienamente aristotelica la distinzione tra vizi connaturati e vizi abitudinari. La stessa nozione di vizio innato sembra estranea al pensiero dello Stagirita: il testo di Eth. Nic. VII 5, 1148 b 15 sgg., citato dai commentatori, si riferisce alle depravazioni morbose (la bestialitas) alcune delle quali possono avere la loro origine in una degenerazione della natura umana, ma che comunque Aristotele distingue nettamente dai vizi normali. Allo stesso modo, all'osservazione per cui alcune inclinazioni, anche virtuose ci sono presenti per natura, segue un netto rifiuto di un loro carattere di virtù (cfr .Eth. Nic. VI 13, 1144 b4-10). L'unico accenno ad una possibile origine naturale dei vizi è presente in Eth. Nic. VII 10, 1152 a 27-30 dove Aristotele distingue tra incontinenza per natura e incontinenza per abitudine, collegando la prima alla melancholia ed affermando che l'abitudine è più correggibile della natura Proprio questo testo periferico darà modo ad Alberto Magno e a Tommaso di introdurre il tema delle complexiones ""Natura potest inclinari ad aliqua vitia secundum diversas complexiones"" (Alberto, Super Ethica commentum et quaestiones VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62) ""Illi qui sunt incontinentes per consuetudinem sunt sanabiliores illis qui sunt incontinentes per naturam, scilicet corporalis complexionis ad id inclinantis"" (Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1467). Si tratta di una teoria medica presentata esaurientemente nel Canon di Avicenna, testo ufficiale di medicina nelle Università del Medioevo e del Rinascimento; riducendola alle sue linee fondamentali essa dice il corpo dell'uomo è costituito da una mescolanza dei quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile rossa, o collera, e bile nera o melancholia) il cui equilibrio non è mai così assoluto che uno dei quattro in qualche misura non sopravanzi gli altri, o a causa dell'età, o a causa del clima, o a causa della struttura individuale. Così si avranno, con gradazioni diverse per ogni individuo, quattro tipi psicosomatici (""caratteri"") il sanguigno, il flemmatico, il collerico, il melanconico (cfr. Canon I, doctr. 3, c. 1 De complexionibus, ff. 2ra-3rb). Che queste distemperantie producano inclinazione al vizio, come dice Alberto (ma come non aveva detto Avicenna) deriva da un assioma condiviso dalla cultura medievale: ""mores animi sequuntur complexionem corporis"" (cfr. Cv I i 2-5; IV ii 7). Sulle dottrine medico filosofiche relative alla complexio vedi Bertini Malgarini 1989, pp. 35-54.","VII 5, 1148 b 15 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NON È EQUABILE ALLA NATURA,"non ha lo stesso peso della natura'. Cfr. Alberto Magno, Super Ethica commentum et quaestiones, VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80 Consuetudo, quamvis imitetur naturam, non tamen pervenit ad firmitatem ipsius"". La terminologia usata in questi due paragrafi è certamente riconducibile all'etica aristotelica: aristotelici sono infatti i concetti di virtù e di vizio come 'qualità abituali' generate dalla consuetudine (cioè dalla ripetizione di azioni virtuose o viziose), e questo è il senso del rimando piuttosto generico al secondo libro dell' Etica Nicomachea. Non è però pienamente aristotelica la distinzione tra vizi connaturati e vizi abitudinari. La stessa nozione di vizio innato sembra estranea al pensiero dello Stagirita: il testo di Eth. Nic. VII 5, 1148 b 15 sgg., citato dai commentatori, si riferisce alle depravazioni morbose (la bestialitas) alcune delle quali possono avere la loro origine in una degenerazione della natura umana, ma che comunque Aristotele distingue nettamente dai vizi normali. Allo stesso modo, all'osservazione per cui alcune inclinazioni, anche virtuose ci sono presenti per natura, segue un netto rifiuto di un loro carattere di virtù (cfr .Eth. Nic. VI 13, 1144 b4-10). L'unico accenno ad una possibile origine naturale dei vizi è presente in Eth. Nic. VII 10, 1152 a 27-30 dove Aristotele distingue tra incontinenza per natura e incontinenza per abitudine, collegando la prima alla melancholia ed affermando che l'abitudine è più correggibile della natura Proprio questo testo periferico darà modo ad Alberto Magno e a Tommaso di introdurre il tema delle complexiones ""Natura potest inclinari ad aliqua vitia secundum diversas complexiones"" (Alberto, Super Ethica commentum et quaestiones VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62) ""Illi qui sunt incontinentes per consuetudinem sunt sanabiliores illis qui sunt incontinentes per naturam, scilicet corporalis complexionis ad id inclinantis"" (Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1467). Si tratta di una teoria medica presentata esaurientemente nel Canon di Avicenna, testo ufficiale di medicina nelle Università del Medioevo e del Rinascimento; riducendola alle sue linee fondamentali essa dice il corpo dell'uomo è costituito da una mescolanza dei quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile rossa, o collera, e bile nera o melancholia) il cui equilibrio non è mai così assoluto che uno dei quattro in qualche misura non sopravanzi gli altri, o a causa dell'età, o a causa del clima, o a causa della struttura individuale. Così si avranno, con gradazioni diverse per ogni individuo, quattro tipi psicosomatici (""caratteri"") il sanguigno, il flemmatico, il collerico, il melanconico (cfr. Canon I, doctr. 3, c. 1 De complexionibus, ff. 2ra-3rb). Che queste distemperantie producano inclinazione al vizio, come dice Alberto (ma come non aveva detto Avicenna) deriva da un assioma condiviso dalla cultura medievale: ""mores animi sequuntur complexionem corporis"" (cfr. Cv I i 2-5; IV ii 7). Sulle dottrine medico filosofiche relative alla complexio vedi Bertini Malgarini 1989, pp. 35-54.","VI 13, 1144 b4-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NON È EQUABILE ALLA NATURA,"non ha lo stesso peso della natura'. Cfr. Alberto Magno, Super Ethica commentum et quaestiones, VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80 Consuetudo, quamvis imitetur naturam, non tamen pervenit ad firmitatem ipsius"". La terminologia usata in questi due paragrafi è certamente riconducibile all'etica aristotelica: aristotelici sono infatti i concetti di virtù e di vizio come 'qualità abituali' generate dalla consuetudine (cioè dalla ripetizione di azioni virtuose o viziose), e questo è il senso del rimando piuttosto generico al secondo libro dell' Etica Nicomachea. Non è però pienamente aristotelica la distinzione tra vizi connaturati e vizi abitudinari. La stessa nozione di vizio innato sembra estranea al pensiero dello Stagirita: il testo di Eth. Nic. VII 5, 1148 b 15 sgg., citato dai commentatori, si riferisce alle depravazioni morbose (la bestialitas) alcune delle quali possono avere la loro origine in una degenerazione della natura umana, ma che comunque Aristotele distingue nettamente dai vizi normali. Allo stesso modo, all'osservazione per cui alcune inclinazioni, anche virtuose ci sono presenti per natura, segue un netto rifiuto di un loro carattere di virtù (cfr .Eth. Nic. VI 13, 1144 b4-10). L'unico accenno ad una possibile origine naturale dei vizi è presente in Eth. Nic. VII 10, 1152 a 27-30 dove Aristotele distingue tra incontinenza per natura e incontinenza per abitudine, collegando la prima alla melancholia ed affermando che l'abitudine è più correggibile della natura Proprio questo testo periferico darà modo ad Alberto Magno e a Tommaso di introdurre il tema delle complexiones ""Natura potest inclinari ad aliqua vitia secundum diversas complexiones"" (Alberto, Super Ethica commentum et quaestiones VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62) ""Illi qui sunt incontinentes per consuetudinem sunt sanabiliores illis qui sunt incontinentes per naturam, scilicet corporalis complexionis ad id inclinantis"" (Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1467). Si tratta di una teoria medica presentata esaurientemente nel Canon di Avicenna, testo ufficiale di medicina nelle Università del Medioevo e del Rinascimento; riducendola alle sue linee fondamentali essa dice il corpo dell'uomo è costituito da una mescolanza dei quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile rossa, o collera, e bile nera o melancholia) il cui equilibrio non è mai così assoluto che uno dei quattro in qualche misura non sopravanzi gli altri, o a causa dell'età, o a causa del clima, o a causa della struttura individuale. Così si avranno, con gradazioni diverse per ogni individuo, quattro tipi psicosomatici (""caratteri"") il sanguigno, il flemmatico, il collerico, il melanconico (cfr. Canon I, doctr. 3, c. 1 De complexionibus, ff. 2ra-3rb). Che queste distemperantie producano inclinazione al vizio, come dice Alberto (ma come non aveva detto Avicenna) deriva da un assioma condiviso dalla cultura medievale: ""mores animi sequuntur complexionem corporis"" (cfr. Cv I i 2-5; IV ii 7). Sulle dottrine medico filosofiche relative alla complexio vedi Bertini Malgarini 1989, pp. 35-54.","VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NON È EQUABILE ALLA NATURA,"non ha lo stesso peso della natura'. Cfr. Alberto Magno, Super Ethica commentum et quaestiones, VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80 Consuetudo, quamvis imitetur naturam, non tamen pervenit ad firmitatem ipsius"". La terminologia usata in questi due paragrafi è certamente riconducibile all'etica aristotelica: aristotelici sono infatti i concetti di virtù e di vizio come 'qualità abituali' generate dalla consuetudine (cioè dalla ripetizione di azioni virtuose o viziose), e questo è il senso del rimando piuttosto generico al secondo libro dell' Etica Nicomachea. Non è però pienamente aristotelica la distinzione tra vizi connaturati e vizi abitudinari. La stessa nozione di vizio innato sembra estranea al pensiero dello Stagirita: il testo di Eth. Nic. VII 5, 1148 b 15 sgg., citato dai commentatori, si riferisce alle depravazioni morbose (la bestialitas) alcune delle quali possono avere la loro origine in una degenerazione della natura umana, ma che comunque Aristotele distingue nettamente dai vizi normali. Allo stesso modo, all'osservazione per cui alcune inclinazioni, anche virtuose ci sono presenti per natura, segue un netto rifiuto di un loro carattere di virtù (cfr .Eth. Nic. VI 13, 1144 b4-10). L'unico accenno ad una possibile origine naturale dei vizi è presente in Eth. Nic. VII 10, 1152 a 27-30 dove Aristotele distingue tra incontinenza per natura e incontinenza per abitudine, collegando la prima alla melancholia ed affermando che l'abitudine è più correggibile della natura Proprio questo testo periferico darà modo ad Alberto Magno e a Tommaso di introdurre il tema delle complexiones ""Natura potest inclinari ad aliqua vitia secundum diversas complexiones"" (Alberto, Super Ethica commentum et quaestiones VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62) ""Illi qui sunt incontinentes per consuetudinem sunt sanabiliores illis qui sunt incontinentes per naturam, scilicet corporalis complexionis ad id inclinantis"" (Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1467). Si tratta di una teoria medica presentata esaurientemente nel Canon di Avicenna, testo ufficiale di medicina nelle Università del Medioevo e del Rinascimento; riducendola alle sue linee fondamentali essa dice il corpo dell'uomo è costituito da una mescolanza dei quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile rossa, o collera, e bile nera o melancholia) il cui equilibrio non è mai così assoluto che uno dei quattro in qualche misura non sopravanzi gli altri, o a causa dell'età, o a causa del clima, o a causa della struttura individuale. Così si avranno, con gradazioni diverse per ogni individuo, quattro tipi psicosomatici (""caratteri"") il sanguigno, il flemmatico, il collerico, il melanconico (cfr. Canon I, doctr. 3, c. 1 De complexionibus, ff. 2ra-3rb). Che queste distemperantie producano inclinazione al vizio, come dice Alberto (ma come non aveva detto Avicenna) deriva da un assioma condiviso dalla cultura medievale: ""mores animi sequuntur complexionem corporis"" (cfr. Cv I i 2-5; IV ii 7). Sulle dottrine medico filosofiche relative alla complexio vedi Bertini Malgarini 1989, pp. 35-54.","VII, lectio 10, n. 1467",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NON È EQUABILE ALLA NATURA,"non ha lo stesso peso della natura'. Cfr. Alberto Magno, Super Ethica commentum et quaestiones, VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80 Consuetudo, quamvis imitetur naturam, non tamen pervenit ad firmitatem ipsius"". La terminologia usata in questi due paragrafi è certamente riconducibile all'etica aristotelica: aristotelici sono infatti i concetti di virtù e di vizio come 'qualità abituali' generate dalla consuetudine (cioè dalla ripetizione di azioni virtuose o viziose), e questo è il senso del rimando piuttosto generico al secondo libro dell' Etica Nicomachea. Non è però pienamente aristotelica la distinzione tra vizi connaturati e vizi abitudinari. La stessa nozione di vizio innato sembra estranea al pensiero dello Stagirita: il testo di Eth. Nic. VII 5, 1148 b 15 sgg., citato dai commentatori, si riferisce alle depravazioni morbose (la bestialitas) alcune delle quali possono avere la loro origine in una degenerazione della natura umana, ma che comunque Aristotele distingue nettamente dai vizi normali. Allo stesso modo, all'osservazione per cui alcune inclinazioni, anche virtuose ci sono presenti per natura, segue un netto rifiuto di un loro carattere di virtù (cfr .Eth. Nic. VI 13, 1144 b4-10). L'unico accenno ad una possibile origine naturale dei vizi è presente in Eth. Nic. VII 10, 1152 a 27-30 dove Aristotele distingue tra incontinenza per natura e incontinenza per abitudine, collegando la prima alla melancholia ed affermando che l'abitudine è più correggibile della natura Proprio questo testo periferico darà modo ad Alberto Magno e a Tommaso di introdurre il tema delle complexiones ""Natura potest inclinari ad aliqua vitia secundum diversas complexiones"" (Alberto, Super Ethica commentum et quaestiones VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62) ""Illi qui sunt incontinentes per consuetudinem sunt sanabiliores illis qui sunt incontinentes per naturam, scilicet corporalis complexionis ad id inclinantis"" (Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1467). Si tratta di una teoria medica presentata esaurientemente nel Canon di Avicenna, testo ufficiale di medicina nelle Università del Medioevo e del Rinascimento; riducendola alle sue linee fondamentali essa dice il corpo dell'uomo è costituito da una mescolanza dei quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile rossa, o collera, e bile nera o melancholia) il cui equilibrio non è mai così assoluto che uno dei quattro in qualche misura non sopravanzi gli altri, o a causa dell'età, o a causa del clima, o a causa della struttura individuale. Così si avranno, con gradazioni diverse per ogni individuo, quattro tipi psicosomatici (""caratteri"") il sanguigno, il flemmatico, il collerico, il melanconico (cfr. Canon I, doctr. 3, c. 1 De complexionibus, ff. 2ra-3rb). Che queste distemperantie producano inclinazione al vizio, come dice Alberto (ma come non aveva detto Avicenna) deriva da un assioma condiviso dalla cultura medievale: ""mores animi sequuntur complexionem corporis"" (cfr. Cv I i 2-5; IV ii 7). Sulle dottrine medico filosofiche relative alla complexio vedi Bertini Malgarini 1989, pp. 35-54.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/The_Canon_of_Medicine,Liber canonis medicinae,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PROSOPOPEIA,"definizioni analoghe a quella di Dante si trovano nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (II xiii,controllare vol. I, s. p.) e nelle Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Poyo, P 100, 13, p. 949).","II xiii,controllare vol. I, s. p.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +PROSOPOPEIA,"definizioni analoghe a quella di Dante si trovano nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (II xiii,controllare vol. I, s. p.) e nelle Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Poyo, P 100, 13, p. 949).","II xiii,controllare vol. I, s. p.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +DOVE È DA SAPERE,"e qui bisogna sapere'. Calco dal latino universitario: 'ubi est sciendum'. L'esempio promesso all'inizio si sviluppa per tutto quanto il capitolo, formando, come dirà Dante stesso all'inizio del capitolo seguente, una digressione sulla fisiologia e sulle cause di perturbazioni dell'atto visivo. Come sostiene Aristotele (come Aristotele vuole"": calco dal latino universitario: 'ut vult Aristotiles') oggetti propri della vista (""propiamente... visibili"") sono il colore e la luce in quanto costitutiva dei colori (i rimandi aristotelici sono a De an. II 7, 418 a 29- b3, De sensu et sensato I 437 a 5-9). Luce e colori possono essere percepiti solo dalla vista (""solo col viso comprendiamo ciò e non con altro senso""). Certamente anche altre realtà sono visibili (""Ben è altra cosa visibile""), ma non in senso proprio (""non propiamente"") poiché vengono colte anche da un altro senso (""però che altro senso sente quello""): si tratta dei sensibili chiamati comuni proprio perché percepiti con più sensi. Anche in questo caso si tratta di dottrina aristotelica e gli esempi portati: forma (""figura"") grandezza, numero, movimento e quiete (""lo stare fermo"") sono gli stessi di De an. III 1, 425 a 14-16. Nel testo del De anima non appare alcun riferimento diretto al tatto, ma quando si dice che un sensibile comune come la grandezza inerisce, oltre che ad un oggetto, visibile anche ad un oggetto percepito da un altro senso (ivi, 425 b 9-10) questo senso viene normalmente identificato dai commentatori proprio con il tatto (cfr. ad esempio Alberto Magno, De anima II, tr. 2, cap. 6, p. 154, ll. 25-32). Questo spiega perché Dante parli di sensibile comune ""né propiamente visibile né propiamente tangibile "".","II 7, 418 a 29- b3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DOVE È DA SAPERE,"e qui bisogna sapere'. Calco dal latino universitario: 'ubi est sciendum'. L'esempio promesso all'inizio si sviluppa per tutto quanto il capitolo, formando, come dirà Dante stesso all'inizio del capitolo seguente, una digressione sulla fisiologia e sulle cause di perturbazioni dell'atto visivo. Come sostiene Aristotele (come Aristotele vuole"": calco dal latino universitario: 'ut vult Aristotiles') oggetti propri della vista (""propiamente... visibili"") sono il colore e la luce in quanto costitutiva dei colori (i rimandi aristotelici sono a De an. II 7, 418 a 29- b3, De sensu et sensato I 437 a 5-9). Luce e colori possono essere percepiti solo dalla vista (""solo col viso comprendiamo ciò e non con altro senso""). Certamente anche altre realtà sono visibili (""Ben è altra cosa visibile""), ma non in senso proprio (""non propiamente"") poiché vengono colte anche da un altro senso (""però che altro senso sente quello""): si tratta dei sensibili chiamati comuni proprio perché percepiti con più sensi. Anche in questo caso si tratta di dottrina aristotelica e gli esempi portati: forma (""figura"") grandezza, numero, movimento e quiete (""lo stare fermo"") sono gli stessi di De an. III 1, 425 a 14-16. Nel testo del De anima non appare alcun riferimento diretto al tatto, ma quando si dice che un sensibile comune come la grandezza inerisce, oltre che ad un oggetto, visibile anche ad un oggetto percepito da un altro senso (ivi, 425 b 9-10) questo senso viene normalmente identificato dai commentatori proprio con il tatto (cfr. ad esempio Alberto Magno, De anima II, tr. 2, cap. 6, p. 154, ll. 25-32). Questo spiega perché Dante parli di sensibile comune ""né propiamente visibile né propiamente tangibile "".",I 437 a 5-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sense_and_Sensibilia_(Aristotle),De sensu et sensato (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DOVE È DA SAPERE,"e qui bisogna sapere'. Calco dal latino universitario: 'ubi est sciendum'. L'esempio promesso all'inizio si sviluppa per tutto quanto il capitolo, formando, come dirà Dante stesso all'inizio del capitolo seguente, una digressione sulla fisiologia e sulle cause di perturbazioni dell'atto visivo. Come sostiene Aristotele (come Aristotele vuole"": calco dal latino universitario: 'ut vult Aristotiles') oggetti propri della vista (""propiamente... visibili"") sono il colore e la luce in quanto costitutiva dei colori (i rimandi aristotelici sono a De an. II 7, 418 a 29- b3, De sensu et sensato I 437 a 5-9). Luce e colori possono essere percepiti solo dalla vista (""solo col viso comprendiamo ciò e non con altro senso""). Certamente anche altre realtà sono visibili (""Ben è altra cosa visibile""), ma non in senso proprio (""non propiamente"") poiché vengono colte anche da un altro senso (""però che altro senso sente quello""): si tratta dei sensibili chiamati comuni proprio perché percepiti con più sensi. Anche in questo caso si tratta di dottrina aristotelica e gli esempi portati: forma (""figura"") grandezza, numero, movimento e quiete (""lo stare fermo"") sono gli stessi di De an. III 1, 425 a 14-16. Nel testo del De anima non appare alcun riferimento diretto al tatto, ma quando si dice che un sensibile comune come la grandezza inerisce, oltre che ad un oggetto, visibile anche ad un oggetto percepito da un altro senso (ivi, 425 b 9-10) questo senso viene normalmente identificato dai commentatori proprio con il tatto (cfr. ad esempio Alberto Magno, De anima II, tr. 2, cap. 6, p. 154, ll. 25-32). Questo spiega perché Dante parli di sensibile comune ""né propiamente visibile né propiamente tangibile "".","III 1, 425 a 14-16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DOVE È DA SAPERE,"e qui bisogna sapere'. Calco dal latino universitario: 'ubi est sciendum'. L'esempio promesso all'inizio si sviluppa per tutto quanto il capitolo, formando, come dirà Dante stesso all'inizio del capitolo seguente, una digressione sulla fisiologia e sulle cause di perturbazioni dell'atto visivo. Come sostiene Aristotele (come Aristotele vuole"": calco dal latino universitario: 'ut vult Aristotiles') oggetti propri della vista (""propiamente... visibili"") sono il colore e la luce in quanto costitutiva dei colori (i rimandi aristotelici sono a De an. II 7, 418 a 29- b3, De sensu et sensato I 437 a 5-9). Luce e colori possono essere percepiti solo dalla vista (""solo col viso comprendiamo ciò e non con altro senso""). Certamente anche altre realtà sono visibili (""Ben è altra cosa visibile""), ma non in senso proprio (""non propiamente"") poiché vengono colte anche da un altro senso (""però che altro senso sente quello""): si tratta dei sensibili chiamati comuni proprio perché percepiti con più sensi. Anche in questo caso si tratta di dottrina aristotelica e gli esempi portati: forma (""figura"") grandezza, numero, movimento e quiete (""lo stare fermo"") sono gli stessi di De an. III 1, 425 a 14-16. Nel testo del De anima non appare alcun riferimento diretto al tatto, ma quando si dice che un sensibile comune come la grandezza inerisce, oltre che ad un oggetto, visibile anche ad un oggetto percepito da un altro senso (ivi, 425 b 9-10) questo senso viene normalmente identificato dai commentatori proprio con il tatto (cfr. ad esempio Alberto Magno, De anima II, tr. 2, cap. 6, p. 154, ll. 25-32). Questo spiega perché Dante parli di sensibile comune ""né propiamente visibile né propiamente tangibile "".","ivi, 425 b 9-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DOVE È DA SAPERE,"e qui bisogna sapere'. Calco dal latino universitario: 'ubi est sciendum'. L'esempio promesso all'inizio si sviluppa per tutto quanto il capitolo, formando, come dirà Dante stesso all'inizio del capitolo seguente, una digressione sulla fisiologia e sulle cause di perturbazioni dell'atto visivo. Come sostiene Aristotele (come Aristotele vuole"": calco dal latino universitario: 'ut vult Aristotiles') oggetti propri della vista (""propiamente... visibili"") sono il colore e la luce in quanto costitutiva dei colori (i rimandi aristotelici sono a De an. II 7, 418 a 29- b3, De sensu et sensato I 437 a 5-9). Luce e colori possono essere percepiti solo dalla vista (""solo col viso comprendiamo ciò e non con altro senso""). Certamente anche altre realtà sono visibili (""Ben è altra cosa visibile""), ma non in senso proprio (""non propiamente"") poiché vengono colte anche da un altro senso (""però che altro senso sente quello""): si tratta dei sensibili chiamati comuni proprio perché percepiti con più sensi. Anche in questo caso si tratta di dottrina aristotelica e gli esempi portati: forma (""figura"") grandezza, numero, movimento e quiete (""lo stare fermo"") sono gli stessi di De an. III 1, 425 a 14-16. Nel testo del De anima non appare alcun riferimento diretto al tatto, ma quando si dice che un sensibile comune come la grandezza inerisce, oltre che ad un oggetto, visibile anche ad un oggetto percepito da un altro senso (ivi, 425 b 9-10) questo senso viene normalmente identificato dai commentatori proprio con il tatto (cfr. ad esempio Alberto Magno, De anima II, tr. 2, cap. 6, p. 154, ll. 25-32). Questo spiega perché Dante parli di sensibile comune ""né propiamente visibile né propiamente tangibile "".","II, tr. 2, cap. 6, p. 154, ll. 25-32",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUESTE COSE VISIBILI,"secondo la teoria aristotelica nell'atto della vista gli oggetti visibili (quelli propri e quelli comuni, in quanto visibili) non imprimono nell'organo (vengono dentro l'occhio"") direttamente se stessi (""non le cose loro""), ma la propria forma (cfr. De an. III 8, 431 b 29 ""non lapis in anima est, sed species lapidis""). Il De anima però non diceva molto su come le immagini (species) dei corpi colorati passassero dagli oggetti all'organo di senso. Secondo il modello elaborato dai teorici arabi e latini dell'ottica, ma utilizzato anche da commentatori di Aristotele come Alberto Magno (cfr. De sensu et sensato tr. I, cap. 10, p. 26) e qui presupposto da Dante, la species, si moltiplica in linea retta attraverso un mezzo trasparente (""diafano""), sia esso aria o acqua, fino a raggiungere l'organo della vista e nel mezzo acquisisce uno status intermedio tra la determinazione materiale posseduta nell'oggetto e l' immaterialità che riceverà nell'atto della percezione, un esse incompletum chiamato esse spirituale o intentionale. Ora il nome ""intentio"" e l'aggettivo ""intentionale"" sono la traduzione del vocabolo arabo ""ma'na"", usato da Avicenna e da Averroè, che ha il valore generale di ""significare"", ""significato"". Dunque nel processo della vista (che è il modello di ogni altro processo sensoriale) la forma del colore ha una valenza rappresentativa, non è l'oggetto, ma sta per l'oggetto reale, è un suo signum, ne fornisce la notitia (cfr. Alberto Magno, De anima II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51). Per questo Dante dice ""non realmente, ma intenzionalmente"". Il processo ha certamente basi organiche e fisiologiche: poiché però il punto terminale del percorso della forma attraverso il mezzo, cioè la pupilla, è di natura acquea (cfr. De an. III, 1, 425 a 4) e quindi della stessa natura del mezzo, le forme possono mantenere anche nell'occhio un esse intentionale. Proprio nell'acqua della pupilla il percorso (""discorso"") della forma visibile nel mezzo diafano si conclude (""si compie""); questo umore, infatti, (l' humor glacialis o cristallino della fisiologia medievale dell'occhio) non è esso stesso trasparente, bensì ""terminato"" cioè delimitato nella superficie posteriore da un corpo opaco, come in uno specchio il vetro lo è da una lamina di piombo. Così la forma non può passare oltre ma si ferma come una palla in movimento dopo aver rimbalzato contro un'ostacolo (""percossa""). Non visibile nel diafano trasparente, essa lo diventa sulla superficie tersa (""lucida""), ma non trasparente (""terminata"") della pupilla, proprio come un'immagine appare solo su di un vetro piombato e non su uno trasparente (""in altro""). Come nota Vasoli l'intera spiegazione del processo visivo, con la sua assimilazione al comportamento degli specchi, assente in Aristotele, si ritrova in Tommaso (cfr. De sensu et sensato, lectio 4, nn. 48-49); ma già prima Alberto Magno aveva sostenuto che la pupilla si comporta esattamente come uno specchio (cfr. De anima II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg. ) ricorrendo appunto all'esempio della palla: l'arresto del percorso delle forme, infatti, è una ""repercussio"", una ""reflexio ad similitudinem pilae quae repercutitur proiecta ad parietem"". (l'esempio della palla che ""cum parietem percutit ... resilit retro"" era già presente in Avicenna, De anima sive liber sextus de naturalibus, II, 5, vol. I, p. 165, ma riferito al fenomeno dell'eco). In ogni modo la descrizione dell'atto visivo risulta qui molto semplificata rispetto alle trattazioni tecniche dei commentatori del De anima o degli autori di trattati di ottica (cfr. Lindberg 1983).","III 8, 431 b 29 ""non lapis in anima est, sed species lapidis""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUESTE COSE VISIBILI,"secondo la teoria aristotelica nell'atto della vista gli oggetti visibili (quelli propri e quelli comuni, in quanto visibili) non imprimono nell'organo (vengono dentro l'occhio"") direttamente se stessi (""non le cose loro""), ma la propria forma (cfr. De an. III 8, 431 b 29 ""non lapis in anima est, sed species lapidis""). Il De anima però non diceva molto su come le immagini (species) dei corpi colorati passassero dagli oggetti all'organo di senso. Secondo il modello elaborato dai teorici arabi e latini dell'ottica, ma utilizzato anche da commentatori di Aristotele come Alberto Magno (cfr. De sensu et sensato tr. I, cap. 10, p. 26) e qui presupposto da Dante, la species, si moltiplica in linea retta attraverso un mezzo trasparente (""diafano""), sia esso aria o acqua, fino a raggiungere l'organo della vista e nel mezzo acquisisce uno status intermedio tra la determinazione materiale posseduta nell'oggetto e l' immaterialità che riceverà nell'atto della percezione, un esse incompletum chiamato esse spirituale o intentionale. Ora il nome ""intentio"" e l'aggettivo ""intentionale"" sono la traduzione del vocabolo arabo ""ma'na"", usato da Avicenna e da Averroè, che ha il valore generale di ""significare"", ""significato"". Dunque nel processo della vista (che è il modello di ogni altro processo sensoriale) la forma del colore ha una valenza rappresentativa, non è l'oggetto, ma sta per l'oggetto reale, è un suo signum, ne fornisce la notitia (cfr. Alberto Magno, De anima II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51). Per questo Dante dice ""non realmente, ma intenzionalmente"". Il processo ha certamente basi organiche e fisiologiche: poiché però il punto terminale del percorso della forma attraverso il mezzo, cioè la pupilla, è di natura acquea (cfr. De an. III, 1, 425 a 4) e quindi della stessa natura del mezzo, le forme possono mantenere anche nell'occhio un esse intentionale. Proprio nell'acqua della pupilla il percorso (""discorso"") della forma visibile nel mezzo diafano si conclude (""si compie""); questo umore, infatti, (l' humor glacialis o cristallino della fisiologia medievale dell'occhio) non è esso stesso trasparente, bensì ""terminato"" cioè delimitato nella superficie posteriore da un corpo opaco, come in uno specchio il vetro lo è da una lamina di piombo. Così la forma non può passare oltre ma si ferma come una palla in movimento dopo aver rimbalzato contro un'ostacolo (""percossa""). Non visibile nel diafano trasparente, essa lo diventa sulla superficie tersa (""lucida""), ma non trasparente (""terminata"") della pupilla, proprio come un'immagine appare solo su di un vetro piombato e non su uno trasparente (""in altro""). Come nota Vasoli l'intera spiegazione del processo visivo, con la sua assimilazione al comportamento degli specchi, assente in Aristotele, si ritrova in Tommaso (cfr. De sensu et sensato, lectio 4, nn. 48-49); ma già prima Alberto Magno aveva sostenuto che la pupilla si comporta esattamente come uno specchio (cfr. De anima II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg. ) ricorrendo appunto all'esempio della palla: l'arresto del percorso delle forme, infatti, è una ""repercussio"", una ""reflexio ad similitudinem pilae quae repercutitur proiecta ad parietem"". (l'esempio della palla che ""cum parietem percutit ... resilit retro"" era già presente in Avicenna, De anima sive liber sextus de naturalibus, II, 5, vol. I, p. 165, ma riferito al fenomeno dell'eco). In ogni modo la descrizione dell'atto visivo risulta qui molto semplificata rispetto alle trattazioni tecniche dei commentatori del De anima o degli autori di trattati di ottica (cfr. Lindberg 1983).","tr. I, cap. 10, p. 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sense_and_Sensibilia_(Aristotle),De sensu et sensato (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUESTE COSE VISIBILI,"secondo la teoria aristotelica nell'atto della vista gli oggetti visibili (quelli propri e quelli comuni, in quanto visibili) non imprimono nell'organo (vengono dentro l'occhio"") direttamente se stessi (""non le cose loro""), ma la propria forma (cfr. De an. III 8, 431 b 29 ""non lapis in anima est, sed species lapidis""). Il De anima però non diceva molto su come le immagini (species) dei corpi colorati passassero dagli oggetti all'organo di senso. Secondo il modello elaborato dai teorici arabi e latini dell'ottica, ma utilizzato anche da commentatori di Aristotele come Alberto Magno (cfr. De sensu et sensato tr. I, cap. 10, p. 26) e qui presupposto da Dante, la species, si moltiplica in linea retta attraverso un mezzo trasparente (""diafano""), sia esso aria o acqua, fino a raggiungere l'organo della vista e nel mezzo acquisisce uno status intermedio tra la determinazione materiale posseduta nell'oggetto e l' immaterialità che riceverà nell'atto della percezione, un esse incompletum chiamato esse spirituale o intentionale. Ora il nome ""intentio"" e l'aggettivo ""intentionale"" sono la traduzione del vocabolo arabo ""ma'na"", usato da Avicenna e da Averroè, che ha il valore generale di ""significare"", ""significato"". Dunque nel processo della vista (che è il modello di ogni altro processo sensoriale) la forma del colore ha una valenza rappresentativa, non è l'oggetto, ma sta per l'oggetto reale, è un suo signum, ne fornisce la notitia (cfr. Alberto Magno, De anima II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51). Per questo Dante dice ""non realmente, ma intenzionalmente"". Il processo ha certamente basi organiche e fisiologiche: poiché però il punto terminale del percorso della forma attraverso il mezzo, cioè la pupilla, è di natura acquea (cfr. De an. III, 1, 425 a 4) e quindi della stessa natura del mezzo, le forme possono mantenere anche nell'occhio un esse intentionale. Proprio nell'acqua della pupilla il percorso (""discorso"") della forma visibile nel mezzo diafano si conclude (""si compie""); questo umore, infatti, (l' humor glacialis o cristallino della fisiologia medievale dell'occhio) non è esso stesso trasparente, bensì ""terminato"" cioè delimitato nella superficie posteriore da un corpo opaco, come in uno specchio il vetro lo è da una lamina di piombo. Così la forma non può passare oltre ma si ferma come una palla in movimento dopo aver rimbalzato contro un'ostacolo (""percossa""). Non visibile nel diafano trasparente, essa lo diventa sulla superficie tersa (""lucida""), ma non trasparente (""terminata"") della pupilla, proprio come un'immagine appare solo su di un vetro piombato e non su uno trasparente (""in altro""). Come nota Vasoli l'intera spiegazione del processo visivo, con la sua assimilazione al comportamento degli specchi, assente in Aristotele, si ritrova in Tommaso (cfr. De sensu et sensato, lectio 4, nn. 48-49); ma già prima Alberto Magno aveva sostenuto che la pupilla si comporta esattamente come uno specchio (cfr. De anima II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg. ) ricorrendo appunto all'esempio della palla: l'arresto del percorso delle forme, infatti, è una ""repercussio"", una ""reflexio ad similitudinem pilae quae repercutitur proiecta ad parietem"". (l'esempio della palla che ""cum parietem percutit ... resilit retro"" era già presente in Avicenna, De anima sive liber sextus de naturalibus, II, 5, vol. I, p. 165, ma riferito al fenomeno dell'eco). In ogni modo la descrizione dell'atto visivo risulta qui molto semplificata rispetto alle trattazioni tecniche dei commentatori del De anima o degli autori di trattati di ottica (cfr. Lindberg 1983).","II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUESTE COSE VISIBILI,"secondo la teoria aristotelica nell'atto della vista gli oggetti visibili (quelli propri e quelli comuni, in quanto visibili) non imprimono nell'organo (vengono dentro l'occhio"") direttamente se stessi (""non le cose loro""), ma la propria forma (cfr. De an. III 8, 431 b 29 ""non lapis in anima est, sed species lapidis""). Il De anima però non diceva molto su come le immagini (species) dei corpi colorati passassero dagli oggetti all'organo di senso. Secondo il modello elaborato dai teorici arabi e latini dell'ottica, ma utilizzato anche da commentatori di Aristotele come Alberto Magno (cfr. De sensu et sensato tr. I, cap. 10, p. 26) e qui presupposto da Dante, la species, si moltiplica in linea retta attraverso un mezzo trasparente (""diafano""), sia esso aria o acqua, fino a raggiungere l'organo della vista e nel mezzo acquisisce uno status intermedio tra la determinazione materiale posseduta nell'oggetto e l' immaterialità che riceverà nell'atto della percezione, un esse incompletum chiamato esse spirituale o intentionale. Ora il nome ""intentio"" e l'aggettivo ""intentionale"" sono la traduzione del vocabolo arabo ""ma'na"", usato da Avicenna e da Averroè, che ha il valore generale di ""significare"", ""significato"". Dunque nel processo della vista (che è il modello di ogni altro processo sensoriale) la forma del colore ha una valenza rappresentativa, non è l'oggetto, ma sta per l'oggetto reale, è un suo signum, ne fornisce la notitia (cfr. Alberto Magno, De anima II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51). Per questo Dante dice ""non realmente, ma intenzionalmente"". Il processo ha certamente basi organiche e fisiologiche: poiché però il punto terminale del percorso della forma attraverso il mezzo, cioè la pupilla, è di natura acquea (cfr. De an. III, 1, 425 a 4) e quindi della stessa natura del mezzo, le forme possono mantenere anche nell'occhio un esse intentionale. Proprio nell'acqua della pupilla il percorso (""discorso"") della forma visibile nel mezzo diafano si conclude (""si compie""); questo umore, infatti, (l' humor glacialis o cristallino della fisiologia medievale dell'occhio) non è esso stesso trasparente, bensì ""terminato"" cioè delimitato nella superficie posteriore da un corpo opaco, come in uno specchio il vetro lo è da una lamina di piombo. Così la forma non può passare oltre ma si ferma come una palla in movimento dopo aver rimbalzato contro un'ostacolo (""percossa""). Non visibile nel diafano trasparente, essa lo diventa sulla superficie tersa (""lucida""), ma non trasparente (""terminata"") della pupilla, proprio come un'immagine appare solo su di un vetro piombato e non su uno trasparente (""in altro""). Come nota Vasoli l'intera spiegazione del processo visivo, con la sua assimilazione al comportamento degli specchi, assente in Aristotele, si ritrova in Tommaso (cfr. De sensu et sensato, lectio 4, nn. 48-49); ma già prima Alberto Magno aveva sostenuto che la pupilla si comporta esattamente come uno specchio (cfr. De anima II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg. ) ricorrendo appunto all'esempio della palla: l'arresto del percorso delle forme, infatti, è una ""repercussio"", una ""reflexio ad similitudinem pilae quae repercutitur proiecta ad parietem"". (l'esempio della palla che ""cum parietem percutit ... resilit retro"" era già presente in Avicenna, De anima sive liber sextus de naturalibus, II, 5, vol. I, p. 165, ma riferito al fenomeno dell'eco). In ogni modo la descrizione dell'atto visivo risulta qui molto semplificata rispetto alle trattazioni tecniche dei commentatori del De anima o degli autori di trattati di ottica (cfr. Lindberg 1983).","III, 1, 425 a 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUESTE COSE VISIBILI,"secondo la teoria aristotelica nell'atto della vista gli oggetti visibili (quelli propri e quelli comuni, in quanto visibili) non imprimono nell'organo (vengono dentro l'occhio"") direttamente se stessi (""non le cose loro""), ma la propria forma (cfr. De an. III 8, 431 b 29 ""non lapis in anima est, sed species lapidis""). Il De anima però non diceva molto su come le immagini (species) dei corpi colorati passassero dagli oggetti all'organo di senso. Secondo il modello elaborato dai teorici arabi e latini dell'ottica, ma utilizzato anche da commentatori di Aristotele come Alberto Magno (cfr. De sensu et sensato tr. I, cap. 10, p. 26) e qui presupposto da Dante, la species, si moltiplica in linea retta attraverso un mezzo trasparente (""diafano""), sia esso aria o acqua, fino a raggiungere l'organo della vista e nel mezzo acquisisce uno status intermedio tra la determinazione materiale posseduta nell'oggetto e l' immaterialità che riceverà nell'atto della percezione, un esse incompletum chiamato esse spirituale o intentionale. Ora il nome ""intentio"" e l'aggettivo ""intentionale"" sono la traduzione del vocabolo arabo ""ma'na"", usato da Avicenna e da Averroè, che ha il valore generale di ""significare"", ""significato"". Dunque nel processo della vista (che è il modello di ogni altro processo sensoriale) la forma del colore ha una valenza rappresentativa, non è l'oggetto, ma sta per l'oggetto reale, è un suo signum, ne fornisce la notitia (cfr. Alberto Magno, De anima II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51). Per questo Dante dice ""non realmente, ma intenzionalmente"". Il processo ha certamente basi organiche e fisiologiche: poiché però il punto terminale del percorso della forma attraverso il mezzo, cioè la pupilla, è di natura acquea (cfr. De an. III, 1, 425 a 4) e quindi della stessa natura del mezzo, le forme possono mantenere anche nell'occhio un esse intentionale. Proprio nell'acqua della pupilla il percorso (""discorso"") della forma visibile nel mezzo diafano si conclude (""si compie""); questo umore, infatti, (l' humor glacialis o cristallino della fisiologia medievale dell'occhio) non è esso stesso trasparente, bensì ""terminato"" cioè delimitato nella superficie posteriore da un corpo opaco, come in uno specchio il vetro lo è da una lamina di piombo. Così la forma non può passare oltre ma si ferma come una palla in movimento dopo aver rimbalzato contro un'ostacolo (""percossa""). Non visibile nel diafano trasparente, essa lo diventa sulla superficie tersa (""lucida""), ma non trasparente (""terminata"") della pupilla, proprio come un'immagine appare solo su di un vetro piombato e non su uno trasparente (""in altro""). Come nota Vasoli l'intera spiegazione del processo visivo, con la sua assimilazione al comportamento degli specchi, assente in Aristotele, si ritrova in Tommaso (cfr. De sensu et sensato, lectio 4, nn. 48-49); ma già prima Alberto Magno aveva sostenuto che la pupilla si comporta esattamente come uno specchio (cfr. De anima II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg. ) ricorrendo appunto all'esempio della palla: l'arresto del percorso delle forme, infatti, è una ""repercussio"", una ""reflexio ad similitudinem pilae quae repercutitur proiecta ad parietem"". (l'esempio della palla che ""cum parietem percutit ... resilit retro"" era già presente in Avicenna, De anima sive liber sextus de naturalibus, II, 5, vol. I, p. 165, ma riferito al fenomeno dell'eco). In ogni modo la descrizione dell'atto visivo risulta qui molto semplificata rispetto alle trattazioni tecniche dei commentatori del De anima o degli autori di trattati di ottica (cfr. Lindberg 1983).","lectio 4, nn. 48-49",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sentencia_libri_De_sensu_et_sensato,Sentencia libri De sensu et sensato,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUESTE COSE VISIBILI,"secondo la teoria aristotelica nell'atto della vista gli oggetti visibili (quelli propri e quelli comuni, in quanto visibili) non imprimono nell'organo (vengono dentro l'occhio"") direttamente se stessi (""non le cose loro""), ma la propria forma (cfr. De an. III 8, 431 b 29 ""non lapis in anima est, sed species lapidis""). Il De anima però non diceva molto su come le immagini (species) dei corpi colorati passassero dagli oggetti all'organo di senso. Secondo il modello elaborato dai teorici arabi e latini dell'ottica, ma utilizzato anche da commentatori di Aristotele come Alberto Magno (cfr. De sensu et sensato tr. I, cap. 10, p. 26) e qui presupposto da Dante, la species, si moltiplica in linea retta attraverso un mezzo trasparente (""diafano""), sia esso aria o acqua, fino a raggiungere l'organo della vista e nel mezzo acquisisce uno status intermedio tra la determinazione materiale posseduta nell'oggetto e l' immaterialità che riceverà nell'atto della percezione, un esse incompletum chiamato esse spirituale o intentionale. Ora il nome ""intentio"" e l'aggettivo ""intentionale"" sono la traduzione del vocabolo arabo ""ma'na"", usato da Avicenna e da Averroè, che ha il valore generale di ""significare"", ""significato"". Dunque nel processo della vista (che è il modello di ogni altro processo sensoriale) la forma del colore ha una valenza rappresentativa, non è l'oggetto, ma sta per l'oggetto reale, è un suo signum, ne fornisce la notitia (cfr. Alberto Magno, De anima II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51). Per questo Dante dice ""non realmente, ma intenzionalmente"". Il processo ha certamente basi organiche e fisiologiche: poiché però il punto terminale del percorso della forma attraverso il mezzo, cioè la pupilla, è di natura acquea (cfr. De an. III, 1, 425 a 4) e quindi della stessa natura del mezzo, le forme possono mantenere anche nell'occhio un esse intentionale. Proprio nell'acqua della pupilla il percorso (""discorso"") della forma visibile nel mezzo diafano si conclude (""si compie""); questo umore, infatti, (l' humor glacialis o cristallino della fisiologia medievale dell'occhio) non è esso stesso trasparente, bensì ""terminato"" cioè delimitato nella superficie posteriore da un corpo opaco, come in uno specchio il vetro lo è da una lamina di piombo. Così la forma non può passare oltre ma si ferma come una palla in movimento dopo aver rimbalzato contro un'ostacolo (""percossa""). Non visibile nel diafano trasparente, essa lo diventa sulla superficie tersa (""lucida""), ma non trasparente (""terminata"") della pupilla, proprio come un'immagine appare solo su di un vetro piombato e non su uno trasparente (""in altro""). Come nota Vasoli l'intera spiegazione del processo visivo, con la sua assimilazione al comportamento degli specchi, assente in Aristotele, si ritrova in Tommaso (cfr. De sensu et sensato, lectio 4, nn. 48-49); ma già prima Alberto Magno aveva sostenuto che la pupilla si comporta esattamente come uno specchio (cfr. De anima II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg. ) ricorrendo appunto all'esempio della palla: l'arresto del percorso delle forme, infatti, è una ""repercussio"", una ""reflexio ad similitudinem pilae quae repercutitur proiecta ad parietem"". (l'esempio della palla che ""cum parietem percutit ... resilit retro"" era già presente in Avicenna, De anima sive liber sextus de naturalibus, II, 5, vol. I, p. 165, ma riferito al fenomeno dell'eco). In ogni modo la descrizione dell'atto visivo risulta qui molto semplificata rispetto alle trattazioni tecniche dei commentatori del De anima o degli autori di trattati di ottica (cfr. Lindberg 1983).","II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DI QUESTA PUPILLA,"da questa pupilla'. Dante spiega ora come il processo fisico della vista si muti in vera e propria pecezione sensibile: lo spirito che presiede alla facoltà del vedere (lo spirito visivo"") istantaneamente (""subitamente e sanza tempo"") trasferisce e rappresenta (""ripresenta"") la forma del colore alla parte anteriore del cervello (""la parte del cerebro dinanzi"") da dove come dal suo principio originario deriva ogni capacità sensitiva (""dove è la sensibile virtute sì come in principio fontale"") e con cui è direttamente collegato (""si continua""): solo a questo punto si ha la percezione visiva vera e propria (""e così vedemo""). Mentre risale ad Aristotele l'idea che, nel caso della vista, la trasmissione della species all'organo di senso è istantanea, esattamente come la propagazione della luce, le componenti fisiologiche di questa descrizione rimandano piuttosto a Galeno. Se infatti nella fisiologia dello Stagirita il cervello non riveste un ruolo di rilievo, alle ricerche anatomiche di Galeno si deve la scoperta della sua funzione fondamentale nella percezione sensoriale, come il terminale cui, a partire dai cinque organi di senso, i nervi trasmettono le sensazioni. Questa trasmissione avviene attraverso un corpo sottile, lo pneuma, diversificato a secondo dei sensi (è lo ""spirito visivo"" di Dante; ciò che ""si continua"" dalla pupilla al cervello è più propriamente il nervo ottico). Da Avicenna viene la localizzazione cerebrale delle varie facoltà sensoriali interne (cfr. De anima sive liber sextus de naturalibus, I, 5, vol. I, pp. 87-90); il senso comune viene appunto situato ""in prima concavitate cerebri"", l' ""alta camera nella quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni"" (Vn 1, 6). L'immagine del ""fonte"" applicata al senso comune si ritrova in Alberto Magno, De anima II, tr. 4, cap. 7, p. 156, ll. 87-90","I, 5, vol. I, pp. 87-90",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima_sive_liber_sextus_de_naturalibus(Avicenna),De anima sive liber sextus de naturalibus,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DI QUESTA PUPILLA,"da questa pupilla'. Dante spiega ora come il processo fisico della vista si muti in vera e propria pecezione sensibile: lo spirito che presiede alla facoltà del vedere (lo spirito visivo"") istantaneamente (""subitamente e sanza tempo"") trasferisce e rappresenta (""ripresenta"") la forma del colore alla parte anteriore del cervello (""la parte del cerebro dinanzi"") da dove come dal suo principio originario deriva ogni capacità sensitiva (""dove è la sensibile virtute sì come in principio fontale"") e con cui è direttamente collegato (""si continua""): solo a questo punto si ha la percezione visiva vera e propria (""e così vedemo""). Mentre risale ad Aristotele l'idea che, nel caso della vista, la trasmissione della species all'organo di senso è istantanea, esattamente come la propagazione della luce, le componenti fisiologiche di questa descrizione rimandano piuttosto a Galeno. Se infatti nella fisiologia dello Stagirita il cervello non riveste un ruolo di rilievo, alle ricerche anatomiche di Galeno si deve la scoperta della sua funzione fondamentale nella percezione sensoriale, come il terminale cui, a partire dai cinque organi di senso, i nervi trasmettono le sensazioni. Questa trasmissione avviene attraverso un corpo sottile, lo pneuma, diversificato a secondo dei sensi (è lo ""spirito visivo"" di Dante; ciò che ""si continua"" dalla pupilla al cervello è più propriamente il nervo ottico). Da Avicenna viene la localizzazione cerebrale delle varie facoltà sensoriali interne (cfr. De anima sive liber sextus de naturalibus, I, 5, vol. I, pp. 87-90); il senso comune viene appunto situato ""in prima concavitate cerebri"", l' ""alta camera nella quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni"" (Vn 1, 6). L'immagine del ""fonte"" applicata al senso comune si ritrova in Alberto Magno, De anima II, tr. 4, cap. 7, p. 156, ll. 87-90",,CONCORDANZA GENERICA,,,Galeno,http://dbpedia.org/resource/Galen,http://purl.org/bncf/tid/770,CONCEPT +DI QUESTA PUPILLA,"da questa pupilla'. Dante spiega ora come il processo fisico della vista si muti in vera e propria pecezione sensibile: lo spirito che presiede alla facoltà del vedere (lo spirito visivo"") istantaneamente (""subitamente e sanza tempo"") trasferisce e rappresenta (""ripresenta"") la forma del colore alla parte anteriore del cervello (""la parte del cerebro dinanzi"") da dove come dal suo principio originario deriva ogni capacità sensitiva (""dove è la sensibile virtute sì come in principio fontale"") e con cui è direttamente collegato (""si continua""): solo a questo punto si ha la percezione visiva vera e propria (""e così vedemo""). Mentre risale ad Aristotele l'idea che, nel caso della vista, la trasmissione della species all'organo di senso è istantanea, esattamente come la propagazione della luce, le componenti fisiologiche di questa descrizione rimandano piuttosto a Galeno. Se infatti nella fisiologia dello Stagirita il cervello non riveste un ruolo di rilievo, alle ricerche anatomiche di Galeno si deve la scoperta della sua funzione fondamentale nella percezione sensoriale, come il terminale cui, a partire dai cinque organi di senso, i nervi trasmettono le sensazioni. Questa trasmissione avviene attraverso un corpo sottile, lo pneuma, diversificato a secondo dei sensi (è lo ""spirito visivo"" di Dante; ciò che ""si continua"" dalla pupilla al cervello è più propriamente il nervo ottico). Da Avicenna viene la localizzazione cerebrale delle varie facoltà sensoriali interne (cfr. De anima sive liber sextus de naturalibus, I, 5, vol. I, pp. 87-90); il senso comune viene appunto situato ""in prima concavitate cerebri"", l' ""alta camera nella quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni"" (Vn 1, 6). L'immagine del ""fonte"" applicata al senso comune si ritrova in Alberto Magno, De anima II, tr. 4, cap. 7, p. 156, ll. 87-90",,CONCORDANZA GENERICA,,,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +DI QUESTA PUPILLA,"da questa pupilla'. Dante spiega ora come il processo fisico della vista si muti in vera e propria pecezione sensibile: lo spirito che presiede alla facoltà del vedere (lo spirito visivo"") istantaneamente (""subitamente e sanza tempo"") trasferisce e rappresenta (""ripresenta"") la forma del colore alla parte anteriore del cervello (""la parte del cerebro dinanzi"") da dove come dal suo principio originario deriva ogni capacità sensitiva (""dove è la sensibile virtute sì come in principio fontale"") e con cui è direttamente collegato (""si continua""): solo a questo punto si ha la percezione visiva vera e propria (""e così vedemo""). Mentre risale ad Aristotele l'idea che, nel caso della vista, la trasmissione della species all'organo di senso è istantanea, esattamente come la propagazione della luce, le componenti fisiologiche di questa descrizione rimandano piuttosto a Galeno. Se infatti nella fisiologia dello Stagirita il cervello non riveste un ruolo di rilievo, alle ricerche anatomiche di Galeno si deve la scoperta della sua funzione fondamentale nella percezione sensoriale, come il terminale cui, a partire dai cinque organi di senso, i nervi trasmettono le sensazioni. Questa trasmissione avviene attraverso un corpo sottile, lo pneuma, diversificato a secondo dei sensi (è lo ""spirito visivo"" di Dante; ciò che ""si continua"" dalla pupilla al cervello è più propriamente il nervo ottico). Da Avicenna viene la localizzazione cerebrale delle varie facoltà sensoriali interne (cfr. De anima sive liber sextus de naturalibus, I, 5, vol. I, pp. 87-90); il senso comune viene appunto situato ""in prima concavitate cerebri"", l' ""alta camera nella quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni"" (Vn 1, 6). L'immagine del ""fonte"" applicata al senso comune si ritrova in Alberto Magno, De anima II, tr. 4, cap. 7, p. 156, ll. 87-90","II, tr. 4, cap. 7, p. 156, ll. 87-90",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SI MACOLEREBBE,"si macchierebbe. A proposito della convinzione secondo cui il mezzo attraverso cui si propagano i colori, così come quello attraverso cui si propagano i suoni, debba esserne privo se si vuole che la sensazione rispecchi fedelmente le cose vedi Alberto Magno (De anima II tr. 3, cap. 17, p 123, ll. 37 sgg)., il quale osserva che quando il mezzo"" è colorato ""tunc non videtur aliquid in ipso nisi quasi tectum illo colore"" e fa l'esempio della luce che passa attraverso un vetro colorato.","II tr. 3, cap. 17, p 123, ll. 37 sgg",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PLATO E ALTRI FILOSOFI,"Dante inserisce nella sua digressione una ulteriore digressione dossografica relativa alla teoria della visione come extramissione di raggi luminosi (la virtù visiva"") che dall'occhio raggiungono l'oggetto visibile (""andava fuori al visibile"") Presente nel Timeo essa era stata comunemente accettata dal medioevo latino fino a quando fu soppiantata, a partire dal XIII secolo, dal modello aristotelico in cui è l'oggetto visibile che attua la potenza visiva (""perché lo visibile venisse all'occhio""). Dante cita il testo di Platone in maniera indiretta, attraverso il riassunto (e la critica) che ne fa Aristotele, appunto nel De sensu et sensato (2, 437 b 10 sgg) , dove la medesima posizione viene attribuita anche ad Empedocle (""altri filosofi"").","2, 437 b 10 sgg",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sense_and_Sensibilia_(Aristotle),De sensu et sensato (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PLATO E ALTRI FILOSOFI,"Dante inserisce nella sua digressione una ulteriore digressione dossografica relativa alla teoria della visione come extramissione di raggi luminosi (la virtù visiva"") che dall'occhio raggiungono l'oggetto visibile (""andava fuori al visibile"") Presente nel Timeo essa era stata comunemente accettata dal medioevo latino fino a quando fu soppiantata, a partire dal XIII secolo, dal modello aristotelico in cui è l'oggetto visibile che attua la potenza visiva (""perché lo visibile venisse all'occhio""). Dante cita il testo di Platone in maniera indiretta, attraverso il riassunto (e la critica) che ne fa Aristotele, appunto nel De sensu et sensato (2, 437 b 10 sgg) , dove la medesima posizione viene attribuita anche ad Empedocle (""altri filosofi"").",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Timaeus_(dialogue),Timeo,Platone,http://dbpedia.org/resource/Plato,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +NON RICEVA MUTAZIONE ALCUNA ...È PROVATO,"nella teoria aristotelica i cieli sono esenti da ogni cambiamento (mutazione"") tranne quello che consiste nel loro movimento circolare (""movimento locale"" cioè da luogo a luogo). Il riferimento possibile è a due passi del De caelo: I 3, 270 a 23-35 e II 7, 289 a 13-16. Il termine ""ricevere"" sembra peraltro rimandare alle Auctoritates Aristotelis, p. 160, n. 17 ""Caelum non potest suscipere peregrinas impressiones"".","I 3, 270 a 23-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NON RICEVA MUTAZIONE ALCUNA ...È PROVATO,"nella teoria aristotelica i cieli sono esenti da ogni cambiamento (mutazione"") tranne quello che consiste nel loro movimento circolare (""movimento locale"" cioè da luogo a luogo). Il riferimento possibile è a due passi del De caelo: I 3, 270 a 23-35 e II 7, 289 a 13-16. Il termine ""ricevere"" sembra peraltro rimandare alle Auctoritates Aristotelis, p. 160, n. 17 ""Caelum non potest suscipere peregrinas impressiones"".","7, 289 a 13-16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NON RICEVA MUTAZIONE ALCUNA ...È PROVATO,"nella teoria aristotelica i cieli sono esenti da ogni cambiamento (mutazione"") tranne quello che consiste nel loro movimento circolare (""movimento locale"" cioè da luogo a luogo). Il riferimento possibile è a due passi del De caelo: I 3, 270 a 23-35 e II 7, 289 a 13-16. Il termine ""ricevere"" sembra peraltro rimandare alle Auctoritates Aristotelis, p. 160, n. 17 ""Caelum non potest suscipere peregrinas impressiones"".","p. 160, n. 17 ""Caelum non potest suscipere peregrinas impressiones""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PERÒ PUOTE PARERE ...,"una prima causa per cui può capitarci di vedere opaco un astro, nonostante sia in sè luminoso, consiste nelle continue alterazioni qualitative del mezzo (continuamente si trasmuta"") Esso si altera in due modi: il primo riguarda la sua luminosità, ad esempio (""sì come"") alla presenza o all'assenza del sole il diafano si muta da molto a poco luminoso (""di molta luce in poca luce""); quando il sole è presente il mezzo trasparente (""diafano"") ne è così irradiato che supera (""è vincente"") la luminosità della stella e sembra più luminoso di lei (""e però pare più lucente""). Il secondo tipo di alterazione riguarda la sua densità. Infatti per l'azione dei vapori che salgono dalla superficie terrestre (""per li vapori della terra"") l'aria da rarefatta (""sottile"") si muta in densa (""grosso"") e da secca in umida. Queste alterazioni del diafano (""il mezzo così trasmutato"") alterano a loro volta (""trasmuta"") l'immagine dell'astro che attraverso di esso (""per esso"") giunge fino a noi: a motivo della densità (""per la grossezza"") muterà la sua lucentezza in opacità (""oscuritade""), a motivo dell'umidità varierà il suo colore. La teoria delle esalazioni come principio di tutti i fenomeni atmosferici è esposta da Aristotele nel quarto capitolo del primo libro dei Meteorologica. Essa postula l'esistenza due tipi di vapori: uno secco e uno umido, entrambi causati dal riscaldamento operato dal sole sulla superficie terrestre. Evidentemente è l'esalazione umida che ""ingrossa"" il diafano e attenua la luminosità di un oggetto (cfr. Pg XXX 25-27). Lo stesso tipo di esalazione, mutando il diafano da secco in umido, dovrebbe spiegare i mutamenti di colore. Tra tutti i testi di riferimento portati dai commentatori l'unico realmente significativo è quello del De anima di Alberto Magno (II, tr. 3, cap. 5, p. 103, ll. 46-53) indicato recentemente da S. A. Gilson: ""Et multae variationes possunt fieri circa sensatum, tam in medio quam in organo, quoniam si contingat aerem qui est medium in visu esse humidum multum, forte videbitur album esse perfusum rubore vel croceitate et si forte pupilla sit infirma ex humore ex oculo defluente, alterabit esse coloris"" (Gilson² 2000, p. 71)","II, tr. 3, cap. 5, p. 103, ll. 46-53",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PERÒ PUOTE ANCHE ...,"la seconda causa per cui un oggetto può apparire diverso da come è (puote parere così"") è una qualche modifica dell'organo di senso: o per malattia (""per infertade"") o per un eccessivo affaticamento (""per fatica""). Nel primo caso l'occhio presenta una alterazione del colore dei tessuti che lo compongono (""si trasmuta nel coloramento""), nel secondo è soggetto ad un indebolimento (""debilitade""). Ad esempio (""sì come"") spesso avviene che per un sanguinamento della membrana che circonda la pupilla (""per essere la tunica della pupilla sanguinosa molto"") causato da una alterazione morbosa del tessuto (""per corruzione d'infertade"") gli oggetti sembrino tutti colorati di rosso (""rubicondi""), e dunque (""però"") anche l'astro appaia rosso. Nel caso invece di un indebolimento della vista (""per essere lo viso debilitato"") in essa si verifica (""incontra"") una qualche dispersione (""alcuna disgregazione"") dello spirito visivo per cui le cose non appaiono più nitide (""unite"") ma confuse (""disgregate""), quasi come si comporta la nostra scrittura (""quasi come fa la nostra lettera"") su di un foglio bagnato (""carta umida""). Questo è il motivo per cui (""e questo è quello per che"") molti lettori (evidentemente i presbiti), allontanano i testi (""si dilungano le scritture"") dagli occhi, affinchè (""perché"") le immagini delle parole scritte entrino nell'occhio (""vegna dentro"") con meno forza (""più lievemente"") e più distintamente (""più sottile""). Facendo questo (""in ciò"") i caratteri dello scritto (""la lettera"") rimangono più distinti (""più ... discreta""). Per tutti questi motivi (""e però"") anche l'immagine di un astro può apparire perturbata. Di una ""dispersione"" della vista parla Alberto Magno proprio riguardo a coloro che vedono male da vicino; nel loro caso ""color ... quando prope est vincit oculum debilem et nimis dispergit ipsum, et tunc oculus non videt nisi confuse"" (De anima II, tr. 3, cap. 14, p. 121, ll. 12 sgg .). Sempre Alberto, nel descrivere alcune affezioni morbose della vista, accenna ad un ""humor turbidus defluens in pupillam oculi"" tale da alterare il colore dell'oggetto percepito (oltre al testo del De anima già citato vedi Meteora III, tr. 4, cap. 12, p. 188, ll. 28-30), ma l' esempio specifico di un versamento sanguigno in una delle membrane dell'occhio è proprio di Dante.","III, tr. 4, cap. 12, p. 188, ll. 28-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"PER AFFATICARE LO VISO MOLTO, A STUDIO DI LEGGERE","'a causa dell'aver affaticato eccessivamente la vista con il continuo leggere'. Cfr. Cv III i 3. La testimonianza di una particolare venerazione di Dante verso Santa Lucia fornita da If II 97-99 (e in qualche modo anticipata nel nome della città immaginaria posta sul polo antartico) è stata collegata a questa malattia degli occhi. Il testo del Convivio, però, attribuisce la guarigione a rimedi puramente naturali, indicati tra l'altro dal testo base dell'insegnamento universitario di medicina, il Canon di Avicenna, opportunamente richiamato nel commento Busnelli",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/The_Canon_of_Medicine,Liber canonis medicinae,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUANTO L'AGENTE PIÙ AL PAZIENTE...,"agente e paziente sono i termini tecnici che nella fisica aristotelica identificano, per ogni forma di mutamento, il motore ed il mosso (cfr. Phys. III 3, 202 a 22 sgg.) ed è vero che ogni mutamento può avvenire solo se i due termini si accostano l'uno all'altro fino a toccarsi (per Aristotele non esiste azione a distanza). In questo senso è giusto rimandare, come fanno i diversi commentatori, a De generatione I 6 ,322 b 22-24, integrato con il commento di Tommaso (I, lectio 23, n. 162) dove il termine latino usato è proprio appropinquare. L' affermazione secondo cui quanto più l'agente si avvicina al paziente, tanto più intensa (forte"") è per questo (""però"") la trasformazione che il paziente subisce (la ""passione""), sconosciuta alla fisica aristotelica, può avere un qualche fondamento nella trascrizione che Dante opera del rapporto tra movente e mosso nei termini di desiderato e desiderante. Egli attribuisce così alla donna gentile quella particolare capacità di muovere in quanto oggetto di desiderio che il XII libro della Metafisica sembra aver riservato a Dio. Entro questo schema (in cui però è il desiderante che si avvicina al desiderato) la maggior velocità dei corpi celesti era stata collegata dai commentatori di Aristotele alla loro maggiore vicinanza al Primo Principio e quindi ad un maggior desiderio di unirsi ad esso (vedi il commento a Cv III 8-10). Con tutta evidenza Dante, però vuole parlare di un altro desiderio, del desiderio-passione e della sua forza dirompente per cui l'anima che ne è presa (""passionata"") in vicinanza dell'oggetto desiderato abbandona la razionalità e quasi si identifica (""si unisce"") con la sua parte puramente appetitiva (""la parte concupiscibile""). In questo caso valuta la persona desiderata non come dovrebbe fare un essere razionale (""come uomo""), ma come farebbe ogni altro animale irrazionale, cioè solo in base a ciò che appare (""pur secondo l'apparenza""). Anche Tommaso aveva affermato che le passioni possono totalmente oscurare il giudizio della ragione e ridurre l'uomo a livello animale, ma aveva limitato questo caso alla pazzia, sia tranquilla che furiosa: ""Immutatio hominis per passionem duobus modis contingit. Uno modo sic quod totaliter ratio ligatur ita quod homo usum rationis non habet, sicut contingit in his qui propter vehementem iram vel concupiscentiam furiosi vel amentes fiunt, sicut et propter aliquam aliam perturbationem corporalem; huiusmodi enim passiones non sine corporali transmutatione accidunt. Et de talibus eadem ratio est sicut et de animalibus, quae ex necessitate sequuntur impetum passionis"" (cfr. Summa Theologiae Ia-IIae, q. 10, a. 3). In ogni caso il tipo di passione di cui qui si parla non ha molto a che fare con il modello aristotelico di agente e paziente. Ancora una volta la cultura delle ""scuole"" ha fornito a Dante una cornice entro cui strutturare un contenuto che non le appartiene.","III 3, 202 a 22 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUANTO L'AGENTE PIÙ AL PAZIENTE...,"agente e paziente sono i termini tecnici che nella fisica aristotelica identificano, per ogni forma di mutamento, il motore ed il mosso (cfr. Phys. III 3, 202 a 22 sgg.) ed è vero che ogni mutamento può avvenire solo se i due termini si accostano l'uno all'altro fino a toccarsi (per Aristotele non esiste azione a distanza). In questo senso è giusto rimandare, come fanno i diversi commentatori, a De generatione I 6 ,322 b 22-24, integrato con il commento di Tommaso (I, lectio 23, n. 162) dove il termine latino usato è proprio appropinquare. L' affermazione secondo cui quanto più l'agente si avvicina al paziente, tanto più intensa (forte"") è per questo (""però"") la trasformazione che il paziente subisce (la ""passione""), sconosciuta alla fisica aristotelica, può avere un qualche fondamento nella trascrizione che Dante opera del rapporto tra movente e mosso nei termini di desiderato e desiderante. Egli attribuisce così alla donna gentile quella particolare capacità di muovere in quanto oggetto di desiderio che il XII libro della Metafisica sembra aver riservato a Dio. Entro questo schema (in cui però è il desiderante che si avvicina al desiderato) la maggior velocità dei corpi celesti era stata collegata dai commentatori di Aristotele alla loro maggiore vicinanza al Primo Principio e quindi ad un maggior desiderio di unirsi ad esso (vedi il commento a Cv III 8-10). Con tutta evidenza Dante, però vuole parlare di un altro desiderio, del desiderio-passione e della sua forza dirompente per cui l'anima che ne è presa (""passionata"") in vicinanza dell'oggetto desiderato abbandona la razionalità e quasi si identifica (""si unisce"") con la sua parte puramente appetitiva (""la parte concupiscibile""). In questo caso valuta la persona desiderata non come dovrebbe fare un essere razionale (""come uomo""), ma come farebbe ogni altro animale irrazionale, cioè solo in base a ciò che appare (""pur secondo l'apparenza""). Anche Tommaso aveva affermato che le passioni possono totalmente oscurare il giudizio della ragione e ridurre l'uomo a livello animale, ma aveva limitato questo caso alla pazzia, sia tranquilla che furiosa: ""Immutatio hominis per passionem duobus modis contingit. Uno modo sic quod totaliter ratio ligatur ita quod homo usum rationis non habet, sicut contingit in his qui propter vehementem iram vel concupiscentiam furiosi vel amentes fiunt, sicut et propter aliquam aliam perturbationem corporalem; huiusmodi enim passiones non sine corporali transmutatione accidunt. Et de talibus eadem ratio est sicut et de animalibus, quae ex necessitate sequuntur impetum passionis"" (cfr. Summa Theologiae Ia-IIae, q. 10, a. 3). In ogni caso il tipo di passione di cui qui si parla non ha molto a che fare con il modello aristotelico di agente e paziente. Ancora una volta la cultura delle ""scuole"" ha fornito a Dante una cornice entro cui strutturare un contenuto che non le appartiene.","I 6 ,322 b 22-24",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUANTO L'AGENTE PIÙ AL PAZIENTE...,"agente e paziente sono i termini tecnici che nella fisica aristotelica identificano, per ogni forma di mutamento, il motore ed il mosso (cfr. Phys. III 3, 202 a 22 sgg.) ed è vero che ogni mutamento può avvenire solo se i due termini si accostano l'uno all'altro fino a toccarsi (per Aristotele non esiste azione a distanza). In questo senso è giusto rimandare, come fanno i diversi commentatori, a De generatione I 6 ,322 b 22-24, integrato con il commento di Tommaso (I, lectio 23, n. 162) dove il termine latino usato è proprio appropinquare. L' affermazione secondo cui quanto più l'agente si avvicina al paziente, tanto più intensa (forte"") è per questo (""però"") la trasformazione che il paziente subisce (la ""passione""), sconosciuta alla fisica aristotelica, può avere un qualche fondamento nella trascrizione che Dante opera del rapporto tra movente e mosso nei termini di desiderato e desiderante. Egli attribuisce così alla donna gentile quella particolare capacità di muovere in quanto oggetto di desiderio che il XII libro della Metafisica sembra aver riservato a Dio. Entro questo schema (in cui però è il desiderante che si avvicina al desiderato) la maggior velocità dei corpi celesti era stata collegata dai commentatori di Aristotele alla loro maggiore vicinanza al Primo Principio e quindi ad un maggior desiderio di unirsi ad esso (vedi il commento a Cv III 8-10). Con tutta evidenza Dante, però vuole parlare di un altro desiderio, del desiderio-passione e della sua forza dirompente per cui l'anima che ne è presa (""passionata"") in vicinanza dell'oggetto desiderato abbandona la razionalità e quasi si identifica (""si unisce"") con la sua parte puramente appetitiva (""la parte concupiscibile""). In questo caso valuta la persona desiderata non come dovrebbe fare un essere razionale (""come uomo""), ma come farebbe ogni altro animale irrazionale, cioè solo in base a ciò che appare (""pur secondo l'apparenza""). Anche Tommaso aveva affermato che le passioni possono totalmente oscurare il giudizio della ragione e ridurre l'uomo a livello animale, ma aveva limitato questo caso alla pazzia, sia tranquilla che furiosa: ""Immutatio hominis per passionem duobus modis contingit. Uno modo sic quod totaliter ratio ligatur ita quod homo usum rationis non habet, sicut contingit in his qui propter vehementem iram vel concupiscentiam furiosi vel amentes fiunt, sicut et propter aliquam aliam perturbationem corporalem; huiusmodi enim passiones non sine corporali transmutatione accidunt. Et de talibus eadem ratio est sicut et de animalibus, quae ex necessitate sequuntur impetum passionis"" (cfr. Summa Theologiae Ia-IIae, q. 10, a. 3). In ogni caso il tipo di passione di cui qui si parla non ha molto a che fare con il modello aristotelico di agente e paziente. Ancora una volta la cultura delle ""scuole"" ha fornito a Dante una cornice entro cui strutturare un contenuto che non le appartiene.","I, lectio 23, n. 162",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_librum_Aristotelis_De_generatione_et_corruptione_expositio(Tommaso),In librum Aristotelis De generatione et corruptione expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUANTO L'AGENTE PIÙ AL PAZIENTE...,"agente e paziente sono i termini tecnici che nella fisica aristotelica identificano, per ogni forma di mutamento, il motore ed il mosso (cfr. Phys. III 3, 202 a 22 sgg.) ed è vero che ogni mutamento può avvenire solo se i due termini si accostano l'uno all'altro fino a toccarsi (per Aristotele non esiste azione a distanza). In questo senso è giusto rimandare, come fanno i diversi commentatori, a De generatione I 6 ,322 b 22-24, integrato con il commento di Tommaso (I, lectio 23, n. 162) dove il termine latino usato è proprio appropinquare. L' affermazione secondo cui quanto più l'agente si avvicina al paziente, tanto più intensa (forte"") è per questo (""però"") la trasformazione che il paziente subisce (la ""passione""), sconosciuta alla fisica aristotelica, può avere un qualche fondamento nella trascrizione che Dante opera del rapporto tra movente e mosso nei termini di desiderato e desiderante. Egli attribuisce così alla donna gentile quella particolare capacità di muovere in quanto oggetto di desiderio che il XII libro della Metafisica sembra aver riservato a Dio. Entro questo schema (in cui però è il desiderante che si avvicina al desiderato) la maggior velocità dei corpi celesti era stata collegata dai commentatori di Aristotele alla loro maggiore vicinanza al Primo Principio e quindi ad un maggior desiderio di unirsi ad esso (vedi il commento a Cv III 8-10). Con tutta evidenza Dante, però vuole parlare di un altro desiderio, del desiderio-passione e della sua forza dirompente per cui l'anima che ne è presa (""passionata"") in vicinanza dell'oggetto desiderato abbandona la razionalità e quasi si identifica (""si unisce"") con la sua parte puramente appetitiva (""la parte concupiscibile""). In questo caso valuta la persona desiderata non come dovrebbe fare un essere razionale (""come uomo""), ma come farebbe ogni altro animale irrazionale, cioè solo in base a ciò che appare (""pur secondo l'apparenza""). Anche Tommaso aveva affermato che le passioni possono totalmente oscurare il giudizio della ragione e ridurre l'uomo a livello animale, ma aveva limitato questo caso alla pazzia, sia tranquilla che furiosa: ""Immutatio hominis per passionem duobus modis contingit. Uno modo sic quod totaliter ratio ligatur ita quod homo usum rationis non habet, sicut contingit in his qui propter vehementem iram vel concupiscentiam furiosi vel amentes fiunt, sicut et propter aliquam aliam perturbationem corporalem; huiusmodi enim passiones non sine corporali transmutatione accidunt. Et de talibus eadem ratio est sicut et de animalibus, quae ex necessitate sequuntur impetum passionis"" (cfr. Summa Theologiae Ia-IIae, q. 10, a. 3). In ogni caso il tipo di passione di cui qui si parla non ha molto a che fare con il modello aristotelico di agente e paziente. Ancora una volta la cultura delle ""scuole"" ha fornito a Dante una cornice entro cui strutturare un contenuto che non le appartiene.","Ia-IIae, q. 10, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MA PERÒ CHE NATURALMENTE LE LODE,"dopo le digressioni astronomiche e fisiologiche collegate alla spiegazione letterale della canzone, nell'esegesi allegorica, in cui fin dall'inizio la donna gentile si rivela essere la Filosofia, Dante esordisce con un'argomentazione in forma le cui premesse si fondano su altrettanti testi autorevoli del Filosofo per eccellenza: è naturale che gli elogi inducano il desiderio di conoscere chi viene elogiato; ora conoscere qualcosa significa sapere la sua essenza (quello che ella è"": calco dal latino 'quod quid est') presa in se stessa (""in sé considerata"") e attraverso le cause che la producono (""per tutte le sue cause""); ma il nome di una cosa non ci fa vedere (""dimostra"") tutto questo, nonostante ne sia segno (""avegna che ciò significhi""); dunque è necessario prima di andare avanti (""convienesi prima che più oltre si proceda"") nel tessere l'elogio della Filosofia (""per le sue laude mostrare""), dire cos'è ciò cui vien dato il nome di Filosofia (""dire che è questo che si chiama Filosofia""), esplicitare cioè il referente reale significato dal nome (""quello che questo nome significa""). Le citazioni aristoteliche rimandano a Phys I 1, 184 a 12-13 (in realtà il testo non parla di tutte le cause, ma delle cause prime: ""tunc enim opinamur cognoscere unumquodque cum causas cognoscamus primas"" Translatio Vetus, p. 7, ll. 5-6) e Metaph. IV 7, 1012 a 23-24 , visto però attraverso il commento di Tommaso (cfr. In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 17, n. 733 ""ratio quam nomen significat est definitio rei"" ripreso da Dante alla lettera: ""la diffinizione è quella ragione che ' l nome significa"").","IV 7, 1012 a 23-24",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MA PERÒ CHE NATURALMENTE LE LODE,"dopo le digressioni astronomiche e fisiologiche collegate alla spiegazione letterale della canzone, nell'esegesi allegorica, in cui fin dall'inizio la donna gentile si rivela essere la Filosofia, Dante esordisce con un'argomentazione in forma le cui premesse si fondano su altrettanti testi autorevoli del Filosofo per eccellenza: è naturale che gli elogi inducano il desiderio di conoscere chi viene elogiato; ora conoscere qualcosa significa sapere la sua essenza (quello che ella è"": calco dal latino 'quod quid est') presa in se stessa (""in sé considerata"") e attraverso le cause che la producono (""per tutte le sue cause""); ma il nome di una cosa non ci fa vedere (""dimostra"") tutto questo, nonostante ne sia segno (""avegna che ciò significhi""); dunque è necessario prima di andare avanti (""convienesi prima che più oltre si proceda"") nel tessere l'elogio della Filosofia (""per le sue laude mostrare""), dire cos'è ciò cui vien dato il nome di Filosofia (""dire che è questo che si chiama Filosofia""), esplicitare cioè il referente reale significato dal nome (""quello che questo nome significa""). Le citazioni aristoteliche rimandano a Phys I 1, 184 a 12-13 (in realtà il testo non parla di tutte le cause, ma delle cause prime: ""tunc enim opinamur cognoscere unumquodque cum causas cognoscamus primas"" Translatio Vetus, p. 7, ll. 5-6) e Metaph. IV 7, 1012 a 23-24 , visto però attraverso il commento di Tommaso (cfr. In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 17, n. 733 ""ratio quam nomen significat est definitio rei"" ripreso da Dante alla lettera: ""la diffinizione è quella ragione che ' l nome significa"").","I 1, 184 a 12-13",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MA PERÒ CHE NATURALMENTE LE LODE,"dopo le digressioni astronomiche e fisiologiche collegate alla spiegazione letterale della canzone, nell'esegesi allegorica, in cui fin dall'inizio la donna gentile si rivela essere la Filosofia, Dante esordisce con un'argomentazione in forma le cui premesse si fondano su altrettanti testi autorevoli del Filosofo per eccellenza: è naturale che gli elogi inducano il desiderio di conoscere chi viene elogiato; ora conoscere qualcosa significa sapere la sua essenza (quello che ella è"": calco dal latino 'quod quid est') presa in se stessa (""in sé considerata"") e attraverso le cause che la producono (""per tutte le sue cause""); ma il nome di una cosa non ci fa vedere (""dimostra"") tutto questo, nonostante ne sia segno (""avegna che ciò significhi""); dunque è necessario prima di andare avanti (""convienesi prima che più oltre si proceda"") nel tessere l'elogio della Filosofia (""per le sue laude mostrare""), dire cos'è ciò cui vien dato il nome di Filosofia (""dire che è questo che si chiama Filosofia""), esplicitare cioè il referente reale significato dal nome (""quello che questo nome significa""). Le citazioni aristoteliche rimandano a Phys I 1, 184 a 12-13 (in realtà il testo non parla di tutte le cause, ma delle cause prime: ""tunc enim opinamur cognoscere unumquodque cum causas cognoscamus primas"" Translatio Vetus, p. 7, ll. 5-6) e Metaph. IV 7, 1012 a 23-24 , visto però attraverso il commento di Tommaso (cfr. In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 17, n. 733 ""ratio quam nomen significat est definitio rei"" ripreso da Dante alla lettera: ""la diffinizione è quella ragione che ' l nome significa"").","In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 17, n. 733 ""ratio quam nomen significat est definitio rei"" ripreso da Dante alla lettera: ""la diffinizione è quella ragione che ' l nome significa""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INCIDENTEMENTE,"incidentalmente'. In realtà Tito Livio aveva accostato Pitagora e Numa Pompilio solo per negare, su basi cronologiche, la loro contemporaneità e soprattutto la dipendenza dottrinale del primo dal secondo (cfr. Ab urbe condita I 18, 1-3). Il brano di Cicerone portato in campo dal commento di Vasoli come una possibile altra fonte che giustificherebbe questa svista di Dante nega anch'esso la contemporaneità tra i due personaggi, pur se intende giustificare l'errore di chi ha creduto Numa discepolo di Pitagora (cfr. Tusculanae Disputationes IV 1 3). In ogni modo, come ha giustamente notato Paul Renucci negli scritti di Dante i riferimenti allo storico romano risultano quasi sempre di seconda mano (Renucci 1954, p. 73). Per una analisi completa dei riferimenti danteschi allo storico patavino vedi la voce Livio, Tito, curata da Antonio Martina in ED, III, pp. 673-677.","I 18, 1-3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +INCIDENTEMENTE,"incidentalmente'. In realtà Tito Livio aveva accostato Pitagora e Numa Pompilio solo per negare, su basi cronologiche, la loro contemporaneità e soprattutto la dipendenza dottrinale del primo dal secondo (cfr. Ab urbe condita I 18, 1-3). Il brano di Cicerone portato in campo dal commento di Vasoli come una possibile altra fonte che giustificherebbe questa svista di Dante nega anch'esso la contemporaneità tra i due personaggi, pur se intende giustificare l'errore di chi ha creduto Numa discepolo di Pitagora (cfr. Tusculanae Disputationes IV 1 3). In ogni modo, come ha giustamente notato Paul Renucci negli scritti di Dante i riferimenti allo storico romano risultano quasi sempre di seconda mano (Renucci 1954, p. 73). Per una analisi completa dei riferimenti danteschi allo storico patavino vedi la voce Livio, Tito, curata da Antonio Martina in ED, III, pp. 673-677.",IV 1 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Tusculanae_disputationes,Tusculanae Disputationes,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +QUELLI SETTE SAVI ANTICHISSIMI,"i sette sapienti formano un gruppo i cui nomi erano assai conosciuti nel Medioevo. Sorprende dunque che Dante commetta l'errore di non elencarne due (Talete e Pittaco) e di introdurne altri due non esistenti (Lindio e Prieneo). In realtà i termini Lindio e Prieneo non sono invenzione di Dante, ma indicano, negli elenchi corretti, il luogo di origine di Cleobulo (di Lindo) e di Biante (di Priene). La spiegazione più plausibile è dunque che Dante abbia inteso gli aggettivi Lindio e Prieneo come nomi propri. Ora la lista che contiene Cleobulo Lindio e Biante Prieneo come ultimi due, l'uno immediatamente dopo l'altro, è quella di Agostino (De civitate Dei XVIII 25, p. 616) dove tra l'altro Solone, Chilone, Periandro, Cleobulo e Biante vengono elencati separatamente da Talete e Pittaco (l'ordine seguito dallo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais III, cap. 119, p. 85, è invece diverso: Thales Milesius, Solon Atheniensis, Pyttacus Mityleneus, Chilon Lacedemonius, Cleobulus Lindius, Periander Corinthius). Ma nella lista di Agostino come nelle altre il luogo di origine viene indicato anche per gli altri tre (Solon Atheniensis, Chilon Lacaedemonius, Periandrus Corinthius""). Al di là di queste difficoltà il testo di Dante postula comunque, più che un lapsus di memoria, un effettivo errore di lettura.","XVIII 25, p. 616",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +TANTO VALE IN GRECO ...,"il termine philos ha lo stesso significato del termine amor in latino'. L'errore per cui, scambiando aggettivo per sostantivo, si dava a philos il significato di amor invece che amicus era presente in un testo autorevole come le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, ed. Cecchini, F 36, 1, 8, p. 437).","s.v. Filos, ed. Cecchini, F 36, 1, 8, p. 437",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +"NON D'ARROGANZA, MA D'UMILITADE È VOCABULO","è un termine che denota non arroganza ma modestia'. Il racconto relativo a Pitagora ed all'origine del nome filosofia"", risale ad Agostino (De civitate Dei VIII 2, p. 217), ripreso quasi alla lettera da Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vi 1-3, vol. I, s.p.) cui a loro volta si rifanno le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, F 36 10, p. 437). Nella sua definizione Dante sembra dipendere letteralmente dalla Rettorica di Brunetto Latini (17, 6, p. 29) ""il primo nome si è 'phylos', e vale tanto a dire quanto 'amore'; il secondo nome è 'sophya'e vale tanto a dire quanto 'sapienzia'. Onde 'filosofia' tanto vale a dire come 'amore della sapienza"". Cfr. Migliorini Fissi 1985-86. Non è invece presente in Brunetto il tema dell'arroganza e della umilitade, e qui è più difficile determinare quale sia stata la fonte diretta di Dante: la contrapposizione tra l'arrogantia del termine ""sapiente"" e la verecundia del termine ""filosofo"" si trova in maniera più esplicita in Isidoro e in Uguccione che non in Agostino. In tutti è peraltro è assente il richiamo ai sette sapienti, presente nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (VIII vii, 2) ""Pythagoras ... quo cognomine censeretur interrogatus, non se sapientem, iam enim illud septem excellentes viri occupaverant, sed amatorem sapientiae, id est graece philosophon, edidit"", testo ripreso anche da un contemporaneo di Dante, Tolomeo di Lucca, nella sua continuazione del De regno di Tommaso (IV, 21). Che questa definizione etimologica compaia anche in molte delle Introduzioni alla filosofia della Facoltà delle Arti parigina (vedi i numerosi testi citati nel commento di Cheneval) non mi sembra particolarmente significativo. In questo caso, a mio avviso, Dante non è debitore della tradizione universitaria.","VIII 2, p. 217",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +"NON D'ARROGANZA, MA D'UMILITADE È VOCABULO","è un termine che denota non arroganza ma modestia'. Il racconto relativo a Pitagora ed all'origine del nome filosofia"", risale ad Agostino (De civitate Dei VIII 2, p. 217), ripreso quasi alla lettera da Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vi 1-3, vol. I, s.p.) cui a loro volta si rifanno le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, F 36 10, p. 437). Nella sua definizione Dante sembra dipendere letteralmente dalla Rettorica di Brunetto Latini (17, 6, p. 29) ""il primo nome si è 'phylos', e vale tanto a dire quanto 'amore'; il secondo nome è 'sophya'e vale tanto a dire quanto 'sapienzia'. Onde 'filosofia' tanto vale a dire come 'amore della sapienza"". Cfr. Migliorini Fissi 1985-86. Non è invece presente in Brunetto il tema dell'arroganza e della umilitade, e qui è più difficile determinare quale sia stata la fonte diretta di Dante: la contrapposizione tra l'arrogantia del termine ""sapiente"" e la verecundia del termine ""filosofo"" si trova in maniera più esplicita in Isidoro e in Uguccione che non in Agostino. In tutti è peraltro è assente il richiamo ai sette sapienti, presente nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (VIII vii, 2) ""Pythagoras ... quo cognomine censeretur interrogatus, non se sapientem, iam enim illud septem excellentes viri occupaverant, sed amatorem sapientiae, id est graece philosophon, edidit"", testo ripreso anche da un contemporaneo di Dante, Tolomeo di Lucca, nella sua continuazione del De regno di Tommaso (IV, 21). Che questa definizione etimologica compaia anche in molte delle Introduzioni alla filosofia della Facoltà delle Arti parigina (vedi i numerosi testi citati nel commento di Cheneval) non mi sembra particolarmente significativo. In questo caso, a mio avviso, Dante non è debitore della tradizione universitaria.","VIII vi 1-3, vol. I, s.p.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +"NON D'ARROGANZA, MA D'UMILITADE È VOCABULO","è un termine che denota non arroganza ma modestia'. Il racconto relativo a Pitagora ed all'origine del nome filosofia"", risale ad Agostino (De civitate Dei VIII 2, p. 217), ripreso quasi alla lettera da Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vi 1-3, vol. I, s.p.) cui a loro volta si rifanno le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, F 36 10, p. 437). Nella sua definizione Dante sembra dipendere letteralmente dalla Rettorica di Brunetto Latini (17, 6, p. 29) ""il primo nome si è 'phylos', e vale tanto a dire quanto 'amore'; il secondo nome è 'sophya'e vale tanto a dire quanto 'sapienzia'. Onde 'filosofia' tanto vale a dire come 'amore della sapienza"". Cfr. Migliorini Fissi 1985-86. Non è invece presente in Brunetto il tema dell'arroganza e della umilitade, e qui è più difficile determinare quale sia stata la fonte diretta di Dante: la contrapposizione tra l'arrogantia del termine ""sapiente"" e la verecundia del termine ""filosofo"" si trova in maniera più esplicita in Isidoro e in Uguccione che non in Agostino. In tutti è peraltro è assente il richiamo ai sette sapienti, presente nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (VIII vii, 2) ""Pythagoras ... quo cognomine censeretur interrogatus, non se sapientem, iam enim illud septem excellentes viri occupaverant, sed amatorem sapientiae, id est graece philosophon, edidit"", testo ripreso anche da un contemporaneo di Dante, Tolomeo di Lucca, nella sua continuazione del De regno di Tommaso (IV, 21). Che questa definizione etimologica compaia anche in molte delle Introduzioni alla filosofia della Facoltà delle Arti parigina (vedi i numerosi testi citati nel commento di Cheneval) non mi sembra particolarmente significativo. In questo caso, a mio avviso, Dante non è debitore della tradizione universitaria.","s.v. Filos, F 36 10, p. 437",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +"NON D'ARROGANZA, MA D'UMILITADE È VOCABULO","è un termine che denota non arroganza ma modestia'. Il racconto relativo a Pitagora ed all'origine del nome filosofia"", risale ad Agostino (De civitate Dei VIII 2, p. 217), ripreso quasi alla lettera da Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vi 1-3, vol. I, s.p.) cui a loro volta si rifanno le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, F 36 10, p. 437). Nella sua definizione Dante sembra dipendere letteralmente dalla Rettorica di Brunetto Latini (17, 6, p. 29) ""il primo nome si è 'phylos', e vale tanto a dire quanto 'amore'; il secondo nome è 'sophya'e vale tanto a dire quanto 'sapienzia'. Onde 'filosofia' tanto vale a dire come 'amore della sapienza"". Cfr. Migliorini Fissi 1985-86. Non è invece presente in Brunetto il tema dell'arroganza e della umilitade, e qui è più difficile determinare quale sia stata la fonte diretta di Dante: la contrapposizione tra l'arrogantia del termine ""sapiente"" e la verecundia del termine ""filosofo"" si trova in maniera più esplicita in Isidoro e in Uguccione che non in Agostino. In tutti è peraltro è assente il richiamo ai sette sapienti, presente nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (VIII vii, 2) ""Pythagoras ... quo cognomine censeretur interrogatus, non se sapientem, iam enim illud septem excellentes viri occupaverant, sed amatorem sapientiae, id est graece philosophon, edidit"", testo ripreso anche da un contemporaneo di Dante, Tolomeo di Lucca, nella sua continuazione del De regno di Tommaso (IV, 21). Che questa definizione etimologica compaia anche in molte delle Introduzioni alla filosofia della Facoltà delle Arti parigina (vedi i numerosi testi citati nel commento di Cheneval) non mi sembra particolarmente significativo. In questo caso, a mio avviso, Dante non è debitore della tradizione universitaria.","17, 6, p. 29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_Rettorica,La Rettorica,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +"NON D'ARROGANZA, MA D'UMILITADE È VOCABULO","è un termine che denota non arroganza ma modestia'. Il racconto relativo a Pitagora ed all'origine del nome filosofia"", risale ad Agostino (De civitate Dei VIII 2, p. 217), ripreso quasi alla lettera da Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vi 1-3, vol. I, s.p.) cui a loro volta si rifanno le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, F 36 10, p. 437). Nella sua definizione Dante sembra dipendere letteralmente dalla Rettorica di Brunetto Latini (17, 6, p. 29) ""il primo nome si è 'phylos', e vale tanto a dire quanto 'amore'; il secondo nome è 'sophya'e vale tanto a dire quanto 'sapienzia'. Onde 'filosofia' tanto vale a dire come 'amore della sapienza"". Cfr. Migliorini Fissi 1985-86. Non è invece presente in Brunetto il tema dell'arroganza e della umilitade, e qui è più difficile determinare quale sia stata la fonte diretta di Dante: la contrapposizione tra l'arrogantia del termine ""sapiente"" e la verecundia del termine ""filosofo"" si trova in maniera più esplicita in Isidoro e in Uguccione che non in Agostino. In tutti è peraltro è assente il richiamo ai sette sapienti, presente nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (VIII vii, 2) ""Pythagoras ... quo cognomine censeretur interrogatus, non se sapientem, iam enim illud septem excellentes viri occupaverant, sed amatorem sapientiae, id est graece philosophon, edidit"", testo ripreso anche da un contemporaneo di Dante, Tolomeo di Lucca, nella sua continuazione del De regno di Tommaso (IV, 21). Che questa definizione etimologica compaia anche in molte delle Introduzioni alla filosofia della Facoltà delle Arti parigina (vedi i numerosi testi citati nel commento di Cheneval) non mi sembra particolarmente significativo. In questo caso, a mio avviso, Dante non è debitore della tradizione universitaria.","VIII vii, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Facta_et_dicta_memorabilia,Facta et dicta memorabilia,Valerio Massimo,http://dbpedia.org/resource/Valerius_Maximus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +"NON D'ARROGANZA, MA D'UMILITADE È VOCABULO","è un termine che denota non arroganza ma modestia'. Il racconto relativo a Pitagora ed all'origine del nome filosofia"", risale ad Agostino (De civitate Dei VIII 2, p. 217), ripreso quasi alla lettera da Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vi 1-3, vol. I, s.p.) cui a loro volta si rifanno le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, F 36 10, p. 437). Nella sua definizione Dante sembra dipendere letteralmente dalla Rettorica di Brunetto Latini (17, 6, p. 29) ""il primo nome si è 'phylos', e vale tanto a dire quanto 'amore'; il secondo nome è 'sophya'e vale tanto a dire quanto 'sapienzia'. Onde 'filosofia' tanto vale a dire come 'amore della sapienza"". Cfr. Migliorini Fissi 1985-86. Non è invece presente in Brunetto il tema dell'arroganza e della umilitade, e qui è più difficile determinare quale sia stata la fonte diretta di Dante: la contrapposizione tra l'arrogantia del termine ""sapiente"" e la verecundia del termine ""filosofo"" si trova in maniera più esplicita in Isidoro e in Uguccione che non in Agostino. In tutti è peraltro è assente il richiamo ai sette sapienti, presente nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (VIII vii, 2) ""Pythagoras ... quo cognomine censeretur interrogatus, non se sapientem, iam enim illud septem excellentes viri occupaverant, sed amatorem sapientiae, id est graece philosophon, edidit"", testo ripreso anche da un contemporaneo di Dante, Tolomeo di Lucca, nella sua continuazione del De regno di Tommaso (IV, 21). Che questa definizione etimologica compaia anche in molte delle Introduzioni alla filosofia della Facoltà delle Arti parigina (vedi i numerosi testi citati nel commento di Cheneval) non mi sembra particolarmente significativo. In questo caso, a mio avviso, Dante non è debitore della tradizione universitaria.","IV, 21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +[N]ELLA 'NTENZIONE ... NELL'OTTAVO DE L'ETICA,"in numerosi passi precedenti Dante aveva utilizzato incidentalmente l' ottavo libro dell' Etica Nicomachea, dedicato all'amicizia. Qui abbiamo un riassunto di alcuni suoi capisaldi inteso a chiarire senza ombra di dubbio quale sia il vero amico del sapere, il vero filosofo. Con più precisione Dante riassume il capitolo 2 dell'ottavo libro dell' Etica, dando però una disposizione diversa alle sue parti: la definizione di amico (quelli si dice amico"") che nel testo aristotelico conclude il capitolo (cfr. 1155 b 33-1156 a 5) viene messa all'inizio e la distinzione dei tre tipi di amicizia che lo apre (cfr. 1155 b 13-27) viene invece posposta, con lo scopo evidente di costruire una sequenza più organica. Questo tipo di riorganizzazione del testo aristotelico risulta abbastanza frequente nei commenti alle opere etico-politiche dello Stagirita provenienti dagli Studi degli ordini mendicanti.","capitolo 2 dell'ottavo libro dell' Etica cfr. 1155 b 33-1156 a 5, cfr. 1155 b 13-27",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +O PER UTILITADE ... O ...O PER ONESTADE,"avendo come fine o l'utile, o il piacere o il bene' (cfr. Eth. Nic. VIII 2, 1155 b 18-19 hoc autem esse bonum aliquid vel delectabile vel utile"".Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 300, ll. 6-7). Sulla sinonimia bonum-honestum cfr. Cv III iii 11 ).","VIII 2, 1155 b 18-19 hoc autem esse bonum aliquid vel delectabile vel utile"".Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 300, ll. 6-7""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME L'ETICA NE DIMOSTRA,"cfr. Eth. Nic. VIII 3, 1156 a 16-17.","VIII 3, 1156 a 16-17",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER CHE ...,"in questi due paragrafi Dante prosegue il parallelo tra le caratteristiche dell'amicizia in generale e quelle della particolare specie di amicizia che è la filosofia. Le proprietà dell'amicizia basata sul bene (l'amistà per onestade fatta""), cioè l'esser vera, perfetta e durevole (""perpetua"") valgono anche per quella filosofia che nasce esclusivamente dal bene (""che è generata per onestade solamente""), senza alcuna relazione con altro (""senza altro respetto"": respectus è un termine tecnico usato nelle analisi filosofiche della categoria di relazione) che non sia il valore (""bontade"") dell'animo che ama il sapere (""l'anima amica"") e amandolo secondo un desiderio giusto e una ragione retta (""che è per diritto appetito e per diritta ragione""). E così si può affermare che come l'amicizia che gli uomini hanno tra di loro (""intra sé"") è vera quando ogni amico ama l'altro nella sua interezza (""che ciascuno ami tutto ciascuno"") così il vero filosofo è colui che ama la sapienza in tutte le sue articolazioni (""ciascuna parte della sapienza ama"") e che viene amato nella sua interezza dalla sapienza (""e la sapienza ciascuna parte del filosofo""). In questo caso però, a differenza dell'amicizia in generale, la sapienza ama il suo amico assimilandolo completamente a sé (""in quanto tutto a sé lo reduce"") e impedendogli così di volgere il suo pensiero ad altro che lei (""e nullo suo pensiero ad altre cose lascia distendere""). Che l' amore per la Sapienza dovesse essere totale era già stato affermato da Brunetto Latini: ""neuno puote essere filosofo se non ama la sapienza tanto ch'elli intralasci tutte altre cose e dia ogne studio et opera ad avere intera sapienza"" (Rettorica 17, 6, p. 29).","17, 6, p. 29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_Rettorica,La Rettorica,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +E SÌ COME LA VERA AMISTADE,"in questi due paragrafi Dante, dopo aver dato la definizione della filosofia secondo quanto proposto nel primo paragrafo del capitolo, ne indaga le cause seguendo il modello quaternario di Aristotele (causa materiale, formale, efficiente e finale) e continuando il parallelismo con l'amicizia in generale. La vera amicizia (amistade"") considerata in sé stessa (""solo in sé"") astraendo dai particolari individui che la esercitano (""astratta dell'animo""), ha come causa materiale (""subietto"", sostrato) e formale (""forma"") rispettivamente la conoscenza delle azioni virtuose (""dell'operazione buona"") e la volontà (""appetito"") di compierle, come causa efficiente la virtù (""virtude""), come causa finale il piacere (""dilettazione"") che deriva (""procede"") da una convivenza pienamente umana (""dal convivere secondo l'umanitade propiamente""); la filosofia, considerata sotto il medesimo punto di vista, ha come causa materiale l'attività del conoscere (""lo 'ntendere""), come causa formale un amore per il suo principio (""lo 'ntelletto""). (un tale amore viene definito quasi divino proprio perché, aristotelicamente, l'intelletto è la particella di divino presente nell'uomo; cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 b 19), come causa efficiente la verità (""veritade""), come causa finale il piacere della contemplazione. *","X 7, 1177 b 19",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL NONO DELL'ETICA,"cfr. Eth. Nic. IX 9, 1170 b 5.","IX 9, 1170 b 5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHE NON PATE ALCUNA INTERMISSIONE O VERO DIFETTO,"che non subisce alcuna interruzione o incompletezza'. Che la contemplazione della verità, e quindi la felicità che ne deriva, possano avere una continuità superiore ad ogni altra attività dell'uomo e possano estendersi per un'intera vita è detto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 a 21-22; b 24-26): ma, come abbiamo già visto nello stesso libro decimo dell' Etica e nel dodicesimo libro della Metafisica, lo Stagirita aveva notato come solo per Dio vita e conoscenza si identifichino senza interruzioni. (cfr. nota a Cv III viii 5). Così nel capitolo XIII Dante osserverà che la natura umana, a differenza di quella angelica, non è in grado di esercitare in questa vita l'atto del conoscere in maniera ininterrotta. E in effetti vedremo che per Dante la Filosofia è in sé pienamente realizzata solo in Dio, nel suo perfetto Amore intratrinitario per la sua stessa Sapienza (cfr. Cv III xii 12).","X 7, 1177 a 21-22; b 24-26",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL SECONDO DELLO ENEIDOS,"cfr. Eneide II 281 O lux Dardaniae, spes o fidissima Teucrum"". Come nel caso di ""Metamofoseos"" (cfr. Cv e di ""Thebaidos","II 281 O lux Dardaniae, spes o fidissima Teucrum",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +STAZIO NEL QUINTO DEL THEBAIDOS,"cfr. Tebaide V 609-10 Archemore, o rerum et patriae solamen ademptae/servitiique decus"" (parla la nutrice Ipsipile).","V 609-10 Archemore, o rerum et patriae solamen ademptae/servitiique decus",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Thebaid_(Latin_poem),Thebais,Stazio,http://dbpedia.org/resource/Statius,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +"NELL'ABITO ACQUISTATO ADOPERA, USANDO QUELLO","che quando questo possesso è stato raggiunto, agisce (adopera"" con valore assoluto ed intransitivo) ponendolo in atto'. La distinzione tra un possesso ""abituale"" ed uno ""attuale"" della scienza è presente in Eth Nic. VII 5, 1146 b 31-33 e, in termini assai vicini a quelli usati da Dante, nel corrispondente commento di Tommaso (""Uno modo dicitur scire ille qui habet habitum sed non utitur eo ... alio modo dicitur scire qui utitur sua scientia, VII lectio 3, n. 1338).","VII 5, 1146 b 31-33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"NELL'ABITO ACQUISTATO ADOPERA, USANDO QUELLO","che quando questo possesso è stato raggiunto, agisce (adopera"" con valore assoluto ed intransitivo) ponendolo in atto'. La distinzione tra un possesso ""abituale"" ed uno ""attuale"" della scienza è presente in Eth Nic. VII 5, 1146 b 31-33 e, in termini assai vicini a quelli usati da Dante, nel corrispondente commento di Tommaso (""Uno modo dicitur scire ille qui habet habitum sed non utitur eo ... alio modo dicitur scire qui utitur sua scientia, VII lectio 3, n. 1338).","Uno modo dicitur scire ille qui habet habitum sed non utitur eo ... alio modo dicitur scire qui utitur sua scientia, VII lectio 3, n. 1338",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MA CONVIENE QUELLO ...,"ma bisogna (conviene"") che il male (""quello"") sia puramente accidentale nella produzione intenzionale dell'effetto da parte di Dio (""nello processo dell'inteso effetto""). L'analogia tra Dio ed il sole, già presente nella Repubblica di Platone e poi in tutta la tradizione platonica, viene trasmessa dallo pseudo-Dionigi Areopagita alla teologia medievale (cfr. De divinis nominibus c. 4 ""Sicut enim super omnia existentis deitatis bonitas ... a supremis substantiis usque ad ultimas transit ... et illuminat illuminari valentia omnia ... ita quidem et divinae bonitatis manifesta imago, magnus iste et semper resplendens sol ... omnia quae participare ipso possunt illuminat"" PG 3, p. 367 C; Dionysiaca I, p.162) La distinzione tra due azioni del sole (illuminare e riscaldare) e la loro corrispondenza con altrettante azioni divine (diffondere intelligibilità e bene) sembra però originale di Dante.","c. 4 ""Sicut enim super omnia existentis deitatis bonitas ... a supremis substantiis usque ad ultimas transit ... et illuminat illuminari valentia omnia ... ita quidem et divinae bonitatis manifesta imago, magnus iste et semper resplendens sol ... omnia quae participare ipso possunt illuminat"" PG 3, p. 367 C; Dionysiaca I, p.162""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divinis_nominibus,De divinis nominibus,Dionigi Areopagita (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Dionysius_the_Areopagite,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +CHÉ SUO 'GIRARE' È SUO 'INTENDERE',"l' analogia tra il conoscere divino ed il girare"" si basa probabilmente su Ps. 147, 14-15 ""qui emittit eloquium suum terrae / velociter currit sermo eius"", già interpretato in questo senso da Giovanni Eriugena. Cfr. Periphyseon, I (ed. Sheldon - Williams I, p. 60, 22-31) ""cum a verbo theo, id est 'curro' theos (cioè ""dio"" in greco) deducitur, currens recte intelligitur ... non enim aliud est Deo currere per omnia quam videre omnia ... sicut scriptum est: velociter currit sermo eius"". Un' espressione assai simile al 'girare' è riferita alla Sapienza divina in Eccli 24, 8: ""Gyrum caeli circuivi sola""). Il commento Busnelli rimanda alla dottrina della reditio, cioè della capacità di un soggetto di tornare su stesso, passando dalla propria operazione alla propria essenza, capacità affermata dal Liber de causis e definita da Tommaso nel suo commento come una circulatio. Essa non è però esclusiva di Dio, ma caratterizza sia pure con modalità diverse, tutte le creature intellettuali. Cfr. nota a Cv IV ii 18.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHÉ SUO 'GIRARE' È SUO 'INTENDERE',"l' analogia tra il conoscere divino ed il girare"" si basa probabilmente su Ps. 147, 14-15 ""qui emittit eloquium suum terrae / velociter currit sermo eius"", già interpretato in questo senso da Giovanni Eriugena. Cfr. Periphyseon, I (ed. Sheldon - Williams I, p. 60, 22-31) ""cum a verbo theo, id est 'curro' theos (cioè ""dio"" in greco) deducitur, currens recte intelligitur ... non enim aliud est Deo currere per omnia quam videre omnia ... sicut scriptum est: velociter currit sermo eius"". Un' espressione assai simile al 'girare' è riferita alla Sapienza divina in Eccli 24, 8: ""Gyrum caeli circuivi sola""). Il commento Busnelli rimanda alla dottrina della reditio, cioè della capacità di un soggetto di tornare su stesso, passando dalla propria operazione alla propria essenza, capacità affermata dal Liber de causis e definita da Tommaso nel suo commento come una circulatio. Essa non è però esclusiva di Dio, ma caratterizza sia pure con modalità diverse, tutte le creature intellettuali. Cfr. nota a Cv IV ii 18.","24, 8: ""Gyrum caeli circuivi sola""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CHÉ AVVEGNA CHE ...,"poiché, anche se (avvegna che"") Dio conosce le cose contemplando se stesso (""esso medesimo mirando"") e in questo modo le vede tutte contemporaneamente (""veggia insiememente tutto""), ciò non toglie che abbia una conoscenza distinta di ognuna di esse (""vede quelle distinte""): infatti la stessa distinzione delle cose è presente in lui come una molteplicità di effetti rimane nella causa che li produce (""è in lui per lo modo che lo effetto è nella cagione""). La dottrina secondo cui Dio conosce distintamente le singole cose in quanto effetti particolari della sua causalità universale accomuna pensatori diversi, ma egualmente presenti nell'universo mentale di Dante, lo Pseudo Dionigi (cfr. De divinis nominibus 7, PG 3, p. 868C, Dionysiaca I, p. 393 ""Quare divina mens omnia continet ... secundum omnium causam in seipso omnium scientiam praeaccipiens ...non enim ex existentibus existentia discens novit divina mens, sed ex ipsa et in seipsa, secundum causam, omnium scientiam et cognitionem praaehabet et praeaccipit, non secundum visionem singulis se immittens, sed secundum unam causae continentiam omnia sciens et continens"") ed Averroè (cfr. In libros Metaphysicorum XI = XII, c. 51, f. 337 A ""Et veritas est quod Primum scit omnia secundum quod scit se tantum, scientia in esse quod est causa eorum esse""). In maniera più articolata Tommaso, commentando Metaph. XII, 9, 1074 b 22-27, adotterà, precisandolo, il medesimo schema: ""Nec tamen sequitur quod omnia alia a se sint ei ignota. Nam intelligendo se intelligit omnia alia. Quod sic patet. Cum enim ipse sit suum intelligere, ipsum autem est dignissimum et potentissimum, necesse est quod suum intelligere sit perfectissimum: perfectissime igitur intelligit seipsum. Quanto autem aliquod principium perfectius intelligitur, tanto magis intelligitur in eo effectus eius; nam principiata continentur in virtute principii. Cum igitur a primo principio quod est Deus dependeat caelum et tota natura ... patet quod Deus cognoscendo seipsum omnia cognoscit"" (lectio 11 ,nn. 2614-2615).","7, PG 3, p. 868C, Dionysiaca I, p. 393 ""Quare divina mens omnia continet ... secundum omnium causam in seipso omnium scientiam praeaccipiens ...non enim ex existentibus existentia discens novit divina mens, sed ex ipsa et in seipsa, secundum causam, omnium scientiam et cognitionem praaehabet et praeaccipit, non secundum visionem singulis se immittens, sed secundum unam causae continentiam omnia sciens et continens""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divinis_nominibus,De divinis nominibus,Dionigi Areopagita (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Dionysius_the_Areopagite,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +CHÉ AVVEGNA CHE ...,"poiché, anche se (avvegna che"") Dio conosce le cose contemplando se stesso (""esso medesimo mirando"") e in questo modo le vede tutte contemporaneamente (""veggia insiememente tutto""), ciò non toglie che abbia una conoscenza distinta di ognuna di esse (""vede quelle distinte""): infatti la stessa distinzione delle cose è presente in lui come una molteplicità di effetti rimane nella causa che li produce (""è in lui per lo modo che lo effetto è nella cagione""). La dottrina secondo cui Dio conosce distintamente le singole cose in quanto effetti particolari della sua causalità universale accomuna pensatori diversi, ma egualmente presenti nell'universo mentale di Dante, lo Pseudo Dionigi (cfr. De divinis nominibus 7, PG 3, p. 868C, Dionysiaca I, p. 393 ""Quare divina mens omnia continet ... secundum omnium causam in seipso omnium scientiam praeaccipiens ...non enim ex existentibus existentia discens novit divina mens, sed ex ipsa et in seipsa, secundum causam, omnium scientiam et cognitionem praaehabet et praeaccipit, non secundum visionem singulis se immittens, sed secundum unam causae continentiam omnia sciens et continens"") ed Averroè (cfr. In libros Metaphysicorum XI = XII, c. 51, f. 337 A ""Et veritas est quod Primum scit omnia secundum quod scit se tantum, scientia in esse quod est causa eorum esse""). In maniera più articolata Tommaso, commentando Metaph. XII, 9, 1074 b 22-27, adotterà, precisandolo, il medesimo schema: ""Nec tamen sequitur quod omnia alia a se sint ei ignota. Nam intelligendo se intelligit omnia alia. Quod sic patet. Cum enim ipse sit suum intelligere, ipsum autem est dignissimum et potentissimum, necesse est quod suum intelligere sit perfectissimum: perfectissime igitur intelligit seipsum. Quanto autem aliquod principium perfectius intelligitur, tanto magis intelligitur in eo effectus eius; nam principiata continentur in virtute principii. Cum igitur a primo principio quod est Deus dependeat caelum et tota natura ... patet quod Deus cognoscendo seipsum omnia cognoscit"" (lectio 11 ,nn. 2614-2615).","cfr. In libros Metaphysicorum XI = XII, c. 51, f. 337 A ""Et veritas est quod Primum scit omnia secundum quod scit se tantum, scientia in esse quod est causa eorum esse""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_alla_Metafisica(Averroè),Commento alla Metafisica,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHÉ AVVEGNA CHE ...,"poiché, anche se (avvegna che"") Dio conosce le cose contemplando se stesso (""esso medesimo mirando"") e in questo modo le vede tutte contemporaneamente (""veggia insiememente tutto""), ciò non toglie che abbia una conoscenza distinta di ognuna di esse (""vede quelle distinte""): infatti la stessa distinzione delle cose è presente in lui come una molteplicità di effetti rimane nella causa che li produce (""è in lui per lo modo che lo effetto è nella cagione""). La dottrina secondo cui Dio conosce distintamente le singole cose in quanto effetti particolari della sua causalità universale accomuna pensatori diversi, ma egualmente presenti nell'universo mentale di Dante, lo Pseudo Dionigi (cfr. De divinis nominibus 7, PG 3, p. 868C, Dionysiaca I, p. 393 ""Quare divina mens omnia continet ... secundum omnium causam in seipso omnium scientiam praeaccipiens ...non enim ex existentibus existentia discens novit divina mens, sed ex ipsa et in seipsa, secundum causam, omnium scientiam et cognitionem praaehabet et praeaccipit, non secundum visionem singulis se immittens, sed secundum unam causae continentiam omnia sciens et continens"") ed Averroè (cfr. In libros Metaphysicorum XI = XII, c. 51, f. 337 A ""Et veritas est quod Primum scit omnia secundum quod scit se tantum, scientia in esse quod est causa eorum esse""). In maniera più articolata Tommaso, commentando Metaph. XII, 9, 1074 b 22-27, adotterà, precisandolo, il medesimo schema: ""Nec tamen sequitur quod omnia alia a se sint ei ignota. Nam intelligendo se intelligit omnia alia. Quod sic patet. Cum enim ipse sit suum intelligere, ipsum autem est dignissimum et potentissimum, necesse est quod suum intelligere sit perfectissimum: perfectissime igitur intelligit seipsum. Quanto autem aliquod principium perfectius intelligitur, tanto magis intelligitur in eo effectus eius; nam principiata continentur in virtute principii. Cum igitur a primo principio quod est Deus dependeat caelum et tota natura ... patet quod Deus cognoscendo seipsum omnia cognoscit"" (lectio 11 ,nn. 2614-2615).","lectio 11 ,nn. 2614-2615",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AMOROSO USO DI SAPIENZA,"un atto di fruizione della sapienza da parte di chi la ama'. Il termine uso"" rimanda a Cv III xii 2 dove Dante aveva distinto tra un abito ed un uso attuale della scienza. Esso si trova al grado sommo (""massimamente"") in Dio: infatti sapienza, amore ed attualità (le tre componenti della definizione di filosofia) costituiscono la sua stessa essenza: sapienza corrisponde al Figlio, amore allo Spirito Santo, quanto al ""sommo atto"" in esso vengono a coincidere il Dio - Atto puro di Aristotele e la prima persona della Trinità, Dio Padre, più comunemente indicato come Potenza (vedi If III, 5-6 ""Fecemi la divina potestate / la somma sapienza e'l primo amore""). Questo ""amoroso uso"" si può rinvenire nelle altre creature (""altrove"") solo in quanto derivano (""procede"") da Dio. Il verbo ""procedere"" è tipico del lessico neoplatonico che indica la derivazione del molteplice (il mondo) dall'Uno (Dio). Che la conoscenza delle cause prime fosse in primo luogo un possesso divino e solo secondariamente umano era stato detto da Aristotele (cfr. Metaph. I, 2, 982 b 28-983 a 10). Vedi Nardi 1992, pp.50-51.","I, 2, 982 b 28-983 a 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUASI COME DRUDA,"non come una sposa, ma come una donna amata (druda"") con cui l'innamorato (""amadore"") non si unisce pienamente (""prende compiuta gioia"") dato che il desiderio (""vaghezza"") si appaga (""contentasene"") anche solo della sua vista e della sua presenza (""aspetto""). Questo breve e densissimo passo, a mio avviso centrale per comprendere tutto il complesso discorso sulla filosofia sotteso al Convivio, è anche un esempio di come Dante utilizzi linguaggi correnti e magari un po' usurati trasformandoli e volgendoli ad esprimere in maniera potente un contenuto del tutto nuovo. Situazioni ed espressioni tipiche della poesia erotica cortese (l'amante che ""vagheggia la sua druda contentandosi del suo aspetto"") si fondono qui con il linguaggio trinitario dell'eterna unione tra Dio e la sua Sapienza: l'espressione ""compiuta gioia"", che, nel linguaggio cortese nella lirica provenzale indica il grado ultimo del rapporto tra il poeta e la donna-domina, il congiungimento fisico cui si può accennare solo con una perifrasi e che è sempre un rapporto extraconiugale, viene risemantizzata nei termini della mistica nuziale già ampiamente presente nell'esegesi medievale del Cantico dei Cantici.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SUORA,"sorella. Gli epiteti di figlia, sposa e sorella dati alla filosofia derivano dall' Ecclesiastico (cfr. Eccli 24, 5) dove la Sapienza divina dice di sé Ego ex ore Altissimi prodivi, primogenita ante omnem creaturam"" e dal Cantico Cantici (cfr. Ct 4, 9) dove l'amata viene detta ""soror mea, sponsa mea"". Come abbiamo visto Dante, riportando l'episodio di Pitagora, aveva presentato la filosofia come abito ed atto di amore e di amicizia che ha per termini da una parte l'intelletto, dall'altra la Sapienza, appunto ""un amoroso uso di sapienza"". Proprio partendo da questa definizione Dante distingue tra una filosofia divina, una angelica e, come vedremo nel cap. XIII, una umana: nel primo caso il rapporto tra l' intelletto amante e la Sapienza è assoluto e perfetto: si identifica con l'essenza stessa di Dio. Nel secondo è continuo, ma non implica una fusione assoluta tra amore e sapienza (gli angeli infatti, a differenza di Dio, non contemplano se stessi, ma chi li ha creati). Nel terzo questo rapporto non solo non è assoluto, ma è anche discontinuo. L'archetipo di ogni filosofare rimane comunque quello divino, di cui gli altri sono solo derivati. Solo in Dio la filosofia si trova nella sua assolutezza e solo in questo caso la 'donna gentile' è identica alla Sapienza eterna. Non tener conto di questi tre livelli ed attribuire alla 'nostra' filosofia le caratteristiche di quella divina può dar luogo a fraintendimenti. Vedi in proposito le illuminanti precisazioni di Bruno Nardi (Nardi 1966, pp. 39-43.)","cfr. Eccli 24, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SUORA,"sorella. Gli epiteti di figlia, sposa e sorella dati alla filosofia derivano dall' Ecclesiastico (cfr. Eccli 24, 5) dove la Sapienza divina dice di sé Ego ex ore Altissimi prodivi, primogenita ante omnem creaturam"" e dal Cantico Cantici (cfr. Ct 4, 9) dove l'amata viene detta ""soror mea, sponsa mea"". Come abbiamo visto Dante, riportando l'episodio di Pitagora, aveva presentato la filosofia come abito ed atto di amore e di amicizia che ha per termini da una parte l'intelletto, dall'altra la Sapienza, appunto ""un amoroso uso di sapienza"". Proprio partendo da questa definizione Dante distingue tra una filosofia divina, una angelica e, come vedremo nel cap. XIII, una umana: nel primo caso il rapporto tra l' intelletto amante e la Sapienza è assoluto e perfetto: si identifica con l'essenza stessa di Dio. Nel secondo è continuo, ma non implica una fusione assoluta tra amore e sapienza (gli angeli infatti, a differenza di Dio, non contemplano se stessi, ma chi li ha creati). Nel terzo questo rapporto non solo non è assoluto, ma è anche discontinuo. L'archetipo di ogni filosofare rimane comunque quello divino, di cui gli altri sono solo derivati. Solo in Dio la filosofia si trova nella sua assolutezza e solo in questo caso la 'donna gentile' è identica alla Sapienza eterna. Non tener conto di questi tre livelli ed attribuire alla 'nostra' filosofia le caratteristiche di quella divina può dar luogo a fraintendimenti. Vedi in proposito le illuminanti precisazioni di Bruno Nardi (Nardi 1966, pp. 39-43.)","Ct 4, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +L'UMANA NATURA,"come abbiamo già avuto modo di notare, il limite del filosofare umano è la sua discontinuità. Anche quando l'uomo è giunto ad amare la sapienza nell'attività contemplativa quest'ultima non può durare indefinitamente: l'intelletto e la ragione vi trovano il loro appagamento, ma la natura umana, che non è pura razionalità, ha altri bisogni che è necessario soddisfare per continuare ad esistere (per suo sostentamento""); dunque in alcuni momenti (""talvolta"") la conoscenza umana non è effettivamente esercitata (""non è attuale""), ma solo posseduta in potenza (in modo abituale). Questo non succede (""non incontra"") nelle Intelligenze separate: la perfezione della loro natura consiste infatti nell'essere sostanze esclusivamente intellettuali (""solo di natura intellettiva sono perfette""). Della necessità di soddisfare le necessità primarie per potersi dedicare alla vita di conoscenza aveva parlato Aristotele sia nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (9, 1178 b 33-35) che nel primo libro della Metafisica (1, 981 b 20-25), senza però collegarla esplicitamente al tema della discontinuità. Esso, invece, era stato sfiorato, come abbiamo visto, sempre nel libro decimo dell' Etica Nicomachea, ma nell'ambito di un confronto tra conoscenza divina e conoscenza umana. Un accenno più preciso è invece presente nel commento di Tommaso che, nel sottolineare la distanza tra le sostanze separate per cui è possibile una contemplazione continua e l'uomo soggetto invece agli impedimenti della malattia e della ricerca del cibo, usa termini assai vicini a quelli di Dante (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio X, lectio 13, nn. 2126-27 ""humana natura ... ad sui sustentationem indiget exterioribus rebus"").","9, 1178 b 33-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'UMANA NATURA,"come abbiamo già avuto modo di notare, il limite del filosofare umano è la sua discontinuità. Anche quando l'uomo è giunto ad amare la sapienza nell'attività contemplativa quest'ultima non può durare indefinitamente: l'intelletto e la ragione vi trovano il loro appagamento, ma la natura umana, che non è pura razionalità, ha altri bisogni che è necessario soddisfare per continuare ad esistere (per suo sostentamento""); dunque in alcuni momenti (""talvolta"") la conoscenza umana non è effettivamente esercitata (""non è attuale""), ma solo posseduta in potenza (in modo abituale). Questo non succede (""non incontra"") nelle Intelligenze separate: la perfezione della loro natura consiste infatti nell'essere sostanze esclusivamente intellettuali (""solo di natura intellettiva sono perfette""). Della necessità di soddisfare le necessità primarie per potersi dedicare alla vita di conoscenza aveva parlato Aristotele sia nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (9, 1178 b 33-35) che nel primo libro della Metafisica (1, 981 b 20-25), senza però collegarla esplicitamente al tema della discontinuità. Esso, invece, era stato sfiorato, come abbiamo visto, sempre nel libro decimo dell' Etica Nicomachea, ma nell'ambito di un confronto tra conoscenza divina e conoscenza umana. Un accenno più preciso è invece presente nel commento di Tommaso che, nel sottolineare la distanza tra le sostanze separate per cui è possibile una contemplazione continua e l'uomo soggetto invece agli impedimenti della malattia e della ricerca del cibo, usa termini assai vicini a quelli di Dante (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio X, lectio 13, nn. 2126-27 ""humana natura ... ad sui sustentationem indiget exterioribus rebus"").","1, 981 b 20-25",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'UMANA NATURA,"come abbiamo già avuto modo di notare, il limite del filosofare umano è la sua discontinuità. Anche quando l'uomo è giunto ad amare la sapienza nell'attività contemplativa quest'ultima non può durare indefinitamente: l'intelletto e la ragione vi trovano il loro appagamento, ma la natura umana, che non è pura razionalità, ha altri bisogni che è necessario soddisfare per continuare ad esistere (per suo sostentamento""); dunque in alcuni momenti (""talvolta"") la conoscenza umana non è effettivamente esercitata (""non è attuale""), ma solo posseduta in potenza (in modo abituale). Questo non succede (""non incontra"") nelle Intelligenze separate: la perfezione della loro natura consiste infatti nell'essere sostanze esclusivamente intellettuali (""solo di natura intellettiva sono perfette""). Della necessità di soddisfare le necessità primarie per potersi dedicare alla vita di conoscenza aveva parlato Aristotele sia nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (9, 1178 b 33-35) che nel primo libro della Metafisica (1, 981 b 20-25), senza però collegarla esplicitamente al tema della discontinuità. Esso, invece, era stato sfiorato, come abbiamo visto, sempre nel libro decimo dell' Etica Nicomachea, ma nell'ambito di un confronto tra conoscenza divina e conoscenza umana. Un accenno più preciso è invece presente nel commento di Tommaso che, nel sottolineare la distanza tra le sostanze separate per cui è possibile una contemplazione continua e l'uomo soggetto invece agli impedimenti della malattia e della ricerca del cibo, usa termini assai vicini a quelli di Dante (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio X, lectio 13, nn. 2126-27 ""humana natura ... ad sui sustentationem indiget exterioribus rebus"").","In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio X, lectio 13, nn. 2126-27 ""humana natura ... ad sui sustentationem indiget exterioribus rebus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANTO QUANTO POSSIBILI SONO A VENIRE AD ESSA,"per quanto è possibile per loro essere assimilate'. Che nelle trasformazioni naturali l'agente tenda ad assimilare a sé il paziente è un principio ricavato dal De generatione di Aristotele (I, 7, 324 a 10-17 ).","I, 7, 324 a 10-17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DIO QUESTO AMORE A SUA SIMILITUDINE REDUCE,"che Dio elargisca alle cose, per quanto possibile, una sua somiglianza è dottrina presente nel De divinis nominibus dello pseudo-Dionigi Theologi autem existentem super omnia Deum secundum quod ipse est nulli dicunt esse similem, ipsum autem divinam similitudinem dare iis qui ad ipsum existentem super omnem det diffinitionem et rationem convertuntur secundum virtutem imitatione "" cap. 9, PG 3, p. 913 C, Dionysiaca I, p. 466). Ma ancora una volta Dante ne sposta il significato in funzione della sua personale argomentazione: più che su una similitudo diversamente partecipata da tutte le cose a seconda del loro statuto ontologico, l'accento viene messo su di un dinamico e particolare processo di assimilazione in cui l'attività sta tutta dalla parte di Dio.","autem existentem super omnia Deum secundum quod ipse est nulli dicunt esse similem, ipsum autem divinam similitudinem dare iis qui ad ipsum existentem super omnem det diffinitionem et rationem convertuntur secundum virtutem imitatione "" cap. 9, PG 3, p. 913 C, Dionysiaca I, p. 466""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divinis_nominibus,De divinis nominibus,Dionigi Areopagita (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Dionysius_the_Areopagite,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +NELL'ALTRE SI RIPERCUOTE DA QUESTE INTELLIGENZE,"le altre intelligenze sono illuminate dalla luce divina non direttamente ma in quanto essa si riflette su di loro (si ripercuote"") dalle Intelligenze che sono state illuminate anteriormente. I passi del Liber de Causis citati nel commento Vasoli non sono perfettamente attinenti. Essi infatti parlano di Intelligenze che accolgono l'illuminazione da quelle superiori e la riverberano su quelle inferiori, mentre per Dante (coerente in questo con Cv III vi 4-5), tutte le Intelligenze-Angeli sono direttamente illuminate da Dio. Più convincente il riferimento allo pseudo-Dionigi che definisce gli angeli, specchi puri e lucentissimi (""Imago est Dei angelus ... speculum purum, clarissimum ... suscipiens totam ... pulchritudinem boniformis deiformitatis et munde resplendere faciens in seipso"" De divinis nominibus 4, PG 3, p. 724 B; Dionysiaca I, p. 268) E' ciò che d'altra parte fa Dante stesso in Pd IX, 61: "" Su sono specchi / voi dicete Troni"", specchi che ricevono la luce da Dio e la riflettono addirittura sui beati. Che Dio parli agli uomini tramite gli Angeli era dottrina teologica comune, basata ovviamente su episodi biblici (cfr. ad esempio la Summa de Creaturis di Alberto Magno, I De quattuor coaequevis, tr. IV, q. 34, artt. 1-2, pp. 522-525), ma pensare che essi siano i tramiti esclusivi e necessari perché le illuminazioni divine raggiungano gli altri esseri riflette sicuramente, sia pure modificato, lo schema neoplatonico della mediazione indispensabile tra l'Uno e i molti. C'è peraltro da notare che questa affermazione sembra contrastare con quella di Cv III.ii.12 secondo cui ""la divina luce"" raggia direttamente nell'anima intellettiva proprio ""come in angelo"".","Imago est Dei angelus ... speculum purum, clarissimum ... suscipiens totam ... pulchritudinem boniformis deiformitatis et munde resplendere faciens in seipso De divinis nominibus 4, PG 3, p. 724 B; Dionysiaca I, p. 268",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_divinis_nominibus,De divinis nominibus,Dionigi Areopagita (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Dionysius_the_Areopagite,http://purl.org/bncf/tid/8332,WORK +NELL'ALTRE SI RIPERCUOTE DA QUESTE INTELLIGENZE,"le altre intelligenze sono illuminate dalla luce divina non direttamente ma in quanto essa si riflette su di loro (si ripercuote"") dalle Intelligenze che sono state illuminate anteriormente. I passi del Liber de Causis citati nel commento Vasoli non sono perfettamente attinenti. Essi infatti parlano di Intelligenze che accolgono l'illuminazione da quelle superiori e la riverberano su quelle inferiori, mentre per Dante (coerente in questo con Cv III vi 4-5), tutte le Intelligenze-Angeli sono direttamente illuminate da Dio. Più convincente il riferimento allo pseudo-Dionigi che definisce gli angeli, specchi puri e lucentissimi (""Imago est Dei angelus ... speculum purum, clarissimum ... suscipiens totam ... pulchritudinem boniformis deiformitatis et munde resplendere faciens in seipso"" De divinis nominibus 4, PG 3, p. 724 B; Dionysiaca I, p. 268) E' ciò che d'altra parte fa Dante stesso in Pd IX, 61: "" Su sono specchi / voi dicete Troni"", specchi che ricevono la luce da Dio e la riflettono addirittura sui beati. Che Dio parli agli uomini tramite gli Angeli era dottrina teologica comune, basata ovviamente su episodi biblici (cfr. ad esempio la Summa de Creaturis di Alberto Magno, I De quattuor coaequevis, tr. IV, q. 34, artt. 1-2, pp. 522-525), ma pensare che essi siano i tramiti esclusivi e necessari perché le illuminazioni divine raggiungano gli altri esseri riflette sicuramente, sia pure modificato, lo schema neoplatonico della mediazione indispensabile tra l'Uno e i molti. C'è peraltro da notare che questa affermazione sembra contrastare con quella di Cv III.ii.12 secondo cui ""la divina luce"" raggia direttamente nell'anima intellettiva proprio ""come in angelo"".","la Summa de Creaturis di Alberto Magno, I De quattuor coaequevis, tr. IV, q. 34, artt. 1-2, pp. 522-525",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_creaturis,Summa de creaturis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN QUANTO ESSO È IN ALTRA PARTE ALLUMINATA RIPERCUSSO,"in quanto viene riflesso (ripercusso"") da un altro oggetto già illuminato'. In Avicenna è effettivamente presente la distinzione tra lux, radius e splendor, ma il significato dei termini solo in parte corrisponde a quello fornito da Dante (cfr. Liber de anima seu sextus de naturalibus III, 1, p. 171). Un' enciclpedia assai diffusa come Speculum Naturale di Vincenzo di Beauvais contiene la medesima distinzione espressa in termini più vicini a quelli del Convivio (""Lux est in propria natura.... Radius exitus luminis secundum lineam rectam ... splendor est ipsa luminis reflexio a reflexione radiorum procedens"". Cit. in Gilson² 2000, p. 57, n. 34). Ma la fonte diretta di Dante, anche per quanto riguarda il riferimento ad Avicenna, sembra poter essere il Tractatus de luce del francescano Bartolomeo da Bologna. : ""Notandum quod sicut ... traditur ... ab Avicenna in 6 De Naturalibus, refert inter lucem, radium et splendorem. Lux enim nominat naturam lucis consideratam ut existentem in fonte suo, id est in ipso corpore lucidi. Radius autem dicit generationem similitudinis ... illius fontalis lucis... secundum diametralem processum factam in medio ... Splendor autem dicitur secundum quod radii procedentes a corpore lucido perveniunt ad aliud corpus tersum et politum et lucidum ... et repercutiuntur a corpore illo retrorsum "" (I, 1, ed. Squadrani, pp. 231-2). A cominciare all'uso dell'aggettivo ""fontale"", le corrispondenze sono effettivamente notevoli. Bartolomeo, maestro di teologia a Parigi negli anni settanta del XIII secolo, dal 1282 era tornato a Bologna per restarvi almeno fino al 1294 (Squadrati, pp. 202-205), in un periodo cioè coincidente con uno dei soggiorni danteschi nella città della Garisenda.","III, 1, p. 171",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_anima_seu_sextus_de_naturalibus,Liber de anima seu sextus de naturalibus,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN QUANTO ESSO È IN ALTRA PARTE ALLUMINATA RIPERCUSSO,"in quanto viene riflesso (ripercusso"") da un altro oggetto già illuminato'. In Avicenna è effettivamente presente la distinzione tra lux, radius e splendor, ma il significato dei termini solo in parte corrisponde a quello fornito da Dante (cfr. Liber de anima seu sextus de naturalibus III, 1, p. 171). Un' enciclpedia assai diffusa come Speculum Naturale di Vincenzo di Beauvais contiene la medesima distinzione espressa in termini più vicini a quelli del Convivio (""Lux est in propria natura.... Radius exitus luminis secundum lineam rectam ... splendor est ipsa luminis reflexio a reflexione radiorum procedens"". Cit. in Gilson² 2000, p. 57, n. 34). Ma la fonte diretta di Dante, anche per quanto riguarda il riferimento ad Avicenna, sembra poter essere il Tractatus de luce del francescano Bartolomeo da Bologna. : ""Notandum quod sicut ... traditur ... ab Avicenna in 6 De Naturalibus, refert inter lucem, radium et splendorem. Lux enim nominat naturam lucis consideratam ut existentem in fonte suo, id est in ipso corpore lucidi. Radius autem dicit generationem similitudinis ... illius fontalis lucis... secundum diametralem processum factam in medio ... Splendor autem dicitur secundum quod radii procedentes a corpore lucido perveniunt ad aliud corpus tersum et politum et lucidum ... et repercutiuntur a corpore illo retrorsum "" (I, 1, ed. Squadrani, pp. 231-2). A cominciare all'uso dell'aggettivo ""fontale"", le corrispondenze sono effettivamente notevoli. Bartolomeo, maestro di teologia a Parigi negli anni settanta del XIII secolo, dal 1282 era tornato a Bologna per restarvi almeno fino al 1294 (Squadrati, pp. 202-205), in un periodo cioè coincidente con uno dei soggiorni danteschi nella città della Garisenda.","Lux est in propria natura.... Radius exitus luminis secundum lineam rectam ... splendor est ipsa luminis reflexio a reflexione radiorum procedens. Cit. in Gilson² 2000, p. 57, n. 34",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_Naturale,Speculum Naturale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +IN QUANTO ESSO È IN ALTRA PARTE ALLUMINATA RIPERCUSSO,"in quanto viene riflesso (ripercusso"") da un altro oggetto già illuminato'. In Avicenna è effettivamente presente la distinzione tra lux, radius e splendor, ma il significato dei termini solo in parte corrisponde a quello fornito da Dante (cfr. Liber de anima seu sextus de naturalibus III, 1, p. 171). Un' enciclpedia assai diffusa come Speculum Naturale di Vincenzo di Beauvais contiene la medesima distinzione espressa in termini più vicini a quelli del Convivio (""Lux est in propria natura.... Radius exitus luminis secundum lineam rectam ... splendor est ipsa luminis reflexio a reflexione radiorum procedens"". Cit. in Gilson² 2000, p. 57, n. 34). Ma la fonte diretta di Dante, anche per quanto riguarda il riferimento ad Avicenna, sembra poter essere il Tractatus de luce del francescano Bartolomeo da Bologna. : ""Notandum quod sicut ... traditur ... ab Avicenna in 6 De Naturalibus, refert inter lucem, radium et splendorem. Lux enim nominat naturam lucis consideratam ut existentem in fonte suo, id est in ipso corpore lucidi. Radius autem dicit generationem similitudinis ... illius fontalis lucis... secundum diametralem processum factam in medio ... Splendor autem dicitur secundum quod radii procedentes a corpore lucido perveniunt ad aliud corpus tersum et politum et lucidum ... et repercutiuntur a corpore illo retrorsum "" (I, 1, ed. Squadrani, pp. 231-2). A cominciare all'uso dell'aggettivo ""fontale"", le corrispondenze sono effettivamente notevoli. Bartolomeo, maestro di teologia a Parigi negli anni settanta del XIII secolo, dal 1282 era tornato a Bologna per restarvi almeno fino al 1294 (Squadrati, pp. 202-205), in un periodo cioè coincidente con uno dei soggiorni danteschi nella città della Garisenda.","Notandum quod sicut ... traditur ... ab Avicenna in 6 De Naturalibus, refert inter lucem, radium et splendorem. Lux enim nominat naturam lucis consideratam ut existentem in fonte suo, id est in ipso corpore lucidi. Radius autem dicit generationem similitudinis ... illius fontalis lucis... secundum diametralem processum factam in medio ... Splendor autem dicitur secundum quod radii procedentes a corpore lucido perveniunt ad aliud corpus tersum et politum et lucidum ... et repercutiuntur a corpore illo retrorsum (I, 1, ed. Squadrani, pp. 231-2)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tractatus_de_luce(Bartolomeo_da_Bologna),Tractatus de luce,Bartolomeo da Bologna,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bartolomeo_da_Bologna,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +OND'È SCRITTO DI LEI,"cfr. Eccli 24, 14 Ab initio et ante saecula creata sum et usque in futurum saeculum non desinam"".","24, 14 Ab initio et ante saecula creata sum et usque in futurum saeculum non desinam""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NELLI PROVERBI DI SALOMONE,"cfr. Prv 8, 23 Ab aeterno ordinata sum"".","Prv 8, 23 Ab aeterno ordinata sum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +"NEL PRINCIPIO DI GIOVANNI, NELL'EVANGELIO","Dante si riferisce al prologo del Vangelo di Giovanni, da sempre considerato il testo speculativo per eccellenza della Scrittura, ed alla sua affermazione di un Verbo eterno, esistente da sempre presso Dio (cfr. Io 1, 1). L' identificazione del Verbo con la Sapienza dell'Antico Testamento era comune nell'esegesi cristiana.","Io 1, 1",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ZENO,"sia Zenone di Elea (il discepolo di Parmenide) che Zenone di Cizico (il padre dello stoicismo) erano visti dalla dossografia antica come modelli di disprezzo della vita e di amore della sapienza. Nell'elenco dei pensatori perseguitati che la Filosofia presenta a Boezio e che comprende anche Socrate e Seneca, Zenone è senza alcun dubbio Zenone di Elea (cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 9, p. 10), ma la tradizione medievale aveva spesso confuso i due personaggi. Per quanto riguarda Aristotele e il suo rapporto con Platone Dante ha sicuramente presente il testo di Eth. Nic. I 6, 1096 a 14-17 (Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16) un brano che non fa espressamente il nome di Platone, ma comunque prelude alla critica della dottrina platonica del bene (il testo verrà citato esplicitamente in Cv IV viii 15). Che Platone fosse discendente per parte di padre del mitico re di Atene Codro era notizia presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I 1, p. 82), una fonte da cui i medievali traevano buona parte della loro conoscenza di Platone. Il testo del Convivio sembra presupporre che Platone abbia abdicato ad un diritto politicamente ancora esigibile; per questo si è pensato ad un rapporto con il Liber philosophorum moralium antiquorum, testo dossografico di origine araba tradotto in latino alla fine del XIII secolo da una precedente traduzione spagnola, dove si narra come Platone abbia rifiutato la direzione politica (dominatio) della città offertagli dagli Ateniesi (vedi Nardi 1944 pp. 79-80). Ma, come ha giustamente notato Paul Renucci (vedi Renucci 1954, p. 166, nota 460) nella versione latina del Liber non solo non si parla di regnum né di diritti regali di Platone, ma il rifiuto stesso ha motivi politici e non filosofici (""Atheniensibus ipsum invitantibus ad dominationem sui, dominari noluit quia reperit mores eorum male ordinatos"". Cfr. Franceschini 1932, p. 462). Quanto a Democrito, la notizia relativa alla sua trascuratezza potrebbe derivare da una cattiva interpretazione dei vv. 295-8 dell' Ars poetica di Orazio (""Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas / Democritus, bona pars non unguis ponere curat / non barbam ...""). Sarebbe stato messo sul conto di Democrito il comportamento di alcuni poeti contemporanei di Orazio che, volendo recitare la parte del vate ispirato da una divina follia (teoria effettivamente democritea), derogavano anche alle più elementari regole igieniche.","I, prosa 3, 9, p. 10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ZENO,"sia Zenone di Elea (il discepolo di Parmenide) che Zenone di Cizico (il padre dello stoicismo) erano visti dalla dossografia antica come modelli di disprezzo della vita e di amore della sapienza. Nell'elenco dei pensatori perseguitati che la Filosofia presenta a Boezio e che comprende anche Socrate e Seneca, Zenone è senza alcun dubbio Zenone di Elea (cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 9, p. 10), ma la tradizione medievale aveva spesso confuso i due personaggi. Per quanto riguarda Aristotele e il suo rapporto con Platone Dante ha sicuramente presente il testo di Eth. Nic. I 6, 1096 a 14-17 (Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16) un brano che non fa espressamente il nome di Platone, ma comunque prelude alla critica della dottrina platonica del bene (il testo verrà citato esplicitamente in Cv IV viii 15). Che Platone fosse discendente per parte di padre del mitico re di Atene Codro era notizia presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I 1, p. 82), una fonte da cui i medievali traevano buona parte della loro conoscenza di Platone. Il testo del Convivio sembra presupporre che Platone abbia abdicato ad un diritto politicamente ancora esigibile; per questo si è pensato ad un rapporto con il Liber philosophorum moralium antiquorum, testo dossografico di origine araba tradotto in latino alla fine del XIII secolo da una precedente traduzione spagnola, dove si narra come Platone abbia rifiutato la direzione politica (dominatio) della città offertagli dagli Ateniesi (vedi Nardi 1944 pp. 79-80). Ma, come ha giustamente notato Paul Renucci (vedi Renucci 1954, p. 166, nota 460) nella versione latina del Liber non solo non si parla di regnum né di diritti regali di Platone, ma il rifiuto stesso ha motivi politici e non filosofici (""Atheniensibus ipsum invitantibus ad dominationem sui, dominari noluit quia reperit mores eorum male ordinatos"". Cfr. Franceschini 1932, p. 462). Quanto a Democrito, la notizia relativa alla sua trascuratezza potrebbe derivare da una cattiva interpretazione dei vv. 295-8 dell' Ars poetica di Orazio (""Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas / Democritus, bona pars non unguis ponere curat / non barbam ...""). Sarebbe stato messo sul conto di Democrito il comportamento di alcuni poeti contemporanei di Orazio che, volendo recitare la parte del vate ispirato da una divina follia (teoria effettivamente democritea), derogavano anche alle più elementari regole igieniche.","I 6, 1096 a 14-17 (Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ZENO,"sia Zenone di Elea (il discepolo di Parmenide) che Zenone di Cizico (il padre dello stoicismo) erano visti dalla dossografia antica come modelli di disprezzo della vita e di amore della sapienza. Nell'elenco dei pensatori perseguitati che la Filosofia presenta a Boezio e che comprende anche Socrate e Seneca, Zenone è senza alcun dubbio Zenone di Elea (cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 9, p. 10), ma la tradizione medievale aveva spesso confuso i due personaggi. Per quanto riguarda Aristotele e il suo rapporto con Platone Dante ha sicuramente presente il testo di Eth. Nic. I 6, 1096 a 14-17 (Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16) un brano che non fa espressamente il nome di Platone, ma comunque prelude alla critica della dottrina platonica del bene (il testo verrà citato esplicitamente in Cv IV viii 15). Che Platone fosse discendente per parte di padre del mitico re di Atene Codro era notizia presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I 1, p. 82), una fonte da cui i medievali traevano buona parte della loro conoscenza di Platone. Il testo del Convivio sembra presupporre che Platone abbia abdicato ad un diritto politicamente ancora esigibile; per questo si è pensato ad un rapporto con il Liber philosophorum moralium antiquorum, testo dossografico di origine araba tradotto in latino alla fine del XIII secolo da una precedente traduzione spagnola, dove si narra come Platone abbia rifiutato la direzione politica (dominatio) della città offertagli dagli Ateniesi (vedi Nardi 1944 pp. 79-80). Ma, come ha giustamente notato Paul Renucci (vedi Renucci 1954, p. 166, nota 460) nella versione latina del Liber non solo non si parla di regnum né di diritti regali di Platone, ma il rifiuto stesso ha motivi politici e non filosofici (""Atheniensibus ipsum invitantibus ad dominationem sui, dominari noluit quia reperit mores eorum male ordinatos"". Cfr. Franceschini 1932, p. 462). Quanto a Democrito, la notizia relativa alla sua trascuratezza potrebbe derivare da una cattiva interpretazione dei vv. 295-8 dell' Ars poetica di Orazio (""Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas / Democritus, bona pars non unguis ponere curat / non barbam ...""). Sarebbe stato messo sul conto di Democrito il comportamento di alcuni poeti contemporanei di Orazio che, volendo recitare la parte del vate ispirato da una divina follia (teoria effettivamente democritea), derogavano anche alle più elementari regole igieniche.","I 1, p. 82",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_dogmate_Platonis(Apuleio),De dogmate Platonis,Apuleio,http://dbpedia.org/resource/Apuleius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ZENO,"sia Zenone di Elea (il discepolo di Parmenide) che Zenone di Cizico (il padre dello stoicismo) erano visti dalla dossografia antica come modelli di disprezzo della vita e di amore della sapienza. Nell'elenco dei pensatori perseguitati che la Filosofia presenta a Boezio e che comprende anche Socrate e Seneca, Zenone è senza alcun dubbio Zenone di Elea (cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 9, p. 10), ma la tradizione medievale aveva spesso confuso i due personaggi. Per quanto riguarda Aristotele e il suo rapporto con Platone Dante ha sicuramente presente il testo di Eth. Nic. I 6, 1096 a 14-17 (Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16) un brano che non fa espressamente il nome di Platone, ma comunque prelude alla critica della dottrina platonica del bene (il testo verrà citato esplicitamente in Cv IV viii 15). Che Platone fosse discendente per parte di padre del mitico re di Atene Codro era notizia presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I 1, p. 82), una fonte da cui i medievali traevano buona parte della loro conoscenza di Platone. Il testo del Convivio sembra presupporre che Platone abbia abdicato ad un diritto politicamente ancora esigibile; per questo si è pensato ad un rapporto con il Liber philosophorum moralium antiquorum, testo dossografico di origine araba tradotto in latino alla fine del XIII secolo da una precedente traduzione spagnola, dove si narra come Platone abbia rifiutato la direzione politica (dominatio) della città offertagli dagli Ateniesi (vedi Nardi 1944 pp. 79-80). Ma, come ha giustamente notato Paul Renucci (vedi Renucci 1954, p. 166, nota 460) nella versione latina del Liber non solo non si parla di regnum né di diritti regali di Platone, ma il rifiuto stesso ha motivi politici e non filosofici (""Atheniensibus ipsum invitantibus ad dominationem sui, dominari noluit quia reperit mores eorum male ordinatos"". Cfr. Franceschini 1932, p. 462). Quanto a Democrito, la notizia relativa alla sua trascuratezza potrebbe derivare da una cattiva interpretazione dei vv. 295-8 dell' Ars poetica di Orazio (""Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas / Democritus, bona pars non unguis ponere curat / non barbam ...""). Sarebbe stato messo sul conto di Democrito il comportamento di alcuni poeti contemporanei di Orazio che, volendo recitare la parte del vate ispirato da una divina follia (teoria effettivamente democritea), derogavano anche alle più elementari regole igieniche.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_philosophorum_moralium_antiquorum,Liber philosophorum moralium antiquorum,Giovanni da Procida,http://dbpedia.org/resource/John_of_Procida,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +ZENO,"sia Zenone di Elea (il discepolo di Parmenide) che Zenone di Cizico (il padre dello stoicismo) erano visti dalla dossografia antica come modelli di disprezzo della vita e di amore della sapienza. Nell'elenco dei pensatori perseguitati che la Filosofia presenta a Boezio e che comprende anche Socrate e Seneca, Zenone è senza alcun dubbio Zenone di Elea (cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 9, p. 10), ma la tradizione medievale aveva spesso confuso i due personaggi. Per quanto riguarda Aristotele e il suo rapporto con Platone Dante ha sicuramente presente il testo di Eth. Nic. I 6, 1096 a 14-17 (Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16) un brano che non fa espressamente il nome di Platone, ma comunque prelude alla critica della dottrina platonica del bene (il testo verrà citato esplicitamente in Cv IV viii 15). Che Platone fosse discendente per parte di padre del mitico re di Atene Codro era notizia presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I 1, p. 82), una fonte da cui i medievali traevano buona parte della loro conoscenza di Platone. Il testo del Convivio sembra presupporre che Platone abbia abdicato ad un diritto politicamente ancora esigibile; per questo si è pensato ad un rapporto con il Liber philosophorum moralium antiquorum, testo dossografico di origine araba tradotto in latino alla fine del XIII secolo da una precedente traduzione spagnola, dove si narra come Platone abbia rifiutato la direzione politica (dominatio) della città offertagli dagli Ateniesi (vedi Nardi 1944 pp. 79-80). Ma, come ha giustamente notato Paul Renucci (vedi Renucci 1954, p. 166, nota 460) nella versione latina del Liber non solo non si parla di regnum né di diritti regali di Platone, ma il rifiuto stesso ha motivi politici e non filosofici (""Atheniensibus ipsum invitantibus ad dominationem sui, dominari noluit quia reperit mores eorum male ordinatos"". Cfr. Franceschini 1932, p. 462). Quanto a Democrito, la notizia relativa alla sua trascuratezza potrebbe derivare da una cattiva interpretazione dei vv. 295-8 dell' Ars poetica di Orazio (""Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas / Democritus, bona pars non unguis ponere curat / non barbam ...""). Sarebbe stato messo sul conto di Democrito il comportamento di alcuni poeti contemporanei di Orazio che, volendo recitare la parte del vate ispirato da una divina follia (teoria effettivamente democritea), derogavano anche alle più elementari regole igieniche.","vv. 295-8 dell' Ars poetica di Orazio (""Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas / Democritus, bona pars non unguis ponere curat / non barbam ..."")""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ars_Poetica,Ars poetica,Orazio,http://dbpedia.org/resource/Horace,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +E LO FILOSOFO DICE ... NON PER ALTRUI,"in realtà la definizione di libero come ciò che è fine a se stesso e non in funzione di altro si trova in Metaph. I 2, 982 b 25-26: per sua cagione è, non per altrui"" è infatti un calco della traduzione latina ""qui suimet et non alterius causa est"" (lo stesso testo verrà citato in Mn I xii 8. Nel linguaggio giuridico dei tempi di Dante, chi non è libero è appunto ""homo alterius""). Si è discusso tra i commentatori su quali siano le altre anime: esse non possono comunque essere quelle delle piante e degli animali. L'anima vegetativa nelle piante e l'anima sensitiva negli animali, infatti, non sono serve di niente. Se invece le si intende come facoltà vegetativa e sensitiva umane il passo del Convivio può essere messo in relazione con un'interpretazione di Aristotele che le vede esistere solo in funzione d'altro, cioè della facoltà razionale (cfr. Boezio di Dacia, De summo bono, p. 373, 120-22 ""Omnes virtutes inferiores quae sunt in homine naturaliter sunt propter virtutem supremam ... quae est intellectus""). Questo è proprio ciò che verrà detto in Cv III xv 4; ""la nobile anima d'ingegno"" indicherebbe dunque l'uomo che vive secondo ragione (e per questo è libero); nel richiamo alla ancillarità delle altre facoltà (fatto in sé naturale) potrebbe nascondersi un accenno alla servitù innaturale dell'uomo che ad esse subordina l'attività razionale. Ma è possibile anche una interpretazione molto più semplice per cui le ""altre anime"" sarebbero le anime umane non nobili.","I 2, 982 b 25-26",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E LO FILOSOFO DICE ... NON PER ALTRUI,"in realtà la definizione di libero come ciò che è fine a se stesso e non in funzione di altro si trova in Metaph. I 2, 982 b 25-26: per sua cagione è, non per altrui"" è infatti un calco della traduzione latina ""qui suimet et non alterius causa est"" (lo stesso testo verrà citato in Mn I xii 8. Nel linguaggio giuridico dei tempi di Dante, chi non è libero è appunto ""homo alterius""). Si è discusso tra i commentatori su quali siano le altre anime: esse non possono comunque essere quelle delle piante e degli animali. L'anima vegetativa nelle piante e l'anima sensitiva negli animali, infatti, non sono serve di niente. Se invece le si intende come facoltà vegetativa e sensitiva umane il passo del Convivio può essere messo in relazione con un'interpretazione di Aristotele che le vede esistere solo in funzione d'altro, cioè della facoltà razionale (cfr. Boezio di Dacia, De summo bono, p. 373, 120-22 ""Omnes virtutes inferiores quae sunt in homine naturaliter sunt propter virtutem supremam ... quae est intellectus""). Questo è proprio ciò che verrà detto in Cv III xv 4; ""la nobile anima d'ingegno"" indicherebbe dunque l'uomo che vive secondo ragione (e per questo è libero); nel richiamo alla ancillarità delle altre facoltà (fatto in sé naturale) potrebbe nascondersi un accenno alla servitù innaturale dell'uomo che ad esse subordina l'attività razionale. Ma è possibile anche una interpretazione molto più semplice per cui le ""altre anime"" sarebbero le anime umane non nobili.","p. 373, 120-22 ""Omnes virtutes inferiores quae sunt in homine naturaliter sunt propter virtutem supremam ... quae est intellectus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"ONDE, SÌ COME PER LEI ...","nell'ambito della filosofia vedere mediante una spiegazione razionale (per ragione"") significa, nel caso di molte realtà naturali (""molto di quello"") che per i non filosofi sembrano inspiegabili e miracolose (""che sanza lei par maraviglia""), sostituire alla meraviglia che inizialmente suscitano (e che è proprio lo stimolo iniziale al filosofare) una considerazione delle cause che le producono e che quindi (""per consequente"": calco dal latino filosofico universitario 'per consequens') le rendono possibili Proprio per questo la filosofia ci porta anche a credere che ciò che sfugge alla ragione umana (""ogni miracolo"") non è impossibile in assoluto, ma può trovare la sua causa (""ragione"") in una mente più alta della nostra; in questo modo essa fonda la possibilità e la ragionevolezza delle virtù soprannaturali. In primo luogo della fede dalla quale deriva (""segue"") la speranza, che è appunto il desiderare di possedere ciò che la fede ha antiveduto (""il proveduto""), mentre dal desiderio della speranza ha origine un'agire ispirato dall'amore per ciò in cui si crede e in cui si spera (""l'operazione della carità""). Il pensiero di Dante risulta in questi paragrafi particolarmente complesso: una Filosofia che sembra coincidere con la totalità della conoscenza, ce ne manifesta solo una parte e ci spinge a desiderare e a possedere ciò che contemporaneamente ci nasconde. I termini di questa evidente tensione possono in parte esser chiariti ricordando ancora una volta che esistono per il Dante del Convivio una filosofia divina, che coincide con la Sapienza e con il Verbo-verità, ed una filosofia umana che a questa Sapienza aspira senza poterla raggiungere compiutamente. Essa però può fondare la possibilità dell'esistenza di ciò che la trascende e far sì che 'ubi deficit ratio, ibi suppleat fides', e questo ragionevolmente. Ma a loro volta le virtù teologali non sono fine a se stesse, ma mezzo per ascendere alla città celeste (""per le quali virtudi si sale a quelle Atene celestiali"") dove si filosoferà sì, ma di una filosofia finalmente divina. In patria le diverse scuole filosofiche (Stoici, Peripatetici ed Epicurei) illuminate dalla verità eterna del Verbo, nel possesso della Sapienza trovano la concordia (""in uno volere concordemente concorrono"") abbandonate le differenze terrene (vale la pena ricordare che, proprio all'inizio del De consolatione di Boezio la veste lacerata indossata da Filosofia è simbolo delle controversie, qui sulla terra, tra le varie scuole. Cfr. I, prosa 3, 7-8, p. 10). Nel sostenere che attraverso la filosofia si pensa la possibilità di ciò che trascende le nostre capacità conoscitive, e quindi si apre uno spazio alla fede, Dante è vicino alle posizioni di alcuni maestri parigini, come Boezio di Dacia: nel De aeternitate mundi (p. 353, ll. 478-80) a proposito della creazione nel tempo, infatti egli sostiene che la filosofia non può dimostrarla, ma solo affermare che essa ""possibile est per causam cuius virtus est maior quam sit virtus causae naturalis"" (""per lei si crede ogni miracolo in più alto intelletto poter avere ragione"") Ancora in Boezio di Dacia, questa volta nel De summo bono (p. 372) si trova un accenno ad una possibile relazione tra la felicità che si acquista in questa vita attraverso la speculazione e la felicità che si spera possedere in patria nella visione di Dio ""qui enim perfectior est in beatitudine quam in hac vita homini possibilem esse per rationem scimus, ipse propinquior est beatitudini quam in vita futura per fidem expectamus"". Del resto già un testo autorevole come la Metaphysica di Al-Ghazzali dopo aver definito il risultato della contemplazione filosofica come ""descripcio universi esse in animabus nostris"" aveva detto che essa ""est summa nobilitas in presenti, et causa felicitatis in futuro"". (Ed. Muckle, p. 2). Mi pare particolarmente interessante che alcuni maestri parigini della prima metà del 200 avessero interpretato la 'felicitas in futuro' come 'felicitas vitae aeternae' ed avessero sostituto al termine ""causa"" quello più cristiano di ""spes"". Peraltro l'intreccio e la tensione tra filosofia in terra e filosofia in cielo, con la loro composizione in una città celeste che non è più Gerusalemme, ma Atene sono una novità assoluta di Dante. Per la cultura medievale, infatti, Atene incarna sì la città filosofica per eccellenza, ma essa è vista non come una meta futura, bensì come un mito del passato (vedi ad esempio le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, XIV iv 10, vol. II, p. 123 ""Graecia, ubi fuit Athenae civitas ... philosophorum nutrix, qua nihil habuit Graecia clarius atque nobilius""). Improbabile mi sembra l'identificazione dell'Atene celeste con il 'nobile castello' del Limbo sostenuta da Cheneval nel suo commento. I filosofi che vi sono ospitati (ma che non ne sono gli esclusivi abitanti) non sono affatto giunti a cogliere quella verità eterna che li renderebbe concordi. Come ha giustamente notato Stephen Bemrose (Bemrose 1980, p. 13) sia Aristotele che Platone che molti altri filosofi non cristiani continueranno invano a desiderarla con quel desiderio che ""etternalmente è dato lor per lutto"" (cfr. Pg III 42 e Forster 1977, p. 190 sgg.). E del resto tutti gli abitanti del Limbo ""sanza speme vivono in disio"" (cfr. If. IV 41). Neppure mi sembra che fare dell'Atene celestiale un ""segno"" del Paradiso implichi che i grandi filosofi del passato possano così fruire della visione beatifica (il che andrebbe effettivamente contro tutto quello che Dante dice in proposito altrove, non solo nella Commedia, ma anche nel Monarchia): si parla qui di dottrine e del loro inveramento, non di uomini. Certo, queste ""Atene celestiali"" sono un paradiso così come creduto, sperato ed amato dalla filosofia giunta ad un punto di tensione che è anche il massimo delle sue possibilità. Egualmente fede, speranza e carità sono viste non nel loro contenuto specificamente teologico, ma dall'angolatura della loro possibilità filosofica. Di qui però a negar loro ogni caratterizzazione cristiana, come fa il commento Cheneval, il passo è davvero troppo lungo: in fondo anche Agostino, nei Soliloquia aveva parlato di queste virtù per quanto sono strumenti di cui la stessa ricerca razionale non può fare a meno. Vedi Fioravanti 2007.","p. 353, ll. 478-80",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_aeternitate_mundi,De aeternitate mundi,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,_EMPTY,WORK +"ONDE, SÌ COME PER LEI ...","nell'ambito della filosofia vedere mediante una spiegazione razionale (per ragione"") significa, nel caso di molte realtà naturali (""molto di quello"") che per i non filosofi sembrano inspiegabili e miracolose (""che sanza lei par maraviglia""), sostituire alla meraviglia che inizialmente suscitano (e che è proprio lo stimolo iniziale al filosofare) una considerazione delle cause che le producono e che quindi (""per consequente"": calco dal latino filosofico universitario 'per consequens') le rendono possibili Proprio per questo la filosofia ci porta anche a credere che ciò che sfugge alla ragione umana (""ogni miracolo"") non è impossibile in assoluto, ma può trovare la sua causa (""ragione"") in una mente più alta della nostra; in questo modo essa fonda la possibilità e la ragionevolezza delle virtù soprannaturali. In primo luogo della fede dalla quale deriva (""segue"") la speranza, che è appunto il desiderare di possedere ciò che la fede ha antiveduto (""il proveduto""), mentre dal desiderio della speranza ha origine un'agire ispirato dall'amore per ciò in cui si crede e in cui si spera (""l'operazione della carità""). Il pensiero di Dante risulta in questi paragrafi particolarmente complesso: una Filosofia che sembra coincidere con la totalità della conoscenza, ce ne manifesta solo una parte e ci spinge a desiderare e a possedere ciò che contemporaneamente ci nasconde. I termini di questa evidente tensione possono in parte esser chiariti ricordando ancora una volta che esistono per il Dante del Convivio una filosofia divina, che coincide con la Sapienza e con il Verbo-verità, ed una filosofia umana che a questa Sapienza aspira senza poterla raggiungere compiutamente. Essa però può fondare la possibilità dell'esistenza di ciò che la trascende e far sì che 'ubi deficit ratio, ibi suppleat fides', e questo ragionevolmente. Ma a loro volta le virtù teologali non sono fine a se stesse, ma mezzo per ascendere alla città celeste (""per le quali virtudi si sale a quelle Atene celestiali"") dove si filosoferà sì, ma di una filosofia finalmente divina. In patria le diverse scuole filosofiche (Stoici, Peripatetici ed Epicurei) illuminate dalla verità eterna del Verbo, nel possesso della Sapienza trovano la concordia (""in uno volere concordemente concorrono"") abbandonate le differenze terrene (vale la pena ricordare che, proprio all'inizio del De consolatione di Boezio la veste lacerata indossata da Filosofia è simbolo delle controversie, qui sulla terra, tra le varie scuole. Cfr. I, prosa 3, 7-8, p. 10). Nel sostenere che attraverso la filosofia si pensa la possibilità di ciò che trascende le nostre capacità conoscitive, e quindi si apre uno spazio alla fede, Dante è vicino alle posizioni di alcuni maestri parigini, come Boezio di Dacia: nel De aeternitate mundi (p. 353, ll. 478-80) a proposito della creazione nel tempo, infatti egli sostiene che la filosofia non può dimostrarla, ma solo affermare che essa ""possibile est per causam cuius virtus est maior quam sit virtus causae naturalis"" (""per lei si crede ogni miracolo in più alto intelletto poter avere ragione"") Ancora in Boezio di Dacia, questa volta nel De summo bono (p. 372) si trova un accenno ad una possibile relazione tra la felicità che si acquista in questa vita attraverso la speculazione e la felicità che si spera possedere in patria nella visione di Dio ""qui enim perfectior est in beatitudine quam in hac vita homini possibilem esse per rationem scimus, ipse propinquior est beatitudini quam in vita futura per fidem expectamus"". Del resto già un testo autorevole come la Metaphysica di Al-Ghazzali dopo aver definito il risultato della contemplazione filosofica come ""descripcio universi esse in animabus nostris"" aveva detto che essa ""est summa nobilitas in presenti, et causa felicitatis in futuro"". (Ed. Muckle, p. 2). Mi pare particolarmente interessante che alcuni maestri parigini della prima metà del 200 avessero interpretato la 'felicitas in futuro' come 'felicitas vitae aeternae' ed avessero sostituto al termine ""causa"" quello più cristiano di ""spes"". Peraltro l'intreccio e la tensione tra filosofia in terra e filosofia in cielo, con la loro composizione in una città celeste che non è più Gerusalemme, ma Atene sono una novità assoluta di Dante. Per la cultura medievale, infatti, Atene incarna sì la città filosofica per eccellenza, ma essa è vista non come una meta futura, bensì come un mito del passato (vedi ad esempio le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, XIV iv 10, vol. II, p. 123 ""Graecia, ubi fuit Athenae civitas ... philosophorum nutrix, qua nihil habuit Graecia clarius atque nobilius""). Improbabile mi sembra l'identificazione dell'Atene celeste con il 'nobile castello' del Limbo sostenuta da Cheneval nel suo commento. I filosofi che vi sono ospitati (ma che non ne sono gli esclusivi abitanti) non sono affatto giunti a cogliere quella verità eterna che li renderebbe concordi. Come ha giustamente notato Stephen Bemrose (Bemrose 1980, p. 13) sia Aristotele che Platone che molti altri filosofi non cristiani continueranno invano a desiderarla con quel desiderio che ""etternalmente è dato lor per lutto"" (cfr. Pg III 42 e Forster 1977, p. 190 sgg.). E del resto tutti gli abitanti del Limbo ""sanza speme vivono in disio"" (cfr. If. IV 41). Neppure mi sembra che fare dell'Atene celestiale un ""segno"" del Paradiso implichi che i grandi filosofi del passato possano così fruire della visione beatifica (il che andrebbe effettivamente contro tutto quello che Dante dice in proposito altrove, non solo nella Commedia, ma anche nel Monarchia): si parla qui di dottrine e del loro inveramento, non di uomini. Certo, queste ""Atene celestiali"" sono un paradiso così come creduto, sperato ed amato dalla filosofia giunta ad un punto di tensione che è anche il massimo delle sue possibilità. Egualmente fede, speranza e carità sono viste non nel loro contenuto specificamente teologico, ma dall'angolatura della loro possibilità filosofica. Di qui però a negar loro ogni caratterizzazione cristiana, come fa il commento Cheneval, il passo è davvero troppo lungo: in fondo anche Agostino, nei Soliloquia aveva parlato di queste virtù per quanto sono strumenti di cui la stessa ricerca razionale non può fare a meno. Vedi Fioravanti 2007.","p. 372 ""qui enim perfectior est in beatitudine quam in hac vita homini possibilem esse per rationem scimus, ipse propinquior est beatitudini quam in vita futura per fidem expectamus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"ONDE, SÌ COME PER LEI ...","nell'ambito della filosofia vedere mediante una spiegazione razionale (per ragione"") significa, nel caso di molte realtà naturali (""molto di quello"") che per i non filosofi sembrano inspiegabili e miracolose (""che sanza lei par maraviglia""), sostituire alla meraviglia che inizialmente suscitano (e che è proprio lo stimolo iniziale al filosofare) una considerazione delle cause che le producono e che quindi (""per consequente"": calco dal latino filosofico universitario 'per consequens') le rendono possibili Proprio per questo la filosofia ci porta anche a credere che ciò che sfugge alla ragione umana (""ogni miracolo"") non è impossibile in assoluto, ma può trovare la sua causa (""ragione"") in una mente più alta della nostra; in questo modo essa fonda la possibilità e la ragionevolezza delle virtù soprannaturali. In primo luogo della fede dalla quale deriva (""segue"") la speranza, che è appunto il desiderare di possedere ciò che la fede ha antiveduto (""il proveduto""), mentre dal desiderio della speranza ha origine un'agire ispirato dall'amore per ciò in cui si crede e in cui si spera (""l'operazione della carità""). Il pensiero di Dante risulta in questi paragrafi particolarmente complesso: una Filosofia che sembra coincidere con la totalità della conoscenza, ce ne manifesta solo una parte e ci spinge a desiderare e a possedere ciò che contemporaneamente ci nasconde. I termini di questa evidente tensione possono in parte esser chiariti ricordando ancora una volta che esistono per il Dante del Convivio una filosofia divina, che coincide con la Sapienza e con il Verbo-verità, ed una filosofia umana che a questa Sapienza aspira senza poterla raggiungere compiutamente. Essa però può fondare la possibilità dell'esistenza di ciò che la trascende e far sì che 'ubi deficit ratio, ibi suppleat fides', e questo ragionevolmente. Ma a loro volta le virtù teologali non sono fine a se stesse, ma mezzo per ascendere alla città celeste (""per le quali virtudi si sale a quelle Atene celestiali"") dove si filosoferà sì, ma di una filosofia finalmente divina. In patria le diverse scuole filosofiche (Stoici, Peripatetici ed Epicurei) illuminate dalla verità eterna del Verbo, nel possesso della Sapienza trovano la concordia (""in uno volere concordemente concorrono"") abbandonate le differenze terrene (vale la pena ricordare che, proprio all'inizio del De consolatione di Boezio la veste lacerata indossata da Filosofia è simbolo delle controversie, qui sulla terra, tra le varie scuole. Cfr. I, prosa 3, 7-8, p. 10). Nel sostenere che attraverso la filosofia si pensa la possibilità di ciò che trascende le nostre capacità conoscitive, e quindi si apre uno spazio alla fede, Dante è vicino alle posizioni di alcuni maestri parigini, come Boezio di Dacia: nel De aeternitate mundi (p. 353, ll. 478-80) a proposito della creazione nel tempo, infatti egli sostiene che la filosofia non può dimostrarla, ma solo affermare che essa ""possibile est per causam cuius virtus est maior quam sit virtus causae naturalis"" (""per lei si crede ogni miracolo in più alto intelletto poter avere ragione"") Ancora in Boezio di Dacia, questa volta nel De summo bono (p. 372) si trova un accenno ad una possibile relazione tra la felicità che si acquista in questa vita attraverso la speculazione e la felicità che si spera possedere in patria nella visione di Dio ""qui enim perfectior est in beatitudine quam in hac vita homini possibilem esse per rationem scimus, ipse propinquior est beatitudini quam in vita futura per fidem expectamus"". Del resto già un testo autorevole come la Metaphysica di Al-Ghazzali dopo aver definito il risultato della contemplazione filosofica come ""descripcio universi esse in animabus nostris"" aveva detto che essa ""est summa nobilitas in presenti, et causa felicitatis in futuro"". (Ed. Muckle, p. 2). Mi pare particolarmente interessante che alcuni maestri parigini della prima metà del 200 avessero interpretato la 'felicitas in futuro' come 'felicitas vitae aeternae' ed avessero sostituto al termine ""causa"" quello più cristiano di ""spes"". Peraltro l'intreccio e la tensione tra filosofia in terra e filosofia in cielo, con la loro composizione in una città celeste che non è più Gerusalemme, ma Atene sono una novità assoluta di Dante. Per la cultura medievale, infatti, Atene incarna sì la città filosofica per eccellenza, ma essa è vista non come una meta futura, bensì come un mito del passato (vedi ad esempio le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, XIV iv 10, vol. II, p. 123 ""Graecia, ubi fuit Athenae civitas ... philosophorum nutrix, qua nihil habuit Graecia clarius atque nobilius""). Improbabile mi sembra l'identificazione dell'Atene celeste con il 'nobile castello' del Limbo sostenuta da Cheneval nel suo commento. I filosofi che vi sono ospitati (ma che non ne sono gli esclusivi abitanti) non sono affatto giunti a cogliere quella verità eterna che li renderebbe concordi. Come ha giustamente notato Stephen Bemrose (Bemrose 1980, p. 13) sia Aristotele che Platone che molti altri filosofi non cristiani continueranno invano a desiderarla con quel desiderio che ""etternalmente è dato lor per lutto"" (cfr. Pg III 42 e Forster 1977, p. 190 sgg.). E del resto tutti gli abitanti del Limbo ""sanza speme vivono in disio"" (cfr. If. IV 41). Neppure mi sembra che fare dell'Atene celestiale un ""segno"" del Paradiso implichi che i grandi filosofi del passato possano così fruire della visione beatifica (il che andrebbe effettivamente contro tutto quello che Dante dice in proposito altrove, non solo nella Commedia, ma anche nel Monarchia): si parla qui di dottrine e del loro inveramento, non di uomini. Certo, queste ""Atene celestiali"" sono un paradiso così come creduto, sperato ed amato dalla filosofia giunta ad un punto di tensione che è anche il massimo delle sue possibilità. Egualmente fede, speranza e carità sono viste non nel loro contenuto specificamente teologico, ma dall'angolatura della loro possibilità filosofica. Di qui però a negar loro ogni caratterizzazione cristiana, come fa il commento Cheneval, il passo è davvero troppo lungo: in fondo anche Agostino, nei Soliloquia aveva parlato di queste virtù per quanto sono strumenti di cui la stessa ricerca razionale non può fare a meno. Vedi Fioravanti 2007.","XIV iv 10, vol. II, p. 123 ""Graecia, ubi fuit Athenae civitas ... philosophorum nutrix, qua nihil habuit Graecia clarius atque nobilius""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +"ONDE, SÌ COME PER LEI ...","nell'ambito della filosofia vedere mediante una spiegazione razionale (per ragione"") significa, nel caso di molte realtà naturali (""molto di quello"") che per i non filosofi sembrano inspiegabili e miracolose (""che sanza lei par maraviglia""), sostituire alla meraviglia che inizialmente suscitano (e che è proprio lo stimolo iniziale al filosofare) una considerazione delle cause che le producono e che quindi (""per consequente"": calco dal latino filosofico universitario 'per consequens') le rendono possibili Proprio per questo la filosofia ci porta anche a credere che ciò che sfugge alla ragione umana (""ogni miracolo"") non è impossibile in assoluto, ma può trovare la sua causa (""ragione"") in una mente più alta della nostra; in questo modo essa fonda la possibilità e la ragionevolezza delle virtù soprannaturali. In primo luogo della fede dalla quale deriva (""segue"") la speranza, che è appunto il desiderare di possedere ciò che la fede ha antiveduto (""il proveduto""), mentre dal desiderio della speranza ha origine un'agire ispirato dall'amore per ciò in cui si crede e in cui si spera (""l'operazione della carità""). Il pensiero di Dante risulta in questi paragrafi particolarmente complesso: una Filosofia che sembra coincidere con la totalità della conoscenza, ce ne manifesta solo una parte e ci spinge a desiderare e a possedere ciò che contemporaneamente ci nasconde. I termini di questa evidente tensione possono in parte esser chiariti ricordando ancora una volta che esistono per il Dante del Convivio una filosofia divina, che coincide con la Sapienza e con il Verbo-verità, ed una filosofia umana che a questa Sapienza aspira senza poterla raggiungere compiutamente. Essa però può fondare la possibilità dell'esistenza di ciò che la trascende e far sì che 'ubi deficit ratio, ibi suppleat fides', e questo ragionevolmente. Ma a loro volta le virtù teologali non sono fine a se stesse, ma mezzo per ascendere alla città celeste (""per le quali virtudi si sale a quelle Atene celestiali"") dove si filosoferà sì, ma di una filosofia finalmente divina. In patria le diverse scuole filosofiche (Stoici, Peripatetici ed Epicurei) illuminate dalla verità eterna del Verbo, nel possesso della Sapienza trovano la concordia (""in uno volere concordemente concorrono"") abbandonate le differenze terrene (vale la pena ricordare che, proprio all'inizio del De consolatione di Boezio la veste lacerata indossata da Filosofia è simbolo delle controversie, qui sulla terra, tra le varie scuole. Cfr. I, prosa 3, 7-8, p. 10). Nel sostenere che attraverso la filosofia si pensa la possibilità di ciò che trascende le nostre capacità conoscitive, e quindi si apre uno spazio alla fede, Dante è vicino alle posizioni di alcuni maestri parigini, come Boezio di Dacia: nel De aeternitate mundi (p. 353, ll. 478-80) a proposito della creazione nel tempo, infatti egli sostiene che la filosofia non può dimostrarla, ma solo affermare che essa ""possibile est per causam cuius virtus est maior quam sit virtus causae naturalis"" (""per lei si crede ogni miracolo in più alto intelletto poter avere ragione"") Ancora in Boezio di Dacia, questa volta nel De summo bono (p. 372) si trova un accenno ad una possibile relazione tra la felicità che si acquista in questa vita attraverso la speculazione e la felicità che si spera possedere in patria nella visione di Dio ""qui enim perfectior est in beatitudine quam in hac vita homini possibilem esse per rationem scimus, ipse propinquior est beatitudini quam in vita futura per fidem expectamus"". Del resto già un testo autorevole come la Metaphysica di Al-Ghazzali dopo aver definito il risultato della contemplazione filosofica come ""descripcio universi esse in animabus nostris"" aveva detto che essa ""est summa nobilitas in presenti, et causa felicitatis in futuro"". (Ed. Muckle, p. 2). Mi pare particolarmente interessante che alcuni maestri parigini della prima metà del 200 avessero interpretato la 'felicitas in futuro' come 'felicitas vitae aeternae' ed avessero sostituto al termine ""causa"" quello più cristiano di ""spes"". Peraltro l'intreccio e la tensione tra filosofia in terra e filosofia in cielo, con la loro composizione in una città celeste che non è più Gerusalemme, ma Atene sono una novità assoluta di Dante. Per la cultura medievale, infatti, Atene incarna sì la città filosofica per eccellenza, ma essa è vista non come una meta futura, bensì come un mito del passato (vedi ad esempio le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, XIV iv 10, vol. II, p. 123 ""Graecia, ubi fuit Athenae civitas ... philosophorum nutrix, qua nihil habuit Graecia clarius atque nobilius""). Improbabile mi sembra l'identificazione dell'Atene celeste con il 'nobile castello' del Limbo sostenuta da Cheneval nel suo commento. I filosofi che vi sono ospitati (ma che non ne sono gli esclusivi abitanti) non sono affatto giunti a cogliere quella verità eterna che li renderebbe concordi. Come ha giustamente notato Stephen Bemrose (Bemrose 1980, p. 13) sia Aristotele che Platone che molti altri filosofi non cristiani continueranno invano a desiderarla con quel desiderio che ""etternalmente è dato lor per lutto"" (cfr. Pg III 42 e Forster 1977, p. 190 sgg.). E del resto tutti gli abitanti del Limbo ""sanza speme vivono in disio"" (cfr. If. IV 41). Neppure mi sembra che fare dell'Atene celestiale un ""segno"" del Paradiso implichi che i grandi filosofi del passato possano così fruire della visione beatifica (il che andrebbe effettivamente contro tutto quello che Dante dice in proposito altrove, non solo nella Commedia, ma anche nel Monarchia): si parla qui di dottrine e del loro inveramento, non di uomini. Certo, queste ""Atene celestiali"" sono un paradiso così come creduto, sperato ed amato dalla filosofia giunta ad un punto di tensione che è anche il massimo delle sue possibilità. Egualmente fede, speranza e carità sono viste non nel loro contenuto specificamente teologico, ma dall'angolatura della loro possibilità filosofica. Di qui però a negar loro ogni caratterizzazione cristiana, come fa il commento Cheneval, il passo è davvero troppo lungo: in fondo anche Agostino, nei Soliloquia aveva parlato di queste virtù per quanto sono strumenti di cui la stessa ricerca razionale non può fare a meno. Vedi Fioravanti 2007.","Ed. Muckle, p. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Metaphysics_(Al-Ghazzali),Metaphysica (Al-Ghazzali),Al-Ghazzali,http://dbpedia.org/resource/Al-Ghazali,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LI STOICI ...,"Stoici, Epicurei e Peripatetici erano già per Alberto Magno, le tre grandi sette"" in cui si è storicamente articolata la ricerca filosofica. Ma la dossografia del domenicano tedesco è, almeno per i nostri standards, piuttosto curiosa: gli Epicurei non si identificano esclusivamente con i seguaci di Epicuro, ma incarnano la linea materialista della filosofia che comprende anche il monismo degli Eleati; gli Stoici, poi, non hanno niente a che vedere con Zenone di Cizico ed i suoi seguaci, ma comprendono Socrate, Platone e gli altri platonici; infine i Peripatetici indicano, oltre naturalmente ad Aristotele, i ""moderni"" filosofi arabi (Al Ghazzali, Avicenna, Averroè). Cfr. Santinello 1990. Nel quarto trattato del Convivio (IV vi 10 sgg.) Dante seguirà piuttosto la dossografia fornitagli dai dialoghi di Cicerone, che è anche alla base della storiografia filosofica moderna. Mi sembra però che in Dante i due modelli abbiano in qualche modo interagito (vedi il commento a Cv II viii 9 )",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dialoghi(Cicerone),Dialoghi (Cicerone),Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,CONCEPT +DICE ADUNQUE LO TESTO ...,"Dante distingue nella Sapienza due aspetti che sono poi i due modi argomentativi della filosofia: uno in cui ci viene mostrata la verità direttamente e con assoluta certezza, l'altro che solo indirettamente la fa trasparire come luce dietro una qualche nube o un qualche velo (sotto alcuno velamento""). Nell'interpretazione allegorica il primo corrisponde agli occhi, l'organo di senso maggiormente capace di cogliere oggettivamente la realtà (cfr. Metaph. I 1, 980 a 21-27), il secondo al riso che, come era già stato detto in Cv III viii 11, è come ""uno lume apparente di fuori secondo sta dentro"", un lume che appare ""quasi come colore dietro vetro"". Il primo modo corrisponde alla dimostrazione in senso stretto, fondamento della scientia, che da premesse vere inferisce conclusioni necessariamente vere (cfr. Aristotele, An. Post. I, 2, 71 b 10). Un collegamento tra occhi della Filosofia descritti nel De consolatione come ""ardentes et ultra communem hominum valentiam perspicacibus"" (I, prosa 1, 1, pp. 4-5) e la conoscenza dimostrativa della verità propria dei filosofi viene fatto da una anonima Laus Philosophiae di ambiente universitario bolognese, peraltro posteriore a Dante. (Fioravanti 1993 p. 173). Più complesso il caso delle ""persuasioni"". Interpretarlo nel senso delle 'rationes probabiles tantum' proprie della dialettica (con riferimento ai Topici aristotelici ed alle Summulae logicales di Pietro Ispano) suscita difficoltà: non sembra infatti che nel volto della Sapienza il riso sia inferiore allo sguardo così come, nella valutazione comune, gli argomenti dialettici sono inferiori a quelli dimostrativi. Come giustamente nota il commento di Cheneval il termine rimanda piuttosto ai procedimenti retorici. Essi nella teorizzazione tardo medievale, a differenza di quelli dialettici, non producono una opinione su oggetti non suscettibili di dimostrazione, ma piuttosto ""fidem aggenerant sive credulitatem"". Il testo di Egidio Romano riportato dallo Cheneval nel suo commento dice chiaramente che essi non sono neutrali, ma rivolti al desiderio di chi li ascolta. Dunque, nella interpretazione allegorica del testo della canzone esiste una asimmetria tra il referente degli occhi e quello del riso. Mentre nel primo caso si tratta di quelle verità che la ragione umana può pienamente comprendere attraverso rigorose dimostrazioni, nel secondo si parla della 'luce interiore' della Sapienza, cioè della sua natura più intima, che non può essere posseduta dimostrativamente. Essa si manifesta attraverso segni (""sotto alcuno velamento"") che non dimostrano, ma persuadono relativamente alla esistenza di realtà intelligibili non inferiori, bensì superiori ad ogni umana dimostrazione.","I 1, 980 a 21-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICE ADUNQUE LO TESTO ...,"Dante distingue nella Sapienza due aspetti che sono poi i due modi argomentativi della filosofia: uno in cui ci viene mostrata la verità direttamente e con assoluta certezza, l'altro che solo indirettamente la fa trasparire come luce dietro una qualche nube o un qualche velo (sotto alcuno velamento""). Nell'interpretazione allegorica il primo corrisponde agli occhi, l'organo di senso maggiormente capace di cogliere oggettivamente la realtà (cfr. Metaph. I 1, 980 a 21-27), il secondo al riso che, come era già stato detto in Cv III viii 11, è come ""uno lume apparente di fuori secondo sta dentro"", un lume che appare ""quasi come colore dietro vetro"". Il primo modo corrisponde alla dimostrazione in senso stretto, fondamento della scientia, che da premesse vere inferisce conclusioni necessariamente vere (cfr. Aristotele, An. Post. I, 2, 71 b 10). Un collegamento tra occhi della Filosofia descritti nel De consolatione come ""ardentes et ultra communem hominum valentiam perspicacibus"" (I, prosa 1, 1, pp. 4-5) e la conoscenza dimostrativa della verità propria dei filosofi viene fatto da una anonima Laus Philosophiae di ambiente universitario bolognese, peraltro posteriore a Dante. (Fioravanti 1993 p. 173). Più complesso il caso delle ""persuasioni"". Interpretarlo nel senso delle 'rationes probabiles tantum' proprie della dialettica (con riferimento ai Topici aristotelici ed alle Summulae logicales di Pietro Ispano) suscita difficoltà: non sembra infatti che nel volto della Sapienza il riso sia inferiore allo sguardo così come, nella valutazione comune, gli argomenti dialettici sono inferiori a quelli dimostrativi. Come giustamente nota il commento di Cheneval il termine rimanda piuttosto ai procedimenti retorici. Essi nella teorizzazione tardo medievale, a differenza di quelli dialettici, non producono una opinione su oggetti non suscettibili di dimostrazione, ma piuttosto ""fidem aggenerant sive credulitatem"". Il testo di Egidio Romano riportato dallo Cheneval nel suo commento dice chiaramente che essi non sono neutrali, ma rivolti al desiderio di chi li ascolta. Dunque, nella interpretazione allegorica del testo della canzone esiste una asimmetria tra il referente degli occhi e quello del riso. Mentre nel primo caso si tratta di quelle verità che la ragione umana può pienamente comprendere attraverso rigorose dimostrazioni, nel secondo si parla della 'luce interiore' della Sapienza, cioè della sua natura più intima, che non può essere posseduta dimostrativamente. Essa si manifesta attraverso segni (""sotto alcuno velamento"") che non dimostrano, ma persuadono relativamente alla esistenza di realtà intelligibili non inferiori, bensì superiori ad ogni umana dimostrazione.","I, 2, 71 b 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +[V]EDE TERMINATO,"vede condotto a termine, realizzato'. La dottrina aristotelica del desiderio naturale di perfezione, che nell'uomo si specifica come desiderio di sapere, era già stata utilizzata nelle righe iniziali del Convivio ed esposta, con parole quasi identiche a queste, in Cv III vi 7. Qui si sostiene in maniera più esplicita che l'uomo in questa vita può soddifare pienamente (terminare"") tale desiderio e raggiungere così la sua perfezione, precisando però: in quanto uomo (già in Cv III vi 8 si era detto che l'essenza umana diventava perfetta ""quanto sommamente esser puote l'umana essenzia""). Si tratta di una limitazione che ricalca in pieno il testo dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele, dopo aver trattato della natura e delle condizioni della felicità ed aver definito ""beati"" coloro che le posseggono, aggiunge appunto: ""beati s'intende come possono esserlo gli uomini"" e questo proprio per distinguere la felicità umana da quella divina (I 10, 1101 a 19-21). Per Dante dunque la perfezione puramente umana è raggiungibile in questa vita esclusivamente attraverso l'uso della ragione: ciò non toglie che la nostra contemplazione sia sulla terra limitata sia nei contenuti che nella durata e che esistano realtà attingibili solo attraverso un dono divino che va ""oltre il debito della natura umana"" (cfr. Cv III vi 10 ).","I 10, 1101 a 19-21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL LIBRO DI SAPIENZA,"cfr. Sap. 3, 11 Sapientiam enim et disciplinam qui abicit infelix est"".","3, 11 Sapientiam enim et disciplinam qui abicit infelix est",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NEL LIBRO ALLEGATO DI SAPIENZA,"nel libro della Sapienza già citato. Cfr. Sap. 7, 26 Candor est ... lucis aeternae et speculum sine macula Dei maiestatis"" (questa citazione apre il primo libro delle Sentenze di Pier Lombardo, il testo base per l'insegnamento della teologia al tempo di Dante ed è spesso usato come tema iniziale dei sermones che i baccellieri pronunciavano negli Studi degli ordini mendicanti inaugurando il loro insegnamento).","Sap. 7, 26 Candor est ... lucis aeternae et speculum sine macula Dei maiestatis""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IN ALCUNO MODO QUESTE COSE ... SI PUÒ APPRESSARE ALLA SUA CONOSCENZA,"le cose che appaiono negli occhi e nel riso della Sapienza, cioè le dimostrazioni e le persuasioni di Cv III xv 2, ci fanno conoscere l'esistenza (affermano essere"") di realtà la cui natura sfugge allo sguardo del nostro intelletto (""che lo 'ntelletto nostro guardare non può"") e facendo così ci aprono come uno spiraglio su una luce che in sé abbaglia (come il riso accenna allo splendore interno dell'anima). Queste realtà, come già in Cv III viii 15, sono identificate con Dio, l'eternità (""la etternitate"") e la materia prima. Che esse esistano lo si può sapere con la certezza assoluta della scienza (""certissimamente si veggiono"") e lo si può credere con fede salda (""con tutta fede si credono essere""), e tuttavia (""pur"") non possiamo capire a fondo (""intendere non potemo"") la loro essenza (""quello che sono""). Ci si può avvicinare (""si può appressare"": con valore impersonale) alla loro conoscenza solo per via negativa (""se non cose negando"") e non in altro modo (""e non altrimenti""). Come è stato giustamente notato dal Nardi queste tre realtà ""soverchiano"" il nostro intelletto in maniera diversa: Dio e l'eternità sono oggetti troppo potenti per l'intelletto umano (almeno per quello 'in via'); al contrario, la materia prima, in quanto pura potenzialità, priva di qualsiasi determinazione, sfugge alla comprensione proprio per il suo bassissimo grado di entità, e quindi di intelligibilità: come aveva affermato Alberto Magno ""Quae intelliguntur intellectu incomplete, sic intelliguntur duabus de causis, scilicet propter elevationem sui esse supra nostrum intellectum, et hoc modo intelligitur Deus incomplete ..., aut propter debilitatem sui esse, ut materia, tempus et motus"" (Summa de creaturis. II De homine, I.1.2.2, ad primum, p. 66, ll. 8-13). Un'altra possibile causa della inconoscibilità di Dio e della materia potrebbe essere la loro infinità, anche qui ben diversa nei due casi (cfr. Bonaventura da Bagnoregio, In secundum librum Sententiarum, dist. 3, pars. I, a. 1, q. 3, p. 100). L'appello alla via negativa era tradizionale per quanto riguarda la conoscenza di Dio (numerosi testi di Tommaso sono citati nel commento Busnelli) ma lo stesso vale anche per le altre due realtà: ci si avvicina infatti ad una conoscenza sia pur imperfetta della materia eliminando mentalmente tutte le determinazioni formali di un oggetto (cfr.. Rodolfi 2004, pp. 9-11) e nel caso dell'eternità negando le caratteristiche del tempo (successione, continuità etc.).","Quae intelliguntur intellectu incomplete, sic intelliguntur duabus de causis, scilicet propter elevationem sui esse supra nostrum intellectum, et hoc modo intelligitur Deus incomplete ..., aut propter debilitatem sui esse, ut materia, tempus et motus (Summa de creaturis. II De homine, I.1.2.2, ad primum, p. 66, ll. 8-13)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_creaturis,Summa de creaturis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN ALCUNO MODO QUESTE COSE ... SI PUÒ APPRESSARE ALLA SUA CONOSCENZA,"le cose che appaiono negli occhi e nel riso della Sapienza, cioè le dimostrazioni e le persuasioni di Cv III xv 2, ci fanno conoscere l'esistenza (affermano essere"") di realtà la cui natura sfugge allo sguardo del nostro intelletto (""che lo 'ntelletto nostro guardare non può"") e facendo così ci aprono come uno spiraglio su una luce che in sé abbaglia (come il riso accenna allo splendore interno dell'anima). Queste realtà, come già in Cv III viii 15, sono identificate con Dio, l'eternità (""la etternitate"") e la materia prima. Che esse esistano lo si può sapere con la certezza assoluta della scienza (""certissimamente si veggiono"") e lo si può credere con fede salda (""con tutta fede si credono essere""), e tuttavia (""pur"") non possiamo capire a fondo (""intendere non potemo"") la loro essenza (""quello che sono""). Ci si può avvicinare (""si può appressare"": con valore impersonale) alla loro conoscenza solo per via negativa (""se non cose negando"") e non in altro modo (""e non altrimenti""). Come è stato giustamente notato dal Nardi queste tre realtà ""soverchiano"" il nostro intelletto in maniera diversa: Dio e l'eternità sono oggetti troppo potenti per l'intelletto umano (almeno per quello 'in via'); al contrario, la materia prima, in quanto pura potenzialità, priva di qualsiasi determinazione, sfugge alla comprensione proprio per il suo bassissimo grado di entità, e quindi di intelligibilità: come aveva affermato Alberto Magno ""Quae intelliguntur intellectu incomplete, sic intelliguntur duabus de causis, scilicet propter elevationem sui esse supra nostrum intellectum, et hoc modo intelligitur Deus incomplete ..., aut propter debilitatem sui esse, ut materia, tempus et motus"" (Summa de creaturis. II De homine, I.1.2.2, ad primum, p. 66, ll. 8-13). Un'altra possibile causa della inconoscibilità di Dio e della materia potrebbe essere la loro infinità, anche qui ben diversa nei due casi (cfr. Bonaventura da Bagnoregio, In secundum librum Sententiarum, dist. 3, pars. I, a. 1, q. 3, p. 100). L'appello alla via negativa era tradizionale per quanto riguarda la conoscenza di Dio (numerosi testi di Tommaso sono citati nel commento Busnelli) ma lo stesso vale anche per le altre due realtà: ci si avvicina infatti ad una conoscenza sia pur imperfetta della materia eliminando mentalmente tutte le determinazioni formali di un oggetto (cfr.. Rodolfi 2004, pp. 9-11) e nel caso dell'eternità negando le caratteristiche del tempo (successione, continuità etc.).","dist. 3, pars. I, a. 1, q. 3, p. 100",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_quattuor_libros_sententiaru_Magistri_Petri_Lombardi(Bonaventura),Commentaria in quattuor libros sententiarum,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA NATURA L'AVREBBE FATTO INDARNO,"la natura l'avrebbe prodotta invano'. Dante si appella qui ad un principio generale, valido per tutti gli enti e quindi, come vedremo immediatamente dopo, anche per l'uomo. Lo stesso aveva fatto Alberto Magno nella sua parafrasi dell' Etica Nicomachea Nihil appetitur ab aliquo naturali appetitu et ordinato nisi possibile obtineri, et quod proportionatum est principiis naturalibus quibus appetitus nititur obtinere illud"" (Ethica I, tr, 3, cap. 6, pp. 37-38).","Nihil appetitur ab aliquo naturali appetitu et ordinato nisi possibile obtineri, et quod proportionatum est principiis naturalibus quibus appetitus nititur obtinere illud"" (Ethica I, tr, 3, cap. 6, pp. 37-38).""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DELLA FELICITADE SECONDARIA A QUESTA PRIMA,"della felicità che viene immediatamente dopo quella della contemplazione. Che Aristotele avesse individuato due felicità possibili per l'uomo, la prima posta nella vita contemplativa, la seconda nella vita secondo virtù, era dottrina comune tra gli aristotelici del XIII secolo. Basterà citare ancora una volta il De summo bono di Boezio di Dacia: Summum bonum quod est homini possibile secundum potentiam intellectus speculativam est cognitio veri et delectatio in eodem ... Item, summum bonum quod est homini possibile secundum intellectum practicum est operatio boni et delectatio in eodem"" (pp. 370-71). A questa dottrina Dante si era già richiamato in Cv I v 11. Il termine ""secondaria"" indica anche un giudizio di valore: sia per Alberto Magno che per Tommaso d'Aquino, infatti, la felicità che consiste nell'esercizio delle virtù è inferiore alla felicità della speculazione teoretica ed è in qualche modo ad essa subordinata (cfr Alberto, Ethica, I, tr. 6, c. 4, pp. 88-89; Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, X, lectio 12, n. 2111 che usa proprio il termine ""secundarius""). In ogni caso, a differenza di Kant, per Aristotele e così per Alberto, Tommaso, Boezio di Dacia e Dante esercizio delle virtù e felicità coincidono senza residui.","Summum bonum quod est homini possibile secundum potentiam intellectus speculativam est cognitio veri et delectatio in eodem ... Item, summum bonum quod est homini possibile secundum intellectum practicum est operatio boni et delectatio in eodem"" (pp. 370-71)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DELLA FELICITADE SECONDARIA A QUESTA PRIMA,"della felicità che viene immediatamente dopo quella della contemplazione. Che Aristotele avesse individuato due felicità possibili per l'uomo, la prima posta nella vita contemplativa, la seconda nella vita secondo virtù, era dottrina comune tra gli aristotelici del XIII secolo. Basterà citare ancora una volta il De summo bono di Boezio di Dacia: Summum bonum quod est homini possibile secundum potentiam intellectus speculativam est cognitio veri et delectatio in eodem ... Item, summum bonum quod est homini possibile secundum intellectum practicum est operatio boni et delectatio in eodem"" (pp. 370-71). A questa dottrina Dante si era già richiamato in Cv I v 11. Il termine ""secondaria"" indica anche un giudizio di valore: sia per Alberto Magno che per Tommaso d'Aquino, infatti, la felicità che consiste nell'esercizio delle virtù è inferiore alla felicità della speculazione teoretica ed è in qualche modo ad essa subordinata (cfr Alberto, Ethica, I, tr. 6, c. 4, pp. 88-89; Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, X, lectio 12, n. 2111 che usa proprio il termine ""secundarius""). In ogni caso, a differenza di Kant, per Aristotele e così per Alberto, Tommaso, Boezio di Dacia e Dante esercizio delle virtù e felicità coincidono senza residui.","I, tr. 6, c. 4, pp. 88-89",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DELLA FELICITADE SECONDARIA A QUESTA PRIMA,"della felicità che viene immediatamente dopo quella della contemplazione. Che Aristotele avesse individuato due felicità possibili per l'uomo, la prima posta nella vita contemplativa, la seconda nella vita secondo virtù, era dottrina comune tra gli aristotelici del XIII secolo. Basterà citare ancora una volta il De summo bono di Boezio di Dacia: Summum bonum quod est homini possibile secundum potentiam intellectus speculativam est cognitio veri et delectatio in eodem ... Item, summum bonum quod est homini possibile secundum intellectum practicum est operatio boni et delectatio in eodem"" (pp. 370-71). A questa dottrina Dante si era già richiamato in Cv I v 11. Il termine ""secondaria"" indica anche un giudizio di valore: sia per Alberto Magno che per Tommaso d'Aquino, infatti, la felicità che consiste nell'esercizio delle virtù è inferiore alla felicità della speculazione teoretica ed è in qualche modo ad essa subordinata (cfr Alberto, Ethica, I, tr. 6, c. 4, pp. 88-89; Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, X, lectio 12, n. 2111 che usa proprio il termine ""secundarius""). In ogni caso, a differenza di Kant, per Aristotele e così per Alberto, Tommaso, Boezio di Dacia e Dante esercizio delle virtù e felicità coincidono senza residui.","In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, X, lectio 12, n. 2111",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CHE FANNO QUELLA PIACERE SENSIBILMENTE,"che la rendono fonte di piacere attraverso le azioni virtuose che sono percepibili attraverso i sensi'. Che le azioni secondo virtù fossero belle e piacevoli per gli amanti del bello era stato detto da Aristotele, Eth. Nic. I 8, 1099 a 11-15, e nel suo commento Tommaso aveva fatto ricorso alla definizione della bellezza come debita commensuratio partium"" (I, lectio 13, n. 159). Peraltro l'Aquinate individua questo ordine armonioso nell'insieme delle circumstantiae costitutive dell'azione virtuosa (tempo debito, persona giusta, motivazione corretta etc.), mentre Dante lo identifica proprio con il sistema delle virtù morali.","I 8, 1099 a 11-15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHE FANNO QUELLA PIACERE SENSIBILMENTE,"che la rendono fonte di piacere attraverso le azioni virtuose che sono percepibili attraverso i sensi'. Che le azioni secondo virtù fossero belle e piacevoli per gli amanti del bello era stato detto da Aristotele, Eth. Nic. I 8, 1099 a 11-15, e nel suo commento Tommaso aveva fatto ricorso alla definizione della bellezza come debita commensuratio partium"" (I, lectio 13, n. 159). Peraltro l'Aquinate individua questo ordine armonioso nell'insieme delle circumstantiae costitutive dell'azione virtuosa (tempo debito, persona giusta, motivazione corretta etc.), mentre Dante lo identifica proprio con il sistema delle virtù morali.","I, lectio 13, n. 159",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +APPETITO DIRITTO,"desiderio retto, che segue ciò che è dettato dalla ragioneì (cfr. Eth. Nic. VI 2, 1139 a 22-27 ed il commento di Tommaso, lectio 2, n. 1129).","VI 2, 1139 a 22-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +APPETITO DIRITTO,"desiderio retto, che segue ciò che è dettato dalla ragioneì (cfr. Eth. Nic. VI 2, 1139 a 22-27 ed il commento di Tommaso, lectio 2, n. 1129).","lectio 2, n. 1129",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICENDO CHE È OPERAZIONE SECONDO VERTÙ IN VITA PERFETTA,"la definizione si trova piuttosto nel Commento di Tommaso che alla fine della lectio 10 del primo libro così riassume Eth. Nic. I 8, 1097 b 22- 1098 a 20: Sic ergo patet quod felicitas est operatio propria hominis secundum virtutem in vita perfecta"" (n. 130). In realtà Aristotele non ha di mira in modo specifico la virtù morale, ma parla in modo ancora generico di una ""virtù"" propria dell'uomo che si rivelerà poi essere il suo intelletto: con la sua doppia natura, teoretica e pratica, esso fonda l'esistenza di virtù sia contemplative che morali in senso stretto (cfr. Eth. Nic. I 13, 1102 a 5 sgg.)","I 8, 1097 b 22- 1098 a 20:",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICENDO CHE È OPERAZIONE SECONDO VERTÙ IN VITA PERFETTA,"la definizione si trova piuttosto nel Commento di Tommaso che alla fine della lectio 10 del primo libro così riassume Eth. Nic. I 8, 1097 b 22- 1098 a 20: Sic ergo patet quod felicitas est operatio propria hominis secundum virtutem in vita perfecta"" (n. 130). In realtà Aristotele non ha di mira in modo specifico la virtù morale, ma parla in modo ancora generico di una ""virtù"" propria dell'uomo che si rivelerà poi essere il suo intelletto: con la sua doppia natura, teoretica e pratica, esso fonda l'esistenza di virtù sia contemplative che morali in senso stretto (cfr. Eth. Nic. I 13, 1102 a 5 sgg.)","I 13, 1102 a 5 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICENDO CHE È OPERAZIONE SECONDO VERTÙ IN VITA PERFETTA,"la definizione si trova piuttosto nel Commento di Tommaso che alla fine della lectio 10 del primo libro così riassume Eth. Nic. I 8, 1097 b 22- 1098 a 20: Sic ergo patet quod felicitas est operatio propria hominis secundum virtutem in vita perfecta"" (n. 130). In realtà Aristotele non ha di mira in modo specifico la virtù morale, ma parla in modo ancora generico di una ""virtù"" propria dell'uomo che si rivelerà poi essere il suo intelletto: con la sua doppia natura, teoretica e pratica, esso fonda l'esistenza di virtù sia contemplative che morali in senso stretto (cfr. Eth. Nic. I 13, 1102 a 5 sgg.)",lla fine della lectio 10 del primo libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ESSEMPLO D'UMILTÀ,"perché la partizione (parte"") della filosofia che corrisponde all'etica sia un modello di umiltà non è immediatamente chiaro. La spiegazione offerta da alcuni commentatori, secondo cui Dante si riferirebbe alla inferiorità e subordinazione della vita morale a quella teoretica, non mi sembra particolarmente centrata. Il difetto cui il ""virtuoso"" deve tenersi lontano è, come abbiamo visto, quello di gloriarsi delle proprie doti: il correttivo dovrebbe allora essere l'esercizio di una virtù speciale, l'umiltà, insegnata appunto dalla filosofia morale (e potremmo congetturare che l'ultimo trattato proprio all'umiltà fosse, almeno in parte, dedicato). Ma dal punto di vista di Aristotele l'umiltà è tutt'altro che una virtù: nel cap. 3 del IV libro dell' Etica Nicomachea (1123 b 9 sgg.) dedicato alla magnanimità, lo Stagirita tratta in modo sprezzante coloro che si ritengono inferiori a quanto meritano: la vanità è un vizio solo quando ci si stima degni di grandi cose senza esserlo; chi possiede effettivamente la virtù può trarne legittimo vanto. Questo aspetto dell'etica aristotelica aveva suscitato notevole imbarazzo tra i lettori cristiani dello Stagirita (vedi Gauthier 1951, pp. 443 sgg. e la nota a Cv I xi 20).",nel cap. 3 del IV libro dell' Etica Nicomachea (1123 b 9 sgg.),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E SPEZIALMENTE LO MOVIMENTO DEL CIELO ... DAL QUALE OGNI MOVIMENTO È PRINCIPIATO E MOSSO,"l'inizio del mondo coincide con l'inizio del movimento del cielo, e con più precisione (spezialmente"") con quello del primo mobile: da esso ha origine (""è principiato"") e dipende (""e mosso"") ogni altro movimento e mutamento; mediante questi movimenti ""secondi"" il movimento primo produce (""genera"") tutte le realtà del mondo sublunare. Che Dio abbia prodotto e produca le cose composte mediante il movimento dei cieli, riservando a se stesso la creazione iniziale delle forme pure (gli angeli), della materia prima e dei cieli stessi, in cui materia e forma sono indissolubilmente legate, viene detto in Pd VII 124 sgg. e XXIX 22 sgg.). Già Alberto Magno aveva ripetutamente affermato la funzione insostituibile dei cieli nel ciclo delle generazioni e delle distruzioni che caratterizza le realtà presenti nel mondo sublunare (cfr. Physica II, tr. 2, cap. 20, vol. I, p. 124, ll. 45-50; De generatione II, tr.1. cap. 5, p. 180, ll. 27-30 ). Questo modello cosmologico, insieme fisico e metafisico, peraltro, sembrava presupporre l'eternità delle sue componenti: da sempre Dio, come oggetto di desiderio, imprimeva al primo mobile il suo movimento, e mediante questo movimento eterno regolava sulla terra l'alternarsi delle nascite e delle morti. Qui Dante parla invece, molto chiaramente, di ""cominciamento"" dimostrando di accettare, anche filosoficamente, la tesi dell'inizio del mondo nel tempo.","II, tr. 2, cap. 20, vol. I, p. 124, ll. 45-50",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Physicorum(Alberto_Magno),Physicorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E SPEZIALMENTE LO MOVIMENTO DEL CIELO ... DAL QUALE OGNI MOVIMENTO È PRINCIPIATO E MOSSO,"l'inizio del mondo coincide con l'inizio del movimento del cielo, e con più precisione (spezialmente"") con quello del primo mobile: da esso ha origine (""è principiato"") e dipende (""e mosso"") ogni altro movimento e mutamento; mediante questi movimenti ""secondi"" il movimento primo produce (""genera"") tutte le realtà del mondo sublunare. Che Dio abbia prodotto e produca le cose composte mediante il movimento dei cieli, riservando a se stesso la creazione iniziale delle forme pure (gli angeli), della materia prima e dei cieli stessi, in cui materia e forma sono indissolubilmente legate, viene detto in Pd VII 124 sgg. e XXIX 22 sgg.). Già Alberto Magno aveva ripetutamente affermato la funzione insostituibile dei cieli nel ciclo delle generazioni e delle distruzioni che caratterizza le realtà presenti nel mondo sublunare (cfr. Physica II, tr. 2, cap. 20, vol. I, p. 124, ll. 45-50; De generatione II, tr.1. cap. 5, p. 180, ll. 27-30 ). Questo modello cosmologico, insieme fisico e metafisico, peraltro, sembrava presupporre l'eternità delle sue componenti: da sempre Dio, come oggetto di desiderio, imprimeva al primo mobile il suo movimento, e mediante questo movimento eterno regolava sulla terra l'alternarsi delle nascite e delle morti. Qui Dante parla invece, molto chiaramente, di ""cominciamento"" dimostrando di accettare, anche filosoficamente, la tesi dell'inizio del mondo nel tempo.","II, tr.1. cap. 5, p. 180, ll. 27-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Generatione_et_Corruptione(Alberto_Magno),De generatione et corruptione (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUANDO IDDIO ... PER CIASCUNO DIE,"traduzione letterale di Prv. 8, 27-30 Quando praeparabat caelos, aderam; quando certa lege et gyro vallabat abyssos; quando aethera firmabat sursum et librabat fontes aquarum; quando circumdabat mari terminum suum, et legem ponebat aquis ne transirent fines suos; quando appendebat fundamenta terrae, cum eo eram cuncta componens, et delectabar per singulos dies"" (probabilmente Dante legge ""circuibat"" al posto di ""circumdabat"").","8, 27-30 Quando praeparabat caelos, aderam; quando certa lege et gyro vallabat abyssos; quando aethera firmabat sursum et librabat fontes aquarum; quando circumdabat mari terminum suum, et legem ponebat aquis ne transirent fines suos; quando appendebat fundamenta terrae, cum eo eram cuncta componens, et delectabar per singulos dies"" """,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IN VOSTRA SIMILITUDINE VENNE A VOI,"venne tra di voi diventando a voi simile'. Tutto il paragrafo presuppone un'identificazione tra la Sapienza dei Proverbi ed il Verbo del Vangelo di Giovanni già presente nella tradizione esegetica cristiana: per mezzo del Verbo, infatti, sono state prodotte tutte le cose (cfr. Io. 1, 3). Anche l' innanzi che voi foste, ella fu amatrice di voi"" riecheggia contemporaneamente Io 15, 16: ""Non vos me elegisti, sed ego elegi vos"" e 8, 58 in cui Gesù dice di sé ""antequam Abraham esset, ego eram"", mentre per parlare della venuta della Sapienza tra gli uomini, Dante usa termini vicini a quelli del brano della lettera ai Filippesi in cui Paolo parla della discesa del Figlio: ""semetipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus"" (Phip 2, 7).","Io. 1, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN VOSTRA SIMILITUDINE VENNE A VOI,"venne tra di voi diventando a voi simile'. Tutto il paragrafo presuppone un'identificazione tra la Sapienza dei Proverbi ed il Verbo del Vangelo di Giovanni già presente nella tradizione esegetica cristiana: per mezzo del Verbo, infatti, sono state prodotte tutte le cose (cfr. Io. 1, 3). Anche l' innanzi che voi foste, ella fu amatrice di voi"" riecheggia contemporaneamente Io 15, 16: ""Non vos me elegisti, sed ego elegi vos"" e 8, 58 in cui Gesù dice di sé ""antequam Abraham esset, ego eram"", mentre per parlare della venuta della Sapienza tra gli uomini, Dante usa termini vicini a quelli del brano della lettera ai Filippesi in cui Paolo parla della discesa del Figlio: ""semetipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus"" (Phip 2, 7).","15, 16: ""Non vos me elegisti, sed ego elegi vos""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN VOSTRA SIMILITUDINE VENNE A VOI,"venne tra di voi diventando a voi simile'. Tutto il paragrafo presuppone un'identificazione tra la Sapienza dei Proverbi ed il Verbo del Vangelo di Giovanni già presente nella tradizione esegetica cristiana: per mezzo del Verbo, infatti, sono state prodotte tutte le cose (cfr. Io. 1, 3). Anche l' innanzi che voi foste, ella fu amatrice di voi"" riecheggia contemporaneamente Io 15, 16: ""Non vos me elegisti, sed ego elegi vos"" e 8, 58 in cui Gesù dice di sé ""antequam Abraham esset, ego eram"", mentre per parlare della venuta della Sapienza tra gli uomini, Dante usa termini vicini a quelli del brano della lettera ai Filippesi in cui Paolo parla della discesa del Figlio: ""semetipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus"" (Phip 2, 7).","8, 58 in cui Gesù dice di sé ""antequam Abraham esset, ego eram""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN VOSTRA SIMILITUDINE VENNE A VOI,"venne tra di voi diventando a voi simile'. Tutto il paragrafo presuppone un'identificazione tra la Sapienza dei Proverbi ed il Verbo del Vangelo di Giovanni già presente nella tradizione esegetica cristiana: per mezzo del Verbo, infatti, sono state prodotte tutte le cose (cfr. Io. 1, 3). Anche l' innanzi che voi foste, ella fu amatrice di voi"" riecheggia contemporaneamente Io 15, 16: ""Non vos me elegisti, sed ego elegi vos"" e 8, 58 in cui Gesù dice di sé ""antequam Abraham esset, ego eram"", mentre per parlare della venuta della Sapienza tra gli uomini, Dante usa termini vicini a quelli del brano della lettera ai Filippesi in cui Paolo parla della discesa del Figlio: ""semetipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus"" (Phip 2, 7).","semetipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus (Phip 2, 7).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Philippians,Epistola ad Philippenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +E SE TUTTI ... ONORATE LEI,"l'esortazione, in sé generica, sembra però destinata in particolare al pubblico già individuato da Dante nel trattato introduttivo: coloro che per giustificati motivi non possono fare filosofia in prima persona (non possono venire al suo cospetto"") possono però incontrarla in chi la esercita realmente (i suoi ""amici""): onorandoli e seguendo le loro esortazioni (""comandamenti"") che proclamano (""nunziano"") ciò che la filosofia vuole, la onoreranno almeno in via indiretta. Come abbiamo visto (Cv II.xii.9) il titolo di imperatrice ('imperialis domina') era già stato conferito alla filosofia da un testo diffusissimo nel Medioevo, il De disciplina scolarium, attribuito a Boezio (ed. Weijers, p. 97, 3-4).","ed. Weijers, p. 97, 3-4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_disciplina_scolarium,De disciplina scolarium,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SALOMONE ... DICENDO,"cfr. Prv 4, 8 iustorum ... semita quasi lux splendens procedit et crescit usque ad perfectam diem"". Nella sua traduzione Dante ha volutamente modificato le parole finali, interpretando il 'giorno perfetto' come il raggiungimento della felicità collegata al filosofare.","Prv 4, 8 iustorum ... semita quasi lux splendens procedit et crescit usque ad perfectam diem",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NELL'AMISTÀ SI FA UNO DI PIÙ,"nell' amicizia, di più persone se ne fa una'. La frase è messa sulla bocca di Pitagora da Cicerone nel De officiis I, 17, 56: efficitur id quod Pythagoras vult in amicitia, ut unus fiat ex pluribus"". La sententia pitagorica anche nello Speculum Historiale III, cap. 26, p. 95.","I, 17, 56: efficitur id quod Pythagoras vult in amicitia, ut unus fiat ex pluribus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN GRECO PROVERBIO È DETTO ...,"la forma della citazione rimanda, più che all' Etica Nicomachea, di nuovo al De officiis di Cicerone (I, 16 51) dove quel che nel testo aristotelico veniva indicato solo come proverbio (VIII 9, 1159 b 31-32) riceve appunto la specificazione di origine: ut in graecorum proverbio est, amicorum esse communia omnia"". Ancora una volta Dante inserisce uno scambio di affetti e di passioni umane nelle coordinate più ampie di un processo naturale, quello della alterazione qualitativa in cui i termini sono a contatto l'uno con l'altro (le ""cose congiunte"") e l'agente tende ad imprimere nel paziente le proprie caratteristiche (cfr. Phys. VII 2, 244 b 2-5).","I, 16 51",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN GRECO PROVERBIO È DETTO ...,"la forma della citazione rimanda, più che all' Etica Nicomachea, di nuovo al De officiis di Cicerone (I, 16 51) dove quel che nel testo aristotelico veniva indicato solo come proverbio (VIII 9, 1159 b 31-32) riceve appunto la specificazione di origine: ut in graecorum proverbio est, amicorum esse communia omnia"". Ancora una volta Dante inserisce uno scambio di affetti e di passioni umane nelle coordinate più ampie di un processo naturale, quello della alterazione qualitativa in cui i termini sono a contatto l'uno con l'altro (le ""cose congiunte"") e l'agente tende ad imprimere nel paziente le proprie caratteristiche (cfr. Phys. VII 2, 244 b 2-5).","VII 2, 244 b 2-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ORA S'INTENDE,"sto attualmente per dedicarmi'. La dichiarazione di un allontanamento dalla Filosofia, che tanto ha colpito chi ha voluto vedervi il segno di uno scarto cronologico nella composizione del Convivio e di una frattura dottrinale nella vita spirituale di Dante (vedi Corti 1983) va del tutto ridimensionata: nei due trattati precedenti, infatti, a rigor di termini Dante non fa filosofia, ma piuttosto parla della Filosofia, in un contesto autobiografico nel secondo, tessendone le lodi nel terzo con uno schema che almeno in parte ricalca quello universitario degli elogi, dove, anche tra i maestri di Parigi e di Bologna, l'allegoria era ammessa. I contenuti scientifico-filosofici funzionano qui come digressioni, volte essenzialmente a dimostrare lo spessore culturale dell'autore. Con il quarto trattato, invece, cessa l'autobiografia e viene affrontato ex professo il tema della nobiltà: un problema di vasto impatto socio-culturale, non appannaggio esclusivo delle aule universitarie, ma che Dante vuole consapevolmente trattare, a differenza di altri, con metodo rigorosamente filosofico. Lo stesso abbandono dell'allegoria di cui ci parlerà il paragrafo seguente avvicina ancora di più il trattato al modello di lingua e di scrittura proprio della filosofia universitaria. Come ha detto Bruno Nardi, riconoscendo che la struttura propria del quarto trattato corrisponde tecnicamente a quella di una quaestio disputata: La Filosofia cui ormai è rivolto l'animo di Dante, più che la Sapienza eterna che è solo in Dio, è quella delle scuole in terra"" (Nardi 1966, p. 50). .","uno schema che almeno in parte ricalca quello universitario degli elogi, dove, anche tra i maestri di Parigi e di Bologna",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Elogi_della_filosofia,Elogi della Filosofia,,,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +"NUMERO DI MOVIMENTO, SECONDO PRIMA E POI","si tratta della traduzione letterale del testo latino di Phys. IV 11, 219 b 1-2 hoc ... est tempus: numerus motus secundum prius et posterius"" (Translatio Vetus, p. 175, ll. 16-17). La stessa definizione è peraltro presente nelle Auctoritates Aristotelis, p. 151, n. 137).","IV 11, 219 b 1-2 hoc ... est tempus: numerus motus secundum prius et posterius (Translatio Vetus, p. 175, ll. 16-17)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"NUMERO DI MOVIMENTO, SECONDO PRIMA E POI","si tratta della traduzione letterale del testo latino di Phys. IV 11, 219 b 1-2 hoc ... est tempus: numerus motus secundum prius et posterius"" (Translatio Vetus, p. 175, ll. 16-17). La stessa definizione è peraltro presente nelle Auctoritates Aristotelis, p. 151, n. 137).","p. 151, n. 137",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NUMERO DI MOVIMENTO CELESTIALE ... ALCUNA INFORMAZIONE,"che il movimento misurato dal tempo sia in primo luogo quello della sfera celeste (movimento celestiale""), l'unico ad essere continuo, è effettivamente detto da Aristotele nella Fisica, anche se non con le stesse parole di Dante (cfr. Phys. IV 14, 223 b 22-23 ""unde et videtur tempus esse sphere motus"". Translatio Vetus, p. 190, ll. 8-9); il richiamo all'azione del cielo che, con i suoi diversi movimenti, ed in particolare con quello del sole lungo l'eclittica, prepara (""dispone"") le realtà terrestri (""le cose di qua giù"") ad accogliere in stagioni diverse forme diverse (""diversamente a ricevere alcuna informazione"") non si trova invece nella Fisica, ma piuttosto nel De generatione (II 10).",II 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NUMERO DI MOVIMENTO CELESTIALE ... ALCUNA INFORMAZIONE,"che il movimento misurato dal tempo sia in primo luogo quello della sfera celeste (movimento celestiale""), l'unico ad essere continuo, è effettivamente detto da Aristotele nella Fisica, anche se non con le stesse parole di Dante (cfr. Phys. IV 14, 223 b 22-23 ""unde et videtur tempus esse sphere motus"". Translatio Vetus, p. 190, ll. 8-9); il richiamo all'azione del cielo che, con i suoi diversi movimenti, ed in particolare con quello del sole lungo l'eclittica, prepara (""dispone"") le realtà terrestri (""le cose di qua giù"") ad accogliere in stagioni diverse forme diverse (""diversamente a ricevere alcuna informazione"") non si trova invece nella Fisica, ma piuttosto nel De generatione (II 10).","IV 14, 223 b 22-23 ""unde et videtur tempus esse sphere motus"". Translatio Vetus, p. 190, ll. 8-9""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NELLO ECCLESIASTE,"cfr. Ecl 3, 7 tempus tacendi et tempus loquendi"".","3, 7 tempus tacendi et tempus loquendi",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ecclesiastes,Ecclesiaste,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PISTOLA,"Epistola. Cfr. Iac 5, 7 Ecce agricola expectat pretiosum fructum terre patienter ferens donec accipiat temporaneum et serotinum"". Dante traduce alla lettera. ""Temporaneum"" sta per messe precoce, ""serotinum"" per messe tardiva.","Iac 5, 7 Ecce agricola expectat pretiosum fructum terre patienter ferens donec accipiat temporaneum et serotinum",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_of_James,Lettera di Giacomo,Giacomo,http://dbpedia.org/resource/James_the_Just,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LO MAESTRO DELL'UMANA RAGIONE,"già Averroè aveva esaltato Aristotele come punto massimo e regola della razionalità umana (cfr. il prologo del Commento alla Fisica, f. 5 A-B . Cfr. anche Cv I vi 8, 15 ).","Prologo, f. 5 A-B",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_alla_Fisica(Averroè),Commento alla Fisica,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MOSTROE,"mostrò, fece vedere'. Arrivare alla verità esaminando preliminarmente le soluzioni erronee o insoddisfacenti date al problema è un procedimento correttamente attribuito ad Aristotele (cfr. ad esempio, nel primo libro del De anima e nel primo libro della Metafisica la discussione delle dottrine dei pensatori precedenti relative alla natura dell'anima ed al numero dei principi delle cose) ma soprattutto comunemente usato nel modo universitario di far filosofia: qui accanto alla lettura dei testi (lectio) regnava la discussione formalizzata dei problemi (quaestio) dove i partecipanti, prima che il maestro fornisse la sua risposta, presentavano una nutrita serie di argomenti in favore dell'opinione opposta, tutti da risolvere 'ut magis veritas elucesceret'.",primo libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MOSTROE,"mostrò, fece vedere'. Arrivare alla verità esaminando preliminarmente le soluzioni erronee o insoddisfacenti date al problema è un procedimento correttamente attribuito ad Aristotele (cfr. ad esempio, nel primo libro del De anima e nel primo libro della Metafisica la discussione delle dottrine dei pensatori precedenti relative alla natura dell'anima ed al numero dei principi delle cose) ma soprattutto comunemente usato nel modo universitario di far filosofia: qui accanto alla lettura dei testi (lectio) regnava la discussione formalizzata dei problemi (quaestio) dove i partecipanti, prima che il maestro fornisse la sua risposta, presentavano una nutrita serie di argomenti in favore dell'opinione opposta, tutti da risolvere 'ut magis veritas elucesceret'.",primo libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHÉ A LEI DISPOSATA,"quando l'anima le è unita'. (lei"" si riferisce a ""Filosofia""). La metafora nuziale era già stata usata in Cv II xii 13 a proposito del rapporto tra la Filosofia e Dio. L'anima-sposa era comunque una protagonista dell'esegesi allegorica del Cantico dei Cantici (cfr. i Sermones in Cantica Canticorum di Bernardo da Chiaravalle, PL 183, p. 865 sgg. e la Explicatio in Cantica Canticorum di Riccardo da San Vittore, PL 196, p. 406 sgg.).","PL 183, p. 865 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sermones_super_Cantica_Canticorum,Sermones super Cantica Canticorum,Bernardo di Chiaravalle,http://dbpedia.org/resource/Bernard_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +CHÉ A LEI DISPOSATA,"quando l'anima le è unita'. (lei"" si riferisce a ""Filosofia""). La metafora nuziale era già stata usata in Cv II xii 13 a proposito del rapporto tra la Filosofia e Dio. L'anima-sposa era comunque una protagonista dell'esegesi allegorica del Cantico dei Cantici (cfr. i Sermones in Cantica Canticorum di Bernardo da Chiaravalle, PL 183, p. 865 sgg. e la Explicatio in Cantica Canticorum di Riccardo da San Vittore, PL 196, p. 406 sgg.).","PL 196, p. 406 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Explicatio_in_Cantica_Canticorum(Riccardo_da_San_Vittore),Explicatio in Cantica Canticorum,Riccardo di San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Richard_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +CONTEMPLA LO SUO CONTEMPLARE ... RIVOLGENDOSI SOVRA SE STESSA,"secondo la prop. XIV (XV) del Liber De causis, gli esseri dotati di razionalità, in ogni atto di pensiero sono capaci, oltre che di conoscere le cose, di ritornare (redire"") su se stessi possedendosi completamente (p. 79). La 'reditio completa' verrà considerata sia da Avicenna che da Tommaso come ciò che distingue l'attività intellettuale da quella sensoriale (cfr. di Avicenna il Liber de anima seu sextus de naturalibus, V, 2, vol. II, pp. 93-97, e di Tommaso, il commento al De causis, lectio 15, ed. Saffrey, pp. 88-92). Nel discorso di Dante l'anima filosofante è in qualche modo simile al Dio della Metafisica aristotelica: pensiero di pensiero. Suggestivo, ma meno convincente mi sembra il rinvio al Timeo ed alla sua concezione del pensiero dell'anima del mondo come movimento circolare che torna su se stesso. (vedi Bonfils Templer 1987 che peraltro rimanda giustamente a Pg XXV 74-75 "" ... e fassi un'alma sola / che vive e sente e sé in sé rigira"")","V, 2, vol. II, pp. 93-97",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_de_anima_seu_sextus_de_naturalibus,Liber de anima seu sextus de naturalibus,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CONTEMPLA LO SUO CONTEMPLARE ... RIVOLGENDOSI SOVRA SE STESSA,"secondo la prop. XIV (XV) del Liber De causis, gli esseri dotati di razionalità, in ogni atto di pensiero sono capaci, oltre che di conoscere le cose, di ritornare (redire"") su se stessi possedendosi completamente (p. 79). La 'reditio completa' verrà considerata sia da Avicenna che da Tommaso come ciò che distingue l'attività intellettuale da quella sensoriale (cfr. di Avicenna il Liber de anima seu sextus de naturalibus, V, 2, vol. II, pp. 93-97, e di Tommaso, il commento al De causis, lectio 15, ed. Saffrey, pp. 88-92). Nel discorso di Dante l'anima filosofante è in qualche modo simile al Dio della Metafisica aristotelica: pensiero di pensiero. Suggestivo, ma meno convincente mi sembra il rinvio al Timeo ed alla sua concezione del pensiero dell'anima del mondo come movimento circolare che torna su se stesso. (vedi Bonfils Templer 1987 che peraltro rimanda giustamente a Pg XXV 74-75 "" ... e fassi un'alma sola / che vive e sente e sé in sé rigira"")","lectio 15, ed. Saffrey, pp. 88-92",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_librum_De_causis(Tommaso),Super librum De causis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONTEMPLA LO SUO CONTEMPLARE ... RIVOLGENDOSI SOVRA SE STESSA,"secondo la prop. XIV (XV) del Liber De causis, gli esseri dotati di razionalità, in ogni atto di pensiero sono capaci, oltre che di conoscere le cose, di ritornare (redire"") su se stessi possedendosi completamente (p. 79). La 'reditio completa' verrà considerata sia da Avicenna che da Tommaso come ciò che distingue l'attività intellettuale da quella sensoriale (cfr. di Avicenna il Liber de anima seu sextus de naturalibus, V, 2, vol. II, pp. 93-97, e di Tommaso, il commento al De causis, lectio 15, ed. Saffrey, pp. 88-92). Nel discorso di Dante l'anima filosofante è in qualche modo simile al Dio della Metafisica aristotelica: pensiero di pensiero. Suggestivo, ma meno convincente mi sembra il rinvio al Timeo ed alla sua concezione del pensiero dell'anima del mondo come movimento circolare che torna su se stesso. (vedi Bonfils Templer 1987 che peraltro rimanda giustamente a Pg XXV 74-75 "" ... e fassi un'alma sola / che vive e sente e sé in sé rigira"")",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +A DISTRIGARE LO TESTO PERFETTAMENTE SECONDO LA SENTENZA CHE ESSO PORTA,"per chiarire esaustivamente il testo cogliendone il preciso significato'. Con queste parole Dante giustifica l'uso a tutto campo di una tecnica espositiva particolarmente complessa: proprio il fatto che una materia così alta non ha ancora avuto una trattazione autorevole richiede, senza sconti, la strumentazione propria della cultura alta ed universitaria. E' stato giustamente notato che il tema della vera nobiltà di cuore opposta alla nobiltà di lignaggio aveva già appassionato nel tardo Medioevo ampie fasce di intellettuali ed era stato trattato in opere e contesti diversissimi, dai trattati d'amore agli 'specula principum', dalle Summae morali alla lirica guittoniana fino allo stesso Trésor di Brunetto (cfr. Corti 1959). Ma evidentemente gli autori"" per Dante erano altri, quelli della cultura universitaria dove il tema della nobiltà era stato affrontato solo saltuariamente, in relazione a testi aristotelici non centrali come la Politica e la Retorica, oppure nelle disputazioni de quolibet (ai testi di Pietro d' Alvernia e Giovanni Vate citati da Marco Toste - cfr. Toste 2005- sono da aggiungere quelli di Enrico di Gand e di Nicolas de Vaudemont. Vedi Introduzione ). Basterà notare lo spazio assai limitato, in confronto con la trattazione del Convivio, riservato da Egidio Romano alla nozione di vera nobilitas e per di più in un contesto parenetico e non argomentativo (cfr. De regimine principum II iii 18, pp. 391-4). Il quarto trattato del Convivio aspira dunque a raggiungere il livello di questa cultura sia per la 'forma tractatus' (il contenuto), che per la 'forma tractandi' (il metodo) e contemporaneamente a colmarne una lacuna. Ancora verso la metà del XIV secolo uno dei più insigni rappresentanti della cultura giuridica universitaria, Bartolo da Sassoferrato, che aveva letto sì e criticato la posizione di Dante, ma che conosceva solo la canzone e non il Convivio, affermerà che ""sub nomine nobilitatis non habemus aliquem specialem tractatum"" (cfr. Borsa 2007, p. 86)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +A DISTRIGARE LO TESTO PERFETTAMENTE SECONDO LA SENTENZA CHE ESSO PORTA,"per chiarire esaustivamente il testo cogliendone il preciso significato'. Con queste parole Dante giustifica l'uso a tutto campo di una tecnica espositiva particolarmente complessa: proprio il fatto che una materia così alta non ha ancora avuto una trattazione autorevole richiede, senza sconti, la strumentazione propria della cultura alta ed universitaria. E' stato giustamente notato che il tema della vera nobiltà di cuore opposta alla nobiltà di lignaggio aveva già appassionato nel tardo Medioevo ampie fasce di intellettuali ed era stato trattato in opere e contesti diversissimi, dai trattati d'amore agli 'specula principum', dalle Summae morali alla lirica guittoniana fino allo stesso Trésor di Brunetto (cfr. Corti 1959). Ma evidentemente gli autori"" per Dante erano altri, quelli della cultura universitaria dove il tema della nobiltà era stato affrontato solo saltuariamente, in relazione a testi aristotelici non centrali come la Politica e la Retorica, oppure nelle disputazioni de quolibet (ai testi di Pietro d' Alvernia e Giovanni Vate citati da Marco Toste - cfr. Toste 2005- sono da aggiungere quelli di Enrico di Gand e di Nicolas de Vaudemont. Vedi Introduzione ). Basterà notare lo spazio assai limitato, in confronto con la trattazione del Convivio, riservato da Egidio Romano alla nozione di vera nobilitas e per di più in un contesto parenetico e non argomentativo (cfr. De regimine principum II iii 18, pp. 391-4). Il quarto trattato del Convivio aspira dunque a raggiungere il livello di questa cultura sia per la 'forma tractatus' (il contenuto), che per la 'forma tractandi' (il metodo) e contemporaneamente a colmarne una lacuna. Ancora verso la metà del XIV secolo uno dei più insigni rappresentanti della cultura giuridica universitaria, Bartolo da Sassoferrato, che aveva letto sì e criticato la posizione di Dante, ma che conosceva solo la canzone e non il Convivio, affermerà che ""sub nomine nobilitatis non habemus aliquem specialem tractatum"" (cfr. Borsa 2007, p. 86)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +A DISTRIGARE LO TESTO PERFETTAMENTE SECONDO LA SENTENZA CHE ESSO PORTA,"per chiarire esaustivamente il testo cogliendone il preciso significato'. Con queste parole Dante giustifica l'uso a tutto campo di una tecnica espositiva particolarmente complessa: proprio il fatto che una materia così alta non ha ancora avuto una trattazione autorevole richiede, senza sconti, la strumentazione propria della cultura alta ed universitaria. E' stato giustamente notato che il tema della vera nobiltà di cuore opposta alla nobiltà di lignaggio aveva già appassionato nel tardo Medioevo ampie fasce di intellettuali ed era stato trattato in opere e contesti diversissimi, dai trattati d'amore agli 'specula principum', dalle Summae morali alla lirica guittoniana fino allo stesso Trésor di Brunetto (cfr. Corti 1959). Ma evidentemente gli autori"" per Dante erano altri, quelli della cultura universitaria dove il tema della nobiltà era stato affrontato solo saltuariamente, in relazione a testi aristotelici non centrali come la Politica e la Retorica, oppure nelle disputazioni de quolibet (ai testi di Pietro d' Alvernia e Giovanni Vate citati da Marco Toste - cfr. Toste 2005- sono da aggiungere quelli di Enrico di Gand e di Nicolas de Vaudemont. Vedi Introduzione ). Basterà notare lo spazio assai limitato, in confronto con la trattazione del Convivio, riservato da Egidio Romano alla nozione di vera nobilitas e per di più in un contesto parenetico e non argomentativo (cfr. De regimine principum II iii 18, pp. 391-4). Il quarto trattato del Convivio aspira dunque a raggiungere il livello di questa cultura sia per la 'forma tractatus' (il contenuto), che per la 'forma tractandi' (il metodo) e contemporaneamente a colmarne una lacuna. Ancora verso la metà del XIV secolo uno dei più insigni rappresentanti della cultura giuridica universitaria, Bartolo da Sassoferrato, che aveva letto sì e criticato la posizione di Dante, ma che conosceva solo la canzone e non il Convivio, affermerà che ""sub nomine nobilitatis non habemus aliquem specialem tractatum"" (cfr. Borsa 2007, p. 86)","II iii 18, pp. 391-4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ANTICA RICCHEZZA E BELLI COSTUMI,"ricchezze da lungo tempo possedute unite a comportamenti cortesi'. Per questa presunta risposta di Federico non è stata individuata alcuna fonte soddisfacente: nell'ambiente della Curia federiciana, così come in un componimento dello stesso Federico, sembra semmai aver avuto corso proprio l'identificazione della nobiltà con la virtù"" personale (cfr. Delle Donne 1999, Peirone 2005). Anche l'affermazione secondo cui la definizione coincide con quella data da Aristotele nel quarto libro della Politica (8, 1294 a 20-22) è vera solo in parte: lo Stagirita infatti parla di 'antica ricchezza', ma non di 'belli costumi', bensì proprio di ""virtù"" (""quod vocant ingenuitatem assequitur duobus: ingenuitas enim est virtus et divitiae antiquae""), anche se, nel libro quinto (1, 1302 a 1) essa verrà specificata come 'virtus generis', dunque non personale, ma tramandata di padre in figlio (""Nobiles esse videntur quibus existunt progenitorum virtus et divitiae"").","quarto libro della Politica (8, 1294 a 20-22)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ANTICA RICCHEZZA E BELLI COSTUMI,"ricchezze da lungo tempo possedute unite a comportamenti cortesi'. Per questa presunta risposta di Federico non è stata individuata alcuna fonte soddisfacente: nell'ambiente della Curia federiciana, così come in un componimento dello stesso Federico, sembra semmai aver avuto corso proprio l'identificazione della nobiltà con la virtù"" personale (cfr. Delle Donne 1999, Peirone 2005). Anche l'affermazione secondo cui la definizione coincide con quella data da Aristotele nel quarto libro della Politica (8, 1294 a 20-22) è vera solo in parte: lo Stagirita infatti parla di 'antica ricchezza', ma non di 'belli costumi', bensì proprio di ""virtù"" (""quod vocant ingenuitatem assequitur duobus: ingenuitas enim est virtus et divitiae antiquae""), anche se, nel libro quinto (1, 1302 a 1) essa verrà specificata come 'virtus generis', dunque non personale, ma tramandata di padre in figlio (""Nobiles esse videntur quibus existunt progenitorum virtus et divitiae"").","libro quinto (1, 1302 a 1)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LATRANO,"abbaiano rabbiosamente' L'immagine del latrare"" sottolinea la violenta irrazionalità con cui l'opinione condannata da Dante viene sostenuta. Cfr. If VI 12-13 ""Cerbero, fiera crudele e diversa / con tre gole caninamente latra"". Che la concezione della nobiltà come 'antiquae divitiae' sia propria della massa è detto dal De regimine principum di Egidio Romano: "" nobilitas secundum communem acceptionem hominum nihil est aliud quam antiquatae divitiae"" (I iv 5, p. 204).","nobilitas secundum communem acceptionem hominum nihil est aliud quam antiquatae divitiae"" (I iv 5, p. 204)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IMPOSSIBILE È ... ESSERE,"è impossibile che sia'. L'affermazione per cui ciò che i più ritengono vero non può essere del tutto falso non si trova alla lettera in Aristotele (ancora una volta il Filosofo per eccellenza). Tuttavia alcuni luoghi aristotelici erano già stati interpretati in questo senso dai commentatori medievale. Per esempio, relativamente alla notazione presente nel De somno et vigilia secondo cui è difficile rifiutare in assoluto l'esistenza di una previsione del futuro mediante i sogni, dato che quasi tutti ne hanno fatto esperienza, Averroè così glossava: ea que sunt famosa apud omnes, aut sunt necessaria secundum totum aut secundum partem; impossibile enim est ut famosum sit falsum secundum totum"" (Compendium de somno et vigilia, p. 95, ll. 31-33 ) e commentando un passo del settimo libro dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele dice che se tutti cercano il piacere, questo è un segno che esso è veramente il bene sommo (VII 13, 1153 b 25-26) Tommaso afferma: ""Illud ... in quod omnes vel plures consentiunt, non potest esse omnino falsum"" (lectio 13, n. 1509).","p. 95, ll. 31-33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Compendium_de_somno_et_vigilia(Averroè),Compendium de somno et vigilia,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IMPOSSIBILE È ... ESSERE,"è impossibile che sia'. L'affermazione per cui ciò che i più ritengono vero non può essere del tutto falso non si trova alla lettera in Aristotele (ancora una volta il Filosofo per eccellenza). Tuttavia alcuni luoghi aristotelici erano già stati interpretati in questo senso dai commentatori medievale. Per esempio, relativamente alla notazione presente nel De somno et vigilia secondo cui è difficile rifiutare in assoluto l'esistenza di una previsione del futuro mediante i sogni, dato che quasi tutti ne hanno fatto esperienza, Averroè così glossava: ea que sunt famosa apud omnes, aut sunt necessaria secundum totum aut secundum partem; impossibile enim est ut famosum sit falsum secundum totum"" (Compendium de somno et vigilia, p. 95, ll. 31-33 ) e commentando un passo del settimo libro dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele dice che se tutti cercano il piacere, questo è un segno che esso è veramente il bene sommo (VII 13, 1153 b 25-26) Tommaso afferma: ""Illud ... in quod omnes vel plures consentiunt, non potest esse omnino falsum"" (lectio 13, n. 1509).","lectio 13, n. 1509",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +È LA NECESSITÀ DELLA UMANA CIVILITADE,"si basa sulla necessità che esista una comunità politica'. Il lemma umana civilitade"" è ripreso alla lettera in Mn I iii 1: ""Nunc autem videndum est quid sit finis totius humane civilitatis"". Il termine civilitas come equivalente al greco politeia, ha poche occorrenze nel lessico dei traduttori latini di Aristotele: cfr. Eth. Nic. II 1, 1103 b 6, sia nella traduzione di Burgundio da Pisa della cosiddetta Ethica Vetus che in quella, posteriore, di Roberto Grossatesta; III 9, 1113 a 8, solo nella traduzione di Burgundio (Roberto utilizza qui il termine urbanitas, ma nel suo commento Tommaso glossa: ""id est civilitas""). Con questo unico termine viene indicato dai commentatori medievali (Alberto, Tommaso, Tolomeo da Lucca) ciò che il pensiero moderno ha distinto: le strutture politiche (lo Stato, la costituzione) e le relazioni interne alla società civile che, nel loro rapporto inscindibile caratterizzano la vita umana rispetto a quella degli animali. Il termine ""civilitade"" era già stato usato in Cv II iv 13 a proposito dell'ordine interno all'universo. Cfr. Minio-Paluello 1993, Rosier-Catach 2011a","II 1, 1103 b 6 sia nella traduzione di Burgundio da Pisa della cosiddetta Ethica Vetus che in quella, posteriore, di Roberto Grossatesta; III 9, 1113 a 8, solo nella traduzione di Burgundio",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VITA FELICE,"cfr. Pol I 1, 1253b 30 Facta quidem igitur civitas vivendi gratia, existens autem gratia bene vivendi"".","1, 1253b 30 Facta quidem igitur civitas vivendi gratia, existens autem gratia bene vivendi",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SATISFARE,"soddisfare'. La concezione dell'uomo come essere dotato di bisogni che la natura non soddisfa immediatamente come avviene per gli altri animali, ma cui si deve ovviare attraverso una collaborazione tra individui, e l'idea che questa sia la radice e l'origine delle varie realtà civili e politiche, non è di stretta ascendenza aristotelica. Essa si trova piuttosto in Tommaso d'Aquino di cui Dante sembra proprio seguire da vicino le espressioni presenti nel Commento all' Etica Nicomachea (I, lectio 1, n. 4) homo naturaliter est animal sociale, utpote qui indiget ad suam vitam multis quae sibi ipse solus praeparare non potest"".","(I, lectio 1, n. 4) homo naturaliter est animal sociale, utpote qui indiget ad suam vitam multis quae sibi ipse solus praeparare non potest",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICE LO FILOSOFO CHE L'UOMO NATURALMENTE È COMPAGNEVOLE ANIMALE,"il termine compagnevole"" non corrisponde del tutto né a civile né a politicum usati alternativamente nelle traduzioni latine dei testi aristotelici là dove parlano dell'uomo come zóon politikón (cfr. ad esempio Pol. I 2, 1253 a 1-3; III 6, 1278 b 19; Eth. Nic. I 7, 1097 b 11; IX 9, 1169 b 18). Il lemma 'animal sociale' che potrebbe aver dato luogo al ""compagnevole"" è presente, come abbiamo appena visto, in un testo di Tommaso che Dante ha avuto sicuramente presente. L'aggettivo ""compagnevole"" viene comunque usato nel volgarizzamento italiano del De regimine principum: ""l'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura"" (p. 127).","I 7, 1097 b 11;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICE LO FILOSOFO CHE L'UOMO NATURALMENTE È COMPAGNEVOLE ANIMALE,"il termine compagnevole"" non corrisponde del tutto né a civile né a politicum usati alternativamente nelle traduzioni latine dei testi aristotelici là dove parlano dell'uomo come zóon politikón (cfr. ad esempio Pol. I 2, 1253 a 1-3; III 6, 1278 b 19; Eth. Nic. I 7, 1097 b 11; IX 9, 1169 b 18). Il lemma 'animal sociale' che potrebbe aver dato luogo al ""compagnevole"" è presente, come abbiamo appena visto, in un testo di Tommaso che Dante ha avuto sicuramente presente. L'aggettivo ""compagnevole"" viene comunque usato nel volgarizzamento italiano del De regimine principum: ""l'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura"" (p. 127).","I 7, 1097 b 11;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICE LO FILOSOFO CHE L'UOMO NATURALMENTE È COMPAGNEVOLE ANIMALE,"il termine compagnevole"" non corrisponde del tutto né a civile né a politicum usati alternativamente nelle traduzioni latine dei testi aristotelici là dove parlano dell'uomo come zóon politikón (cfr. ad esempio Pol. I 2, 1253 a 1-3; III 6, 1278 b 19; Eth. Nic. I 7, 1097 b 11; IX 9, 1169 b 18). Il lemma 'animal sociale' che potrebbe aver dato luogo al ""compagnevole"" è presente, come abbiamo appena visto, in un testo di Tommaso che Dante ha avuto sicuramente presente. L'aggettivo ""compagnevole"" viene comunque usato nel volgarizzamento italiano del De regimine principum: ""l'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura"" (p. 127).","IX 9, 1169 b 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICE LO FILOSOFO CHE L'UOMO NATURALMENTE È COMPAGNEVOLE ANIMALE,"il termine compagnevole"" non corrisponde del tutto né a civile né a politicum usati alternativamente nelle traduzioni latine dei testi aristotelici là dove parlano dell'uomo come zóon politikón (cfr. ad esempio Pol. I 2, 1253 a 1-3; III 6, 1278 b 19; Eth. Nic. I 7, 1097 b 11; IX 9, 1169 b 18). Il lemma 'animal sociale' che potrebbe aver dato luogo al ""compagnevole"" è presente, come abbiamo appena visto, in un testo di Tommaso che Dante ha avuto sicuramente presente. L'aggettivo ""compagnevole"" viene comunque usato nel volgarizzamento italiano del De regimine principum: ""l'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura"" (p. 127).",l'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura (p. 127),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICE LO FILOSOFO CHE L'UOMO NATURALMENTE È COMPAGNEVOLE ANIMALE,"il termine compagnevole"" non corrisponde del tutto né a civile né a politicum usati alternativamente nelle traduzioni latine dei testi aristotelici là dove parlano dell'uomo come zóon politikón (cfr. ad esempio Pol. I 2, 1253 a 1-3; III 6, 1278 b 19; Eth. Nic. I 7, 1097 b 11; IX 9, 1169 b 18). Il lemma 'animal sociale' che potrebbe aver dato luogo al ""compagnevole"" è presente, come abbiamo appena visto, in un testo di Tommaso che Dante ha avuto sicuramente presente. L'aggettivo ""compagnevole"" viene comunque usato nel volgarizzamento italiano del De regimine principum: ""l'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura"" (p. 127).","(I, lectio 1, n. 4) homo naturaliter est animal sociale, utpote qui indiget ad suam vitam multis quae sibi ipse solus praeparare non potest",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CIRCAVICINE,"circonvicine'. In questo paragrafo Dante riassume brevemente il primo capitolo del primo libro della Politica, (1252 a 1 sgg ) in cui Aristotele presenta l'evoluzione naturale dei rapporti politico-sociali, dalla famiglia al villaggio (vicinanza""), che raggiunge nella polis-civitas la pienezza di autosufficienza solo parzialmente realizzata dalle tappe intermedie. Il regno, che per Aristotele è solo una delle forme costituzionali possibili della polis, viene invece introdotto come ultima e più perfetta struttura statuale dalle teorie politiche di molti pensatori tardo medievali che insieme ne registrano l'esistenza, ne fondano filosoficamente la necessità e ne esaltano la funzione, particolarmente per quel che riguarda la monarchia francese (cfr. Renna 1978). Il testo più significativo e il più diffuso, anche in ambienti non universitari è il De regimine principum di Egidio Romano, dedicato a Filippo, erede del trono di Francia, il futuro Filippo il Bello (cfr. III i 5 ""Quod praeter communitatem civitatis, utile fuit in vita humana esse communitatem regni"", pp. 411-2). L' opera di Egidio, certamente nota a Dante, contiene una teoria della formazione del regnum come federazione di civitates in funzione sia della difesa comune che dello scambio di beni cui il Convivio avrebbe potuto ispirarsi.",1252 a 1 sgg,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CIRCAVICINE,"circonvicine'. In questo paragrafo Dante riassume brevemente il primo capitolo del primo libro della Politica, (1252 a 1 sgg ) in cui Aristotele presenta l'evoluzione naturale dei rapporti politico-sociali, dalla famiglia al villaggio (vicinanza""), che raggiunge nella polis-civitas la pienezza di autosufficienza solo parzialmente realizzata dalle tappe intermedie. Il regno, che per Aristotele è solo una delle forme costituzionali possibili della polis, viene invece introdotto come ultima e più perfetta struttura statuale dalle teorie politiche di molti pensatori tardo medievali che insieme ne registrano l'esistenza, ne fondano filosoficamente la necessità e ne esaltano la funzione, particolarmente per quel che riguarda la monarchia francese (cfr. Renna 1978). Il testo più significativo e il più diffuso, anche in ambienti non universitari è il De regimine principum di Egidio Romano, dedicato a Filippo, erede del trono di Francia, il futuro Filippo il Bello (cfr. III i 5 ""Quod praeter communitatem civitatis, utile fuit in vita humana esse communitatem regni"", pp. 411-2). L' opera di Egidio, certamente nota a Dante, contiene una teoria della formazione del regnum come federazione di civitates in funzione sia della difesa comune che dello scambio di beni cui il Convivio avrebbe potuto ispirarsi.","III i 5 ""Quod praeter communitatem civitatis, utile fuit in vita humana esse communitatem regni"", pp. 411-2""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MONARCHIA,"nell'uso attuale il termine si riferisce ad una particolare forma di governo che si specifica in una pluralità di istanze compresenti geograficamente e storicamente (quindi può essere usato anche al plurale: le 'monarchie'europee sono quella inglese, quella olandese etc.). Ed è questo il senso che la tradizione lessicografica, prima con le Etymologiae di Isidoro di Siviglia e poi con le Derivationes di Uguccione, dà al vocabolo latino, di cui quello volgare è un semplice calco (Monarchae sunt qui singularem possident principatum ... Hinc et monarchia dicitur"" IX iii 23, vol. I, s. p. ""Monarcha-e, princeps unius civitatis ... vel unicus princeps in aliquo regno, et inde hec monarchia-chie, eius potestas "" s.v. Archos, A, 312, 5, p. 86 ). Nel linguaggio politico aristotelico monarchia indica un genere di costituzione (il comando di uno solo) che può dare luogo a diverse specie (""regnum, tyrannis, monarchia temperata"") come sottolineeranno ad esempio Pietro d'Alvernia nella continuazione del commento di Tommaso alla Politica e Marsilio da Padova nel Defensor Pacis. Dante gli dà invece il significato di dominio universale (""tutta la terra""). Un precedente potrebbe essere individuato nel Trésor , dove, a proposito dei grandi imperi mondiali (Assiri e Romani) si dice che ciascuno di essi tenne ""la monarchie de tout le monde"" (I XIX 1, p. 36). Occorrenze volgari del termine in questo senso, anteriori o contemporanee di Dante, sono pressoché inesistenti.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +MONARCHIA,"nell'uso attuale il termine si riferisce ad una particolare forma di governo che si specifica in una pluralità di istanze compresenti geograficamente e storicamente (quindi può essere usato anche al plurale: le 'monarchie'europee sono quella inglese, quella olandese etc.). Ed è questo il senso che la tradizione lessicografica, prima con le Etymologiae di Isidoro di Siviglia e poi con le Derivationes di Uguccione, dà al vocabolo latino, di cui quello volgare è un semplice calco (Monarchae sunt qui singularem possident principatum ... Hinc et monarchia dicitur"" IX iii 23, vol. I, s. p. ""Monarcha-e, princeps unius civitatis ... vel unicus princeps in aliquo regno, et inde hec monarchia-chie, eius potestas "" s.v. Archos, A, 312, 5, p. 86 ). Nel linguaggio politico aristotelico monarchia indica un genere di costituzione (il comando di uno solo) che può dare luogo a diverse specie (""regnum, tyrannis, monarchia temperata"") come sottolineeranno ad esempio Pietro d'Alvernia nella continuazione del commento di Tommaso alla Politica e Marsilio da Padova nel Defensor Pacis. Dante gli dà invece il significato di dominio universale (""tutta la terra""). Un precedente potrebbe essere individuato nel Trésor , dove, a proposito dei grandi imperi mondiali (Assiri e Romani) si dice che ciascuno di essi tenne ""la monarchie de tout le monde"" (I XIX 1, p. 36). Occorrenze volgari del termine in questo senso, anteriori o contemporanee di Dante, sono pressoché inesistenti.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +MONARCHIA,"nell'uso attuale il termine si riferisce ad una particolare forma di governo che si specifica in una pluralità di istanze compresenti geograficamente e storicamente (quindi può essere usato anche al plurale: le 'monarchie'europee sono quella inglese, quella olandese etc.). Ed è questo il senso che la tradizione lessicografica, prima con le Etymologiae di Isidoro di Siviglia e poi con le Derivationes di Uguccione, dà al vocabolo latino, di cui quello volgare è un semplice calco (Monarchae sunt qui singularem possident principatum ... Hinc et monarchia dicitur"" IX iii 23, vol. I, s. p. ""Monarcha-e, princeps unius civitatis ... vel unicus princeps in aliquo regno, et inde hec monarchia-chie, eius potestas "" s.v. Archos, A, 312, 5, p. 86 ). Nel linguaggio politico aristotelico monarchia indica un genere di costituzione (il comando di uno solo) che può dare luogo a diverse specie (""regnum, tyrannis, monarchia temperata"") come sottolineeranno ad esempio Pietro d'Alvernia nella continuazione del commento di Tommaso alla Politica e Marsilio da Padova nel Defensor Pacis. Dante gli dà invece il significato di dominio universale (""tutta la terra""). Un precedente potrebbe essere individuato nel Trésor , dove, a proposito dei grandi imperi mondiali (Assiri e Romani) si dice che ciascuno di essi tenne ""la monarchie de tout le monde"" (I XIX 1, p. 36). Occorrenze volgari del termine in questo senso, anteriori o contemporanee di Dante, sono pressoché inesistenti.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MONARCHIA,"nell'uso attuale il termine si riferisce ad una particolare forma di governo che si specifica in una pluralità di istanze compresenti geograficamente e storicamente (quindi può essere usato anche al plurale: le 'monarchie'europee sono quella inglese, quella olandese etc.). Ed è questo il senso che la tradizione lessicografica, prima con le Etymologiae di Isidoro di Siviglia e poi con le Derivationes di Uguccione, dà al vocabolo latino, di cui quello volgare è un semplice calco (Monarchae sunt qui singularem possident principatum ... Hinc et monarchia dicitur"" IX iii 23, vol. I, s. p. ""Monarcha-e, princeps unius civitatis ... vel unicus princeps in aliquo regno, et inde hec monarchia-chie, eius potestas "" s.v. Archos, A, 312, 5, p. 86 ). Nel linguaggio politico aristotelico monarchia indica un genere di costituzione (il comando di uno solo) che può dare luogo a diverse specie (""regnum, tyrannis, monarchia temperata"") come sottolineeranno ad esempio Pietro d'Alvernia nella continuazione del commento di Tommaso alla Politica e Marsilio da Padova nel Defensor Pacis. Dante gli dà invece il significato di dominio universale (""tutta la terra""). Un precedente potrebbe essere individuato nel Trésor , dove, a proposito dei grandi imperi mondiali (Assiri e Romani) si dice che ciascuno di essi tenne ""la monarchie de tout le monde"" (I XIX 1, p. 36). Occorrenze volgari del termine in questo senso, anteriori o contemporanee di Dante, sono pressoché inesistenti.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Continuatio_S.Thomae_in_Politicam,Continuatio S.Thomae in Politicam,Pietro d'Alvernia,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pietro_d_Alvernia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MONARCHIA,"nell'uso attuale il termine si riferisce ad una particolare forma di governo che si specifica in una pluralità di istanze compresenti geograficamente e storicamente (quindi può essere usato anche al plurale: le 'monarchie'europee sono quella inglese, quella olandese etc.). Ed è questo il senso che la tradizione lessicografica, prima con le Etymologiae di Isidoro di Siviglia e poi con le Derivationes di Uguccione, dà al vocabolo latino, di cui quello volgare è un semplice calco (Monarchae sunt qui singularem possident principatum ... Hinc et monarchia dicitur"" IX iii 23, vol. I, s. p. ""Monarcha-e, princeps unius civitatis ... vel unicus princeps in aliquo regno, et inde hec monarchia-chie, eius potestas "" s.v. Archos, A, 312, 5, p. 86 ). Nel linguaggio politico aristotelico monarchia indica un genere di costituzione (il comando di uno solo) che può dare luogo a diverse specie (""regnum, tyrannis, monarchia temperata"") come sottolineeranno ad esempio Pietro d'Alvernia nella continuazione del commento di Tommaso alla Politica e Marsilio da Padova nel Defensor Pacis. Dante gli dà invece il significato di dominio universale (""tutta la terra""). Un precedente potrebbe essere individuato nel Trésor , dove, a proposito dei grandi imperi mondiali (Assiri e Romani) si dice che ciascuno di essi tenne ""la monarchie de tout le monde"" (I XIX 1, p. 36). Occorrenze volgari del termine in questo senso, anteriori o contemporanee di Dante, sono pressoché inesistenti.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +PRENDANO OGNI LORO BISOGNO,"soddisfino ogni loro necessità'. Se nell'assenza di una autorità superiore che tenga a freno i re, la discordia tra regno e regno esercita la sua nefasta influenza su tutte le entità politiche e sociali inferiori fino a render impossibile per l' individuo una vita buona, l'esistenza di un arbitro unico (e quindi privo di ogni stimolo competitivo) è fonte di una pace che pervade tutte le strutture della vita associata ed è così capace di assicurare ai singoli le condizioni necessarie per raggiungere e godere della felicità. Dante sembra qui anticipare l'ideale di un Buon Governo i cui benefici effetti, come negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, si riverberano su ogni aspetto dell'esistenza, solo che si tratta di un governo che riguarda non una singola città, ma l'intero genere umano. Anche i magistri parigini avevano sostenuto che compito della della autorità politica è garantire ai cittadini la possibilità di dedicarsi in pace alla attività intellettuale e all'esercizio delle virtù morali, ma il loro orizzonte era rimasto quello dei conflitti tra le diverse civitates (Propter hoc enim ars militaris ordinata est in civitate a legislatore, ut expulsis hostibus, cives possint vacare virtutibus intellectualibus contemplantes verum et virtutibus moralibus operantes bonum et vivant vitam beatam"" Boezio di Dacia, De summo bono, p. 371, ll. 67-71).","Propter hoc enim ars militaris ordinata est in civitate a legislatore, ut expulsis hostibus, cives possint vacare virtutibus intellectualibus contemplantes verum et virtutibus moralibus operantes bonum et vivant vitam beatam"" Boezio di Dacia, De summo bono, p. 371, ll. 67-71""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PAROLE DEL FILOSOFO... NELLA POLITICA,"anche se il concetto è effettivamente presente in Pol. I, 5, 1254 a 28-31 (Quandocumque ... ex pluribus constituta sunt ... in omnibus videtur principans et subiectum""), il testo di riferimento è sicuramente il proemio del commento di Tommaso alla Metafisica: ""Sicut docet Philosophus in Politicis suis, quando aliqua plura ordinantur ad unum, oportet unum eorum esse regulans, sive regens, et alia regulata sive recta"" (Dante leggeva ""dicit"" al posto di ""docet""?).","Pol. I, 5, 1254 a 28-31 (Quandocumque ... ex pluribus constituta sunt ... in omnibus videtur principans et subiectum"")""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PAROLE DEL FILOSOFO... NELLA POLITICA,"anche se il concetto è effettivamente presente in Pol. I, 5, 1254 a 28-31 (Quandocumque ... ex pluribus constituta sunt ... in omnibus videtur principans et subiectum""), il testo di riferimento è sicuramente il proemio del commento di Tommaso alla Metafisica: ""Sicut docet Philosophus in Politicis suis, quando aliqua plura ordinantur ad unum, oportet unum eorum esse regulans, sive regens, et alia regulata sive recta"" (Dante leggeva ""dicit"" al posto di ""docet""?).","Sicut docet Philosophus in Politicis suis, quando aliqua plura ordinantur ad unum, oportet unum eorum esse regulans, sive regens, et alia regulata sive recta",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ESSERCITI,"cfr. Metaph. XII 10, 1075 a 11-15; 1076 a 3","XII 10, 1075 a 11-15; 1076 a 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +GENTE LATINA,"qui ""gente latina"" vale per gli abitanti dell Italia in generale; il popolo santo che aveva mescolato (""mischiato"") il suo sangue con il sangue nobilissimo (""alto"") dei Troiani sono invece i Latini in senso stretto, che secondo il racconto dell'Eneide, si erano uniti attraverso matrimoni ad Enea ed ai suoi compagni dando origine al popolo romano. Almeno in questo caso, dunque, Dante dà credito alla nobiltà non individuale, ma di stirpe. Sulla nobiltà del sangue di Enea Dante si diffonderà ampiamente in Mn II iii.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +GRANDISSIMA E UMANISSIMA BENIGNITADE,"della mitezza e della eccezionale umana benevolenza (umanissima benignitade"") dimostrata dai Romani verso i popoli soggetti aveva già parlato Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regno di Tommaso, III 6 (""Quomodo Romanis concessum est dominium propter ipsorum civilem benevolentiam"").","III 6 (""Quomodo Romanis concessum est dominium propter ipsorum civilem benevolentiam"")""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DISPOSTO,"predisposto, adatto per natura'. Cfr. Mn II vi 7 Propter quod videmus quod quidam ... populi apti sunt nati principari""; 11 ""Satis persuasum est quod romanus populus a natura ordinatus fuit ad imperandum"". Che alcune razze o popoli fossero per natura disposti al comando era stato già sostenuto da Aristotele nel settimo libro della Politica, ma si trattava in questo caso non dei Romani, ma dei Greci (cfr. Pol. VII 7, 1327 b20 sgg).","VII 7, 1327 b20 sgg",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +A COSTORO ...,"Dante traduce Eneide I 278-279 His ergo nec metas rerum nec tempora pono / Imperium sine fine dedi"". Chi parla è Giove, quel 'sommo Giove' che la Commedia identifica appunto con il Dio cristiano (cfr. If XXXI 91-93 e soprattutto Pg VI 118-119 ""E se licito m'è o sommo Giove / che fosti in terra per noi crucifisso ... "").","I 278-279 His ergo nec metas rerum nec tempora pono / Imperium sine fine dedi""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +CAGIONE [INSTRUMENTALE],"causa strumentale'. Nel modello aristotelico (cfr. Phys. II 3, 194 b 29-31) la causa efficiente è ciò che dà inizio al movimento di generazione di un ente naturale (il padre che genera il figlio) o di produzione di un ente artificiale (lo scultore che scolpisce la statua o, appunto, il fabbro che produce il coltello). In questo secondo caso la causa efficiente si identifica con il progetto consapevole dell'artefice, cioè con il suo pensiero e quindi con la sua anima. Anche se si serve di uno strumento come il martello, il fabbro rimane la vera causa efficiente del coltello. Allo stesso modo un progetto razionale (ragione"") e per di più (""ancora"") divino, è stata la causa primaria dell'impero romano universale, e la forza delle armi è stata solo lo strumento di cui la provvidenza si è servita per raggiungere questo fine. L'esempio del fabbro, del coltello e del martello era già stato usato in Cv I xiii 4.","II 3, 194 b 29-31",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN PERSONA DE LA SAPIENZA,"mettendo queste parole in bocca alla Sapienza'. Cfr. Prv 8, 6 Audite quoniam de rebus magnis locutura sum"".","Prv 8, 6 Audite quoniam de rebus magnis locutura sum""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CHE CIÒ DOVEA COMPIERE,"cioè l'unificazione del mondo sotto un unico comando. Che l'impero di Cesare Augusto, la pace da lui imposta all'orbe ed il censimento universale fossero stati preordinati da Dio in funzione della nascita del Salvatore era stato sostenuto dallo storico cristiano Orosio (cfr. nota a Cv IV v 8).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +MONDISSIMO,"privo di ogni macchia'. La metafora di casa, albergo, dimora che Dante userà di nuovo in Pd XXIII, 103-105 (Io sono amore angelico, che giro / l'alta letizia che spira dal ventre / che fu albergo del nostro disiro"") per indicare la gestazione del Verbo incarnato nel seno di Maria era comune anche nella letteratura volgare del tempo. Già Rabano Mauro aveva detto che i termini thalamus, tabernaculum usati dalla Scrittura potevano essere applicati alla madre di Cristo (Allegoriae in Sacram Scripturam, PL 112, pp. 1062-63).","PL 112, pp. 1062-63",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Allegoriae_in_Universam_Sacram_Scripturam(Rabano_Mauro),Allegoriae in Sacram Scripturam,Rabano Mauro,http://dbpedia.org/resource/Rabanus_Maurus,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica,WORK +DOPO MOLTI MERITI,"probabilmente Dante si riferisce ai meriti degli antenati di Maria, i santi padri dui cui Tommaso dice che ex congruo meruerunt incarnationem desiderando et petendo"" (Summa Theologiae III, q. 2, a. 11).","III, q. 2, a. 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +BALDEZZA ... DELL'UMANA GENERAZIONE,"gioiosa fiducia, allegrezza del genere umano. L'elogio ricalca quello rivolto nella Bibbia a Giuditta Tu gloria Jerusalem, tu laetitia Israel, tu honorificentia populi nostri"" (Idt 15, 10) applicato dalla liturgia alla Vergine'.","Idt 15, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Judith,Libro di Giuditta,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +È SCRITTO IN ISAIA,"cfr: Is. 11.1 Et egredietur virga de radice Jesse, et flos de radice eius ascendet"".","Is. 11.1 Et egredietur virga de radice Jesse, et flos de radice eius ascendet",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +E IESSE FU PADRE,"Dante segue le genealogie di Gesù presenti sia in Matteo (1,1-17) che in Luca (3, 23-38). In realtà in entrambi chi discende da David non è Maria, bensì Giuseppe. Ma nell'esegesi cristiana del testo di Isaia, almeno a partire da San Girolamo, il virgulto che uscirà dalla radice di Jesse è sempre stata identificato con Maria (mentre il fiore indica il Cristo): Nos virgam de radice Jesse sanctam Mariam virginem intelligimus ... et florem dominum Salvatorem"" (PL 24, 144). Aimone di Halberstadt ne dedurrà che Maria stessa è della stirpe di David (""Virga de radice Jesse egressa est, quia virgo Maria ex propagine David orta est"" Commentariorum in Isaiam libri tres II, 11, PL 116, p. 779).","1,1-17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +E IESSE FU PADRE,"Dante segue le genealogie di Gesù presenti sia in Matteo (1,1-17) che in Luca (3, 23-38). In realtà in entrambi chi discende da David non è Maria, bensì Giuseppe. Ma nell'esegesi cristiana del testo di Isaia, almeno a partire da San Girolamo, il virgulto che uscirà dalla radice di Jesse è sempre stata identificato con Maria (mentre il fiore indica il Cristo): Nos virgam de radice Jesse sanctam Mariam virginem intelligimus ... et florem dominum Salvatorem"" (PL 24, 144). Aimone di Halberstadt ne dedurrà che Maria stessa è della stirpe di David (""Virga de radice Jesse egressa est, quia virgo Maria ex propagine David orta est"" Commentariorum in Isaiam libri tres II, 11, PL 116, p. 779).","3, 23-38",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +E IESSE FU PADRE,"Dante segue le genealogie di Gesù presenti sia in Matteo (1,1-17) che in Luca (3, 23-38). In realtà in entrambi chi discende da David non è Maria, bensì Giuseppe. Ma nell'esegesi cristiana del testo di Isaia, almeno a partire da San Girolamo, il virgulto che uscirà dalla radice di Jesse è sempre stata identificato con Maria (mentre il fiore indica il Cristo): Nos virgam de radice Jesse sanctam Mariam virginem intelligimus ... et florem dominum Salvatorem"" (PL 24, 144). Aimone di Halberstadt ne dedurrà che Maria stessa è della stirpe di David (""Virga de radice Jesse egressa est, quia virgo Maria ex propagine David orta est"" Commentariorum in Isaiam libri tres II, 11, PL 116, p. 779).","PL 24, 144",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +E IESSE FU PADRE,"Dante segue le genealogie di Gesù presenti sia in Matteo (1,1-17) che in Luca (3, 23-38). In realtà in entrambi chi discende da David non è Maria, bensì Giuseppe. Ma nell'esegesi cristiana del testo di Isaia, almeno a partire da San Girolamo, il virgulto che uscirà dalla radice di Jesse è sempre stata identificato con Maria (mentre il fiore indica il Cristo): Nos virgam de radice Jesse sanctam Mariam virginem intelligimus ... et florem dominum Salvatorem"" (PL 24, 144). Aimone di Halberstadt ne dedurrà che Maria stessa è della stirpe di David (""Virga de radice Jesse egressa est, quia virgo Maria ex propagine David orta est"" Commentariorum in Isaiam libri tres II, 11, PL 116, p. 779).","II, 11, PL 116, p. 779 (Migne, Patrologia Latina, vol. 116)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentariorum_in_Isaiam_libri_tres(Aimone_di_Halberstadt),Commentariorum in Isaiam libri tres,Aimone di Halberstadt,http://dbpedia.org/resource/Haymo_of_Halberstadt,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +COME TESTIMONIANO LE SCRITTURE,"gli scritti degli storici'. La ricerca di corrispondenze tra la storia sacra biblica e quella profana dei regni terreni, messe per così dire in parallelo, risale almeno al Chronicon di Eusebio di Cesarea tradotto in latino da San Girolamo. Il modello, anche se a volte con variazioni dei calcoli, era stato utilizzato sia da Agostino nel De civitate Dei, sia da Orosio nelle Historiae adversum paganos ed era passato in compilazioni medievali come lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Chronicon_(Jerome),Chronicon,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +COME TESTIMONIANO LE SCRITTURE,"gli scritti degli storici'. La ricerca di corrispondenze tra la storia sacra biblica e quella profana dei regni terreni, messe per così dire in parallelo, risale almeno al Chronicon di Eusebio di Cesarea tradotto in latino da San Girolamo. Il modello, anche se a volte con variazioni dei calcoli, era stato utilizzato sia da Agostino nel De civitate Dei, sia da Orosio nelle Historiae adversum paganos ed era passato in compilazioni medievali come lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Chronicon_(Jerome),Chronicon,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +COME TESTIMONIANO LE SCRITTURE,"gli scritti degli storici'. La ricerca di corrispondenze tra la storia sacra biblica e quella profana dei regni terreni, messe per così dire in parallelo, risale almeno al Chronicon di Eusebio di Cesarea tradotto in latino da San Girolamo. Il modello, anche se a volte con variazioni dei calcoli, era stato utilizzato sia da Agostino nel De civitate Dei, sia da Orosio nelle Historiae adversum paganos ed era passato in compilazioni medievali come lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +COME TESTIMONIANO LE SCRITTURE,"gli scritti degli storici'. La ricerca di corrispondenze tra la storia sacra biblica e quella profana dei regni terreni, messe per così dire in parallelo, risale almeno al Chronicon di Eusebio di Cesarea tradotto in latino da San Girolamo. Il modello, anche se a volte con variazioni dei calcoli, era stato utilizzato sia da Agostino nel De civitate Dei, sia da Orosio nelle Historiae adversum paganos ed era passato in compilazioni medievali come lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +COME TESTIMONIANO LE SCRITTURE,"gli scritti degli storici'. La ricerca di corrispondenze tra la storia sacra biblica e quella profana dei regni terreni, messe per così dire in parallelo, risale almeno al Chronicon di Eusebio di Cesarea tradotto in latino da San Girolamo. Il modello, anche se a volte con variazioni dei calcoli, era stato utilizzato sia da Agostino nel De civitate Dei, sia da Orosio nelle Historiae adversum paganos ed era passato in compilazioni medievali come lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +PER CHE,"per la qual cosa, cioè per il fatto che la nascita di Roma (denominata città santa"", come Gerusalemme) ha coinciso temporalmente con la nascita di Davide, antenato di Cristo, risulta evidente (""manifesto"") che l'esistenza dell'impero romano deriva da scelta divina In realtà i dati cronologici offerti dalle possibili fonti (Orosio, Vincenzo di Beauvais) danno un certo scarto tra i due avvenimenti Ma nel Trésor (I XL 4-5, pp. 74-76) Dante poteva leggere che lo sbarco di Enea aveva di poco preceduto il regno di David, tra la fine della terza e l'inzio della quarta era del mondo: dunque era ben possibile che la conquista del Lazio e la nascita del futuro re di Israele fossero cronologicamente contigue (vedi Scott 1972).","I XL 4-5, pp. 74-76",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +SÌ COME ANCORA PER VIRTÙ DI LORO ARTI LI MATEMATICI POSSONO RITROVARE,"come anche oggi attraverso i metodi esatti della loro scienza gli astrologi possono riscontrare'. Il termine mathematici indicava comunemente, fin da Agostino e da Isidoro di Siviglia, gli astrologi, all'inizio con un' accentuazione decisamente negativa . I mathematici sono quegli astrologi che seguono una scienza superstitiosa"", "" in stellis auguriantur ... siderumque cursu nativitates hominum et mores praedicare (praedicere?) conantur"" (Etymologiae III xxvii 2, vol. I, s.p.). Non è affatto detto che con questo inciso Dante voglia collegare la situazione del cielo al concepimento di Cristo e riportare in qualche modo agli astri quella singolare eccellenza della sua natura umana cui si allude in Cv IV xxiii 10, come afferma il commento di Vasoli, attingendo a Nardi 1967, pp. 52-54.","III xxvii 2, vol. I, s.p.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +LUCA EVANGELISTA,"cfr. Lc 2,1 Exiit edictum a Caesare Augusto ut describeretur universus orbis"". Nelle parole di Luca è centrale, per Dante, la specificazione che il censimento riguardava tutto il mondo abitato ('universus orbis'): esse diventano dunque la testimonianza della universalità dell'Impero romano. Cfr. Mn II viii 14.","Lc 2,1 Exiit edictum a Caesare Augusto ut describeretur universus orbis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +FIA,"sarà'. In quanto universale la pax Augusti potrà esser restaurata ma mai accresciuta. Il collegamento tra la pace per cui fu serrato a Giano il suo delubro"" (Pd VI 81) e la nascita di Cristo, profetizzato da Isaia come principe della pace (cfr. Is 9, 6) era già stato effettuato da Orosio (Historiae adversum paganos VI 22 1, dove leggiamo appunto che Augusto ""cunctis gentibus una pace conpositis, Iani portas ... ipse tunc clausit"")",VI 22 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +OH INEFFABILE E INCOMPRENSIBILE SAPIENZA DI DIO,"l'appello alla incomprensibilità della sapienza divina con cui Paolo chiudeva il cap. 11 della Lettera ai Romani parlando del mistero della vocazione dei Gentili, viene da Dante audacemente usato per parlare del disegno con cui di Dio avrebbe preparato, attraverso i fatti e i personaggi dei Romani, la venuta di suo Figlio sulla terra. Il testo verrà di nuovo citato in Cv IV xxi 6 a proposito dell'infusione nell'uomo dell'anima intellettuale al termine di un lungo processo di formazione ed animazione dell'embrione",con cui Paolo chiudeva il cap. 11 della Lettera ai Romani,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN SIRIA SUSO,"nell'accezione antica ed anche medievale la regione della Siria comprendeva tutto il Medio Oriente, dall'Eufrate ai confini con l'Egitto e inglobava quindi la Palestina. Bisogna poi ricordare che nel Vangelo di Luca si dice che il censimento si svolse mentre Quirino era proconsole (praeses, hegemón in greco) appunto della Siria. Quanto al suso"" riferito alla Siria rispetto al ""qua"" dell'Italia Dante quasi sicuramente aveva presente una delle rappresentazioni cartografiche del mondo detta a T-O con l' Est, e quindi l'Asia e la Siria, nella parte alta della mappa. Cfr. Harley -Woodward 1987, pp. 295 sgg.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ALLA SUA PERFETTISSIMA ETADE,"alla piena maturità' (il predetto imperatore"" è ovviamente Cesare Augusto). Dante applica allo sviluppo di Roma il modello delle quattro età della vita umana così come aveva fatto lo storico Floro, vissuto sotto il principato di Adriano (o secondo un'altra ipotesi, sotto quello di Marco Aurelio) nella introduzione alle sue Epitomae delle Storie di Tito Livio: delle quattro suddivisioni (infantia, adolescentia, juventus, senectus) vengono qui usate solo le prime due, e se l'arco cronologico della prima (l'età dei re) coincide con quello offerto dal suo modello, nel caso della seconda (la adolescentia), mentre Floro la fa terminare con il consolato di Appio Claudio (corrispondente alla piena conquista dell'Italia), Dante la protrae fino al termine dell'età repubblicana, che coincide con il governo non di Ottaviano, ma di Giulio Cesare (vedi al § 12). Bisogna notare che nell' ampia trattazione delle quattro età dell'uomo presente in Cv IV xxiv sgg. Dante non menziona l'infanzia, assorbita nella adolescentia.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +SECONDO L'OPPORTUNITADE DEL PROCEDENTE TEMPO,"rispondendo ai bisogni dei diversi momenti dello sviluppo di Roma'. Nonostante il rimando a Tito Livio Dante dipende direttamente da Floro Epitomae I ii: Haec est prima aetas populi romani et quasi infantia, quam habuit sub regibus septem, quadam fatorum industria tam variis ingenio ut rei publicae ratio et utilitas postulabat"".","I ii: Haec est prima aetas populi romani et quasi infantia, quam habuit sub regibus septem, quadam fatorum industria tam variis ingenio ut rei publicae ratio et utilitas postulabat",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +TROVEREMO LEI ... DIVINI,"ci renderemo conto che Roma è stata innalzata dall'azione di cittadini che superavano le comuni capacità umane'. Il termine divini"" echeggia con tutta probabilità il brano dell' Etica Nicomachea (VII, 1, 1145 a 18-25) in cui Aristotele parla della possibilità che alcuni uomini siano dotati di virtù tanto superiori al normale da potere esser detti divini e che le Auctoritates Aristotelis (p. 241, n.122) così sintetizzano: ""Homines dicuntur fieri dei propter virtutum excellentias""; cfr. nota a Cv III vii 6-7 e IV xx 10.","VII, 1, 1145 a 18-25",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TROVEREMO LEI ... DIVINI,"ci renderemo conto che Roma è stata innalzata dall'azione di cittadini che superavano le comuni capacità umane'. Il termine divini"" echeggia con tutta probabilità il brano dell' Etica Nicomachea (VII, 1, 1145 a 18-25) in cui Aristotele parla della possibilità che alcuni uomini siano dotati di virtù tanto superiori al normale da potere esser detti divini e che le Auctoritates Aristotelis (p. 241, n.122) così sintetizzano: ""Homines dicuntur fieri dei propter virtutum excellentias""; cfr. nota a Cv III vii 6-7 e IV xx 10.","p. 241, n.122 ""Homines dicuntur fieri dei propter virtutum excellentias""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ABBANDONARE,"lasciare'. Si tratta di Caio Fabrizio Luscinio, a proposito del quale Dante sembra aver contaminato diverse fonti: Valerio Massimo, che parla di un tentativo di corruzione da parte dei Sanniti (cfr. Facta et Dicta Memorabilia IV iii 6) e Agostino che aggiunge la proposta fattagli da Pirro di passare dalla sua parte abbandonando Roma (cfr. De civitate Dei V 18, p. 153).",IV iii 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Facta_et_dicta_memorabilia,Facta et dicta memorabilia,Valerio Massimo,http://dbpedia.org/resource/Valerius_Maximus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ABBANDONARE,"lasciare'. Si tratta di Caio Fabrizio Luscinio, a proposito del quale Dante sembra aver contaminato diverse fonti: Valerio Massimo, che parla di un tentativo di corruzione da parte dei Sanniti (cfr. Facta et Dicta Memorabilia IV iii 6) e Agostino che aggiunge la proposta fattagli da Pirro di passare dalla sua parte abbandonando Roma (cfr. De civitate Dei V 18, p. 153).","V 18, p. 153",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DICENDO ... VOLEANO,"la fonte è il De senectute di Cicerone (xvi 55) Curio ad focum sedenti magnum auri pondus Samnites cum attulissent, repudiati sunt; non enim aurum habere praeclarum sibi videri dixit, sed eis qui haberent aurum imperare"". A differenza del testo latino Dante, mette come soggetto della oggettiva i cittadini romani e non Curio stesso. Questo ha fatto pensare che egli abbia contaminato Cicerone con Servio che attribuisce non a Curio, ma a Fabrizio, anche in questo caso in risposta agli ambasciatori dei Sanniti, la frase "" Romanos non aurum habere velle, sed aurum habentibus imperare"" (cfr. Silverstein 1938, pp. 337-8).",xvi 55,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +FALLATO AVEA LO COLPO,"aveva fallito il colpo' (nell'attentato alla vita di Porsenna. Cfr. Floro, Epitomae I iv).",I iv,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +E BRUTO PREDETTO SIMILEMENTE,"e lo stesso si dica di quel Bruto di cui abbiamo parlato prima'. Tito Manlio Torquato e Bruto, il primo consolo"", avevano condannato a morte i propri figli, Torquato perché, nonostante avesse poi vinto, aveva trasgredito l'ordine paterno di non attaccare battaglia contro i Latini (cfr. Floro, Epitomae I ix ; Agostino, De civitate Dei V 18, p. 151), Bruto perché avevano cospirato contro la Repubblica appena nata (cfr. Floro, Epitomae I iii; Agostino, loc. cit.) ).",I ix,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +E BRUTO PREDETTO SIMILEMENTE,"e lo stesso si dica di quel Bruto di cui abbiamo parlato prima'. Tito Manlio Torquato e Bruto, il primo consolo"", avevano condannato a morte i propri figli, Torquato perché, nonostante avesse poi vinto, aveva trasgredito l'ordine paterno di non attaccare battaglia contro i Latini (cfr. Floro, Epitomae I ix ; Agostino, De civitate Dei V 18, p. 151), Bruto perché avevano cospirato contro la Repubblica appena nata (cfr. Floro, Epitomae I iii; Agostino, loc. cit.) ).","V 18, p. 151",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DECI,"membri della stessa famiglia romana che, in diverse circostanze, votarono se stessi alla morte per impetrare dagli Dei la sconfitta dei nemici di Roma. Cfr. Cicerone, De finibus bonorum et malorum II, 19, 61 citato in Mn II v 16. In realtà la dipendenza sembra essere piuttosto da De civitate Dei V 18, p. 152, che parla di 'Decii' al plurale (Se occidendos certis verbis quodam modo consecrantes Decii se devoverunt ut, illis cadentibus ... romanus liberaretur exercitus ..."") mentre Cicerone parla dei singoli membri della famiglia.","II, 19, 61",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DECI,"membri della stessa famiglia romana che, in diverse circostanze, votarono se stessi alla morte per impetrare dagli Dei la sconfitta dei nemici di Roma. Cfr. Cicerone, De finibus bonorum et malorum II, 19, 61 citato in Mn II v 16. In realtà la dipendenza sembra essere piuttosto da De civitate Dei V 18, p. 152, che parla di 'Decii' al plurale (Se occidendos certis verbis quodam modo consecrantes Decii se devoverunt ut, illis cadentibus ... romanus liberaretur exercitus ..."") mentre Cicerone parla dei singoli membri della famiglia.","V 18, p. 152",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DRUSI,"è stato notato come le fonti storiche romane non parlino di nessun membro di questa famiglia come di chi si sia sacrificato per la patria. Nell' Eneide, però, la profezia di Anchise accomuna i Drusi ai Deci (VI 824- 5).",VI 824- 5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +DOPO LA LEGAZIONE RITRATTA,"se diamo a ritrarre"" il senso di ""esporre"" il senso è che Regolo, dopo aver riferito le proposte cartaginesi (""legazione"" nel senso del contenuto dell'ambasceria) sconsigliò i Romani dall'accettarle. Se invece intendiamo ""ritrarre"" come ""ritirarsi"", si alluderebbe al fatto che Regolo formulò il suo parere dopo che gli ambasciatori (""legazione"" nel senso dei componenti dell'ambasceria) si erano ritirati. La fonte è qui sicuramente Valerio Massimo (Facta et dicta memorabilia I 14)controllare: Floro (Epitomae I, xviii) non parla dell'oggetto dell'ambasciata e la trattazione di Agostino (De civitate Dei V 18, p. 153) è completamente diversa.",I 14,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Facta_et_dicta_memorabilia,Facta et dicta memorabilia,Valerio Massimo,http://dbpedia.org/resource/Valerius_Maximus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +CHI DIRÀ ... ALLO ARARE ESSERE RITORNATO,"chi dirà che sia tornato ad arare' (è sottinteso ciò che viene detto dopo per Camillo: sanza divina istigazione"", senza un fortissimo suggerimento divino). La fonte è Floro (cfr. Epitomae, I v ""Redit ad boves rursus triumphalis agricola"").","I v ""Redit ad boves rursus triumphalis agricola""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +CONTRA LI SUOI NIMICI,"contro i Galli, che avevano conquistato Roma (cfr. Floro, Epitomae I xvii).",I xvii,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +SENATORIA AUTORITADE,"autorità del Senato'. Di un secondo esilio di Furio Camillo non parlano né Livio né il suo epitomatore. La fonte sembra essere il Commento di Servio all' Eneide (vedi Renucci 1954, p.16).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarii_in_Vergilii_Aeneidos_libros,Commentarii in Vergilii Aeneidos libros,Servio Mario Onorato,http://dbpedia.org/resource/Maurus_Servius_Honoratus,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/epica_latina_commenti,WORK +O SACRATISSIMO PETTO,"del 'sacro petto' di Catone Uticense aveva parlato Lucano nella Farsaglia (IX 255 erupere ducis sacro de pectore voces"").",IX 255 erupere ducis sacro de pectore voces,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NEL PROEMIO DELLA BIBBIA,"nella prefazione alla sua traduzione della Bibbia'. Si tratta della lettera a Paolino, De studio scripturarum (PL 22, pp. 540-49) che nel Medioevo (ma non nelle edizioni a stampa posteriori alla revisione cinquecentesca della Vulgata) fungeva appunto da prologo all'intera Bibbia tradotta da Girolamo.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epistula_Ad_Paulinum_De_Studio_Scripturarum(Girolamo),Epistula Ad Paulinum De Studio Scripturarum,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica,WORK +POCO,"troppo poco' (cfr. De studio scripturarum, 548: Paulus apostolus ... super quo tacere melius puto quam pauca scribere"").",548: Paulus apostolus ... super quo tacere melius puto quam pauca scribere,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epistula_Ad_Paulinum_De_Studio_Scripturarum(Girolamo),Epistula Ad Paulinum De Studio Scripturarum,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica,WORK +ESSE BRACCIA,"il braccio stesso' (lat. ipsa). Il 'braccio di Dio' è un'immagine assai frequente nel linguaggio biblico per indicare un potente intervento divino. Cfr. ad esempio, Is 40, 10 Dominus in fortitudine veniet et brachium eius dominabitur""; Ps 76, 16 ""Redemisti in brachio tuo populum tuum"" e, soprattutto, nel nuovo Testamento, il Magnificat (Lc, 1 51) ""Fecit potentiam in brachio suo"".","Is 40, 10 Dominus in fortitudine veniet et brachium eius dominabitur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ESSE BRACCIA,"il braccio stesso' (lat. ipsa). Il 'braccio di Dio' è un'immagine assai frequente nel linguaggio biblico per indicare un potente intervento divino. Cfr. ad esempio, Is 40, 10 Dominus in fortitudine veniet et brachium eius dominabitur""; Ps 76, 16 ""Redemisti in brachio tuo populum tuum"" e, soprattutto, nel nuovo Testamento, il Magnificat (Lc, 1 51) ""Fecit potentiam in brachio suo"".","(Lc, 1 51) ""Fecit potentiam in brachio suo""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ESSE BRACCIA,"il braccio stesso' (lat. ipsa). Il 'braccio di Dio' è un'immagine assai frequente nel linguaggio biblico per indicare un potente intervento divino. Cfr. ad esempio, Is 40, 10 Dominus in fortitudine veniet et brachium eius dominabitur""; Ps 76, 16 ""Redemisti in brachio tuo populum tuum"" e, soprattutto, nel nuovo Testamento, il Magnificat (Lc, 1 51) ""Fecit potentiam in brachio suo"".","76, 16 ""Redemisti in brachio tuo populum tuum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NON PUOSE IDDIO LE MANI PROPIE,"non intervenne Dio direttamente'. Anche la 'mano di Dio' è un'espressione biblica, spesso associata alla metafora del braccio. Cfr. Ps 135, 12 Eduxisti Israel de Aegypto in manu potenti et brachio excelso"".","135, 12 Eduxisti Israel de Aegypto in manu potenti et brachio excelso""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DOVE LI ALBANI,si allude all'episodio del duello tra Orazi e Curiazi (cfr. Floro Epitomae I i).,I i,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +FÉ CIÒ SENTIRE,"fece sì che ci se ne accorgesse'. In questo caso le fonti possono essere sia Floro (cfr. Epitomae I vii) che Virgilio (Eneide VIII 655, citato in Mn II iv 8): entrambi infatti, a differenza di Livio, cui pure Dante si riferirà nel luogo già citato del Monarchia, parlano non delle oche, ma dell'oca del Campidoglio (cfr. Moore, p. 275).",I vii,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +FÉ CIÒ SENTIRE,"fece sì che ci se ne accorgesse'. In questo caso le fonti possono essere sia Floro (cfr. Epitomae I vii) che Virgilio (Eneide VIII 655, citato in Mn II iv 8): entrambi infatti, a differenza di Livio, cui pure Dante si riferirà nel luogo già citato del Monarchia, parlano non delle oche, ma dell'oca del Campidoglio (cfr. Moore, p. 275).","VIII 655, citato in Mn II iv 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +TRE MOGGIA D'ANELLA,"tre moggi di anelli, tolti dalle dita dei cavalieri e dei senatori caduti appunto a Canne. Il moggio era ancora ai tempi di Dante una unità di misura di capacità usata per le granaglie, come il latino modius. La fonte è con tutta probabilità Orosio (Historiae adversum paganos IV 16 5).",IV 16 5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +PER LA SUA FRANCHEZZA,per la liberazione di Roma': Anche qui fonte diretta di Dante sembra essere stato Orosio (Historiae adversum paganos IV 16 6).,IV 16 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +CATELLINA,"Lucio Sergio Catilina. Si allude alla congiura di Catilina, scoperta e sventata da Cicerone che in quel momento ricopriva la carica di console. L'episodio è ampiamente narrato nel De coniuratione Catilinae di Sallustio e riassunto nei suoi dati essenziali dall' Epitome di Floro (cfr. Epitomae II xii). Né bisogna dimenticare che la storia di Catilina, della sua fuga in Etruria e dell'ultima battaglia sui monti di Pistoia faceva parte di quel complesso di storie e miti di fondazione delle città toscane ben presenti anche agli 'illitterati'.",II xii,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +OLTRE QUELLO ... APPROVATO,"al di là di quanto è già comunemente detto ed accettato'. Roma riceve da Dante l'appellativo che per tutti richiamava Gerusalemme: quello di città santa (santa cittade""), non per esser stata il luogo del martirio di Pietro (e Paolo) ed essere ora la sede del suo successore, bensì perché culla e base dell'autorità politica più alta, direttamente voluta da Dio. Il discorso, costruito sapientemente su di una serie di anafore (""Chi dirà ... e chi dirà?"" ""E non puose Iddio le mani proprie ... E non puose Iddio le mani?"") ha volutamente una struttura non logico-argomentativa, bensì retorico-persuasiva: come verrà detto nella Monarchia, l'argomento trattato, per sua natura, non permette l'uso di prove rigorose, ma deve fondarsi su 'signa' e 'auctoritates sapientum' (II ii 7). E infatti anche il trattatto latino procede per anafore interrogative (""Nonne Cincinnatus ... nonne Fabricius ... Nonne Brutus ...?"" III v 9, 11,13 ). Tranne Regolo, Curio e i misteriosi Drusi, tutti gli esempi di cittadini ""divini"" presenti nel Convivio passeranno nella Monarchia. Il trattato latino rimaneggerà invece la distinzione operata dal Convivio tra episodi dove Dio si è servito strumentalmente delle virtù degli uomini e avvenimenti in cui è intervenuto direttamente con il suo braccio: porrà i primi come segni indubitabili che nelle sue conquiste il popolo romano ha sempre avuto di mira il bene comune (II v 6 sgg.) mentre definirà apertamente miracoli i secondi (farà così ricorso alla misteriosa caduta dal cielo degli scudi ancili ed alla tempesta di grandine che impedì ad Annibale di impadronirsi di Roma, non presenti nel Convivio. Cfr. Mn II.iv). Come abbiamo visto, Dante attinge le sue notizie essenzialmente da Floro e, in parte, da Valerio Massimo. L'uso di Agostino (e anche di Orosio) merita un discorso particolare: nel cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei il vescovo di Ippona aveva presentato la stessa galleria di personaggi e di gesta che troviamo esaltati nel Convivio: Bruto, Torquato, Camillo, Muzio Scevola, Attilio Regolo, Cincinnato, i Deci ... Per Agostino essi avevano sì un valore paradigmatico, ma solo nel senso che, legati all' ottica puramente umana della città terrena, incitavano i cristiani a riflettere su ""quanta dilectio debeatur supernae patriae propter vitam aeternam, si tantum a suis civibus terrena dilecta est propter hominum gloria"" (De civitate Dei V 16 , p. 149) Si trattava, insomma, di ombre di virtù, e se l'impero romano era stato voluto da Dio, questo non comportava nessun privilegio rispetto agli altri che l'avevano preceduto; non solo quindi ""quando voluit"", ma anche ""quantum voluit"", il che nell'ottica di Agostino indica un periodo limitato, in cui il potere conferito ad un individuo o a un popolo non ha alcuna relazione con i suoi meriti, ma solo con l'imperscrutabile volontà divina (cfr. De civitate Dei V 2, p. 157). Per Dante, invece, fin dal Convivio,questi episodi diventano segni, doni e strumenti di una Provvidenza divina, che parla attraverso la bocca di Virgilio quando promette ai Romani, a differenza degli altri popoli, un dominio senza limiti spaziali e temporali. Peraltro, qualche anno prima di Dante, Tolomeo da Lucca nella sua continuazione del De regno di Tommaso aveva messo una analoga esaltazione delle virtù romane proprio sotto l'egida del cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei (cfr. Silverstein 1938, pp. 326-30). Per il domenicano lucchese il vescovo di Ippona, narrando con approvazione quegli episodi , riconosceva una divina legittimità dell'Impero romano (""multa similia ibidem dicit, per quae definire videtur eorum dominium fuisse legitimum et eis a Deo collatum"") Questo poteva avvenire solo attraverso un completo stravolgimento della posizione di Agostino, facendo dell' amor patriae dei Romani non un aspetto del vano amore di gloria proprio dei migliori cittadini della città terrena, ma addirittura la più alta manifestazione della charitas, meritevole di ricevere in premio il più alto grado di onore, e cioè il dominio universale (De regno III, 4)",De civitate Dei V 16,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +OLTRE QUELLO ... APPROVATO,"al di là di quanto è già comunemente detto ed accettato'. Roma riceve da Dante l'appellativo che per tutti richiamava Gerusalemme: quello di città santa (santa cittade""), non per esser stata il luogo del martirio di Pietro (e Paolo) ed essere ora la sede del suo successore, bensì perché culla e base dell'autorità politica più alta, direttamente voluta da Dio. Il discorso, costruito sapientemente su di una serie di anafore (""Chi dirà ... e chi dirà?"" ""E non puose Iddio le mani proprie ... E non puose Iddio le mani?"") ha volutamente una struttura non logico-argomentativa, bensì retorico-persuasiva: come verrà detto nella Monarchia, l'argomento trattato, per sua natura, non permette l'uso di prove rigorose, ma deve fondarsi su 'signa' e 'auctoritates sapientum' (II ii 7). E infatti anche il trattatto latino procede per anafore interrogative (""Nonne Cincinnatus ... nonne Fabricius ... Nonne Brutus ...?"" III v 9, 11,13 ). Tranne Regolo, Curio e i misteriosi Drusi, tutti gli esempi di cittadini ""divini"" presenti nel Convivio passeranno nella Monarchia. Il trattato latino rimaneggerà invece la distinzione operata dal Convivio tra episodi dove Dio si è servito strumentalmente delle virtù degli uomini e avvenimenti in cui è intervenuto direttamente con il suo braccio: porrà i primi come segni indubitabili che nelle sue conquiste il popolo romano ha sempre avuto di mira il bene comune (II v 6 sgg.) mentre definirà apertamente miracoli i secondi (farà così ricorso alla misteriosa caduta dal cielo degli scudi ancili ed alla tempesta di grandine che impedì ad Annibale di impadronirsi di Roma, non presenti nel Convivio. Cfr. Mn II.iv). Come abbiamo visto, Dante attinge le sue notizie essenzialmente da Floro e, in parte, da Valerio Massimo. L'uso di Agostino (e anche di Orosio) merita un discorso particolare: nel cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei il vescovo di Ippona aveva presentato la stessa galleria di personaggi e di gesta che troviamo esaltati nel Convivio: Bruto, Torquato, Camillo, Muzio Scevola, Attilio Regolo, Cincinnato, i Deci ... Per Agostino essi avevano sì un valore paradigmatico, ma solo nel senso che, legati all' ottica puramente umana della città terrena, incitavano i cristiani a riflettere su ""quanta dilectio debeatur supernae patriae propter vitam aeternam, si tantum a suis civibus terrena dilecta est propter hominum gloria"" (De civitate Dei V 16 , p. 149) Si trattava, insomma, di ombre di virtù, e se l'impero romano era stato voluto da Dio, questo non comportava nessun privilegio rispetto agli altri che l'avevano preceduto; non solo quindi ""quando voluit"", ma anche ""quantum voluit"", il che nell'ottica di Agostino indica un periodo limitato, in cui il potere conferito ad un individuo o a un popolo non ha alcuna relazione con i suoi meriti, ma solo con l'imperscrutabile volontà divina (cfr. De civitate Dei V 2, p. 157). Per Dante, invece, fin dal Convivio,questi episodi diventano segni, doni e strumenti di una Provvidenza divina, che parla attraverso la bocca di Virgilio quando promette ai Romani, a differenza degli altri popoli, un dominio senza limiti spaziali e temporali. Peraltro, qualche anno prima di Dante, Tolomeo da Lucca nella sua continuazione del De regno di Tommaso aveva messo una analoga esaltazione delle virtù romane proprio sotto l'egida del cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei (cfr. Silverstein 1938, pp. 326-30). Per il domenicano lucchese il vescovo di Ippona, narrando con approvazione quegli episodi , riconosceva una divina legittimità dell'Impero romano (""multa similia ibidem dicit, per quae definire videtur eorum dominium fuisse legitimum et eis a Deo collatum"") Questo poteva avvenire solo attraverso un completo stravolgimento della posizione di Agostino, facendo dell' amor patriae dei Romani non un aspetto del vano amore di gloria proprio dei migliori cittadini della città terrena, ma addirittura la più alta manifestazione della charitas, meritevole di ricevere in premio il più alto grado di onore, e cioè il dominio universale (De regno III, 4)","V 2, p. 157",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +OLTRE QUELLO ... APPROVATO,"al di là di quanto è già comunemente detto ed accettato'. Roma riceve da Dante l'appellativo che per tutti richiamava Gerusalemme: quello di città santa (santa cittade""), non per esser stata il luogo del martirio di Pietro (e Paolo) ed essere ora la sede del suo successore, bensì perché culla e base dell'autorità politica più alta, direttamente voluta da Dio. Il discorso, costruito sapientemente su di una serie di anafore (""Chi dirà ... e chi dirà?"" ""E non puose Iddio le mani proprie ... E non puose Iddio le mani?"") ha volutamente una struttura non logico-argomentativa, bensì retorico-persuasiva: come verrà detto nella Monarchia, l'argomento trattato, per sua natura, non permette l'uso di prove rigorose, ma deve fondarsi su 'signa' e 'auctoritates sapientum' (II ii 7). E infatti anche il trattatto latino procede per anafore interrogative (""Nonne Cincinnatus ... nonne Fabricius ... Nonne Brutus ...?"" III v 9, 11,13 ). Tranne Regolo, Curio e i misteriosi Drusi, tutti gli esempi di cittadini ""divini"" presenti nel Convivio passeranno nella Monarchia. Il trattato latino rimaneggerà invece la distinzione operata dal Convivio tra episodi dove Dio si è servito strumentalmente delle virtù degli uomini e avvenimenti in cui è intervenuto direttamente con il suo braccio: porrà i primi come segni indubitabili che nelle sue conquiste il popolo romano ha sempre avuto di mira il bene comune (II v 6 sgg.) mentre definirà apertamente miracoli i secondi (farà così ricorso alla misteriosa caduta dal cielo degli scudi ancili ed alla tempesta di grandine che impedì ad Annibale di impadronirsi di Roma, non presenti nel Convivio. Cfr. Mn II.iv). Come abbiamo visto, Dante attinge le sue notizie essenzialmente da Floro e, in parte, da Valerio Massimo. L'uso di Agostino (e anche di Orosio) merita un discorso particolare: nel cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei il vescovo di Ippona aveva presentato la stessa galleria di personaggi e di gesta che troviamo esaltati nel Convivio: Bruto, Torquato, Camillo, Muzio Scevola, Attilio Regolo, Cincinnato, i Deci ... Per Agostino essi avevano sì un valore paradigmatico, ma solo nel senso che, legati all' ottica puramente umana della città terrena, incitavano i cristiani a riflettere su ""quanta dilectio debeatur supernae patriae propter vitam aeternam, si tantum a suis civibus terrena dilecta est propter hominum gloria"" (De civitate Dei V 16 , p. 149) Si trattava, insomma, di ombre di virtù, e se l'impero romano era stato voluto da Dio, questo non comportava nessun privilegio rispetto agli altri che l'avevano preceduto; non solo quindi ""quando voluit"", ma anche ""quantum voluit"", il che nell'ottica di Agostino indica un periodo limitato, in cui il potere conferito ad un individuo o a un popolo non ha alcuna relazione con i suoi meriti, ma solo con l'imperscrutabile volontà divina (cfr. De civitate Dei V 2, p. 157). Per Dante, invece, fin dal Convivio,questi episodi diventano segni, doni e strumenti di una Provvidenza divina, che parla attraverso la bocca di Virgilio quando promette ai Romani, a differenza degli altri popoli, un dominio senza limiti spaziali e temporali. Peraltro, qualche anno prima di Dante, Tolomeo da Lucca nella sua continuazione del De regno di Tommaso aveva messo una analoga esaltazione delle virtù romane proprio sotto l'egida del cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei (cfr. Silverstein 1938, pp. 326-30). Per il domenicano lucchese il vescovo di Ippona, narrando con approvazione quegli episodi , riconosceva una divina legittimità dell'Impero romano (""multa similia ibidem dicit, per quae definire videtur eorum dominium fuisse legitimum et eis a Deo collatum"") Questo poteva avvenire solo attraverso un completo stravolgimento della posizione di Agostino, facendo dell' amor patriae dei Romani non un aspetto del vano amore di gloria proprio dei migliori cittadini della città terrena, ma addirittura la più alta manifestazione della charitas, meritevole di ricevere in premio il più alto grado di onore, e cioè il dominio universale (De regno III, 4)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Facta_et_dicta_memorabilia,Facta et dicta memorabilia,Valerio Massimo,http://dbpedia.org/resource/Valerius_Maximus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +OLTRE QUELLO ... APPROVATO,"al di là di quanto è già comunemente detto ed accettato'. Roma riceve da Dante l'appellativo che per tutti richiamava Gerusalemme: quello di città santa (santa cittade""), non per esser stata il luogo del martirio di Pietro (e Paolo) ed essere ora la sede del suo successore, bensì perché culla e base dell'autorità politica più alta, direttamente voluta da Dio. Il discorso, costruito sapientemente su di una serie di anafore (""Chi dirà ... e chi dirà?"" ""E non puose Iddio le mani proprie ... E non puose Iddio le mani?"") ha volutamente una struttura non logico-argomentativa, bensì retorico-persuasiva: come verrà detto nella Monarchia, l'argomento trattato, per sua natura, non permette l'uso di prove rigorose, ma deve fondarsi su 'signa' e 'auctoritates sapientum' (II ii 7). E infatti anche il trattatto latino procede per anafore interrogative (""Nonne Cincinnatus ... nonne Fabricius ... Nonne Brutus ...?"" III v 9, 11,13 ). Tranne Regolo, Curio e i misteriosi Drusi, tutti gli esempi di cittadini ""divini"" presenti nel Convivio passeranno nella Monarchia. Il trattato latino rimaneggerà invece la distinzione operata dal Convivio tra episodi dove Dio si è servito strumentalmente delle virtù degli uomini e avvenimenti in cui è intervenuto direttamente con il suo braccio: porrà i primi come segni indubitabili che nelle sue conquiste il popolo romano ha sempre avuto di mira il bene comune (II v 6 sgg.) mentre definirà apertamente miracoli i secondi (farà così ricorso alla misteriosa caduta dal cielo degli scudi ancili ed alla tempesta di grandine che impedì ad Annibale di impadronirsi di Roma, non presenti nel Convivio. Cfr. Mn II.iv). Come abbiamo visto, Dante attinge le sue notizie essenzialmente da Floro e, in parte, da Valerio Massimo. L'uso di Agostino (e anche di Orosio) merita un discorso particolare: nel cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei il vescovo di Ippona aveva presentato la stessa galleria di personaggi e di gesta che troviamo esaltati nel Convivio: Bruto, Torquato, Camillo, Muzio Scevola, Attilio Regolo, Cincinnato, i Deci ... Per Agostino essi avevano sì un valore paradigmatico, ma solo nel senso che, legati all' ottica puramente umana della città terrena, incitavano i cristiani a riflettere su ""quanta dilectio debeatur supernae patriae propter vitam aeternam, si tantum a suis civibus terrena dilecta est propter hominum gloria"" (De civitate Dei V 16 , p. 149) Si trattava, insomma, di ombre di virtù, e se l'impero romano era stato voluto da Dio, questo non comportava nessun privilegio rispetto agli altri che l'avevano preceduto; non solo quindi ""quando voluit"", ma anche ""quantum voluit"", il che nell'ottica di Agostino indica un periodo limitato, in cui il potere conferito ad un individuo o a un popolo non ha alcuna relazione con i suoi meriti, ma solo con l'imperscrutabile volontà divina (cfr. De civitate Dei V 2, p. 157). Per Dante, invece, fin dal Convivio,questi episodi diventano segni, doni e strumenti di una Provvidenza divina, che parla attraverso la bocca di Virgilio quando promette ai Romani, a differenza degli altri popoli, un dominio senza limiti spaziali e temporali. Peraltro, qualche anno prima di Dante, Tolomeo da Lucca nella sua continuazione del De regno di Tommaso aveva messo una analoga esaltazione delle virtù romane proprio sotto l'egida del cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei (cfr. Silverstein 1938, pp. 326-30). Per il domenicano lucchese il vescovo di Ippona, narrando con approvazione quegli episodi , riconosceva una divina legittimità dell'Impero romano (""multa similia ibidem dicit, per quae definire videtur eorum dominium fuisse legitimum et eis a Deo collatum"") Questo poteva avvenire solo attraverso un completo stravolgimento della posizione di Agostino, facendo dell' amor patriae dei Romani non un aspetto del vano amore di gloria proprio dei migliori cittadini della città terrena, ma addirittura la più alta manifestazione della charitas, meritevole di ricevere in premio il più alto grado di onore, e cioè il dominio universale (De regno III, 4)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +OLTRE QUELLO ... APPROVATO,"al di là di quanto è già comunemente detto ed accettato'. Roma riceve da Dante l'appellativo che per tutti richiamava Gerusalemme: quello di città santa (santa cittade""), non per esser stata il luogo del martirio di Pietro (e Paolo) ed essere ora la sede del suo successore, bensì perché culla e base dell'autorità politica più alta, direttamente voluta da Dio. Il discorso, costruito sapientemente su di una serie di anafore (""Chi dirà ... e chi dirà?"" ""E non puose Iddio le mani proprie ... E non puose Iddio le mani?"") ha volutamente una struttura non logico-argomentativa, bensì retorico-persuasiva: come verrà detto nella Monarchia, l'argomento trattato, per sua natura, non permette l'uso di prove rigorose, ma deve fondarsi su 'signa' e 'auctoritates sapientum' (II ii 7). E infatti anche il trattatto latino procede per anafore interrogative (""Nonne Cincinnatus ... nonne Fabricius ... Nonne Brutus ...?"" III v 9, 11,13 ). Tranne Regolo, Curio e i misteriosi Drusi, tutti gli esempi di cittadini ""divini"" presenti nel Convivio passeranno nella Monarchia. Il trattato latino rimaneggerà invece la distinzione operata dal Convivio tra episodi dove Dio si è servito strumentalmente delle virtù degli uomini e avvenimenti in cui è intervenuto direttamente con il suo braccio: porrà i primi come segni indubitabili che nelle sue conquiste il popolo romano ha sempre avuto di mira il bene comune (II v 6 sgg.) mentre definirà apertamente miracoli i secondi (farà così ricorso alla misteriosa caduta dal cielo degli scudi ancili ed alla tempesta di grandine che impedì ad Annibale di impadronirsi di Roma, non presenti nel Convivio. Cfr. Mn II.iv). Come abbiamo visto, Dante attinge le sue notizie essenzialmente da Floro e, in parte, da Valerio Massimo. L'uso di Agostino (e anche di Orosio) merita un discorso particolare: nel cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei il vescovo di Ippona aveva presentato la stessa galleria di personaggi e di gesta che troviamo esaltati nel Convivio: Bruto, Torquato, Camillo, Muzio Scevola, Attilio Regolo, Cincinnato, i Deci ... Per Agostino essi avevano sì un valore paradigmatico, ma solo nel senso che, legati all' ottica puramente umana della città terrena, incitavano i cristiani a riflettere su ""quanta dilectio debeatur supernae patriae propter vitam aeternam, si tantum a suis civibus terrena dilecta est propter hominum gloria"" (De civitate Dei V 16 , p. 149) Si trattava, insomma, di ombre di virtù, e se l'impero romano era stato voluto da Dio, questo non comportava nessun privilegio rispetto agli altri che l'avevano preceduto; non solo quindi ""quando voluit"", ma anche ""quantum voluit"", il che nell'ottica di Agostino indica un periodo limitato, in cui il potere conferito ad un individuo o a un popolo non ha alcuna relazione con i suoi meriti, ma solo con l'imperscrutabile volontà divina (cfr. De civitate Dei V 2, p. 157). Per Dante, invece, fin dal Convivio,questi episodi diventano segni, doni e strumenti di una Provvidenza divina, che parla attraverso la bocca di Virgilio quando promette ai Romani, a differenza degli altri popoli, un dominio senza limiti spaziali e temporali. Peraltro, qualche anno prima di Dante, Tolomeo da Lucca nella sua continuazione del De regno di Tommaso aveva messo una analoga esaltazione delle virtù romane proprio sotto l'egida del cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei (cfr. Silverstein 1938, pp. 326-30). Per il domenicano lucchese il vescovo di Ippona, narrando con approvazione quegli episodi , riconosceva una divina legittimità dell'Impero romano (""multa similia ibidem dicit, per quae definire videtur eorum dominium fuisse legitimum et eis a Deo collatum"") Questo poteva avvenire solo attraverso un completo stravolgimento della posizione di Agostino, facendo dell' amor patriae dei Romani non un aspetto del vano amore di gloria proprio dei migliori cittadini della città terrena, ma addirittura la più alta manifestazione della charitas, meritevole di ricevere in premio il più alto grado di onore, e cioè il dominio universale (De regno III, 4)","III, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AUIEO,"del verbo viere (presente anche nella forma aviere) abbiamo testimonianza solo negli eruditi e nei grammatici latini (in Varrone, che cita un verso perduto di Ennio, in Festo e Nonio). Da qui, tramite Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vii 3, vol. I, s.p.) passa nei lessici medievali più usati: il Catholicon di Pietro Balbi e soprattutto le Derivationes Magnae di Uguccione da Pisa. Proprio dalle Derivationes, come è esplicitamente detto nel paragrafo 5 di questo stesso capitolo, Dante ricava le sue conoscenze in materia. Il termine avientes"" per indicare gli autori di composizioni in versi, contrapposti ai ""prosaycantes"", è usato nel De vulgari eloquentia II i 2.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +LEGARE PAROLE,"in realtà il verbo di per sé significherebbe semplicemente legare"", ma già in Varrone e poi in Uguccione esso specifica quel particolare legame che i poeti operano mediante il metro e la rima (cfr. Derivationes, s.v. Vieo, U 25, 2, p. 1272).","s.v. Vieo, U 25, 2, p. 1272",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +DERIVAZIONI,"si tratta, come abbiamo già avuto modo di accennare, delle Derivationes magnae, una monumentale opera lessicografica composta verso la fine del XII secolo dal canonista pisano Uguccione. Diventata il dizionario più utilizzato nel tardo Medioevo. Essa, come dice il titolo stesso, tratta il significato delle parole derivandolo da radici comuni (spesso fantasiose). Nel testo che, come i vocabolari moderni, segue l'ordine alfabetico la voce Augeo, da cui derivano auctor e autor, è effettivamente la prima (A 1, 1, p. 5).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +AUTENTIN,"si tratta della traslitterazione del termine greco authentes, che tra i vari significati, indica anche chi agisce da sé, come padrone assoluto e che Uguccione interpreta come la radice da cui derivano non solo autor, ma anche autenticus, autorizo etc.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +OPERARII E ARTEFICI DI DIVERSE ARTI E OPERAZIONI,"cfr. la versione latina di Eth. Nic. I 1, 1094 a 6-8 multis autem autem operacionibus entibus et artibus"". (Translatio Grosseteste.Textus purus, p. 141, l. 12) dove operacio (""operazioni"", ""operarii"") sta per azione etico-politica (in greco praxis) e ars (""artefici"" ""arti"") sta per attività produttiva (in greco techne). Il concetto di una molteplicità di attività o di produzioni ordinate ad una attività o ad una produzione che funge da fine, su cui Aristotele fonda l' idea di un fine ultimo cui tutte le operazioni umane siano subordinate (cfr. Eth. Nic. I 1-2) viene usato da Dante per dimostrare la superiorità e l'eccellenza di chi esercita questa attività ""finale"": esso deve essere assolutamente (""massimamente"") obbedito e creduto in quanto è l'unico (""solo"") che ha presente (""considera"") lo scopo ultimo cui gli scopi delle altre attività sono subordinati (""l'ultimo fine di tutti li altri fini""). L'esempio del cavaliere deriva anch'esso dallo scritto aristotelico (cfr. Eth Nic. I 1, 1094 a 10-11), ma in Dante la semplice equitazione greca (ippiké, ars equestris) diventa la medievale cavalleria e a chi l'esercita, il cavaliere, deve obbedire (""credere"") non solo chi fabbrica morsi e briglie (""lo frenaio"", cioè chi esercita l' ars frenefactiva della traduzione latina dell' Etica), ma anche chi fabbrica selle (""sellaio""), spade (""spadaio"") e scudi (""scudaio""), arnesi del tutto assenti dal testo aristotelico: il commento di Tommaso, dal canto suo, introduce sì le selle, inesistenti per l'ippica greca, ma non gli scudi né le spade. Queste ultime sono invece presenti nella traduzione di Taddeo Alderotti della Summa Alexandrinorum (vedi Gentili 2006, p. 262). L'obbedienza dei produttori di briglie, selle etc. al cavaliere presuppone ovviamente una forma di produzione artigianale regolata dalle esigenze dei committenti.","I 1, 1094 a 6-8 multis autem autem operacionibus entibus et artibus"". (Translatio Grosseteste.Textus purus, p. 141, l. 12)""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OPERARII E ARTEFICI DI DIVERSE ARTI E OPERAZIONI,"cfr. la versione latina di Eth. Nic. I 1, 1094 a 6-8 multis autem autem operacionibus entibus et artibus"". (Translatio Grosseteste.Textus purus, p. 141, l. 12) dove operacio (""operazioni"", ""operarii"") sta per azione etico-politica (in greco praxis) e ars (""artefici"" ""arti"") sta per attività produttiva (in greco techne). Il concetto di una molteplicità di attività o di produzioni ordinate ad una attività o ad una produzione che funge da fine, su cui Aristotele fonda l' idea di un fine ultimo cui tutte le operazioni umane siano subordinate (cfr. Eth. Nic. I 1-2) viene usato da Dante per dimostrare la superiorità e l'eccellenza di chi esercita questa attività ""finale"": esso deve essere assolutamente (""massimamente"") obbedito e creduto in quanto è l'unico (""solo"") che ha presente (""considera"") lo scopo ultimo cui gli scopi delle altre attività sono subordinati (""l'ultimo fine di tutti li altri fini""). L'esempio del cavaliere deriva anch'esso dallo scritto aristotelico (cfr. Eth Nic. I 1, 1094 a 10-11), ma in Dante la semplice equitazione greca (ippiké, ars equestris) diventa la medievale cavalleria e a chi l'esercita, il cavaliere, deve obbedire (""credere"") non solo chi fabbrica morsi e briglie (""lo frenaio"", cioè chi esercita l' ars frenefactiva della traduzione latina dell' Etica), ma anche chi fabbrica selle (""sellaio""), spade (""spadaio"") e scudi (""scudaio""), arnesi del tutto assenti dal testo aristotelico: il commento di Tommaso, dal canto suo, introduce sì le selle, inesistenti per l'ippica greca, ma non gli scudi né le spade. Queste ultime sono invece presenti nella traduzione di Taddeo Alderotti della Summa Alexandrinorum (vedi Gentili 2006, p. 262). L'obbedienza dei produttori di briglie, selle etc. al cavaliere presuppone ovviamente una forma di produzione artigianale regolata dalle esigenze dei committenti.",I 1-2,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OPERARII E ARTEFICI DI DIVERSE ARTI E OPERAZIONI,"cfr. la versione latina di Eth. Nic. I 1, 1094 a 6-8 multis autem autem operacionibus entibus et artibus"". (Translatio Grosseteste.Textus purus, p. 141, l. 12) dove operacio (""operazioni"", ""operarii"") sta per azione etico-politica (in greco praxis) e ars (""artefici"" ""arti"") sta per attività produttiva (in greco techne). Il concetto di una molteplicità di attività o di produzioni ordinate ad una attività o ad una produzione che funge da fine, su cui Aristotele fonda l' idea di un fine ultimo cui tutte le operazioni umane siano subordinate (cfr. Eth. Nic. I 1-2) viene usato da Dante per dimostrare la superiorità e l'eccellenza di chi esercita questa attività ""finale"": esso deve essere assolutamente (""massimamente"") obbedito e creduto in quanto è l'unico (""solo"") che ha presente (""considera"") lo scopo ultimo cui gli scopi delle altre attività sono subordinati (""l'ultimo fine di tutti li altri fini""). L'esempio del cavaliere deriva anch'esso dallo scritto aristotelico (cfr. Eth Nic. I 1, 1094 a 10-11), ma in Dante la semplice equitazione greca (ippiké, ars equestris) diventa la medievale cavalleria e a chi l'esercita, il cavaliere, deve obbedire (""credere"") non solo chi fabbrica morsi e briglie (""lo frenaio"", cioè chi esercita l' ars frenefactiva della traduzione latina dell' Etica), ma anche chi fabbrica selle (""sellaio""), spade (""spadaio"") e scudi (""scudaio""), arnesi del tutto assenti dal testo aristotelico: il commento di Tommaso, dal canto suo, introduce sì le selle, inesistenti per l'ippica greca, ma non gli scudi né le spade. Queste ultime sono invece presenti nella traduzione di Taddeo Alderotti della Summa Alexandrinorum (vedi Gentili 2006, p. 262). L'obbedienza dei produttori di briglie, selle etc. al cavaliere presuppone ovviamente una forma di produzione artigianale regolata dalle esigenze dei committenti.","I 1, 1094 a 10-11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OPERARII E ARTEFICI DI DIVERSE ARTI E OPERAZIONI,"cfr. la versione latina di Eth. Nic. I 1, 1094 a 6-8 multis autem autem operacionibus entibus et artibus"". (Translatio Grosseteste.Textus purus, p. 141, l. 12) dove operacio (""operazioni"", ""operarii"") sta per azione etico-politica (in greco praxis) e ars (""artefici"" ""arti"") sta per attività produttiva (in greco techne). Il concetto di una molteplicità di attività o di produzioni ordinate ad una attività o ad una produzione che funge da fine, su cui Aristotele fonda l' idea di un fine ultimo cui tutte le operazioni umane siano subordinate (cfr. Eth. Nic. I 1-2) viene usato da Dante per dimostrare la superiorità e l'eccellenza di chi esercita questa attività ""finale"": esso deve essere assolutamente (""massimamente"") obbedito e creduto in quanto è l'unico (""solo"") che ha presente (""considera"") lo scopo ultimo cui gli scopi delle altre attività sono subordinati (""l'ultimo fine di tutti li altri fini""). L'esempio del cavaliere deriva anch'esso dallo scritto aristotelico (cfr. Eth Nic. I 1, 1094 a 10-11), ma in Dante la semplice equitazione greca (ippiké, ars equestris) diventa la medievale cavalleria e a chi l'esercita, il cavaliere, deve obbedire (""credere"") non solo chi fabbrica morsi e briglie (""lo frenaio"", cioè chi esercita l' ars frenefactiva della traduzione latina dell' Etica), ma anche chi fabbrica selle (""sellaio""), spade (""spadaio"") e scudi (""scudaio""), arnesi del tutto assenti dal testo aristotelico: il commento di Tommaso, dal canto suo, introduce sì le selle, inesistenti per l'ippica greca, ma non gli scudi né le spade. Queste ultime sono invece presenti nella traduzione di Taddeo Alderotti della Summa Alexandrinorum (vedi Gentili 2006, p. 262). L'obbedienza dei produttori di briglie, selle etc. al cavaliere presuppone ovviamente una forma di produzione artigianale regolata dalle esigenze dei committenti.","raduzione di Taddeo Alderotti della Summa Alexandrinorum (vedi Gentili 2006, p. 262)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_Alexandrinorum,Summa Alexandrinorum,Nicola Damasceno,http://dbpedia.org/resource/Nicolaus_of_Damascus,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OPERARII E ARTEFICI DI DIVERSE ARTI E OPERAZIONI,"cfr. la versione latina di Eth. Nic. I 1, 1094 a 6-8 multis autem autem operacionibus entibus et artibus"". (Translatio Grosseteste.Textus purus, p. 141, l. 12) dove operacio (""operazioni"", ""operarii"") sta per azione etico-politica (in greco praxis) e ars (""artefici"" ""arti"") sta per attività produttiva (in greco techne). Il concetto di una molteplicità di attività o di produzioni ordinate ad una attività o ad una produzione che funge da fine, su cui Aristotele fonda l' idea di un fine ultimo cui tutte le operazioni umane siano subordinate (cfr. Eth. Nic. I 1-2) viene usato da Dante per dimostrare la superiorità e l'eccellenza di chi esercita questa attività ""finale"": esso deve essere assolutamente (""massimamente"") obbedito e creduto in quanto è l'unico (""solo"") che ha presente (""considera"") lo scopo ultimo cui gli scopi delle altre attività sono subordinati (""l'ultimo fine di tutti li altri fini""). L'esempio del cavaliere deriva anch'esso dallo scritto aristotelico (cfr. Eth Nic. I 1, 1094 a 10-11), ma in Dante la semplice equitazione greca (ippiké, ars equestris) diventa la medievale cavalleria e a chi l'esercita, il cavaliere, deve obbedire (""credere"") non solo chi fabbrica morsi e briglie (""lo frenaio"", cioè chi esercita l' ars frenefactiva della traduzione latina dell' Etica), ma anche chi fabbrica selle (""sellaio""), spade (""spadaio"") e scudi (""scudaio""), arnesi del tutto assenti dal testo aristotelico: il commento di Tommaso, dal canto suo, introduce sì le selle, inesistenti per l'ippica greca, ma non gli scudi né le spade. Queste ultime sono invece presenti nella traduzione di Taddeo Alderotti della Summa Alexandrinorum (vedi Gentili 2006, p. 262). L'obbedienza dei produttori di briglie, selle etc. al cavaliere presuppone ovviamente una forma di produzione artigianale regolata dalle esigenze dei committenti.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL PRIMO DI FINE DI BENI,"nel primo libro del De finibus bonorum et malorum: I, 9, 29 (per quanto riguarda l'identificazione del sommo bene con la voluptas) e I, 11, 38 (per quanto riguarda la definizione della voluptas come 'non dolore'). I riferimenti di Dante sono piuttosto precisi (e però che tra'l diletto e lo dolore non ponea mezzo alcuno"" : ""non placuit Epicuro medium esse quiddam inter dolorem et voluptatem""). Dal primo libro del De finibus Dante prende anche l'argomento usato poche righe prima, cioè che, istintivamente, ogni essere capace di sentire fin dalla nascita fugge il dolore e cerca il piacere (""Omne animal, simul atque natum est, voluptatem appetit ... dolorem aspernit"" I, 9, 30). Cfr. Cv IV xxii 5.","I, 9, 29",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NEL PRIMO DI FINE DI BENI,"nel primo libro del De finibus bonorum et malorum: I, 9, 29 (per quanto riguarda l'identificazione del sommo bene con la voluptas) e I, 11, 38 (per quanto riguarda la definizione della voluptas come 'non dolore'). I riferimenti di Dante sono piuttosto precisi (e però che tra'l diletto e lo dolore non ponea mezzo alcuno"" : ""non placuit Epicuro medium esse quiddam inter dolorem et voluptatem""). Dal primo libro del De finibus Dante prende anche l'argomento usato poche righe prima, cioè che, istintivamente, ogni essere capace di sentire fin dalla nascita fugge il dolore e cerca il piacere (""Omne animal, simul atque natum est, voluptatem appetit ... dolorem aspernit"" I, 9, 30). Cfr. Cv IV xxii 5.","I, 11, 38",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NEL PRIMO DI FINE DI BENI,"nel primo libro del De finibus bonorum et malorum: I, 9, 29 (per quanto riguarda l'identificazione del sommo bene con la voluptas) e I, 11, 38 (per quanto riguarda la definizione della voluptas come 'non dolore'). I riferimenti di Dante sono piuttosto precisi (e però che tra'l diletto e lo dolore non ponea mezzo alcuno"" : ""non placuit Epicuro medium esse quiddam inter dolorem et voluptatem""). Dal primo libro del De finibus Dante prende anche l'argomento usato poche righe prima, cioè che, istintivamente, ogni essere capace di sentire fin dalla nascita fugge il dolore e cerca il piacere (""Omne animal, simul atque natum est, voluptatem appetit ... dolorem aspernit"" I, 9, 30). Cfr. Cv IV xxii 5.","Omne animal, simul atque natum est, voluptatem appetit ... dolorem aspernit I, 9, 30",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"TORQUATO NOBILE ROMANO, DISCESO DEL SANGUE ...","a Lucio Manlio Torquato, cui nel dialogo spetta la parte di espositore e difensore delle dottrine epicuree, Cicerone ricorda appunto l'episodio che aveva visto il suo antenato condannare a morte il figlio (cfr. De finibus I, 7, 23).","I, 7, 23",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"MISURATA COL MEZZO PER NOSTRA ELEZIONE PRESO, CH'È VIRTÙ","che attua una medietà derivata da una scelta razionale, ed in cui consiste la virtù; per Aristotele ciò che fonda la correttezza morale delle azioni non è una semplice ed astratta medietà aritmetica, ma una medietà razionalmente scelta volta per volta rispetto alle circostanze. Cfr. la traduzione di Grossatesta di Eth. Nic. II 6, 1106 b 36 - 1107 a 2: Est ergo virtus habitus electivus in medietate existens que ad nos determinata racione"" (Textus purus, p. 171, ll. 7-8","la traduzione di Grossatesta di Eth. Nic. II 6, 1106 b 36 - 1107 a 2: Est ergo virtus habitus electivus in medietate existens que ad nos determinata racione"" (Textus purus, p. 171, ll. 7-8""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OPERAZIONE CON VIRTÙ,"in realtà questa definizione è totalmente aristotelica (cfr. Eth. Nic. I 7, 1098 a 16). Dante fa qui combaciare le definizioni aristoteliche della virtù morale (il giusto mezzo"") e della felicità (""attività dell'anima secondo la sua propria e peculiare capacità"") che in Aristotele sono distinte.","I 7, 1098 a 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERÒ CHE NELLA SUA FILOSOFIA NULLA FU AFFERMATO,"perché la sua filosofia non sostenne alcuna tesi determinata'. Che a Platone fosse succeduto Speusippo, che i suoi seguaci avessero preso il nome dal luogo in cui studiavano (l'Academia), che Socrate si fosse limitato a porre in dubbio le posizioni altrui senza affermare niente in positivo Dante poteva trovarlo negli Academica di Cicerone (I, 4, 17). Suo è invece il collegamento tra quest'ultima cosa e la mancata denominazione della scuola come socratica (quando invece Agostino parla espressamente di socratici"", cfr. De civitate Dei VIII 3, p. 219).","I, 4, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Academica_(Cicerone),Academica,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ZENOCRATE CALCEDONIO,"Senocrate di Calcedonia, successore di Speusippo nella direzione dell' Academia dal 339 al 314 a.C., fu effettivamente condiscepolo (compagnone"") di Aristotele. Lo stretto collegamento operato da Dante tra Senocrate ed Aristotele (non presente a mia conoscenza in nessun testo dossografico medievale) deriva da Cicerone, sia dagli Academica (I.4 17-18) sia dal De finibus (IV, 7, 15 sgg.) dove viene attribuita ad entrambi la giusta determinazione di quale sia il sommo bene",I.4 17-18,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Academica_(Cicerone),Academica,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ZENOCRATE CALCEDONIO,"Senocrate di Calcedonia, successore di Speusippo nella direzione dell' Academia dal 339 al 314 a.C., fu effettivamente condiscepolo (compagnone"") di Aristotele. Lo stretto collegamento operato da Dante tra Senocrate ed Aristotele (non presente a mia conoscenza in nessun testo dossografico medievale) deriva da Cicerone, sia dagli Academica (I.4 17-18) sia dal De finibus (IV, 7, 15 sgg.) dove viene attribuita ad entrambi la giusta determinazione di quale sia il sommo bene","IV, 7, 15 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PER LO 'NGEGNO [SINGULARE] E QUASI DIVINO,"di Aristotele come vir singulari ingenio et paene divino"" parla sempre Cicerone nel De divinatione I, 25, 53. L'accenno alla ""natura"" è invece in Alberto Magno, De anima III, tr. 2, c. 3 ""Natura hunc hominem posuit quasi regulam veritatis"" (p. 182, ll. 10-11).","I, 25, 53",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Divinatione,De divinatione,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PER LO 'NGEGNO [SINGULARE] E QUASI DIVINO,"di Aristotele come vir singulari ingenio et paene divino"" parla sempre Cicerone nel De divinatione I, 25, 53. L'accenno alla ""natura"" è invece in Alberto Magno, De anima III, tr. 2, c. 3 ""Natura hunc hominem posuit quasi regulam veritatis"" (p. 182, ll. 10-11).","III, tr. 2, c. 3 ""Natura hunc hominem posuit quasi regulam veritatis"" (p. 182, ll. 10-11)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LIMARO E A PERFEZIONE,"limarono (cioè rividero accuratamente) e portarono al grado massimo di perfezione'. Sempre negli Academica (I, 4, 18) è presente l'affermazione di una sostanziale continuità tra le dottrine etiche di Aristotele e quelle di Socrate, di Platone e degli Accademici : Nihil ... inter Peripateticos et illam veterem Academiam differebat"".","I, 4, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Academica_(Cicerone),Academica,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DEAMBULATORI,"camminatori'. Sulla base delle Derivationes Magnae di Uguccione Dante assimila Aristotele ed i suoi seguaci a quei maestri del XII secolo qui perambulabant de scola ad scolam, disputantes ... quid melius sue sententie possent adiungere"" (s. v. Peri, P 68, 6, p. 930).","s. v. Peri, P 68, 6, p. 930",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ARISTOTILE ESSERE ... A QUESTO SEGNO,"che Aristotele è colui che indica questo fine e conduce al suo raggiungimento'. Lo stretto collegamento tra Socrate, Platone ed Aristotele, presente in questo paragrafo e nei precedenti, dipende dall'uso di fonti ciceroniane e si distacca dalla comune opinione dossografica che nel Medioevo considerava Platone ed Aristotele capi di due scuole, magari non opposte, ma certo diverse. Il breve accenno di storia della filosofia secondo cui gli Accademici sarebbero stati completamente assorbiti dalla scuola dei Peripatetici deriva dalla lettura del De finibus di Cicerone in cui le due correnti filosofiche sono teoreticamente accomunate, in opposizione agli Stoici (cfr. ad esempio IV, 2, 4). Infine, la constatazione della universale egemonia culturale dell'aristotelismo, dominante non solo nelle Università, ma anche negli Studia cittadini degli ordini mendicanti, dimostra in Dante una coscienza del fenomeno davvero precoce. Osservazioni analoghe non si avranno prima del XVI secolo.","cfr. ad esempio IV, 2, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN QUELLO DI SAPIENZA,"nel libro della Sapienza'. Calco dal latino: 'in illo Sapientiae'. Cfr. Sap 6, 23 Diligite lumen sapientiae, omnes qui praeestis populis""."" (con ""state innanzi"" Dante traduce letteralmente il 'praeestis' che in realtà significa 'comandate'). Lo stesso versetto verrà di nuovo utilizzato da Dante in Cv IV xvi 1","Sap 6, 23 Diligite lumen sapientiae, omnes qui praeestis populis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DELLO ECCLESIASTE,"cfr. Ecl 10, 16 Vae tibi, terra, cuius rex puer est, et cuius principes mane comedunt"" (stranamente Dante traduce in modo non corretto ""mane"", cioè, dal mattino, con ""domane"" e perde in qualche modo il senso dell'invettiva volta contro i governanti che gozzovigliano fin dall'inizio del giorno. Risulta così suggestiva, anche se non accolta dai vari editori, la proposta avanzata da Moore di sostituire ""la domane"" con ""da mane""). Le prime parole di questo versetto verranno di nuovo citate in Cv IV xvi 5","Ecl 10, 16 Vae tibi, terra, cuius rex puer est, et cuius principes mane comedunt",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ecclesiastes,Ecclesiaste,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PIÙ CHE ALTRO VILLANO,"più di ogni altra persona ignobile'. Espressioni simili ha il Liber de nobilitate animi di Guglielmo di Aragona, un testo composto verso la fine del XIII secolo probabilmente in zona italiana: Si filii nobilium non assimilentur parentibus in nobilitate non solum erunt viles sed vilitatis principium et corruptores nobilitatis ...Unde in hoc casu valde mirabilis, immo miserabilis est"" (p. 58, ll. 29-33). Dante però traduce questa convinzione in una struttura narrativa e stilistica che nel suo domandare e rispondere ha come modello i Vangeli. In Mt 21, 28 sgg., infatti, Gesù presenta ai Farisei una situazione fittizia, ma possibile (il padre di famiglia che dice ai due figli di andare nel campo; i contadini che uccidono il figlio del padrone della vigna a loro inviato) che genera un interrogativo (quale dei due figli ha fatto la volontà del padre? Cosa farà il padrone ai contadini omicidi?): la risposta, praticamente obbligata, viene per analogia applicata alla situazione reale di cui si sta discutendo.","21, 28 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DELLI PROVERBI,"cfr. Prv 22, 28 Ne transgrediaris terminos antiquos, quos posuerunt patres tui"". E' interessante notare come Dante, utilizzandolo per il suo scopo, modifichi profondamente l'interpretazione corrente di questo testo biblico, in genere invocato contro l'introduzione di innovazioni, viste per lo più come pericolose.","22, 28 Ne transgrediaris terminos antiquos, quos posuerunt patres tui",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NEL QUARTO CAPITOLO ...,"cfr. Prv 4 , 18-19 Iustorum autem semita quasi lux splendens procedit ... Via impiorum tenebrosa. Nesciunt ubi corruant"". Anche in questo caso il testo subisce uno slittamento semantico attraverso l'identificazione dei ""giusti"" biblici con i veri nobili (i ""valenti"").","4 , 18-19 Iustorum autem semita quasi lux splendens procedit ... Via impiorum tenebrosa. Nesciunt ubi corruant",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NEL SECONDO DELL'ANIMA,"cfr. De an. II 4, 415 b 13 Vivere autem viventibus est esse"".","II 4, 415 b 13 Vivere autem viventibus est esse""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VIVERE È PER MOLTI MODI,"vivere ha una pluralità di significati'. Cfr. De an. II 2, 413 a 22 Multipliciter autem ipso vivere dicto"".","II 2, 413 a 22 Multipliciter autem ipso vivere dicto",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SENTIRE E MUOVERE,"avere sensazioni e muoversi'. In realtà, per Aristotele, il movimento locale non è elemento definitorio dell'animale; esistono infatti animali, come le ostriche, che possiedono la sensibilità senza possedere la motilità (cfr. De an. II 2, 413 b 1-5).","II 2, 413 b 1-5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VIVERE NELL'UOMO È RAGIONE USARE,"cfr. il commento di Tommaso all' Etica Nicomachea X, lectio 11, n. 2109 Dum homo vivit secundum operationem intellectus, vivit secundum vitam maxime sibi propriam"".","X, lectio 11, n. 2109 Dum homo vivit secundum operationem intellectus, vivit secundum vitam maxime sibi propriam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL QUINTO CAPITOLO ...,"cfr. Prv 5, 23 Ipse morietur quia non habuit disciplinam et multitudine stultitiae suae decipietur"" (probabilmente Dante leggeva, o ricordava un ""qui"" al posto del ""quia"").","5, 23 Ipse morietur quia non habuit disciplinam et multitudine stultitiae suae decipietur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"Dante si riferisce ad un testo assai conosciuto in cui Aristotele paragona il rapporto tra i vari tipi di anima a quello tra le diverse figure piane (cfr. De an. II 3, 414 b 28-32), ma lo interpreta in modo del tutto singolare. Per lo Stagirita, infatti, come un quadrilatero contiene in sé potenzialmente il triangolo, così l'anima sensitiva contiene in potenza anche quella vegetativa e come commenterà Alberto Magno, ne esercita pienamente le funzioni in quanto ontologicamente superiore (quia est potestas superior ... ex se potest in potestatem inferioris potentiae"" De anima II tr. 1, cap.11, p. 81, ll. 77-79). Seguendo Tommaso (ma anche Bonaventura) Dante introduce accanto alle figure del triangolo e del quadrilatero (""quadrangulo"") anche quella del pentagono (""pentangulo"") corrispondente all'anima intellettiva che sembra concepire in perfetta sequenza con le altre (Aristotele, invece, per cui l'intelletto necessita di una discussione a parte, aveva parlato solo di due figure, il triangolo ed il quadrilatero e di due facoltà, quella vegetativa e quella sensitiva). Ma, con l'immagine per cui la figura che ha più lati (""canti"") sta sopra a quella che ne ha meno, e soprattutto con l'idea per cui togliendo un lato al pentagono si torna al quadrilatero, Dante sembra concepire il rapporto tra i diversi tipi di anima come un processo per addizione, ed in più reversibile, andando così contro le interpretazioni più autorevoli (e in questo caso più aderenti) del testo aristotelico. Cfr. ancora una volta Alberto Magno ""Propter quod etiam solvitur dubium quorundam, utrum scilicet sensitivum sit compositum ex vegetativo et quodam alio; constat enim quod non, sed sensitivum est unum simplex amplioris potestatis ... Neque enim in figuris figura tetragoni est composita, sed simplex"" (De anima II tr. 1, cap. 11, p. 81, ll. 81-4, 89-90). Ancora una volta Dante tratta con molta libertà le sue auctoritates utilizzandole in funzione delle proprie necessità espressive.","II 3, 414 b 28-32",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"Dante si riferisce ad un testo assai conosciuto in cui Aristotele paragona il rapporto tra i vari tipi di anima a quello tra le diverse figure piane (cfr. De an. II 3, 414 b 28-32), ma lo interpreta in modo del tutto singolare. Per lo Stagirita, infatti, come un quadrilatero contiene in sé potenzialmente il triangolo, così l'anima sensitiva contiene in potenza anche quella vegetativa e come commenterà Alberto Magno, ne esercita pienamente le funzioni in quanto ontologicamente superiore (quia est potestas superior ... ex se potest in potestatem inferioris potentiae"" De anima II tr. 1, cap.11, p. 81, ll. 77-79). Seguendo Tommaso (ma anche Bonaventura) Dante introduce accanto alle figure del triangolo e del quadrilatero (""quadrangulo"") anche quella del pentagono (""pentangulo"") corrispondente all'anima intellettiva che sembra concepire in perfetta sequenza con le altre (Aristotele, invece, per cui l'intelletto necessita di una discussione a parte, aveva parlato solo di due figure, il triangolo ed il quadrilatero e di due facoltà, quella vegetativa e quella sensitiva). Ma, con l'immagine per cui la figura che ha più lati (""canti"") sta sopra a quella che ne ha meno, e soprattutto con l'idea per cui togliendo un lato al pentagono si torna al quadrilatero, Dante sembra concepire il rapporto tra i diversi tipi di anima come un processo per addizione, ed in più reversibile, andando così contro le interpretazioni più autorevoli (e in questo caso più aderenti) del testo aristotelico. Cfr. ancora una volta Alberto Magno ""Propter quod etiam solvitur dubium quorundam, utrum scilicet sensitivum sit compositum ex vegetativo et quodam alio; constat enim quod non, sed sensitivum est unum simplex amplioris potestatis ... Neque enim in figuris figura tetragoni est composita, sed simplex"" (De anima II tr. 1, cap. 11, p. 81, ll. 81-4, 89-90). Ancora una volta Dante tratta con molta libertà le sue auctoritates utilizzandole in funzione delle proprie necessità espressive.","quia est potestas superior ... ex se potest in potestatem inferioris potentiae"" De anima II tr. 1, cap.11, p. 81, ll. 77-79""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME DICE LO FILOSOFO,"Dante si riferisce ad un testo assai conosciuto in cui Aristotele paragona il rapporto tra i vari tipi di anima a quello tra le diverse figure piane (cfr. De an. II 3, 414 b 28-32), ma lo interpreta in modo del tutto singolare. Per lo Stagirita, infatti, come un quadrilatero contiene in sé potenzialmente il triangolo, così l'anima sensitiva contiene in potenza anche quella vegetativa e come commenterà Alberto Magno, ne esercita pienamente le funzioni in quanto ontologicamente superiore (quia est potestas superior ... ex se potest in potestatem inferioris potentiae"" De anima II tr. 1, cap.11, p. 81, ll. 77-79). Seguendo Tommaso (ma anche Bonaventura) Dante introduce accanto alle figure del triangolo e del quadrilatero (""quadrangulo"") anche quella del pentagono (""pentangulo"") corrispondente all'anima intellettiva che sembra concepire in perfetta sequenza con le altre (Aristotele, invece, per cui l'intelletto necessita di una discussione a parte, aveva parlato solo di due figure, il triangolo ed il quadrilatero e di due facoltà, quella vegetativa e quella sensitiva). Ma, con l'immagine per cui la figura che ha più lati (""canti"") sta sopra a quella che ne ha meno, e soprattutto con l'idea per cui togliendo un lato al pentagono si torna al quadrilatero, Dante sembra concepire il rapporto tra i diversi tipi di anima come un processo per addizione, ed in più reversibile, andando così contro le interpretazioni più autorevoli (e in questo caso più aderenti) del testo aristotelico. Cfr. ancora una volta Alberto Magno ""Propter quod etiam solvitur dubium quorundam, utrum scilicet sensitivum sit compositum ex vegetativo et quodam alio; constat enim quod non, sed sensitivum est unum simplex amplioris potestatis ... Neque enim in figuris figura tetragoni est composita, sed simplex"" (De anima II tr. 1, cap. 11, p. 81, ll. 81-4, 89-90). Ancora una volta Dante tratta con molta libertà le sue auctoritates utilizzandole in funzione delle proprie necessità espressive.","II tr. 1, cap. 11, p. 81, ll. 81-4, 89-90",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_anima(Alberto_Magno),De anima (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SOPRA LO PROLOGO DELL'ETICA,"commentando il prologo dell' Etica'. Calco dal latino universitario 'ut dicit X super librum, prologum Ethicorum'. Cfr. Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio I, lectio 1, n. 1 ordinem unius rei ad aliam cognoscere est solius intellectus aut rationis"". In realtà il testo aristotelico non ha alcun prologo da commentare, e l'introduzione al commento vero e proprio, di cui il testo citato da Dante fa parte, è da attribuire completamente a Tommaso.","In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio I, lectio 1, n. 1 ordinem unius rei ad aliam cognoscere est solius intellectus aut rationis",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO MINORE ALLO MAGGIORE,"chi ha meno autorità a chi ne ha di più'. Avere reverenza"" è quindi un atteggiameno che deriva dalla capacità razionale di vedere le cose nel loro giusto ordine. L'immagine della radice e dei rami, applicata ai fondamenti ed alle applicazioni della scienza, è presente in Avicenna (cfr. De animalibus IX 1, Venetiis 1508, f. 41 r).","IX 1, Venetiis 1508, f. 41 r",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_animalibus(Avicenna),De animalibus (Avicenna),Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"TULIO, NEL PRIMO DELLI OFFICI","Cicerone, nel primo libro del De officiis",primo libro del De officiis,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +BELLEZZA CHE IN SULL'ONESTADE RISPLENDE,"bellezza che si irradia intorno all'integrità morale' (cfr. De officiis I, 27, 95 Pertinet quidem ad omnem honestatem hoc quod dico decorum"").","s I, 27, 95 Pertinet quidem ad omnem honestatem hoc quod dico decorum",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DICE LA REVERENZA ESSERE DI QUELLA,"afferma che l'atteggiamento di rispetto ne è una parte'. Cfr. De officiis I, 28, 98, un testo dove la reverentia viene nominata subito dopo la bellezza, il decorum, senza però dire che ne sia una parte Ut enim pulchritudo corporis movet oculos et delectat ... sic hoc decorum quod elucet in vita movet adprobationem eorum quibuscum vivitur ...Adhibenda est igitur quaedam reverentia adversus homines, et optimi cuiusque et reliquorum"").","I, 28, 98",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DISSOLUTA,"come per tutta la frase, anche nel caso di questo termine Dante traduce letteralmente il latino di Cicerone (neglegere quid de se quisque sentiat, non solum arrogantis est, sed etiam omnino dissoluti"" De officiis I, 28, 99). Probabilmente, usando la parola dissolutus, l'autore latino non voleva dire niente di diverso da ""negligente"", mentre nel volgare italiano il termine ha finito per significare in maniera esclusiva colui che è irrimediabilmente vizioso.","I, 28, 99",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NELLI SENSIBILI COMUNI,"i 'sensibili comuni' sono quelli già elencati in Cv III ix 6. Che nel caso dei sensibili comuni il senso possa essere ingannato è detto da Aristotele nel De anima (III 3, 428 b 22-25).","III 3, 428 b 22-25",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +D'UN PIEDE,"della misura di un piede'. L'esempio, usato frequentemente dai filosofi e dai teologi scolastici, è tratto dal De anima III 3, 428 b 5 ed è utilizzato da Dante anche nella lettera a Cangrande (cfr. Ep. XIII 7, p. 602).","III 3, 428 b 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'UMANA RAGIONE ... SUE ARTI,"il testo tradito ed accettato da ll'edizione Ageno recita:la umana ragione coll'altre sue arti"". Ma il termine generico ""altre"" sembra rimandare ad un'arte specifica e nominalmente indicata (con tutta probabilità l'astronomia, mentre le altre potrebbero ben essere la geometria e l'ottica). Propongo quindi di ipotizzare una lacuna per omoteleuto. Che le varie ""arti"" siano strumenti generati dalla ragione umana è concetto del primo Agostino (cfr. De ordine II 36 sgg.).",cfr. De ordine II 36 sgg.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_ordine(Agostino),De ordine,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +TRENTACINQUE MILIA SETTECENTO CINQUANTA MIGLIA,"nel cap. XXII del Liber aggregationis la misura del sole non è data in valori assoluti, ma relativi: diameter solis est aequalis diametro terrae quinquies et semis"" (p. 148). La moltiplicazione è opera di Dante.",cap. XXII del Liber aggregationis,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +PRIVAZIONE ... NEGAZIONE,"si tratta di termini tratti dalla filosofia aristotelica. Privazione indica l'assenza di una qualità in un soggetto che per sua natura dovrebbe possederla: ad esempio, la cecità come privazione di vista, può essere predicata correttamente solo di esseri capaci di vedere (cfr. il commento di Tommaso: In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 3, n. 565 Non ... omne non videns potest dici caecum, sed solum quod natum est habere eam""). Dante stesso immediatamente sotto dirà che la morte come privazione di vita si può attribuire solo ai soggetti capaci di vivere. Essa funziona da principio di spiegazione del divenire ed ha con la qualità potenzialmente posseduta un rapporto di contrarietà (cfr. Phys. I 7, 190 b 11-16 e il commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 102). La negazione ha invece una valenza puramente logica e si pone con la qualità negata in un rapporto di contraddittorietà (rimanendo entro il medesimo esempio, mentre il contrario di vedente è cieco, il suo contraddittorio è semplicemente 'non vedente' nel senso di 'non dotato della possibilità di vedere'). Applicando questo modello alla situazione descritta da Dante, ""irreverenza"" sarà il rifiuto pubblicamente manifestato (il ""disconfessare per manifesto segno"") di prestare il dovuto ossequio, mentre la ""non reverenza"" sarà semplicemente negare che ci sia un ossequio dovuto (""negare la debita subiezione"").","In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 3, n. 565 Non ... omne non videns potest dici caecum, sed solum quod natum est habere eam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRIVAZIONE ... NEGAZIONE,"si tratta di termini tratti dalla filosofia aristotelica. Privazione indica l'assenza di una qualità in un soggetto che per sua natura dovrebbe possederla: ad esempio, la cecità come privazione di vista, può essere predicata correttamente solo di esseri capaci di vedere (cfr. il commento di Tommaso: In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 3, n. 565 Non ... omne non videns potest dici caecum, sed solum quod natum est habere eam""). Dante stesso immediatamente sotto dirà che la morte come privazione di vita si può attribuire solo ai soggetti capaci di vivere. Essa funziona da principio di spiegazione del divenire ed ha con la qualità potenzialmente posseduta un rapporto di contrarietà (cfr. Phys. I 7, 190 b 11-16 e il commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 102). La negazione ha invece una valenza puramente logica e si pone con la qualità negata in un rapporto di contraddittorietà (rimanendo entro il medesimo esempio, mentre il contrario di vedente è cieco, il suo contraddittorio è semplicemente 'non vedente' nel senso di 'non dotato della possibilità di vedere'). Applicando questo modello alla situazione descritta da Dante, ""irreverenza"" sarà il rifiuto pubblicamente manifestato (il ""disconfessare per manifesto segno"") di prestare il dovuto ossequio, mentre la ""non reverenza"" sarà semplicemente negare che ci sia un ossequio dovuto (""negare la debita subiezione"").","I, lectio 12, n. 102",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRIVAZIONE ... NEGAZIONE,"si tratta di termini tratti dalla filosofia aristotelica. Privazione indica l'assenza di una qualità in un soggetto che per sua natura dovrebbe possederla: ad esempio, la cecità come privazione di vista, può essere predicata correttamente solo di esseri capaci di vedere (cfr. il commento di Tommaso: In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 3, n. 565 Non ... omne non videns potest dici caecum, sed solum quod natum est habere eam""). Dante stesso immediatamente sotto dirà che la morte come privazione di vita si può attribuire solo ai soggetti capaci di vivere. Essa funziona da principio di spiegazione del divenire ed ha con la qualità potenzialmente posseduta un rapporto di contrarietà (cfr. Phys. I 7, 190 b 11-16 e il commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 102). La negazione ha invece una valenza puramente logica e si pone con la qualità negata in un rapporto di contraddittorietà (rimanendo entro il medesimo esempio, mentre il contrario di vedente è cieco, il suo contraddittorio è semplicemente 'non vedente' nel senso di 'non dotato della possibilità di vedere'). Applicando questo modello alla situazione descritta da Dante, ""irreverenza"" sarà il rifiuto pubblicamente manifestato (il ""disconfessare per manifesto segno"") di prestare il dovuto ossequio, mentre la ""non reverenza"" sarà semplicemente negare che ci sia un ossequio dovuto (""negare la debita subiezione"").","I 7, 190 b 11-16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SE DUE SONO LI AMICI...,"Dante non cita alla lettera, ma parafrasa il testo latino di Eth. Nic. I, 6, 1096 a 14-17 Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" (Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16).","I, 6, 1096 a 14-17 Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem"" (Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16).""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHÉ L'OFFICIO E L'ARTE DELLA NATURA ...,": noi infatti vediamo (vedemo"") che tutte le attività (""operazioni"") della natura hanno un loro limite (sono ""finite""); se infatti consideriamo (""ché se prendere volemo"") la forza universale che regola la totalità delle trasformazioni (""la natura universale di tutto"", per cui vedi Cv I vii 9) ed estende il suo potere per quanto si estende l'universo (""tanto ha di giurisdizione quanto tutto lo mondo ... si stende"") essa ha un limite preciso (""questo è a certo termine"") e di ciò si ha la prova attraverso (""per"") il terzo libro della Fisica ed il primo del De coelo (dove appunto Aristotele, rispettivamente al cap. 5 ed ai capp. 5-7 dimostra che l'universo non è infinito).",terzo libro della Fisica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHÉ L'OFFICIO E L'ARTE DELLA NATURA ...,": noi infatti vediamo (vedemo"") che tutte le attività (""operazioni"") della natura hanno un loro limite (sono ""finite""); se infatti consideriamo (""ché se prendere volemo"") la forza universale che regola la totalità delle trasformazioni (""la natura universale di tutto"", per cui vedi Cv I vii 9) ed estende il suo potere per quanto si estende l'universo (""tanto ha di giurisdizione quanto tutto lo mondo ... si stende"") essa ha un limite preciso (""questo è a certo termine"") e di ciò si ha la prova attraverso (""per"") il terzo libro della Fisica ed il primo del De coelo (dove appunto Aristotele, rispettivamente al cap. 5 ed ai capp. 5-7 dimostra che l'universo non è infinito).",il primo libro del De coelo,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +INFINITO COMPRENDE,"se la finitezza del mondo è tesi caratteristica di Aristotele, non lo è sicuramente quella di un Dio limitatore illimitato, potenza infinita in grado di comprendere l'infinito, dottrina che che Dante condivide con i teologi cristiani (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 14, a. 12; Summa contra Gentiles I, cap. 69).","I, q. 14, a. 12; Summa contra Gentiles I, cap. 69",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CHE SOLO QUELLE SONO OPERAZIONI NOSTRE ... ALLA VOLONTADE,"che possiamo dire nostre solo quelle attività che sono soggette (subiacciono"") alla ragione ed alla volontà'. Un'attività del tutto irriflessa come la digestione (""l'operazione digestiva"") anche se si compie nell'uomo (""se è in noi"") non può dirsi umana, ma genericamente naturale. Dante segue qui da vicino il pensiero di Tommaso, anzi, sembra proprio aver parafrasato un brano del suo commento all' Etica Nicomachea ""Dico autem operationes humanas quae procedunt a voluntate hominis secundum ordinem rationis. Nam si quae operationes in homine inveniuntur quae non subiacent voluntati et rationi, non dicuntur proprie humanae, sed naturales, sicut patet de operationibus animae vegetativae"" (I, lectio 1, n. 3)","Dico autem operationes humanas quae procedunt a voluntate hominis secundum ordinem rationis. Nam si quae operationes in homine inveniuntur quae non subiacent voluntati et rationi, non dicuntur proprie humanae, sed naturales, sicut patet de operationibus animae vegetativae (I, lectio 1, n. 3)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ARTI MECCANICE,"nella classificazione medievale le artes mechanicae, necessarie per il soddifacimento dei bisogni materiali e caratterizzate dalla manualità, si oppongono alle artes liberales. Il loro numero e le loro caratteristiche, codificati nel Didascalicon di Ugo di San Vittore (II, 21-28, PL 176, pp. 760-3) erano però rimasti piuttosto fluttuanti (cfr. Weisheipl 1965). Un esempio di classificazione abbastanza complessa è rintracciabile proprio in Remigio de' Girolami. Il domenicano fiorentino inserisce nell'elenco arti come la tonsiva, la filativa, la textoria che sembrano riprodurre in pieno la filiera della produzione fiorentina di tessuti di lana (cfr. Panella, 1981, pp. 102-106).","II, 21-28, PL 176, pp. 760-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Didascalicon(Ugo_da_San_Vittore),Didascalicon,Ugo da San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ARTI MECCANICE,"nella classificazione medievale le artes mechanicae, necessarie per il soddifacimento dei bisogni materiali e caratterizzate dalla manualità, si oppongono alle artes liberales. Il loro numero e le loro caratteristiche, codificati nel Didascalicon di Ugo di San Vittore (II, 21-28, PL 176, pp. 760-3) erano però rimasti piuttosto fluttuanti (cfr. Weisheipl 1965). Un esempio di classificazione abbastanza complessa è rintracciabile proprio in Remigio de' Girolami. Il domenicano fiorentino inserisce nell'elenco arti come la tonsiva, la filativa, la textoria che sembrano riprodurre in pieno la filiera della produzione fiorentina di tessuti di lana (cfr. Panella, 1981, pp. 102-106).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Remigio dei Girolami,http://dbpedia.org/resource/Remigio_dei_Girolami,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +SONO ANCHE OPERAZIONI,"ci sono anche delle attività. Il quarto tipo di operazioni"", a differenza dei primi tre, non solo cade sotto la considerazione della ragione, ma è costituito da atti della volontà (""operazioni che la nostra ragione considera nell'atto della volontade""). Queste attività sono completamente dipendenti (""del tutto subiacciono"") dalla volontà stessa. Per questo (""e però"") dalla loro natura (""da loro"") siamo giudicati buoni o cattivi moralmente (""semo detti buoni e rei""), proprio perché sono le sole ad esser nostre in senso assoluto (""perch'elle sono propie nostre del tutto""); dunque in questo caso le nostre attività hanno la stessa estensione (""si stendono"") di quanto la nostra volontà può efficacemente operare (""quanto la nostra volontade ottenere puote""). In questi tre paragrafi, per individuare quali siano le ""operazioni nostre"" su cui la maestà imperiale ha potere, e quindi diritto alla 'reverenza', Dante utilizza una quadripartizione presente all'inizio del Commento di Tommaso all' Etica Nicomachea (I, lectio 1, n. 1-2). Le corrispondenze testuali sono evidenti ""ordo quem ratio non facit, sed solum considerat"" ""operazioni ... ch'ella solo considera e non fa""; ""ordo quem ratio considerando facit in proprio actu"" ""operazioni che essa considera e fa nel propio atto suo""; ""ordo quem ratio facit considerando in exterioribus rebus ... pertinet ad artes mechanicas"" ""operazioni ch'ella considera e fa in materia fuori di sé, come sono arti meccanice""; ""ordo quem ratio considerando facit in operationibus voluntatis"" ""operazioni che la nostra ragione considera nell'atto della volontà"". Dove però Tommaso parlava di quattro tipi di ordine che fondano quattro tipi di scienze e di arti, Dante parla di quattro tipi di operazioni della ragione, confondendole con le cose o gli atti verso cui in maniera diversa essa rivolge la sua considerazione. Quello che a lui interessa non è una classificazione delle scienze, ma l'individuazione, per contrasto con tutte le altre, di quella operazione ""che la nostra ragione considera nell'atto della volontà"". Non per niente nel testo di Tommaso essa costituiva il terzo ordo e non, come qui, l'ultimo.","I, lectio 1, n. 1-2",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICE AUGUSTINO,"la frase seguente non corrisponde a nessun testo agostiniano preciso (i passi del De libero arbitrio e delle Enarrationes in Psalmos citati dal Commento Busnelli tematizzano il contrasto tra legge eterna, presente alla mente, e legge temporale, scritta nei codici, affermando che chi aderisce alla prima non ha bisogno della seconda). Ho quindi seguito il suggerimento di Bruno Nardi eliminando i due punti e le virgolette",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_libero_arbitrio(Agostino),De libero arbitrio,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DICE AUGUSTINO,"la frase seguente non corrisponde a nessun testo agostiniano preciso (i passi del De libero arbitrio e delle Enarrationes in Psalmos citati dal Commento Busnelli tematizzano il contrasto tra legge eterna, presente alla mente, e legge temporale, scritta nei codici, affermando che chi aderisce alla prima non ha bisogno della seconda). Ho quindi seguito il suggerimento di Bruno Nardi eliminando i due punti e le virgolette",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Enarrationes_in_psalmos,Enarrationes in Psalmos,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +NEL PRINCIPIO DEL VECCHIO DIGESTO,"cfr. Digestum I, 1, 1 De iustitia et iure: ut eleganter Celsus definit, ius est ars boni et equi"". Con la denominazione di Digestum Vetus si indicavano i primi 24 libri dei 50 del Digestum (i libri 24-28 venivano indicati come Inforziato e i rimanenti come Digestum Novum). Tutto il Digestum è a sua volta una parte del Corpus iuris civilis, quella che contiene le dottrine e i responsi degli autori romani di diritto dall'età repubblicana fino a Giustiniano. Le altre parti del Corpus sono costituite dalle Institutiones (regole e metodi per lo studio del diritto), dal Codex (le costituzioni imperiali promulgate fino a Giustiniano) e dalle Novellae (costituzioni promulgate dopo l'entrata in vigore del Codex, anche da parte di imperatori successivi a Giustiniano). Entrato in vigore per la parte occidentale dell'Impero nel 554, il Corpus, dopo lunghi secoli di oblio quasi totale, tornò ad essere letto, commentato ed usato a partire dal XII secolo, per merito soprattutto della scuola giuridica bolognese. Proprio sul Corpus da poco riscoperto Federico Barbarossa fondò la riaffermazione delle prerogative imperiali nei confronti sia delle autonomie locali (i Comuni) che del papato.","Digestum I, 1, 1 De iustitia et iure: ut eleganter Celsus definit, ius est ars boni et equi",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Corpus_Juris_Civilis,Corpus iuris civilis,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"A QUESTA SCRIVERE, MOSTRARE E COMANDARE","Dante individua quelli che per lui ed i suoi contemporanei (vedi ad esempio il De regimine principum di Egidio Romano, III ii 27 Quod non cuiuslibet est ferre leges et quod ut leges vim obligandi habeant oportet eas promulgatas esse, pp. 526-8) sono i tre momenti fondamentali dell'attività legislativa: formulare le leggi, farle conoscere ai sudditi promulgandole (mostrare"") e dando loro valore coattivo (""comandare""). A tutti questi atti è preposto (""posto"") l'Imperatore che esercitando in questo la più alta funzione pubblica è anch'egli un ""officiale"" e non un autocrate.","III ii 27 Quod non cuiuslibet est ferre leges et quod ut leges vim obligandi habeant oportet eas promulgatas esse, pp. 526-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CHE È NATURALE MOTO,"In Phys. VII, 2, 241 a 24 la pulsio, insieme alla tractio (la trazione), alla vectio (il trasporto) ed alla vertigo (la rotazione) fa parte dei quattro movimenti possibili nelle cose mosse da altro (quindi in senso stretto non si tratta di moto naturale, ma violento).","VII, 2, 241 a 24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E COSE SONO DOVE L'ARTE...,"e ci sono attività in cui avviene il contrario: l'arte cioè è al servizio della natura'. Esse hanno un grado inferiore di artificialità regolata (e queste sono meno arti""), quindi un grado maggiore di incertezza: ad esempio nel seminare (""dare lo seme alla terra""), che appartiene all'arte della agricoltura, bisogna porre attenzione (""si vuole attendere"") alle condizioni naturali più o meno favorevoli (""alla volontà della natura""), nel salpare (""uscire di porto""), che fa parte dell'arte della navigazione, occorre stare attenti alle condizioni atmosferiche (""la naturale disposizione del tempo"") non determinabili in modo certo. Per questo (""E però"") si può vedere (""vedemo"") che in tali attività spesso c'è discussione tra gli esperti (""contenzione tra gli artefici"") e anche chi è più esperto (""lo maggiore"") chiede un parere (""consiglio"") a chi lo è meno (""minore""). Il commento di Tommaso all' Etica, esemplificando le arti in cui c'è necessità di una valutazione ponderata dei fattori che intervengono nel loro esercizio, fa proprio l'esempio dell'arte del navigare: ""ars gubernativa in qua oportet attendere ad flatus ventorum"" (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio III, lectio 7, n. 468).","In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio III, lectio 7, n. 468",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PIÙ NOBILE DOTTRINA,"di una disciplina più alta della medicina' (cioè la fisica, cui la scientia de plantis è subordinata. Cfr. Tommaso, Super Boethium De Trinitate, q. 5, art. 1 ad 5m ).","q. 5, art. 1 ad 5m",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Boethium_De_Trinitate(Tommaso),Super Boethium De Trinitate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CHE SAREBBE FILOSOFO,"e in questo caso, definendola in maniera corretta, sarebbe filososofo'. Cfr. Boncompagno da Signa, Rhetorica Novissima: omnes qui naturaliter definiunt ... possunt et debent philosophi appellari, quia nihil est quod magis ad philosophiam pertineat quam habere habere scientiam definiendi"" (ed. Gaudenzi, p. 257a).","omnes qui naturaliter definiunt ... possunt et debent philosophi appellari, quia nihil est quod magis ad philosophiam pertineat quam habere habere scientiam definiendi"" (ed. Gaudenzi, p. 257a)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rhetorica_Novissima,Rhetorica Novissima,Boncompagno da Signa,http://dbpedia.org/resource/Boncompagno_da_Signa,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +LOICO E CLERICO GRANDE,"grande esperto di logica e grande intellettuale'. Nella versione ampia del Trésor, in una redazione cioè posteriore a Brunetto (I XCV, ed. Carmody, p. 75), Federico è presentato come mervilleusement sages et artilleus et trop bien letrés"". Quasi negli stessi anni della composizione del Convivio, a Bologna, in una prolusione ad un corso di logica, Gentile da Cingoli aveva definito l'imperatore come 'magnus philosophus' (ms Palermo, Bibl. Com. 2. Qq. D. 142, f. 81r. Vedi Fioravanti 1998b).","I XCV, ed. Carmody, p. 75",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +CHÉ LA DIFFINIZIONE ...,"poiché la nobiltà sembra avere la natura di un principio non riconducibile ad altri principi (con ciò sia cosa che essa paia avere ragione di principio""), la sua definizione avrebbe dovuto esser fatta più correttamente (""la sua diffinizione più degnamente si faria"") partendo dai suoi effetti. Un principio, infatti, non può esser reso noto (""non si può notificare"") mediante qualcosa che lo precede (""per cose prime"") bensì mediante ciò che ne deriva (""per posteriori""). Il commento Vasoli rimanda ad Analitici Posteriori II, 9, 93 b 21-28 dove però Aristotele si limita ad affermare che le essenze che sono anche principi non sono passibili di dimostrazione in senso stretto. Il testo del Convivio ci fa piuttosto ipotizzare che Dante, considerando il principio come causa, abbia avuto presente il cap. 13 del primo libro degli Analitici Posteriori (78 a 22 sgg.), con la trattazione della dimostrazione quia, l'unica che partendo dagli effetti ci fa conoscere qualcosa di una causa non riconducibile ad altra causa superiore..",il cap. 13 del primo libro degli Analitici Posteriori (78 a 22 sgg.),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TUTTE LE COSE CHE FANNO ... CONVIENE ESSERE ...,"per tutte le cose che ne producono (fanno"") altre, è necessario (""conviene"") che anteriormente alla produzione (""prima"") possiedano pienamente l'essere di ciò che producono (""essere perfettamente in quello essere""). Si tratta di una dottrina aristotelica effettivamente presente nel settimo libro della Metafisica (cfr. VII 8, 1033 b 29-32 ""In quibusdam vero... generans tale quidem est quale generatum""), ma la frase che segue immediatamente e che ha tutte le caratteristiche, anche stilistiche, di una citazione diretta, non trova riscontro letterale nel testo aristotelico. Il brano di Metaph. VII 8, 1033 b 22-24 cui in genere rimandano i commentatori (""facit et generat ex hoc tale. Et quando generatum est est hoc tale"". Recensio Guillelmi, p. 146, ll. 399-400) oltre a non corrispondere alle parole del Convivio, ha nel contesto un significato del tutto diverso (Aristotele, contro la teoria delle idee di Platone sostiene che ogni generante ed ogni generato sono un 'hoc tale', un qualcosa di determinato). E se, come nota Busnelli, il commento di Tommaso alla Metafisica afferma che nella generazione univoca ""forma generati praecedit in generante secundum eumdem modum essendi"" (VII lectio 8, n. 1444) questo avviene in relazione ad un luogo diverso del testo aristotelico.","VII 8, 1033 b 29-32 ""In quibusdam vero... generans tale quidem est quale generatum""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL SETTIMO DELLA FISICA E NEL PRIMO DI GENERAZIONE,"cfr. Phys. VII 2, 244 b 2-3, De gen. I 6, 322 b 22-24 e soprattutto le corrispondenti auctoritates Aristotelis Movens et motum simul sunt"" (p. 155, n. 185); ""Agens et patiens non agunt nisi approximata"" (p. 165, n.14). Cfr. Cv III x 2.","VII 2, 244 b 2-3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL SETTIMO DELLA FISICA E NEL PRIMO DI GENERAZIONE,"cfr. Phys. VII 2, 244 b 2-3, De gen. I 6, 322 b 22-24 e soprattutto le corrispondenti auctoritates Aristotelis Movens et motum simul sunt"" (p. 155, n. 185); ""Agens et patiens non agunt nisi approximata"" (p. 165, n.14). Cfr. Cv III x 2.","I 6, 322 b 22-24",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL SETTIMO DELLA FISICA E NEL PRIMO DI GENERAZIONE,"cfr. Phys. VII 2, 244 b 2-3, De gen. I 6, 322 b 22-24 e soprattutto le corrispondenti auctoritates Aristotelis Movens et motum simul sunt"" (p. 155, n. 185); ""Agens et patiens non agunt nisi approximata"" (p. 165, n.14). Cfr. Cv III x 2.","p. 155, n. 185",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'UNO CONTRARIO NON SIA FATTORE DELL'ALTRO NÉ POSSA ESSERE,"un contrario non produce né può produrre l'altro contrario'. In realtà, nel pensiero aristotelico, questa proposizione si verifica solo per i contrari che sono anche principi. Il testo di Metaph. I 8, 989 a 27-30 citato dal commento Vasoli dice che da un contrario non può generarsi immediatamente un altro contrario, ma nell'esempio portato (non enim ex frigido fiet calidum"") la preposizione ex non ha valore causale, bensì di origine. Vedi piuttosto Phys. I 6, 189 a 21-26, dove Aristotele afferma che i contrari con cui si identificano i principi del cambiamento devono essere più di due: altrimenti uno di essi produrrebbe l'altro e questo è impossibile. Cfr. anche il Commento di Tommaso a Metaph. X 3, 1054 a 20-21 dove alla affermazione di Aristotele che l'uno e i molti sono contrari si obietta che ciò è impossibile, perché l'uno genera i molti, mentre ""unum ... contrariorum non constituit aliud, sed magis destruit"" (lectio 4, n. 1992).","I 6, 189 a 21-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'UNO CONTRARIO NON SIA FATTORE DELL'ALTRO NÉ POSSA ESSERE,"un contrario non produce né può produrre l'altro contrario'. In realtà, nel pensiero aristotelico, questa proposizione si verifica solo per i contrari che sono anche principi. Il testo di Metaph. I 8, 989 a 27-30 citato dal commento Vasoli dice che da un contrario non può generarsi immediatamente un altro contrario, ma nell'esempio portato (non enim ex frigido fiet calidum"") la preposizione ex non ha valore causale, bensì di origine. Vedi piuttosto Phys. I 6, 189 a 21-26, dove Aristotele afferma che i contrari con cui si identificano i principi del cambiamento devono essere più di due: altrimenti uno di essi produrrebbe l'altro e questo è impossibile. Cfr. anche il Commento di Tommaso a Metaph. X 3, 1054 a 20-21 dove alla affermazione di Aristotele che l'uno e i molti sono contrari si obietta che ciò è impossibile, perché l'uno genera i molti, mentre ""unum ... contrariorum non constituit aliud, sed magis destruit"" (lectio 4, n. 1992).","unum ... contrariorum non constituit aliud, sed magis destruit (lectio 4, n. 1992).""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SANZA CONTENZIONE ...MOVESTE BATTAGLIA,"Dante traduce, con lievi modifiche, i vv. 119-121 del terzo libro della Farsaglia di Lucano (... pereunt discrimine nullo / amissae leges; sed, pars vilissima rerum, certamen movistis, opes"").",vv. 119-121 del terzo libro della Farsaglia,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +DANNOSA LORO POSSESSIONE,"in quali modi il possesso delle ricchezze sia dannoso verrà detto nel capitolo XIII di questo trattato, a partire dal paragrafo 10. La partizione trimembre dell'imperfezione delle ricchezze ricorda, anche nello stile e nelle clausole (indiscreto loro ... pericoloso loro ... dannosa loro"" ""avvenimento ...accrescimento ... possessione"") gli schemi di distribuzione della materia usati nella predica tipica degli ordini mendicanti (il sermo modernus). Su alcuni aspetti del rapporto tra lo stile di Dante e quello della predicazione a lui coeva cfr. Delcorno 1993.",predica tipica degli ordini mendicanti (il sermo modernus).,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/18842,CONCEPT +NEL QUALE NULLA DISTRIBUTIVA GIUSTIZIA RISPLENDE,"nell' Etica aristotelica l'aspetto distributivo della giustizia è quello per cui i beni materiali (ricchezze) e quelli immateriali (onori) dovrebbero essere ripartiti in proporzione ai meriti degli individui (cfr. Eth. Nic. V 2, 1130 b 30 sgg.) Si tratta di una virtù politica, che riguarda i rapporti tra cittadini ed ha come oggetto i beni comuni. Qui invece si parla di acquisizione di ricchezze private e la giustizia distributiva si trasforma da regola applicabile a un modello ideale irraggiungibile: generalmente la distribuzione delle ricchezze non segue la regola, ma avviene con assoluta ingiustizia (con tutta iniquitade"" ), e l'ingiustizia è l'effetto più caratteristico (""propio"") della imperfezione.","V 2, 1130 b 30 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DISSE ARISTOTILE,"si tratta in realtà del Commento di Tommaso al passo del secondo libro della Fisica aristotelica (II 5, 197 a 5-9) che tratta del caso e della fortuna Quanto aliquid magis subiacet intellectui, tanto minus subiacet fortunae"" (II, lectio 8, n. 216). La dipendenza letterale è tanto più evidente in quanto dal contesto ci aspetteremmo piuttosto un 'meno è sottoposto all'intelletto, più è sottoposto alla fortuna'. Ma vedi anche le Auctoritates Aristotelis libri de bona fortuna (p. 249, n.2) ""Ubi plurimus intellectus et ratio, ibi quandoque minima est fortuna"".","II, lectio 8, n. 216",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_octo_libros_Physicorum(Tommaso),Commentaria in octo libros Physicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DISSE ARISTOTILE,"si tratta in realtà del Commento di Tommaso al passo del secondo libro della Fisica aristotelica (II 5, 197 a 5-9) che tratta del caso e della fortuna Quanto aliquid magis subiacet intellectui, tanto minus subiacet fortunae"" (II, lectio 8, n. 216). La dipendenza letterale è tanto più evidente in quanto dal contesto ci aspetteremmo piuttosto un 'meno è sottoposto all'intelletto, più è sottoposto alla fortuna'. Ma vedi anche le Auctoritates Aristotelis libri de bona fortuna (p. 249, n.2) ""Ubi plurimus intellectus et ratio, ibi quandoque minima est fortuna"".","libri de bona fortuna (p. 249, n.2) ""Ubi plurimus intellectus et ratio, ibi quandoque minima est fortuna""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO PROVENZALE,"i commentatori rimandano sia Guirault de Borneil (E si 'l paire fo lausatz / e'l filhs se fai malvatz /sembla m tort e pechatz / c'aia las eretatz"": se il padre fu degno di lode e il figlio è diventato malvagio, mi sembra torto e peccato che egli abbia l'eredità) che al meno conosciuto Cadenet, che però presenta un testo più vicino alla citazione dantesca ("" Qui non ereita lo sen e 'l saber / tenh que neys eretar degra l'aver"": chi non eredita il senno e il sapere, credo che non debba ereditare nemmeno gli averi).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Los_Aplechs,Los Aplechs,Giraut de Bornelh,http://dbpedia.org/resource/Giraut_de_Bornelh,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +LO PROVENZALE,"i commentatori rimandano sia Guirault de Borneil (E si 'l paire fo lausatz / e'l filhs se fai malvatz /sembla m tort e pechatz / c'aia las eretatz"": se il padre fu degno di lode e il figlio è diventato malvagio, mi sembra torto e peccato che egli abbia l'eredità) che al meno conosciuto Cadenet, che però presenta un testo più vicino alla citazione dantesca ("" Qui non ereita lo sen e 'l saber / tenh que neys eretar degra l'aver"": chi non eredita il senno e il sapere, credo che non debba ereditare nemmeno gli averi).",,CITAZIONE ESPLICITA,,,Cadenet,http://dbpedia.org/resource/Cadenet_(troubadour),http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +FATEVI AMICI DELLA PECUNIA DELLA INIQUITADE,"procuratevi degli amici attraverso il denaro ingiustamente accumulato' (Dante traduce alla lettera Lc 16, 9 Facite vobis amicos de mammona iniquitatis"").","16, 9 Facite vobis amicos de mammona iniquitatis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +MILLE E MILLE,"tutti quelli che saranno raggiunti dalla fama del dono'. Le ricchezze possono dunque riscattare il peccato originale insito nei modi della loro accumulazione solo se sono liberalmente distribuite. E solamente Dante poteva trovare un pressante invito alla virtù della liberalità nella parabola del fattore disonesto che froda due volte il padrone, prima arricchendosi illecitamente sulla gestione e poi condonando ai debitori parte del dovuto perché lo aiutino dopo l'inevitabile licenziamento (cfr. Lc 16, 1-9)","16, 1-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ALESSANDRO,"Alessandro Magno. La liberalità di Alessandro Magno era un topos diffuso nella cultura medievale che, oltre ai testi di Guittone e di Rambaut de Vaqueiras citati dall'Ortis (cfr. Ortis 1925) si riflette, ad esempio, nella dedica del Tesoretto di Brunetto Latini Che tutta la sembianza d'Alessandro tenete, / ché per neente avete / terra, oro ed argento"" vv. 28-31, p. 176. Cfr. Toynbee, pp. 144-5.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +LO BUONO RE DI CASTELLA,"il valoroso re di Castiglia. L'attributo buono"" ha indotto i commentatori ad identificare questo re con Alfonso VIII (1155-1214) che in molti testi trobadorici viene appunto presentato come 'lo bon rei Amfos'. Questo vale anche per il conte di Tolosa. Bisogna però osservare che nel testo dantesco il termine non sempre ha un valore distintivo poiché è usato anche per un Marchese di Monferrato che non ebbe mai questo appellativo (cfr. Toynbee, p. 147).",,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Testi_trobadorici,Testi trobadorici,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +IL BUONO MARCHESE DI MONFERRATO,si tratta di Bonifacio II (1150-1207) che fu uno dei capi della IV Crociata conclusasi con la presa di Costantinopoli (1204) e la creazione dell'Impero latino di Oriente (Bonifacio ebbe il regno di Tessalonica). I trovatori provenzali a lui contemporanei esaltarono l'ospitalità generosa della sua corte (Rambaut de Vaqueiras lo elogia paragonandolo proprio ad Alessandro Magno).,,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lettera_epica(Raimbaut_de_Vaqueiras),Lettera epica,Raimbaut de Vaqueiras,http://dbpedia.org/resource/Raimbaut_de_Vaqueiras,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +OHMÈ ...CAVOE?,"Dante traduce alla lettera i vv. 27- 30 del quinto metro del secondo libro: ""Heu, primus qui fuit ille / auri qui pondera tecti / gemmasque latere volentes / pretiosa pericula fodit?"" (p. 46).","vv. 27- 30 del quinto metro del secondo libro: Heu, primus qui fuit ille / auri qui pondera tecti / gemmasque latere volentes / pretiosa pericula fodit?"" (p. 46).""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +TULlIO IN QUELLO DI PARADOSSO,Marco Tullio Cicerone nei Paradoxa Stoicorum.,,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Paradoxa_Stoicorum(Cicerone),Paradoxa Stoicorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IO IN NULLO TEMPO ...,"Dante traduce anche qui alla lettera il testo latino di Cicerone (cfr. Paradoxa 6: Numquam mehercule ego neque pecunias istorum neque tecta magnifica neque opes neque imperia neque eas quibus maxime adstricti sunt voluptates, in bonis rebus aut expetendis esse duxi, quippe cum viderem rebus his circumfluentes, eas tamen desiderare maxime quibus abundarent. Neque enim unquam expletur nec satiatur cupiditas sitis, neque solum ea qui habent libidine augendi cruciantur, sed etiam amittendi metu"". Nel testo da lui usato Dante leggeva ""dixi"" al posto di ""duxi"" e ""quae habent"" al posto di ""qui habent"").","6: Numquam mehercule ego neque pecunias istorum neque tecta magnifica neque opes neque imperia neque eas quibus maxime adstricti sunt voluptates, in bonis rebus aut expetendis esse duxi, quippe cum viderem rebus his circumfluentes, eas tamen desiderare maxime quibus abundarent. Neque enim unquam expletur nec satiatur cupiditas sitis, neque solum ea qui habent libidine augendi cruciantur, sed etiam amittendi metu""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Paradoxa_Stoicorum(Cicerone),Paradoxa Stoicorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SE QUANTA RENA ...,"in questo caso si tratta non di una traduzione letterale, ma di una abbreviazione dei vv. 1-8 del metro II del secondo libro del De consolatione philosophiae Si quantas rapidis flatibus incitus / pontus versat harenas / aut quot stelliferis edita noctibus / caelo sidera fulgent / tantas fundat opes, nec retrahat manum / pleno Copia cornu / humanum miseras haud ideo genus / cesset flere querelas"" (ed. Moreschini, p. 33) Il genitivo ""della ricchezza"" deve essere letto come un genitivo partitivo riferito a ""ricchezze"" (elargisca di ricchezze) e non di specificazione riferito a ""dea"", altrimenti verrebbe meno il paragone presente nel testo di Boezio: la dea (con questo termine generico Dante traduce il nome specifico della divinità: Copia) non elargisce né sabbie né stelle (la cosa non avrebbe senso), ma ricchezze quante sono le sabbie e le stelle. E' dunque meglio aggiungere una virgola dopo ""la dea"".",vv. 1-8 del metro II del secondo libro del De consolatione philosophiae,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SALOMONE E SUO PADRE ...,"per la condanna della ricchezza nei libri biblici comunemente attribuiti a Salomone cfr. ad esempio Prv 11, 4, 28; Eccli 5, 10; Sap 5, 8 sgg. Il padre di Salomone è ovviamente David ed il riferimento può essere a Ps. 36, 16; 51, 7; 61, 10","11, 4, 28",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMONE E SUO PADRE ...,"per la condanna della ricchezza nei libri biblici comunemente attribuiti a Salomone cfr. ad esempio Prv 11, 4, 28; Eccli 5, 10; Sap 5, 8 sgg. Il padre di Salomone è ovviamente David ed il riferimento può essere a Ps. 36, 16; 51, 7; 61, 10","5, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMONE E SUO PADRE ...,"per la condanna della ricchezza nei libri biblici comunemente attribuiti a Salomone cfr. ad esempio Prv 11, 4, 28; Eccli 5, 10; Sap 5, 8 sgg. Il padre di Salomone è ovviamente David ed il riferimento può essere a Ps. 36, 16; 51, 7; 61, 10","5, 8 sgg",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMONE E SUO PADRE ...,"per la condanna della ricchezza nei libri biblici comunemente attribuiti a Salomone cfr. ad esempio Prv 11, 4, 28; Eccli 5, 10; Sap 5, 8 sgg. Il padre di Salomone è ovviamente David ed il riferimento può essere a Ps. 36, 16; 51, 7; 61, 10","Ps. 36, 16;",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMONE E SUO PADRE ...,"per la condanna della ricchezza nei libri biblici comunemente attribuiti a Salomone cfr. ad esempio Prv 11, 4, 28; Eccli 5, 10; Sap 5, 8 sgg. Il padre di Salomone è ovviamente David ed il riferimento può essere a Ps. 36, 16; 51, 7; 61, 10","Ps. 51, 7;",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMONE E SUO PADRE ...,"per la condanna della ricchezza nei libri biblici comunemente attribuiti a Salomone cfr. ad esempio Prv 11, 4, 28; Eccli 5, 10; Sap 5, 8 sgg. Il padre di Salomone è ovviamente David ed il riferimento può essere a Ps. 36, 16; 51, 7; 61, 10","Ps. 61, 10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +MASSIMAMENTE A LUCILLO SCRIVENDO,"soprattutto nelle lettere a Lucilio (Lucillus è la forma comune al latino medievale). Le Epistulae ad Lucilium conobbero, nel Tardo Medioevo, un'ampia diffusione e, come abbiamo visto, furono spesso utilizzate nell'ambiente della Facoltà delle Arti per esaltare la vita filosofica. Il rimando di Dante alle Lettere è generico (sono stati proposti diversi passi di riferimento), ed ancor più generico è l'accenno ad altre opere di Seneca diverse dalle Epistulae in cui si condannerebbero le ricchezze.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistulae_morales_ad_Lucilium,Epistulae morales ad Lucilium,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +MASSIMAMENTE A LUCILLO SCRIVENDO,"soprattutto nelle lettere a Lucilio (Lucillus è la forma comune al latino medievale). Le Epistulae ad Lucilium conobbero, nel Tardo Medioevo, un'ampia diffusione e, come abbiamo visto, furono spesso utilizzate nell'ambiente della Facoltà delle Arti per esaltare la vita filosofica. Il rimando di Dante alle Lettere è generico (sono stati proposti diversi passi di riferimento), ed ancor più generico è l'accenno ad altre opere di Seneca diverse dalle Epistulae in cui si condannerebbero le ricchezze.",,CONCORDANZA GENERICA,,,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,CONCEPT +"QUANTO ORAZIO, QUANTO IUVENALE","nuovo accenno generico. Con tutta probabilità Dante si serve del Trésor, che riporta i giudizi di Orazio e di Giovenale sulle ricchezze (II CXVIII 3 sgg., pp. 600-602).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +LA VERACE SCRITTURA DIVINA,"la Sacra Scrittura la quale, ispirata da Dio, non può che affermare la verità'. A testi della Scrittura (Salmi, Proverbi etc.) Dante era già ricorso poche righe prima. Altre condanne della ricchezza possono essere comunque trovate nel Nuovo Testamento: cfr. Lc 6, 24; Jac 5, 1 sgg.","6, 24",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LA VERACE SCRITTURA DIVINA,"la Sacra Scrittura la quale, ispirata da Dio, non può che affermare la verità'. A testi della Scrittura (Salmi, Proverbi etc.) Dante era già ricorso poche righe prima. Altre condanne della ricchezza possono essere comunque trovate nel Nuovo Testamento: cfr. Lc 6, 24; Jac 5, 1 sgg.","5, 1 sgg.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_of_James,Lettera di Giacomo,Giacomo,http://dbpedia.org/resource/James_the_Just,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +L'UNA E L'ALTRA RAGIONE,"come viene spiegato immediatamente dopo si tratta del Diritto Canonico e del Diritto Civile che, come abbiamo visto comprendeva i volumi delle Istitutiones, del Digestum, del Codex e delle Novellae",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Corpus_Juris_Civilis,Corpus iuris civilis,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SE LI LORO COMINCIAMENTI,"'se si leggono i proemi, in cui viene esposto in qualche modo lo scopo dell'opera'. Il Corpus iuris canonici, al tempo di Dante, era costituito dal Decretum, o Concordantia discordantium canonum, opera in cui il monaco bolognese Graziano (ca. 1140) aveva riunito gran parte della giurisprudenza anteriore, e dalle Decretales, pubblicate da Gregorio IX nel 1234 che raccoglievano i pronunciamenti papali posteriori. Dante si riferisce al prologo di queste ultime dove si parla appunto della effrenata cupiditas, mater litium"" che deve esser tenuta a freno dalla forza della giustizia, mentre nel prologo al Digestum, solitamente citato dai commentatori, si parla solo del compito, proprio dei giudici e dei giuristi, di distinguere il giusto dall'ingiusto e di prevenire e punire la violenza e i danni inferti alle persone",prologo,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Decretals_of_Gregory_IX,Decretales Gregorii IX,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ALCUNO CALUNNIATORE DELLA VERITADE,"qualcuno che solo per ostinazione cerca di argomentare contro una verità che dovrebbe risultare anche a lui inoppugnabile'. Questo senso della costellazione di termini: calunniatore, calunnia, calunniare è stato fatto risalire al linguaggio giuridico. In realtà esso era anche in uso in quello filosofico universitario (un esempio per tutti nel Commento di Tommaso alla Fisica, VIII, lectio 12, 1076. Vedi Cv IV xiii 6; xv 9; xxiv 16).","VIII, lectio 12, 1076",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentaria_in_octo_libros_Physicorum(Tommaso),Commentaria in octo libros Physicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ONDE SENECA,"il detto si trova non in Seneca, ma messo da Pomponio sulle labbra del giurista Giuliano, che a sua volta lo attribuisce ad un anonimo graco, nel Digesto (XL, 5, 20). Esso, però, circolava anche avulso dal suo contesto strettamente giuridico; cfr. Bartolomeo di San Concordio, Ammaestramenti degli antichi (dist. ix, cap. 1, p. 161) Nel Digesto libro quarantesimo dice Pomponio così: io per l'amore di imparare ... tengo in memoria questa sentenzia la quale si conta che disse Giuliano: s'io avessi nel sepolcro già l'uno piè, ancora vorrei imparare"". L'attribuzione del detto a Seneca è peraltro presente in alcune delle introduzioni parigine alla Filosofia (cfr. Lafleur 1995, p. 200).","XL, 5, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LO FILOSOFO NEL SESTO DELL'ETICA,"i brani del sesto libro dell' Etica Nicomachea citati a questo proposito dai commentatori hanno solo una parentela dottrinale molto larga con le parole di Dante e nessuna corrispondenza terminologica. Più vicina al testo del Convivio è l'affermazione di Tommaso nel suo commento agli Analitici Posteriori, riportata nella edizione Brambilla Ageno scire aliquid est perfecte cognoscere ipsum"" (I, lectio 4, n. 32).","I, lectio 4, n. 32",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_libri_Posteriorum_Analyticorum(Tommaso),Expositio libri Posteriorum Analyticorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RITORNARE ALLO SUO PRINCIPIO,"che le cose tutte tendano a ricongiungersi col principio che le ha prodotte è un tema neoplatonico presente anche in Tommaso (cfr. In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio I, lectio I, n. 4: Unicuique rei desiderabile est ut suo principio coniungatur"").","I, lectio I, n. 4: Unicuique rei desiderabile est ut suo principio coniungatur""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÌ COME È SCRITTO,"cfr. Gn. 1, 26 Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram"". L'identificazione dell'uomo con la sua anima razionale ed immortale per quanto riguarda la somiglianza divina era dottrina divenuta comune almeno a partire da Origene e, in Occidente, da Ambrogio.","1, 26 Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +A QUELLO,"a Dio. Cfr. la Summa contra Gentiles II, cap. 87, n. 1719 Finis animae humanae et ultima perfectio eius est quod per cognitionem et amorem transcendat totum ordinem creaturarum et pertingat ad primum principium quod Deus est"".","II, cap. 87, n. 1719 Finis animae humanae et ultima perfectio eius est quod per cognitionem et amorem transcendat totum ordinem creaturarum et pertingat ad primum principium quod Deus est",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LI PRINCIPII DELLE COSE NATURALI,"quanti e quali siano i principi che danno ragione del mutamento, realtà costitutiva delle realtà naturali, è problema cui è dedicato tutto il primo libro della Fisica di Aristotele. Per esemplificare meglio quanto detto prima Dante divide l'indagine in due parti: quella che si limita al chiedersi se vi sono i principi e quanti sono, l'altra che va oltre e si chiede quale sia la loro natura (che cosa e com'è ciascuno di questi principii""): il desiderio di sapere che motivava la prima questione è pienamemte appagato (""è compiuto e terminato"") appena (""incontanente"") l'indagine è terminata; se poi in me nasce il desiderio di sapere il che cosa ed il come, si tratta di un desiderio nuovo; il suo insorgere (""il suo avenimento"") e la sua soddisfazione non tolgono nulla alla perfezione collegata alla soddisfazione del desiderio precedente (""non mi si toglie la perfezione alla quale mi condusse l'altro""), anzi la aumentano. Questo tipo di aumento (""questo cotale dilatare"") in cui si sommano perfezioni distinte non è causa (""cagione"") di imperfezione, ma di perfezione maggiore. Viceversa l' aumento del desiderio di ricchezze ad ogni aumento di ricchezza è davvero (""veramente"") un crescere in senso proprio: rimane uno solo, continuo e costante (""è sempre pur uno""), senza che vi si possa vedere una successione di momenti distinti (""sì che nulla successione quivi si vede""), senza nessun limite (""per nullo termine"") e nessun compimento definitivo (""per nulla perfezione"").",primo libro della Fisica di Aristotele,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUESTO INTENDE DA LUI,"sa che Averroè nel commento al De anima vuol dire proprio questo'. I passi cui rimandano i commentatori, e cioè il testo commento 36 del terzo libro (pp. 494-95) usato da Busnelli e da Imbach, ed il testo commento 5 sempre del terzo libro (p. 408) usato dal Nardi (cfr Nardi, 1985, p. 161), non sembrano centrati. Il secondo contiene infatti l'affermazione che la filosofia è sempre stata coltivata in una qualche parte del mondo abitato, e dunque è eterna come il mondo è eterno (una dottrina tipica di Averroè, ma nel nostro caso inafferente) mentre il primo parla sì di limiti nella conoscenza di Dio e delle sostanze separate, ma solo per negare che essi dipendano da una diminutio nostrae naturae naturaliter"" (quindi l'esatto contrario di quel che sostiene Dante). Bisogna semmai notare come Dante più che citare un passo preciso di Averroè, rimandi ad una interpretazione della sua dottrina capace di intenderne il senso più profondo (""E chi intende ...questo intende""). Sembra dunque che Busnelli abbia qualche buon motivo quando attira l'attenzione sul Commento di Tommaso al De Trinitate di Boezio: qui l'Aquinate utilizza proprio il brano del testo commento 36 di Averroè per sostenere la limitatezza della conoscenza umana su questa terra e dopo aver concluso che non ci è data la conoscenza dell'essenza delle sostanze separate, ma solo della loro esistenza, termina quasi con la stessa espressione di Dante ""et haec est etiam sententia Commentatoris in III De anima"" (q.6, a.4) Resta da osservare a) che questa interpretazione va contro l'ovvio senso del testo di Averroè. b) che nel pensiero di Tommaso il ""certo limite"" non si collega ad un appagamento naturale e dunque senza residui del desiderio di conoscere, ma, al contrario, è fonte di una insoddisfazione che rimanda alla rivelazione divina: l'opposto, cioè, di quello che sostiene Dante.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_al_De_anima(Averroè),Commento al De anima,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUESTO INTENDE DA LUI,"sa che Averroè nel commento al De anima vuol dire proprio questo'. I passi cui rimandano i commentatori, e cioè il testo commento 36 del terzo libro (pp. 494-95) usato da Busnelli e da Imbach, ed il testo commento 5 sempre del terzo libro (p. 408) usato dal Nardi (cfr Nardi, 1985, p. 161), non sembrano centrati. Il secondo contiene infatti l'affermazione che la filosofia è sempre stata coltivata in una qualche parte del mondo abitato, e dunque è eterna come il mondo è eterno (una dottrina tipica di Averroè, ma nel nostro caso inafferente) mentre il primo parla sì di limiti nella conoscenza di Dio e delle sostanze separate, ma solo per negare che essi dipendano da una diminutio nostrae naturae naturaliter"" (quindi l'esatto contrario di quel che sostiene Dante). Bisogna semmai notare come Dante più che citare un passo preciso di Averroè, rimandi ad una interpretazione della sua dottrina capace di intenderne il senso più profondo (""E chi intende ...questo intende""). Sembra dunque che Busnelli abbia qualche buon motivo quando attira l'attenzione sul Commento di Tommaso al De Trinitate di Boezio: qui l'Aquinate utilizza proprio il brano del testo commento 36 di Averroè per sostenere la limitatezza della conoscenza umana su questa terra e dopo aver concluso che non ci è data la conoscenza dell'essenza delle sostanze separate, ma solo della loro esistenza, termina quasi con la stessa espressione di Dante ""et haec est etiam sententia Commentatoris in III De anima"" (q.6, a.4) Resta da osservare a) che questa interpretazione va contro l'ovvio senso del testo di Averroè. b) che nel pensiero di Tommaso il ""certo limite"" non si collega ad un appagamento naturale e dunque senza residui del desiderio di conoscere, ma, al contrario, è fonte di una insoddisfazione che rimanda alla rivelazione divina: l'opposto, cioè, di quello che sostiene Dante.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Boethium_De_Trinitate(Tommaso),Super Boethium De Trinitate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ARISTOTILE NEL DECIMO DELL'ETICA,"in realtà ad essere citato non è il testo di Aristotele, ma la Summa contra Gentiles di Tommaso I, cap. 5, n. 35. Qui l'Aquinate, elencando i motivi che rendono utile lo studio della teologia, e citando Eth. Nic. X 7, 1177 b 31-34, individua appunto in Simonide il sostenitore della tesi, respinta da Aristotele, per cui l'uomo, mortale, deve occuparsi di cose mortali, e utilizza espressioni di cui il testo del Convivio risulta un vero e proprio calco Apparet etiam alia utilitas ex dictis Philosophi in decimo Ethicorum. Quum enim Simonides cuidam homini praetermittendam divinam cognitionem persuaderet ... oportere inquiens humana sapere hominem et mortalia mortalem, contra eum Philosophus dicit quod homo debet se ad immortalia et divina trahere quantum potest"" (""l' uomo si dee trarre alle cose divine quanto può""). La qualifica di ""poeta"" data a Simonide e non presente nel testo della Summa, implica anche la conoscenza del Commento di Tommaso al passo dell'Etica Nicomachea sopra citato (X, lectio 11, 2107), e tutto l'insieme è un esempio ulteriore di un uso a bricolage delle fonti da parte di Dante (cfr. Moore, p. 105).","I, cap. 5, n. 35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ARISTOTILE NEL DECIMO DELL'ETICA,"in realtà ad essere citato non è il testo di Aristotele, ma la Summa contra Gentiles di Tommaso I, cap. 5, n. 35. Qui l'Aquinate, elencando i motivi che rendono utile lo studio della teologia, e citando Eth. Nic. X 7, 1177 b 31-34, individua appunto in Simonide il sostenitore della tesi, respinta da Aristotele, per cui l'uomo, mortale, deve occuparsi di cose mortali, e utilizza espressioni di cui il testo del Convivio risulta un vero e proprio calco Apparet etiam alia utilitas ex dictis Philosophi in decimo Ethicorum. Quum enim Simonides cuidam homini praetermittendam divinam cognitionem persuaderet ... oportere inquiens humana sapere hominem et mortalia mortalem, contra eum Philosophus dicit quod homo debet se ad immortalia et divina trahere quantum potest"" (""l' uomo si dee trarre alle cose divine quanto può""). La qualifica di ""poeta"" data a Simonide e non presente nel testo della Summa, implica anche la conoscenza del Commento di Tommaso al passo dell'Etica Nicomachea sopra citato (X, lectio 11, 2107), e tutto l'insieme è un esempio ulteriore di un uso a bricolage delle fonti da parte di Dante (cfr. Moore, p. 105).","X, lectio 11, 2107",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E NEL PRIMO DELL' ETICA,"Dante segue qui, con qualche semplificazione, la traduzione latina di Eth Nic. I, 1, 1094 b 23-25 Disciplinati enim est in tantum certitudinem inquirere secundum unumquodque genus in quantum natura rei recipit"" (Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 143, ll. 8-9). Come spiega il commento di Tommaso, il termine ""disciplinatus"" vale ""bene instructus"", cioè intellettualmente preparato.","I, 1, 1094 b 23-25 Disciplinati enim est in tantum certitudinem inquirere secundum unumquodque genus in quantum natura rei recipit"" (Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 143, ll. 8-9)""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E NEL PRIMO DELL' ETICA,"Dante segue qui, con qualche semplificazione, la traduzione latina di Eth Nic. I, 1, 1094 b 23-25 Disciplinati enim est in tantum certitudinem inquirere secundum unumquodque genus in quantum natura rei recipit"" (Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 143, ll. 8-9). Come spiega il commento di Tommaso, il termine ""disciplinatus"" vale ""bene instructus"", cioè intellettualmente preparato.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SECONDO CHE NELLA LORO NATURA DI CERTEZZA SI RICEVA,"in quel grado di certezza che è possibile ottenere dalla loro natura' (e che è diverso da oggetto a oggetto; come dirà immediatamente dopo il testo di Eth. Nic., I, 1, 1094 b 25-27, la materia morale non può aspirare alla certezza posseduta dagli enti matematici).","Eth. Nic., I, 1, 1094 b 25-27",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PAULO DICE,"cfr. Rm 12, 3 Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem"" dove però l'affermazione si trova in un contesto del tutto differente (Paolo richiama i fedeli della comunità romana ad esercitare con modestia ognuno il proprio particolare carisma senza prevaricare sugli altri).","Rm 12, 3 Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICE LO SAVIO,"l'aforisma si trova sia nel De consolatione philosophiae di Boezio (II, prosa 5, 34, p. 54) sia nella fonte di Boezio, cioè nella Satira decima di Giovenale, un autore conosciuto da Dante. Nel confronto testuale se l'uso della terza persona farebbe pensare a Giovenale (cantabit vacuus coram latrones viator"" X, 22) i due condizionali ""entrasse"", ""canterebbe"" e sopratutto la menzione della ""via"" fanno propendere per Boezio (""Si vitae huius callem vacuus viator intrasses, coram latrones cantares""). Rimane aperto il problema del perché Dante che pure conosce sia Boezio che Giovenale metta il detto in bocca ad un anonimo Savio. Anche un testo come Gli Ammaestramenti degli Antichi di Bartolomeo da San Concordio lo attribuisce nominativamente ai due autori nel cap. 3 (De' mali de' ricchi temporalmente) della Distinzione xxxviii, p. 539. Cfr. Moore, pp. 257-8. I testi di Boezio e di Giovenale erano già stati citati, in un contesto di critica alle ricchezze, nella Commendatio Philosophie di un anonimo magister parigino della prima metà del '200 (cfr. Lafleur 1995, p. 369).","II, prosa 5, 34, p. 54",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DICE LO SAVIO,"l'aforisma si trova sia nel De consolatione philosophiae di Boezio (II, prosa 5, 34, p. 54) sia nella fonte di Boezio, cioè nella Satira decima di Giovenale, un autore conosciuto da Dante. Nel confronto testuale se l'uso della terza persona farebbe pensare a Giovenale (cantabit vacuus coram latrones viator"" X, 22) i due condizionali ""entrasse"", ""canterebbe"" e sopratutto la menzione della ""via"" fanno propendere per Boezio (""Si vitae huius callem vacuus viator intrasses, coram latrones cantares""). Rimane aperto il problema del perché Dante che pure conosce sia Boezio che Giovenale metta il detto in bocca ad un anonimo Savio. Anche un testo come Gli Ammaestramenti degli Antichi di Bartolomeo da San Concordio lo attribuisce nominativamente ai due autori nel cap. 3 (De' mali de' ricchi temporalmente) della Distinzione xxxviii, p. 539. Cfr. Moore, pp. 257-8. I testi di Boezio e di Giovenale erano già stati citati, in un contesto di critica alle ricchezze, nella Commendatio Philosophie di un anonimo magister parigino della prima metà del '200 (cfr. Lafleur 1995, p. 369).",Satira decima,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +LUCANO NEL QUINTO LIBRO,"si tratta del quinto libro della Farsaglia. I versi citati (527-531) fungono da commento all'episodio del povero pescatore, Amiclate, non turbato da Cesare che gli bussa alla porta O vitae tuta facultas / pauperis angustique Lares, o munera nondum / intellecta Deum! Quibus hoc contingere templis / aut potuit muris nullo trepidare tumultu / caesarea pulsante manu"". Nella sua traduzione Dante si prende qualche libertà ampliando Lares in ""abitaculi"" (""stretti abitaculi"" equivale a angusti tuguri ) e ""masserizie"" (cioè le supellettili di arredo) e interpretando munera non come doni, ma come ricchezza.","quinto libro, versi citati (527-531)",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +BOEZIO,"cfr. De consolatione Philosophiae II, prosa 5, 4, pp. 41-42 Siquidem avaritia semper odiosos ... facit"".","II, prosa 5, 4, pp. 41-42 Siquidem avaritia semper odiosos ... facit",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SPLENDIENTI,"'splendenti'. Dante torna a citare il testo di Boezio ""claros largitas facit"".",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +BOEZIO,"cfr. De consolatione Philosophiae p. 42 Tunc est pretiosa pecunia cum translata in alios largiendi usu, desinit possideri"".","p. 42 Tunc est pretiosa pecunia cum translata in alios largiendi usu, desinit possideri",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +TRANSMUTATA NELLI ALTRI PER USO DI LARGHEZZA,"trasferita agli altri attraverso l'esercizio della liberalità'. L'equivalenza semantica tra liberalitas e largitas era già stata notata da Tommaso d' Aquino (Summa Theologiae, IIa IIae, q.117, a.2, respondeo).",", IIa IIae, q.117, a.2, respondeo",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +A MAGGIORE LORO CONFUSIONE,"a loro maggiore vergogna e umiliazione'. Questo senso del verbo confondere"" ha ascendenze bibliche. Vedi ad esempio Ps. 24, 4 ""Confundantur omnes iniqua agentes"".","Ps. 24, 4 ""Confundantur omnes iniqua agentes""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +UNO NOBILE CAVALLO...,"per l'applicazione di termini valutativi come nobile e virtuoso a realtà diverse da quella umana cfr. Cv I v 11. Come dice un commentatore della Politica aristotelica, Nicola di Vaudemont, res dicitur nobilis quando bene disposita est ad finem ad quem facta est"", e l'uomo non esaurisce certo l'insieme delle cose. ""Nobili"" saranno dunque quel cavallo e quel falcone che compiono perfettamente ciò a cui la loro natura li destina (correre, cacciare) e vili quelli che ciò non fanno o fanno male (cfr. Cv IV xi 2; xvi 4). Qui Dante rimanda specificamente ad un uso linguistico particolare che applica l'aggettivo ad animali (o a cose) presenti più degli altri nella vita quotidiana degli uomini. Significativo a questo riguardo mi sembra il Liber de nobilitate dove ci si chiede ""utrum nobilitas inveniatur in aliis rebus sicut in avibus, equis et canibus, quia hoc etiam tenere videtur communis opinio"" e si risponde positivamente esaminando entrambi i modi di attribuzione della nobiltà: ""Dicendum ... quod nobilitas in aliis animalibus ab homine notatur dupliciter, scilicet generaliter et absolute, aut particulariter et in relacione ad aliquid. Primo modo dicitur animal nobile vel generosum, ut dicit Philosophus in primo De animalibus, quod perfecte facit quod pertinet ad opus suum. Unde individua alicuius generis animalium que ita operantur quod non dimittunt opus proprium sui generis dicuntur generosa animalia vel nobilia, quecumque fuerint illa ... In relacione ad hominem sicut aves quedam et canes que ordinantur ad aliquam recreationem ... nobilium dominorum"" (pp. 71-2). Quanto alle pietre preziose (""margherite"") la valutazione si baserà sul grado della loro purezza.",in primo De animalibus,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_partibus_animalium,De animalibus (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHÉ CIÒ È FAVOLA ...,"perché questa è una favola di cui non ci si deve curare quando si discute secondo i principi e il metodo della filosofia'. Già Aristotele, in un contesto polemico, presentava il discorso della filosofia come profondamente diverso da quello dei mitologi"" (cfr. ad esempio Metaph. III, 4, 1000 a 9-19); molti dei pensatori del Basso Medioevo avrebbero accentuato il contrasto escludendo che, tranne in casi particolari, metafore e racconti potessero essere utilizzati come argomenti nel dibattito filosofico. Assumendo in questo le stesse posizioni di Tommaso d'Aquino o di Sigieri di Brabante Dante sottolinea in modo evidente il carattere strettamente scientifico di questo quarto trattato che, appunto, ha abbandonato del tutto l'allegoria, sia nella scrittura poetica che nella sua esegesi. Nel caso specifico poi, la possibilità stessa di utilizzare il modello teorizzato nel primo capitolo del secondo trattato sembra rifiutata in assoluto: come viene detto immediatamente dopo, quel che la favola ""cuopre"" non è una verità filosofica, ma un fatto storico imbarazzante.","III, 4, 1000 a 9-19",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E COSÌ È TORRE VIA QUELLE,"annullando ogni distinzione tra nobiltà e ignobiltà, si annullano i concetti stessi: se tutti sono nobili nessuno è nobile e se tutti sono ignobili nessuno è ignobile. Il testo del Convivio presenta un forte parallelo, segnalato da Maria Corti (Corti 1959, pp. 65-66) con il brano della Summa di Guglielmo Peraldo in cui si confuta appunto la teoria per cui la nobiltà si trasmetterebbe di padre in figlio (... omnes sumus ex eodem patre et eadem matre ... Unde si aliquis ex hoc solo nobilis est quia ex nobili patre aut nobili matre, aut omnes erimus nobiles aut omnes ignobiles, quia aut parentes primi fuerunt nobiles aut ignobiles. Si ipsi fuerunt nobiles, ergo et nos omnes nobiles sumus ... si vero ignobiles fuerunt, ergo et nos omnes ignobiles sumus"").",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_virtutum_ac_vitiorum(Guglielmo_Peraldo),Summa virtutum ac vitiorum,Guglielmo Peraldo,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Guglielmo_Peraldo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +LA LEGGE ... DELLI GENTILI,"la religione ... dei pagani'. Il termine principio"" ha qui un duplice significato: esso indica i due eventuali capostipiti storici dell'umanità, i due possibili Adami (uno nobile e l'altro ignobile) ma anche anche una eventuale dualità di forme specifiche (cioè di principi strutturali). Nel primo caso si va contro quanto detto dalla Scrittura e dalle credenze del paganesimo (che Dante vedrà rappresentate nel racconto della nascita del mondo e dell'uomo che apre le Metamorfosi di Ovidio), nel secondo contro principi basilari della filosofia incarnata dai suoi due massimi rappresentanti: Platone ed Aristotele.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NON POGNA LO PROCESSO DA UNO PRIMO UOMO,"non sostenga che la catena delle generazioni ha avuto inizio da un primo uomo'. Si tratta forse di una interpretazione moderata della dottrina sostenuta da Aristotele, e cioè che le specie viventi sono eterne e da sempre un uomo ha generato un altro uomo (cfr. De an. II, 4, 415 a 26 - b 7). Dante, infatti, sembra dire che nel pensiero dello Stagirita un progenitore iniziale semplicemente non compare, non che la sua esistenza debba essere negata in base ai principi della scienza fisica come avevano affermato alcuni magistri artium parigini della seconda metà del '200 (valga per tutti Boezio di Dacia ed il suo De aeternitate mundi). Molte volte, in settori della cultura medievale, un ovvio silenzio dello Stagirita relativamente a dottrine cristiane oggettivamente in contrasto con la sua filosofia è stato interpretato 'in bonam partem' come una cosciente autolimitazione.","II, 4, 415 a 26 - b 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UNA SOLA ESSENZA ESSERE IN TUTTI LI UOMINI,"che gli uomini sono accomunati da un'unica essenza' (in questo breve aforisma Dante riassume, o probabilmente ha trovato già riassunto, il testo di Metaph. VII, 7, 1032 a 15 sgg.).","VII, 7, 1032 a 15 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VUOLE CHE TUTTI LI UOMINI DA UNA SOLA IDEA DEPENDANO,"i testi aristotelici con relativa esposizione di Tommaso citati dai commentatori, e ripresi ed accresciuti nell'edizione Ageno, come fonte per Dante della dottrina platonica non sembrano del tutto afferenti; contengono infatti le critiche dello Stagirita alla teoria delle Idee (cfr. Metaph. I, 9, 990 b 1 sgg; Eth. Nic. I, 4, 1096 a 34 - b 2). Un riassunto della dottrina di Platone in termini più vicini a quelli del Convivio è piuttosto nel De dogmate Platonis di Apuleio (ideas vero, id est formas omnium simplices et aeternas esse nec corporales: esse tamen ... exempla rerum que sunt eruntve nec posse amplius quam singularum specierum singulas imagines in exemplaribus inveniri"" I, 6, p. 87)..","ideas vero, id est formas omnium simplices et aeternas esse nec corporales: esse tamen ... exempla rerum que sunt eruntve nec posse amplius quam singularum specierum singulas imagines in exemplaribus inveniri"" I, 6, p. 87""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_dogmate_Platonis(Apuleio),De dogmate Platonis,Apuleio,http://dbpedia.org/resource/Apuleius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +CHI SA SE ...GIUSO,"cfr. Ecl 3, 21 Quis novit si spiritus filiorum Adam ascendat sursum, et si spiritus iumentorum descendat deorsum?"".","Ecl 3, 21 Quis novit si spiritus filiorum Adam ascendat sursum, et si spiritus iumentorum descendat deorsum?",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ecclesiastes,Ecclesiaste,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NATO È L'UOMO ...,"cfr. Metamorfosi I 78-83 Natus homo est: sive hunc divino semine fecit / ille opifex rerum ... / sive recens tellus seductaque nuper ab alto / aethere cognati retinebat semina caeli: / quam satus Iapeto mixta pluvialibus aquis / finxit in effigiem moderantum cuncta deorum"". Dante traduce abbastanza letteralmente (il ""mista con l'acqua del fiume"" si spiega con il fatto che egli leggeva nel suo testo 'fluvialibus' al posto di 'pluvialibus'); sente però il bisogno di rendere il termine aether con una espressione più tecnica (corpo più nobile degli altri, perché sottile e trasparente) e di spiegare che il figlio (satus) di Giapeto è Prometeo).",I 78-83 Natus homo est: sive hunc divino semine fecit / ille opifex rerum ... / sive recens tellus seductaque nuper ab alto / aethere cognati retinebat semina caeli: / quam satus Iapeto mixta pluvialibus aquis / finxit in effigiem moderantum cuncta deorum,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NEL TERZO DELL'ANIMA,"nel terzo libro del De anima, qui probabilmente citato attraverso il commento di Tommaso all' Etica Nicomachea (VI, lectio 5, 1179) In tertio de Anima dicitur quod obiectum proprium intellectus est quod quid est"".",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL TERZO DELL'ANIMA,"nel terzo libro del De anima, qui probabilmente citato attraverso il commento di Tommaso all' Etica Nicomachea (VI, lectio 5, 1179) In tertio de Anima dicitur quod obiectum proprium intellectus est quod quid est"".","(VI, lectio 5, 1179) In tertio de Anima dicitur quod obiectum proprium intellectus est quod quid est",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL PRIMO DELLI OFFICI,"nel primo libro del De Officiis. Cfr. De officiis I, 6, 18 Omnes ... trahimur ...ad cognitionis et scientiae cupiditatem ... In hoc genere et naturali et honesto duo vitia vitanda sunt: unum ne incognita pro cognitis habeamus iisque temere adsentiamur ..."".","I, 6, 18 Omnes ... trahimur ...ad cognitionis et scientiae cupiditatem ... In hoc genere et naturali et honesto duo vitia vitanda sunt: unum ne incognita pro cognitis habeamus iisque temere adsentiamur ...",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +TOMMASO NEL SUO CONTRA-LI-GENTILI,"cfr. Summa contra Gentiles I, cap. 5, n. 31 Sunt enim quidam tantum de suo ingenio praesumentes ut totam naturam divinam se reputent suo intellectu posse metiri, aestimantes scilicet totum esse verum quod eis videtur et falsum quod eis non videtur"". Per adattare la citazione al suo scopo, nella traduzione Dante ha allargato il riferimento dalla specifica natura divina alla realtà nel suo complesso (""tutte le cose"") ed ha sostituito ai 'quidam-qualcuno' i ""molti"".","I, cap. 5, n. 31 Sunt enim quidam tantum de suo ingenio praesumentes ut totam naturam divinam se reputent suo intellectu posse metiri, aestimantes scilicet totum esse verum quod eis videtur et falsum quod eis non videtur",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SALOMONE NELLI PROVERBI,"cfr. Prv 29, 20 Vidisti hominem velocem ad loquendum? Stultitia magis speranda est quam illius correptio"".","29, 20 Vidisti hominem velocem ad loquendum? Stultitia magis speranda est quam illius correptio",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DICENDO QUELLI ESSERE INSUFFICIENTI UDITORI DELLA MORALE FILOSOFIA,"affermando che sono incapaci di apprendere la filosofia morale'. Cfr. Eth. Nic. I, 4, 1095 b 4 sgg. dove Aristotele, dopo aver detto che chi vuole ascoltare con profitto l'insegnamento morale deve essere stato rettamente educato, così conclude citando Esiodo: Qui autem neque ipsemet intelligit neque alium audiens in animo ponit"" (""mai per loro non cercano ... mai quello che altri dice non curano"") ... hic inutilis vir"".","I, 4, 1095 b 4 sgg",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +D'OGNI DOTTRINA DISPERATI,"del tutto incapaci di ricevere ogni tipo di conoscenza'. Nonostante l'identità terminologica, questa pusillanimità naturale non è da identificarsi con il vizio analizzato da Aristotele nel quarto libro dell' Etica Nicomachea in contrapposizione alla virtù della magnanimità (cfr. soprattutto 1125 a 16-35). Il pusillanime aristotelico, infatti è chi si ritiene inferiore a quanto merita, con particolare riferimento agli onori, e se ha un difetto conoscitivo questo riguarda solo la conoscenza delle sue capacità relazionali. Ma nel commento al brano aristotelico in cui si afferma che i pusillanimi si astengono dalle azioni e dalle occupazioni belle (discedunt ab operationibus bonis et adinventionibus, ut indigni"") Tommaso (IV, lectio 11, n. 787) glossa il termine ""adinventio"" nella direzione che poi verrà presa da Dante ""Recedunt ab ... adinventionibus speculabilium veritatum, quasi indigni et insufficientes ad talia"".","IV, lectio 11, n. 787",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL PRIMO DELLA FISICA,"nel primo libro della Fisica. I passi di Aristotele, di Averroè, di Tommaso e di Alberto citati dai commentatori esprimono sì il concetto (uno scienziato non deve perdere tempo a discutere con chi nega i principi costitutivi della sua scienza) ma sono letterariamente lontani dal testo del Convivio che invece, come ha ben visto Imbach, trova piena corrispondenza nelle Auctoritates Aristotelis (p. 140, n.6) Contra negantem principia non est disputandum"" formulazione ripresa alla lettera nella Quaestio de aqua et terra: ""cum contra negantem principia alicuius scientie non sit disputandum ... ut patet ex primo Physicorum"" (xi 21, p. 750). In ogni caso l'identificazione dei ""lievi di fantasia"" con i negatori dei principi è originale trovata di Dante.","s (p. 140, n.6) Contra negantem principia non est disputandum"" formulazione ripresa alla lettera nella Quaestio de aqua et terra: ""cum contra negantem principia alicuius scientie non sit disputandum ... ut patet ex primo Physicorum"" (xi 21, p. 750)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LO INFORZATO DICE,"cfr. Digesto XXVIII, 1, 2 In eo qui testatur, eius temporis quo testamentum facit, integritas mentis, non corporis sanitas exigenda est"". (Cfr. la nota a Cv IV ix 8 ).","Digesto XXVIII, 1, 2 In eo qui testatur, eius temporis quo testamentum facit, integritas mentis, non corporis sanitas exigenda est",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Corpus_Juris_Civilis,Corpus iuris civilis,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LO REGE SI LETIFICHERÀ ... CHE PARLANO LE INIQUE COSE,"Dante traduce alla lettera il versetto finale del salmo 62 Rex vero laetabitur in Deo; laudabuntur omnes qui iurant in eo, quia obstructum est os loquentium iniqua"".","il versetto finale del salmo 62: Rex vero laetabitur in Deo; laudabuntur omnes qui iurant in eo, quia obstructum est os loquentium iniqua",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NEL LIBRO DI SAPIENZA,"cfr. Sap 6, 23 Diligite lumen sapientiae omnes qui praeestis populis"" (il testo era già stato citato in Cv IV vi 18)","6, 23 Diligite lumen sapientiae omnes qui praeestis populis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Wisdom,Sapienza,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER CHE VIA SIA DA CAMMINARE,"quale metodo si debba usare per'. Dante ha sicuramente presente la distinzione aristotelica tra definizione nominale, che parte appunto dal significato usuale del nome della cosa da definire (secondo la comune consuetudine di parlare"", come verrà precisato subito dopo) e definizione essenziale, che coglie le proprietà strutturali della cosa stessa (cfr. An Post II, 7, 92 b 26-28). Lo Stagirita considerava del tutto diversi i due tipi di definizione (cfr. ivi, 92 b 28-35); i medievali (e anche Dante) ritennero che la definizione nominale potesse essere un utile punto di partenza per arrivare a quella essenziale. Sulla definizione comunemente data della nobiltà come ""perfezione di propia natura in ciascuna cosa"" vedi . Beltrami 2000.","II, 7, 92 b 26-28",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICE SALOMONE NELLO ECCLESIASTES,"cfr. Ecl 10, 17 Beata terra cuius rex nobilis est"".","Ecl 10, 17 Beata terra cuius rex nobilis est",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ecclesiastes,Ecclesiaste,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +GUAI A TE ...,"cfr. Ecl 10, 16 Vae tibi terra, cuius rex puer est"".","Ecl 10, 16 Vae tibi terra, cuius rex puer est",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NEL PRIMO DELL'ETICA,"cfr. Eth. Nic. I, 1, 1095 a 6-8 (e la nota a Cv I iv 3).","I, 1, 1095 a 6-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VIENE DA 'NON VILE',"questa etimologia (fattualmente errata) è presa dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (cfr. X controllare 184, vol. I, s. p.) .","X controllare 184, vol. I, s. p.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +QUANDO DICE,"Dante traduce fedelmente il testo aristotelico (unumquodque ... tum maxime perfectum est cum attingit propriae virtuti, et tunc est maxime secundum naturam"") rendendo con un doppio verbo (""tocca e aggiugne"", cioè raggiunge) il termine ""attingit"". L' esempio del cerchio (""circulo"") immediatamente seguente è ripreso dal medesimo passo di Aristotele (""et circulus tunc maxime secundum naturam est, cum maxime circulus sit"". 266, ll. 13-16 Translatio Vetus, p. 266, ll. 13-16)","et circulus tunc maxime secundum naturam est, cum maxime circulus sit. 266, ll. 13-16 Translatio Vetus, p. 266, ll. 13-16",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SUA VIRTUTE PARTE PER LO CIRCULO,"già in Agostino (cfr. De quantitate animae XI 18-XII 19, pp. 152-154) la natura del cerchio dipende dal centro che è capace di far partecipare in egual misura alla sua potenza tutti i punti della circonferenza (che equalmente sua virtute parte per lo circulo""). Anche Tommaso, quando vuole illustrare il modo con cui l'eternità è presente ad ogni istante del tempo prende ad esempio il centro del cerchio che coesiste simultaneamente ad ogni punto della circonferenza (cfr. Summa contra Gentiles, I, cap. 56, n. 548). Del resto, già nella Vita Nova, apparendo a Dante, Amore aveva usato il medesimo concetto ""Ego tamquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes; tu autem non sic"" (5,11)","XI 18-XII 19, pp. 152-154",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_quantitate_animae,De quantitate animae,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +SUA VIRTUTE PARTE PER LO CIRCULO,"già in Agostino (cfr. De quantitate animae XI 18-XII 19, pp. 152-154) la natura del cerchio dipende dal centro che è capace di far partecipare in egual misura alla sua potenza tutti i punti della circonferenza (che equalmente sua virtute parte per lo circulo""). Anche Tommaso, quando vuole illustrare il modo con cui l'eternità è presente ad ogni istante del tempo prende ad esempio il centro del cerchio che coesiste simultaneamente ad ogni punto della circonferenza (cfr. Summa contra Gentiles, I, cap. 56, n. 548). Del resto, già nella Vita Nova, apparendo a Dante, Amore aveva usato il medesimo concetto ""Ego tamquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes; tu autem non sic"" (5,11)","I, cap. 56, n. 548",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL VANGELIO DI SANTO MATEO - QUANDO DICE CRISTO,"cfr. Mt 7, 15-16 Attendite a falsis prophetis ... A fructibus eorum cognoscetis eos"".","Mt 7, 15-16 Attendite a falsis prophetis ... A fructibus eorum cognoscetis eos",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CHE SONO MORALI VERTÙ E INTELLETTUALI,"la partizione delle virtù in morali ed intellettuali è presente nelle ultime righe del primo libro dell' Etica Nicomachea (I, 13, 1103 a 3-10) al termine di una analisi delle diverse facoltà dell'anima cui esse corrispondono.","I, 13, 1103 a 3-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECONDO CHE NEL SECONDO DELL'ETICA È PER LO FILOSOFO DIFFINITO,"con le parole usate da Aristotele nel secondo libro dell' Etica Nicomachea per definirla' (cfr. Eth. Nic. II, 6, 1106 b 36 Est virtus habitus electivus in medietate existens"" Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 404, l. 1).","II, 6, 1106 b 36 Est virtus habitus electivus in medietate existens"" Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 404, l. 1""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUESTE SONO UNDICI VERTUDI ...,"le virtù elencate (nomate"") da Aristotele nel capitolo 7 del secondo libro dell' Etica Nicomachea II 7, 1107 a 28-1108 b 10) sono in realtà dieci (il pudore e l'indignazione, infatti, pur presenti alla fine della elencazione, non sono considerati da Aristotele come virtù in senso stretto). Dante aggiunge la giustizia così come aveva già fatto Tommaso nella Summa Theologiae (cfr. Ia- IIae, q. 60, a. 5, respondeo ""Sic igitur patet quod secundum Aristotelem sunt decem virtutes morales ... scilicet fortitudo, temperantia, liberalitas, magnificentia, magnanimitas, philotimia, mansuetudo, amicitia, veritas et eutrapelia ... Si igitur addatur iustitia, quae est circa operationes, erunt omnes undecim""). La caratterizzazione delle singole virtù, ed anche il loro nome, non sempre corrispondono in pieno a quanto Dante poteva leggere nella traduzione latina del testo aristotelico (che, dopo l'elenco fornito nel secondo libro, presenta una particolareggiata analisi delle singole virtù dal cap. 6 del terzo a tutto il quarto libro, mentre alla giustizia viene riservato per intero il quinto ), ma presuppongono sia il Liber Ethicorum o Summa Alexandrinorum (per cui vedi la nota a Cv I x 10 ) sia il Commento di Tommaso all' Etica Nicomachea.","II 7, 1107 a 28-1108 b 10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUESTE SONO UNDICI VERTUDI ...,"le virtù elencate (nomate"") da Aristotele nel capitolo 7 del secondo libro dell' Etica Nicomachea II 7, 1107 a 28-1108 b 10) sono in realtà dieci (il pudore e l'indignazione, infatti, pur presenti alla fine della elencazione, non sono considerati da Aristotele come virtù in senso stretto). Dante aggiunge la giustizia così come aveva già fatto Tommaso nella Summa Theologiae (cfr. Ia- IIae, q. 60, a. 5, respondeo ""Sic igitur patet quod secundum Aristotelem sunt decem virtutes morales ... scilicet fortitudo, temperantia, liberalitas, magnificentia, magnanimitas, philotimia, mansuetudo, amicitia, veritas et eutrapelia ... Si igitur addatur iustitia, quae est circa operationes, erunt omnes undecim""). La caratterizzazione delle singole virtù, ed anche il loro nome, non sempre corrispondono in pieno a quanto Dante poteva leggere nella traduzione latina del testo aristotelico (che, dopo l'elenco fornito nel secondo libro, presenta una particolareggiata analisi delle singole virtù dal cap. 6 del terzo a tutto il quarto libro, mentre alla giustizia viene riservato per intero il quinto ), ma presuppongono sia il Liber Ethicorum o Summa Alexandrinorum (per cui vedi la nota a Cv I x 10 ) sia il Commento di Tommaso all' Etica Nicomachea.","a- IIae, q. 60, a. 5, respondeo ""Sic igitur patet quod secundum Aristotelem sunt decem virtutes morales ... scilicet fortitudo, temperantia, liberalitas, magnificentia, magnanimitas, philotimia, mansuetudo, amicitia, veritas et eutrapelia ... Si igitur addatur iustitia, quae est circa operationes, erunt omnes undecim""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FORTEZZA ... A MODERARE L' AUDACIA E LA TIMIDITATE NOSTRA,"cfr. Liber Ethicorum Fortitudo medium est timiditatis et audacie"" (p. XLIX).","Fortitudo medium est timiditatis et audacie"" (p. XLIX)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_Alexandrinorum,Summa Alexandrinorum,Nicola Damasceno,http://dbpedia.org/resource/Nicolaus_of_Damascus,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NELLE COSE CHE SONO CORRUZIONE DELLA NOSTRA VITA,"relativamente a ciò che può distruggere la nostra esistenza' (cfr. il Commento di Tommaso al secondo libro dell' Etica Nicomachea, lectio 8, n. 340 Primo loquitur de fortitudine, quae respicit pericula interimentia vitam""). In effetti il coraggio è per Aristotele la capacità di rimanere saldi davanti al più terribile di tutti i mali: la morte (cfr. Eth. Nic. III, 6, 1115 a 24-35).","lectio 8, n. 340 Primo loquitur de fortitudine, quae respicit pericula interimentia vitam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NELLE COSE CHE SONO CORRUZIONE DELLA NOSTRA VITA,"relativamente a ciò che può distruggere la nostra esistenza' (cfr. il Commento di Tommaso al secondo libro dell' Etica Nicomachea, lectio 8, n. 340 Primo loquitur de fortitudine, quae respicit pericula interimentia vitam""). In effetti il coraggio è per Aristotele la capacità di rimanere saldi davanti al più terribile di tutti i mali: la morte (cfr. Eth. Nic. III, 6, 1115 a 24-35).","III, 6, 1115 a 24-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TEMPERANZA ...,"la definizione della temperanza non corrisponde letteralmente a nessuno dei testi cui abbiamo accennato. Aristotele presenta la temperanza come una medietas tra un eccesso nel godimento dei piaceri del cibo e del sesso ed un eccesso nel loro rifiuto (soperchievole astinenza""), che peraltro giudica rarissimo se non impossibile (cfr. Eth. Nic. III, 11, 1119 a 5-7). Stranamente Dante parla solo della gola (""gulositade"") e non della lussuria.","II, 11, 1119 a 5-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NELLE COSE CHE CONSERVANO LA NOSTRA VITA,"la notazione non si trova in Aristotele. Vedi. invece il commento di Tommaso (II, lectio 8, n. 340) Temperantia, quae respicit ea quae sunt utilia ad conservandam vitam"". Il cibo, in effetti, serve a mantenere in vita l'individuo, mentre il sesso perpetua la specie.","II, lectio 8, n. 340",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA TERZA SI È LIBERALITADE ...,"nel testo aristotelico (II 7, 1107 b 8-10) la liberalità riguarda la 'datio' e la 'acceptio pecuniarum'. Le pecunie diventano più generalmente in Dante le cose temporali"", cioè i beni di questo mondo.","II 7, 1107 b 8-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA QUARTA SI È MAGNIFICENZA,"anche la magnificenza è una virtù che riguarda l'uso del denaro, relativa però allo spendere in grande. Cfr. il Commento di Tommaso al quarto libro dell' Etica Nicomachea (lectio 6, n. 708) Magnificentia ... est solum circa magnas expensas","(lectio 6, n. 708) Magnificentia ... est solum circa magnas expensas",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA QUINTA SI È MAGNANIMITADE ... DE' GRANDI ONORI E FAMA,"cfr. Eth. Nic. II, 7, 1107 b 26.","II, 7, 1107 b 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA SESTA SI È AMATIVA D'ONORE ...,"per Aristotele, accanto alla virtù che riguarda i grandi onori ne esiste una relativa agli onori mediocri il cui possessore non ha un nome specifico, ma che potrebbe essere chiamato 'giustamente ambizioso'. Il termine greco philotimos nella traduzione latina era stato semplicemente traslitterato (philotimus); nel suo Commento Tommaso lo rende appunto con 'amator honoris' (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, II, lectio 9, n. 346). La denominazione della philotimia come 'virtus amativa honoris' si trova nella tavola delle virtù del De regimine principum di Egidio Romano; cfr I ii 3 Quot sunt virtutes morales et quomodo eorum numerus est sumendus, p. 51.","In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, II, lectio 9, n. 346",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA SETTIMA SI È MANSUETUDINE ...,"che la mansuetudo sia il giusto mezzo tra un eccesso ed un difetto di ira Dante poteva leggerlo sia nell' Etica Nicomachea (II 7, 1108 a 4-6) che nel Commento di Tommaso (II, lectio 9, n. 349) che nel Trésor di Brunetto (II XXIV 1, p. 394).","II, lectio 9, n. 349",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA SETTIMA SI È MANSUETUDINE ...,"che la mansuetudo sia il giusto mezzo tra un eccesso ed un difetto di ira Dante poteva leggerlo sia nell' Etica Nicomachea (II 7, 1108 a 4-6) che nel Commento di Tommaso (II, lectio 9, n. 349) che nel Trésor di Brunetto (II XXIV 1, p. 394).","II 7, 1108 a 4-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA SETTIMA SI È MANSUETUDINE ...,"che la mansuetudo sia il giusto mezzo tra un eccesso ed un difetto di ira Dante poteva leggerlo sia nell' Etica Nicomachea (II 7, 1108 a 4-6) che nel Commento di Tommaso (II, lectio 9, n. 349) che nel Trésor di Brunetto (II XXIV 1, p. 394).","II XXIV 1, p. 394",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +LI MALI ESTERIORI,"cfr. il Commento di Tommaso (II, lectio 9, n. 349) ponit virtutem quae respicit exteriora mala"" Il male che ci viene da fuori potrebbe essere identificato, in questo caso, con le offese ingiustamente inflitte a noi ed ai nostri consanguinei ed amici, contro cui si deve reagire, come dice Tommaso, ""repellendo iniurias"". Di questo, infatti parla la trattazione specifica della mansuetudo in Eth. Nic. IV 5, 1125 b 26-1126 b 10.","II, lectio 9, n. 349",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'OTTAVA SI È AFFABILITADE,"in realtà nella tavola aristotelica delle virtù si tratta della decima (anche se poi, nella trattazione più ampia del terzo e del quarto libro, risulta effettivamente ottava). Aristotele per definirla aveva usato il termine philia, nel senso di socievolezza (cfr. Eth. Nic. II 7, 1108 a 26-7) e con questo nome essa è presente nell'elenco della Summa Theologiae precedentemente citato. Nel più tardo commento all' Etica (II, lectio 9, n. 354) Tommaso introdurrà il termine affabilitas (ipsa medietas vocatur amicitia vel affabilitas"").","II, lectio 9, n. 354",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA NONA SI È CHIAMATA VERITADE,"si tratta, nella tavola, della ottava virtù, la sincerità, che è media tra la iattanza, cioè il presentarci migliori di quanto siamo (vantare noi oltre che siamo"") ed il suo contrario, l'ironia (""lo diminuire noi oltre che siamo""). Cfr. il commento di Tommaso a Eth. Nic. IV, 7, 1127 b 17-26, lectio 13, n. 835 ""Uno modo iactator simulat sibi inesse aliqua gloriosa quae non sunt ... alio modo quia dicit ea esse maiora quam sint"".","IV, 7, 1127 b 17-26, lectio 13, n. 835 ""Uno modo iactator simulat sibi inesse aliqua gloriosa quae non sunt ... alio modo quia dicit ea esse maiora quam sint""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LA DECIMA SI È CHIAMATA EUTRAPELIA,"si tratta della nona virtù della tavola (cfr. Eth. Nic. II, 7, 1108 a 23-24) che riguarda la piacevolezza nei rapporti basati sullo scherzo amichevole e sul gioco. Sia la traduzione latina che il commento di Tommaso (e anche il Trésor) avevano semplicemente traslitterato il termine che quindi, anche in Dante, rimane un puro calco (il greco eutrapelia indica la capacità di essere spiritosi senza essere volgari).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NELLI SOLLAZZI,"nelle attività ludiche' (cfr. il Commento di Tommaso, II, lectio 9, n.353: Exemplificat de virtute quae est circa ludos"").","II, lectio 9, n.353: Exemplificat de virtute quae est circa ludos",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'UNDECIMA SI È GIUSTIZIA ...,"come abbiamo detto, nella tavola delle virtù non compare elencata la giustizia. Dante, ponendola alla fine e sottolineando che essa ci dispone (ordina noi"") a desiderare e ad attuare ciò che è retto (""dirittura"") in tutte le cose, la considera come una virtù generale, fedele in questo alla lettera ed allo spirito di Aristotele (cfr. Eth. Nic. V 1, 1130 a 9 ""Hic quidem igitur iustitia non pars virtutis, sed tota virtus est"". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 229, ll. 6-7 ).","V 1, 1130 a 9 ""Hic quidem igitur iustitia non pars virtutis, sed tota virtus est"". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 229, ll. 6-7 """,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DUE INIMICI COLLATERALI,"Dante, seguendo la vulgata aristotelica, presenta ogni virtù come il giusto mezzo (sono li mezzi"") tra due vizi, considerati come due nemici che le insidiano da una parte e dall'altra (""due inimici collaterali""), cioè per eccesso o per difetto (il ""troppo e il poco""). Il testo di riferimento è Eth. Nic. II 8, 1108 b 11-15, così riassunto nelle Auctoritates Aristotelis ""Omnis virtus consistit in medio, scilicet inter defectum et excessum"" (p. 235, n. 38). I termini ""troppo"" e ""poco"" erano già stati usati dalla traduzione italiana della sezione etica del Trésor (ad esempio II 13,controllare ed. Gaiter, p. 42). Poiché le virtù consistono in una abitudine (""abito"") acquisita attraverso il ripetersi di scelte giuste (""della nostra buona elezione""), le si può definire in generale (""generalmente si può dicere di tutte"") come abitudine a scegliere ciò che è medio tra due estremi (""abito elettivo consistente nel mezzo"", che è la traduzione letterale di Eth. Nic. II 6, 1107 a 1 ""Est autem virtus habitus electivus in medietate existens"". Vedi Cv IV xvii 1).","II 8, 1108 b 11-15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER CH'ELLE SI COMPONGONO,"attraverso cui si uniscono'. Aristotele aveva introdotto la distinzione tra virtù morali (etiche) ed intellettuali (dianoetiche) alla fine del primo libro dell' Etica Nicomachea (cap. 13, 1103 a 3-7); il libro VI è dedicato appunto alla trattazione di queste ultime e tra esse è compresa la phronesis (che i traduttori latini renderanno con prudentia) cui vengono dedicati l'intero capitolo quinto e parti del sesto e del settimo. Che la prudenza diriga le virtù morali era stato affermato da Tommaso nel suo Commento al decimo libro dell' Etica Nicomachea (lectio 12, n. 2111) mentre l'immagine del mostrare la via si trova nel volgarizzamento italiano della sezione etica del Trésor (ma non nel testo francese): Disse Tullio che la prudenza va dinanzi all'altre virtù e porta la lucerna e mostra alle altre la via"" (VII, 8, ed. Gaiter, III, p. 236.) controllare. Tra i molti che sostengono ""la prudenza essere morale virtute"" potrebbe essere annoverato Egidio Romano che nel De regimine principum, pur ponendola 'in intellectu' la classifica tra le dodici 'virtutes morales' (cfr. De regimine principum I ii 3, pp. 51-2).",il libro VI è dedicato appunto alla trattazione di queste ultime e tra esse è compresa la phronesis (che i traduttori latini renderanno con prudentia) cui vengono dedicati l'intero capitolo quinto e parti del sesto e del settimo,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER CH'ELLE SI COMPONGONO,"attraverso cui si uniscono'. Aristotele aveva introdotto la distinzione tra virtù morali (etiche) ed intellettuali (dianoetiche) alla fine del primo libro dell' Etica Nicomachea (cap. 13, 1103 a 3-7); il libro VI è dedicato appunto alla trattazione di queste ultime e tra esse è compresa la phronesis (che i traduttori latini renderanno con prudentia) cui vengono dedicati l'intero capitolo quinto e parti del sesto e del settimo. Che la prudenza diriga le virtù morali era stato affermato da Tommaso nel suo Commento al decimo libro dell' Etica Nicomachea (lectio 12, n. 2111) mentre l'immagine del mostrare la via si trova nel volgarizzamento italiano della sezione etica del Trésor (ma non nel testo francese): Disse Tullio che la prudenza va dinanzi all'altre virtù e porta la lucerna e mostra alle altre la via"" (VII, 8, ed. Gaiter, III, p. 236.) controllare. Tra i molti che sostengono ""la prudenza essere morale virtute"" potrebbe essere annoverato Egidio Romano che nel De regimine principum, pur ponendola 'in intellectu' la classifica tra le dodici 'virtutes morales' (cfr. De regimine principum I ii 3, pp. 51-2).","lectio 12, n. 2111",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER CH'ELLE SI COMPONGONO,"attraverso cui si uniscono'. Aristotele aveva introdotto la distinzione tra virtù morali (etiche) ed intellettuali (dianoetiche) alla fine del primo libro dell' Etica Nicomachea (cap. 13, 1103 a 3-7); il libro VI è dedicato appunto alla trattazione di queste ultime e tra esse è compresa la phronesis (che i traduttori latini renderanno con prudentia) cui vengono dedicati l'intero capitolo quinto e parti del sesto e del settimo. Che la prudenza diriga le virtù morali era stato affermato da Tommaso nel suo Commento al decimo libro dell' Etica Nicomachea (lectio 12, n. 2111) mentre l'immagine del mostrare la via si trova nel volgarizzamento italiano della sezione etica del Trésor (ma non nel testo francese): Disse Tullio che la prudenza va dinanzi all'altre virtù e porta la lucerna e mostra alle altre la via"" (VII, 8, ed. Gaiter, III, p. 236.) controllare. Tra i molti che sostengono ""la prudenza essere morale virtute"" potrebbe essere annoverato Egidio Romano che nel De regimine principum, pur ponendola 'in intellectu' la classifica tra le dodici 'virtutes morales' (cfr. De regimine principum I ii 3, pp. 51-2).","isse Tullio che la prudenza va dinanzi all'altre virtù e porta la lucerna e mostra alle altre la via"" (VII, 8, ed. Gaiter, III, p. 236.)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +LO FILOSOFO NEL DECIMO DELL'ETICA,"cfr. Eth. Nic. X, 7, 1177 a 12-17 dove riguardo alla vita teoretica si parla appunto di 'felicitas perfecta'.","X, 7, 1177 a 12-17",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL VANGELIO DI LUCA,"l'episodio in cui Gesù è ospite in casa di Marta e Maria, è narrato nel cap. decimo, ai versetti 38-42. Dante traduce alla lettera il testo latino dei versetti 41-42 Martha, Martha, sollicita es et turbaris erga plurima: porro unum est necessarium. Maria optimam partem elegit quae non auferetur ab ea"", ma ne stravolge il significato. Con la glossa ""cioè quello che fai"" egli infatti attribuisce alle molteplici attività di Marta il ""porro unum est necessarium"" che il Vangelo riserva all'ascolto di Maria. Vedi a questo proposito le osservazioni di John A. Scott (Scott 2004, pp. 132-133).","versetti 41-42 Martha, Martha, sollicita es et turbaris erga plurima: porro unum est necessarium. Maria optimam partem elegit quae non auferetur ab ea",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ALLE EVANGELICHE PAROLE,"l'identificazione di Marta con la vita attiva e di Maria con quella contemplativa operata già a partire da Gregorio Magno (cfr. Moralia in Job, VI 37, 62, PL 75, p. 763) era, al tempo di Dante, di uso corrente tra i teologi (vedi ad esempio, la Summa Theologiae di Tommaso IIa-IIae, q. 179, a. 2, sed contra, che rimanda appunto a Gregorio Magno). Bisogna però osservare che in linea di massima questi due modelli di vita identificavano attività proprie del clero (ad esempio, come abbiamo già avuto modo di dire commentando Cv I v 11, i prelati rappresentavano la vita attiva, i monaci e poi i frati quella contemplativa). Dante invece identificandoli con l'esercizio delle virtù etiche e di quelle dianoetiche, li estende in linea di principio a tutti gli uomini in quanto esseri razionali (in via di fatto, per quel che riguarda la vita attiva, a quel pubblico di nobili, baroni, cavalieri e molt'altra nobile gente di cui si parla in Cv I ix 5).","VI 37, 62, PL 75, p. 763",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Moralia_in_Iob,Moralia in Iob,Gregorio Magno,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_I,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +ALLE EVANGELICHE PAROLE,"l'identificazione di Marta con la vita attiva e di Maria con quella contemplativa operata già a partire da Gregorio Magno (cfr. Moralia in Job, VI 37, 62, PL 75, p. 763) era, al tempo di Dante, di uso corrente tra i teologi (vedi ad esempio, la Summa Theologiae di Tommaso IIa-IIae, q. 179, a. 2, sed contra, che rimanda appunto a Gregorio Magno). Bisogna però osservare che in linea di massima questi due modelli di vita identificavano attività proprie del clero (ad esempio, come abbiamo già avuto modo di dire commentando Cv I v 11, i prelati rappresentavano la vita attiva, i monaci e poi i frati quella contemplativa). Dante invece identificandoli con l'esercizio delle virtù etiche e di quelle dianoetiche, li estende in linea di principio a tutti gli uomini in quanto esseri razionali (in via di fatto, per quel che riguarda la vita attiva, a quel pubblico di nobili, baroni, cavalieri e molt'altra nobile gente di cui si parla in Cv I ix 5).","Ia-IIae, q. 179, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E FONDASI SOPRA UNA PROPOSIZIONE FILOSOFICA ...,"l'assioma cui Dante ricorre afferma che quando due realtà hanno in comune una medesima caratteristica (si truovano convenire in una"") devono essere ricondotte in un rapporto di effetto a causa (""si deono riducere... sì come effetto a cagione"") o una delle due all'altra o entrambe ad una terza (""ad alcuno terzo""). Questo perché è impossibile che una medesima qualità sia posseduta, di per sé e in maniera non derivata (""prima e per sé"", calco del latino filosofico universitario 'primo et per se'), da due enti diversi: proprio in quanto primaria e non derivata essa deve appartenere in modo esclusivo ad unico ente da cui gli altri in qualche modo la ricevono (""non può essere se non da uno""). Il principio era stato formulato da Tommaso nella Summa contra Gentiles II cap. 16, n. 941 per dimostrare la creazione ex nihilo.","II cap. 16, n. 941",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME SCRITTO È IN RAGIONE E PER REGOLA DI RAGIONE SI TIENE,"come è scritto nel Codex Iuris e come viene applicato nell'esercizio concreto della giustizia'. La regola per cui quae manifesta sunt ... probatione non indigent"" è presente, come rileva il commento di Busnelli, non tanto nel testo giustinianeo quanto nella glossa di Accursio a Digesto II 8, 5, 1.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"LAUDABILI PASSIONI, CIOÈ VERGOGNA E MISERICORDIA","il pudore (vergogna"") viene considerato da Aristotele non una virtù in senso stretto, ma una passione collegata, come tutte le passioni, ad un fenomeno fisico: nel caso specifico, il rossore (cfr. Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 10 sgg). La compassione (""misericordia"") non viene presa in considerazione nell' Etica Nicomachea, ma, come abbiamo già visto (cfr. Cv II x 6 e nota) è catalogata tra le passioni nel secondo libro della Retorica. La vergogna (verecundia) e la misericordia vengono presentate come 'passiones laudabiles' nel De regimine principum (I iii 11, p. 184) dove si rimanda ad Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 9, 1128 b 19 ""Laudamus quidem juvenes verecundos"").","IV, 9, 1128 b 10 sgg",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"LAUDABILI PASSIONI, CIOÈ VERGOGNA E MISERICORDIA","il pudore (vergogna"") viene considerato da Aristotele non una virtù in senso stretto, ma una passione collegata, come tutte le passioni, ad un fenomeno fisico: nel caso specifico, il rossore (cfr. Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 10 sgg). La compassione (""misericordia"") non viene presa in considerazione nell' Etica Nicomachea, ma, come abbiamo già visto (cfr. Cv II x 6 e nota) è catalogata tra le passioni nel secondo libro della Retorica. La vergogna (verecundia) e la misericordia vengono presentate come 'passiones laudabiles' nel De regimine principum (I iii 11, p. 184) dove si rimanda ad Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 9, 1128 b 19 ""Laudamus quidem juvenes verecundos"").",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"LAUDABILI PASSIONI, CIOÈ VERGOGNA E MISERICORDIA","il pudore (vergogna"") viene considerato da Aristotele non una virtù in senso stretto, ma una passione collegata, come tutte le passioni, ad un fenomeno fisico: nel caso specifico, il rossore (cfr. Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 10 sgg). La compassione (""misericordia"") non viene presa in considerazione nell' Etica Nicomachea, ma, come abbiamo già visto (cfr. Cv II x 6 e nota) è catalogata tra le passioni nel secondo libro della Retorica. La vergogna (verecundia) e la misericordia vengono presentate come 'passiones laudabiles' nel De regimine principum (I iii 11, p. 184) dove si rimanda ad Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 9, 1128 b 19 ""Laudamus quidem juvenes verecundos"").","I iii 11, p. 184",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"LAUDABILI PASSIONI, CIOÈ VERGOGNA E MISERICORDIA","il pudore (vergogna"") viene considerato da Aristotele non una virtù in senso stretto, ma una passione collegata, come tutte le passioni, ad un fenomeno fisico: nel caso specifico, il rossore (cfr. Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 10 sgg). La compassione (""misericordia"") non viene presa in considerazione nell' Etica Nicomachea, ma, come abbiamo già visto (cfr. Cv II x 6 e nota) è catalogata tra le passioni nel secondo libro della Retorica. La vergogna (verecundia) e la misericordia vengono presentate come 'passiones laudabiles' nel De regimine principum (I iii 11, p. 184) dove si rimanda ad Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 9, 1128 b 19 ""Laudamus quidem juvenes verecundos"").","IV 9, 1128 b 19 ""Laudamus quidem juvenes verecundos""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUEL SALMO CHE COMINCIA,"si tratta dell'inizio del Salmo 8 ""Domine, dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra"".","Salmo 8: Domine, dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CHE COSA È L'UOMO ...,"cfr. Ps. 8, 4-6 ""quid est homo, quod memor es eius? Aut filius hominis quoniam visitas eum? Minuisti eum paulo minus ab angelis; gloria et honore coronasti eum et constituisti eum super opera manuum tuarum"".","Salmo 8, 4-6 quid est homo, quod memor es eius? Aut filius hominis quoniam visitas eum? Minuisti eum paulo minus ab angelis; gloria et honore coronasti eum et constituisti eum super opera manuum tuarum",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +TEMA DI DISNORANZA,"'paura del disonore'. La caratterizzazione del pudore come 'timor ingloriationis' è presente in Eth. Nic. IV 9, 1128 b 11-12.","IV 9, 1128 b 11-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LAUDABILE,"'degna di lode'. Cfr. Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 18-19 laudamus quidem iuvenum verecundos"" Il riferimento alle donne, non presente nel testo aristotelico, deriva direttamente dal testo della canzone, e quindi non c'è bisogno di ricorrere ad altre fonti (cfr. Brambilla Ageno 1986, pp. 267-8).","IV, 9, 1128 b 18-19 laudamus quidem iuvenum verecundos",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VERGOGNA NON È LAUDABILE...,"nonostante le varie edizioni del Convivio, compresa quella Brambilla Ageno, mettano la frase tra virgolette non si tratta di una citazione letterale, piuttosto di una parafrasi riassuntiva di Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 15-23, dove Aristotele afferma che il pudore è una passione lodevole solo nei giovani che, non avendo ancora raggiunto il controllo razionale delle passioni (cioè la virtù), possono essere frenati appunto dalla vergogna. Essa invece è biasimevole quando si tratta di anziani e comunque di persone che dovrebbero essere virtuose (studiosus è il termine della traduzione latina del termine greco epieikes, interpretato da Tommaso come virtuosus; cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, IV, lectio 17, n. 874).","IV, 9, 1128 b 15-23",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERÒ CHE A LORO SI CONVIENE DI GUARDARE DA QUELLE COSE CHE A VERGOGNA LI CONDUCANO,"poiché la cosa giusta per loro è tenersi lontano da ciò che potrebbe farli vergognare'. Il testo di Dante sembra in questo caso più vicino alle Auctoritates Aristotelis di quanto non lo sia al testo dello Stagirita Senem verecundum vituperamus, quare senex caveat (""si guardi"") id de quo verecundabitur"" (p. 238, n. 82).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"IDDIO SOLO, APPO CUI NON È SCELTA DI PERSONE","solo Dio, presso il quale non esiste alcuna scelta che privilegi singoli individui in base a loro presunti meriti'. Il richiamo alla Scrittura (sì come le divine Scritture manifestano"") riguarda numerosi testi: i più vicini alla espressione dantesca sono la Lettera ai Romani (2, 11), quella agli Efesini (6, 9) e quella ai Colossesi (3, 25). L'assenza, al momento dell'infusione dell'anima in un corpo perfettamente organizzato, di ogni ""macula di vizio"" sembra mettere tra parentesi l'esistenza del peccato originale e così andare contro quell' auctoritas che Dante stesso aveva citato in Cv I iv 9: ""come dice Agustino, nullo è sanza macula"".","2, 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"IDDIO SOLO, APPO CUI NON È SCELTA DI PERSONE","solo Dio, presso il quale non esiste alcuna scelta che privilegi singoli individui in base a loro presunti meriti'. Il richiamo alla Scrittura (sì come le divine Scritture manifestano"") riguarda numerosi testi: i più vicini alla espressione dantesca sono la Lettera ai Romani (2, 11), quella agli Efesini (6, 9) e quella ai Colossesi (3, 25). L'assenza, al momento dell'infusione dell'anima in un corpo perfettamente organizzato, di ogni ""macula di vizio"" sembra mettere tra parentesi l'esistenza del peccato originale e così andare contro quell' auctoritas che Dante stesso aveva citato in Cv I iv 9: ""come dice Agustino, nullo è sanza macula"".","6, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"IDDIO SOLO, APPO CUI NON È SCELTA DI PERSONE","solo Dio, presso il quale non esiste alcuna scelta che privilegi singoli individui in base a loro presunti meriti'. Il richiamo alla Scrittura (sì come le divine Scritture manifestano"") riguarda numerosi testi: i più vicini alla espressione dantesca sono la Lettera ai Romani (2, 11), quella agli Efesini (6, 9) e quella ai Colossesi (3, 25). L'assenza, al momento dell'infusione dell'anima in un corpo perfettamente organizzato, di ogni ""macula di vizio"" sembra mettere tra parentesi l'esistenza del peccato originale e così andare contro quell' auctoritas che Dante stesso aveva citato in Cv I iv 9: ""come dice Agustino, nullo è sanza macula"".","3, 25",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Colossians,Epistola ad Colossenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NEL SETTIMO DELL'ETICA,"per la terza volta Dante fa riferimento al passo del libro settimo dell'Etica Nicomachea (VII 1, 1145 a 18-25) dove la traduzione latina parla di ""homines qui fiunt divini propter virtutis superexcellentiam"" Cfr. Cv III vii 6-7; IV v 2.","VII 1, 1145 a 18-25",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER LO TESTO D'OMERO POETA,"'attraverso una citazione dal poeta Omero'. La citazione dall'Iliade parla di Ettore, talmente virtuoso da non sembrare figlio di un uomo ma di un Dio (ivi, 1145 a 20-22).",1145 a 20-22,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Iliad,Iliade,Omero,http://dbpedia.org/resource/Homer,http://purl.org/bncf/tid/21864,WORK +SECONDO LA PAROLA DELL' APOSTOLO ...,"cfr. Jac 1, 17: Omne datum optimum et omne donum perfectum desursum est, descendens a Patre luminum"".","1, 17",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_of_James,Lettera di Giacomo,Giacomo,http://dbpedia.org/resource/James_the_Just,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +OTTIMO DATO ... DONO PERFETTO,"nella esegesi comune al tempo di Dante il dato"" veniva identificato con i doni naturali, mentre il ""dono"" indicava specificamente quanto elargito gratuitamente della grazia divina (cfr. il capitolo De donis Spiritus Sancti nel trattato De virtutibus di Alano di Lilla, p. 85).","capitolo De donis Spiritus Sancti nel trattato De virtutibus di Alano di Lilla, p. 85",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tractatus_de_virtutibus_de_vitiis_et_de_donis_Spiritus_Sancti(Alano_di_Lilla),"Tractatus de virtutibus, de vitiis et de donis Spiritus Sancti",Alano di Lilla,http://dbpedia.org/resource/Alain_de_Lille,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +LE COSE CONVENGONO ESSERE DISPOSTE ALLI LORO AGENTI ...,"nonostante le edizioni, compresa quella Brambilla Ageno, mettano la frase tra virgolette non si tratta di una citazione diretta. La dottrina è sicuramente rintracciabile nel secondo libro del De anima di Aristotele (cap. 2, 414 a 11-12), ma con parole diverse (Videtur enim in patiente et disposito activorum inesse actio""). Anche la formulazione delle Auctoritates Aristotelis (p. 179, n. 55), che Dante aveva avuto presente citando il medesimo principio in Cv II ix 7, pur se più vicina al nostro testo in quanto usa actus (""atti"") al posto di actio, non vi corrisponde. Anche in questo caso il sintagma ""disposito a ricevere"" è riscontrabile in un brano di Gentile da Cingoli, sempre relativamente al rapporto tra l'azione fisica ed il suo oggetto: ""virtus agentis non recipitur in passo nisi secundum quod est dispositum ad recipiendum actionem illius agentis"" (in Longoni 1991, pp. 119-120. Il testo di Gentile, però, non ha alcun riferimento esplicito ad Aristotele).","cap. 2, 414 a 11-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN UNA SUA CANZONE,"cfr. Al cor gentile ripara sempre amore: Foco d'amore in gentil cor s'aprende /come vertute in pietra preziosa, / che da la stella valor no i discende / anti che 'l sol la faccia gentil cosa; / poi che n'ha tratto fore / per sua forza lo sol che li è vile /stella li dà valore"" (11-17, II, Contini, p. 461).","Foco d'amore in gentil cor s'aprende /come vertute in pietra preziosa, / che da la stella valor no i discende / anti che 'l sol la faccia gentil cosa; / poi che n'ha tratto fore / per sua forza lo sol che li è vile /stella li dà valore"" (11-17, II, Contini, p. 461)""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_cor_gentil_rempaira_sempre_amore(Guinizzelli),Al cor gentil rempaira sempre amore,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +TUTTE E QUATTRO LE CAGIONI,"tutte e quattro le cause'. Dante affermando che la definizione di nobiltà, finalmente raggiunta, comprende le quattro specie di cause elencate da Aristotele, vuole sottolineare che si tratta di una definizione che ci fa finalmente cogliere con assoluta certezza l'oggetto cercato. Infatti, come dice il Filosofo all'inizio della Fisica tunc... opinamur cognoscere unumquodque, cum causas cognoscamus"" (I, 1, 184 a 12-13. Translatio Vetus, p. 7, ll 5-6. Il testo era stato esplicitamente citato in Cv III xi 1).","I, 1, 184 a 12-13. Translatio Vetus, p. 7, ll 5-6. Il testo era stato esplicitamente citato in Cv III xi 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +AVICENNA E ALGAZEL ... PLATO ... PITTAGORA,"ancora una volta la rassegna di opinioni filosofiche dipende da Alberto Magno e ancora una volta, come già in Cv II xiii 5, Dante ricorre, per Avicenna, Algazel e Platone al terzo libro del De somno et vigilia, dedicato ai sogni. La dottrina dei due filosofi arabi, come esposta da Alberto, collega i diversi gradi delle anime alla loro maggiore o minore capacità intellettiva (Avicenna et Algazel ... dicunt ... gradus esse in anima intellectuali, quia quidam sortiuntur animas altiores et quidam inferiores"" De somno et vigilia III, tr. 1, cap. 6, p. 185a). Quanto a Platone Dante, sempre basandosi sul testo di Alberto, precisa quanto già detto in Cv II 13 5: non solo le anime provengono dagli astri, ma dalla maggiore o minore nobiltà dell'astro derivano la loro maggiore o minore nobiltà (""Plato autem ... dicit ...omnes a comparibus stellis animas descendisse et in se habere differentias nobilitatis et ignobilitatis secundum differentiam istarum stellarum"" op. cit., ed. cit., p. 187 b). Per quel che riguarda Pitagora la fonte è un altro testo di Alberto: il De intellectu et intelligibili I, tr. 1, cap. 5, p. 483b: ""Nec est verum quod dicit Pythagoras, omnes animas esse intellectuales ... nec motus sensus vel intellectus posse exequi ... animam in quibusdam corporibus ob materiae gravitatem. Lapis enim, ut ait, animatus est, sed propter terrestreitatem est in ea oppressa anima ne ostendat motus vegetationis, vel sensus vel intellectus. In plantis autem propter minorem terrestreitatem ostendit ... anima vegetationem ... sed non sensum. In brutis autem minus terrestribus operatur unum vel duos vel omnes sensus, sed non intellectum"" cfr. per tutto questo Nardi 1967, pp. 63-80.","III, tr. 1, cap. 6, p. 185a",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_somno_et_vigilia(Alberto_Magno),De somno et vigilia,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AVICENNA E ALGAZEL ... PLATO ... PITTAGORA,"ancora una volta la rassegna di opinioni filosofiche dipende da Alberto Magno e ancora una volta, come già in Cv II xiii 5, Dante ricorre, per Avicenna, Algazel e Platone al terzo libro del De somno et vigilia, dedicato ai sogni. La dottrina dei due filosofi arabi, come esposta da Alberto, collega i diversi gradi delle anime alla loro maggiore o minore capacità intellettiva (Avicenna et Algazel ... dicunt ... gradus esse in anima intellectuali, quia quidam sortiuntur animas altiores et quidam inferiores"" De somno et vigilia III, tr. 1, cap. 6, p. 185a). Quanto a Platone Dante, sempre basandosi sul testo di Alberto, precisa quanto già detto in Cv II 13 5: non solo le anime provengono dagli astri, ma dalla maggiore o minore nobiltà dell'astro derivano la loro maggiore o minore nobiltà (""Plato autem ... dicit ...omnes a comparibus stellis animas descendisse et in se habere differentias nobilitatis et ignobilitatis secundum differentiam istarum stellarum"" op. cit., ed. cit., p. 187 b). Per quel che riguarda Pitagora la fonte è un altro testo di Alberto: il De intellectu et intelligibili I, tr. 1, cap. 5, p. 483b: ""Nec est verum quod dicit Pythagoras, omnes animas esse intellectuales ... nec motus sensus vel intellectus posse exequi ... animam in quibusdam corporibus ob materiae gravitatem. Lapis enim, ut ait, animatus est, sed propter terrestreitatem est in ea oppressa anima ne ostendat motus vegetationis, vel sensus vel intellectus. In plantis autem propter minorem terrestreitatem ostendit ... anima vegetationem ... sed non sensum. In brutis autem minus terrestribus operatur unum vel duos vel omnes sensus, sed non intellectum"" cfr. per tutto questo Nardi 1967, pp. 63-80.","I, tr. 1, cap. 5, p. 483b",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_intellectu_et_intelligibili(Alberto_Magno),De intellectu et intelligibili,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","I, dist. 48, q. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Scriptum_super_sententiis,Scriptum super Sententiis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","II, capp. 86 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_et_origine_animae,De natura et origine animae,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_et_origine_animae,De natura et origine animae,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","I, q. 118, aa. 1 e 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","I, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_partibus_animalium,De animalibus (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICO CHE QUANDO L'UMANO SEME CADE NEL SUO RECETTACULO,"nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice"") come in un recipiente (""recettaculo""), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (""virtù"") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (""vertù dell'anima generativa"", identica alla ""vertù formativa che diede l'anima del generante""); la seconda dai cieli (""la virtù celeste""); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (""la vertù delli elementi legati, cioè la complessione"". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (""dispone"") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (""prepara gli organi""). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (""produce dalla potenza del seme l'anima in vita"". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 ""virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo"") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: ""ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem""). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: ""gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso""). Per quanto riguarda la ""vertù del cielo"" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: ""In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi"" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di ""vertude celestiale che è nel calore naturale del seme"" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale","Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_animalibus,De animalibus (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RICEVE DALLA VERTÙ DEL MOTORE DEL CIELO LO INTELLETTO POSSIBILE,"fino allo stadio della vita puramente vegetativa e sensitiva il processo di generazione dell'anima umana è stato opera della natura. L'apparire dell'anima intellettiva è dovuto invece ad un agente esterno. Anche in questo caso il punto di partenza è l'affermazione aristotelica secondo cui l'intelletto risulta essere un altro genere di anima che proviene dal di fuori ed è di natura divina (cfr. De generatione animalium II 3, 736 b 27-28). Nell'esegesi medievale questo 'di fuori' era stato rapidamente identificato con Dio. Ed è appunto quello che dice Dante: l'anima sensitiva, nel momento stesso in cui viene prodotta, riceve dalla potenza del Motore del cielo (Lo Motor Primo"" di Pg XXV, 70, cioè Dio come principio di tutta la natura) l'intelletto possibile. Di una parte o funzione dell'intelletto caratterizzata dall'essere in potenza rispetto a tutti i possibili concetti parla Aristotele nel capitolo quarto del terzo libro del De anima Non è invece aristotelica l'affermazione per cui gli intelligibili che l'intelletto porta con sé (""in sé adduce"") sono, in potenza (""potenzialmente""), le stesse forme universali che Dio (visto ora come prima Intelligenza) possiede in atto (""secondo che sono nel suo produttore""). Dante può avere preso spunto dal De intellectu et intelligibili di Alberto e più precisamente dal trattato primo del secondo libro: Unde habet forma quod sit in anima intellectuali (pp. 503-504). Anche l'affermazione immediatamente seguente, e cioè che i singoli intelletti possibili hanno in potenza forme sempre meno universali in proporzione al loro grado di allontanamento dall'Intelligenza prima (""tanto meno quanto più dilungato dalla prima Intelligenza è"" riferendo il ""meno"" non al numero delle forme ma alla loro universalità) non è aristotelica: essa può avere riscontro nella decima proposizione del Liber de causis: ""Omnis intelligentia est plena formis: verumtamen ex intelligentiis sunt quae continent formas plus universales et ex eis sunt quae continent formas minus universales"" (p. 70) interpretata da Alberto nel senso che maggiore o minore universalità dipendono dalla minore o maggiore distanza delle intelligenze celesti dalla Causa Prima. Dante sembra applicare questo principio ontologico e cosmologico di ascendenza neoplatonica ai singoli intelletti umani: la loro maggiore o minore capacità di astrazione dipenderebbe dal grado di differenza (distanza) da Dio determinato dalla loro minore o maggiore purità (cfr. Falzone 2009). Sulla ""torsione"" neoplatonica cui, seguendo Alberto, Dante sottopone le formule aristoteliche cfr. Nardi 1985, pp. 149-154).","II 3, 736 b 27-28",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_partibus_animalium,De animalibus (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VOGLIO DIRE COME L'APOSTOLO,"l'apostolo Paolo. Cfr. Rm 11, 33 O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei, quam incomprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius"". Il testo era già stato usato in Cv IV v 9 a proposito del modo con cui Dio, attraverso l'Impero romano, ha preparato la nascita di suo figlio","Rm 11, 33 O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei, quam incomprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +INTELLETTUALE VERTUDE SIA BENE ASTRATTA ...,"il grado di purezza dell'anima sensitiva influisce su quello dell'intelletto possibile. Ora, essendo in sé immateriale, l'intelletto possiede una capacità tanto più pura quanto più è separata (astratta) e sciolta (""assoluto"") da ogni offuscamento che proviene dal corpo. L'immagine secondo cui il principio intellettuale nella sua discesa dalla Prima Causa verso il corpo, progressivamente si offusca (""obumbratur"") si ritrova, ancora una volta, nel De intellectu et intelligibili (cfr. I, tr. 1, cap. 5, p. 484). Il discorso di Dante presenta qui elementi contraddittori: il grado di purezza dell'anima sensitiva da cui dipende la maggiore o minore astrazione dell'intelletto possibile è infatti collegato proprio alla azione più o meno perfetta di agenti corporei","I, tr. 1, cap. 5, p. 484",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_intellectu_et_intelligibili(Alberto_Magno),De intellectu et intelligibili,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IMPERCIÒ CELESTIALE ANIMA ...,"cfr De senectute xxi 77 Est enim animus caelestis ex altissimo domicilio depressus et quasi demersus in terram, locum divinae naturae aeternitatique contrarium"". Come si vede la citazione non è letterale (il testo di Cicerone non ha quel ""discese in noi"" che è ciò che a Dante più interessa).","xxi 77 Est enim animus caelestis ex altissimo domicilio depressus et quasi demersus in terram, locum divinae naturae aeternitatique contrarium",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NEL LIBRO DELLE CAGIONI,"la citazione del De causis rimanda alle parole iniziali della terza proposizione Omnis anima nobilis tres habet operationes: nam ex operationibus eius est operatio animalis, et operatio intellectibilis et operatio divina"" (p. 51). Dante, però, ha ancora una volta presente Alberto Magno che ha un testo identico nel De natura et origine animae (tr. 2, cap. 2, p 21, ll. 26-8) ""...tres haec anima nobilis habet operationes, divinam videlicet et intellectualem et animalem"". La presenza, nel testo di Dante, del termine ""intellettuale"", al posto del più difficile intellectibilis, potrebbe essere un segnale di questa dipendenza; e del resto il domenicano tedesco, proprio come farà Dante, applica all'anima intellettiva dell'uomo quello che il Liber de causis riferiva invece alle anime divine che muovono i cieli (cfr. Nardi 1967, pp. 91-4).","tr. 2, cap. 2, p 21, ll. 26-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_et_origine_animae,De natura et origine animae,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL LIBRO DELLE CAGIONI,"la citazione del De causis rimanda alle parole iniziali della terza proposizione Omnis anima nobilis tres habet operationes: nam ex operationibus eius est operatio animalis, et operatio intellectibilis et operatio divina"" (p. 51). Dante, però, ha ancora una volta presente Alberto Magno che ha un testo identico nel De natura et origine animae (tr. 2, cap. 2, p 21, ll. 26-8) ""...tres haec anima nobilis habet operationes, divinam videlicet et intellectualem et animalem"". La presenza, nel testo di Dante, del termine ""intellettuale"", al posto del più difficile intellectibilis, potrebbe essere un segnale di questa dipendenza; e del resto il domenicano tedesco, proprio come farà Dante, applica all'anima intellettiva dell'uomo quello che il Liber de causis riferiva invece alle anime divine che muovono i cieli (cfr. Nardi 1967, pp. 91-4).","parole iniziali della terza proposizione Omnis anima nobilis tres habet operationes: nam ex operationibus eius est operatio animalis, et operatio intellectibilis et operatio divina",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHE QUASI SAREBBE UN ALTRO IDDIO INCARNATO,"ancora una volta il testo dipende dal De somno et vigilia di Alberto , (III tr. 1, cap. 6, p. 185) che riporta a sua volta le tesi di Avicenna ed Algazel In tantum exaltant (scil. superiores Intelligentiae) nobilitatem huius intellectus, quod invenitur anima quae scit omnia per seipsam, ut dicunt, et est quoad intellectum quasi Deus incarnatus qui perfectionem habet ad omnia scienda ex seipso"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_somno_et_vigilia(Alberto_Magno),De somno et vigilia,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SIA APPROPIATA ALLO SPIRITO SANTO,"il termine appropiato"" ha qui un significato strettamente teologico: nonostante che le tre persone della Trinità siano egualmente Dio, ad ognuna di esse può essere attribuito, nella loro relazione con le cose, uno specifico modo di azione (si tratta di quella che viene chiamata la distinzione 'ad extra'). Cfr. ad esempio Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, IV, cap. 20, n. 3571 ""Ex hoc quod Spiritus Sanctus per modum amoris procedit, amor autem vim quamdam impulsivam et motivam habet, motus qui est a Deo in rebus Spiritui Sancto proprie attribui videtur"".","IV, cap. 20, n. 3571 ""Ex hoc quod Spiritus Sanctus per modum amoris procedit, amor autem vim quamdam impulsivam et motivam habet, motus qui est a Deo in rebus Spiritui Sancto proprie attribui videtur""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"SAPIENZA, INTELLETTO ...","cfr. Is 11, 2 Et requiescet super eum Spiritus Domini: spiritus sapientiae et intellectus, spiritus consilii et fortitudinis, spiritus scientiae et pietatis, et replebit eum spiritus timoris Domini"". L'esegesi critiana aveva visto l'avverarsi di questa profezia nella discesa dello Spirito Santo su Gesù al momento del battesimo nel Giordano (cfr. il commento di Girolamo a questo versetto di Isaia in PL 24, p. 14) ed i sette spiriti erano diventati i suoi sette doni (vedi ad esempio il commento ad Isaia di Aimone di Halberstadt, PL 181, 779 ).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SEMINATORE,"ancora all'interno della metafora, Dio. Evidente è il richiamo alla parabola evangelica (Mt 13, 3-8; Mc 4, 3-20; Lc 8, 5-10). Per altro anche nella tradizione classica fin da Cicerone e Virgilio sator era uno degli appellativi della divinità somma e con questo nome Boezio si rivolge a Dio nel De consolatione all'inizio del celebre metro nono del terzo libro che Dante ha in parte tradotto (cfr. Cv III ii 17-18 e Dronke 2008, p. 38). Ma lo stesso Aristotele, nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (10, 1179 b 24 -26), parlando di una preparazione necessaria alla virtù, e quindi necessariamente ad essa precedente, aveva usato la metafora della terra ben lavorata e capace di accogliere il seme","13, 3-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SEMINATORE,"ancora all'interno della metafora, Dio. Evidente è il richiamo alla parabola evangelica (Mt 13, 3-8; Mc 4, 3-20; Lc 8, 5-10). Per altro anche nella tradizione classica fin da Cicerone e Virgilio sator era uno degli appellativi della divinità somma e con questo nome Boezio si rivolge a Dio nel De consolatione all'inizio del celebre metro nono del terzo libro che Dante ha in parte tradotto (cfr. Cv III ii 17-18 e Dronke 2008, p. 38). Ma lo stesso Aristotele, nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (10, 1179 b 24 -26), parlando di una preparazione necessaria alla virtù, e quindi necessariamente ad essa precedente, aveva usato la metafora della terra ben lavorata e capace di accogliere il seme","4, 3-20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SEMINATORE,"ancora all'interno della metafora, Dio. Evidente è il richiamo alla parabola evangelica (Mt 13, 3-8; Mc 4, 3-20; Lc 8, 5-10). Per altro anche nella tradizione classica fin da Cicerone e Virgilio sator era uno degli appellativi della divinità somma e con questo nome Boezio si rivolge a Dio nel De consolatione all'inizio del celebre metro nono del terzo libro che Dante ha in parte tradotto (cfr. Cv III ii 17-18 e Dronke 2008, p. 38). Ma lo stesso Aristotele, nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (10, 1179 b 24 -26), parlando di una preparazione necessaria alla virtù, e quindi necessariamente ad essa precedente, aveva usato la metafora della terra ben lavorata e capace di accogliere il seme","8, 5-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SEMINATORE,"ancora all'interno della metafora, Dio. Evidente è il richiamo alla parabola evangelica (Mt 13, 3-8; Mc 4, 3-20; Lc 8, 5-10). Per altro anche nella tradizione classica fin da Cicerone e Virgilio sator era uno degli appellativi della divinità somma e con questo nome Boezio si rivolge a Dio nel De consolatione all'inizio del celebre metro nono del terzo libro che Dante ha in parte tradotto (cfr. Cv III ii 17-18 e Dronke 2008, p. 38). Ma lo stesso Aristotele, nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (10, 1179 b 24 -26), parlando di una preparazione necessaria alla virtù, e quindi necessariamente ad essa precedente, aveva usato la metafora della terra ben lavorata e capace di accogliere il seme",metro nono del terzo libro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SEMINATORE,"ancora all'interno della metafora, Dio. Evidente è il richiamo alla parabola evangelica (Mt 13, 3-8; Mc 4, 3-20; Lc 8, 5-10). Per altro anche nella tradizione classica fin da Cicerone e Virgilio sator era uno degli appellativi della divinità somma e con questo nome Boezio si rivolge a Dio nel De consolatione all'inizio del celebre metro nono del terzo libro che Dante ha in parte tradotto (cfr. Cv III ii 17-18 e Dronke 2008, p. 38). Ma lo stesso Aristotele, nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (10, 1179 b 24 -26), parlando di una preparazione necessaria alla virtù, e quindi necessariamente ad essa precedente, aveva usato la metafora della terra ben lavorata e capace di accogliere il seme","10, 1179 b 24 -26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"L'APPETITO DELL'ANIMO, LO QUALE IN GRECO È CHIAMATO 'HORMÉN'","in realtà hormén è il caso accusativo del termine horme, ma proprio in accusativo Dante lo leggeva nella sua fonte, il De finibus di Cicerone (cfr. V, 6, 17: appetitus animi quem hormē Graeci vocant"". Evidentemente il codice a sua disposizione conteneva una traslitterazione dei caratteri greci. Cfr. Moore, p. 267). Dante parlerà diffusamente nel capitolo seguente di questo impulso presente nell'anima umana (e non solo umana) fin dall'inizio.","V, 6, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SANTO AUGUSTINO...,"nel primo capitolo del secondo libro dell'Etica Nicomachea (1103 a 14 - b 25) Aristotele parla effettivamente della abitudine come condizione necessaria per la nascita delle virtù. Più difficile si è rivelata per i commentatori la ricerca di una corrispondenza precisa nel mare magnum degli scritti di Agostino. Maria Corti (Corti 1983, p. 112) ha suggerito ancora una volta come fonte Alberto Magno che nel suo Super Ethica mette in bocca ad Agostino, proprio sul tema della educazione morale, la metafora del legno diritto e di quello storto (una metafora che ha avuto lunga fortuna visto che ancora oggi è presente nell'uso comune). Bisogna però osservare che il termine presente nei due testi ('rectitudo ligni', rettitudine del tallo"") è usato in contesti diversi. Alberto parla infatti non delle buone abitudini, ma dell'intervento correttivo di una pena che agisce sul colpevole come coloro che, per raddrizzare un legno curvo (un legno si badi bene, non un germoglio), lo piegano nella direzione opposta (""per poenam tollitur vitium per inclinationem ad contrarium ... sicut dirigentes ligna curva plicant ea ad oppositum ... utraque curvitas est opposita rectitudini ligni, sed per unam inducitur rectitudo, dum per eam alia curvitas expellitur"" cfr. Super Ethica commentum et quaestiones II, lectio 2, vol. I, p. 99, ll. 59-65; cfr. anche lectio 8, vol. II, p.136, ll. 14-16).",1103 a 14 - b 25,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SANTO AUGUSTINO...,"nel primo capitolo del secondo libro dell'Etica Nicomachea (1103 a 14 - b 25) Aristotele parla effettivamente della abitudine come condizione necessaria per la nascita delle virtù. Più difficile si è rivelata per i commentatori la ricerca di una corrispondenza precisa nel mare magnum degli scritti di Agostino. Maria Corti (Corti 1983, p. 112) ha suggerito ancora una volta come fonte Alberto Magno che nel suo Super Ethica mette in bocca ad Agostino, proprio sul tema della educazione morale, la metafora del legno diritto e di quello storto (una metafora che ha avuto lunga fortuna visto che ancora oggi è presente nell'uso comune). Bisogna però osservare che il termine presente nei due testi ('rectitudo ligni', rettitudine del tallo"") è usato in contesti diversi. Alberto parla infatti non delle buone abitudini, ma dell'intervento correttivo di una pena che agisce sul colpevole come coloro che, per raddrizzare un legno curvo (un legno si badi bene, non un germoglio), lo piegano nella direzione opposta (""per poenam tollitur vitium per inclinationem ad contrarium ... sicut dirigentes ligna curva plicant ea ad oppositum ... utraque curvitas est opposita rectitudini ligni, sed per unam inducitur rectitudo, dum per eam alia curvitas expellitur"" cfr. Super Ethica commentum et quaestiones II, lectio 2, vol. I, p. 99, ll. 59-65; cfr. anche lectio 8, vol. II, p.136, ll. 14-16).","Super Ethica commentum et quaestiones II, lectio 2, vol. I, p. 99, ll. 59-65; cfr. anche lectio 8, vol. II, p.136, ll. 14-16",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Super_Ethica_commentum_et_quaestiones,Super Ethica commentum et quaestiones,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME DICE LO FILOSOFO NEL PRIMO DELL'ETICA,"Aristotele, sempre a proposito del fine ultimo delle azioni umane, usa l'esempio dell'arciere e del bersaglio al positivo; cfr. Eth. Nic. I 1, 1094 a 22-24: Ad vitam cognicio eius magnum habet incrementum et, quemadmodum sagittatores signum habentes, magis utique adipiscemur quod oportet"". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 142, ll. 8-9","I 1, 1094 a 22-24: Ad vitam cognicio eius magnum habet incrementum et, quemadmodum sagittatores signum habentes, magis utique adipiscemur quod oportet"".Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 142, ll. 8-9""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TULIO IN QUELLO DEL FINE DE' BENI,"Il brano in cui Cicerone usa la metafora della freccia e dell'arciere in relazione al perseguimento del sommo bene si trova specificamente in De finibus bonorum et malorum III, 9, 22 .",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +FACEMO,"facciamo'. Che la felicità sia il termine cui tutto il nostro agire tende per trovarvi infine quiete viene detto da Tommaso, commentando Eth. Nic. X, 7, 1177 b 4 (Videturque felicitas in vacacione esse""): ""Vacare dicitur aliquis quando non restat ei aliquid agendum, quod contingit cum aliquis ad finem pervenerit ... et sic felicitati, quae est ultimus finis, maxime competit vacatio"" (lectio 11, nn. 2098-2099).","lectio 11, nn. 2098-2099",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SÉ MEDESIMO AMA,"Cfr. De finibus V, 9, 24: Omne animal seipsum diligit ac, simul et ortum est, id agit ut se conservet. Cfr. Cv IV vi 11-12","V, 9, 24: Omne animal seipsum diligit ac, simul et ortum est, id agit ut se conservet",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +MOLTI CORRONO AL PALIO ...,"molti corrono per ottenere il premio. Dante traduce con qualche variante la prima Lettera ai Corinzi di Paolo 9, 24 Nescitis quod ii qui in stadio currunt, omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium?"". Il termine bravium che indicava genericamente il premio di una gara atletica (corsa, ma anche pugilato), viene modernizzato in ""palio"" (il ""drappo verde"" di If XV 122), mentre il termine stadium viene omesso: nel Medioevo, infatti, non esistevano stadi, e i corridori saranno piuttosto simili ai podisti ricordati nel medesimo contesto del canto quindicesimo dell' Inferno ("" ... coloro / che corrono a Verona il drappo verde / per la campagna ..."").",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +TENERE DIETRO A,"seguire da vicino'. Ad una diversificazione delle scelte e dei modi di vita per il raggiungimento della felicità, ed alla necessità di individuarne l'unico giusto, Dante aveva già accennato in Cv IV vi 8. L'uso del termine calle"" rimanda al De consolatione philosophiae III, prosa 2, 2, pp. 59-60: ""Omnis mortalium cura ... diverso calle procedit, sed ad unum tamen beatitudinis finis nititur pervenire",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DEE,"deve. Nella descrizione del processo per cui, partendo da un indistinto amore per se stessi, l'appetito naturale diversifica i suoi oggetti mediante l'intervento della riflessione, Dante, più che usare Aristotele e i Peripatetici, ha avuto presente il De finibus di Cicerone; cfr. ad esempio V, 9, 24 :Omne animal seipsum diligit ... Hanc initio institutionem confusam habet et incertam, ut tantum se tueatur, qualecumque sit ... Cum autem processit paululum ... tum sensim incipit progredi seseque agnoscere et intelligere quam ob causam habeat eum quem diximus animi appetitum"". Ancora più evidente il rapporto quando Dante parla della scoperta che l'uomo fa di essere un composto di anima e corpo e del maggior amore che egli comprende doversi portare all'anima: cfr. V 37-38: ""Nam cui proposita sit conservatio sui, necesse est huic partes quoque sui caras esse, carioresque quo perfectiores sint ... quibus expositis, facilis est coniectura ea maxime esse expetenda ex nostris quae plurimum habent dignitatis ... ita fiet ut animi virtus corporis virtuti anteponatur"".","ad esempio V, 9, 24 :Omne animal seipsum diligit ... Hanc initio institutionem confusam habet et incertam, ut tantum se tueatur, qualecumque sit ... Cum autem processit paululum ... tum sensim incipit progredi seseque agnoscere et intelligere quam ob causam habeat eum quem diximus animi appetitum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +L'USO DEL NOSTRO ANIMO,"l'esercizio delle facoltà della nostra anima razionale e la loro fruizione' . Un' identica struttura argomentativa è presente nel De summo bono di Boezio di Dacia, ed esattamente nella medesima posizione, cioè a conclusione di un segmento importante della argomentazione: Et quia quilibet delectatur in illo quod amat, et maxime delectatur in illo quod maxime amat ..."" (p. 377, 234-235). Solo che nel De summo bono l'amore non è quello dell'uomo per il proprio animo, ma del filosofo per l' Ente Primo.","Et quia quilibet delectatur in illo quod amat, et maxime delectatur in illo quod maxime amat ..."" (p. 377, 234-235)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_summo_bono,De summo bono,Boezio di Dacia,http://dbpedia.org/resource/Boetius_of_Dacia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ED È UNO MODO QUASI ... SOPRA DIVERSA RADICE,"ed è come innestare una natura diversa su di un tronco che non è il suo'. La metafora dell'innesto era già stata usata da Paolo nella Lettera ai Romani (ma in questo caso era la natura deteriore, l'oleastro simbolo dei Gentili, ad essere innestato sul tronco buono, l'olivo simbolo degli Ebrei. Cfr. Rm 11, 17 sgg.).","Rm 11, 17 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SÌ COME È LO SPECULATIVO,che l'attività speculativa fosse superiore all' esercizio delle virtù etiche era stato decisamente sostenuto da Aristotele nei capp. 7-8 del decimo libro dell' Etica Nicomachea e comunque già detto da Dante stesso in Cv IV xvii 9-12.,capp. 7-8 del decimo libro dell' Etica Nicomachea,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SANZA MISTURA,"senza alcuna mescolanza esterna, in purezza assoluta'. In un brano dell' Etica Nicomachea assai usato dai maestri universitari che spesso ne facevano il tema dei loro discorsi in lode della filosofia, Aristotele aveva detto che essa possedeva admirabiles delectaciones puritate et firmitate"" (X 7, 1177 a 25-26); l'esercizio del pensiero, a differenza di tutte la altre attività umane, non ha bisogno che di se stesso.","X 7, 1177 a 25-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DICE MARCO...,"Dante cita, riassumendo, Mc 16, 1-7.","16, 1-7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ANDARO PER TROVARE LO SALVATORE AL MONIMENTO,"andarono al sepolcro a cercare il Salvatore' (cfr. Mc 16, 1-2: ... Maria Magdalene et Maria Jacobi et Salome emerunt aromata ut venientes ungerent Jesum. Et valde mane ... veniunt ad monumentum ..."").","16, 1-2: ... Maria Magdalene et Maria Jacobi et Salome emerunt aromata ut venientes ungerent Jesum. Et valde mane ... veniunt ad monumentum ...""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +MA TROVARO ...,"cfr. Mc 16, 5-7 viderunt iuvenem ...coopertum stola candida ... qui dicit illis: Nolite expavescere: Jesum quaeritis ... non est hic ... sed ite, dicite discipulis eius et Petro quia praecedit vos in Galilaeam; ibi eum videbitis, sicut dixit vobis"".","16, 5-7 viderunt iuvenem ...coopertum stola candida ... qui dicit illis: Nolite expavescere: Jesum quaeritis ... non est hic ... sed ite, dicite discipulis eius et Petro quia praecedit vos in Galilaeam; ibi eum videbitis, sicut dixit vobis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"EPICUREI, LI STOICI E LI PERIPATETICI","a queste tre scuole (e alla loro concordia filosofica nella Atene celeste) Dante aveva già fatto riferimento in Cv III xiv 15. La loro caratterizzazione come filosofie che identificano il sommo bene con la vita attiva rimanda a Cv IV vi 9-15 dove anche di Aristotele si dice che, in continuità con il maestro Platone, pose il fine dell'uomo nella 'operazione con virtù'. Questa interpretazione dipende, come si è già avuto modo di osservare, dal fatto che per la diversa identificazione del sommo bene da parte delle diverse scuole filosofiche Dante si basa sul De finibus di Cicerone. In quest'opera, infatti, si fa riferimento ad un' etica del peripatetismo che sembra prescindere proprio dall' ultimo libro dell' Etica Nicomachea. In altri contesti Dante ha detto e dirà correttamente di Aristotele che ha posto l'esercizio della vita contemplativa al di sopra di ogni altra attività.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"AL MONIMENTO, CIOÈ AL MONDO PRESENTE","mentre l'identificazione delle tre Marie con le tre sette"" è del tutto arbitraria, l'interpretazione del sepolcro (""monimento"") come allegoria del mondo terreno (""presente"", in contrapposizione al mondo futuro) si basa su di una analogia: come le tombe, questo mondo è luogo di raccolta (""ricettacolo"") di cose che si corrompono (cfr. Mt 23, 27: ""Vae vobis Pharisaei ypocritae, quia similes estis sepulchris dealbatis ... quae intus sunt plena ossibus mortuorum et omni spurcitia"")","Mt 23, 27: ""Vae vobis Pharisaei ypocritae, quia similes estis sepulchris dealbatis ... quae intus sunt plena ossibus mortuorum et omni spurcitia""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SECONDO LA TESTIMONIANZA DI MATEO E ANCHE DELLI ALTRI [EVANGELISTI,"Matteo verrà citato immediatamente dopo. Quanto agli altri Giovanni parla esplicitamente di due angeli che appaiono a Maria Maddalena (cfr. Io 20, 12), e se Luca, che mantiene il numero di due, parla più genericamente di persone in vesti splendenti (cfr. Lc 24, 4) la loro identificazione con gli Angeli era più che ovvia.","Io 20, 12",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SECONDO LA TESTIMONIANZA DI MATEO E ANCHE DELLI ALTRI [EVANGELISTI,"Matteo verrà citato immediatamente dopo. Quanto agli altri Giovanni parla esplicitamente di due angeli che appaiono a Maria Maddalena (cfr. Io 20, 12), e se Luca, che mantiene il numero di due, parla più genericamente di persone in vesti splendenti (cfr. Lc 24, 4) la loro identificazione con gli Angeli era più che ovvia.","Lc 24, 4",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +MATEO DISSE,"cfr. Mt 28, 5-7 (questa volta la citazione e la traduzione sono letterali): Angelus ...Domini descendit de caelo, et accedens revolvit lapidem et sedebat super eum; erat autem aspectus eius sicut fulgur et vestimentum eius sicut nix"".","Mt 28, 5-7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CHE L'AVEA NEGATO,"che l'aveva rinnegato' (cfr. Mt 26, 69-75; Mc 14, 66-72; Lc 22, 55-62).","Mt 26, 69-75",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CHE L'AVEA NEGATO,"che l'aveva rinnegato' (cfr. Mt 26, 69-75; Mc 14, 66-72; Lc 22, 55-62).","14, 66-72",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CHE L'AVEA NEGATO,"che l'aveva rinnegato' (cfr. Mt 26, 69-75; Mc 14, 66-72; Lc 22, 55-62).","Lc 22, 55-62",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +GALILEA È TANTO A DIRE QUANTO BIANCHEZZA,"dire Galilea è come dire bianchezza'. Per la costruzione dell'allegoria Dante ricorre ad un artificio assai usato in questo genere di approccio al testo: trovare nell' etimologia (molto spesso fantasiosa) dei nomi propri di persone o di luoghi il riferimento ad un insieme di proprietà reali esse stesse interpretabili allegoricamente (cfr. G. Dahan 2000). Nel caso specifico il rapporto tra Galilea e bianchezza, che Dante trovava sia nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, sia nelle Derivationes di Uguccione da Pisa si basa sulla presunzione (falsa) che nel nome Galilea fosse presente come radice il termine greco gala, latte e quindi bianco. Dove però i due etimologisti sostenevano che la Galilea si chiama così perché in essa nascono gli uomini di pelle più chiara (candidiores) di tutta la Palestina (cfr. Etymologiae XIV iii. 3, vol. II, p. 117; Derivationes, s.v. Gala, G 14, 3, p. 505) Dante parla invece di una perfetta equivalenza di significato. Galilea, dunque, è uguale a bianchezza. Ora il bianco, nella teoria aristotelica è uno degli estremi della scala dei colori, quello in cui la luce è presente al massimo nella parte perspicua di un corpo (è un colore pieno di luce corporale più che ogni altro"". Cfr. De sensu et sensato 3, 439 b 14-18 e la parafrasi di Alberto Magno, tr. 2, cap. 2, p. 42); esso dunque, per analogia, può significare la contemplazione che è la realtà più luminosa dal punto di vista spirituale (""più piena di luce spirituale"").","XIV iii. 3, vol. II, p. 117",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +GALILEA È TANTO A DIRE QUANTO BIANCHEZZA,"dire Galilea è come dire bianchezza'. Per la costruzione dell'allegoria Dante ricorre ad un artificio assai usato in questo genere di approccio al testo: trovare nell' etimologia (molto spesso fantasiosa) dei nomi propri di persone o di luoghi il riferimento ad un insieme di proprietà reali esse stesse interpretabili allegoricamente (cfr. G. Dahan 2000). Nel caso specifico il rapporto tra Galilea e bianchezza, che Dante trovava sia nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, sia nelle Derivationes di Uguccione da Pisa si basa sulla presunzione (falsa) che nel nome Galilea fosse presente come radice il termine greco gala, latte e quindi bianco. Dove però i due etimologisti sostenevano che la Galilea si chiama così perché in essa nascono gli uomini di pelle più chiara (candidiores) di tutta la Palestina (cfr. Etymologiae XIV iii. 3, vol. II, p. 117; Derivationes, s.v. Gala, G 14, 3, p. 505) Dante parla invece di una perfetta equivalenza di significato. Galilea, dunque, è uguale a bianchezza. Ora il bianco, nella teoria aristotelica è uno degli estremi della scala dei colori, quello in cui la luce è presente al massimo nella parte perspicua di un corpo (è un colore pieno di luce corporale più che ogni altro"". Cfr. De sensu et sensato 3, 439 b 14-18 e la parafrasi di Alberto Magno, tr. 2, cap. 2, p. 42); esso dunque, per analogia, può significare la contemplazione che è la realtà più luminosa dal punto di vista spirituale (""più piena di luce spirituale"").","Derivationes, s.v. Gala, G 14, 3, p. 505",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +GALILEA È TANTO A DIRE QUANTO BIANCHEZZA,"dire Galilea è come dire bianchezza'. Per la costruzione dell'allegoria Dante ricorre ad un artificio assai usato in questo genere di approccio al testo: trovare nell' etimologia (molto spesso fantasiosa) dei nomi propri di persone o di luoghi il riferimento ad un insieme di proprietà reali esse stesse interpretabili allegoricamente (cfr. G. Dahan 2000). Nel caso specifico il rapporto tra Galilea e bianchezza, che Dante trovava sia nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, sia nelle Derivationes di Uguccione da Pisa si basa sulla presunzione (falsa) che nel nome Galilea fosse presente come radice il termine greco gala, latte e quindi bianco. Dove però i due etimologisti sostenevano che la Galilea si chiama così perché in essa nascono gli uomini di pelle più chiara (candidiores) di tutta la Palestina (cfr. Etymologiae XIV iii. 3, vol. II, p. 117; Derivationes, s.v. Gala, G 14, 3, p. 505) Dante parla invece di una perfetta equivalenza di significato. Galilea, dunque, è uguale a bianchezza. Ora il bianco, nella teoria aristotelica è uno degli estremi della scala dei colori, quello in cui la luce è presente al massimo nella parte perspicua di un corpo (è un colore pieno di luce corporale più che ogni altro"". Cfr. De sensu et sensato 3, 439 b 14-18 e la parafrasi di Alberto Magno, tr. 2, cap. 2, p. 42); esso dunque, per analogia, può significare la contemplazione che è la realtà più luminosa dal punto di vista spirituale (""più piena di luce spirituale"").","3, 439 b 14-18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sense_and_Sensibilia_(Aristotle),De sensu et sensato (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +GALILEA È TANTO A DIRE QUANTO BIANCHEZZA,"dire Galilea è come dire bianchezza'. Per la costruzione dell'allegoria Dante ricorre ad un artificio assai usato in questo genere di approccio al testo: trovare nell' etimologia (molto spesso fantasiosa) dei nomi propri di persone o di luoghi il riferimento ad un insieme di proprietà reali esse stesse interpretabili allegoricamente (cfr. G. Dahan 2000). Nel caso specifico il rapporto tra Galilea e bianchezza, che Dante trovava sia nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, sia nelle Derivationes di Uguccione da Pisa si basa sulla presunzione (falsa) che nel nome Galilea fosse presente come radice il termine greco gala, latte e quindi bianco. Dove però i due etimologisti sostenevano che la Galilea si chiama così perché in essa nascono gli uomini di pelle più chiara (candidiores) di tutta la Palestina (cfr. Etymologiae XIV iii. 3, vol. II, p. 117; Derivationes, s.v. Gala, G 14, 3, p. 505) Dante parla invece di una perfetta equivalenza di significato. Galilea, dunque, è uguale a bianchezza. Ora il bianco, nella teoria aristotelica è uno degli estremi della scala dei colori, quello in cui la luce è presente al massimo nella parte perspicua di un corpo (è un colore pieno di luce corporale più che ogni altro"". Cfr. De sensu et sensato 3, 439 b 14-18 e la parafrasi di Alberto Magno, tr. 2, cap. 2, p. 42); esso dunque, per analogia, può significare la contemplazione che è la realtà più luminosa dal punto di vista spirituale (""più piena di luce spirituale"").","tr. 2, cap. 2, p. 42",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_sensu_et_sensato(Alberto_Magno),De sensu et sensato (Alberto Magno),Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"ADOLESCENZA, PER LA GIOVENTUTE, PER LA SENETTUTE E PER LO SENIO","Dante utilizza uno schema diffusissimo nella cultura medievale, quello delle quattro età della vita. Se tutti gli autori conosciuti o conoscibili da parte di Dante sono d'accordo sul numero, non altrettanto lo sono sulle denominazioni: la traduzione latina del Canon di Avicenna e Alberto Magno convergono nel dire che le ultime due sono vecchiaia (senettute"" dal lat. senectus) e decrepitezza (""senio"", dal lat. senium), divergono invece tra loro e da Dante riguardo alla prima che in Alberto è non l'adolescenza, ma la pueritia, e alla seconda, definita da Avicenna come 'aetas pulchritudinis' (cfr. Canon I, 1, 3, 3, f. 3va) e che Alberto preferisce chiamare 'aetas virilis' (De iuventute et senectute, tr. 1. cap. 2, p. 307 a ""rectius ... vocatur virilis quam iuventus, quia iuventus ad pueritiam videtur pertinere""). Bisogna notare che i termini senectus e senium (come decrepitezza), presenti nella Vulgata (cfr. Ps. 70, 18: ""usque in senectam et senium ne derelinquas me"") erano già ampiamente in uso prima di Alberto (vedi già nel titolo il De malo senectutis et senii di Boncompagno da Signa)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_malo_senectutis_et_senii(Boncompagno_da_Signa),De malo senectutis et senii,Boncompagno da Signa,http://dbpedia.org/resource/Boncompagno_da_Signa,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +"ADOLESCENZA, PER LA GIOVENTUTE, PER LA SENETTUTE E PER LO SENIO","Dante utilizza uno schema diffusissimo nella cultura medievale, quello delle quattro età della vita. Se tutti gli autori conosciuti o conoscibili da parte di Dante sono d'accordo sul numero, non altrettanto lo sono sulle denominazioni: la traduzione latina del Canon di Avicenna e Alberto Magno convergono nel dire che le ultime due sono vecchiaia (senettute"" dal lat. senectus) e decrepitezza (""senio"", dal lat. senium), divergono invece tra loro e da Dante riguardo alla prima che in Alberto è non l'adolescenza, ma la pueritia, e alla seconda, definita da Avicenna come 'aetas pulchritudinis' (cfr. Canon I, 1, 3, 3, f. 3va) e che Alberto preferisce chiamare 'aetas virilis' (De iuventute et senectute, tr. 1. cap. 2, p. 307 a ""rectius ... vocatur virilis quam iuventus, quia iuventus ad pueritiam videtur pertinere""). Bisogna notare che i termini senectus e senium (come decrepitezza), presenti nella Vulgata (cfr. Ps. 70, 18: ""usque in senectam et senium ne derelinquas me"") erano già ampiamente in uso prima di Alberto (vedi già nel titolo il De malo senectutis et senii di Boncompagno da Signa)","cfr. Ps. 70, 18: usque in senectam et senium ne derelinquas me",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Vulgate,Vulgata (Bibbia),Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica,WORK +"ADOLESCENZA, PER LA GIOVENTUTE, PER LA SENETTUTE E PER LO SENIO","Dante utilizza uno schema diffusissimo nella cultura medievale, quello delle quattro età della vita. Se tutti gli autori conosciuti o conoscibili da parte di Dante sono d'accordo sul numero, non altrettanto lo sono sulle denominazioni: la traduzione latina del Canon di Avicenna e Alberto Magno convergono nel dire che le ultime due sono vecchiaia (senettute"" dal lat. senectus) e decrepitezza (""senio"", dal lat. senium), divergono invece tra loro e da Dante riguardo alla prima che in Alberto è non l'adolescenza, ma la pueritia, e alla seconda, definita da Avicenna come 'aetas pulchritudinis' (cfr. Canon I, 1, 3, 3, f. 3va) e che Alberto preferisce chiamare 'aetas virilis' (De iuventute et senectute, tr. 1. cap. 2, p. 307 a ""rectius ... vocatur virilis quam iuventus, quia iuventus ad pueritiam videtur pertinere""). Bisogna notare che i termini senectus e senium (come decrepitezza), presenti nella Vulgata (cfr. Ps. 70, 18: ""usque in senectam et senium ne derelinquas me"") erano già ampiamente in uso prima di Alberto (vedi già nel titolo il De malo senectutis et senii di Boncompagno da Signa)","De iuventute et senectute, tr. 1. cap. 2, p. 307 a ""rectius ... vocatur virilis quam iuventus, quia iuventus ad pueritiam videtur pertinere",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_iuventute_et_senectute(Alberto_Magno),De iuventute et senectute,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"ADOLESCENZA, PER LA GIOVENTUTE, PER LA SENETTUTE E PER LO SENIO","Dante utilizza uno schema diffusissimo nella cultura medievale, quello delle quattro età della vita. Se tutti gli autori conosciuti o conoscibili da parte di Dante sono d'accordo sul numero, non altrettanto lo sono sulle denominazioni: la traduzione latina del Canon di Avicenna e Alberto Magno convergono nel dire che le ultime due sono vecchiaia (senettute"" dal lat. senectus) e decrepitezza (""senio"", dal lat. senium), divergono invece tra loro e da Dante riguardo alla prima che in Alberto è non l'adolescenza, ma la pueritia, e alla seconda, definita da Avicenna come 'aetas pulchritudinis' (cfr. Canon I, 1, 3, 3, f. 3va) e che Alberto preferisce chiamare 'aetas virilis' (De iuventute et senectute, tr. 1. cap. 2, p. 307 a ""rectius ... vocatur virilis quam iuventus, quia iuventus ad pueritiam videtur pertinere""). Bisogna notare che i termini senectus e senium (come decrepitezza), presenti nella Vulgata (cfr. Ps. 70, 18: ""usque in senectam et senium ne derelinquas me"") erano già ampiamente in uso prima di Alberto (vedi già nel titolo il De malo senectutis et senii di Boncompagno da Signa)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/The_Canon_of_Medicine,Liber canonis medicinae,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ALCUNA MORTE,"Dante vuol sottolineare che il modello dell'arco della vita, con tutte le sue variazioni interne, non tiene conto dei casi di morte violenta o anticipata (affrettata"") a causa di malattia (""infertade"") accidentale, cioè sopravveniente dall'esterno, come nel caso di una epidemia (cfr. Aristotele, De iuventute et senectute, 17 478 b 22: ""Mors est hec quidem violenta, hec autem secundum naturam ... quando in ipso ... sed non adventitia aliqua passio""); solo quella morte che comunemente viene chiamata naturale (""naturale è chiamata dal vulgo"") e che effettivamente lo è, può essere ritenuta il punto finale (""termine"") dell'arco. Per confermare con una autorità l'invalicabilità di questo limite Dante cita il Salmo 103, che però si riferisce al limite che Dio pose alle acque del mare (cfr. Ps 103, 9 ""terminum posuisti quem non transgredientur"") contaminandolo con il libro di Giobbe dove i termini riguardano effettivamente la vita dell'uomo (Cfr. Job 14, 5 ""Breves dies hominis sunt ... constituisti terminos eius qui praeteriri non poterunt"").","17 478 b 22: ""Mors est hec quidem violenta, hec autem secundum naturam ... quando in ipso ... sed non adventitia aliqua passio""",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Juventute_et_Senectute(Aristotele),"De Juventute et Senectute, De Vita et Morte, De Respiratione",Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ALCUNA MORTE,"Dante vuol sottolineare che il modello dell'arco della vita, con tutte le sue variazioni interne, non tiene conto dei casi di morte violenta o anticipata (affrettata"") a causa di malattia (""infertade"") accidentale, cioè sopravveniente dall'esterno, come nel caso di una epidemia (cfr. Aristotele, De iuventute et senectute, 17 478 b 22: ""Mors est hec quidem violenta, hec autem secundum naturam ... quando in ipso ... sed non adventitia aliqua passio""); solo quella morte che comunemente viene chiamata naturale (""naturale è chiamata dal vulgo"") e che effettivamente lo è, può essere ritenuta il punto finale (""termine"") dell'arco. Per confermare con una autorità l'invalicabilità di questo limite Dante cita il Salmo 103, che però si riferisce al limite che Dio pose alle acque del mare (cfr. Ps 103, 9 ""terminum posuisti quem non transgredientur"") contaminandolo con il libro di Giobbe dove i termini riguardano effettivamente la vita dell'uomo (Cfr. Job 14, 5 ""Breves dies hominis sunt ... constituisti terminos eius qui praeteriri non poterunt"").","Ps 103, 9 ""terminum posuisti quem non transgredientur""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ALCUNA MORTE,"Dante vuol sottolineare che il modello dell'arco della vita, con tutte le sue variazioni interne, non tiene conto dei casi di morte violenta o anticipata (affrettata"") a causa di malattia (""infertade"") accidentale, cioè sopravveniente dall'esterno, come nel caso di una epidemia (cfr. Aristotele, De iuventute et senectute, 17 478 b 22: ""Mors est hec quidem violenta, hec autem secundum naturam ... quando in ipso ... sed non adventitia aliqua passio""); solo quella morte che comunemente viene chiamata naturale (""naturale è chiamata dal vulgo"") e che effettivamente lo è, può essere ritenuta il punto finale (""termine"") dell'arco. Per confermare con una autorità l'invalicabilità di questo limite Dante cita il Salmo 103, che però si riferisce al limite che Dio pose alle acque del mare (cfr. Ps 103, 9 ""terminum posuisti quem non transgredientur"") contaminandolo con il libro di Giobbe dove i termini riguardano effettivamente la vita dell'uomo (Cfr. Job 14, 5 ""Breves dies hominis sunt ... constituisti terminos eius qui praeteriri non poterunt"").","Job 14, 5 ""Breves dies hominis sunt ... constituisti terminos eius qui praeteriri non poterunt""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Job,Libro di Giobbe,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DI GIOVINEZZA E DI VECCHIEZZA,"nel suo libro sulla giovinezza e la vecchiaia'. E' il piccolo trattato De iuventute et senectute che comprende anche un De respiratione. Proprio nel trattare della respirazione Aristotele usa relativamente alla iuventus e alla senectus i termini auctio e decretio, non però per la vita in generale, come interpreta Dante (acrescimento di quella""), ma per un particolare organo, i polmoni, concepito come sistema di raffreddamento del calore interno necessario per ritardare la consunzione e dunque la morte dell'essere vivente (""iuventa primae refrigerabilis particulae auctio; senecta autem eiusdem decretio"", 17, 479 a 30-32).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Juventute_et_Senectute(Aristotele),"De Juventute et Senectute, De Vita et Morte, De Respiratione",Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TRA IL TRENTESIMO E QUARANTESIMO ANNO,"che la durata della vita umana fosse tra i settanta e gli ottanta anni (ed che quindi il suo culmine fosse tra i trentacinque ed i quaranta) era dottrina comune (la troviamo anche nella Composizione del mondo colle sue cascioni di Ristoro d'Arezzo, I.22, p. 36). Dante poteva leggerla sia in Averroè che in Alberto Magno (entrambi poi attribuivano questa opinione ai medici).","I.22, p. 36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_composizione_del_mondo,La composizione del mondo colle sue cascioni,Restoro d'Arezzo,http://it.dbpedia.org/resource/Restoro_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +NON ERA CONVENEVOLE ...,"'non era degno di Dio rimanere in una situazione di deperimento, di decadenza fisica'. Cfr. Tommaso, Summa Theologiae III, q. 46, a. 9, ad quartum: ""Christus in iuvenili aetate pati voluit ... quando erat in perfectissimo statu ... quia non conveniebat ut in eo appareret naturae diminutio"".","III, q. 46, a. 9, ad quartum: Christus in iuvenili aetate pati voluit ... quando erat in perfectissimo statu ... quia non conveniebat ut in eo appareret naturae diminutio""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ONDE DICE LUCA,"gli altri vangeli sinottici danno come ora di morte di Cristo l'ora nona, cioè circa le tre pomeridiane (cfr. Mt 27, 46; Mc 15, 34). Luca è meno preciso: anch'egli parla di tenebre che coprirono la terra dall'ora sesta all'ora nona, ma non dice esplicitamente che Cristo sia spirato al termine di questo fenomeno miracoloso (cfr. Lc 23, 44 -46 : Erat autem fere hora sexta et tenebrae factae sunt in universam terram usque in horam nonam ... et clamans voce magna Iesus ait: Pater in manus tuas commendo spiritum meum. Et haec dicens expiravit""). Il testo poteva essere interpretato da Dante a favore della sua tesi: che cioè il Salvatore, come era morto nel culmine del giorno (l'ora sesta corrisponde infatti circa a mezzogiorno) così era vissuto fino al culmine della vita.","c 23, 44 -46 : Erat autem fere hora sexta et tenebrae factae sunt in universam terram usque in horam nonam ... et clamans voce magna Iesus ait: Pater in manus tuas commendo spiritum meum. Et haec dicens expiravit""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ONDE DICE LUCA,"gli altri vangeli sinottici danno come ora di morte di Cristo l'ora nona, cioè circa le tre pomeridiane (cfr. Mt 27, 46; Mc 15, 34). Luca è meno preciso: anch'egli parla di tenebre che coprirono la terra dall'ora sesta all'ora nona, ma non dice esplicitamente che Cristo sia spirato al termine di questo fenomeno miracoloso (cfr. Lc 23, 44 -46 : Erat autem fere hora sexta et tenebrae factae sunt in universam terram usque in horam nonam ... et clamans voce magna Iesus ait: Pater in manus tuas commendo spiritum meum. Et haec dicens expiravit""). Il testo poteva essere interpretato da Dante a favore della sua tesi: che cioè il Salvatore, come era morto nel culmine del giorno (l'ora sesta corrisponde infatti circa a mezzogiorno) così era vissuto fino al culmine della vita.","Mt 27, 46",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ONDE DICE LUCA,"gli altri vangeli sinottici danno come ora di morte di Cristo l'ora nona, cioè circa le tre pomeridiane (cfr. Mt 27, 46; Mc 15, 34). Luca è meno preciso: anch'egli parla di tenebre che coprirono la terra dall'ora sesta all'ora nona, ma non dice esplicitamente che Cristo sia spirato al termine di questo fenomeno miracoloso (cfr. Lc 23, 44 -46 : Erat autem fere hora sexta et tenebrae factae sunt in universam terram usque in horam nonam ... et clamans voce magna Iesus ait: Pater in manus tuas commendo spiritum meum. Et haec dicens expiravit""). Il testo poteva essere interpretato da Dante a favore della sua tesi: che cioè il Salvatore, come era morto nel culmine del giorno (l'ora sesta corrisponde infatti circa a mezzogiorno) così era vissuto fino al culmine della vita.","Mc 15, 34",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LE QUATTRO COMBINAZIONI DELLE CONTRARIE QUALITADI,"che le quattro qualità contrarie, caldo, freddo, umido e secco possono dar luogo a quattro combinazioni possibili (caldo umido, caldo secco, freddo umido, freddo secco) era stato detto da Aristotele nel terzo capitolo del secondo libro del De generatione et corruptione (330 a 33 - b 2) : manifestum quoniam quattuor erunt elementorum coniugationes: calidi et sicci, calidi et humidi et rursus frigidi et humidi et sicci et frigidi"". Translatio Vetus, p. 56, ll. 19-21","nel terzo capitolo del secondo libro del De generatione et corruptione (330 a 33 - b 2) : manifestum quoniam quattuor erunt elementorum coniugationes: calidi et sicci, calidi et humidi et rursus frigidi et humidi et sicci et frigidi"". Translatio Vetus, p. 56, ll. 19-21""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL QUARTO DELLA METAURA,"nella parafrasi del quarto libro dei Meteorologici' (sul termine Metaura vedi la nota a Cv II xiii 21-22). Cfr. Meteora IV tr. 1, cap. 13 (in senectute abundat frigiditas cum sicco, et in ultima aetate abundat frigiditas cum humido frigido"" p. 227, ll. 17-19) e Nardi, 1967, p. 125, nota 55).","Meteora IV tr. 1, cap. 13 (in senectute abundat frigiditas cum sicco, et in ultima aetate abundat frigiditas cum humido frigido"" p. 227, ll. 17-19)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Meteorology_(Aristotle),Meteorologica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEL QUARTO DELLA METAURA,"nella parafrasi del quarto libro dei Meteorologici' (sul termine Metaura vedi la nota a Cv II xiii 21-22). Cfr. Meteora IV tr. 1, cap. 13 (in senectute abundat frigiditas cum sicco, et in ultima aetate abundat frigiditas cum humido frigido"" p. 227, ll. 17-19) e Nardi, 1967, p. 125, nota 55).",nella parafrasi del quarto libro dei Meteorologici,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meteororum(Alberto_Magno),Meteororum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEL SECONDO DEL METAMORFOSEOS,"nel secondo libro delle Metamorfosi'. In realtà il testo non trova una corrispondenza precisa in Ovidio, né per quanto riguarda i nomi (in luogo di Filogeo Ovidio ha Phlegon) né per quanto riguarda il loro ordine (Pyrois in Ovidio viene prima di Eous. Cfr. Metamorfosi II 153-155) Il collegamento tra i quattro cavalli e le quattro parti del giorno, assente nelle Metamorfosi, è stato operato dai più tardi mitografi, p.e. da Fulgenzio (cfr. Mythologiarum libri I 12, p. 23) dove peraltro i nomi dei cavalli, Erythraeus, Acteon, Lampus, Filogeus e il loro ordine non corrispondono pienamente né a Ovidio né al testo del Convivio. Un dizionario sicuramente conosciuto da Dante, le Derivationes di Uguccione, presenta maggiori corrispondenze: Primus dicitur Acteus vel Eous, idest rubens; eos enim est aurora vel oriens; secundus dicitur Ericteus vel Pirous, id est splendens, a pir quod est ignis; tertius Lampus vel Phlegon, id est fervens a fos quod est ignis; quartus Ethon, id est tepens, vel Philogeus, idest amans terram, a philos quod est amor, et ge quod est terra, quia tunc tendit ad occasum"" (s. v. Bis, B 65, 7, p. 127). Ma è probabile che Dante usasse un testo di Ovidio corredato di glosse, come quelle citate da Fausto Ghisalberti (Ghisalberti¹ 1934).","I 12, p. 23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Mythologiarum_libri,Mythologiarum libri,Fulgenzio,http://dbpedia.org/resource/Fabius_Planciades_Fulgentius,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +NEL SECONDO DEL METAMORFOSEOS,"nel secondo libro delle Metamorfosi'. In realtà il testo non trova una corrispondenza precisa in Ovidio, né per quanto riguarda i nomi (in luogo di Filogeo Ovidio ha Phlegon) né per quanto riguarda il loro ordine (Pyrois in Ovidio viene prima di Eous. Cfr. Metamorfosi II 153-155) Il collegamento tra i quattro cavalli e le quattro parti del giorno, assente nelle Metamorfosi, è stato operato dai più tardi mitografi, p.e. da Fulgenzio (cfr. Mythologiarum libri I 12, p. 23) dove peraltro i nomi dei cavalli, Erythraeus, Acteon, Lampus, Filogeus e il loro ordine non corrispondono pienamente né a Ovidio né al testo del Convivio. Un dizionario sicuramente conosciuto da Dante, le Derivationes di Uguccione, presenta maggiori corrispondenze: Primus dicitur Acteus vel Eous, idest rubens; eos enim est aurora vel oriens; secundus dicitur Ericteus vel Pirous, id est splendens, a pir quod est ignis; tertius Lampus vel Phlegon, id est fervens a fos quod est ignis; quartus Ethon, id est tepens, vel Philogeus, idest amans terram, a philos quod est amor, et ge quod est terra, quia tunc tendit ad occasum"" (s. v. Bis, B 65, 7, p. 127). Ma è probabile che Dante usasse un testo di Ovidio corredato di glosse, come quelle citate da Fausto Ghisalberti (Ghisalberti¹ 1934).","Primus dicitur Acteus vel Eous, idest rubens; eos enim est aurora vel oriens; secundus dicitur Ericteus vel Pirous, id est splendens, a pir quod est ignis; tertius Lampus vel Phlegon, id est fervens a fos quod est ignis; quartus Ethon, id est tepens, vel Philogeus, idest amans terram, a philos quod est amor, et ge quod est terra, quia tunc tendit ad occasum"" (s. v. Bis, B 65, 7, p. 127)""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ADOLESCENZIA...,"le due etimologie, di adolescentia da adolere (""id est crescere""), iuvenis da iuvare (""quia adiuvare posse incipit"") si trovano nelle Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Oleo, Iuvo, O 18, 11; I 120, 6, pp. 866, 631).","s.v. Oleo, Iuvo, O 18, 11; I 120, 6, pp. 866, 631",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +LA RAGIONE,"il Corpus Juris Civilis (e precisamente Institutiones I, 23).","Institutiones I, 23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PERÒ CHE LO CALDO NATURALE ... E L'UMIDO È INGROSSATO,"come abbiamo già sottolineato la scienza medievale considera la vita come un processo in cui il calore naturale si alimenta dell'umido radicale: nel corso degli anni quest'ultimo, man mano che si consuma, viene rimpiazzato dall'umido nutrimentale, derivante cioè dai processi di digestione del cibo; nella terza età, dunque, l'umido ha cambiato natura ingrossando non quantitativamente, ma solo (pur"") qualitativamente, diventando cioè più viscoso e meno ricco d'aria, dunque meno soggetto ad evaporazione sotto l'azione consumatrice del calore naturale (""meno vaporabile e consumabile""). Tale calore, a sua volta, ha perso parte della sua capacità di agire (""è menomato e puote poco""), quindi consuma meno. Per la concomitanza di questi due fenomeni accade (""avviene"") che la nostra vita possa durare oltre i settanta anni della vecchiaia (la diversa velocità tra il crescere e il decrescere spiega anche la dissimetria tra gli otto mesi e i dieci anni). Se i materiali di questa spiegazione sono tutti presenti, p. e. nel De morte et vita o nel De juventute et senectute di Alberto Magno, e ampiamente citati, ad esempio, dal commento Vasoli, in realtà il loro assemblaggio è operazione originale di Dante: egli infatti non vuole descrivere quest'ultima parte della vita umana, ma dimostrare come e perché sia possibile.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_iuventute_et_senectute(Alberto_Magno),De iuventute et senectute,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRIMA,"per la prima volta'. Dante cita, attraverso il De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, cap. 1, p. 178 ) un episodio presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I, 1, p. 83):: Socrate avrebbe sognato un giovane cigno che dall'altare di Cupido gli volava in grembo per poi innalzarsi verso il cielo cantando dolcemente. Mentre raccontava il sogno agli amici il padre di Platone gli avrebbe presentato il figlio quem ubi Socrates aspexit, ingenium intimum de exteriore conspicatus est faciem"" I, 1-2). Citando la frase di Apuleio Alberto vi inserisce proprio un 'per physionomiam' (""ingenium intimum per physionomiam de exteriore conspicatus est facie"").","III, tr. 1, cap. 1, p. 178",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_somno_et_vigilia(Alberto_Magno),De somno et vigilia,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRIMA,"per la prima volta'. Dante cita, attraverso il De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, cap. 1, p. 178 ) un episodio presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I, 1, p. 83):: Socrate avrebbe sognato un giovane cigno che dall'altare di Cupido gli volava in grembo per poi innalzarsi verso il cielo cantando dolcemente. Mentre raccontava il sogno agli amici il padre di Platone gli avrebbe presentato il figlio quem ubi Socrates aspexit, ingenium intimum de exteriore conspicatus est faciem"" I, 1-2). Citando la frase di Apuleio Alberto vi inserisce proprio un 'per physionomiam' (""ingenium intimum per physionomiam de exteriore conspicatus est facie"").","I, 1, p. 83",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_dogmate_Platonis(Apuleio),De dogmate Platonis,Apuleio,http://dbpedia.org/resource/Apuleius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN QUELLO DI SENETTUTE,cfr. De senectute v 13.,v 13,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ALLI OTTANTUNO ANNO,"l'età attribuibile all'umanità di Cristo, se la sua vita naturale non fosse finita prima, è prefigurata da quella di Platone. Probabilmente Dante conosceva anche l' episodio narrato da Seneca e ripreso dallo Speculum Historiale: alcuni magi, presenti ad Atene al momento della morte del filosofo, avendo conosciuto la sua età, lo avevano ritenuto più che un uomo: ottantuno, nove volte nove, è infatti il numero più perfetto (cfr. Epistulae ad Lucilium 58, 30-31, Speculum Historiale IV cap. 6, De obitu Platonis et de discipulis eius, p. 118).",IV cap. 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Speculum_historiale,Speculum Historiale,Vincenzo di Beauvais,http://dbpedia.org/resource/Vincent_of_Beauvais,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +ALLI OTTANTUNO ANNO,"l'età attribuibile all'umanità di Cristo, se la sua vita naturale non fosse finita prima, è prefigurata da quella di Platone. Probabilmente Dante conosceva anche l' episodio narrato da Seneca e ripreso dallo Speculum Historiale: alcuni magi, presenti ad Atene al momento della morte del filosofo, avendo conosciuto la sua età, lo avevano ritenuto più che un uomo: ottantuno, nove volte nove, è infatti il numero più perfetto (cfr. Epistulae ad Lucilium 58, 30-31, Speculum Historiale IV cap. 6, De obitu Platonis et de discipulis eius, p. 118).","58, 30-31",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistulae_morales_ad_Lucilium,Epistulae morales ad Lucilium,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +E TULIO IN CIÒ S'ACCORDA IN QUELLO DI SENETTUTE,"e ciò che dice Cicerone nel De senectute concorda con questo'. In realtà nel testo proposto dai commentatori (De senectute ii 5) si usa sì la metafora della bacca e del frutto maturo, ma essa serve a far accettare il fatto che la vita abbia inevitabilmente un suo termine quod ferendum est molliter sapienti"". Vedi piuttosto il testo del De senectute x 33 che sarà citato letteralmente in Cv IV xxvii 2: ""Cursus est certus etatis et una via naturae, eaque simplex, suaque cuique parti aetatis tempestivitas est data"".",x 33,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LO FIGURATO CHE ... TIENE VIRGILIO,"Nella sua Expositio vergilianae continentiae secundum philosophos morales, Fulgenzio mette in effetti in scena Virgilio stesso che spiega il significato morale dell'Eneide : ergo sub figuralitate historiae plenum hominis monstravimus statum"" (pp. 89-90). Il poema doveva essere visto come una figura dell'arco della vita umana, scandito in tre tappe: pueritia-natura- libri I-III; juventus-doctrina- III-VII libro; perfectio virilis - felicitas- VIII-XII libro. Questo modello era stato sostanzialmente accolto dai commentatori del XII secolo (vedi Dronke 1992). Anche Dante in Cv IV xxvi ricorrerà ad una interpretazione dell'Eneide come figura della vita umana, ma solo per la juventus ed in modo sostanzialmente autonomo da Fulgenzio, sia nei contenuti, che nello schema generale. Egli dunque effettivamente ""tralascia ... lo figurato che tiene Virgilio"". In ogni caso qui come in Fulgenzio la ""figura"" ha un effettiva consistenza storica, dato che anche per Dante, le peripezie di Enea non sono una semplice invenzione poetica.",pp. 89-90,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_Virgilianae_continentiae(Fulgenzio),Expositio Virgilianae continentiae,Fulgenzio,http://dbpedia.org/resource/Fabius_Planciades_Fulgentius,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +EGIDIO EREMITA,"si tratta di Egidio Romano, chiamato eremita"" perché membro dell'ordine agostiniano, detto anche degli eremiti di Sant'Agostino. Abbiamo già avuto modo di citare il suo De regimine principum, non solo diffusissimo anche in ambienti non universitari, ma già tradotto in volgare nel 1288. Nella quarta parte del primo libro il trattato si occupa dei costumi e dei comportamenti propri dell'adolescenza, della vecchiaia e dell'età matura.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CHE NON VIENE MENO NELLE COSE NECESSARIE,"che non fallisce nel raggiungimento di ciò che è necessario'. Dante ripete qui un adagio comunissimo nella cultura filosofica del suo tempo, che ha la sua origine nel De anima (cfr. III 9, 432 b 21-23 natura nihil facit frustra, neque deficit in necessariis"").","III 9, 432 b 21-23 natura nihil facit frustra, neque deficit in necessariis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ CHE SOSTIENE,"in modo da sostenere'. Un richiamo alla vite che con i suoi viticci adminicula tamquam manibus adprehendunt atque ita se erigunt ut animantes"" si ha in Cicerone, De natura deorum II, 47,120. Lo stesso esempio, ma in un contesto completamente diverso (si tratta della necessità di potare per ridurre l'eccessivo rigoglio della pianta) in De senectute xv. 52. In nessuno dei due si parla del frutto.","De natura deorum II, 47,120",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Natura_Deorum,De natura deorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SÌ CHE SOSTIENE,"in modo da sostenere'. Un richiamo alla vite che con i suoi viticci adminicula tamquam manibus adprehendunt atque ita se erigunt ut animantes"" si ha in Cicerone, De natura deorum II, 47,120. Lo stesso esempio, ma in un contesto completamente diverso (si tratta della necessità di potare per ridurre l'eccessivo rigoglio della pianta) in De senectute xv. 52. In nessuno dei due si parla del frutto.",xv. 52,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +"AUDI, FIGLIO MIO ...","cfr. Prv 1, 8 Audi, fili mi, disciplinam patris tui"" (si tratta, in effetti, della prima esortazione rivolta al lettore).","Prv 1, 8 Audi, fili mi, disciplinam patris tui",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NON TI POSSANO QUELLO FARE ... CHE TU VADA CON LORO,"i peccatori non riescano mai a indurti a fare questo, né con promesse né con piacevolezze, cioè che tu vada loro dietro' (intendendo quello"" come prolettico e il ""che"" come dichiarativo). Si tratta di una parafrasi di Prv 1, 10 e 15: ""Fili mi, si te lactaverint peccatores, ne acquiescas eis ... Fili mi, ne ambules cum eis"".","Prv 1, 10 e 15: ""Fili mi, si te lactaverint peccatores, ne acquiescas eis ... Fili mi, ne ambules cum eis""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CHE LA PERSONA DEL PADRE ...,"cfr. Digestum, XXXVII, 15, 9 Liberto et filio semper honesta et sancta persona patris et patroni videri debet"".","Digestum, XXXVII, 15, 9 Liberto et filio semper honesta et sancta persona patris et patroni videri debet""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SARÀ GLORIOSO,"sarà oggetto di glorificazione' (cfr. Prv 13, 18 Qui ... acquiescit arguenti glorificabitur').","Prv 13, 18 Qui ... acquiescit arguenti glorificabitur",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DICE L'APOSTOLO ALLI COLOSSENSI,"cfr Col 3, 20 Filii, obedite parentibus per omnia; hoc enim placitum est in Domino"".",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Colossians,Epistola ad Colossenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PERFETTA VITA AVERE SANZA AMICI,"cfr. Eth. Nic. VIII 1, 1155 a 1-6 Post haec autem de amicitia sequitur utique pertransire. Est enim ... maxime necessarium in vitam. Sine amicis enim nullus utique eligeret vivere, habens reliqua bona omnia"". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 298, ll. 5-8.","VIII 1, 1155 a 1-6 Post haec autem de amicitia sequitur utique pertransire. Est enim ... maxime necessarium in vitam. Sine amicis enim nullus utique eligeret vivere, habens reliqua bona omnia"". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 298, ll. 5-8.""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CORTESEMENTE SERVIRE E OPERARE,"servire"" ha qui il senso di mettere spontaneamente e gratuitamente se stesso e le proprie cose a disposizione di altri, anche se sconosciuti; questo servizio è parte integrante della cortesia. Come aveva detto Salimbene de Adam, mettendo queste parole sulla bocca di un padre guardiano francescano che chiede aiuto per due prelati in fuga: ""Amore Dei ostendite caritatem et curialitatem et faciatis eis servitium et vobis honorem. Nam honos non est eius tantum cui impenditur, sed potius impendentis, et ille vere censendus est curialis, qui libenter et yllariter sine spe retributionis suum servitium incognitis elargitur"". (Chronica, vol. I, p. 575).","""Amore Dei ostendite caritatem et curialitatem et faciatis eis servitium et vobis honorem. Nam honos non est eius tantum cui impenditur, sed potius impendentis, et ille vere censendus est curialis, qui libenter et yllariter sine spe retributionis suum servitium incognitis elargitur"". (Chronica, vol. I, p. 575).""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cronica(Salimbene_de_Adam),Cronica,Salimbene de Adam,http://dbpedia.org/resource/Salimbene_di_Adam,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +DICE SALOMONE ...,"cfr. Prv 3, 34 ""Ipse dominus deludet illusores et mansuetis dabit gratiam"".","Prv 3, 34 Ipse dominus deludet illusores et mansuetis dabit gratiam""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +E ALTROVE DICE ...,"cfr. Prv 4, 24 ""Remove a te os pravum et detrahentia labia sint procul a te"". Dante, nella traduzione, modifica il testo in funzione delle sue esigenze, sostituendo alle labbra maldicenti (""detrahentia labia"") gli atteggiamenti scortesi (""atti villani"").","Prv 4, 24 Remove a te os pravum et detrahentia labia sint procul a te",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IN QUANTO ... DI SAPERE DI QUELLE,"come già in Cv II xv 11 il riferimento è alla Metafisica aristotelica dove la meraviglia (admiratio) è lo stimolo iniziale al filosofare. Come fa peraltro notare Busnelli nel suo commento Tommaso aveva nettamente distinto tra admiratio e stupor, osservando che mentre chi si meraviglia è spinto ad indagare, chi rimane stupefatto vi rinuncia. Dunque lo stupore risulta piuttosto un philosophicae considerationis impedimentum"" (cfr. Summa Theologiae, Ia- IIae, q. 41, a. 4, ad 5m).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN QUANTO ... DI SAPERE DI QUELLE,"come già in Cv II xv 11 il riferimento è alla Metafisica aristotelica dove la meraviglia (admiratio) è lo stimolo iniziale al filosofare. Come fa peraltro notare Busnelli nel suo commento Tommaso aveva nettamente distinto tra admiratio e stupor, osservando che mentre chi si meraviglia è spinto ad indagare, chi rimane stupefatto vi rinuncia. Dunque lo stupore risulta piuttosto un philosophicae considerationis impedimentum"" (cfr. Summa Theologiae, Ia- IIae, q. 41, a. 4, ad 5m).","Ia- IIae, q. 41, a. 4, ad 5m",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +D'ARTIFICIO,"artisticamente elaborati'. Il commento Busnelli rimanda ad Eneide I 494-5 dove Enea a Cartagine, prima di incontrare Didone, ammira stupefatto, nel tempio di Giunone, le pitture riproducenti episodi della guerra di Troia. Più calzante mi sembra un richiamo al passo delLa composizione del mondo colle sue cascioni dove Ristoro parla de li savi artefici che fano la nobilissima operazione musaica, a adornare e a storiare le pareti e li pavimenti de li grandi imperatori e de li re"" con ""pezzoli de vetro endeorati"" e nota come ""gli altissimi maiestri entalliatori antichi ... per sutilità e per gli atti facieno smarrire e quasi uscire di sé li conoscitori"" (I vii 9; II i 1, pp. 11, 49). Una disposizione degli interni particolarmente fastosa, ricca di ornamenti preziosi e automi meccanici era stata effettivamente utilizzata dagli imperatori bizantini per stupire diplomatici ed invitati stranieri, come nel caso di Liutprando da Cremona (cfr. Liudprandi Cremonensis, Antapodosis VI 5, ed. Chiesa, p. 147).","I vii 9; II i 1, pp. 11, 49",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_composizione_del_mondo,La composizione del mondo colle sue cascioni,Restoro d'Arezzo,http://it.dbpedia.org/resource/Restoro_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +"STAZIO, LO DOLCE POETA","sulla dolcezza dei versi di Stazio cfr. Pg XXI 88-9 Tanto fu dolce mio vocale spirto / che, tolosano, a sé mi trasse Roma"". Della dolcezza della poesia di Stazio, proprio in relazione alla Tebaide, aveva parlato Giovenale nella settima Satira, ai versi 82-5.","settima Satira, ai versi 82-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +"QUASI COME SICURI, SI TENNERO","'si mantennero fissi, come per mantenersi al sicuro'. Cfr. Tebaide I 536-9.",I 536-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Thebaid_(Latin_poem),Thebais,Stazio,http://dbpedia.org/resource/Statius,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +"NULLO ATTO È LAIDO, CHE NON SIA LAIDO QUELLO NOMINARE","nel caso di qualsiasi azione turpe è turpe anche il solo parlarne. Come convincentemente dimostra Marchesi contro l'opinione comune dei commentatori il testo di riferimento non è il Trésor, ma proprio il De officiis di Cicerone I, 35, 127, quodque facere non turpe est, modo occulte, id dicere obscaenum est"" (Marchesi 2001, pp. 98-99).","I, 35, 127, quodque facere non turpe est, modo occulte, id dicere obscaenum est",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN QUELLA MEDESIMA PARTE,"sempre nello stesso episodio della Tebaide' (cfr. I, 671 sgg.).","I, 671 sgg.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Thebaid_(Latin_poem),Thebais,Stazio,http://dbpedia.org/resource/Statius,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +DUBITÒ PRIMA DI DICERE,"inizialmente esitò a rispondere' (cfr. Tebaide I, 671-678 Tu pande quis Argos advenias ... / Deiecit maestos extemplo Ismenius heros / in terram vultus ... / Tum longa silentia movit... / unde genus, quae terra mihi, quis defluat ordo / sanguinis antiqui piget inter sacra fateri"".","Tebaide I, 671-678 Tu pande quis Argos advenias ... / Deiecit maestos extemplo Ismenius heros / in terram vultus ... / Tum longa silentia movit... / unde genus, quae terra mihi, quis defluat ordo / sanguinis antiqui piget inter sacra fateri""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Thebaid_(Latin_poem),Thebais,Stazio,http://dbpedia.org/resource/Statius,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +LA MADRE,"'Giocasta' (cfr. Tebaide I 679-681 Sed si praecipitant miserum cognoscere curae / Cadmus origo patrum, tellus Mavortia Thebae / et genetrix Jocasta mihi"").","I 679-681 Sed si praecipitant miserum cognoscere curae / Cadmus origo patrum, tellus Mavortia Thebae / et genetrix Jocasta mihi",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Thebaid_(Latin_poem),Thebais,Stazio,http://dbpedia.org/resource/Statius,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +UNO COLORE DOLCE A RIGUARDARE,"sul ruolo del colore"" nella valutazione della bellezza cfr. il De civitate Dei di Agostino (XXII 19, p. 838) ""Omnis ... corporis pulchritudo est partium congruentia cum quadam coloris suavitate"", ripreso da Tommaso nella Summa Theologiae (IIa IIae, q. 145, a. 2) ""pulchritudo corporis in hoc consistit, quod homo habeat membra corporis bene proportionata cum quadam debiti coloris claritate"" (cfr. Cv I v 13).","IIa IIae, q. 145, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CACCIARE E FUGGIRE,"cercare (ciò che appare bene) ed evitare (ciò che appare male)'. I termini prosecutio e fuga erano presenti nella traduzione latina dell' Etica Nicomachea proprio per indicare i due atteggiamenti fondamentali del desiderio. (VI 2, 1139 a 21-22).","VI 2, 1139 a 21-22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHE IRASCIBILE E CONCUPISCIBILE SI CHIAMA,"questa distinzione interna alla facoltà del desiderio non è in sé aristotelica; risalente alla psicologia platonica della Repubblica e pervenuta al medioevo latino tramite fonti secondarie è stata utilizzata dai teologi molto prima della conoscenza dell' Etica Nicomachea. Tommaso la fa propria in questi termini: ""Necesse est quod in parte sensitiva sint duo appetitivae potentiae: una per quam anima simpliciter inclinatur ad prosequendum ea quae sunt convenientia secundum sensum et ad refugiendum nociva, et haec dicitur concupiscibilis; alia vero per quam animal resistit impugnantibus, quae convenientia impugnant et nocumenta inferunt, et haec vocatur irascibilis (Summa Theologiae, I, q. 81, a. 2).","I, q. 81, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ALLA RAGIONE OBEDIRE CONVIENE,"'è bene che obbedisca alla ragione'. Aristotele parla del desiderio come di un qualcosa che, a differenza della facoltà nutritiva, è capace di dare ascolto e di obbedire alla ragione (cfr. Eth. Nic. I 13, 1102 a 27 sgg.).","I 13, 1102 a 27 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +È DA ... PUNGARE,"'bisogna combattere' (""pungare"": pugnare). L'idea di combattimento è effettivamente collegata a quella della 'vis irascibilis'. Come dice ancora Tommaso, essa deve vincere tutto ciò che ostacola la ricerca della 'vis concupiscibilis', sia quando questo ""convenientibus impedimentum praebet"", che quando ""nocumenta ingerit"" (cfr. Summa Theologiae, cit.). In questa presentazione delle virtù proprie della giovinezza Dante identifica fortezza con magnanimità, virtù che nell'elenco di Cv IV 17 erano state correttamente distinte.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PARTE DELLO ENEIDA OVE QUESTA ETADE SI FIGURA,"'in quella sezione dell'Eneide che sta a significare la juventus'. Anche nell' interpretazione di Fulgenzio i libri quarto, quinto e sesto corrispondono alla juventus, ma il nome è equivoco: nella Vergiliana continentia essa corrisponde piuttosto alla adolescentia dello schema dantesco. In ogni modo qui Dante torna a quel figurato che di questo diverso processo dell'etadi tiene Virgilio nello Eneida"" prima escluso in Cv IV xxiv 9.",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +PARTE DELLO ENEIDA OVE QUESTA ETADE SI FIGURA,"'in quella sezione dell'Eneide che sta a significare la juventus'. Anche nell' interpretazione di Fulgenzio i libri quarto, quinto e sesto corrispondono alla juventus, ma il nome è equivoco: nella Vergiliana continentia essa corrisponde piuttosto alla adolescentia dello schema dantesco. In ogni modo qui Dante torna a quel figurato che di questo diverso processo dell'etadi tiene Virgilio nello Eneida"" prima escluso in Cv IV xxiv 9.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_vergiliana_continentia(Fulgenzio),De vergiliana continentia,Fulgenzio,http://dbpedia.org/resource/Fabius_Planciades_Fulgentius,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +SOLO CON SIBILLA ... NELLO INFERNO... COME NEL SESTO ... SI DIMOSTRA,"cfr. Eneide VI 98 sgg. Anche questa interpretazione di Dante si discosta da quella di Fulgenzio che nella discesa all'Ade di Enea vede la figura non della Fortezza, ma della iniziazione ai segreti della sapienza.",Eneide VI 98 sgg.,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SOSTENUTO,"aiutato'. Cfr. gli Economici pseudoaristotelici I 2, 1343 b 20-23.","I 2, 1343 b 20-23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Economico,Economico,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ARMEGGIANDO,"esercitandosi nelle armi' (il termine è tipico delle giostre e dei tornei). Per l'episodio in cui Enea, dopo l' incendio di gran parte delle navi (provocato su istigazione di Giunone da parte delle stesse donne troiane) decide di lasciare in Sicilia, sotto la protezione di Aceste, le donne e i vecchi, cfr. Eneide V 604 sgg. Per gli armeggiamenti"" dei giovinetti troiani capeggiati da Ascanio a conclusione dei giochi funebri in onore di Anchise, vedi ivi, 545-603. Anche in questi casi l'interpretazione figurale si distacca dal modello di Fulgenzio e sembra creazione originale di Dante.",V 604 sgg.,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NEL SESTO SOPRA DETTO,cfr. Eneide VI 183 sgg.,Eneide VI 183 sgg.,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +ENEA REGE,"l'appellativo di rex viene dato ad Enea nel discorso di Ilioneo a Didone. Cfr. Eneide I 544-5, versi citati anche in Mn II iii 8.",Eneide I 544-5,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NEL PREDETTO QUINTO LIBRO,cfr. Eneide V 42 sgg.,V 42 sgg.,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +IN QUELLO DI SENETTUTE,"cfr. De senectute x 33 Cursus est certus etatis et una via naturae, eaque simplex, suaque cuique parti aetatis tempestivitas est data"".","x 33 Cursus est certus etatis et una via naturae, eaque simplex, suaque cuique parti aetatis tempestivitas est data",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +COME ARISTOTILE DICE,"la definizione dell'uomo come 'animal civile' (civile è la traduzione del greco politikón) è presente in Politica I 2, 1253 a 3, ma Dante avrebbe potuta leggerla sia in florilegi come le Auctoritates Aristotilis (p. 252, n. 3) sia soprattutto in un testo a lui sicuramente noto come il commento di Tommaso all'Etica Nicomachea dove l'Aquinate la collegava al dovere di giovare non solo a se stessi, ma anche agli altri (I, lectio 9, n. 112 quia homo est animal civile ... ideo non sufficit suo desiderio quod sibi provideat, sed etiam quod possit aliis providere"" ).","I 2, 1253 a 3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +COME ARISTOTILE DICE,"la definizione dell'uomo come 'animal civile' (civile è la traduzione del greco politikón) è presente in Politica I 2, 1253 a 3, ma Dante avrebbe potuta leggerla sia in florilegi come le Auctoritates Aristotilis (p. 252, n. 3) sia soprattutto in un testo a lui sicuramente noto come il commento di Tommaso all'Etica Nicomachea dove l'Aquinate la collegava al dovere di giovare non solo a se stessi, ma anche agli altri (I, lectio 9, n. 112 quia homo est animal civile ... ideo non sufficit suo desiderio quod sibi provideat, sed etiam quod possit aliis providere"" ).","p. 252, n. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Auctoritates_Aristotelis,Auctoritates Aristotelis,Johannes de Fonte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Johannes_de_Fonte,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME ARISTOTILE DICE,"la definizione dell'uomo come 'animal civile' (civile è la traduzione del greco politikón) è presente in Politica I 2, 1253 a 3, ma Dante avrebbe potuta leggerla sia in florilegi come le Auctoritates Aristotilis (p. 252, n. 3) sia soprattutto in un testo a lui sicuramente noto come il commento di Tommaso all'Etica Nicomachea dove l'Aquinate la collegava al dovere di giovare non solo a se stessi, ma anche agli altri (I, lectio 9, n. 112 quia homo est animal civile ... ideo non sufficit suo desiderio quod sibi provideat, sed etiam quod possit aliis providere"" ).","I, lectio 9, n. 112 quia homo est animal civile ... ideo non sufficit suo desiderio quod sibi provideat, sed etiam quod possit aliis providere",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NATO ESSER CREDEA,"riteneva di esser nato per il bene di' (Dante riassume qui i versi 380-383 del secondo libro della Farsaglia di Lucano dove Catone impersona in qualche modo i principi morali dello Stoicismo: ... hi mores, haec dura inmota Catonis / secta fuit, servare modum finemque tenere / naturamque sequi patriaeque inpendere vitam / nec sibi sed toti genitum se credere mundo"").",versi 380-383 del secondo libro della Farsaglia,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NEL TERZO LIBRO DELLI REGI,"nel terzo libro dei Re' (nell'ordinamento attuale dei libri biblici si tratta del primo) Salomone, appena diventato re, chiede a Dio ed ottiene il dono di saper discernere il bene dal male, cioè la saggezza (cfr. Rg I, 3, 4 sgg.)","Rg I, 3, 4 sgg.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Kings,Libri dei Re,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +COME DICE NOSTRO SIGNORE,"cfr. Mt 10, 8 Gratis accepistis, gratis date"".","Mt 10, 8 Gratis accepistis, gratis date",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SINGULARE,"del tutto particolare'. La giustizia, infatti, come dice l' Etica Nicomachea (V 1, 1130 a 8-9), è virtù perfetta che in qualche modo comprende tutte le altre. Cfr. Cv IV xvii 4-6.","V 1, 1130 a 8-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FU DETTO SENATO,"dal latino senex, vecchio (l'etimologia già in Cicerone, De senectute vi 19).",vi 19,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LA LARGHEZZA VUOLE ESSERE ...,"bisogna donare tenendo conto delle circostanze'. Che la virtù della liberalitas consista nel donare non in maniera indiscriminata, ma tenendo conto delle persone a cui si dona, del tempo e del modo in cui si dona era stato detto appunto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 2, 1120 a 23-26) e da Cicerone (cfr. De officiis I, 14, 42-44 ).","Eth. Nic. IV 2, 1120 a 23-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LA LARGHEZZA VUOLE ESSERE ...,"bisogna donare tenendo conto delle circostanze'. Che la virtù della liberalitas consista nel donare non in maniera indiscriminata, ma tenendo conto delle persone a cui si dona, del tempo e del modo in cui si dona era stato detto appunto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 2, 1120 a 23-26) e da Cicerone (cfr. De officiis I, 14, 42-44 ).","I, 14, 42-44",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PER VIA NATURALE,"secondo le regole della natura' (regole che in alcuni casi particolari possono anche esser modificate da un intervento divino; ad esempio Gesù è stato sicuramente saggio e giusto anche nella sua adolescenza e nella sua giovinezza). Facendo della liberalitas un segno della nobiltà cosi come si manifesta nella terza età della vita, Dante contrappone la vecchiaia dell'uomo nobile a quella comunemente descritta dalla pubblicistica del suo tempo. Che la vecchiaia fosse caratterizzata dall'avarizia (mentre dei giovani è propria la larghezza"") era infatti convinzione della cultura delle scuole che aveva alle spalle quanto detto da Aristotele nell' Etica Nicomachea (IV, 1, 1121 b 13-14) e nella Retorica (II, 13, 1389 b 27-29): sia Tommaso che Egidio Romano avevano ripetuto ed ampliato queste notazioni (cfr. il commento di Tommaso all' Etica IV, lectio 4, n. 687 e il De regimine principum I iv 3 Qui mores senum sunt vituperabiles, pp. 195-199 ). Per un'analoga caratterizzazione in Boncompagno da Signa vedi nota a Cv IV xxvii 16).","IV, 1, 1121 b 13-14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIA NATURALE,"secondo le regole della natura' (regole che in alcuni casi particolari possono anche esser modificate da un intervento divino; ad esempio Gesù è stato sicuramente saggio e giusto anche nella sua adolescenza e nella sua giovinezza). Facendo della liberalitas un segno della nobiltà cosi come si manifesta nella terza età della vita, Dante contrappone la vecchiaia dell'uomo nobile a quella comunemente descritta dalla pubblicistica del suo tempo. Che la vecchiaia fosse caratterizzata dall'avarizia (mentre dei giovani è propria la larghezza"") era infatti convinzione della cultura delle scuole che aveva alle spalle quanto detto da Aristotele nell' Etica Nicomachea (IV, 1, 1121 b 13-14) e nella Retorica (II, 13, 1389 b 27-29): sia Tommaso che Egidio Romano avevano ripetuto ed ampliato queste notazioni (cfr. il commento di Tommaso all' Etica IV, lectio 4, n. 687 e il De regimine principum I iv 3 Qui mores senum sunt vituperabiles, pp. 195-199 ). Per un'analoga caratterizzazione in Boncompagno da Signa vedi nota a Cv IV xxvii 16).","II, 13, 1389 b 27-29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIA NATURALE,"secondo le regole della natura' (regole che in alcuni casi particolari possono anche esser modificate da un intervento divino; ad esempio Gesù è stato sicuramente saggio e giusto anche nella sua adolescenza e nella sua giovinezza). Facendo della liberalitas un segno della nobiltà cosi come si manifesta nella terza età della vita, Dante contrappone la vecchiaia dell'uomo nobile a quella comunemente descritta dalla pubblicistica del suo tempo. Che la vecchiaia fosse caratterizzata dall'avarizia (mentre dei giovani è propria la larghezza"") era infatti convinzione della cultura delle scuole che aveva alle spalle quanto detto da Aristotele nell' Etica Nicomachea (IV, 1, 1121 b 13-14) e nella Retorica (II, 13, 1389 b 27-29): sia Tommaso che Egidio Romano avevano ripetuto ed ampliato queste notazioni (cfr. il commento di Tommaso all' Etica IV, lectio 4, n. 687 e il De regimine principum I iv 3 Qui mores senum sunt vituperabiles, pp. 195-199 ). Per un'analoga caratterizzazione in Boncompagno da Signa vedi nota a Cv IV xxvii 16).","IV, lectio 4, n. 687",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER VIA NATURALE,"secondo le regole della natura' (regole che in alcuni casi particolari possono anche esser modificate da un intervento divino; ad esempio Gesù è stato sicuramente saggio e giusto anche nella sua adolescenza e nella sua giovinezza). Facendo della liberalitas un segno della nobiltà cosi come si manifesta nella terza età della vita, Dante contrappone la vecchiaia dell'uomo nobile a quella comunemente descritta dalla pubblicistica del suo tempo. Che la vecchiaia fosse caratterizzata dall'avarizia (mentre dei giovani è propria la larghezza"") era infatti convinzione della cultura delle scuole che aveva alle spalle quanto detto da Aristotele nell' Etica Nicomachea (IV, 1, 1121 b 13-14) e nella Retorica (II, 13, 1389 b 27-29): sia Tommaso che Egidio Romano avevano ripetuto ed ampliato queste notazioni (cfr. il commento di Tommaso all' Etica IV, lectio 4, n. 687 e il De regimine principum I iv 3 Qui mores senum sunt vituperabiles, pp. 195-199 ). Per un'analoga caratterizzazione in Boncompagno da Signa vedi nota a Cv IV xxvii 16).","I iv 3 Qui mores senum sunt vituperabiles, pp. 195-199",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CON LI SEGNI ECCLESIASTICI ANCORA,"senza nemmeno aver tolto quei segni (croci o monogrammi ricamati) che la fanno riconoscere come oggetto di chiesa'. Che non è veramente liberale chi dà prendendo non dal proprio patrimonio ma da quello degli altri era stato affermato in Eth. Nic. IV 1, 1120 a 30 - b 5 e nel medesimo contesto Aristotele aveva parlato di tiranni che traggono dal saccheggio delle città e dei templi le ricchezze che serviranno alle loro messioni"". Ma quello che nel filosofo greco è una descrizione tranquillamente oggettiva diventa in Dante una dura condanna. L' invettiva è chiaramente modellata sui 'guai a voi' biblici: cfr. Is, 10, 30 e 31; Am, 6, ma soprattutto Mt 23, 14 sgg. Per i tiranni, poi, non è da escludere che, oltre ai signori cittadini (per cui Cv IV vi 20 e nota al testo) essi comprendano anche membri della aristocrazia feudale, dagli Este ai Pazzi (cfr. If XII 109-111,137). In ogni caso, sono i rappresentanti di una situazione dove i giusti rapporti politici sono sconvolti e chi dovrebbe esercitare il potere entro un sistema gerarchico ed armonioso di regole si comporta ormai come un ladro di strada.","IV 1, 1120 a 30 - b 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CON LI SEGNI ECCLESIASTICI ANCORA,"senza nemmeno aver tolto quei segni (croci o monogrammi ricamati) che la fanno riconoscere come oggetto di chiesa'. Che non è veramente liberale chi dà prendendo non dal proprio patrimonio ma da quello degli altri era stato affermato in Eth. Nic. IV 1, 1120 a 30 - b 5 e nel medesimo contesto Aristotele aveva parlato di tiranni che traggono dal saccheggio delle città e dei templi le ricchezze che serviranno alle loro messioni"". Ma quello che nel filosofo greco è una descrizione tranquillamente oggettiva diventa in Dante una dura condanna. L' invettiva è chiaramente modellata sui 'guai a voi' biblici: cfr. Is, 10, 30 e 31; Am, 6, ma soprattutto Mt 23, 14 sgg. Per i tiranni, poi, non è da escludere che, oltre ai signori cittadini (per cui Cv IV vi 20 e nota al testo) essi comprendano anche membri della aristocrazia feudale, dagli Este ai Pazzi (cfr. If XII 109-111,137). In ogni caso, sono i rappresentanti di una situazione dove i giusti rapporti politici sono sconvolti e chi dovrebbe esercitare il potere entro un sistema gerarchico ed armonioso di regole si comporta ormai come un ladro di strada.","10, 30 e 31",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CON LI SEGNI ECCLESIASTICI ANCORA,"senza nemmeno aver tolto quei segni (croci o monogrammi ricamati) che la fanno riconoscere come oggetto di chiesa'. Che non è veramente liberale chi dà prendendo non dal proprio patrimonio ma da quello degli altri era stato affermato in Eth. Nic. IV 1, 1120 a 30 - b 5 e nel medesimo contesto Aristotele aveva parlato di tiranni che traggono dal saccheggio delle città e dei templi le ricchezze che serviranno alle loro messioni"". Ma quello che nel filosofo greco è una descrizione tranquillamente oggettiva diventa in Dante una dura condanna. L' invettiva è chiaramente modellata sui 'guai a voi' biblici: cfr. Is, 10, 30 e 31; Am, 6, ma soprattutto Mt 23, 14 sgg. Per i tiranni, poi, non è da escludere che, oltre ai signori cittadini (per cui Cv IV vi 20 e nota al testo) essi comprendano anche membri della aristocrazia feudale, dagli Este ai Pazzi (cfr. If XII 109-111,137). In ogni caso, sono i rappresentanti di una situazione dove i giusti rapporti politici sono sconvolti e chi dovrebbe esercitare il potere entro un sistema gerarchico ed armonioso di regole si comporta ormai come un ladro di strada.","23, 14 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CON LI SEGNI ECCLESIASTICI ANCORA,"senza nemmeno aver tolto quei segni (croci o monogrammi ricamati) che la fanno riconoscere come oggetto di chiesa'. Che non è veramente liberale chi dà prendendo non dal proprio patrimonio ma da quello degli altri era stato affermato in Eth. Nic. IV 1, 1120 a 30 - b 5 e nel medesimo contesto Aristotele aveva parlato di tiranni che traggono dal saccheggio delle città e dei templi le ricchezze che serviranno alle loro messioni"". Ma quello che nel filosofo greco è una descrizione tranquillamente oggettiva diventa in Dante una dura condanna. L' invettiva è chiaramente modellata sui 'guai a voi' biblici: cfr. Is, 10, 30 e 31; Am, 6, ma soprattutto Mt 23, 14 sgg. Per i tiranni, poi, non è da escludere che, oltre ai signori cittadini (per cui Cv IV vi 20 e nota al testo) essi comprendano anche membri della aristocrazia feudale, dagli Este ai Pazzi (cfr. If XII 109-111,137). In ogni caso, sono i rappresentanti di una situazione dove i giusti rapporti politici sono sconvolti e chi dovrebbe esercitare il potere entro un sistema gerarchico ed armonioso di regole si comporta ormai come un ladro di strada.","23, 14 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Amos,Libro di Amos,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +NEL LIBRO DELLI OFFICI,"cfr. De officiis I, 14, 43: Sunt ... multi et quidem cupidi splendoris et gloriae qui eripiunt aliis quod aliis largiantur, iique arbitrantur se beneficos in suos amicos visum iri, si locupletent eos quacumque ratione. Id autem tantum abest ab officio, ut nihil magis officio possit esse contrarium"".","I, 14, 43: Sunt ... multi et quidem cupidi splendoris et gloriae qui eripiunt aliis quod aliis largiantur, iique arbitrantur se beneficos in suos amicos visum iri, si locupletent eos quacumque ratione. Id autem tantum abest ab officio, ut nihil magis officio possit esse contrarium",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN QUELLO DI SENETTUTE ...,"il testo comunemente riportato dai commentatori è De senectute xiv 46 Ego vero propter sermonis delectationem tempestivis quoque conviviis delector ... habeoque senectuti magnam gratiam, quae mihi sermonis aviditatem auxit, potionis et cibi sustulit"". Come ben si vede non si tratta però di una citazione letterale.","xiv 46 Ego vero propter sermonis delectationem tempestivis quoque conviviis delector ... habeoque senectuti magnam gratiam, quae mihi sermonis aviditatem auxit, potionis et cibi sustulit"". Come ben si vede non si tratta però di una citazione letterale""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NEL SETTIMO [DI] METAMORFOSEOS,cfr. Metamorfosi VII 490-664.,,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SANZA ESCUSA,"e non ci sarebbero scuse per un rifiuto'. Dante traduce qui i vv. 507-511 del settimo libro delle Metamorfosi (Ne petite auxilium, sed sumite -dixit- Athenae. / Nec dubie vires quas haec habet insula vestras / ducite, et omnia quae rerum status iste mearum. / Robora non desunt; superat mihi miles et hosti/ Gratia Dis, felix et inescusabile tempus""), ma legge un testo diverso da quello delle moderne edizioni critiche, un testo che probabilmente aveva ""dubias"" al posto di ""dubie"", ""dicite"" al posto di ""ducite"", ""hostis grandis"" al posto di ""hosti gratia dis"" .","vv. 507-511 del settimo libro delle Metamorfosi (Ne petite auxilium, sed sumite -dixit- Athenae. / Nec dubie vires quas haec habet insula vestras / ducite, et omnia quae rerum status iste mearum. / Robora non desunt; superat mihi miles et hosti/ Gratia Dis, felix et inescusabile tempus"")""",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +EACO RE ... FU PADRE,"sui tre figli di Eaco cfr. Metamorfosi VII 476-479. Che Aiace fosse figlio di Telamone e Achille di Peleo Dante poteva leggerlo invece in Metamorfosi XII 624 e 619; con tutta probabilità, però, egli utilizzava una delle note riassuntive che in molti manoscritti medievali corredavano il testo di Ovidio, se non direttamente quella che conosciamo dal Laurenziano Marciano 238 : Eacus ... concubuit cum Sarmace et inde nati sunt Phocus et Peleus et Telamon. Peleus fuit pater Achillis, Telamon Aiacis"" (cfr. Robson 1980, p. 88)",VII 476-479,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SÌ COME DICE TULIO ...,"cfr. De senectute xix.71 ""Quae (scilic. maturitas) quidem mihi tam iucunda est, ut, quo propius ad mortem accedam, quasi terram videre videar, aliquandoque in portum ex longa navigatione esse venturus"".","xix.71 Quae (scilic. maturitas) quidem mihi tam iucunda est, ut, quo propius ad mortem accedam, quasi terram videre videar, aliquandoque in portum ex longa navigatione esse venturus",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN QUELLO DI GIOVENTUTE E SENETTUTE,"cfr. De juventute et senectute 17, 479 a 20 -21 Sine dolore est que in senectute mors"". L'immagine del frutto maturo che si stacca senza sforzo dal ramo è presente nello stesso brano del De senectute di Cicerone citato al paragrafo precedente:""et quasi poma ex arboribus cruda si sunt, vix evelluntur, si matura et cocta, decidunt, sic vitam adolescentibus vis aufert, senibus maturitas","17, 479 a 20 -21 Sine dolore est que in senectute mors",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Juventute_et_Senectute(Aristotele),"De Juventute et Senectute, De Vita et Morte, De Respiratione",Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN QUELLO DI GIOVENTUTE E SENETTUTE,"cfr. De juventute et senectute 17, 479 a 20 -21 Sine dolore est que in senectute mors"". L'immagine del frutto maturo che si stacca senza sforzo dal ramo è presente nello stesso brano del De senectute di Cicerone citato al paragrafo precedente:""et quasi poma ex arboribus cruda si sunt, vix evelluntur, si matura et cocta, decidunt, sic vitam adolescentibus vis aufert, senibus maturitas","De senectute xix.71: et quasi poma ex arboribus cruda si sunt, vix evelluntur, si matura et cocta, decidunt, sic vitam adolescentibus vis aufert, senibus maturitas",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN PERSONA DI CATONE VECCHIO,"'mettendo queste parole sulla bocca di Catone il censore'. Cfr. De senectute xxiii. 83 Equidem efferor studio patres vestros, quos colui et dilexi, videndi, neque vero eos solos convenire aveo quos ipse cognovi, sed illos etiam de quibus audivi et legi et ipse conscripsi"" (il ""pare già vedere"" è un'aggiunta dantesca al passo di Cicerone. La lacuna di archetipo qui presente è stata sanata dall'editore sul fondamento del testo latino citato).","xxiii. 83 Equidem efferor studio patres vestros, quos colui et dilexi, videndi, neque vero eos solos convenire aveo quos ipse cognovi, sed illos etiam de quibus audivi et legi et ipse conscripsi",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +NELLA PROPIA MANSIONE,"nella propria dimora stabile, cioè il cielo, opposta alla precarietà dell'albergo, cioè sia il corpo che la terra (cfr. Io 14, 2: in domo Patris mei mansiones sunt multae"").","14, 2: in domo Patris mei mansiones sunt multae",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DISPONENDO,"'deponendo'. Che Lancillotto, alla fine della vita, si sia ritirato in un romitaggio, come dice uno dei romanzi del ciclo, La mort le roi Arthur, è notizia essa stessa romanzesca. L'entrata di Guido da Montefeltro nell'ordine francescano è invece, come abbiamo visto, un dato storico. Ma i due personaggi erano, sia pure per vie diverse, assai noti al pubblico di principi, baroni, cavalieri e molt'altra nobile gente"" cui Dante vuole rivolgersi (cfr. Cv I ix 5) e, sicuramente nel caso di Lancillotto, ""non solamente maschi, ma femmine"" (cfr. le parole di Francesca in If V 127-8 ""Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse""). Si trattava dunque di due casi esemplari di nobili di stirpe che erano anche nobili di natura (e la dizione ""questi nobili"" a loro applicata mi sembra volutamente ambigua). E' stato ovviamente da tutti sottolineato come Dante abbia poi posto Guido nell'Inferno, tra i consiglieri frodolenti. A lui stesso viene fatta raccontare la scena che rappresenta icasticamente proprio l'inutilità del suo 'essersi reso a religione': San Francesco, di cui era cordigliero, viene a prendere la sua anima al momento della morte, ma si ritira sconfitto da un ""nero cherubino"" che la rivendica giustamente a sé (If XVII 112-120). Interessante è vedere come Dante ponga sulle labbra di Guido dannato la stessa metafora che nel Convivio era stata usata a sua lode: ""Quando mi vidi giunto in quella parte / di mia etade ove ciascun dovrebbe / calar le vele e raccoglier le sarte ..."".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_Mort_le_roi_Arthur,La Mort le roi Arthur,,,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +ALLI ROMANI,"Dante traduce Rm 2, 28-29 Non ... qui in manifesto, Iudaeus est, neque quae manifesto in carne est circumcisio, sed qui in abscondito Iudaeus est, et circumcisio cordis in spiritu, non littera; cuius laus non ex hominibus, sed ex Deo est"". Nonostante i tentativi di Busnelli volti a ricondurre il testo entro una tranquilla ortodossia, l'interpretazione che Dante offre di questo brano della Lettera ai Romani è assolutamente originale: tutti i commentatori medievali, da Ruperto di Deutz a Pier Lombardo, compreso lo stesso Abelardo, lo hanno infatti strettamente mantenuto nel contesto paolino, semmai accentuandone gli aspetti antigiudaici. Non solo: l'originalità della lettura che ne dà il Convivio va in una direzione che rompe con l'intera tradizione: monastica all'origine, ma fatta propria anche dai nuovi ordini mendicanti, la teologia degli 'stati di vita' poneva la professione religiosa, con tutti i suoi voti e le sue manifestazioni esteriori (compreso l'abito), al di sopra della vita matrimoniale dei laici, considerandola la via regia della perfezione e della salvezza. Dire che Dio in noi di religioso ha voluto solo il cuore e che anche sposati si può avere accesso ad una 'buona religione' significa dare ai termini un significato del tutto nuovo e, diciamolo pure, rivoluzionario.","Rm 2, 28-29 Non ... qui in manifesto, Iudaeus est, neque quae manifesto in carne est circumcisio, sed qui in abscondito Iudaeus est, et circumcisio cordis in spiritu, non littera; cuius laus non ex hominibus, sed ex Deo est",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER LA QUALE MARZIA S'INTENDE LA NOBILE ANIMA,"questa Marzia significa l'anima nobile. Si tratta, storicamente, di una complicata vicenda matrimoniale dell'alta società romana verso la fine della Repubblica in cui una nobile fanciulla della famiglia Marcia viene prima sposata da Marco Porcio Catone (il futuro Uticense), è poi ceduta, consenziente, all'oratore Quinto Ortensio, e infine torna al primo marito. La trattazione di Lucano nella Farsaglia (II 327 sgg.) già trasfigurava il dato di cronaca in un dramma psicologico, presentando una Marzia fedele al primo matrimonio che il ricordo e il rimpianto spingono, dopo la morte del secondo marito, a chiedere con accenti patetici a Catone di prenderla di nuovo con sé. Infine, in Dante, un fatto, legale sì, ma abbastanza scandaloso anche per i parametri del tempo e della società in cui avveniva diventa un ammaestramento in cui Marzia rappresenta appunto l'anima nobile e Catone addirittura Dio. Ci troviamo, in questo caso, nonostante il testo da interpretare sia quello di un poeta, davanti ad un tipico esempio di allegoria dei teologi dove le peripezie di personaggi reali sono figura"" di realtà più alte.",II 327 sgg.,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +MENTRE CHE IN ME FU LO SANGUE ... LA MATERNALE VIRTUTE ... COMPIEI I TUOI COMANDAMENTI,"cfr. Farsaglia, II 338-339 Dum sanguis inerat, dum vis materna, peregi /iussa, Cato ..."".","II 338-339 Dum sanguis inerat, dum vis materna, peregi /iussa, Cato ...",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +TOLSI DUE MARITI,"cfr. Farsaglia II, 339 et geminos excepi feta maritos","II, 339 et geminos excepi feta maritos",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +ORA ... AD ALTRO SPOSO,cfr. Farsaglia II 340-341 Visceribus lassis partuque exhausta revertor / iam nulli tradenda viro,II 340-341 Visceribus lassis partuque exhausta revertor / iam nulli tradenda viro,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +E DICE MARZIA,"cfr. Farsaglia II 341-343 Da foedera prisci / inlibata thori; da tantum nomen inane / connubii"".",II 341-343 Da foedera prisci / inlibata thori; da tantum nomen inane / connubii,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +E DICE MARZIA,"non si tratta di una citazione diretta, ma di una parafrasi dei vv. 343-345 sempre del secondo libro della Farsaglia liceat tumulo scripsisse: Catonis / Marcia: nec dubium longo quaeratur in aevo /mutarim primas expulsa an tradita taedas"".",vv. 343-345,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SPOSA DI DIO,"come abbiamo già avuto modo di notare (cfr. Cv IV ii 17 e nota) la metafora nuziale per indicare il rapporto dell'anima con Dio, basata su un'interpretazione allegorica del Cantico dei Cantici, è comune nella cultura medievale.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +RISPONDE GIOVENALE ...,"in questo caso Dante, pur tagliando e parafrasando, dimostra una conoscenza piuttosto precisa della ottava satira (specialmente per i vv. 1- 55).",ottava satira (specialmente per i vv. 1- 55),CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +CHE FANNO QUESTE ONORANZE,"che valore hanno questi onori (cfr. Satira VIII 1 Stemmata quid faciunt? ..."". In realtà il termine stemmata che originariamente indica i serti di foglie che univano i busti di cera degli antenati esposti nelle dimore delle nobili famiglie romane, già nell'uso del latino classico, e anche in Giovenale, sta per 'alberi genealogici'.",Satira VIII 1 Stemmata quid faciunt? ...,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +MALE SI VIVE,"'si conduce una vita moralmente cattiva' (Satira VIII 9 ""si coram Lepidis male vivitur ?"".",Satira VIII 9 si coram Lepidis male vivitur ?,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +CHIAMARE LO NANO GIGANTE,"cfr. Satira VIII, 30-32 ...quis enim generosum dixerit hunc qui / indignus genere et praeclaro nomine tantum/ insignis? nanum cuiusdam Atlanta vocamus"".","Satira VIII, 30-32 ...quis enim generosum dixerit hunc qui / indignus genere et praeclaro nomine tantum/ insignis? nanum cuiusdam Atlanta vocamus",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +LA SUA TESTA È DI MARMO ...,"cfr. Satira VIII, vv. 54-55 ""Nullo quippe alio vincis discrimine, quam quod / illi marmoreum caput est, tua vivit imago"".","atira VIII, vv. 54-55 Nullo quippe alio vincis discrimine, quam quod / illi marmoreum caput est, tua vivit imago",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +MA È LA SUA UNA ESSENZA SECONDARIA ...,"in un insieme costituito per giustapposizione di parti capaci di esistere separatamente (in questo caso una massa di grano) chi possiede in senso proprio e primario una sua essenza (vera e prima essenza"") sono le singole parti (in questo caso i singoli chicchi); il tutto invece ha un'essenza solo in senso derivato (""essenza secondaria""); di un tale tipo di insieme (""in questo tutto cotale"") le proprietà (""le qualitadi"") delle singole parti si predicano (""si dicono essere) nel medesimo senso derivato dell'essenza (""così secondariamente come l'essere""). L' esempio di un tutto che vien detto bianco in base al colore del maggior numero delle sue parti è in Phys. VI 9, 240 a 19-26.","VI 9, 240 a 19-26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +E COSÌ BASTI ...,"e come risposta al secondo problema questo può bastare'. Le due questioni finali non hanno alcun punto di appoggio nel testo della canzone e soprattutto la seconda, con la sua soluzione, dimostra un approccio al tema della nobiltà delle stirpi sicuramente meno radicale di quello espresso dai versi 112-113 di Le dolci rimed'amor ch'io solía. La 'virtus generis' in qualche modo esiste anche se non con la forza di una struttura ontologica, ma nel modo più debole di una tendenza statistica. Come dice Pietro d'Alvernia, commentando Pol. IV, 8, 1294 a 2022: Nobilitas ... est virtus generis, hoc est inclinatio ad virtutem descendens a parentibus in filios, et in parentes ab aliis prioribus"" (in Tommaso d'Aquino, In octo libros Politicorum Aristotelis expositio, IV, lectio 7, n. 612). Anche se una 'inclinatio naturalis' può esser frustrata, per lo più ('ut in pluribus') produrrà i suoi effetti. Nella Monarchia Dante sarà esplicito in questo senso, distinguendo due tipi di nobiltà ("" merito virtutis nobilitantur homines, virtutis videlicet propriae vel maiorum"") e presentando Enea come colui in cui esse si congiungono in maniera perfetta (II, 3).","IV, 8, 1294 a 2022: Nobilitas ... est virtus generis, hoc est inclinatio ad virtutem descendens a parentibus in filios, et in parentes ab aliis prioribus""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Continuatio_S.Thomae_in_Politicam,Continuatio S.Thomae in Politicam,Pietro d'Alvernia,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pietro_d_Alvernia,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +E COSÌ BASTI ...,"e come risposta al secondo problema questo può bastare'. Le due questioni finali non hanno alcun punto di appoggio nel testo della canzone e soprattutto la seconda, con la sua soluzione, dimostra un approccio al tema della nobiltà delle stirpi sicuramente meno radicale di quello espresso dai versi 112-113 di Le dolci rimed'amor ch'io solía. La 'virtus generis' in qualche modo esiste anche se non con la forza di una struttura ontologica, ma nel modo più debole di una tendenza statistica. Come dice Pietro d'Alvernia, commentando Pol. IV, 8, 1294 a 2022: Nobilitas ... est virtus generis, hoc est inclinatio ad virtutem descendens a parentibus in filios, et in parentes ab aliis prioribus"" (in Tommaso d'Aquino, In octo libros Politicorum Aristotelis expositio, IV, lectio 7, n. 612). Anche se una 'inclinatio naturalis' può esser frustrata, per lo più ('ut in pluribus') produrrà i suoi effetti. Nella Monarchia Dante sarà esplicito in questo senso, distinguendo due tipi di nobiltà ("" merito virtutis nobilitantur homines, virtutis videlicet propriae vel maiorum"") e presentando Enea come colui in cui esse si congiungono in maniera perfetta (II, 3).","IV, lectio 7, n. 612",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_Libri_Politicorum(Tommaso),Sententia libri Politicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TUTTI QUELLI CHE DISVIANO DA NOSTRA FEDE,"se si interpreta disviano"" come ""si allontanano"" dovremmo pensare che per Dante la Summa contra Gentiles fosse diretta in primo luogo contro gli eretici e gli scismatici. L' intento dell'opera (iniziata nel 1259 alla fine del primo soggiorno parigino, e completata in Italia verso il 1263-64) sembrerebbe piuttosto quello di difendere razionalmente le verità della fede contro tutte le obiezioni provenienti da culture e pensatori non cristiani (ebrei, musulmani, filosofi pagani, le gentes, appunto. Cfr. Torrell 1993, pp. 153-156).",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COME DICE NOSTRO SIGNORE,"nel Vangelo di Matteo 7, 6: ""... neque mittatis margaritas vestras ante porcos"".","7, 6: ... neque mittatis margaritas vestras ante porcos",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +COME DICE ESOPO POETA,"Dante utilizza qui una delle raccolte di favole esopiche che circolavano nel Medioevo, probabilmente quella composta da Gualtiero Anglico in distici elegiaci (e questo spiegherebbe perché Esopo viene considerato poeta).","Dante utilizza qui una delle raccolte di favole esopiche che circolavano nel Medioevo, probabilmente quella composta da Gualtiero Anglico in distici elegiaci",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_Aesopi,Liber Aesopi,Gualtiero Anglico,http://dbpedia.org/resource/Gualterus_Anglicus,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia.jsonl b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia.jsonl new file mode 100644 index 0000000..b667fb3 --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia.jsonl @@ -0,0 +1,100 @@ +{"text": "per Brugnoli il solenne incipit ricalca certamente Sallustio, Catilinae coniuratio, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit; il luogo era noto a Dante probabilmente attraverso monita o forse per un tramite simile a Isidoro, Etymologiae, XI 15 che pure riporta in parte e per lo stesso scopo di D. il prologo di Sallustio (Giorgio Brugnoli, Sallustio Crispo, Caio, in ED, IV, 1973, p. 1077)", "labels": [[4, 12, "LOC"], [51, 60, "PER"], [62, 71, "PER"], [84, 88, "MISC"], [307, 312, "PER"], [377, 384, "PER"], [386, 397, "PER"], [399, 401, "MISC"], [456, 458, "MISC"], [473, 482, "PER"], [484, 500, "PER"], [502, 518, "PER"], [520, 524, "LOC"], [529, 531, "ORG"], [533, 535, "MISC"]]} +{"text": "per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come \"Dio\" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: \"la natura di sopra, cioè Dio\"), ritenendola una \"espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”\" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo \"dall’alto\", né mi pare più appropriato tradurre \"una forza soprannaturale\" (Ronconi 1966). Che \"non di tutti gli uomini\" si parli qui, \"né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità\" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale \"Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7\". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: \"c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques\", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: \"La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal\"); a \"lo motor primo\" di Pg XXV 70 rinvia Kay: \"Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know\". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità \"with a formula common in the study of law\", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che \"all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare\" (come in VE I iv 6: \"imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est\").", "labels": [[84, 106, "PER"], [108, 114, "LOC"], [119, 121, "MISC"], [123, 124, "MISC"], [164, 169, "PER"], [295, 298, "MISC"], [311, 312, "MISC"], [338, 345, "LOC"], [381, 384, "MISC"], [525, 530, "PER"], [804, 808, "PER"], [896, 906, "MISC"], [931, 936, "PER"], [960, 965, "PER"], [1006, 1029, "MISC"], [1031, 1032, "MISC"], [1083, 1084, "MISC"], [1121, 1122, "MISC"], [1163, 1173, "PER"], [1266, 1274, "PER"], [1297, 1300, "MISC"], [1462, 1463, "MISC"], [1500, 1501, "MISC"], [1569, 1579, "PER"], [1589, 1594, "PER"], [1822, 1830, "PER"], [1832, 1836, "MISC"], [1869, 1870, "MISC"], [1910, 1918, "MISC"], [1954, 1963, "LOC"], [1986, 1994, "MISC"], [1996, 2000, "MISC"], [2049, 2053, "MISC"], [2061, 2066, "MISC"], [2081, 2093, "MISC"], [2096, 2102, "LOC"], [2111, 2117, "LOC"], [2135, 2139, "LOC"], [2209, 2220, "MISC"], [2244, 2247, "MISC"], [2302, 2311, "MISC"], [2319, 2322, "MISC"], [2325, 2330, "PER"], [2337, 2340, "PER"], [2446, 2453, "LOC"], [2459, 2466, "PER"], [2715, 2723, "PER"], [2734, 2742, "PER"], [2775, 2782, "MISC"], [2821, 2828, "MISC"], [2831, 2840, "MISC"], [2843, 2845, "MISC"], [2857, 2869, "PER"], [2871, 2877, "LOC"], [2882, 2884, "MISC"], [2886, 2888, "MISC"], [2943, 2944, "MISC"], [3009, 3018, "MISC"]]} +{"text": "l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a \"public teachings\", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)", "labels": [[1936, 1941, "PER"], [2597, 2605, "WORK_OF_ART"], [102, 113, "PER"], [174, 181, "PER"], [505, 512, "PER"], [554, 570, "MISC"], [738, 746, "MISC"], [833, 837, "ORG"], [909, 926, "MISC"], [962, 967, "PER"], [995, 1007, "MISC"], [1048, 1063, "MISC"], [1065, 1070, "MISC"], [1144, 1150, "MISC"], [1301, 1310, "MISC"], [1312, 1316, "MISC"], [1321, 1325, "ORG"], [1468, 1473, "PER"], [1567, 1574, "LOC"], [1754, 1776, "ORG"], [1780, 1798, "PER"], [1883, 1889, "ORG"], [2012, 2022, "PER"], [2066, 2075, "MISC"], [2141, 2144, "PER"], [2501, 2506, "PER"], [2562, 2568, "MISC"], [2580, 2605, "PER"], [2613, 2629, "MISC"], [2633, 2645, "MISC"], [2675, 2681, "PER"], [2684, 2692, "PER"]]} +{"text": "la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra", "labels": [[63, 68, "MISC"], [113, 118, "MISC"], [128, 133, "PER"], [156, 172, "PER"], [177, 210, "PER"], [234, 249, "PER"], [263, 276, "PER"], [280, 288, "PER"], [328, 342, "PER"], [362, 376, "PER"], [397, 402, "PER"], [420, 433, "PER"], [437, 452, "PER"], [456, 461, "LOC"]]} +{"text": "alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di publice in E, come se il suo codice avesse posteritati traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la ratio del ius publicum nella partizione scolastica di pubblico e privato in Inst. 1, 1, § 4 e in Dig. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (Vinay, Ronconi 1966), a pro del viver civile (Nardi), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (Imbach); the benefit of all (Shaw 2006). Pézard non traduce", "labels": [[31, 38, "ORG"], [40, 46, "PER"], [294, 298, "MISC"], [315, 318, "LOC"], [333, 340, "PER"], [341, 347, "PER"], [349, 350, "PER"], [427, 432, "MISC"], [434, 441, "LOC"], [473, 478, "MISC"], [503, 515, "MISC"], [539, 545, "LOC"], [547, 553, "LOC"], [576, 585, "MISC"], [588, 594, "PER"]]} +{"text": "“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: \"Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere\". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): \"Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret\" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: \"Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant\" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: \"monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps\" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: \"Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur\" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia \"temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum\" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive \"universale dominium dicitur monarchia\" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: \"monarchia sive gubernatio unius regis\" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).", "labels": [[157, 159, "WORK_OF_ART"], [0, 1, "MISC"], [36, 37, "MISC"], [73, 79, "MISC"], [96, 114, "PER"], [116, 125, "LOC"], [130, 132, "MISC"], [134, 135, "MISC"], [160, 162, "MISC"], [170, 179, "MISC"], [284, 312, "PER"], [344, 352, "PER"], [420, 430, "PER"], [450, 464, "PER"], [964, 967, "LOC"], [1169, 1172, "LOC"], [1355, 1363, "LOC"], [1375, 1386, "MISC"], [1388, 1397, "MISC"], [1418, 1421, "MISC"], [1423, 1438, "PER"], [1440, 1457, "MISC"], [1493, 1495, "MISC"], [1504, 1511, "MISC"], [1543, 1555, "PER"], [1746, 1748, "MISC"], [1820, 1825, "LOC"], [1843, 1860, "ORG"], [1917, 1934, "PER"], [1936, 1951, "PER"], [1957, 1967, "ORG"], [1978, 1995, "MISC"], [1998, 2004, "LOC"], [2062, 2068, "PER"], [2076, 2085, "PER"], [2087, 2088, "MISC"], [2117, 2126, "MISC"], [2136, 2139, "PER"], [2180, 2186, "LOC"], [2202, 2218, "ORG"], [2220, 2227, "MISC"], [2229, 2230, "MISC"], [2244, 2251, "PER"], [2282, 2299, "PER"], [2323, 2361, "PER"], [2363, 2379, "MISC"], [2394, 2415, "PER"], [2418, 2434, "PER"], [2440, 2446, "PER"], [2477, 2487, "MISC"], [2489, 2496, "MISC"], [2498, 2499, "MISC"], [2513, 2520, "PER"], [2582, 2604, "ORG"], [2620, 2623, "MISC"], [2678, 2690, "MISC"], [2728, 2765, "PER"], [2767, 2781, "MISC"], [2839, 2861, "PER"], [2863, 2869, "PER"], [2884, 2888, "MISC"], [2911, 2916, "MISC"], [2994, 3004, "MISC"], [3009, 3026, "MISC"], [3032, 3039, "PER"], [3093, 3098, "PER"], [3204, 3211, "PER"], [3218, 3224, "LOC"], [3304, 3322, "PER"], [3351, 3365, "LOC"], [3527, 3533, "MISC"], [3535, 3536, "MISC"], [3551, 3567, "PER"], [3595, 3600, "PER"], [3606, 3629, "MISC"], [3678, 3683, "PER"], [3716, 3723, "LOC"], [3736, 3737, "MISC"], [3811, 3832, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (\"lo fondamento radicale della imperiale maiestade\"), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.", "labels": [[19, 22, "PER"], [48, 53, "PER"], [91, 96, "PER"], [295, 306, "MISC"], [310, 311, "MISC"], [368, 378, "MISC"], [490, 495, "PER"], [590, 600, "MISC"], [651, 656, "PER"], [681, 688, "PER"], [690, 697, "PER"], [701, 706, "LOC"], [712, 733, "MISC"], [737, 755, "PER"], [761, 777, "MISC"]]} +{"text": "l'Anonimo ha sopra tutti, Ficino in quelle cose. Così tra i moderni anche Nardi, tra quelle cose e su quelle cose, Imbach, in allem und über alles, e Shaw 1996, in those things and over those things. Non vedo ragioni per intendere in ciò e al di sopra di ciò (Marcelli-Martelli 2004), e meno che mai tra quelle istituzioni che si definiscono in un ambito temporale e tuttavia superiore ad esse, come traduce Pizzica 1988, che segue Ricci 1965 rinviando a Cv IV IV 7; l' però Dante, con trasparente allusione al principio romanistico Quod principi placuit, legis habet vigorem (Dig. 1, 4, 1 pr.: Mommsen-Krüger, I, p. 7), si limita a definire l'ufficio della maiestas imperiale come vertice del potere: E questo officio per eccellenza Imperio è chiamato, sanza nulla addizione, però che esso è di tutti li altri comandamenti comandamento. E così chi a questo officio è posto è chiamato Imperadore, però che di tutti li comandatori elli è comandatore, e quello che esso dice a tutti è legge, e per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade. E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade essere altissima nell'umana compagnia. Io penso invece a Cv IV IX 8-9, dove appunto si ricorda che all'imperatore si deve un'obbedienza legittima, cioè limitata alla sua iurisdictio (che non eccede il temporale): questo officiale [...] di cui si parla, cioè lo Imperadore, al quale tanto quanto le nostre operazioni propie, che dette sono, si stendono, siamo subietti; e più oltre no; cfr. più sotto, I XIV 7", "labels": [[2, 9, "ORG"], [26, 32, "PER"], [74, 79, "PER"], [115, 121, "PER"], [150, 159, "MISC"], [260, 282, "MISC"], [408, 420, "MISC"], [432, 442, "MISC"], [455, 465, "MISC"], [475, 480, "PER"], [533, 537, "PER"], [577, 580, "ORG"], [595, 602, "PER"], [603, 609, "PER"], [611, 612, "PER"], [734, 741, "PER"], [885, 895, "MISC"], [1210, 1215, "MISC"], [1414, 1424, "LOC"], [1554, 1561, "MISC"]]} +{"text": "ogni verità che nonn-è prencipio (Ficino), ongni verità che non è principio (Anonimo). Così con pulizia anche Nardi: ogni verità che non sia un principio. Non si vede la necessità di tradurre ogni verità che non sia assiomatica (Pizzica 1988), troppo distante dalla terminologia dantesca; similmente Ronconi 1966: un postulato; Vinay preferisce parafrasare: Per risolvere tali problemi, la prima cosa da fare mi sembra sia ricercare un principio tale da poter fondare su di esso il seguito del discorso, allegando il commento tomista ai Secondi Analitici di Aristotele (99 b 20), sulla necessità, per ogni scienza dimostrativa, di procedere da proposizioni per sé evidenti: necesse est quod demonstrativa scientia, idest que per demonstrationem acquiritur, procedat ex propositionibus veris primis et immediatis idest que non per aliquod medium demonstrantur sed per seipsas sunt manifeste. Si tratta appunto di ciò che Dante chiama lo fondamento radicale in Cv IV IV 1 (cfr. sopra, I I 5) e intelletto / de le prime notizie in Pg XVIII 55-6. Cfr. la voce Proposizione di Barbara Faes de Mottoni, ED, IV, 1973, pp. 710-1; Kay allega a proposito la voce Principio di Alfonso Maierù, ivi, pp. 673-7 (pp. 675-6 per il luogo in esame); e cfr. del compianto studioso anche la già citata voce Verità, in ED, V, 1976, pp. 962-4", "labels": [[34, 40, "PER"], [77, 84, "LOC"], [110, 115, "PER"], [229, 241, "MISC"], [300, 312, "MISC"], [328, 333, "PER"], [537, 554, "MISC"], [558, 568, "PER"], [920, 925, "PER"], [959, 964, "MISC"], [983, 988, "MISC"], [1028, 1039, "MISC"], [1056, 1068, "MISC"], [1072, 1095, "PER"], [1097, 1099, "MISC"], [1101, 1103, "MISC"], [1122, 1125, "PER"], [1153, 1162, "PER"], [1166, 1180, "PER"], [1287, 1293, "MISC"], [1298, 1300, "MISC"], [1302, 1303, "MISC"]]} +{"text": "qui tractatus ha il significato non generico di “raccolta ordinata di quaestiones intorno ad un unico soggetto”; stessa specificità ha il termine inquisitio, \"indagine\", \"inchiesta\", \"investigazione\" o solo \"inquisizione\" (Ficino e l’Anonimo, p. 129, conservano \"inquisitione\", \"inquisizione\"), termine tecnico che allude al procedere del giudizio per quaestiones, tanto nel dominio della logica quanto in quello della prassi giudiziale (ordo iudiciorum); v. la voce Inquisizione, in ED, III, 1971, p. 458, a proposito del luogo in esame e con rimando a Cicerone, De officiis, I 4 13 (\"veri inquisitio atque investigatio\"). Vinay intende \"una ricerca sillogistica\", Ronconi 1966 \"una ricerca deduttiva\" e Sanguineti 1985 \"un’indagine sillogistica\"; Kay spiega: \"an investigation that follows Aristotle’s scientific method\"; eludono il senso tecnico dell’espressione la traduzione \"una qualche ricerca\" (Marcelli-Martelli 2004).", "labels": [[4, 13, "MISC"], [48, 49, "MISC"], [223, 229, "PER"], [234, 241, "LOC"], [467, 479, "LOC"], [484, 486, "MISC"], [488, 491, "MISC"], [554, 562, "PER"], [564, 575, "MISC"], [577, 583, "MISC"], [624, 629, "PER"], [666, 678, "MISC"], [705, 715, "PER"], [722, 725, "MISC"], [749, 752, "PER"], [903, 911, "PER"]]} +{"text": "v. la voce Speculare di Emilio Pasquini, in ED, V, 1976, pp. 369-70. Vinay forza alquanto il testo col tradurre: \"vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico\". Spiega però opportunamente: \"È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica\". Nardi ricorda che \"per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a Conv., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica\". Si veda Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 16, Resp.: \"Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili\".", "labels": [[557, 562, "PER"], [11, 20, "MISC"], [24, 39, "PER"], [44, 46, "MISC"], [48, 49, "MISC"], [69, 74, "MISC"], [388, 389, "MISC"], [446, 447, "MISC"], [788, 792, "LOC"], [795, 797, "PER"], [815, 823, "LOC"], [899, 910, "PER"], [953, 958, "PER"], [961, 968, "PER"], [1022, 1030, "PER"], [1036, 1042, "PER"], [1053, 1060, "PER"], [1063, 1069, "PER"], [1071, 1087, "PER"], [1089, 1090, "PER"], [1106, 1110, "MISC"], [1114, 1123, "PER"], [1867, 1873, "PER"], [1962, 1974, "LOC"], [1987, 1998, "MISC"]]} +{"text": "bello e dantesco il ficiniano \"fonte et prencipio d’ogni repta civilità\"; bene anche l’Anonimo: \"fonte e principio di tutte le regole politiche\". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i \"retti ordinamenti civili\" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece \"droites formes d’état\" (Pézard), né \"retti ordinamenti statuali\" (Pizzica 1988), né \"das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen\" (Imbach). Ha ragione Kay di notare \"that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor\".", "labels": [[0, 5, "PER"], [245, 250, "PER"], [391, 401, "PER"], [403, 411, "PER"], [438, 459, "MISC"], [463, 476, "PER"], [503, 510, "PER"], [513, 519, "PER"], [525, 532, "PER"], [536, 541, "LOC"], [560, 574, "LOC"], [578, 586, "PER"], [593, 625, "MISC"], [673, 679, "PER"], [715, 727, "MISC"], [762, 780, "LOC"], [783, 789, "LOC"], [803, 806, "PER"], [823, 828, "PER"]]} +{"text": "come quello che per primo muove chi agisce (Nardi, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 674-5 e Imbach, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae", "labels": [[44, 49, "PER"], [171, 179, "PER"], [182, 193, "PER"], [198, 205, "PER"], [208, 215, "LOC"], [228, 242, "PER"], [244, 253, "PER"], [258, 260, "ORG"], [262, 264, "MISC"], [284, 290, "MISC"], [316, 332, "PER"], [334, 350, "PER"], [352, 361, "MISC"], [369, 373, "MISC"], [554, 559, "PER"], [862, 869, "PER"], [1017, 1024, "MISC"]]} +{"text": "universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"fine utile\"); F ha ultimus utilis e \"hultimo fine di civilità della generatione humana\" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: \"se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico\"; Nardi: \"se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano\"; Imbach: \"das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung\" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge \"la fin universelle du genre humain\"); e Shaw 1996: \"the purpose of the whole of human society\"; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: \"Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice\", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle \"forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga\" e sulla concezione dantesca della \"civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”\". Anche Vinay ricorda che in Dante \"il concetto è più sfumato e complesso\" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (\"ad sulcos bone civilitatis\") e VIII 3 (\"sancte civilitatis exempla\"), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e \"nettamente politico\", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: \"quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur\". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di \"sub eadem civilitatem morantes\". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è \"scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia\".", "labels": [[0, 11, "MISC"], [25, 31, "MISC"], [34, 35, "MISC"], [109, 110, "MISC"], [138, 145, "LOC"], [162, 163, "LOC"], [244, 250, "PER"], [284, 295, "MISC"], [304, 316, "MISC"], [417, 422, "PER"], [495, 500, "PER"], [577, 583, "PER"], [590, 640, "ORG"], [641, 648, "PER"], [654, 666, "MISC"], [723, 732, "MISC"], [876, 883, "MISC"], [918, 919, "MISC"], [1011, 1016, "MISC"], [1191, 1203, "MISC"], [1265, 1275, "MISC"], [1277, 1278, "MISC"], [1392, 1393, "MISC"], [1435, 1449, "PER"], [1505, 1526, "MISC"], [1674, 1680, "LOC"], [1746, 1747, "MISC"], [1824, 1830, "LOC"], [1900, 1905, "PER"], [1921, 1926, "PER"], [2053, 2059, "MISC"], [2072, 2078, "MISC"], [2112, 2118, "MISC"], [2250, 2257, "PER"], [2261, 2266, "LOC"], [2358, 2394, "MISC"], [2396, 2400, "MISC"], [2491, 2494, "PER"], [2594, 2603, "PER"], [2609, 2615, "MISC"], [2719, 2729, "MISC"], [2731, 2732, "MISC"], [2778, 2783, "PER"], [2842, 2852, "PER"], [2901, 2914, "PER"], [2919, 2940, "ORG"], [2991, 2996, "PER"], [3059, 3062, "MISC"], [3455, 3464, "MISC"]]} +{"text": "tutto l'uomo (Nardi, che cita Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097 b 24-33), non l'uomo nella sua totalità (Pizzica 1988)", "labels": [[14, 19, "PER"], [30, 40, "PER"], [42, 48, "PER"], [52, 62, "PER"], [110, 122, "MISC"]]} +{"text": "sull’importanza di questi passi e del \"procedimento astratto di ascesa dal particolare al generale\" v. la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, pp. 1356-7; qui così come in Mn I iii 4 e I v 6, vicinia non è il \"borgo\" (Vinay) o \"la struttura del borgo\" (Pizzica 1988), non la \"contrada\" (Sanguineti 1985) o il \"rione\" (Marcelli-Martelli 2004), e neppure \"il villaggio\" (Nardi; Imbach: \"ein Dorf\"), se non come una “struttura sociale-giuridica”; è la vicinanza di Cv IV iv 2: \"E sì come un uomo a sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famiglia, così una casa a sua sufficienza richiede una vicinanza: altrimenti molti difetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. E però che una vicinanza [a] sé non può in tutto satisfare, conviene a satisfacimento di quella essere la cittade. Ancora la cittade richiede alle sue arti e alle sue difensioni vicenda avere e fratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto lo regno\". La matrice aristotelica ovviamente risalta (cfr. Aristotele, Politica, 1252 a 24 – 1253 b 37, e v. in proposito la voce Politica di Enrico Berti, ED, I, 1970, p. 585, che nota la stretta aderenza alla fonte, la cui diretta conoscenza è invece contestata da Gilbert 1928). Qui è tracciata una \"interessante gradatio\" (Bruno Basile, Vicinanza, in ED, V, 1976, p. 10002), una gradazione ascendente che implica una scala delle potestà: da quella esercitata nella domus e nella vicinia, fino alla civitas e al regnum. Sia pure rovesciandone la sequenza, la ricalca con evidenza Bartolo, a poco più di una generazione dalla morte di Dante, nel suo De tyranno (ed. Quaglioni 1983, pp. 175-213).", "labels": [[114, 123, "PER"], [126, 136, "MISC"], [198, 208, "MISC"], [211, 216, "MISC"], [244, 249, "MISC"], [313, 328, "MISC"], [344, 366, "MISC"], [395, 400, "PER"], [402, 408, "LOC"], [415, 419, "LOC"], [488, 493, "MISC"], [1023, 1033, "PER"], [1035, 1043, "PER"], [1094, 1102, "MISC"], [1106, 1118, "PER"], [1120, 1125, "MISC"], [1231, 1238, "PER"], [1291, 1303, "PER"], [1305, 1314, "LOC"], [1319, 1321, "ORG"], [1323, 1324, "MISC"], [1547, 1554, "LOC"], [1601, 1606, "PER"], [1616, 1626, "MISC"]]} +{"text": "Vinay, pp. 16-7 nota 2, ricordando che su questo luogo, a pochissimi anni dalla morte di Dante, cominciò ad appuntarsi la polemica del Vernani (ed. Matteini 1958, pp. 10-6), avverte: Il passo va considerato attentamente perché essenziale ad una esatta interpretazione della Mon. D. dice che, come ogni membro del corpo umano risponde ad un fine diverso da quello delle sue parti, così la umanità risponde ad un fine diverso da quello dei singoli uomini e dei singoli raggruppamenti politico-sociali. Non so se tutto il ragionamento dantesco rientri, secondo parve al Vinay, come costruzione logica (non nei risultati a cui porta) nell'ortodossia tomistica, ma certo è utile il raffronto con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem", "labels": [[0, 5, "PER"], [89, 94, "PER"], [135, 142, "PER"], [148, 161, "MISC"], [274, 277, "ORG"], [567, 572, "MISC"], [691, 707, "PER"], [709, 725, "PER"], [727, 735, "MISC"], [743, 747, "MISC"], [750, 754, "LOC"], [1137, 1143, "PER"], [1351, 1354, "LOC"], [1514, 1524, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828. ARTE SUA, QUE NATURA EST: cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137", "labels": [[50, 71, "MISC"], [73, 74, "MISC"], [102, 116, "MISC"], [135, 137, "MISC"], [175, 180, "PER"], [227, 230, "MISC"], [316, 328, "PER"], [330, 336, "LOC"], [341, 343, "MISC"], [345, 347, "MISC"], [459, 475, "PER"], [477, 493, "PER"], [495, 496, "PER"], [511, 515, "MISC"], [518, 527, "PER"], [590, 623, "MISC"], [700, 705, "MISC"], [752, 758, "MISC"], [796, 801, "PER"], [843, 851, "PER"], [898, 902, "LOC"], [916, 919, "LOC"], [935, 942, "PER"], [943, 949, "PER"], [951, 952, "PER"], [1035, 1058, "MISC"], [1064, 1071, "PER"], [1128, 1141, "PER"], [1144, 1164, "MISC"], [1177, 1190, "MISC"], [1218, 1222, "MISC"], [1368, 1383, "PER"], [1403, 1412, "PER"], [1420, 1423, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828.", "labels": [[50, 71, "MISC"], [73, 74, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137", "labels": [[57, 62, "PER"], [109, 112, "MISC"], [198, 210, "PER"], [212, 218, "LOC"], [223, 225, "MISC"], [227, 229, "MISC"], [341, 357, "PER"], [359, 375, "PER"], [377, 378, "PER"], [393, 397, "MISC"], [400, 409, "PER"], [472, 505, "MISC"], [582, 587, "MISC"], [634, 640, "MISC"], [678, 683, "PER"], [725, 733, "PER"], [780, 784, "LOC"], [798, 801, "LOC"], [817, 824, "PER"], [825, 831, "PER"], [833, 834, "PER"], [917, 940, "MISC"], [946, 953, "PER"], [1010, 1023, "PER"], [1026, 1046, "MISC"], [1059, 1072, "MISC"], [1100, 1104, "MISC"], [1250, 1265, "PER"], [1285, 1294, "PER"], [1302, 1305, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, De caelo, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma cum Deus et natura in necessariis non deficiat. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso otiosum è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. Mn III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a \"indarno\", come in Cv III xv 8-9: \"A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato\". Pézard rimanda a Pd VIII 113-4: \"E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”\"; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: \"La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati\". Cassell nota che \"Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, “otiosum”, instead of William of Moerbeke’s rendering, “frustra”, in the De cælo et mundo\".", "labels": [[1246, 1262, "WORK_OF_ART"], [0, 10, "PER"], [12, 20, "PER"], [123, 152, "MISC"], [216, 228, "PER"], [230, 236, "LOC"], [241, 243, "MISC"], [245, 247, "MISC"], [264, 276, "MISC"], [384, 387, "MISC"], [414, 419, "PER"], [453, 459, "MISC"], [681, 690, "MISC"], [764, 784, "MISC"], [833, 839, "PER"], [850, 861, "MISC"], [872, 873, "MISC"], [929, 932, "MISC"], [956, 979, "MISC"], [1114, 1121, "PER"], [1132, 1137, "PER"], [1146, 1148, "PER"], [1150, 1164, "PER"], [1173, 1174, "MISC"], [1228, 1229, "MISC"], [1242, 1262, "MISC"]]} +{"text": "l'espressione ha carattere tecnico. L'operatio è essenziale nella perfezione delle creature, come argomenta Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis", "labels": [[108, 124, "PER"], [126, 142, "PER"], [144, 152, "MISC"], [160, 164, "MISC"], [167, 176, "PER"], [355, 360, "LOC"], [385, 396, "LOC"], [426, 441, "LOC"], [445, 449, "LOC"], [478, 513, "LOC"], [515, 519, "LOC"], [541, 546, "MISC"]]} +{"text": "in Ficino \"l’ultima forza\", nell’Anonimo \"potenzia ultima\". Vinay traduce ancora \"la proprietà specifica\"; Pézard \"l’affaire dernière\"; Ronconi 1966 e altri \"la massima facoltà\"; Imbach \"die äußerste Kraft\"; Gally 1993 \"la perfection suprême\"; Kay \"the highest power\". Nardi interpreta \"l’ultimo grado della potenza\", spiegando, pp. 294-6: \"tutto il discorso che segue non è altro che una parafrasi, da parte di Dante, di quanto abbiamo udito da Aristotele [Ethica ad Nicomachum, 1097 b 33 – 1098 a 17], per stabilire quale operatio è propria dell’uomo sì da potersi dire ultimum de potentia hominis. Lo Stagirita [...] si limita ad osservare che operazione propria dell’uomo non è la vita vegetativa ch’esso ha comune con le piante, né quella sensitiva che ha comune con gli altri animali privi di ragione [...]. Col suo discorso, insomma, Dante non fa altro che ribadire il concetto aristotelico che l’opus e l’operatio propria dell’uomo è l’esse apprehensivum per intellectum possibilem. E qui si debbono richiamare quei luoghi del Convivio ove lo stesso concetto è affermato con insolite vigoria e vivacità sfuggite al Ricci, e cioè II, vii, 3-4, IV, vii, 11-5, a dimostrare che chi da ragione si diparte, “morto è uomo e rimaso bestia”\".", "labels": [[269, 274, "PER"], [458, 478, "WORK_OF_ART"], [3, 9, "LOC"], [33, 40, "LOC"], [60, 65, "PER"], [107, 113, "PER"], [136, 143, "MISC"], [179, 185, "MISC"], [200, 205, "PER"], [208, 218, "MISC"], [244, 266, "MISC"], [412, 417, "PER"], [446, 456, "PER"], [468, 478, "PER"], [604, 613, "PER"], [701, 704, "MISC"], [841, 846, "PER"], [1035, 1043, "PER"], [1123, 1128, "MISC"], [1137, 1139, "PER"], [1151, 1158, "MISC"], [1210, 1211, "MISC"]]} +{"text": "Vinay spiega con il Compendium Theologiae tomista che il termine apprehensivum \"indica la capacità elementare di accogliere in sé delle forme\" mediante le facoltà sensitive; quanto all’intelletto possibile, \"id per quod homo intelligit\", appunto giusta la dottrina tomista, \"come potenza ricettiva invece che attiva di forma, non può compiere esso il lavorio occorrente ad astrarre dalle forme ‘particulares’ i concetti, cioè gli universali, che solo esso può accogliere perché costituiscono ciò ch’è veramente intelligibile\"; perciò è necessario porre un altro intelletto (l’intelletto agente), che renda intelligibili in atto le specie intelligibili in potenza (come la luce rende attualmente visibili i colori visibili solo potenzialmente, secondo esemplifica lo stesso Tommaso).", "labels": [[0, 5, "PER"], [20, 41, "MISC"], [407, 408, "MISC"], [496, 499, "MISC"], [773, 780, "PER"]]} +{"text": "traduco alla lettera, come del resto è già in Ficino (et none altro) e in molti dei moderni interpreti, a cominciare da Pézard; Gally 1993 ha uniquement intellectuelles, che echeggia il puramente intellettuali di Vinay, seguito da altri. Cfr. più oltre, I XII 5. Sono appunto queste le intelligenze angeliche che presiedono al moto dei corpi celesti, per le quali è d'obbligo il rimando a Cv II IV 1-17, dove Dante le definisce movitori [...] sustanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli, descrivendone il perfettissimo stato e affermando che lo 'ntelletto loro è uno e perpetuo, giacché esse non hanno altra operazione che l'intendere, come spiega Busnelli 1964 (I, p. 128), sottolineando una strettissima dipendenza di Dante dal Tommaso della Summa contra Gentiles, II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere. Per tutto ciò più in generale cfr. Bemrose 1983, p. 68. E", "labels": [[0, 20, "MISC"], [46, 52, "PER"], [120, 126, "PER"], [128, 138, "MISC"], [213, 218, "PER"], [254, 261, "MISC"], [389, 399, "MISC"], [409, 414, "PER"], [527, 533, "MISC"], [695, 708, "MISC"], [767, 772, "PER"], [777, 796, "PER"], [804, 812, "PER"], [814, 819, "MISC"], [917, 924, "PER"], [983, 987, "PER"], [1520, 1532, "MISC"]]} +{"text": "è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un \"intolerabilis error\", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha \"e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione\", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce \"et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo\"), lezione già ritenuta \"ineccepibile\" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò \"il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione\", giudicando il passo di difficile interpretazione \"per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”\"; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile \"imprecisione verbale\", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a \"non sunt nisi actu intelligentes\", perché \"in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico\", e respinge poi come \"poco dantesca\" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che \"le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici\" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto \"and their existence is nothing other than understanding that they are essences\", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’\"interciso\" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene \"sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo\"). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce \"their very being is simply the act of understanding that their own nature exists\". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: \"Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione\"; esso può dunque “tradurre” l’\"intelligere [...] continuum et semper\" delle creature angeliche che presiede al moto \"semper continuus\" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: \"E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione\"; e dove conclude (10-1 e 13): \"Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori\". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: \"È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”\". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: \"e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne\".", "labels": [[64, 75, "MISC"], [95, 102, "MISC"], [256, 259, "MISC"], [261, 287, "MISC"], [304, 310, "MISC"], [327, 339, "MISC"], [373, 388, "MISC"], [411, 417, "PER"], [482, 485, "MISC"], [573, 576, "MISC"], [717, 728, "MISC"], [757, 758, "MISC"], [776, 786, "MISC"], [805, 809, "MISC"], [853, 857, "MISC"], [864, 871, "MISC"], [903, 904, "MISC"], [906, 907, "MISC"], [921, 931, "MISC"], [960, 973, "LOC"], [1005, 1018, "LOC"], [1118, 1123, "PER"], [1327, 1329, "MISC"], [1432, 1433, "MISC"], [1471, 1478, "PER"], [1548, 1551, "MISC"], [1553, 1569, "MISC"], [1571, 1579, "MISC"], [1773, 1775, "MISC"], [1971, 1986, "MISC"], [2006, 2021, "MISC"], [2091, 2096, "PER"], [2231, 2236, "PER"], [2257, 2260, "PER"], [2606, 2614, "LOC"], [2731, 2745, "ORG"], [2750, 2760, "MISC"], [2774, 2779, "PER"], [2835, 2850, "PER"], [2935, 2944, "MISC"], [2964, 2969, "PER"], [3113, 3118, "PER"], [3145, 3154, "LOC"], [3156, 3160, "MISC"], [3169, 3194, "MISC"], [3527, 3528, "MISC"], [3661, 3666, "MISC"], [3674, 3682, "PER"], [3718, 3723, "PER"], [3917, 3927, "MISC"], [3936, 3941, "PER"], [3959, 3972, "PER"], [3978, 3985, "PER"], [4014, 4024, "PER"], [4284, 4294, "PER"], [4305, 4315, "MISC"], [4341, 4346, "MISC"], [4563, 4566, "MISC"], [5136, 5137, "MISC"], [5293, 5303, "PER"], [5315, 5325, "MISC"], [5645, 5658, "MISC"], [5660, 5669, "MISC"], [5688, 5698, "PER"], [5786, 5796, "PER"], [5798, 5809, "MISC"], [5862, 5863, "MISC"], [6017, 6025, "PER"], [6030, 6054, "MISC"], [6071, 6072, "MISC"], [6226, 6232, "PER"], [6304, 6307, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Commentum magnum in Aristotelis De anima libros, III 5, p. 410. \"La “sententia” sulla quale anche Averroè sarebbe d’accordo, è la necessità di una pluralità per l’attuazione della potenza intellettiva umana. D., credo, allude genericamente al principio basilare del commento al terzo libro del De anima che la “continuatio” dell’intelletto separato con l’indivisuo avviene per mezzo delle “intentiones imaginatae”, donde la necessità di una esperienza molteplice senza la quale si cade nell’assurdo di una forza che non è forza di nulla\" (Vinay).", "labels": [[5, 21, "LOC"], [25, 52, "MISC"], [54, 59, "MISC"], [103, 110, "PER"], [299, 307, "MISC"], [394, 417, "MISC"], [544, 549, "MISC"]]} +{"text": "non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. Prudenza di Philippe Delhaye, in ED, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c", "labels": [[14, 26, "MISC"], [174, 184, "PER"], [186, 206, "MISC"], [232, 248, "PER"], [250, 266, "PER"], [268, 271, "MISC"], [272, 276, "ORG"], [370, 377, "PER"], [429, 440, "MISC"], [444, 460, "PER"], [465, 467, "ORG"], [469, 471, "MISC"], [524, 539, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Physica, 243 b 11-2: \"sedendo e riposando l’anima diventa sapiente e prudente\". Si suole ricordare che questa fu la risposta data a Dante, che lo aveva rimproverato per la sua pigrizia, dal liutaio Belacqua (v. la relativa voce di Francesco Salsano, in ED, I, 1970, pp. 556-8, e cfr. Carpi 2004, I, p. 141 e p. 286), di cui Dante traccia un sapido ritratto in Pg IV 97-139, in part. vv. 109-11: \"“O dolce segnor mio”, diss’io, “adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia”\". L’aneddoto, dell’Anonimo Fiorentino, è nel commento della Chiavacci Leonardi 1994, p. 128: \"Questo Belacqua fu uno cittadino da Firenze, artefice, e facea cotai colli di liuti e di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli veniva la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l’Auttore fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua negligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose con le parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l’Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te\". Ed è forse in questo contesto che occorre collocare la frase con cui Belacqua interrompe il colloquio di Dante e Virgilio nella penosa ascesa della montagna del Purgatorio, ai vv. 97-9: \"E com’elli ebbe sua parola detta, / una voce di presso sonò: “Forse / che di sedere in pria avrai distretta!”\".", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 19, "LOC"], [144, 149, "PER"], [210, 218, "PER"], [243, 260, "PER"], [265, 270, "MISC"], [296, 306, "MISC"], [308, 317, "MISC"], [336, 341, "PER"], [372, 380, "MISC"], [408, 410, "MISC"], [527, 529, "MISC"], [544, 562, "PER"], [585, 608, "LOC"], [626, 634, "MISC"], [655, 662, "LOC"], [776, 779, "MISC"], [1022, 1030, "MISC"], [1055, 1065, "PER"], [1123, 1130, "PER"], [1287, 1295, "PER"], [1323, 1328, "PER"], [1331, 1339, "PER"], [1379, 1389, "LOC"], [1466, 1467, "MISC"]]} +{"text": "cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp., dov'è allegato Aristotele, Metaphysica, 982 a 8. In Cv IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. Vinay ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus testimoniorum, v. Prudentia est: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [Dig. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [Dig. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)", "labels": [[7, 13, "MISC"], [119, 135, "PER"], [137, 153, "PER"], [155, 158, "MISC"], [159, 163, "ORG"], [178, 182, "MISC"], [200, 210, "PER"], [212, 223, "PER"], [237, 242, "MISC"], [273, 286, "MISC"], [288, 293, "PER"], [403, 425, "MISC"], [429, 447, "PER"], [628, 654, "PER"], [656, 679, "MISC"], [681, 697, "MISC"], [888, 898, "LOC"], [903, 915, "LOC"], [922, 926, "MISC"], [1028, 1036, "LOC"], [1127, 1130, "LOC"], [1240, 1243, "MISC"], [1456, 1464, "LOC"], [1725, 1740, "MISC"], [1763, 1775, "MISC"], [1803, 1811, "PER"]]} +{"text": "vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società\" (Vinay), ma non sembra si possa affermare che \"“tranquillitas” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra\". Dante usa tranquillitas, da sola o insieme con pax, in I v 8: cum maiori fiducia sue tranquillitatis; I xvi 2: in pacis universalis tranquillitate; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui pax e tranquillitas si fondono: \"Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse tranquillitas, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt\". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che tranquillitas occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: \"in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit\" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).", "labels": [[0, 4, "PER"], [178, 183, "PER"], [224, 225, "MISC"], [245, 247, "MISC"], [298, 304, "MISC"], [337, 338, "MISC"], [356, 369, "MISC"], [447, 453, "MISC"], [493, 498, "PER"], [548, 554, "MISC"], [760, 768, "LOC"], [800, 812, "PER"], [851, 860, "LOC"], [877, 881, "LOC"], [910, 927, "LOC"], [1012, 1017, "PER"], [1053, 1073, "MISC"], [1075, 1078, "MISC"], [1081, 1086, "MISC"], [1128, 1150, "MISC"], [1675, 1678, "MISC"], [1692, 1707, "MISC"], [1768, 1782, "MISC"], [1786, 1804, "PER"], [1817, 1823, "MISC"], [1825, 1826, "LOC"], [1945, 1953, "MISC"], [1971, 1985, "LOC"], [2090, 2100, "PER"], [2179, 2201, "MISC"], [2222, 2225, "MISC"], [2227, 2242, "PER"], [2244, 2261, "MISC"], [2297, 2299, "MISC"], [2308, 2315, "MISC"], [2379, 2388, "LOC"], [2427, 2434, "LOC"]]} +{"text": "H legge iuxta illud psalmiste; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. Ps 8, 6, ripetuto in Heb 2, 7. Dante lo cita già in Cv IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe Kay, the comparison between men and angels in Mn I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7", "labels": [[138, 140, "WORK_OF_ART"], [38, 45, "ORG"], [89, 95, "PER"], [126, 131, "PER"], [159, 164, "MISC"], [169, 174, "PER"], [190, 195, "MISC"], [352, 355, "PER"], [445, 460, "MISC"]]} +{"text": "Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto", "labels": [[367, 369, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "MISC"], [11, 16, "MISC"], [36, 41, "MISC"], [47, 52, "MISC"], [85, 103, "PER"], [105, 119, "PER"], [123, 126, "ORG"], [132, 138, "MISC"], [140, 141, "LOC"], [219, 227, "ORG"], [241, 252, "PER"], [360, 365, "MISC"], [378, 400, "MISC"], [479, 487, "MISC"], [489, 494, "MISC"], [501, 510, "MISC"], [680, 688, "LOC"], [767, 782, "MISC"]]} +{"text": "per declarata cfr. sopra, I iv 1; è “patente” ciò che “si mostra apertamente”, ciò che non ha bisogno di essere provato (cfr. Uguccione, P 38 1-2: \"pateo –es –ui passum, idest aperiri, videri, manifestari, manifestum esse vel diffundi; et dicitur patet quasi palam tenet [...]; unde patens\"). Debole la traduzione di Vinay (\"risulta\"), così come quella di Nardi (\"appare\"); anche Shaw 1996 e Kay hanno semplicemente \"clear\"; meglio Sanguineti 1985: \"risulta dunque evidente\"; l’Anonimo (p. 133) e Ficino (p. 333) traducono \"è manifesto\". Cfr. più avanti, I x 2.", "labels": [[36, 37, "MISC"], [54, 55, "MISC"], [126, 135, "MISC"], [137, 143, "MISC"], [317, 322, "PER"], [356, 361, "PER"], [380, 389, "MISC"], [392, 395, "PER"], [432, 442, "PER"], [478, 485, "PER"], [497, 503, "PER"], [555, 560, "MISC"]]} +{"text": "\"nella casa\" (Ficino), \"una casa\" (Anonimo, p. 134); Nardi: \"una famiglia\", ma in apparato precisa: \"unità familiare (domus per Dante come per la traduzione latina della Politica aristotelica ad opera di Guglielmo di Moerbeke; in greco o„k…a e o‡koj, 1252 b 10 sgg.)\"; bene \"household\" (Shaw 1996 e Kay, che chiosa: \"Sometimes translated “family”, but “household” is more precise because Aristotle has in mind kinsfolk living under the same roof. For him, an extended family living under several roofs constitutes the next larger unit, the neighborhood\", con la citazione di Aristotele, Politica, 1252 b 15-9). A Vinay non par dubbio \"che “unam” sia articolo indeterminato\". Cfr. Domenico Consoli, Famiglia, in ED, II, 1970, pp. 789-90. Sulla \"rassegna\" che qui comincia cfr. ancora, la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1357.", "labels": [[14, 20, "PER"], [35, 42, "ORG"], [53, 58, "PER"], [128, 133, "PER"], [170, 191, "MISC"], [204, 225, "PER"], [236, 239, "PER"], [244, 249, "MISC"], [275, 284, "MISC"], [287, 296, "MISC"], [299, 302, "PER"], [317, 326, "PER"], [338, 339, "MISC"], [353, 362, "MISC"], [388, 401, "MISC"], [575, 585, "PER"], [587, 595, "PER"], [613, 618, "PER"], [639, 640, "MISC"], [680, 696, "PER"], [698, 706, "PER"], [711, 713, "MISC"], [715, 717, "MISC"], [795, 804, "PER"]]} +{"text": "\"el quale padre di famiglia si chiama\" (Ficino), \"il quale si dicie padre di famiglia\" (Anonimo); non certo \"il cosiddetto padre di famiglia\" (Pizzica 1988). La nota di M. Tavoni a VE I xviii 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1346, a proposito del \"vere paterfamilias\" e del suo “riuso” \"in chiave politica\", ricorda con Marigo 1957: \"Paterfamilias è parola presa nel suo senso giuridico: “Paterfamilias appellatur qui in domo dominium habet...” (Paulus, Digestum 50, 16, 195)\".", "labels": [[40, 46, "PER"], [88, 95, "LOC"], [143, 155, "MISC"], [169, 178, "PER"], [324, 330, "LOC"], [338, 351, "LOC"], [392, 406, "MISC"], [450, 456, "MISC"], [458, 469, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Politica, 1252 b 21-4: e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano. L'assunto è ripetuto dalla migliore giurisprudenza trecentesca: In domo propria potest dici patremfamilias habere aliquid iuris regalis. Ius enim sibi dicit in filios et in servos [...]. Item maior seu antiquior domus habet quodammodo quandam iurisdictionem in uxorem, liberos et servos; et etiam antiquior frater vel patruus in minores xxv. annis, qui sunt in illa domo (Bartolo da Sassoferrato, De tyranno, q. IV, ed. Quaglioni 1983, p. 183)", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 20, "PER"], [296, 300, "PER"], [481, 504, "PER"], [506, 516, "PER"], [518, 523, "PER"]]} +{"text": "il luogo omerico (Od. IX 114) è in Aristotele, Politica, 1252 b 24: E ciascuno governa i suoi figli e la moglie. Cfr. Cv IV XXVII 10, col commento di Busnelli 1964, II, p. 234, che rinvia a questo luogo; v. inoltre Guido Martellotti, Omero, in ED, IV, 1973, pp. 145-8 ed Enrico Berti, Politica, ivi, p. 586", "labels": [[118, 120, "WORK_OF_ART"], [18, 20, "WORK_OF_ART"], [22, 28, "LOC"], [35, 45, "PER"], [47, 55, "PER"], [121, 123, "PER"], [150, 163, "MISC"], [165, 167, "PER"], [215, 232, "PER"], [234, 239, "PER"], [244, 246, "MISC"], [248, 250, "MISC"], [271, 283, "PER"], [285, 293, "PER"]]} +{"text": "Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 20, "PER"], [333, 343, "PER"], [345, 351, "PER"], [355, 365, "PER"], [423, 439, "PER"], [441, 457, "PER"], [459, 466, "MISC"], [481, 485, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I V 2 e 3, quando aliqua plura ordinantur ad unum, con riferimento ad Aristotele, Politica, 1254 a 28-32. Il ragionamento è in sostanza questo: l'affermazione del Filosofo è vera perché di fatto vediamo che qualsiasi complesso rivolto ad un fine si sfalda in mancanza di una autorità che ne guidi e diriga i componenti (Vinay)", "labels": [[14, 17, "MISC"], [82, 92, "PER"], [94, 102, "PER"], [175, 183, "PER"], [332, 337, "PER"]]} +{"text": "\"per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti\", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, Metaphysica, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.", "labels": [[20, 21, "MISC"], [29, 30, "MISC"], [40, 41, "MISC"], [70, 82, "MISC"], [102, 112, "PER"], [114, 125, "PER"]]} +{"text": "non c’è necessità alcuna di tradurre \"questo ordinamento “ad unum”\" (Vinay). Nel notarne l’imbarazzo e nel rinviare sia a quel che si legge più oltre, II vi 4-5, sia alla \"bella terzina\" di Pd I 103-5: \"“Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante”\", Nardi scrive: \"il discorso procede sempre movendo dalla distinzione fatta da Aristotele nel libro XII della Metafisica, dell’ordine che regna tra le parti dell’universo tra loro dall’ordine superiore che domina l’universo nella sua totalità, trasferita per certa analogia al duplice ordine che, per Dante, dovrebbe estendersi dalle parti al tutto della società umana come alle parti tra loro e al tutto d’un esercito comandato da un unico duce\". Scrive Cassell a commento: \"Dante’s syllogism is complicated but clear. He contrasts the relation among the parts to the relation between those parts and their leader, and considers the latter (by which he means the position of the emperor toward his subjects) a relationship superior to the former. The relation of the ruler to the ruled is parallel to the Deity’s ordering of Creation\".", "labels": [[416, 426, "WORK_OF_ART"], [57, 58, "MISC"], [69, 74, "MISC"], [151, 153, "PER"], [190, 198, "MISC"], [203, 204, "MISC"], [286, 289, "MISC"], [308, 313, "PER"], [385, 395, "PER"], [607, 612, "PER"], [761, 768, "PER"], [782, 787, "PER"], [1054, 1140, "MISC"]]} +{"text": "cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)", "labels": [[29, 35, "PER"], [93, 100, "ORG"], [160, 165, "PER"], [205, 218, "PER"], [220, 236, "LOC"], [255, 275, "LOC"], [296, 309, "PER"], [311, 321, "LOC"], [326, 328, "MISC"], [330, 331, "MISC"], [348, 351, "PER"], [413, 431, "MISC"], [435, 448, "PER"], [450, 462, "PER"], [468, 473, "PER"], [504, 506, "MISC"], [516, 542, "MISC"]]} +{"text": "l'inciso ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum manca alla traduzione di Ficino; analoga omissione nei codici M S. Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto. Pizzica 1988 richiama il luogo importantissimo rappresentato da Cv III II 4-5, con il commento di Busnelli 1964, I, pp. 263-8, e le diverse considerazioni sia in Nardi, sia in Nardi 1949, pp. 256-7", "labels": [[67, 77, "PER"], [103, 109, "PER"], [140, 148, "MISC"], [150, 166, "PER"], [168, 184, "PER"], [186, 193, "MISC"], [208, 212, "MISC"], [215, 224, "PER"], [930, 939, "PER"], [964, 977, "MISC"], [1028, 1033, "PER"], [1042, 1047, "PER"]]} +{"text": "Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.", "labels": [[0, 16, "PER"], [18, 34, "PER"], [36, 44, "MISC"], [52, 56, "MISC"], [67, 87, "MISC"], [161, 165, "PER"]]} +{"text": "è ripetuto più sotto, I viii 2, I viii 5 e I ix 1. \"“Bene se habere et optime” vuol [...] dire realizzare “divinam similitudinem” “secundum quod effectum capere potest”\" (Vinay), come si legge in Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 45, e come Dante espone in Cv III vii 2: \"Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, dalle cose riceventi. Onde scritto è nel libro delle Cagioni: \"La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo della sua vertù e dello suo essere”\". Ficino traduce \"ogni cosa sta bene\", l’Anonimo \"ciascuna cosa bene sta e optimamente\" (p. 136); Nardi \"bene, anzi ottimamente, ordinato\" (cfr. Nardi 1924a, poi Nardi 1967, pp. 81-109: 106). Varie le soluzioni di alcuni tra i moderni interpreti, da \"è perfetto\" (Vinay) a \"en heureux état et au mieux possible\" (Pézard), \"uno stato di benessere e di felicità\" (Sanguineti 1985), \"in gutem und bestem Zustand\" (Imbach), \"in a good (indeed, ideal) state\" (Shaw 1996). Kay sostiene che la frase è ridondante in ragione di un voluto parallelismo con quanto si legge sopra, I vii 2.", "labels": [[884, 889, "PER"], [22, 30, "MISC"], [32, 40, "MISC"], [52, 53, "MISC"], [106, 114, "MISC"], [130, 131, "MISC"], [171, 176, "MISC"], [196, 203, "PER"], [206, 212, "PER"], [214, 219, "PER"], [227, 235, "PER"], [237, 242, "MISC"], [251, 256, "PER"], [267, 273, "MISC"], [535, 554, "MISC"], [741, 747, "PER"], [780, 787, "PER"], [837, 842, "PER"], [901, 911, "MISC"], [1003, 1008, "PER"], [1052, 1058, "PER"], [1101, 1116, "MISC"], [1140, 1147, "LOC"], [1150, 1156, "LOC"], [1194, 1203, "MISC"], [1206, 1209, "PER"], [1309, 1316, "MISC"]]} +{"text": "\"Creando il mondo, Dio ha voluto che le creature fossero a sua immagine secondo le possibilità della loro natura particolare. Il fine supremo a cui tendono le creature è l’attuazione di questa “intentio” divina che costituisce la ragione stessa del loro essere, punto di partenza e punto d’arrivo ad un tempo. Dio è principio e fine\" (Vinay, con la citazione di Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 25: \"unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem\"). Cfr. la voce Intenzione di Tullio Gregory, in ED, III, 1971, p. 480.", "labels": [[19, 22, "MISC"], [193, 194, "MISC"], [310, 313, "MISC"], [335, 340, "MISC"], [362, 369, "PER"], [372, 378, "PER"], [380, 385, "PER"], [393, 401, "PER"], [403, 408, "MISC"], [501, 529, "MISC"], [534, 536, "MISC"], [538, 541, "MISC"]]} +{"text": "Gn 1, 26; cfr. Cv IV xii 14: \"E la ragione è questa: che lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé (sì come è scritto: “Facciamo l’uomo ad imagine e similitudine nostra”), essa anima massimamente desidera di tornare a quello\". Su questa citazione scritturale v. Cremascoli 2011, p. 33 e nota 9.", "labels": [[15, 17, "WORK_OF_ART"], [18, 20, "MISC"], [167, 170, "MISC"], [254, 263, "MISC"], [394, 412, "MISC"]]} +{"text": "l'idea che solo l'universo nella sua interezza rispecchi unitariamente quella bontà del creatore che le singole creature, ciascuna per sé, possono solo sparsamente rappresentare, è in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura", "labels": [[184, 200, "PER"], [202, 218, "PER"], [220, 228, "MISC"], [236, 240, "MISC"], [632, 666, "LOC"]]} +{"text": "un'impronta, ovvero un segno impresso, un calco, un'orma; cfr. poco più sotto, I IX 1, e Pd I 106-8: Qui veggion l'alte creature l'orma / de l'etterno valore, il qual è fine / al quale è fatta la toccata norma, su cui v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 33: orma: impronta; questa parola, che esprime con potente ed evidente metafora l'idea della \"somiglianza\" del creato al creatore, traduce il latino vestigium, termine usato già da Agostino e poi dagli scolastici per significare quella somiglianza, e da Dante stesso ripreso [...] in modo esplicito nella Monarchia (e v. anche ivi, Introduzione, p. XIX). Cfr. anche Bonaventura, Breviloquium, II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum. Stretta l'aderenza al testo da parte dell'Anonimo: uno vestigio della divina bontà. Splendido Ficino (che trova in questo luogo una di quelle sententie platoniche ricordate nel proemio del suo volgarizzamento e con le quali Dante, parlando inn-ispirito con Platone, avrebbe adornato e libri suoi (p. 327): una honbra d'Iddio. Cfr. Bruno Bernabei, Vestigio, in ED, V, 1976, p. 986", "labels": [[89, 97, "MISC"], [218, 244, "PER"], [430, 438, "PER"], [503, 508, "PER"], [554, 563, "LOC"], [581, 593, "PER"], [615, 626, "PER"], [628, 640, "PER"], [811, 815, "MISC"], [890, 897, "ORG"], [942, 948, "PER"], [1072, 1077, "PER"], [1105, 1112, "PER"], [1167, 1172, "PER"], [1179, 1193, "PER"], [1195, 1203, "PER"], [1208, 1210, "MISC"], [1212, 1213, "MISC"]]} +{"text": "si veda ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus", "labels": [[15, 31, "PER"], [33, 49, "PER"], [51, 59, "MISC"], [67, 71, "MISC"], [74, 83, "PER"], [241, 244, "MISC"]]} +{"text": "Vinay addita come luogo parallelo Cv IV XVI 7: Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo della Fisica quando dice: \"Ciascuna [cosa] è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propia, e allora è massimamente secondo sua natura, onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo\", cioè quando aggiugne la sua propia virtude; e allora è in tutta sua natura, e allora si può dire nobile circulo; trova però deludente la dimostrazione che segue, e che farebbe rimpiangere la teoria della generazione esposta da D. in Conv., IV, 21. Su tutto il contenuto di questo paragrafo si v. la lunga e dotta nota di Nardi, pp. 320-2, con quanto egli aveva già esposto in L'arco della vita (Nardi 1967, pp. 110-38: 110-4), e più succintamente Imbach, pp. 272-3", "labels": [[563, 567, "WORK_OF_ART"], [725, 730, "PER"], [0, 5, "PER"], [34, 39, "MISC"], [76, 109, "MISC"], [557, 567, "PER"], [570, 572, "PER"], [651, 656, "PER"], [706, 723, "MISC"], [777, 783, "LOC"]]} +{"text": "sulla perfezione del cielo Vinay allega un passo (III 9) del De ecclesiastica potestate di Egidio Romano, che Dante può aver avuto presente; Pizzica 1988 abbellisce e traduce qui sovranamente perfetto", "labels": [[27, 32, "PER"], [50, 55, "MISC"], [61, 87, "MISC"], [91, 104, "PER"], [110, 115, "PER"], [141, 153, "MISC"]]} +{"text": "U ha una lacuna in luogo di secundum, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece pħm (phylosophum) i codici D F G N Y; M ha secundum phylosophum; Ficino traduce \"come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile\", l’Anonimo \"secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”\" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, Fisica, in ED, II, 1970, pp. 933-4. \"Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi De physico auditu, De physica consultatione) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente Lezioni intorno alla natura\" (Nardi); cfr. Aristotele, Physica, 194 b 13 e De anima, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: \"Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol\". Si rammenti Pd XXII 116: \"quelli ch’è padre d’ogne mortal vita\", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita Rime 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: \"Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta\"; nonché Cv III xii 8: \"Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica\".", "labels": [[55, 56, "MISC"], [154, 157, "MISC"], [165, 166, "MISC"], [192, 198, "PER"], [236, 256, "ORG"], [261, 268, "LOC"], [294, 323, "MISC"], [336, 344, "ORG"], [365, 377, "PER"], [379, 385, "PER"], [390, 392, "MISC"], [394, 396, "MISC"], [483, 500, "PER"], [502, 526, "MISC"], [561, 573, "MISC"], [613, 620, "LOC"], [643, 648, "PER"], [656, 666, "PER"], [668, 675, "LOC"], [688, 696, "MISC"], [739, 746, "PER"], [774, 779, "PER"], [782, 789, "PER"], [905, 916, "MISC"], [926, 929, "MISC"], [988, 1011, "MISC"], [1026, 1033, "MISC"], [1035, 1049, "MISC"], [1271, 1277, "MISC"]]} +{"text": "vulgatissimo brocardo (v. ad es. Bracton, De legibus et consuetudinibus Angliae, II 33), qui impiegato a proposito nel caso del conflitto tra giurisdizioni di pari grado; contrariamente a quanto si vede affermato (Pizzica 1988, Kay), la citazione non risale ad Accursio e alla sua glossa a Dig. 4, 8, 3, § 3 e a Dig. 4, 8, 4, dove il testo ha magistratus superiore aut pari imperio nullo modo possunt cogi (Mommsen-Krüger, I, p. 67), o a Dig. 36, 1, 13, § 4 (ivi, p. 522), dove si legge praetorem quidem in praetorem, vel consulem in consulem nullum imperium habere; tanto meno alla glo. conferens generi alla Novella VI di Giustiniano (Auth. Coll. I, 6, Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem adduci, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), in cui quelle autorità legali sono allegate in relazione al Constitutum Constantini (Furlan); risale invece, nella formulazione qui usata, alla decretale Innotuit di Innocenzo III, già compresa nella Compilatio III (cap. 5, III Comp., I, 6: QCA, p. 105), ma che Dante leggeva ormai nel Liber Extra di Gregorio IX, cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62); il principio era già ricevuto nel c. 4, D. XXI del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 70). In proposito v. Pennington 1993, p. 93, e più specificamente Pennington 1999, p. 260, con l'esempio, a Dante calzantissimo, di Guido da Suzzara", "labels": [[0, 21, "PER"], [33, 40, "PER"], [42, 79, "MISC"], [81, 86, "MISC"], [214, 226, "MISC"], [228, 231, "PER"], [261, 269, "PER"], [290, 293, "LOC"], [312, 315, "LOC"], [407, 414, "PER"], [415, 421, "PER"], [423, 424, "PER"], [438, 441, "LOC"], [610, 620, "MISC"], [624, 635, "PER"], [637, 641, "LOC"], [643, 647, "LOC"], [655, 693, "MISC"], [732, 739, "PER"], [740, 746, "PER"], [748, 751, "LOC"], [824, 847, "LOC"], [849, 855, "LOC"], [918, 926, "MISC"], [930, 943, "PER"], [964, 978, "MISC"], [988, 996, "PER"], [999, 1000, "MISC"], [1005, 1008, "MISC"], [1026, 1031, "PER"], [1050, 1061, "MISC"], [1065, 1076, "PER"], [1087, 1088, "MISC"], [1090, 1091, "MISC"], [1096, 1128, "MISC"], [1169, 1178, "MISC"], [1180, 1182, "PER"], [1234, 1240, "PER"], [1245, 1262, "MISC"], [1264, 1273, "MISC"], [1275, 1276, "MISC"], [1304, 1319, "MISC"], [1349, 1364, "MISC"], [1391, 1396, "PER"], [1415, 1431, "PER"]]} +{"text": "Aristotele, Metaphysica, 1076 a 3-5, che ricorda tacitamente un verso omerico (Il. II 24; cfr. ancora la v. Omero di Guido Martellotti, in ED, IV, 1973, pp. 145-8). Per il valore polisemico di ens nella scolastica medievale cfr. Vinay", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 23, "PER"], [79, 82, "MISC"], [83, 88, "MISC"], [108, 113, "PER"], [117, 134, "PER"], [139, 141, "MISC"], [143, 145, "MISC"], [229, 234, "MISC"]]} +{"text": "v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura \"nel senso geometrico, morale e logico\"); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, \"dirittura\", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (\"Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose\") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: \"“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”\"; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (\"una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto\") come forma di \"italiano anodino\" e \"assai più difficile del latino di D.\", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: \"In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione\". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula \"iustitia est rectitudo\" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce \"una retttudine overo regola\"), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: \"Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude\". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: \"una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione\"; cfr. Ronconi 1966: \"un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione\"; Pizzica 1988: \"un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra\"; Marcelli-Martelli 2004: \"una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra\".", "labels": [[2215, 2228, "WORK_OF_ART"], [11, 22, "MISC"], [27, 29, "MISC"], [31, 33, "MISC"], [169, 174, "PER"], [333, 345, "MISC"], [440, 478, "MISC"], [485, 493, "PER"], [498, 507, "ORG"], [517, 522, "PER"], [622, 630, "PER"], [687, 696, "PER"], [699, 706, "MISC"], [808, 816, "PER"], [861, 866, "PER"], [1050, 1052, "MISC"], [1063, 1075, "MISC"], [1229, 1240, "PER"], [1266, 1267, "MISC"], [1348, 1355, "MISC"], [1365, 1400, "MISC"], [1456, 1458, "MISC"], [1635, 1636, "MISC"], [1668, 1669, "MISC"], [1715, 1716, "MISC"], [1805, 1807, "MISC"], [2053, 2063, "PER"], [2065, 2071, "PER"], [2075, 2085, "PER"], [2222, 2228, "MISC"], [2349, 2356, "PER"], [2358, 2369, "MISC"], [2378, 2402, "MISC"], [2446, 2462, "PER"], [2498, 2503, "PER"], [2567, 2574, "PER"], [2726, 2731, "PER"], [2744, 2747, "PER"], [2776, 2783, "PER"], [2786, 2792, "PER"], [2794, 2810, "PER"], [2812, 2820, "MISC"], [2828, 2832, "MISC"], [2847, 2852, "PER"], [3299, 3304, "PER"], [3453, 3465, "MISC"], [3566, 3574, "PER"], [3575, 3583, "PER"], [3595, 3596, "MISC"]]} +{"text": "Dante cita pressoché alla lettera dal Liber sex principiorum 1 1, p. 36: \"forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens\". Lo scritto, in passato a torto atribuito a Gilbert de la Porrée (v. la voce Magister Sex Principiorum in ED, III, 1971, p. 767, e cfr. Cassell) faceva parte del corpus delle opere logiche di Aristotele nel curriculum degli artistae; ciò suggerisce a Kay che Dante possa non averne avuto diretta conoscenza, dal momento che essa \"was widely quoted by later scholastics\". Commenta Nardi: \"E proprio per questo Dante cita il Magister Sex Principiorum, il quale recte, a buon diritto, ha affermato che huiusmodi forme, quali la “bianchezza” e la “giustizia”, pur trovandosi enunciate di un composto, in sé stesse consistono in una “semplice e invariabile essenza”. Quest’unica testimonianza chiede Dante al Magister Sex Principiorum; nient’altro. Quello che immediatamente precede e segue questa citazione è chiosa di Dante. Siffatte “forme”, come quelle della “bianchezza” e della “giustizia”, sono “essenze inviariabili” in suo abstracto, come appunto vuole Aristotele; ma in quanto entrano in composizione con soggetti variabili quibus concernuntur (da concerno, che ha il perfetto concrevi e il supino concretum uguali a concresco!), ossia in concreto, sono suscettibili di “magis et minus” “secundum quod magis et minus in subiectis de contrariis admiscetur”\". Così anche Alfonso Maierù, Suggetto, in ED, V, 1976, p. 475, che richiama questo luogo a proposito della \"sostanza individuante\", del \"‘concretum’ cui ineriscono le forme accidentali e i loro contrari; queste forme, in sé immutabili, sono suscettibili di variazioni in più o in meno a seconda del ‘concetto’ cui ineriscono, sicché propriamente il s. è capace di più o meno, non le forme\".", "labels": [[0, 5, "PER"], [38, 64, "MISC"], [203, 223, "PER"], [236, 267, "MISC"], [295, 302, "PER"], [351, 361, "PER"], [410, 413, "PER"], [418, 423, "PER"], [539, 544, "PER"], [568, 573, "PER"], [582, 607, "MISC"], [684, 685, "MISC"], [702, 703, "MISC"], [854, 859, "PER"], [863, 888, "MISC"], [974, 979, "PER"], [981, 989, "PER"], [990, 991, "MISC"], [1017, 1018, "MISC"], [1038, 1039, "MISC"], [1056, 1057, "MISC"], [1116, 1126, "PER"], [1433, 1447, "PER"], [1449, 1457, "LOC"], [1462, 1464, "ORG"], [1466, 1467, "MISC"], [1567, 1568, "MISC"], [1728, 1729, "MISC"]]} +{"text": "la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp", "labels": [[12, 13, "MISC"], [70, 81, "MISC"], [83, 84, "MISC"], [117, 119, "LOC"], [201, 211, "PER"], [213, 223, "LOC"], [250, 254, "MISC"], [278, 283, "PER"], [289, 305, "PER"], [307, 323, "PER"], [325, 332, "MISC"], [347, 360, "MISC"], [401, 414, "MISC"], [445, 457, "MISC"], [488, 492, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Categoriae, 10 b 12-3, spiega così: Alla qualità appartiene inoltre la contrarietà. Ad esempio, la giustizia è contraria all'ingiustizia, la bianchezza è contraria alla nerezza, ed analogamente per le altre qualità", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 22, "LOC"]]} +{"text": "cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult (cfr. sopra, I XI 3 e più in generale I III 3)", "labels": [[5, 21, "PER"], [23, 39, "PER"], [41, 44, "MISC"], [45, 49, "ORG"], [246, 250, "MISC"], [271, 276, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia Melanippe di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci Espero (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed Etica (Enrico Berti), in ED, II, 1970, pp. 731 e 756-8", "labels": [[441, 446, "WORK_OF_ART"], [0, 10, "PER"], [12, 18, "PER"], [22, 32, "PER"], [91, 112, "MISC"], [122, 128, "MISC"], [147, 163, "PER"], [165, 181, "PER"], [183, 186, "MISC"], [187, 191, "ORG"], [207, 211, "MISC"], [214, 223, "PER"], [423, 434, "PER"], [439, 446, "MISC"], [520, 542, "MISC"], [598, 604, "LOC"], [606, 619, "PER"], [622, 636, "PER"], [641, 646, "PER"], [648, 660, "PER"], [666, 668, "MISC"], [670, 672, "MISC"]]} +{"text": "la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è \"giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste\"), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): \"Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi\", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: \"iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.\"; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).", "labels": [[140, 160, "WORK_OF_ART"], [931, 936, "WORK_OF_ART"], [150, 160, "PER"], [428, 432, "LOC"], [449, 452, "LOC"], [469, 476, "PER"], [477, 483, "PER"], [485, 486, "PER"], [588, 593, "PER"], [630, 636, "MISC"], [664, 678, "MISC"], [682, 687, "PER"], [691, 707, "PER"], [712, 714, "MISC"], [716, 718, "MISC"], [734, 741, "PER"], [744, 750, "PER"], [752, 768, "PER"], [770, 777, "MISC"], [792, 802, "MISC"], [929, 936, "MISC"], [977, 993, "MISC"], [995, 998, "MISC"], [999, 1003, "ORG"], [1012, 1046, "MISC"], [1118, 1119, "MISC"], [1127, 1134, "PER"], [1184, 1202, "LOC"]]} +{"text": "giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (\"radix omnium peccatorum\" e non semplicemente \"inordinatus amor divitiarum\", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: \"E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono\". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: \"Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis\" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: \"honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere\"); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: \"Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris\" (glo. \"alterum non ledere\", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: \"Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur\" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.", "labels": [[25, 30, "PER"], [195, 202, "PER"], [205, 211, "PER"], [213, 229, "PER"], [231, 238, "MISC"], [253, 257, "MISC"], [324, 329, "PER"], [340, 345, "MISC"], [660, 667, "MISC"], [669, 691, "MISC"], [809, 816, "LOC"], [884, 897, "MISC"], [899, 901, "LOC"], [1070, 1074, "PER"], [1081, 1089, "PER"], [1151, 1155, "MISC"], [1162, 1167, "LOC"], [1240, 1249, "LOC"], [1251, 1252, "MISC"], [1265, 1269, "LOC"], [1283, 1286, "LOC"], [1303, 1310, "PER"], [1311, 1317, "PER"], [1319, 1320, "PER"], [1478, 1486, "PER"], [1537, 1545, "ORG"], [1653, 1657, "MISC"], [1673, 1679, "LOC"], [1683, 1696, "LOC"], [1702, 1709, "PER"], [1773, 1781, "LOC"], [1816, 1829, "MISC"], [1866, 1877, "PER"], [1903, 1914, "MISC"], [2264, 2271, "PER"], [2437, 2446, "PER"], [2448, 2450, "PER"], [2494, 2501, "MISC"], [2508, 2516, "MISC"], [2519, 2522, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Cv I iv 8: \"E questi ... passionati mal giudicano\", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: \"Passio igitur ligat rationem\"); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha \"quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo\"; l’Anonimo, più semplicemente, \"quelli che si studiano di passionare il giudice\". Vinay, seguito dai più, traduce \"chi cerca di influenzare il giudice\"; non piace Ronconi 1966: \"coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato\"; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: \"coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice\"; meno felice Kay: \"those who try to appeal to the judge’s passions\", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia \"all [...] appeals to the emotions\", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: \"Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain\" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [62, 75, "MISC"], [77, 85, "MISC"], [97, 104, "PER"], [107, 113, "PER"], [115, 131, "PER"], [133, 140, "MISC"], [177, 205, "MISC"], [216, 221, "PER"], [223, 229, "PER"], [235, 246, "LOC"], [248, 252, "LOC"], [260, 262, "MISC"], [313, 319, "PER"], [385, 392, "LOC"], [464, 469, "PER"], [545, 552, "MISC"], [658, 670, "MISC"], [760, 763, "PER"], [997, 1002, "PER"], [1041, 1048, "PER"], [1330, 1335, "PER"], [1337, 1343, "PER"], [1345, 1354, "PER"], [1356, 1357, "LOC"], [1469, 1472, "ORG"], [1579, 1586, "PER"], [1587, 1593, "PER"], [1595, 1597, "PER"], [1716, 1731, "PER"], [1733, 1743, "MISC"], [1854, 1869, "MISC"], [1878, 1891, "MISC"]]} +{"text": "la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. Nardi; cfr. anche Summa Theologiae, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (Utrum iustitia sit semper ad alterum), Resp., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza Vinay)", "labels": [[263, 268, "PER"], [65, 75, "PER"], [77, 83, "PER"], [87, 97, "PER"], [237, 244, "PER"], [260, 268, "PER"], [281, 297, "PER"], [299, 302, "MISC"], [323, 337, "MISC"], [362, 366, "MISC"], [373, 378, "PER"], [421, 426, "PER"]]} +{"text": "ricorre solo in questo luogo; conservano questa forma la princeps K e parte dei manoscritti β (B D E F N P V Y); i restanti testimoni hanno sillogismus o altre lezioni assai corrotte (anche l'Anonimo conserva sillogismo, mentre Ficino ha argumento. È un sillogismo preliminare (preparatory syllogism, Cassell), ovvero il sillogismo introdotto a dimostrazione della verità della premessa di un altro sillogismo, in modo che la conclusione del p. venga a essere la stessa premessa da dimostrare (v. Prosillogismus, in ED, IV, 1973, 719-20): vedi Aristotele, Analytica priora, 42 b 5; 44 a 22, e cfr. ampiamente Nardi, p. 336", "labels": [[66, 67, "LOC"], [95, 110, "MISC"], [192, 199, "ORG"], [228, 234, "PER"], [301, 308, "PER"], [494, 511, "PER"], [516, 518, "ORG"], [520, 522, "MISC"], [544, 554, "PER"], [556, 565, "PER"], [609, 614, "PER"]]} +{"text": "Aristotele, Analytica priora, 26 b – 28 a; il prosillogismo qui introdotto appartiene alla seconda delle tre figure in cui il sillogismo può presentarsi, cioè a quella in cui il termine medio è predicato di entrambe le premesse: \"“nessun uomo intelligente trascura la sua cultura, Caio trascura la sua cultura, dunque Caio non è un uomo intelligente” è un sillogismo di seconda figura e come tale è “privativus” non “affirmativus” (Cfr. Boezio, Priorum analyt. interpretatio I 5, PL 64, col. 643 sgg.)\" (Vinay).", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 21, "PER"], [281, 285, "LOC"], [318, 322, "LOC"], [399, 400, "MISC"], [416, 417, "MISC"], [432, 435, "MISC"], [437, 443, "LOC"], [445, 459, "MISC"], [475, 478, "MISC"], [480, 485, "MISC"], [504, 509, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di ab omni cupiditate; in questo senso si può evocare la lupa \"che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza\" di If I 49-50; così il luogo paolino \"radix omnium malorum est cupiditas\" (1 Tm 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della cupiditas come \"radix omnium peccatorum\", e non semplicemente come \"inordinatus amor divitiarum\", in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (Utrum cupiditas sit radix omnium peccatorum); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone Doglia mi reca nello core ardire (Rime 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. Vinay ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, De regimine christiano: \"reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum\" (ed. Arquillière 1926, p. 243).", "labels": [[16, 23, "MISC"], [25, 33, "MISC"], [169, 175, "MISC"], [314, 316, "MISC"], [549, 556, "PER"], [559, 565, "PER"], [567, 583, "PER"], [585, 592, "MISC"], [607, 612, "MISC"], [680, 689, "PER"], [703, 709, "PER"], [737, 744, "MISC"], [789, 794, "PER"], [827, 845, "PER"], [847, 858, "PER"], [1015, 1024, "MISC"], [1031, 1042, "LOC"]]} +{"text": "in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 a 32 – b 10, il termine usato è pleonškthj, \"avido di avere e di potere, che nella versione latina è reso con la parola avarus\" (Nardi), alla lettera \"chi vuole avvantaggiarsi\" (plšon = vantaggio), chiamato \"ingiusto\" insieme al trasgressore della legge e all’iniquo.", "labels": [[3, 13, "PER"], [15, 21, "PER"], [25, 35, "PER"], [171, 176, "PER"]]} +{"text": "sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine", "labels": [[2267, 2272, "PER"], [1290, 1296, "WORK_OF_ART"], [0, 22, "LOC"], [24, 31, "LOC"], [34, 56, "LOC"], [58, 64, "PER"], [67, 77, "PER"], [79, 88, "PER"], [1018, 1023, "PER"], [1090, 1103, "PER"], [1105, 1126, "MISC"], [1128, 1137, "MISC"], [1172, 1188, "PER"], [1190, 1206, "PER"], [1208, 1215, "MISC"], [1263, 1280, "MISC"], [1288, 1296, "MISC"], [1397, 1409, "MISC"], [1563, 1570, "MISC"], [1721, 1729, "PER"], [1829, 1835, "PER"], [2315, 2319, "MISC"], [2328, 2331, "LOC"], [2343, 2346, "LOC"], [2364, 2371, "PER"], [2372, 2378, "PER"], [2380, 2381, "PER"]]} +{"text": "l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché \"non può avere un altro sopra di sé\" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993", "labels": [[3311, 3318, "PER"], [3341, 3344, "PER"], [194, 205, "MISC"], [207, 215, "PER"], [245, 255, "PER"], [257, 263, "PER"], [267, 277, "PER"], [512, 517, "PER"], [531, 534, "PER"], [590, 599, "MISC"], [608, 624, "MISC"], [803, 809, "PER"], [822, 874, "MISC"], [876, 879, "ORG"], [891, 898, "PER"], [899, 905, "PER"], [907, 909, "PER"], [1039, 1044, "PER"], [1058, 1063, "MISC"], [1082, 1087, "MISC"], [1637, 1646, "LOC"], [2051, 2056, "PER"], [2202, 2221, "PER"], [2235, 2242, "PER"], [2245, 2252, "PER"], [2256, 2265, "PER"], [2270, 2277, "PER"], [2280, 2286, "PER"], [2519, 2531, "MISC"], [2581, 2594, "PER"], [2600, 2609, "PER"], [2614, 2621, "PER"], [2624, 2631, "PER"], [2633, 2641, "LOC"], [2657, 2660, "LOC"], [2674, 2681, "PER"], [2684, 2690, "PER"], [2729, 2736, "LOC"], [2738, 2740, "LOC"], [2890, 2897, "PER"], [2900, 2907, "PER"], [3071, 3077, "PER"], [3080, 3098, "PER"], [3308, 3318, "ORG"], [3322, 3336, "PER"], [3385, 3400, "MISC"]]} +{"text": "si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata", "labels": [[817, 840, "WORK_OF_ART"], [63, 73, "PER"], [75, 81, "MISC"], [158, 161, "PER"], [189, 197, "LOC"], [206, 212, "LOC"], [225, 231, "PER"], [272, 278, "LOC"], [282, 296, "PER"], [301, 303, "ORG"], [305, 307, "MISC"], [345, 350, "PER"], [416, 427, "MISC"], [431, 442, "PER"], [444, 446, "PER"], [512, 516, "MISC"], [518, 522, "MISC"], [524, 526, "MISC"], [548, 555, "PER"], [556, 562, "PER"], [564, 567, "PER"], [664, 671, "PER"], [842, 845, "LOC"], [857, 864, "PER"], [865, 871, "PER"], [873, 874, "PER"], [948, 955, "MISC"]]} +{"text": "Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi", "labels": [[0, 3, "PER"], [32, 48, "PER"], [50, 66, "PER"], [68, 71, "MISC"], [72, 76, "ORG"], [91, 95, "MISC"], [98, 103, "MISC"], [129, 133, "MISC"], [309, 312, "PER"]]} +{"text": "Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla natura passivorum et activorum. \"Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la Fisica e nel primo De Generatione” (Conv., IV, x, 9; cfr. ibid., III, x, 2), fra l’agente e il paziente è necessario vi sia contatto: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (Conv., III, x, 2)\" (Nardi).", "labels": [[271, 277, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [236, 244, "LOC"], [268, 277, "ORG"], [290, 304, "PER"], [307, 311, "PER"], [314, 319, "MISC"], [336, 339, "MISC"], [405, 406, "MISC"], [502, 506, "MISC"], [509, 515, "MISC"], [522, 527, "PER"]]} +{"text": "cfr. Attilio Mellone, De Causis, in ED, II, 1970, p. 327. \"Il piccolo anonimo Liber de causis godé fra gli Scolastici di grande autorità e fortuna, e fu una delle opere più frequentemente citate [...]. Tradotto dall’arabo in latino, a Toledo, da Gherardo di Cremona, fra il 1167 e il 1184, fu [...] uno dei principali tramiti dell’influenza del pensiero neo-platonico sulla Scolastica cristiana [...]. Dante [...] vi si riferisce sempre come a scritto d’ignoto autore\" (Nardi 1924a, poi in Nardi 1967, pp. 81-3 e 88-9, con speciale riguardo a questo luogo e con rinvio ai commenti di Tommaso, Egidio Romano e Alberto Magno). Dante si riferisce qui alla prop. 1: \"Omnis causa primaria plus est influens super causatum suum quam causa universalis secunda\". Lo stesso Nardi 1942b, p. 118, spiega: \"La maggior vicinanza del Monarca a tutti gli uomini va intesa dunque nel senso che esso è sulla terra ‘causa universalis prima’ di ogni potere politico di cui partecipano i principi particolari, e perciò è ‘magis causa’\".", "labels": [[5, 20, "PER"], [22, 31, "PER"], [36, 38, "ORG"], [40, 42, "MISC"], [78, 98, "PER"], [107, 117, "LOC"], [235, 241, "LOC"], [246, 265, "PER"], [374, 394, "MISC"], [402, 407, "PER"], [490, 500, "MISC"], [584, 591, "PER"], [593, 606, "PER"], [609, 622, "PER"], [625, 630, "PER"], [663, 668, "PER"], [765, 770, "PER"], [820, 827, "LOC"], [921, 922, "MISC"], [1013, 1014, "MISC"]]} +{"text": "che la libertà, \"tra i vocaboli centrali del mondo dantesco\" (Bruno Bernabei, Libertà, in ED, III, 1971, p. 641), in questo luogo sia \"sentita, più che come esigenza morale, come supremo attributo della razionalità\" (Vinay), pare considerazione un poco avventata, probabilmente nel ricordo di Cv III xiv 9-10, dove \"la nobile anima d’ingegno\" è detta \"libera ne la sua propria potestate\" in base al canone aristotelico \"che quella cosa è libera che per sua cagione è, non per altrui\" (v. più sotto, I xii 8, con richiamo a Metaphysica, 982 b 25-6). Credo superflua ogni correzione di tipo conciliatorio (v. Pizzica 1988, p. 224 nota 1). Non sarà invece superfluo ricordare che il diritto romano giustinianeo, tra le sue rare definizioni, ne possiede una della libertas. Un frammento di Fiorentino dice infatti che la libertà è una facoltà naturale, e che la schiavitù è un istituto del diritto delle genti contrario a natura: \"Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur. Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur\" (Dig. 1, 5, 4, pr.-§ 1: Mommsen-Krüger, I, p. 7): la libertà, che consiste nella capacità di possedere diritti e nell’assenza di uno stato di soggezione, è un diritto naturale innato in ogni essere umano, o per dirla altrimenti ogni uomo è in origine libero. Per tutto ciò v. l’insuperato studio di Wirszubski 1957.", "labels": [[62, 76, "PER"], [78, 85, "LOC"], [90, 92, "ORG"], [94, 97, "MISC"], [217, 222, "MISC"], [293, 299, "PER"], [499, 506, "MISC"], [523, 534, "LOC"], [604, 619, "MISC"], [786, 796, "LOC"], [1118, 1121, "PER"], [1132, 1139, "MISC"], [1141, 1148, "PER"], [1149, 1155, "PER"], [1157, 1158, "PER"], [1416, 1431, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Cv I viii 14: \"la vertù dee avere atto libero e non sforzato\"; opportunamente Kay si appella al significato di \"“full discretion” [...] in Roman law\", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel \"liberum arbitrium\" di Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3 e nel \"plenum arbitrium\" di Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). Vinay ricorda invece Pg VI 130-132 (\"Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca\"), sostenendo però curiosamente che mentre là \"la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”\", qui \"è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione\". Cfr. l’importante voce Arbitrio di Sofia Vanni Rovighi, in ED, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [339, 353, "WORK_OF_ART"], [8, 14, "MISC"], [83, 86, "PER"], [144, 153, "MISC"], [237, 240, "PER"], [327, 330, "PER"], [365, 372, "PER"], [373, 379, "PER"], [381, 382, "PER"], [402, 407, "PER"], [423, 432, "MISC"], [686, 687, "MISC"], [717, 720, "MISC"], [724, 725, "MISC"], [725, 736, "MISC"], [829, 860, "MISC"], [865, 867, "MISC"], [869, 870, "MISC"]]} +{"text": "Boezio, In lib. Aristotelis (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: \"sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis de voluntate iudicium\"; cfr. anche Id., Consolatio Philosophiae, V 2 2-6, sulla \"arbitrii libertas\" come \"volendi nolendique libertas\" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di Vinay (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che \"il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”\", dall’altra sostiene che \"il passo non è perspicuo\", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: de voluntate risulta così gravemente frainteso: \"Nessun dubbio che “de voluntate” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”\" (p. 70); inoltre non è \"la formula adoperata dai “multi”\" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i multi, che saranno senz’altro i \"commentatori di Pier Lombardo, Sententiae, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum de voluntate iudicium”\". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale \"avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “de voluntate” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis\" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione \"libero giudizio portato sulla volontà\", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di Pézard, il quale ammette che \"l’expression est douteuse\" ma respinge come \"étrange\" la proposta di Vinay, traducendo invece \"un jugement librement formé par la volonté\" e spiegando (p. 649): \"Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine\". Lo ricalca Livi 2002: \"un libre jugement formulé par la volonté\". Ficino ha semplicemente \"libero g[i]udicio di volontà\", e l’Anonimo \"giudicie della volontà\". Per tutto ciò v. anche la voce Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40.", "labels": [[0, 6, "PER"], [8, 14, "MISC"], [16, 27, "MISC"], [33, 38, "MISC"], [44, 53, "PER"], [55, 57, "PER"], [182, 184, "PER"], [187, 210, "LOC"], [212, 217, "MISC"], [478, 483, "PER"], [533, 544, "MISC"], [574, 576, "MISC"], [607, 608, "MISC"], [624, 630, "PER"], [650, 652, "MISC"], [863, 869, "LOC"], [956, 961, "PER"], [1057, 1058, "MISC"], [1081, 1082, "MISC"], [1105, 1106, "MISC"], [1166, 1167, "MISC"], [1189, 1194, "PER"], [1364, 1377, "PER"], [1379, 1389, "LOC"], [1391, 1393, "LOC"], [1534, 1541, "PER"], [1618, 1620, "MISC"], [1626, 1627, "MISC"], [1676, 1677, "MISC"], [1988, 1994, "MISC"], [2087, 2092, "PER"], [2180, 2185, "PER"], [2265, 2269, "PER"], [2320, 2326, "PER"], [2352, 2362, "PER"], [2380, 2387, "LOC"], [2445, 2471, "MISC"], [2476, 2478, "MISC"], [2480, 2481, "MISC"]]} +{"text": "sulle intelligenze angeliche cfr. sopra, I iii 7; sui beati che non dismettono l’esercizio del libero arbitrio v. Giorgio Stabile, Volontà, in ED, V, 1976, p. 1139. \"La conseguenza che l’immutabilità del volere non sopprime il libero arbitrio nelle intelligenze separate le quali sono anzi perfettamente libere riposa su alcuni motivi della speculazione scolastica che ricorrono ripetutamente in S. Tommaso: negli angeli, volontà e appetito sono distinti come nell’uomo, quindi è identico il trinomio “apprehensio-iudicium-appetitus” con la differenza che negli angeli l’“iudicium” non risponde ad una “inquisitiva deliberatio consilii” ma ad una “subita acceptatio veritatis” (Summa theol., I, q. 49, art. III); la perfezione della loro libertà dipende da questa “subita acceptatio” che esclude a priori una sopraffazione dell’“appetitus” anche se questo dovesse intendersi per analogia all’“appetitus” umano\" (Vinay). Per il \"suggello poetico\" (Pizzica 1988) di tutto ciò cfr. Pg XVIII 55-60. Vedi anche la v. Sustanza di Alfonso Maierù, in ED, V, 1976, p. 495.", "labels": [[1012, 1020, "WORK_OF_ART"], [102, 129, "PER"], [131, 138, "PER"], [143, 145, "ORG"], [147, 148, "MISC"], [396, 406, "PER"], [678, 689, "MISC"], [692, 693, "PER"], [707, 710, "MISC"], [912, 917, "MISC"], [947, 959, "MISC"], [982, 987, "MISC"], [1009, 1020, "MISC"], [1024, 1038, "PER"], [1043, 1045, "ORG"], [1047, 1048, "MISC"]]} +{"text": "aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3", "labels": [[34, 37, "PER"], [11, 19, "WORK_OF_ART"], [14, 21, "PER"], [29, 37, "LOC"], [76, 92, "PER"], [94, 110, "PER"], [112, 119, "MISC"], [138, 141, "MISC"], [142, 146, "ORG"], [161, 165, "MISC"], [277, 280, "MISC"]]} +{"text": "corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: \"“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”\" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi \"traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo\", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): \"Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium...\". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la \"autocitazione [...], insolita e isolata\" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, \"dantesca o meno\" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla \"coeva alla redazione del trattato\"), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile \"l’ipotesi che si tratti di una interpolazione\", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"come dissi nella “Comedia” del Paradiso\") manchi in Ficino, che invece ha \"come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”\", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene \"esagerato\" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove \"incontestabili\" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: \"come iddii\" (Ficino), \"come Dii\" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso \"mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”\"; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (\"Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”\"), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: \"Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes\", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (\"Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]\"); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante \"si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste\", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: \"Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos\". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: \"E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta\".", "labels": [[22, 30, "PER"], [43, 50, "MISC"], [56, 57, "MISC"], [76, 79, "MISC"], [159, 162, "MISC"], [163, 164, "MISC"], [290, 313, "MISC"], [452, 466, "MISC"], [645, 655, "MISC"], [659, 670, "PER"], [684, 689, "MISC"], [693, 699, "MISC"], [730, 761, "ORG"], [792, 799, "PER"], [824, 847, "PER"], [849, 888, "MISC"], [890, 891, "PER"], [901, 903, "ORG"], [905, 910, "ORG"], [937, 969, "MISC"], [1077, 1089, "MISC"], [1096, 1106, "MISC"], [1146, 1159, "MISC"], [1185, 1198, "MISC"], [1240, 1245, "PER"], [1247, 1259, "PER"], [1261, 1270, "PER"], [1458, 1468, "MISC"], [1470, 1474, "MISC"], [1547, 1560, "LOC"], [1569, 1582, "LOC"], [1680, 1692, "PER"], [1728, 1734, "MISC"], [1829, 1834, "MISC"], [1857, 1863, "PER"], [1883, 1895, "MISC"], [1937, 1949, "MISC"], [2075, 2078, "MISC"], [2187, 2192, "PER"], [2253, 2263, "MISC"], [2316, 2321, "PER"], [2392, 2399, "LOC"], [2419, 2441, "LOC"], [2454, 2460, "PER"], [2501, 2529, "MISC"], [2666, 2676, "MISC"], [2750, 2777, "MISC"], [2784, 2793, "MISC"], [2795, 2807, "MISC"], [2889, 2900, "MISC"], [2934, 2945, "MISC"], [2951, 2954, "MISC"], [2963, 2974, "MISC"], [3133, 3143, "PER"], [3153, 3155, "MISC"], [3200, 3201, "MISC"], [3205, 3208, "LOC"], [3221, 3236, "ORG"], [3250, 3263, "MISC"], [3288, 3303, "MISC"], [3312, 3324, "MISC"], [3336, 3345, "MISC"], [3626, 3631, "PER"], [3777, 3783, "PER"], [3792, 3795, "PER"], [3798, 3805, "LOC"], [3820, 3821, "LOC"], [3822, 3838, "MISC"], [3856, 3861, "PER"], [4027, 4035, "MISC"], [4092, 4100, "PER"], [4102, 4105, "MISC"], [4245, 4257, "MISC"], [4268, 4271, "PER"], [4363, 4376, "MISC"], [4390, 4395, "MISC"], [4410, 4417, "PER"], [4420, 4426, "PER"], [4428, 4444, "PER"], [4446, 4454, "MISC"], [4462, 4466, "MISC"], [4510, 4514, "LOC"], [4751, 4756, "PER"], [4847, 4852, "PER"], [4869, 4874, "PER"], [4961, 4967, "LOC"], [4969, 4992, "LOC"], [4994, 5003, "MISC"], [5276, 5281, "PER"], [5408, 5419, "MISC"], [5448, 5451, "MISC"], [5480, 5490, "MISC"], [5664, 5669, "PER"], [5728, 5737, "MISC"], [5996, 6006, "PER"], [6019, 6029, "MISC"], [6045, 6050, "PER"]]} +{"text": "\"come nella “Metafisicha” dicie Aristotile\" (Ficino); ricalca, come al solito, l’Anonimo: \"come al Filosafo piacie inel libro “Di simpliciter ente”\". Così anche più oltre, I xiii 3; I xv 2; e III xiv 6; cfr. Aristotele, Mataphysica, 982 b 25-6; \"ma nel testo aristotelico si parla dell’“uomo che diciamo libero”\" (Nardi). Dante lo ricorda in Cv III xiv 10: \"e lo Filosofo dice, nel secondo della Metafisica, che quella cosa è libera, che per sua cagione è, non per altrui\".", "labels": [[12, 24, "MISC"], [45, 51, "PER"], [81, 88, "LOC"], [99, 107, "ORG"], [126, 127, "MISC"], [172, 180, "MISC"], [192, 195, "MISC"], [208, 218, "PER"], [220, 231, "PER"], [314, 319, "PER"], [322, 327, "PER"], [342, 348, "MISC"], [363, 371, "PER"], [396, 406, "ORG"]]} +{"text": "sono raddrizzate le forme politiche deviate o perverse, cioè le tirannidi come esiti della corruzione delle rette costituzioni: v. Aristotele, Politica, 1279 a 23-39 (cfr. sopra, I II 6). Plastica la resa ficiniana: le torte republiche si dirizano; senza senso l'Anonimo, il cui volgarizzamento (però che allora solo politichamente siamo reti obliquamente) riflette una lezione assai vicina a quella di M, c. 14v: Tunc enim politicem dirigimur oblique", "labels": [[128, 141, "PER"], [143, 151, "PER"], [179, 185, "MISC"], [263, 270, "ORG"], [403, 404, "MISC"]]} +{"text": "è la servitus \"que morti comparatur\", come scrive Bartolo nel De regimine civitatis (ed. Quaglioni 1983, p. 158), allegando una celebre regula iuris in Dig. 50, 17, 209 (Mommsen-Krüger, I, p. 873). Anche Cassell richiama qui Bartolo, non a torto come \"Dante’s follower\".", "labels": [[50, 57, "LOC"], [62, 83, "ORG"], [152, 155, "MISC"], [170, 177, "PER"], [178, 184, "PER"], [186, 187, "PER"], [204, 211, "PER"], [225, 232, "LOC"], [252, 257, "PER"]]} +{"text": "\"reghono\" (Ficino); \"e politizare\" (Anonimo). Nardi traduce \"ben governano\", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: \"Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke\". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.", "labels": [[46, 51, "PER"], [11, 17, "PER"], [36, 43, "LOC"], [225, 230, "PER"], [263, 273, "MISC"], [282, 287, "PER"], [300, 305, "PER"], [381, 384, "MISC"], [387, 389, "MISC"], [396, 410, "MISC"], [435, 449, "MISC"], [451, 452, "MISC"], [463, 465, "MISC"], [485, 489, "MISC"], [498, 500, "PER"], [525, 535, "MISC"], [542, 543, "MISC"], [553, 562, "MISC"], [616, 637, "LOC"], [645, 652, "PER"], [667, 674, "PER"], [684, 689, "PER"], [690, 703, "MISC"], [763, 773, "PER"], [786, 791, "PER"]]} +{"text": "Honde Aristotile nella \"Politicha\"; cfr. Aristotele, Politica, 1276 b 16 – 1278 b 5", "labels": [[0, 16, "PER"], [24, 33, "PER"], [41, 51, "PER"], [53, 61, "PER"]]} +{"text": "Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)", "labels": [[383, 391, "WORK_OF_ART"], [588, 596, "WORK_OF_ART"], [0, 7, "PER"], [97, 126, "MISC"], [206, 212, "LOC"], [216, 226, "PER"], [261, 268, "PER"], [313, 318, "PER"], [329, 336, "PER"], [367, 391, "MISC"], [413, 438, "MISC"], [532, 538, "PER"], [554, 559, "PER"], [890, 903, "PER"], [919, 947, "PER"], [963, 972, "PER"], [1030, 1036, "PER"], [1157, 1164, "ORG"], [1344, 1349, "PER"], [1383, 1389, "PER"], [1478, 1493, "MISC"], [1519, 1524, "PER"], [1566, 1572, "LOC"], [1594, 1603, "MISC"], [1644, 1647, "MISC"]]} +{"text": "gens, gentem non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui \"la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica\" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regimine principum, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622).", "labels": [[0, 4, "PER"], [6, 12, "PER"], [59, 67, "PER"], [340, 356, "PER"], [358, 374, "PER"], [376, 383, "MISC"], [403, 410, "PER"], [414, 419, "LOC"], [444, 465, "MISC"], [467, 473, "MISC"], [533, 549, "PER"], [551, 558, "PER"], [562, 567, "LOC"], [572, 574, "ORG"], [576, 577, "MISC"]]} +{"text": "giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di \"minister omnium\", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di \"minister dei\", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987", "labels": [[22, 25, "PER"], [188, 200, "LOC"], [206, 218, "MISC"], [220, 221, "LOC"], [287, 305, "PER"], [316, 328, "MISC"], [438, 443, "PER"], [757, 759, "MISC"], [815, 820, "MISC"], [827, 834, "PER"], [839, 860, "MISC"], [862, 865, "MISC"], [870, 891, "PER"], [896, 908, "ORG"], [910, 914, "ORG"], [994, 1012, "PER"], [1033, 1046, "MISC"], [1048, 1058, "PER"], [1168, 1173, "PER"], [1183, 1195, "MISC"], [1269, 1283, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I XI 20. Cassell dà, con Vinay e Kay, alla ripetizione di potest il significato di un'enfasi sulla perfezione potenziale della monarchia. Leggiamo in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere", "labels": [[494, 499, "WORK_OF_ART"], [14, 19, "MISC"], [21, 28, "PER"], [37, 42, "PER"], [45, 48, "PER"], [150, 158, "PER"], [162, 178, "PER"], [180, 196, "PER"], [198, 205, "MISC"], [470, 481, "PER"], [492, 499, "MISC"], [514, 563, "MISC"]]} +{"text": "inconferente l'allegazione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1110 a 2-3, proposta da Kay", "labels": [[30, 40, "PER"], [42, 48, "PER"], [52, 62, "PER"], [88, 91, "PER"]]} +{"text": "Aristotile nella \"Metafisicha\"; cfr. sopra, I XII 8; riassume Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; corrisponde a quanto Dante, allegando però il libro VII della Metafisica (1032 a 18) scrive in Cv IV X 8: \"Ove è da sapere che, sé come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un'altra, generasi di quella, essendo in quello essere\". Cassell osserva che \"Dante applies the concept to the Church\", più avanti, III, XIV, 6", "labels": [[162, 172, "WORK_OF_ART"], [18, 29, "LOC"], [62, 72, "PER"], [74, 85, "PER"], [121, 126, "PER"], [195, 200, "MISC"], [245, 253, "MISC"], [381, 391, "LOC"], [479, 486, "PER"], [500, 505, "PER"], [554, 557, "PER"], [559, 562, "PER"]]} +{"text": "Gn 27, 1-29: i fatti, benché ingannevoli (come le mani ricoperte di pelle di capretto e le vesti indossate da Giacobbe in luogo del fratello Esaù, che indussero Isacco ormai cieco e morente a scambiare Giacobbe per il figlio primogenito, benedicendolo e ponendolo a capo della sua famiglia) sono più forti delle parole (come il suono della voce, che Isacco riconobbe per quello di Giacobbe, ma che non fu sufficiente a convincerlo della sua vera identità). In Vinay, potuerunt per persuaserunt è, come registrano Ricci 1965 e Nardi, una svista del Rostagno. Cfr. la v. Giacobbe di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 145-6; Cremascoli 2011, p. 35 e note 19-20, richiama a questo proposito il Contra mendacium di Agostino", "labels": [[569, 577, "PER"], [110, 118, "PER"], [141, 145, "PER"], [161, 167, "PER"], [202, 210, "PER"], [350, 356, "PER"], [381, 389, "PER"], [460, 465, "PER"], [513, 523, "MISC"], [526, 531, "PER"], [548, 556, "PER"], [581, 601, "PER"], [606, 608, "MISC"], [610, 613, "MISC"], [632, 647, "MISC"], [700, 728, "LOC"]]} +{"text": "Honde Aristotile \"A Nicomaco\" (Ficino); Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere", "labels": [[0, 16, "PER"], [20, 28, "MISC"], [31, 37, "PER"], [40, 50, "PER"], [52, 58, "PER"], [62, 72, "PER"]]} +{"text": "cfr. sopra, I XI 5. D. si riferisce qui agli \"habitus\" propriamente umani, a quelli cioè che l'uomo non riceve direttamente dalla natura né da Dio, ma deve crearsi con le proprie forze, ad es. le virtù, la scienza ecc. Per creare un \"habitus\" occorre ripetere determinati atti e occorrerà ripeterli tanto meno quanto minore sarà l'opposizione attiva o passiva offerta dal corpo o dalle facoltà dell'anima o dall'uno o dalle altre. Così sarà tanto più facile acquistare l'abito alla scienza quanto il corpo sarà più resistente alla fatica o più pronta la memoria; sarà tanto più facile creare l'abito alla giustizia quanto minore sarà la resistenza della cupidigia, come è detto subito dopo (cfr. Summa theol., 1a 2ae, q. 49 sgg.) (Vinay). Kay ricorda le frequenti menzioni dell'abito di scienza in Cv I I 2 e 6; II XIII 6; III XIII 9; v. anche la nota di G. Gorni a Vn 16, 1, nel vol. I di questa edizione, p. 963. Riferendosi a questo luogo Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 963, scrive che l'abito della v. filosofica è l'insieme delle virtù che sostengono l'uomo nell'acquisizione della v. investigata dalla filosofia", "labels": [[696, 707, "WORK_OF_ART"], [14, 18, "MISC"], [20, 22, "MISC"], [143, 146, "MISC"], [731, 736, "MISC"], [739, 742, "PER"], [798, 802, "MISC"], [855, 863, "PER"], [866, 871, "MISC"], [942, 956, "PER"], [958, 964, "PER"], [969, 971, "MISC"], [973, 974, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I XI 6, 11 e 14; e si ricordi ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori. Cfr. anche la v. Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, p. 1138", "labels": [[301, 308, "WORK_OF_ART"], [14, 18, "MISC"], [49, 65, "PER"], [67, 83, "PER"], [85, 92, "MISC"], [107, 111, "MISC"], [312, 327, "PER"], [332, 334, "ORG"], [336, 337, "MISC"]]} +{"text": "Dante disegna qui con estrema concisione il paradigma della relazione tra diritti propri e diritto comune, ricordando che gli statuti cittadini (chiamati leges municipales, con precisione tecnica che si ritrova già, ad esempio, nella Glossa accursiana a Dig. 1, 1, 9) ricevono un'interpretazione passiva dal ius commune, in quanto norme nessariamente lacunose – non semplicemente difettose (Pizzica 1988), imperfette (Nardi), insufficienti (Vinay), défaillantes (Pézard), ma defective (Shaw 1996) in senso tecnico – e dunque bisognose di correctio, di corretione, come con altrettanta precisione tecnica sottolinea Ficino (p. 346); solito calco nell'Anonimo: àno di bisogno d'opera direttiva. La princeps K, riflettendo le incertezze di una parte dei codici β, ha directione. Per tutte le questioni relative alla dottrina degli statuti e alla loro interpretazione cfr. Sbriccoli 1969", "labels": [[254, 257, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [234, 257, "MISC"], [391, 403, "MISC"], [418, 423, "PER"], [441, 446, "PER"], [463, 469, "PER"], [486, 495, "MISC"], [615, 621, "PER"], [650, 658, "MISC"], [705, 706, "LOC"]]} +{"text": "è la lezione dell’intiera tradizione manoscritta, nella quale Favati 1970, p. 7 nota 15, non ha ravvisato errore; anche Ficino legge \"tra·lloro\". Difesa da Nardi, per Ricci 1965 e Shaw 2009, Introduzione, pp. 245-6 e note 73-4, è errore d’archetipo da correggersi con intra se, come nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"intra di sé\") e secondo Bigongiari 1950, p. 86 (poi in Bigongiari 1964, p. 37). Che sia una \"felice correzione\" Ricci 1965 lo scrive in apparato, spiegando nell’Introduzione, p. 48, che Dante allude alle \"leggi particolari adatte alle locali esigenze di ciascuna comunità\", senza riguardo \"a rapporti intercorrenti tra le varie comunità, ma invece alle caratteristiche (proprietates) che ciascuna ha in se stessa (intra se)\"; e conclude sottolineando che è facile comprendere come \"lo scambio tra intra e inter sia nato da un’abbreviazione non bene sciolta\". Nardi rifiuta con ragione la correzione sulla base del successivo accenno alle differenze fra ordinamenti. Dante infatti non ha in mente alcun “carattere intrinseco”, ma il concetto relazionale di iura propria, di “diritti propri”, che sono tali per ciascun populus in rapporto agli iura communia, agli istituti del diritto delle genti e del diritto naturale, secondo lo schema che ha origine da Gaio in Dig. 1, 1 (de iustitia et iure), 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 1): \"Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur\". Sono queste le proprietates, le particolarità, le differenze specifiche dei “tra di loro”, nationes, regna et civitates inter se.", "labels": [[877, 882, "PER"], [1281, 1284, "WORK_OF_ART"], [1292, 1311, "WORK_OF_ART"], [13, 48, "MISC"], [62, 73, "MISC"], [120, 126, "PER"], [156, 161, "PER"], [167, 177, "MISC"], [180, 189, "MISC"], [191, 203, "MISC"], [308, 315, "LOC"], [342, 352, "PER"], [373, 388, "MISC"], [430, 440, "MISC"], [479, 491, "PER"], [504, 509, "PER"], [841, 844, "MISC"], [984, 989, "PER"], [1273, 1284, "PER"], [1317, 1324, "PER"], [1325, 1331, "PER"], [1333, 1334, "PER"], [1344, 1349, "PER"]]} +{"text": "non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion", "labels": [[38, 50, "MISC"], [82, 97, "MISC"], [137, 141, "PER"], [146, 163, "MISC"], [167, 174, "PER"], [176, 187, "PER"], [189, 192, "MISC"], [195, 206, "MISC"], [225, 236, "PER"], [238, 252, "PER"], [341, 350, "PER"], [352, 358, "MISC"], [377, 393, "PER"], [395, 411, "PER"], [413, 420, "MISC"], [435, 489, "MISC"], [506, 539, "MISC"], [584, 589, "PER"], [613, 620, "LOC"], [622, 625, "PER"]]} \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_1.jsonl b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_1.jsonl new file mode 100644 index 0000000..b667fb3 --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_1.jsonl @@ -0,0 +1,100 @@ +{"text": "per Brugnoli il solenne incipit ricalca certamente Sallustio, Catilinae coniuratio, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit; il luogo era noto a Dante probabilmente attraverso monita o forse per un tramite simile a Isidoro, Etymologiae, XI 15 che pure riporta in parte e per lo stesso scopo di D. il prologo di Sallustio (Giorgio Brugnoli, Sallustio Crispo, Caio, in ED, IV, 1973, p. 1077)", "labels": [[4, 12, "LOC"], [51, 60, "PER"], [62, 71, "PER"], [84, 88, "MISC"], [307, 312, "PER"], [377, 384, "PER"], [386, 397, "PER"], [399, 401, "MISC"], [456, 458, "MISC"], [473, 482, "PER"], [484, 500, "PER"], [502, 518, "PER"], [520, 524, "LOC"], [529, 531, "ORG"], [533, 535, "MISC"]]} +{"text": "per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come \"Dio\" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: \"la natura di sopra, cioè Dio\"), ritenendola una \"espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”\" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo \"dall’alto\", né mi pare più appropriato tradurre \"una forza soprannaturale\" (Ronconi 1966). Che \"non di tutti gli uomini\" si parli qui, \"né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità\" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale \"Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7\". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: \"c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques\", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: \"La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal\"); a \"lo motor primo\" di Pg XXV 70 rinvia Kay: \"Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know\". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità \"with a formula common in the study of law\", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che \"all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare\" (come in VE I iv 6: \"imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est\").", "labels": [[84, 106, "PER"], [108, 114, "LOC"], [119, 121, "MISC"], [123, 124, "MISC"], [164, 169, "PER"], [295, 298, "MISC"], [311, 312, "MISC"], [338, 345, "LOC"], [381, 384, "MISC"], [525, 530, "PER"], [804, 808, "PER"], [896, 906, "MISC"], [931, 936, "PER"], [960, 965, "PER"], [1006, 1029, "MISC"], [1031, 1032, "MISC"], [1083, 1084, "MISC"], [1121, 1122, "MISC"], [1163, 1173, "PER"], [1266, 1274, "PER"], [1297, 1300, "MISC"], [1462, 1463, "MISC"], [1500, 1501, "MISC"], [1569, 1579, "PER"], [1589, 1594, "PER"], [1822, 1830, "PER"], [1832, 1836, "MISC"], [1869, 1870, "MISC"], [1910, 1918, "MISC"], [1954, 1963, "LOC"], [1986, 1994, "MISC"], [1996, 2000, "MISC"], [2049, 2053, "MISC"], [2061, 2066, "MISC"], [2081, 2093, "MISC"], [2096, 2102, "LOC"], [2111, 2117, "LOC"], [2135, 2139, "LOC"], [2209, 2220, "MISC"], [2244, 2247, "MISC"], [2302, 2311, "MISC"], [2319, 2322, "MISC"], [2325, 2330, "PER"], [2337, 2340, "PER"], [2446, 2453, "LOC"], [2459, 2466, "PER"], [2715, 2723, "PER"], [2734, 2742, "PER"], [2775, 2782, "MISC"], [2821, 2828, "MISC"], [2831, 2840, "MISC"], [2843, 2845, "MISC"], [2857, 2869, "PER"], [2871, 2877, "LOC"], [2882, 2884, "MISC"], [2886, 2888, "MISC"], [2943, 2944, "MISC"], [3009, 3018, "MISC"]]} +{"text": "l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a \"public teachings\", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)", "labels": [[1936, 1941, "PER"], [2597, 2605, "WORK_OF_ART"], [102, 113, "PER"], [174, 181, "PER"], [505, 512, "PER"], [554, 570, "MISC"], [738, 746, "MISC"], [833, 837, "ORG"], [909, 926, "MISC"], [962, 967, "PER"], [995, 1007, "MISC"], [1048, 1063, "MISC"], [1065, 1070, "MISC"], [1144, 1150, "MISC"], [1301, 1310, "MISC"], [1312, 1316, "MISC"], [1321, 1325, "ORG"], [1468, 1473, "PER"], [1567, 1574, "LOC"], [1754, 1776, "ORG"], [1780, 1798, "PER"], [1883, 1889, "ORG"], [2012, 2022, "PER"], [2066, 2075, "MISC"], [2141, 2144, "PER"], [2501, 2506, "PER"], [2562, 2568, "MISC"], [2580, 2605, "PER"], [2613, 2629, "MISC"], [2633, 2645, "MISC"], [2675, 2681, "PER"], [2684, 2692, "PER"]]} +{"text": "la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra", "labels": [[63, 68, "MISC"], [113, 118, "MISC"], [128, 133, "PER"], [156, 172, "PER"], [177, 210, "PER"], [234, 249, "PER"], [263, 276, "PER"], [280, 288, "PER"], [328, 342, "PER"], [362, 376, "PER"], [397, 402, "PER"], [420, 433, "PER"], [437, 452, "PER"], [456, 461, "LOC"]]} +{"text": "alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di publice in E, come se il suo codice avesse posteritati traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la ratio del ius publicum nella partizione scolastica di pubblico e privato in Inst. 1, 1, § 4 e in Dig. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (Vinay, Ronconi 1966), a pro del viver civile (Nardi), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (Imbach); the benefit of all (Shaw 2006). Pézard non traduce", "labels": [[31, 38, "ORG"], [40, 46, "PER"], [294, 298, "MISC"], [315, 318, "LOC"], [333, 340, "PER"], [341, 347, "PER"], [349, 350, "PER"], [427, 432, "MISC"], [434, 441, "LOC"], [473, 478, "MISC"], [503, 515, "MISC"], [539, 545, "LOC"], [547, 553, "LOC"], [576, 585, "MISC"], [588, 594, "PER"]]} +{"text": "“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: \"Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere\". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): \"Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret\" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: \"Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant\" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: \"monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps\" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: \"Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur\" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia \"temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum\" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive \"universale dominium dicitur monarchia\" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: \"monarchia sive gubernatio unius regis\" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).", "labels": [[157, 159, "WORK_OF_ART"], [0, 1, "MISC"], [36, 37, "MISC"], [73, 79, "MISC"], [96, 114, "PER"], [116, 125, "LOC"], [130, 132, "MISC"], [134, 135, "MISC"], [160, 162, "MISC"], [170, 179, "MISC"], [284, 312, "PER"], [344, 352, "PER"], [420, 430, "PER"], [450, 464, "PER"], [964, 967, "LOC"], [1169, 1172, "LOC"], [1355, 1363, "LOC"], [1375, 1386, "MISC"], [1388, 1397, "MISC"], [1418, 1421, "MISC"], [1423, 1438, "PER"], [1440, 1457, "MISC"], [1493, 1495, "MISC"], [1504, 1511, "MISC"], [1543, 1555, "PER"], [1746, 1748, "MISC"], [1820, 1825, "LOC"], [1843, 1860, "ORG"], [1917, 1934, "PER"], [1936, 1951, "PER"], [1957, 1967, "ORG"], [1978, 1995, "MISC"], [1998, 2004, "LOC"], [2062, 2068, "PER"], [2076, 2085, "PER"], [2087, 2088, "MISC"], [2117, 2126, "MISC"], [2136, 2139, "PER"], [2180, 2186, "LOC"], [2202, 2218, "ORG"], [2220, 2227, "MISC"], [2229, 2230, "MISC"], [2244, 2251, "PER"], [2282, 2299, "PER"], [2323, 2361, "PER"], [2363, 2379, "MISC"], [2394, 2415, "PER"], [2418, 2434, "PER"], [2440, 2446, "PER"], [2477, 2487, "MISC"], [2489, 2496, "MISC"], [2498, 2499, "MISC"], [2513, 2520, "PER"], [2582, 2604, "ORG"], [2620, 2623, "MISC"], [2678, 2690, "MISC"], [2728, 2765, "PER"], [2767, 2781, "MISC"], [2839, 2861, "PER"], [2863, 2869, "PER"], [2884, 2888, "MISC"], [2911, 2916, "MISC"], [2994, 3004, "MISC"], [3009, 3026, "MISC"], [3032, 3039, "PER"], [3093, 3098, "PER"], [3204, 3211, "PER"], [3218, 3224, "LOC"], [3304, 3322, "PER"], [3351, 3365, "LOC"], [3527, 3533, "MISC"], [3535, 3536, "MISC"], [3551, 3567, "PER"], [3595, 3600, "PER"], [3606, 3629, "MISC"], [3678, 3683, "PER"], [3716, 3723, "LOC"], [3736, 3737, "MISC"], [3811, 3832, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (\"lo fondamento radicale della imperiale maiestade\"), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.", "labels": [[19, 22, "PER"], [48, 53, "PER"], [91, 96, "PER"], [295, 306, "MISC"], [310, 311, "MISC"], [368, 378, "MISC"], [490, 495, "PER"], [590, 600, "MISC"], [651, 656, "PER"], [681, 688, "PER"], [690, 697, "PER"], [701, 706, "LOC"], [712, 733, "MISC"], [737, 755, "PER"], [761, 777, "MISC"]]} +{"text": "l'Anonimo ha sopra tutti, Ficino in quelle cose. Così tra i moderni anche Nardi, tra quelle cose e su quelle cose, Imbach, in allem und über alles, e Shaw 1996, in those things and over those things. Non vedo ragioni per intendere in ciò e al di sopra di ciò (Marcelli-Martelli 2004), e meno che mai tra quelle istituzioni che si definiscono in un ambito temporale e tuttavia superiore ad esse, come traduce Pizzica 1988, che segue Ricci 1965 rinviando a Cv IV IV 7; l' però Dante, con trasparente allusione al principio romanistico Quod principi placuit, legis habet vigorem (Dig. 1, 4, 1 pr.: Mommsen-Krüger, I, p. 7), si limita a definire l'ufficio della maiestas imperiale come vertice del potere: E questo officio per eccellenza Imperio è chiamato, sanza nulla addizione, però che esso è di tutti li altri comandamenti comandamento. E così chi a questo officio è posto è chiamato Imperadore, però che di tutti li comandatori elli è comandatore, e quello che esso dice a tutti è legge, e per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade. E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade essere altissima nell'umana compagnia. Io penso invece a Cv IV IX 8-9, dove appunto si ricorda che all'imperatore si deve un'obbedienza legittima, cioè limitata alla sua iurisdictio (che non eccede il temporale): questo officiale [...] di cui si parla, cioè lo Imperadore, al quale tanto quanto le nostre operazioni propie, che dette sono, si stendono, siamo subietti; e più oltre no; cfr. più sotto, I XIV 7", "labels": [[2, 9, "ORG"], [26, 32, "PER"], [74, 79, "PER"], [115, 121, "PER"], [150, 159, "MISC"], [260, 282, "MISC"], [408, 420, "MISC"], [432, 442, "MISC"], [455, 465, "MISC"], [475, 480, "PER"], [533, 537, "PER"], [577, 580, "ORG"], [595, 602, "PER"], [603, 609, "PER"], [611, 612, "PER"], [734, 741, "PER"], [885, 895, "MISC"], [1210, 1215, "MISC"], [1414, 1424, "LOC"], [1554, 1561, "MISC"]]} +{"text": "ogni verità che nonn-è prencipio (Ficino), ongni verità che non è principio (Anonimo). Così con pulizia anche Nardi: ogni verità che non sia un principio. Non si vede la necessità di tradurre ogni verità che non sia assiomatica (Pizzica 1988), troppo distante dalla terminologia dantesca; similmente Ronconi 1966: un postulato; Vinay preferisce parafrasare: Per risolvere tali problemi, la prima cosa da fare mi sembra sia ricercare un principio tale da poter fondare su di esso il seguito del discorso, allegando il commento tomista ai Secondi Analitici di Aristotele (99 b 20), sulla necessità, per ogni scienza dimostrativa, di procedere da proposizioni per sé evidenti: necesse est quod demonstrativa scientia, idest que per demonstrationem acquiritur, procedat ex propositionibus veris primis et immediatis idest que non per aliquod medium demonstrantur sed per seipsas sunt manifeste. Si tratta appunto di ciò che Dante chiama lo fondamento radicale in Cv IV IV 1 (cfr. sopra, I I 5) e intelletto / de le prime notizie in Pg XVIII 55-6. Cfr. la voce Proposizione di Barbara Faes de Mottoni, ED, IV, 1973, pp. 710-1; Kay allega a proposito la voce Principio di Alfonso Maierù, ivi, pp. 673-7 (pp. 675-6 per il luogo in esame); e cfr. del compianto studioso anche la già citata voce Verità, in ED, V, 1976, pp. 962-4", "labels": [[34, 40, "PER"], [77, 84, "LOC"], [110, 115, "PER"], [229, 241, "MISC"], [300, 312, "MISC"], [328, 333, "PER"], [537, 554, "MISC"], [558, 568, "PER"], [920, 925, "PER"], [959, 964, "MISC"], [983, 988, "MISC"], [1028, 1039, "MISC"], [1056, 1068, "MISC"], [1072, 1095, "PER"], [1097, 1099, "MISC"], [1101, 1103, "MISC"], [1122, 1125, "PER"], [1153, 1162, "PER"], [1166, 1180, "PER"], [1287, 1293, "MISC"], [1298, 1300, "MISC"], [1302, 1303, "MISC"]]} +{"text": "qui tractatus ha il significato non generico di “raccolta ordinata di quaestiones intorno ad un unico soggetto”; stessa specificità ha il termine inquisitio, \"indagine\", \"inchiesta\", \"investigazione\" o solo \"inquisizione\" (Ficino e l’Anonimo, p. 129, conservano \"inquisitione\", \"inquisizione\"), termine tecnico che allude al procedere del giudizio per quaestiones, tanto nel dominio della logica quanto in quello della prassi giudiziale (ordo iudiciorum); v. la voce Inquisizione, in ED, III, 1971, p. 458, a proposito del luogo in esame e con rimando a Cicerone, De officiis, I 4 13 (\"veri inquisitio atque investigatio\"). Vinay intende \"una ricerca sillogistica\", Ronconi 1966 \"una ricerca deduttiva\" e Sanguineti 1985 \"un’indagine sillogistica\"; Kay spiega: \"an investigation that follows Aristotle’s scientific method\"; eludono il senso tecnico dell’espressione la traduzione \"una qualche ricerca\" (Marcelli-Martelli 2004).", "labels": [[4, 13, "MISC"], [48, 49, "MISC"], [223, 229, "PER"], [234, 241, "LOC"], [467, 479, "LOC"], [484, 486, "MISC"], [488, 491, "MISC"], [554, 562, "PER"], [564, 575, "MISC"], [577, 583, "MISC"], [624, 629, "PER"], [666, 678, "MISC"], [705, 715, "PER"], [722, 725, "MISC"], [749, 752, "PER"], [903, 911, "PER"]]} +{"text": "v. la voce Speculare di Emilio Pasquini, in ED, V, 1976, pp. 369-70. Vinay forza alquanto il testo col tradurre: \"vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico\". Spiega però opportunamente: \"È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica\". Nardi ricorda che \"per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a Conv., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica\". Si veda Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 16, Resp.: \"Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili\".", "labels": [[557, 562, "PER"], [11, 20, "MISC"], [24, 39, "PER"], [44, 46, "MISC"], [48, 49, "MISC"], [69, 74, "MISC"], [388, 389, "MISC"], [446, 447, "MISC"], [788, 792, "LOC"], [795, 797, "PER"], [815, 823, "LOC"], [899, 910, "PER"], [953, 958, "PER"], [961, 968, "PER"], [1022, 1030, "PER"], [1036, 1042, "PER"], [1053, 1060, "PER"], [1063, 1069, "PER"], [1071, 1087, "PER"], [1089, 1090, "PER"], [1106, 1110, "MISC"], [1114, 1123, "PER"], [1867, 1873, "PER"], [1962, 1974, "LOC"], [1987, 1998, "MISC"]]} +{"text": "bello e dantesco il ficiniano \"fonte et prencipio d’ogni repta civilità\"; bene anche l’Anonimo: \"fonte e principio di tutte le regole politiche\". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i \"retti ordinamenti civili\" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece \"droites formes d’état\" (Pézard), né \"retti ordinamenti statuali\" (Pizzica 1988), né \"das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen\" (Imbach). Ha ragione Kay di notare \"that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor\".", "labels": [[0, 5, "PER"], [245, 250, "PER"], [391, 401, "PER"], [403, 411, "PER"], [438, 459, "MISC"], [463, 476, "PER"], [503, 510, "PER"], [513, 519, "PER"], [525, 532, "PER"], [536, 541, "LOC"], [560, 574, "LOC"], [578, 586, "PER"], [593, 625, "MISC"], [673, 679, "PER"], [715, 727, "MISC"], [762, 780, "LOC"], [783, 789, "LOC"], [803, 806, "PER"], [823, 828, "PER"]]} +{"text": "come quello che per primo muove chi agisce (Nardi, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 674-5 e Imbach, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae", "labels": [[44, 49, "PER"], [171, 179, "PER"], [182, 193, "PER"], [198, 205, "PER"], [208, 215, "LOC"], [228, 242, "PER"], [244, 253, "PER"], [258, 260, "ORG"], [262, 264, "MISC"], [284, 290, "MISC"], [316, 332, "PER"], [334, 350, "PER"], [352, 361, "MISC"], [369, 373, "MISC"], [554, 559, "PER"], [862, 869, "PER"], [1017, 1024, "MISC"]]} +{"text": "universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"fine utile\"); F ha ultimus utilis e \"hultimo fine di civilità della generatione humana\" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: \"se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico\"; Nardi: \"se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano\"; Imbach: \"das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung\" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge \"la fin universelle du genre humain\"); e Shaw 1996: \"the purpose of the whole of human society\"; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: \"Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice\", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle \"forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga\" e sulla concezione dantesca della \"civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”\". Anche Vinay ricorda che in Dante \"il concetto è più sfumato e complesso\" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (\"ad sulcos bone civilitatis\") e VIII 3 (\"sancte civilitatis exempla\"), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e \"nettamente politico\", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: \"quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur\". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di \"sub eadem civilitatem morantes\". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è \"scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia\".", "labels": [[0, 11, "MISC"], [25, 31, "MISC"], [34, 35, "MISC"], [109, 110, "MISC"], [138, 145, "LOC"], [162, 163, "LOC"], [244, 250, "PER"], [284, 295, "MISC"], [304, 316, "MISC"], [417, 422, "PER"], [495, 500, "PER"], [577, 583, "PER"], [590, 640, "ORG"], [641, 648, "PER"], [654, 666, "MISC"], [723, 732, "MISC"], [876, 883, "MISC"], [918, 919, "MISC"], [1011, 1016, "MISC"], [1191, 1203, "MISC"], [1265, 1275, "MISC"], [1277, 1278, "MISC"], [1392, 1393, "MISC"], [1435, 1449, "PER"], [1505, 1526, "MISC"], [1674, 1680, "LOC"], [1746, 1747, "MISC"], [1824, 1830, "LOC"], [1900, 1905, "PER"], [1921, 1926, "PER"], [2053, 2059, "MISC"], [2072, 2078, "MISC"], [2112, 2118, "MISC"], [2250, 2257, "PER"], [2261, 2266, "LOC"], [2358, 2394, "MISC"], [2396, 2400, "MISC"], [2491, 2494, "PER"], [2594, 2603, "PER"], [2609, 2615, "MISC"], [2719, 2729, "MISC"], [2731, 2732, "MISC"], [2778, 2783, "PER"], [2842, 2852, "PER"], [2901, 2914, "PER"], [2919, 2940, "ORG"], [2991, 2996, "PER"], [3059, 3062, "MISC"], [3455, 3464, "MISC"]]} +{"text": "tutto l'uomo (Nardi, che cita Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097 b 24-33), non l'uomo nella sua totalità (Pizzica 1988)", "labels": [[14, 19, "PER"], [30, 40, "PER"], [42, 48, "PER"], [52, 62, "PER"], [110, 122, "MISC"]]} +{"text": "sull’importanza di questi passi e del \"procedimento astratto di ascesa dal particolare al generale\" v. la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, pp. 1356-7; qui così come in Mn I iii 4 e I v 6, vicinia non è il \"borgo\" (Vinay) o \"la struttura del borgo\" (Pizzica 1988), non la \"contrada\" (Sanguineti 1985) o il \"rione\" (Marcelli-Martelli 2004), e neppure \"il villaggio\" (Nardi; Imbach: \"ein Dorf\"), se non come una “struttura sociale-giuridica”; è la vicinanza di Cv IV iv 2: \"E sì come un uomo a sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famiglia, così una casa a sua sufficienza richiede una vicinanza: altrimenti molti difetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. E però che una vicinanza [a] sé non può in tutto satisfare, conviene a satisfacimento di quella essere la cittade. Ancora la cittade richiede alle sue arti e alle sue difensioni vicenda avere e fratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto lo regno\". La matrice aristotelica ovviamente risalta (cfr. Aristotele, Politica, 1252 a 24 – 1253 b 37, e v. in proposito la voce Politica di Enrico Berti, ED, I, 1970, p. 585, che nota la stretta aderenza alla fonte, la cui diretta conoscenza è invece contestata da Gilbert 1928). Qui è tracciata una \"interessante gradatio\" (Bruno Basile, Vicinanza, in ED, V, 1976, p. 10002), una gradazione ascendente che implica una scala delle potestà: da quella esercitata nella domus e nella vicinia, fino alla civitas e al regnum. Sia pure rovesciandone la sequenza, la ricalca con evidenza Bartolo, a poco più di una generazione dalla morte di Dante, nel suo De tyranno (ed. Quaglioni 1983, pp. 175-213).", "labels": [[114, 123, "PER"], [126, 136, "MISC"], [198, 208, "MISC"], [211, 216, "MISC"], [244, 249, "MISC"], [313, 328, "MISC"], [344, 366, "MISC"], [395, 400, "PER"], [402, 408, "LOC"], [415, 419, "LOC"], [488, 493, "MISC"], [1023, 1033, "PER"], [1035, 1043, "PER"], [1094, 1102, "MISC"], [1106, 1118, "PER"], [1120, 1125, "MISC"], [1231, 1238, "PER"], [1291, 1303, "PER"], [1305, 1314, "LOC"], [1319, 1321, "ORG"], [1323, 1324, "MISC"], [1547, 1554, "LOC"], [1601, 1606, "PER"], [1616, 1626, "MISC"]]} +{"text": "Vinay, pp. 16-7 nota 2, ricordando che su questo luogo, a pochissimi anni dalla morte di Dante, cominciò ad appuntarsi la polemica del Vernani (ed. Matteini 1958, pp. 10-6), avverte: Il passo va considerato attentamente perché essenziale ad una esatta interpretazione della Mon. D. dice che, come ogni membro del corpo umano risponde ad un fine diverso da quello delle sue parti, così la umanità risponde ad un fine diverso da quello dei singoli uomini e dei singoli raggruppamenti politico-sociali. Non so se tutto il ragionamento dantesco rientri, secondo parve al Vinay, come costruzione logica (non nei risultati a cui porta) nell'ortodossia tomistica, ma certo è utile il raffronto con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem", "labels": [[0, 5, "PER"], [89, 94, "PER"], [135, 142, "PER"], [148, 161, "MISC"], [274, 277, "ORG"], [567, 572, "MISC"], [691, 707, "PER"], [709, 725, "PER"], [727, 735, "MISC"], [743, 747, "MISC"], [750, 754, "LOC"], [1137, 1143, "PER"], [1351, 1354, "LOC"], [1514, 1524, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828. ARTE SUA, QUE NATURA EST: cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137", "labels": [[50, 71, "MISC"], [73, 74, "MISC"], [102, 116, "MISC"], [135, 137, "MISC"], [175, 180, "PER"], [227, 230, "MISC"], [316, 328, "PER"], [330, 336, "LOC"], [341, 343, "MISC"], [345, 347, "MISC"], [459, 475, "PER"], [477, 493, "PER"], [495, 496, "PER"], [511, 515, "MISC"], [518, 527, "PER"], [590, 623, "MISC"], [700, 705, "MISC"], [752, 758, "MISC"], [796, 801, "PER"], [843, 851, "PER"], [898, 902, "LOC"], [916, 919, "LOC"], [935, 942, "PER"], [943, 949, "PER"], [951, 952, "PER"], [1035, 1058, "MISC"], [1064, 1071, "PER"], [1128, 1141, "PER"], [1144, 1164, "MISC"], [1177, 1190, "MISC"], [1218, 1222, "MISC"], [1368, 1383, "PER"], [1403, 1412, "PER"], [1420, 1423, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828.", "labels": [[50, 71, "MISC"], [73, 74, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137", "labels": [[57, 62, "PER"], [109, 112, "MISC"], [198, 210, "PER"], [212, 218, "LOC"], [223, 225, "MISC"], [227, 229, "MISC"], [341, 357, "PER"], [359, 375, "PER"], [377, 378, "PER"], [393, 397, "MISC"], [400, 409, "PER"], [472, 505, "MISC"], [582, 587, "MISC"], [634, 640, "MISC"], [678, 683, "PER"], [725, 733, "PER"], [780, 784, "LOC"], [798, 801, "LOC"], [817, 824, "PER"], [825, 831, "PER"], [833, 834, "PER"], [917, 940, "MISC"], [946, 953, "PER"], [1010, 1023, "PER"], [1026, 1046, "MISC"], [1059, 1072, "MISC"], [1100, 1104, "MISC"], [1250, 1265, "PER"], [1285, 1294, "PER"], [1302, 1305, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, De caelo, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma cum Deus et natura in necessariis non deficiat. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso otiosum è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. Mn III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a \"indarno\", come in Cv III xv 8-9: \"A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato\". Pézard rimanda a Pd VIII 113-4: \"E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”\"; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: \"La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati\". Cassell nota che \"Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, “otiosum”, instead of William of Moerbeke’s rendering, “frustra”, in the De cælo et mundo\".", "labels": [[1246, 1262, "WORK_OF_ART"], [0, 10, "PER"], [12, 20, "PER"], [123, 152, "MISC"], [216, 228, "PER"], [230, 236, "LOC"], [241, 243, "MISC"], [245, 247, "MISC"], [264, 276, "MISC"], [384, 387, "MISC"], [414, 419, "PER"], [453, 459, "MISC"], [681, 690, "MISC"], [764, 784, "MISC"], [833, 839, "PER"], [850, 861, "MISC"], [872, 873, "MISC"], [929, 932, "MISC"], [956, 979, "MISC"], [1114, 1121, "PER"], [1132, 1137, "PER"], [1146, 1148, "PER"], [1150, 1164, "PER"], [1173, 1174, "MISC"], [1228, 1229, "MISC"], [1242, 1262, "MISC"]]} +{"text": "l'espressione ha carattere tecnico. L'operatio è essenziale nella perfezione delle creature, come argomenta Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis", "labels": [[108, 124, "PER"], [126, 142, "PER"], [144, 152, "MISC"], [160, 164, "MISC"], [167, 176, "PER"], [355, 360, "LOC"], [385, 396, "LOC"], [426, 441, "LOC"], [445, 449, "LOC"], [478, 513, "LOC"], [515, 519, "LOC"], [541, 546, "MISC"]]} +{"text": "in Ficino \"l’ultima forza\", nell’Anonimo \"potenzia ultima\". Vinay traduce ancora \"la proprietà specifica\"; Pézard \"l’affaire dernière\"; Ronconi 1966 e altri \"la massima facoltà\"; Imbach \"die äußerste Kraft\"; Gally 1993 \"la perfection suprême\"; Kay \"the highest power\". Nardi interpreta \"l’ultimo grado della potenza\", spiegando, pp. 294-6: \"tutto il discorso che segue non è altro che una parafrasi, da parte di Dante, di quanto abbiamo udito da Aristotele [Ethica ad Nicomachum, 1097 b 33 – 1098 a 17], per stabilire quale operatio è propria dell’uomo sì da potersi dire ultimum de potentia hominis. Lo Stagirita [...] si limita ad osservare che operazione propria dell’uomo non è la vita vegetativa ch’esso ha comune con le piante, né quella sensitiva che ha comune con gli altri animali privi di ragione [...]. Col suo discorso, insomma, Dante non fa altro che ribadire il concetto aristotelico che l’opus e l’operatio propria dell’uomo è l’esse apprehensivum per intellectum possibilem. E qui si debbono richiamare quei luoghi del Convivio ove lo stesso concetto è affermato con insolite vigoria e vivacità sfuggite al Ricci, e cioè II, vii, 3-4, IV, vii, 11-5, a dimostrare che chi da ragione si diparte, “morto è uomo e rimaso bestia”\".", "labels": [[269, 274, "PER"], [458, 478, "WORK_OF_ART"], [3, 9, "LOC"], [33, 40, "LOC"], [60, 65, "PER"], [107, 113, "PER"], [136, 143, "MISC"], [179, 185, "MISC"], [200, 205, "PER"], [208, 218, "MISC"], [244, 266, "MISC"], [412, 417, "PER"], [446, 456, "PER"], [468, 478, "PER"], [604, 613, "PER"], [701, 704, "MISC"], [841, 846, "PER"], [1035, 1043, "PER"], [1123, 1128, "MISC"], [1137, 1139, "PER"], [1151, 1158, "MISC"], [1210, 1211, "MISC"]]} +{"text": "Vinay spiega con il Compendium Theologiae tomista che il termine apprehensivum \"indica la capacità elementare di accogliere in sé delle forme\" mediante le facoltà sensitive; quanto all’intelletto possibile, \"id per quod homo intelligit\", appunto giusta la dottrina tomista, \"come potenza ricettiva invece che attiva di forma, non può compiere esso il lavorio occorrente ad astrarre dalle forme ‘particulares’ i concetti, cioè gli universali, che solo esso può accogliere perché costituiscono ciò ch’è veramente intelligibile\"; perciò è necessario porre un altro intelletto (l’intelletto agente), che renda intelligibili in atto le specie intelligibili in potenza (come la luce rende attualmente visibili i colori visibili solo potenzialmente, secondo esemplifica lo stesso Tommaso).", "labels": [[0, 5, "PER"], [20, 41, "MISC"], [407, 408, "MISC"], [496, 499, "MISC"], [773, 780, "PER"]]} +{"text": "traduco alla lettera, come del resto è già in Ficino (et none altro) e in molti dei moderni interpreti, a cominciare da Pézard; Gally 1993 ha uniquement intellectuelles, che echeggia il puramente intellettuali di Vinay, seguito da altri. Cfr. più oltre, I XII 5. Sono appunto queste le intelligenze angeliche che presiedono al moto dei corpi celesti, per le quali è d'obbligo il rimando a Cv II IV 1-17, dove Dante le definisce movitori [...] sustanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli, descrivendone il perfettissimo stato e affermando che lo 'ntelletto loro è uno e perpetuo, giacché esse non hanno altra operazione che l'intendere, come spiega Busnelli 1964 (I, p. 128), sottolineando una strettissima dipendenza di Dante dal Tommaso della Summa contra Gentiles, II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere. Per tutto ciò più in generale cfr. Bemrose 1983, p. 68. E", "labels": [[0, 20, "MISC"], [46, 52, "PER"], [120, 126, "PER"], [128, 138, "MISC"], [213, 218, "PER"], [254, 261, "MISC"], [389, 399, "MISC"], [409, 414, "PER"], [527, 533, "MISC"], [695, 708, "MISC"], [767, 772, "PER"], [777, 796, "PER"], [804, 812, "PER"], [814, 819, "MISC"], [917, 924, "PER"], [983, 987, "PER"], [1520, 1532, "MISC"]]} +{"text": "è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un \"intolerabilis error\", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha \"e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione\", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce \"et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo\"), lezione già ritenuta \"ineccepibile\" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò \"il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione\", giudicando il passo di difficile interpretazione \"per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”\"; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile \"imprecisione verbale\", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a \"non sunt nisi actu intelligentes\", perché \"in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico\", e respinge poi come \"poco dantesca\" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che \"le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici\" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto \"and their existence is nothing other than understanding that they are essences\", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’\"interciso\" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene \"sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo\"). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce \"their very being is simply the act of understanding that their own nature exists\". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: \"Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione\"; esso può dunque “tradurre” l’\"intelligere [...] continuum et semper\" delle creature angeliche che presiede al moto \"semper continuus\" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: \"E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione\"; e dove conclude (10-1 e 13): \"Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori\". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: \"È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”\". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: \"e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne\".", "labels": [[64, 75, "MISC"], [95, 102, "MISC"], [256, 259, "MISC"], [261, 287, "MISC"], [304, 310, "MISC"], [327, 339, "MISC"], [373, 388, "MISC"], [411, 417, "PER"], [482, 485, "MISC"], [573, 576, "MISC"], [717, 728, "MISC"], [757, 758, "MISC"], [776, 786, "MISC"], [805, 809, "MISC"], [853, 857, "MISC"], [864, 871, "MISC"], [903, 904, "MISC"], [906, 907, "MISC"], [921, 931, "MISC"], [960, 973, "LOC"], [1005, 1018, "LOC"], [1118, 1123, "PER"], [1327, 1329, "MISC"], [1432, 1433, "MISC"], [1471, 1478, "PER"], [1548, 1551, "MISC"], [1553, 1569, "MISC"], [1571, 1579, "MISC"], [1773, 1775, "MISC"], [1971, 1986, "MISC"], [2006, 2021, "MISC"], [2091, 2096, "PER"], [2231, 2236, "PER"], [2257, 2260, "PER"], [2606, 2614, "LOC"], [2731, 2745, "ORG"], [2750, 2760, "MISC"], [2774, 2779, "PER"], [2835, 2850, "PER"], [2935, 2944, "MISC"], [2964, 2969, "PER"], [3113, 3118, "PER"], [3145, 3154, "LOC"], [3156, 3160, "MISC"], [3169, 3194, "MISC"], [3527, 3528, "MISC"], [3661, 3666, "MISC"], [3674, 3682, "PER"], [3718, 3723, "PER"], [3917, 3927, "MISC"], [3936, 3941, "PER"], [3959, 3972, "PER"], [3978, 3985, "PER"], [4014, 4024, "PER"], [4284, 4294, "PER"], [4305, 4315, "MISC"], [4341, 4346, "MISC"], [4563, 4566, "MISC"], [5136, 5137, "MISC"], [5293, 5303, "PER"], [5315, 5325, "MISC"], [5645, 5658, "MISC"], [5660, 5669, "MISC"], [5688, 5698, "PER"], [5786, 5796, "PER"], [5798, 5809, "MISC"], [5862, 5863, "MISC"], [6017, 6025, "PER"], [6030, 6054, "MISC"], [6071, 6072, "MISC"], [6226, 6232, "PER"], [6304, 6307, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Commentum magnum in Aristotelis De anima libros, III 5, p. 410. \"La “sententia” sulla quale anche Averroè sarebbe d’accordo, è la necessità di una pluralità per l’attuazione della potenza intellettiva umana. D., credo, allude genericamente al principio basilare del commento al terzo libro del De anima che la “continuatio” dell’intelletto separato con l’indivisuo avviene per mezzo delle “intentiones imaginatae”, donde la necessità di una esperienza molteplice senza la quale si cade nell’assurdo di una forza che non è forza di nulla\" (Vinay).", "labels": [[5, 21, "LOC"], [25, 52, "MISC"], [54, 59, "MISC"], [103, 110, "PER"], [299, 307, "MISC"], [394, 417, "MISC"], [544, 549, "MISC"]]} +{"text": "non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. Prudenza di Philippe Delhaye, in ED, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c", "labels": [[14, 26, "MISC"], [174, 184, "PER"], [186, 206, "MISC"], [232, 248, "PER"], [250, 266, "PER"], [268, 271, "MISC"], [272, 276, "ORG"], [370, 377, "PER"], [429, 440, "MISC"], [444, 460, "PER"], [465, 467, "ORG"], [469, 471, "MISC"], [524, 539, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Physica, 243 b 11-2: \"sedendo e riposando l’anima diventa sapiente e prudente\". Si suole ricordare che questa fu la risposta data a Dante, che lo aveva rimproverato per la sua pigrizia, dal liutaio Belacqua (v. la relativa voce di Francesco Salsano, in ED, I, 1970, pp. 556-8, e cfr. Carpi 2004, I, p. 141 e p. 286), di cui Dante traccia un sapido ritratto in Pg IV 97-139, in part. vv. 109-11: \"“O dolce segnor mio”, diss’io, “adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia”\". L’aneddoto, dell’Anonimo Fiorentino, è nel commento della Chiavacci Leonardi 1994, p. 128: \"Questo Belacqua fu uno cittadino da Firenze, artefice, e facea cotai colli di liuti e di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli veniva la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l’Auttore fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua negligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose con le parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l’Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te\". Ed è forse in questo contesto che occorre collocare la frase con cui Belacqua interrompe il colloquio di Dante e Virgilio nella penosa ascesa della montagna del Purgatorio, ai vv. 97-9: \"E com’elli ebbe sua parola detta, / una voce di presso sonò: “Forse / che di sedere in pria avrai distretta!”\".", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 19, "LOC"], [144, 149, "PER"], [210, 218, "PER"], [243, 260, "PER"], [265, 270, "MISC"], [296, 306, "MISC"], [308, 317, "MISC"], [336, 341, "PER"], [372, 380, "MISC"], [408, 410, "MISC"], [527, 529, "MISC"], [544, 562, "PER"], [585, 608, "LOC"], [626, 634, "MISC"], [655, 662, "LOC"], [776, 779, "MISC"], [1022, 1030, "MISC"], [1055, 1065, "PER"], [1123, 1130, "PER"], [1287, 1295, "PER"], [1323, 1328, "PER"], [1331, 1339, "PER"], [1379, 1389, "LOC"], [1466, 1467, "MISC"]]} +{"text": "cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp., dov'è allegato Aristotele, Metaphysica, 982 a 8. In Cv IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. Vinay ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus testimoniorum, v. Prudentia est: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [Dig. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [Dig. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)", "labels": [[7, 13, "MISC"], [119, 135, "PER"], [137, 153, "PER"], [155, 158, "MISC"], [159, 163, "ORG"], [178, 182, "MISC"], [200, 210, "PER"], [212, 223, "PER"], [237, 242, "MISC"], [273, 286, "MISC"], [288, 293, "PER"], [403, 425, "MISC"], [429, 447, "PER"], [628, 654, "PER"], [656, 679, "MISC"], [681, 697, "MISC"], [888, 898, "LOC"], [903, 915, "LOC"], [922, 926, "MISC"], [1028, 1036, "LOC"], [1127, 1130, "LOC"], [1240, 1243, "MISC"], [1456, 1464, "LOC"], [1725, 1740, "MISC"], [1763, 1775, "MISC"], [1803, 1811, "PER"]]} +{"text": "vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società\" (Vinay), ma non sembra si possa affermare che \"“tranquillitas” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra\". Dante usa tranquillitas, da sola o insieme con pax, in I v 8: cum maiori fiducia sue tranquillitatis; I xvi 2: in pacis universalis tranquillitate; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui pax e tranquillitas si fondono: \"Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse tranquillitas, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt\". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che tranquillitas occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: \"in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit\" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).", "labels": [[0, 4, "PER"], [178, 183, "PER"], [224, 225, "MISC"], [245, 247, "MISC"], [298, 304, "MISC"], [337, 338, "MISC"], [356, 369, "MISC"], [447, 453, "MISC"], [493, 498, "PER"], [548, 554, "MISC"], [760, 768, "LOC"], [800, 812, "PER"], [851, 860, "LOC"], [877, 881, "LOC"], [910, 927, "LOC"], [1012, 1017, "PER"], [1053, 1073, "MISC"], [1075, 1078, "MISC"], [1081, 1086, "MISC"], [1128, 1150, "MISC"], [1675, 1678, "MISC"], [1692, 1707, "MISC"], [1768, 1782, "MISC"], [1786, 1804, "PER"], [1817, 1823, "MISC"], [1825, 1826, "LOC"], [1945, 1953, "MISC"], [1971, 1985, "LOC"], [2090, 2100, "PER"], [2179, 2201, "MISC"], [2222, 2225, "MISC"], [2227, 2242, "PER"], [2244, 2261, "MISC"], [2297, 2299, "MISC"], [2308, 2315, "MISC"], [2379, 2388, "LOC"], [2427, 2434, "LOC"]]} +{"text": "H legge iuxta illud psalmiste; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. Ps 8, 6, ripetuto in Heb 2, 7. Dante lo cita già in Cv IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe Kay, the comparison between men and angels in Mn I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7", "labels": [[138, 140, "WORK_OF_ART"], [38, 45, "ORG"], [89, 95, "PER"], [126, 131, "PER"], [159, 164, "MISC"], [169, 174, "PER"], [190, 195, "MISC"], [352, 355, "PER"], [445, 460, "MISC"]]} +{"text": "Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto", "labels": [[367, 369, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "MISC"], [11, 16, "MISC"], [36, 41, "MISC"], [47, 52, "MISC"], [85, 103, "PER"], [105, 119, "PER"], [123, 126, "ORG"], [132, 138, "MISC"], [140, 141, "LOC"], [219, 227, "ORG"], [241, 252, "PER"], [360, 365, "MISC"], [378, 400, "MISC"], [479, 487, "MISC"], [489, 494, "MISC"], [501, 510, "MISC"], [680, 688, "LOC"], [767, 782, "MISC"]]} +{"text": "per declarata cfr. sopra, I iv 1; è “patente” ciò che “si mostra apertamente”, ciò che non ha bisogno di essere provato (cfr. Uguccione, P 38 1-2: \"pateo –es –ui passum, idest aperiri, videri, manifestari, manifestum esse vel diffundi; et dicitur patet quasi palam tenet [...]; unde patens\"). Debole la traduzione di Vinay (\"risulta\"), così come quella di Nardi (\"appare\"); anche Shaw 1996 e Kay hanno semplicemente \"clear\"; meglio Sanguineti 1985: \"risulta dunque evidente\"; l’Anonimo (p. 133) e Ficino (p. 333) traducono \"è manifesto\". Cfr. più avanti, I x 2.", "labels": [[36, 37, "MISC"], [54, 55, "MISC"], [126, 135, "MISC"], [137, 143, "MISC"], [317, 322, "PER"], [356, 361, "PER"], [380, 389, "MISC"], [392, 395, "PER"], [432, 442, "PER"], [478, 485, "PER"], [497, 503, "PER"], [555, 560, "MISC"]]} +{"text": "\"nella casa\" (Ficino), \"una casa\" (Anonimo, p. 134); Nardi: \"una famiglia\", ma in apparato precisa: \"unità familiare (domus per Dante come per la traduzione latina della Politica aristotelica ad opera di Guglielmo di Moerbeke; in greco o„k…a e o‡koj, 1252 b 10 sgg.)\"; bene \"household\" (Shaw 1996 e Kay, che chiosa: \"Sometimes translated “family”, but “household” is more precise because Aristotle has in mind kinsfolk living under the same roof. For him, an extended family living under several roofs constitutes the next larger unit, the neighborhood\", con la citazione di Aristotele, Politica, 1252 b 15-9). A Vinay non par dubbio \"che “unam” sia articolo indeterminato\". Cfr. Domenico Consoli, Famiglia, in ED, II, 1970, pp. 789-90. Sulla \"rassegna\" che qui comincia cfr. ancora, la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1357.", "labels": [[14, 20, "PER"], [35, 42, "ORG"], [53, 58, "PER"], [128, 133, "PER"], [170, 191, "MISC"], [204, 225, "PER"], [236, 239, "PER"], [244, 249, "MISC"], [275, 284, "MISC"], [287, 296, "MISC"], [299, 302, "PER"], [317, 326, "PER"], [338, 339, "MISC"], [353, 362, "MISC"], [388, 401, "MISC"], [575, 585, "PER"], [587, 595, "PER"], [613, 618, "PER"], [639, 640, "MISC"], [680, 696, "PER"], [698, 706, "PER"], [711, 713, "MISC"], [715, 717, "MISC"], [795, 804, "PER"]]} +{"text": "\"el quale padre di famiglia si chiama\" (Ficino), \"il quale si dicie padre di famiglia\" (Anonimo); non certo \"il cosiddetto padre di famiglia\" (Pizzica 1988). La nota di M. Tavoni a VE I xviii 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1346, a proposito del \"vere paterfamilias\" e del suo “riuso” \"in chiave politica\", ricorda con Marigo 1957: \"Paterfamilias è parola presa nel suo senso giuridico: “Paterfamilias appellatur qui in domo dominium habet...” (Paulus, Digestum 50, 16, 195)\".", "labels": [[40, 46, "PER"], [88, 95, "LOC"], [143, 155, "MISC"], [169, 178, "PER"], [324, 330, "LOC"], [338, 351, "LOC"], [392, 406, "MISC"], [450, 456, "MISC"], [458, 469, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Politica, 1252 b 21-4: e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano. L'assunto è ripetuto dalla migliore giurisprudenza trecentesca: In domo propria potest dici patremfamilias habere aliquid iuris regalis. Ius enim sibi dicit in filios et in servos [...]. Item maior seu antiquior domus habet quodammodo quandam iurisdictionem in uxorem, liberos et servos; et etiam antiquior frater vel patruus in minores xxv. annis, qui sunt in illa domo (Bartolo da Sassoferrato, De tyranno, q. IV, ed. Quaglioni 1983, p. 183)", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 20, "PER"], [296, 300, "PER"], [481, 504, "PER"], [506, 516, "PER"], [518, 523, "PER"]]} +{"text": "il luogo omerico (Od. IX 114) è in Aristotele, Politica, 1252 b 24: E ciascuno governa i suoi figli e la moglie. Cfr. Cv IV XXVII 10, col commento di Busnelli 1964, II, p. 234, che rinvia a questo luogo; v. inoltre Guido Martellotti, Omero, in ED, IV, 1973, pp. 145-8 ed Enrico Berti, Politica, ivi, p. 586", "labels": [[118, 120, "WORK_OF_ART"], [18, 20, "WORK_OF_ART"], [22, 28, "LOC"], [35, 45, "PER"], [47, 55, "PER"], [121, 123, "PER"], [150, 163, "MISC"], [165, 167, "PER"], [215, 232, "PER"], [234, 239, "PER"], [244, 246, "MISC"], [248, 250, "MISC"], [271, 283, "PER"], [285, 293, "PER"]]} +{"text": "Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 20, "PER"], [333, 343, "PER"], [345, 351, "PER"], [355, 365, "PER"], [423, 439, "PER"], [441, 457, "PER"], [459, 466, "MISC"], [481, 485, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I V 2 e 3, quando aliqua plura ordinantur ad unum, con riferimento ad Aristotele, Politica, 1254 a 28-32. Il ragionamento è in sostanza questo: l'affermazione del Filosofo è vera perché di fatto vediamo che qualsiasi complesso rivolto ad un fine si sfalda in mancanza di una autorità che ne guidi e diriga i componenti (Vinay)", "labels": [[14, 17, "MISC"], [82, 92, "PER"], [94, 102, "PER"], [175, 183, "PER"], [332, 337, "PER"]]} +{"text": "\"per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti\", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, Metaphysica, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.", "labels": [[20, 21, "MISC"], [29, 30, "MISC"], [40, 41, "MISC"], [70, 82, "MISC"], [102, 112, "PER"], [114, 125, "PER"]]} +{"text": "non c’è necessità alcuna di tradurre \"questo ordinamento “ad unum”\" (Vinay). Nel notarne l’imbarazzo e nel rinviare sia a quel che si legge più oltre, II vi 4-5, sia alla \"bella terzina\" di Pd I 103-5: \"“Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante”\", Nardi scrive: \"il discorso procede sempre movendo dalla distinzione fatta da Aristotele nel libro XII della Metafisica, dell’ordine che regna tra le parti dell’universo tra loro dall’ordine superiore che domina l’universo nella sua totalità, trasferita per certa analogia al duplice ordine che, per Dante, dovrebbe estendersi dalle parti al tutto della società umana come alle parti tra loro e al tutto d’un esercito comandato da un unico duce\". Scrive Cassell a commento: \"Dante’s syllogism is complicated but clear. He contrasts the relation among the parts to the relation between those parts and their leader, and considers the latter (by which he means the position of the emperor toward his subjects) a relationship superior to the former. The relation of the ruler to the ruled is parallel to the Deity’s ordering of Creation\".", "labels": [[416, 426, "WORK_OF_ART"], [57, 58, "MISC"], [69, 74, "MISC"], [151, 153, "PER"], [190, 198, "MISC"], [203, 204, "MISC"], [286, 289, "MISC"], [308, 313, "PER"], [385, 395, "PER"], [607, 612, "PER"], [761, 768, "PER"], [782, 787, "PER"], [1054, 1140, "MISC"]]} +{"text": "cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)", "labels": [[29, 35, "PER"], [93, 100, "ORG"], [160, 165, "PER"], [205, 218, "PER"], [220, 236, "LOC"], [255, 275, "LOC"], [296, 309, "PER"], [311, 321, "LOC"], [326, 328, "MISC"], [330, 331, "MISC"], [348, 351, "PER"], [413, 431, "MISC"], [435, 448, "PER"], [450, 462, "PER"], [468, 473, "PER"], [504, 506, "MISC"], [516, 542, "MISC"]]} +{"text": "l'inciso ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum manca alla traduzione di Ficino; analoga omissione nei codici M S. Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto. Pizzica 1988 richiama il luogo importantissimo rappresentato da Cv III II 4-5, con il commento di Busnelli 1964, I, pp. 263-8, e le diverse considerazioni sia in Nardi, sia in Nardi 1949, pp. 256-7", "labels": [[67, 77, "PER"], [103, 109, "PER"], [140, 148, "MISC"], [150, 166, "PER"], [168, 184, "PER"], [186, 193, "MISC"], [208, 212, "MISC"], [215, 224, "PER"], [930, 939, "PER"], [964, 977, "MISC"], [1028, 1033, "PER"], [1042, 1047, "PER"]]} +{"text": "Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.", "labels": [[0, 16, "PER"], [18, 34, "PER"], [36, 44, "MISC"], [52, 56, "MISC"], [67, 87, "MISC"], [161, 165, "PER"]]} +{"text": "è ripetuto più sotto, I viii 2, I viii 5 e I ix 1. \"“Bene se habere et optime” vuol [...] dire realizzare “divinam similitudinem” “secundum quod effectum capere potest”\" (Vinay), come si legge in Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 45, e come Dante espone in Cv III vii 2: \"Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, dalle cose riceventi. Onde scritto è nel libro delle Cagioni: \"La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo della sua vertù e dello suo essere”\". Ficino traduce \"ogni cosa sta bene\", l’Anonimo \"ciascuna cosa bene sta e optimamente\" (p. 136); Nardi \"bene, anzi ottimamente, ordinato\" (cfr. Nardi 1924a, poi Nardi 1967, pp. 81-109: 106). Varie le soluzioni di alcuni tra i moderni interpreti, da \"è perfetto\" (Vinay) a \"en heureux état et au mieux possible\" (Pézard), \"uno stato di benessere e di felicità\" (Sanguineti 1985), \"in gutem und bestem Zustand\" (Imbach), \"in a good (indeed, ideal) state\" (Shaw 1996). Kay sostiene che la frase è ridondante in ragione di un voluto parallelismo con quanto si legge sopra, I vii 2.", "labels": [[884, 889, "PER"], [22, 30, "MISC"], [32, 40, "MISC"], [52, 53, "MISC"], [106, 114, "MISC"], [130, 131, "MISC"], [171, 176, "MISC"], [196, 203, "PER"], [206, 212, "PER"], [214, 219, "PER"], [227, 235, "PER"], [237, 242, "MISC"], [251, 256, "PER"], [267, 273, "MISC"], [535, 554, "MISC"], [741, 747, "PER"], [780, 787, "PER"], [837, 842, "PER"], [901, 911, "MISC"], [1003, 1008, "PER"], [1052, 1058, "PER"], [1101, 1116, "MISC"], [1140, 1147, "LOC"], [1150, 1156, "LOC"], [1194, 1203, "MISC"], [1206, 1209, "PER"], [1309, 1316, "MISC"]]} +{"text": "\"Creando il mondo, Dio ha voluto che le creature fossero a sua immagine secondo le possibilità della loro natura particolare. Il fine supremo a cui tendono le creature è l’attuazione di questa “intentio” divina che costituisce la ragione stessa del loro essere, punto di partenza e punto d’arrivo ad un tempo. Dio è principio e fine\" (Vinay, con la citazione di Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 25: \"unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem\"). Cfr. la voce Intenzione di Tullio Gregory, in ED, III, 1971, p. 480.", "labels": [[19, 22, "MISC"], [193, 194, "MISC"], [310, 313, "MISC"], [335, 340, "MISC"], [362, 369, "PER"], [372, 378, "PER"], [380, 385, "PER"], [393, 401, "PER"], [403, 408, "MISC"], [501, 529, "MISC"], [534, 536, "MISC"], [538, 541, "MISC"]]} +{"text": "Gn 1, 26; cfr. Cv IV xii 14: \"E la ragione è questa: che lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé (sì come è scritto: “Facciamo l’uomo ad imagine e similitudine nostra”), essa anima massimamente desidera di tornare a quello\". Su questa citazione scritturale v. Cremascoli 2011, p. 33 e nota 9.", "labels": [[15, 17, "WORK_OF_ART"], [18, 20, "MISC"], [167, 170, "MISC"], [254, 263, "MISC"], [394, 412, "MISC"]]} +{"text": "l'idea che solo l'universo nella sua interezza rispecchi unitariamente quella bontà del creatore che le singole creature, ciascuna per sé, possono solo sparsamente rappresentare, è in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura", "labels": [[184, 200, "PER"], [202, 218, "PER"], [220, 228, "MISC"], [236, 240, "MISC"], [632, 666, "LOC"]]} +{"text": "un'impronta, ovvero un segno impresso, un calco, un'orma; cfr. poco più sotto, I IX 1, e Pd I 106-8: Qui veggion l'alte creature l'orma / de l'etterno valore, il qual è fine / al quale è fatta la toccata norma, su cui v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 33: orma: impronta; questa parola, che esprime con potente ed evidente metafora l'idea della \"somiglianza\" del creato al creatore, traduce il latino vestigium, termine usato già da Agostino e poi dagli scolastici per significare quella somiglianza, e da Dante stesso ripreso [...] in modo esplicito nella Monarchia (e v. anche ivi, Introduzione, p. XIX). Cfr. anche Bonaventura, Breviloquium, II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum. Stretta l'aderenza al testo da parte dell'Anonimo: uno vestigio della divina bontà. Splendido Ficino (che trova in questo luogo una di quelle sententie platoniche ricordate nel proemio del suo volgarizzamento e con le quali Dante, parlando inn-ispirito con Platone, avrebbe adornato e libri suoi (p. 327): una honbra d'Iddio. Cfr. Bruno Bernabei, Vestigio, in ED, V, 1976, p. 986", "labels": [[89, 97, "MISC"], [218, 244, "PER"], [430, 438, "PER"], [503, 508, "PER"], [554, 563, "LOC"], [581, 593, "PER"], [615, 626, "PER"], [628, 640, "PER"], [811, 815, "MISC"], [890, 897, "ORG"], [942, 948, "PER"], [1072, 1077, "PER"], [1105, 1112, "PER"], [1167, 1172, "PER"], [1179, 1193, "PER"], [1195, 1203, "PER"], [1208, 1210, "MISC"], [1212, 1213, "MISC"]]} +{"text": "si veda ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus", "labels": [[15, 31, "PER"], [33, 49, "PER"], [51, 59, "MISC"], [67, 71, "MISC"], [74, 83, "PER"], [241, 244, "MISC"]]} +{"text": "Vinay addita come luogo parallelo Cv IV XVI 7: Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo della Fisica quando dice: \"Ciascuna [cosa] è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propia, e allora è massimamente secondo sua natura, onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo\", cioè quando aggiugne la sua propia virtude; e allora è in tutta sua natura, e allora si può dire nobile circulo; trova però deludente la dimostrazione che segue, e che farebbe rimpiangere la teoria della generazione esposta da D. in Conv., IV, 21. Su tutto il contenuto di questo paragrafo si v. la lunga e dotta nota di Nardi, pp. 320-2, con quanto egli aveva già esposto in L'arco della vita (Nardi 1967, pp. 110-38: 110-4), e più succintamente Imbach, pp. 272-3", "labels": [[563, 567, "WORK_OF_ART"], [725, 730, "PER"], [0, 5, "PER"], [34, 39, "MISC"], [76, 109, "MISC"], [557, 567, "PER"], [570, 572, "PER"], [651, 656, "PER"], [706, 723, "MISC"], [777, 783, "LOC"]]} +{"text": "sulla perfezione del cielo Vinay allega un passo (III 9) del De ecclesiastica potestate di Egidio Romano, che Dante può aver avuto presente; Pizzica 1988 abbellisce e traduce qui sovranamente perfetto", "labels": [[27, 32, "PER"], [50, 55, "MISC"], [61, 87, "MISC"], [91, 104, "PER"], [110, 115, "PER"], [141, 153, "MISC"]]} +{"text": "U ha una lacuna in luogo di secundum, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece pħm (phylosophum) i codici D F G N Y; M ha secundum phylosophum; Ficino traduce \"come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile\", l’Anonimo \"secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”\" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, Fisica, in ED, II, 1970, pp. 933-4. \"Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi De physico auditu, De physica consultatione) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente Lezioni intorno alla natura\" (Nardi); cfr. Aristotele, Physica, 194 b 13 e De anima, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: \"Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol\". Si rammenti Pd XXII 116: \"quelli ch’è padre d’ogne mortal vita\", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita Rime 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: \"Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta\"; nonché Cv III xii 8: \"Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica\".", "labels": [[55, 56, "MISC"], [154, 157, "MISC"], [165, 166, "MISC"], [192, 198, "PER"], [236, 256, "ORG"], [261, 268, "LOC"], [294, 323, "MISC"], [336, 344, "ORG"], [365, 377, "PER"], [379, 385, "PER"], [390, 392, "MISC"], [394, 396, "MISC"], [483, 500, "PER"], [502, 526, "MISC"], [561, 573, "MISC"], [613, 620, "LOC"], [643, 648, "PER"], [656, 666, "PER"], [668, 675, "LOC"], [688, 696, "MISC"], [739, 746, "PER"], [774, 779, "PER"], [782, 789, "PER"], [905, 916, "MISC"], [926, 929, "MISC"], [988, 1011, "MISC"], [1026, 1033, "MISC"], [1035, 1049, "MISC"], [1271, 1277, "MISC"]]} +{"text": "vulgatissimo brocardo (v. ad es. Bracton, De legibus et consuetudinibus Angliae, II 33), qui impiegato a proposito nel caso del conflitto tra giurisdizioni di pari grado; contrariamente a quanto si vede affermato (Pizzica 1988, Kay), la citazione non risale ad Accursio e alla sua glossa a Dig. 4, 8, 3, § 3 e a Dig. 4, 8, 4, dove il testo ha magistratus superiore aut pari imperio nullo modo possunt cogi (Mommsen-Krüger, I, p. 67), o a Dig. 36, 1, 13, § 4 (ivi, p. 522), dove si legge praetorem quidem in praetorem, vel consulem in consulem nullum imperium habere; tanto meno alla glo. conferens generi alla Novella VI di Giustiniano (Auth. Coll. I, 6, Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem adduci, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), in cui quelle autorità legali sono allegate in relazione al Constitutum Constantini (Furlan); risale invece, nella formulazione qui usata, alla decretale Innotuit di Innocenzo III, già compresa nella Compilatio III (cap. 5, III Comp., I, 6: QCA, p. 105), ma che Dante leggeva ormai nel Liber Extra di Gregorio IX, cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62); il principio era già ricevuto nel c. 4, D. XXI del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 70). In proposito v. Pennington 1993, p. 93, e più specificamente Pennington 1999, p. 260, con l'esempio, a Dante calzantissimo, di Guido da Suzzara", "labels": [[0, 21, "PER"], [33, 40, "PER"], [42, 79, "MISC"], [81, 86, "MISC"], [214, 226, "MISC"], [228, 231, "PER"], [261, 269, "PER"], [290, 293, "LOC"], [312, 315, "LOC"], [407, 414, "PER"], [415, 421, "PER"], [423, 424, "PER"], [438, 441, "LOC"], [610, 620, "MISC"], [624, 635, "PER"], [637, 641, "LOC"], [643, 647, "LOC"], [655, 693, "MISC"], [732, 739, "PER"], [740, 746, "PER"], [748, 751, "LOC"], [824, 847, "LOC"], [849, 855, "LOC"], [918, 926, "MISC"], [930, 943, "PER"], [964, 978, "MISC"], [988, 996, "PER"], [999, 1000, "MISC"], [1005, 1008, "MISC"], [1026, 1031, "PER"], [1050, 1061, "MISC"], [1065, 1076, "PER"], [1087, 1088, "MISC"], [1090, 1091, "MISC"], [1096, 1128, "MISC"], [1169, 1178, "MISC"], [1180, 1182, "PER"], [1234, 1240, "PER"], [1245, 1262, "MISC"], [1264, 1273, "MISC"], [1275, 1276, "MISC"], [1304, 1319, "MISC"], [1349, 1364, "MISC"], [1391, 1396, "PER"], [1415, 1431, "PER"]]} +{"text": "Aristotele, Metaphysica, 1076 a 3-5, che ricorda tacitamente un verso omerico (Il. II 24; cfr. ancora la v. Omero di Guido Martellotti, in ED, IV, 1973, pp. 145-8). Per il valore polisemico di ens nella scolastica medievale cfr. Vinay", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 23, "PER"], [79, 82, "MISC"], [83, 88, "MISC"], [108, 113, "PER"], [117, 134, "PER"], [139, 141, "MISC"], [143, 145, "MISC"], [229, 234, "MISC"]]} +{"text": "v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura \"nel senso geometrico, morale e logico\"); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, \"dirittura\", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (\"Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose\") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: \"“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”\"; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (\"una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto\") come forma di \"italiano anodino\" e \"assai più difficile del latino di D.\", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: \"In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione\". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula \"iustitia est rectitudo\" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce \"una retttudine overo regola\"), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: \"Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude\". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: \"una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione\"; cfr. Ronconi 1966: \"un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione\"; Pizzica 1988: \"un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra\"; Marcelli-Martelli 2004: \"una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra\".", "labels": [[2215, 2228, "WORK_OF_ART"], [11, 22, "MISC"], [27, 29, "MISC"], [31, 33, "MISC"], [169, 174, "PER"], [333, 345, "MISC"], [440, 478, "MISC"], [485, 493, "PER"], [498, 507, "ORG"], [517, 522, "PER"], [622, 630, "PER"], [687, 696, "PER"], [699, 706, "MISC"], [808, 816, "PER"], [861, 866, "PER"], [1050, 1052, "MISC"], [1063, 1075, "MISC"], [1229, 1240, "PER"], [1266, 1267, "MISC"], [1348, 1355, "MISC"], [1365, 1400, "MISC"], [1456, 1458, "MISC"], [1635, 1636, "MISC"], [1668, 1669, "MISC"], [1715, 1716, "MISC"], [1805, 1807, "MISC"], [2053, 2063, "PER"], [2065, 2071, "PER"], [2075, 2085, "PER"], [2222, 2228, "MISC"], [2349, 2356, "PER"], [2358, 2369, "MISC"], [2378, 2402, "MISC"], [2446, 2462, "PER"], [2498, 2503, "PER"], [2567, 2574, "PER"], [2726, 2731, "PER"], [2744, 2747, "PER"], [2776, 2783, "PER"], [2786, 2792, "PER"], [2794, 2810, "PER"], [2812, 2820, "MISC"], [2828, 2832, "MISC"], [2847, 2852, "PER"], [3299, 3304, "PER"], [3453, 3465, "MISC"], [3566, 3574, "PER"], [3575, 3583, "PER"], [3595, 3596, "MISC"]]} +{"text": "Dante cita pressoché alla lettera dal Liber sex principiorum 1 1, p. 36: \"forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens\". Lo scritto, in passato a torto atribuito a Gilbert de la Porrée (v. la voce Magister Sex Principiorum in ED, III, 1971, p. 767, e cfr. Cassell) faceva parte del corpus delle opere logiche di Aristotele nel curriculum degli artistae; ciò suggerisce a Kay che Dante possa non averne avuto diretta conoscenza, dal momento che essa \"was widely quoted by later scholastics\". Commenta Nardi: \"E proprio per questo Dante cita il Magister Sex Principiorum, il quale recte, a buon diritto, ha affermato che huiusmodi forme, quali la “bianchezza” e la “giustizia”, pur trovandosi enunciate di un composto, in sé stesse consistono in una “semplice e invariabile essenza”. Quest’unica testimonianza chiede Dante al Magister Sex Principiorum; nient’altro. Quello che immediatamente precede e segue questa citazione è chiosa di Dante. Siffatte “forme”, come quelle della “bianchezza” e della “giustizia”, sono “essenze inviariabili” in suo abstracto, come appunto vuole Aristotele; ma in quanto entrano in composizione con soggetti variabili quibus concernuntur (da concerno, che ha il perfetto concrevi e il supino concretum uguali a concresco!), ossia in concreto, sono suscettibili di “magis et minus” “secundum quod magis et minus in subiectis de contrariis admiscetur”\". Così anche Alfonso Maierù, Suggetto, in ED, V, 1976, p. 475, che richiama questo luogo a proposito della \"sostanza individuante\", del \"‘concretum’ cui ineriscono le forme accidentali e i loro contrari; queste forme, in sé immutabili, sono suscettibili di variazioni in più o in meno a seconda del ‘concetto’ cui ineriscono, sicché propriamente il s. è capace di più o meno, non le forme\".", "labels": [[0, 5, "PER"], [38, 64, "MISC"], [203, 223, "PER"], [236, 267, "MISC"], [295, 302, "PER"], [351, 361, "PER"], [410, 413, "PER"], [418, 423, "PER"], [539, 544, "PER"], [568, 573, "PER"], [582, 607, "MISC"], [684, 685, "MISC"], [702, 703, "MISC"], [854, 859, "PER"], [863, 888, "MISC"], [974, 979, "PER"], [981, 989, "PER"], [990, 991, "MISC"], [1017, 1018, "MISC"], [1038, 1039, "MISC"], [1056, 1057, "MISC"], [1116, 1126, "PER"], [1433, 1447, "PER"], [1449, 1457, "LOC"], [1462, 1464, "ORG"], [1466, 1467, "MISC"], [1567, 1568, "MISC"], [1728, 1729, "MISC"]]} +{"text": "la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp", "labels": [[12, 13, "MISC"], [70, 81, "MISC"], [83, 84, "MISC"], [117, 119, "LOC"], [201, 211, "PER"], [213, 223, "LOC"], [250, 254, "MISC"], [278, 283, "PER"], [289, 305, "PER"], [307, 323, "PER"], [325, 332, "MISC"], [347, 360, "MISC"], [401, 414, "MISC"], [445, 457, "MISC"], [488, 492, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Categoriae, 10 b 12-3, spiega così: Alla qualità appartiene inoltre la contrarietà. Ad esempio, la giustizia è contraria all'ingiustizia, la bianchezza è contraria alla nerezza, ed analogamente per le altre qualità", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 22, "LOC"]]} +{"text": "cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult (cfr. sopra, I XI 3 e più in generale I III 3)", "labels": [[5, 21, "PER"], [23, 39, "PER"], [41, 44, "MISC"], [45, 49, "ORG"], [246, 250, "MISC"], [271, 276, "MISC"]]} +{"text": "Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia Melanippe di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci Espero (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed Etica (Enrico Berti), in ED, II, 1970, pp. 731 e 756-8", "labels": [[441, 446, "WORK_OF_ART"], [0, 10, "PER"], [12, 18, "PER"], [22, 32, "PER"], [91, 112, "MISC"], [122, 128, "MISC"], [147, 163, "PER"], [165, 181, "PER"], [183, 186, "MISC"], [187, 191, "ORG"], [207, 211, "MISC"], [214, 223, "PER"], [423, 434, "PER"], [439, 446, "MISC"], [520, 542, "MISC"], [598, 604, "LOC"], [606, 619, "PER"], [622, 636, "PER"], [641, 646, "PER"], [648, 660, "PER"], [666, 668, "MISC"], [670, 672, "MISC"]]} +{"text": "la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è \"giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste\"), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): \"Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi\", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: \"iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.\"; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).", "labels": [[140, 160, "WORK_OF_ART"], [931, 936, "WORK_OF_ART"], [150, 160, "PER"], [428, 432, "LOC"], [449, 452, "LOC"], [469, 476, "PER"], [477, 483, "PER"], [485, 486, "PER"], [588, 593, "PER"], [630, 636, "MISC"], [664, 678, "MISC"], [682, 687, "PER"], [691, 707, "PER"], [712, 714, "MISC"], [716, 718, "MISC"], [734, 741, "PER"], [744, 750, "PER"], [752, 768, "PER"], [770, 777, "MISC"], [792, 802, "MISC"], [929, 936, "MISC"], [977, 993, "MISC"], [995, 998, "MISC"], [999, 1003, "ORG"], [1012, 1046, "MISC"], [1118, 1119, "MISC"], [1127, 1134, "PER"], [1184, 1202, "LOC"]]} +{"text": "giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (\"radix omnium peccatorum\" e non semplicemente \"inordinatus amor divitiarum\", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: \"E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono\". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: \"Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis\" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: \"honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere\"); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: \"Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris\" (glo. \"alterum non ledere\", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: \"Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur\" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.", "labels": [[25, 30, "PER"], [195, 202, "PER"], [205, 211, "PER"], [213, 229, "PER"], [231, 238, "MISC"], [253, 257, "MISC"], [324, 329, "PER"], [340, 345, "MISC"], [660, 667, "MISC"], [669, 691, "MISC"], [809, 816, "LOC"], [884, 897, "MISC"], [899, 901, "LOC"], [1070, 1074, "PER"], [1081, 1089, "PER"], [1151, 1155, "MISC"], [1162, 1167, "LOC"], [1240, 1249, "LOC"], [1251, 1252, "MISC"], [1265, 1269, "LOC"], [1283, 1286, "LOC"], [1303, 1310, "PER"], [1311, 1317, "PER"], [1319, 1320, "PER"], [1478, 1486, "PER"], [1537, 1545, "ORG"], [1653, 1657, "MISC"], [1673, 1679, "LOC"], [1683, 1696, "LOC"], [1702, 1709, "PER"], [1773, 1781, "LOC"], [1816, 1829, "MISC"], [1866, 1877, "PER"], [1903, 1914, "MISC"], [2264, 2271, "PER"], [2437, 2446, "PER"], [2448, 2450, "PER"], [2494, 2501, "MISC"], [2508, 2516, "MISC"], [2519, 2522, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Cv I iv 8: \"E questi ... passionati mal giudicano\", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: \"Passio igitur ligat rationem\"); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha \"quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo\"; l’Anonimo, più semplicemente, \"quelli che si studiano di passionare il giudice\". Vinay, seguito dai più, traduce \"chi cerca di influenzare il giudice\"; non piace Ronconi 1966: \"coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato\"; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: \"coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice\"; meno felice Kay: \"those who try to appeal to the judge’s passions\", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia \"all [...] appeals to the emotions\", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: \"Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain\" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [62, 75, "MISC"], [77, 85, "MISC"], [97, 104, "PER"], [107, 113, "PER"], [115, 131, "PER"], [133, 140, "MISC"], [177, 205, "MISC"], [216, 221, "PER"], [223, 229, "PER"], [235, 246, "LOC"], [248, 252, "LOC"], [260, 262, "MISC"], [313, 319, "PER"], [385, 392, "LOC"], [464, 469, "PER"], [545, 552, "MISC"], [658, 670, "MISC"], [760, 763, "PER"], [997, 1002, "PER"], [1041, 1048, "PER"], [1330, 1335, "PER"], [1337, 1343, "PER"], [1345, 1354, "PER"], [1356, 1357, "LOC"], [1469, 1472, "ORG"], [1579, 1586, "PER"], [1587, 1593, "PER"], [1595, 1597, "PER"], [1716, 1731, "PER"], [1733, 1743, "MISC"], [1854, 1869, "MISC"], [1878, 1891, "MISC"]]} +{"text": "la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. Nardi; cfr. anche Summa Theologiae, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (Utrum iustitia sit semper ad alterum), Resp., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza Vinay)", "labels": [[263, 268, "PER"], [65, 75, "PER"], [77, 83, "PER"], [87, 97, "PER"], [237, 244, "PER"], [260, 268, "PER"], [281, 297, "PER"], [299, 302, "MISC"], [323, 337, "MISC"], [362, 366, "MISC"], [373, 378, "PER"], [421, 426, "PER"]]} +{"text": "ricorre solo in questo luogo; conservano questa forma la princeps K e parte dei manoscritti β (B D E F N P V Y); i restanti testimoni hanno sillogismus o altre lezioni assai corrotte (anche l'Anonimo conserva sillogismo, mentre Ficino ha argumento. È un sillogismo preliminare (preparatory syllogism, Cassell), ovvero il sillogismo introdotto a dimostrazione della verità della premessa di un altro sillogismo, in modo che la conclusione del p. venga a essere la stessa premessa da dimostrare (v. Prosillogismus, in ED, IV, 1973, 719-20): vedi Aristotele, Analytica priora, 42 b 5; 44 a 22, e cfr. ampiamente Nardi, p. 336", "labels": [[66, 67, "LOC"], [95, 110, "MISC"], [192, 199, "ORG"], [228, 234, "PER"], [301, 308, "PER"], [494, 511, "PER"], [516, 518, "ORG"], [520, 522, "MISC"], [544, 554, "PER"], [556, 565, "PER"], [609, 614, "PER"]]} +{"text": "Aristotele, Analytica priora, 26 b – 28 a; il prosillogismo qui introdotto appartiene alla seconda delle tre figure in cui il sillogismo può presentarsi, cioè a quella in cui il termine medio è predicato di entrambe le premesse: \"“nessun uomo intelligente trascura la sua cultura, Caio trascura la sua cultura, dunque Caio non è un uomo intelligente” è un sillogismo di seconda figura e come tale è “privativus” non “affirmativus” (Cfr. Boezio, Priorum analyt. interpretatio I 5, PL 64, col. 643 sgg.)\" (Vinay).", "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 21, "PER"], [281, 285, "LOC"], [318, 322, "LOC"], [399, 400, "MISC"], [416, 417, "MISC"], [432, 435, "MISC"], [437, 443, "LOC"], [445, 459, "MISC"], [475, 478, "MISC"], [480, 485, "MISC"], [504, 509, "MISC"]]} +{"text": "cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di ab omni cupiditate; in questo senso si può evocare la lupa \"che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza\" di If I 49-50; così il luogo paolino \"radix omnium malorum est cupiditas\" (1 Tm 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della cupiditas come \"radix omnium peccatorum\", e non semplicemente come \"inordinatus amor divitiarum\", in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (Utrum cupiditas sit radix omnium peccatorum); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone Doglia mi reca nello core ardire (Rime 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. Vinay ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, De regimine christiano: \"reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum\" (ed. Arquillière 1926, p. 243).", "labels": [[16, 23, "MISC"], [25, 33, "MISC"], [169, 175, "MISC"], [314, 316, "MISC"], [549, 556, "PER"], [559, 565, "PER"], [567, 583, "PER"], [585, 592, "MISC"], [607, 612, "MISC"], [680, 689, "PER"], [703, 709, "PER"], [737, 744, "MISC"], [789, 794, "PER"], [827, 845, "PER"], [847, 858, "PER"], [1015, 1024, "MISC"], [1031, 1042, "LOC"]]} +{"text": "in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 a 32 – b 10, il termine usato è pleonškthj, \"avido di avere e di potere, che nella versione latina è reso con la parola avarus\" (Nardi), alla lettera \"chi vuole avvantaggiarsi\" (plšon = vantaggio), chiamato \"ingiusto\" insieme al trasgressore della legge e all’iniquo.", "labels": [[3, 13, "PER"], [15, 21, "PER"], [25, 35, "PER"], [171, 176, "PER"]]} +{"text": "sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine", "labels": [[2267, 2272, "PER"], [1290, 1296, "WORK_OF_ART"], [0, 22, "LOC"], [24, 31, "LOC"], [34, 56, "LOC"], [58, 64, "PER"], [67, 77, "PER"], [79, 88, "PER"], [1018, 1023, "PER"], [1090, 1103, "PER"], [1105, 1126, "MISC"], [1128, 1137, "MISC"], [1172, 1188, "PER"], [1190, 1206, "PER"], [1208, 1215, "MISC"], [1263, 1280, "MISC"], [1288, 1296, "MISC"], [1397, 1409, "MISC"], [1563, 1570, "MISC"], [1721, 1729, "PER"], [1829, 1835, "PER"], [2315, 2319, "MISC"], [2328, 2331, "LOC"], [2343, 2346, "LOC"], [2364, 2371, "PER"], [2372, 2378, "PER"], [2380, 2381, "PER"]]} +{"text": "l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché \"non può avere un altro sopra di sé\" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993", "labels": [[3311, 3318, "PER"], [3341, 3344, "PER"], [194, 205, "MISC"], [207, 215, "PER"], [245, 255, "PER"], [257, 263, "PER"], [267, 277, "PER"], [512, 517, "PER"], [531, 534, "PER"], [590, 599, "MISC"], [608, 624, "MISC"], [803, 809, "PER"], [822, 874, "MISC"], [876, 879, "ORG"], [891, 898, "PER"], [899, 905, "PER"], [907, 909, "PER"], [1039, 1044, "PER"], [1058, 1063, "MISC"], [1082, 1087, "MISC"], [1637, 1646, "LOC"], [2051, 2056, "PER"], [2202, 2221, "PER"], [2235, 2242, "PER"], [2245, 2252, "PER"], [2256, 2265, "PER"], [2270, 2277, "PER"], [2280, 2286, "PER"], [2519, 2531, "MISC"], [2581, 2594, "PER"], [2600, 2609, "PER"], [2614, 2621, "PER"], [2624, 2631, "PER"], [2633, 2641, "LOC"], [2657, 2660, "LOC"], [2674, 2681, "PER"], [2684, 2690, "PER"], [2729, 2736, "LOC"], [2738, 2740, "LOC"], [2890, 2897, "PER"], [2900, 2907, "PER"], [3071, 3077, "PER"], [3080, 3098, "PER"], [3308, 3318, "ORG"], [3322, 3336, "PER"], [3385, 3400, "MISC"]]} +{"text": "si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata", "labels": [[817, 840, "WORK_OF_ART"], [63, 73, "PER"], [75, 81, "MISC"], [158, 161, "PER"], [189, 197, "LOC"], [206, 212, "LOC"], [225, 231, "PER"], [272, 278, "LOC"], [282, 296, "PER"], [301, 303, "ORG"], [305, 307, "MISC"], [345, 350, "PER"], [416, 427, "MISC"], [431, 442, "PER"], [444, 446, "PER"], [512, 516, "MISC"], [518, 522, "MISC"], [524, 526, "MISC"], [548, 555, "PER"], [556, 562, "PER"], [564, 567, "PER"], [664, 671, "PER"], [842, 845, "LOC"], [857, 864, "PER"], [865, 871, "PER"], [873, 874, "PER"], [948, 955, "MISC"]]} +{"text": "Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi", "labels": [[0, 3, "PER"], [32, 48, "PER"], [50, 66, "PER"], [68, 71, "MISC"], [72, 76, "ORG"], [91, 95, "MISC"], [98, 103, "MISC"], [129, 133, "MISC"], [309, 312, "PER"]]} +{"text": "Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla natura passivorum et activorum. \"Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la Fisica e nel primo De Generatione” (Conv., IV, x, 9; cfr. ibid., III, x, 2), fra l’agente e il paziente è necessario vi sia contatto: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (Conv., III, x, 2)\" (Nardi).", "labels": [[271, 277, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [236, 244, "LOC"], [268, 277, "ORG"], [290, 304, "PER"], [307, 311, "PER"], [314, 319, "MISC"], [336, 339, "MISC"], [405, 406, "MISC"], [502, 506, "MISC"], [509, 515, "MISC"], [522, 527, "PER"]]} +{"text": "cfr. Attilio Mellone, De Causis, in ED, II, 1970, p. 327. \"Il piccolo anonimo Liber de causis godé fra gli Scolastici di grande autorità e fortuna, e fu una delle opere più frequentemente citate [...]. Tradotto dall’arabo in latino, a Toledo, da Gherardo di Cremona, fra il 1167 e il 1184, fu [...] uno dei principali tramiti dell’influenza del pensiero neo-platonico sulla Scolastica cristiana [...]. Dante [...] vi si riferisce sempre come a scritto d’ignoto autore\" (Nardi 1924a, poi in Nardi 1967, pp. 81-3 e 88-9, con speciale riguardo a questo luogo e con rinvio ai commenti di Tommaso, Egidio Romano e Alberto Magno). Dante si riferisce qui alla prop. 1: \"Omnis causa primaria plus est influens super causatum suum quam causa universalis secunda\". Lo stesso Nardi 1942b, p. 118, spiega: \"La maggior vicinanza del Monarca a tutti gli uomini va intesa dunque nel senso che esso è sulla terra ‘causa universalis prima’ di ogni potere politico di cui partecipano i principi particolari, e perciò è ‘magis causa’\".", "labels": [[5, 20, "PER"], [22, 31, "PER"], [36, 38, "ORG"], [40, 42, "MISC"], [78, 98, "PER"], [107, 117, "LOC"], [235, 241, "LOC"], [246, 265, "PER"], [374, 394, "MISC"], [402, 407, "PER"], [490, 500, "MISC"], [584, 591, "PER"], [593, 606, "PER"], [609, 622, "PER"], [625, 630, "PER"], [663, 668, "PER"], [765, 770, "PER"], [820, 827, "LOC"], [921, 922, "MISC"], [1013, 1014, "MISC"]]} +{"text": "che la libertà, \"tra i vocaboli centrali del mondo dantesco\" (Bruno Bernabei, Libertà, in ED, III, 1971, p. 641), in questo luogo sia \"sentita, più che come esigenza morale, come supremo attributo della razionalità\" (Vinay), pare considerazione un poco avventata, probabilmente nel ricordo di Cv III xiv 9-10, dove \"la nobile anima d’ingegno\" è detta \"libera ne la sua propria potestate\" in base al canone aristotelico \"che quella cosa è libera che per sua cagione è, non per altrui\" (v. più sotto, I xii 8, con richiamo a Metaphysica, 982 b 25-6). Credo superflua ogni correzione di tipo conciliatorio (v. Pizzica 1988, p. 224 nota 1). Non sarà invece superfluo ricordare che il diritto romano giustinianeo, tra le sue rare definizioni, ne possiede una della libertas. Un frammento di Fiorentino dice infatti che la libertà è una facoltà naturale, e che la schiavitù è un istituto del diritto delle genti contrario a natura: \"Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur. Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur\" (Dig. 1, 5, 4, pr.-§ 1: Mommsen-Krüger, I, p. 7): la libertà, che consiste nella capacità di possedere diritti e nell’assenza di uno stato di soggezione, è un diritto naturale innato in ogni essere umano, o per dirla altrimenti ogni uomo è in origine libero. Per tutto ciò v. l’insuperato studio di Wirszubski 1957.", "labels": [[62, 76, "PER"], [78, 85, "LOC"], [90, 92, "ORG"], [94, 97, "MISC"], [217, 222, "MISC"], [293, 299, "PER"], [499, 506, "MISC"], [523, 534, "LOC"], [604, 619, "MISC"], [786, 796, "LOC"], [1118, 1121, "PER"], [1132, 1139, "MISC"], [1141, 1148, "PER"], [1149, 1155, "PER"], [1157, 1158, "PER"], [1416, 1431, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Cv I viii 14: \"la vertù dee avere atto libero e non sforzato\"; opportunamente Kay si appella al significato di \"“full discretion” [...] in Roman law\", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel \"liberum arbitrium\" di Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3 e nel \"plenum arbitrium\" di Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). Vinay ricorda invece Pg VI 130-132 (\"Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca\"), sostenendo però curiosamente che mentre là \"la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”\", qui \"è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione\". Cfr. l’importante voce Arbitrio di Sofia Vanni Rovighi, in ED, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [339, 353, "WORK_OF_ART"], [8, 14, "MISC"], [83, 86, "PER"], [144, 153, "MISC"], [237, 240, "PER"], [327, 330, "PER"], [365, 372, "PER"], [373, 379, "PER"], [381, 382, "PER"], [402, 407, "PER"], [423, 432, "MISC"], [686, 687, "MISC"], [717, 720, "MISC"], [724, 725, "MISC"], [725, 736, "MISC"], [829, 860, "MISC"], [865, 867, "MISC"], [869, 870, "MISC"]]} +{"text": "Boezio, In lib. Aristotelis (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: \"sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis de voluntate iudicium\"; cfr. anche Id., Consolatio Philosophiae, V 2 2-6, sulla \"arbitrii libertas\" come \"volendi nolendique libertas\" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di Vinay (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che \"il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”\", dall’altra sostiene che \"il passo non è perspicuo\", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: de voluntate risulta così gravemente frainteso: \"Nessun dubbio che “de voluntate” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”\" (p. 70); inoltre non è \"la formula adoperata dai “multi”\" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i multi, che saranno senz’altro i \"commentatori di Pier Lombardo, Sententiae, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum de voluntate iudicium”\". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale \"avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “de voluntate” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis\" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione \"libero giudizio portato sulla volontà\", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di Pézard, il quale ammette che \"l’expression est douteuse\" ma respinge come \"étrange\" la proposta di Vinay, traducendo invece \"un jugement librement formé par la volonté\" e spiegando (p. 649): \"Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine\". Lo ricalca Livi 2002: \"un libre jugement formulé par la volonté\". Ficino ha semplicemente \"libero g[i]udicio di volontà\", e l’Anonimo \"giudicie della volontà\". Per tutto ciò v. anche la voce Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40.", "labels": [[0, 6, "PER"], [8, 14, "MISC"], [16, 27, "MISC"], [33, 38, "MISC"], [44, 53, "PER"], [55, 57, "PER"], [182, 184, "PER"], [187, 210, "LOC"], [212, 217, "MISC"], [478, 483, "PER"], [533, 544, "MISC"], [574, 576, "MISC"], [607, 608, "MISC"], [624, 630, "PER"], [650, 652, "MISC"], [863, 869, "LOC"], [956, 961, "PER"], [1057, 1058, "MISC"], [1081, 1082, "MISC"], [1105, 1106, "MISC"], [1166, 1167, "MISC"], [1189, 1194, "PER"], [1364, 1377, "PER"], [1379, 1389, "LOC"], [1391, 1393, "LOC"], [1534, 1541, "PER"], [1618, 1620, "MISC"], [1626, 1627, "MISC"], [1676, 1677, "MISC"], [1988, 1994, "MISC"], [2087, 2092, "PER"], [2180, 2185, "PER"], [2265, 2269, "PER"], [2320, 2326, "PER"], [2352, 2362, "PER"], [2380, 2387, "LOC"], [2445, 2471, "MISC"], [2476, 2478, "MISC"], [2480, 2481, "MISC"]]} +{"text": "sulle intelligenze angeliche cfr. sopra, I iii 7; sui beati che non dismettono l’esercizio del libero arbitrio v. Giorgio Stabile, Volontà, in ED, V, 1976, p. 1139. \"La conseguenza che l’immutabilità del volere non sopprime il libero arbitrio nelle intelligenze separate le quali sono anzi perfettamente libere riposa su alcuni motivi della speculazione scolastica che ricorrono ripetutamente in S. Tommaso: negli angeli, volontà e appetito sono distinti come nell’uomo, quindi è identico il trinomio “apprehensio-iudicium-appetitus” con la differenza che negli angeli l’“iudicium” non risponde ad una “inquisitiva deliberatio consilii” ma ad una “subita acceptatio veritatis” (Summa theol., I, q. 49, art. III); la perfezione della loro libertà dipende da questa “subita acceptatio” che esclude a priori una sopraffazione dell’“appetitus” anche se questo dovesse intendersi per analogia all’“appetitus” umano\" (Vinay). Per il \"suggello poetico\" (Pizzica 1988) di tutto ciò cfr. Pg XVIII 55-60. Vedi anche la v. Sustanza di Alfonso Maierù, in ED, V, 1976, p. 495.", "labels": [[1012, 1020, "WORK_OF_ART"], [102, 129, "PER"], [131, 138, "PER"], [143, 145, "ORG"], [147, 148, "MISC"], [396, 406, "PER"], [678, 689, "MISC"], [692, 693, "PER"], [707, 710, "MISC"], [912, 917, "MISC"], [947, 959, "MISC"], [982, 987, "MISC"], [1009, 1020, "MISC"], [1024, 1038, "PER"], [1043, 1045, "ORG"], [1047, 1048, "MISC"]]} +{"text": "aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3", "labels": [[34, 37, "PER"], [11, 19, "WORK_OF_ART"], [14, 21, "PER"], [29, 37, "LOC"], [76, 92, "PER"], [94, 110, "PER"], [112, 119, "MISC"], [138, 141, "MISC"], [142, 146, "ORG"], [161, 165, "MISC"], [277, 280, "MISC"]]} +{"text": "corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: \"“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”\" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi \"traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo\", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): \"Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium...\". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la \"autocitazione [...], insolita e isolata\" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, \"dantesca o meno\" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla \"coeva alla redazione del trattato\"), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile \"l’ipotesi che si tratti di una interpolazione\", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"come dissi nella “Comedia” del Paradiso\") manchi in Ficino, che invece ha \"come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”\", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene \"esagerato\" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove \"incontestabili\" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: \"come iddii\" (Ficino), \"come Dii\" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso \"mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”\"; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (\"Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”\"), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: \"Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes\", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (\"Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]\"); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante \"si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste\", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: \"Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos\". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: \"E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta\".", "labels": [[22, 30, "PER"], [43, 50, "MISC"], [56, 57, "MISC"], [76, 79, "MISC"], [159, 162, "MISC"], [163, 164, "MISC"], [290, 313, "MISC"], [452, 466, "MISC"], [645, 655, "MISC"], [659, 670, "PER"], [684, 689, "MISC"], [693, 699, "MISC"], [730, 761, "ORG"], [792, 799, "PER"], [824, 847, "PER"], [849, 888, "MISC"], [890, 891, "PER"], [901, 903, "ORG"], [905, 910, "ORG"], [937, 969, "MISC"], [1077, 1089, "MISC"], [1096, 1106, "MISC"], [1146, 1159, "MISC"], [1185, 1198, "MISC"], [1240, 1245, "PER"], [1247, 1259, "PER"], [1261, 1270, "PER"], [1458, 1468, "MISC"], [1470, 1474, "MISC"], [1547, 1560, "LOC"], [1569, 1582, "LOC"], [1680, 1692, "PER"], [1728, 1734, "MISC"], [1829, 1834, "MISC"], [1857, 1863, "PER"], [1883, 1895, "MISC"], [1937, 1949, "MISC"], [2075, 2078, "MISC"], [2187, 2192, "PER"], [2253, 2263, "MISC"], [2316, 2321, "PER"], [2392, 2399, "LOC"], [2419, 2441, "LOC"], [2454, 2460, "PER"], [2501, 2529, "MISC"], [2666, 2676, "MISC"], [2750, 2777, "MISC"], [2784, 2793, "MISC"], [2795, 2807, "MISC"], [2889, 2900, "MISC"], [2934, 2945, "MISC"], [2951, 2954, "MISC"], [2963, 2974, "MISC"], [3133, 3143, "PER"], [3153, 3155, "MISC"], [3200, 3201, "MISC"], [3205, 3208, "LOC"], [3221, 3236, "ORG"], [3250, 3263, "MISC"], [3288, 3303, "MISC"], [3312, 3324, "MISC"], [3336, 3345, "MISC"], [3626, 3631, "PER"], [3777, 3783, "PER"], [3792, 3795, "PER"], [3798, 3805, "LOC"], [3820, 3821, "LOC"], [3822, 3838, "MISC"], [3856, 3861, "PER"], [4027, 4035, "MISC"], [4092, 4100, "PER"], [4102, 4105, "MISC"], [4245, 4257, "MISC"], [4268, 4271, "PER"], [4363, 4376, "MISC"], [4390, 4395, "MISC"], [4410, 4417, "PER"], [4420, 4426, "PER"], [4428, 4444, "PER"], [4446, 4454, "MISC"], [4462, 4466, "MISC"], [4510, 4514, "LOC"], [4751, 4756, "PER"], [4847, 4852, "PER"], [4869, 4874, "PER"], [4961, 4967, "LOC"], [4969, 4992, "LOC"], [4994, 5003, "MISC"], [5276, 5281, "PER"], [5408, 5419, "MISC"], [5448, 5451, "MISC"], [5480, 5490, "MISC"], [5664, 5669, "PER"], [5728, 5737, "MISC"], [5996, 6006, "PER"], [6019, 6029, "MISC"], [6045, 6050, "PER"]]} +{"text": "\"come nella “Metafisicha” dicie Aristotile\" (Ficino); ricalca, come al solito, l’Anonimo: \"come al Filosafo piacie inel libro “Di simpliciter ente”\". Così anche più oltre, I xiii 3; I xv 2; e III xiv 6; cfr. Aristotele, Mataphysica, 982 b 25-6; \"ma nel testo aristotelico si parla dell’“uomo che diciamo libero”\" (Nardi). Dante lo ricorda in Cv III xiv 10: \"e lo Filosofo dice, nel secondo della Metafisica, che quella cosa è libera, che per sua cagione è, non per altrui\".", "labels": [[12, 24, "MISC"], [45, 51, "PER"], [81, 88, "LOC"], [99, 107, "ORG"], [126, 127, "MISC"], [172, 180, "MISC"], [192, 195, "MISC"], [208, 218, "PER"], [220, 231, "PER"], [314, 319, "PER"], [322, 327, "PER"], [342, 348, "MISC"], [363, 371, "PER"], [396, 406, "ORG"]]} +{"text": "sono raddrizzate le forme politiche deviate o perverse, cioè le tirannidi come esiti della corruzione delle rette costituzioni: v. Aristotele, Politica, 1279 a 23-39 (cfr. sopra, I II 6). Plastica la resa ficiniana: le torte republiche si dirizano; senza senso l'Anonimo, il cui volgarizzamento (però che allora solo politichamente siamo reti obliquamente) riflette una lezione assai vicina a quella di M, c. 14v: Tunc enim politicem dirigimur oblique", "labels": [[128, 141, "PER"], [143, 151, "PER"], [179, 185, "MISC"], [263, 270, "ORG"], [403, 404, "MISC"]]} +{"text": "è la servitus \"que morti comparatur\", come scrive Bartolo nel De regimine civitatis (ed. Quaglioni 1983, p. 158), allegando una celebre regula iuris in Dig. 50, 17, 209 (Mommsen-Krüger, I, p. 873). Anche Cassell richiama qui Bartolo, non a torto come \"Dante’s follower\".", "labels": [[50, 57, "LOC"], [62, 83, "ORG"], [152, 155, "MISC"], [170, 177, "PER"], [178, 184, "PER"], [186, 187, "PER"], [204, 211, "PER"], [225, 232, "LOC"], [252, 257, "PER"]]} +{"text": "\"reghono\" (Ficino); \"e politizare\" (Anonimo). Nardi traduce \"ben governano\", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: \"Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke\". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.", "labels": [[46, 51, "PER"], [11, 17, "PER"], [36, 43, "LOC"], [225, 230, "PER"], [263, 273, "MISC"], [282, 287, "PER"], [300, 305, "PER"], [381, 384, "MISC"], [387, 389, "MISC"], [396, 410, "MISC"], [435, 449, "MISC"], [451, 452, "MISC"], [463, 465, "MISC"], [485, 489, "MISC"], [498, 500, "PER"], [525, 535, "MISC"], [542, 543, "MISC"], [553, 562, "MISC"], [616, 637, "LOC"], [645, 652, "PER"], [667, 674, "PER"], [684, 689, "PER"], [690, 703, "MISC"], [763, 773, "PER"], [786, 791, "PER"]]} +{"text": "Honde Aristotile nella \"Politicha\"; cfr. Aristotele, Politica, 1276 b 16 – 1278 b 5", "labels": [[0, 16, "PER"], [24, 33, "PER"], [41, 51, "PER"], [53, 61, "PER"]]} +{"text": "Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)", "labels": [[383, 391, "WORK_OF_ART"], [588, 596, "WORK_OF_ART"], [0, 7, "PER"], [97, 126, "MISC"], [206, 212, "LOC"], [216, 226, "PER"], [261, 268, "PER"], [313, 318, "PER"], [329, 336, "PER"], [367, 391, "MISC"], [413, 438, "MISC"], [532, 538, "PER"], [554, 559, "PER"], [890, 903, "PER"], [919, 947, "PER"], [963, 972, "PER"], [1030, 1036, "PER"], [1157, 1164, "ORG"], [1344, 1349, "PER"], [1383, 1389, "PER"], [1478, 1493, "MISC"], [1519, 1524, "PER"], [1566, 1572, "LOC"], [1594, 1603, "MISC"], [1644, 1647, "MISC"]]} +{"text": "gens, gentem non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui \"la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica\" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regimine principum, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622).", "labels": [[0, 4, "PER"], [6, 12, "PER"], [59, 67, "PER"], [340, 356, "PER"], [358, 374, "PER"], [376, 383, "MISC"], [403, 410, "PER"], [414, 419, "LOC"], [444, 465, "MISC"], [467, 473, "MISC"], [533, 549, "PER"], [551, 558, "PER"], [562, 567, "LOC"], [572, 574, "ORG"], [576, 577, "MISC"]]} +{"text": "giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di \"minister omnium\", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di \"minister dei\", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987", "labels": [[22, 25, "PER"], [188, 200, "LOC"], [206, 218, "MISC"], [220, 221, "LOC"], [287, 305, "PER"], [316, 328, "MISC"], [438, 443, "PER"], [757, 759, "MISC"], [815, 820, "MISC"], [827, 834, "PER"], [839, 860, "MISC"], [862, 865, "MISC"], [870, 891, "PER"], [896, 908, "ORG"], [910, 914, "ORG"], [994, 1012, "PER"], [1033, 1046, "MISC"], [1048, 1058, "PER"], [1168, 1173, "PER"], [1183, 1195, "MISC"], [1269, 1283, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I XI 20. Cassell dà, con Vinay e Kay, alla ripetizione di potest il significato di un'enfasi sulla perfezione potenziale della monarchia. Leggiamo in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere", "labels": [[494, 499, "WORK_OF_ART"], [14, 19, "MISC"], [21, 28, "PER"], [37, 42, "PER"], [45, 48, "PER"], [150, 158, "PER"], [162, 178, "PER"], [180, 196, "PER"], [198, 205, "MISC"], [470, 481, "PER"], [492, 499, "MISC"], [514, 563, "MISC"]]} +{"text": "inconferente l'allegazione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1110 a 2-3, proposta da Kay", "labels": [[30, 40, "PER"], [42, 48, "PER"], [52, 62, "PER"], [88, 91, "PER"]]} +{"text": "Aristotile nella \"Metafisicha\"; cfr. sopra, I XII 8; riassume Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; corrisponde a quanto Dante, allegando però il libro VII della Metafisica (1032 a 18) scrive in Cv IV X 8: \"Ove è da sapere che, sé come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un'altra, generasi di quella, essendo in quello essere\". Cassell osserva che \"Dante applies the concept to the Church\", più avanti, III, XIV, 6", "labels": [[162, 172, "WORK_OF_ART"], [18, 29, "LOC"], [62, 72, "PER"], [74, 85, "PER"], [121, 126, "PER"], [195, 200, "MISC"], [245, 253, "MISC"], [381, 391, "LOC"], [479, 486, "PER"], [500, 505, "PER"], [554, 557, "PER"], [559, 562, "PER"]]} +{"text": "Gn 27, 1-29: i fatti, benché ingannevoli (come le mani ricoperte di pelle di capretto e le vesti indossate da Giacobbe in luogo del fratello Esaù, che indussero Isacco ormai cieco e morente a scambiare Giacobbe per il figlio primogenito, benedicendolo e ponendolo a capo della sua famiglia) sono più forti delle parole (come il suono della voce, che Isacco riconobbe per quello di Giacobbe, ma che non fu sufficiente a convincerlo della sua vera identità). In Vinay, potuerunt per persuaserunt è, come registrano Ricci 1965 e Nardi, una svista del Rostagno. Cfr. la v. Giacobbe di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 145-6; Cremascoli 2011, p. 35 e note 19-20, richiama a questo proposito il Contra mendacium di Agostino", "labels": [[569, 577, "PER"], [110, 118, "PER"], [141, 145, "PER"], [161, 167, "PER"], [202, 210, "PER"], [350, 356, "PER"], [381, 389, "PER"], [460, 465, "PER"], [513, 523, "MISC"], [526, 531, "PER"], [548, 556, "PER"], [581, 601, "PER"], [606, 608, "MISC"], [610, 613, "MISC"], [632, 647, "MISC"], [700, 728, "LOC"]]} +{"text": "Honde Aristotile \"A Nicomaco\" (Ficino); Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere", "labels": [[0, 16, "PER"], [20, 28, "MISC"], [31, 37, "PER"], [40, 50, "PER"], [52, 58, "PER"], [62, 72, "PER"]]} +{"text": "cfr. sopra, I XI 5. D. si riferisce qui agli \"habitus\" propriamente umani, a quelli cioè che l'uomo non riceve direttamente dalla natura né da Dio, ma deve crearsi con le proprie forze, ad es. le virtù, la scienza ecc. Per creare un \"habitus\" occorre ripetere determinati atti e occorrerà ripeterli tanto meno quanto minore sarà l'opposizione attiva o passiva offerta dal corpo o dalle facoltà dell'anima o dall'uno o dalle altre. Così sarà tanto più facile acquistare l'abito alla scienza quanto il corpo sarà più resistente alla fatica o più pronta la memoria; sarà tanto più facile creare l'abito alla giustizia quanto minore sarà la resistenza della cupidigia, come è detto subito dopo (cfr. Summa theol., 1a 2ae, q. 49 sgg.) (Vinay). Kay ricorda le frequenti menzioni dell'abito di scienza in Cv I I 2 e 6; II XIII 6; III XIII 9; v. anche la nota di G. Gorni a Vn 16, 1, nel vol. I di questa edizione, p. 963. Riferendosi a questo luogo Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 963, scrive che l'abito della v. filosofica è l'insieme delle virtù che sostengono l'uomo nell'acquisizione della v. investigata dalla filosofia", "labels": [[696, 707, "WORK_OF_ART"], [14, 18, "MISC"], [20, 22, "MISC"], [143, 146, "MISC"], [731, 736, "MISC"], [739, 742, "PER"], [798, 802, "MISC"], [855, 863, "PER"], [866, 871, "MISC"], [942, 956, "PER"], [958, 964, "PER"], [969, 971, "MISC"], [973, 974, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I XI 6, 11 e 14; e si ricordi ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori. Cfr. anche la v. Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, p. 1138", "labels": [[301, 308, "WORK_OF_ART"], [14, 18, "MISC"], [49, 65, "PER"], [67, 83, "PER"], [85, 92, "MISC"], [107, 111, "MISC"], [312, 327, "PER"], [332, 334, "ORG"], [336, 337, "MISC"]]} +{"text": "Dante disegna qui con estrema concisione il paradigma della relazione tra diritti propri e diritto comune, ricordando che gli statuti cittadini (chiamati leges municipales, con precisione tecnica che si ritrova già, ad esempio, nella Glossa accursiana a Dig. 1, 1, 9) ricevono un'interpretazione passiva dal ius commune, in quanto norme nessariamente lacunose – non semplicemente difettose (Pizzica 1988), imperfette (Nardi), insufficienti (Vinay), défaillantes (Pézard), ma defective (Shaw 1996) in senso tecnico – e dunque bisognose di correctio, di corretione, come con altrettanta precisione tecnica sottolinea Ficino (p. 346); solito calco nell'Anonimo: àno di bisogno d'opera direttiva. La princeps K, riflettendo le incertezze di una parte dei codici β, ha directione. Per tutte le questioni relative alla dottrina degli statuti e alla loro interpretazione cfr. Sbriccoli 1969", "labels": [[254, 257, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [234, 257, "MISC"], [391, 403, "MISC"], [418, 423, "PER"], [441, 446, "PER"], [463, 469, "PER"], [486, 495, "MISC"], [615, 621, "PER"], [650, 658, "MISC"], [705, 706, "LOC"]]} +{"text": "è la lezione dell’intiera tradizione manoscritta, nella quale Favati 1970, p. 7 nota 15, non ha ravvisato errore; anche Ficino legge \"tra·lloro\". Difesa da Nardi, per Ricci 1965 e Shaw 2009, Introduzione, pp. 245-6 e note 73-4, è errore d’archetipo da correggersi con intra se, come nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"intra di sé\") e secondo Bigongiari 1950, p. 86 (poi in Bigongiari 1964, p. 37). Che sia una \"felice correzione\" Ricci 1965 lo scrive in apparato, spiegando nell’Introduzione, p. 48, che Dante allude alle \"leggi particolari adatte alle locali esigenze di ciascuna comunità\", senza riguardo \"a rapporti intercorrenti tra le varie comunità, ma invece alle caratteristiche (proprietates) che ciascuna ha in se stessa (intra se)\"; e conclude sottolineando che è facile comprendere come \"lo scambio tra intra e inter sia nato da un’abbreviazione non bene sciolta\". Nardi rifiuta con ragione la correzione sulla base del successivo accenno alle differenze fra ordinamenti. Dante infatti non ha in mente alcun “carattere intrinseco”, ma il concetto relazionale di iura propria, di “diritti propri”, che sono tali per ciascun populus in rapporto agli iura communia, agli istituti del diritto delle genti e del diritto naturale, secondo lo schema che ha origine da Gaio in Dig. 1, 1 (de iustitia et iure), 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 1): \"Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur\". Sono queste le proprietates, le particolarità, le differenze specifiche dei “tra di loro”, nationes, regna et civitates inter se.", "labels": [[877, 882, "PER"], [1281, 1284, "WORK_OF_ART"], [1292, 1311, "WORK_OF_ART"], [13, 48, "MISC"], [62, 73, "MISC"], [120, 126, "PER"], [156, 161, "PER"], [167, 177, "MISC"], [180, 189, "MISC"], [191, 203, "MISC"], [308, 315, "LOC"], [342, 352, "PER"], [373, 388, "MISC"], [430, 440, "MISC"], [479, 491, "PER"], [504, 509, "PER"], [841, 844, "MISC"], [984, 989, "PER"], [1273, 1284, "PER"], [1317, 1324, "PER"], [1325, 1331, "PER"], [1333, 1334, "PER"], [1344, 1349, "PER"]]} +{"text": "non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion", "labels": [[38, 50, "MISC"], [82, 97, "MISC"], [137, 141, "PER"], [146, 163, "MISC"], [167, 174, "PER"], [176, 187, "PER"], [189, 192, "MISC"], [195, 206, "MISC"], [225, 236, "PER"], [238, 252, "PER"], [341, 350, "PER"], [352, 358, "MISC"], [377, 393, "PER"], [395, 411, "PER"], [413, 420, "MISC"], [435, 489, "MISC"], [506, 539, "MISC"], [584, 589, "PER"], [613, 620, "LOC"], [622, 625, "PER"]]} \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_2.jsonl b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_2.jsonl new file mode 100644 index 0000000..70900ca --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_2.jsonl @@ -0,0 +1,100 @@ +{"text": "gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3", "labels": [[4, 9, "MISC"], [22, 31, "MISC"], [177, 184, "LOC"], [190, 195, "PER"], [215, 223, "PER"], [226, 232, "PER"], [279, 281, "PER"], [291, 300, "MISC"], [375, 384, "PER"], [392, 398, "MISC"], [448, 456, "MISC"], [460, 474, "PER"], [479, 481, "ORG"], [483, 484, "MISC"], [509, 516, "PER"], [518, 538, "LOC"], [540, 547, "MISC"], [551, 571, "MISC"], [573, 579, "MISC"], [581, 587, "PER"], [589, 598, "PER"], [608, 615, "PER"], [617, 624, "MISC"], [626, 645, "PER"], [647, 658, "PER"], [679, 684, "PER"], [717, 741, "MISC"], [745, 754, "PER"], [757, 770, "PER"], [772, 789, "PER"], [791, 796, "MISC"]]} +{"text": "la nota di M. Tavoni a VE I VIII 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1195 (per universa mundi climata), sottolinea che in questo luogo, così come in Cv III V 12 e Pd XXVII 81, Dante intende clima secondo la nozione di Alfragano e Alberto Magno, cioè come una delle sette fasce latitudinali in cui si divide la terra emersa fra il polo boreale e l'equatore", "labels": [[11, 20, "PER"], [150, 156, "MISC"], [164, 175, "MISC"], [177, 182, "PER"], [219, 228, "PER"], [231, 244, "PER"]]} +{"text": "cfr. sopra, I III 9 e Cv IV XXII 10-11. Imbach e Kay citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2", "labels": [[22, 27, "MISC"], [40, 46, "PER"], [49, 52, "PER"], [79, 95, "PER"], [97, 113, "PER"], [115, 122, "MISC"]]} +{"text": "Ex 18, 19-24: Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent, ut referas quae dicuntur ad eum, ostendasque populo caeremonias et ritum colendi viamque, per quam ingredi debeant, et opus quod facere debeant. Provide autem de omni plebe viros potentes et timentes Deum, in quibus sit veritas et qui oderint avaritiam; et constitue ex eis tribunos et centuriones et quinquagenarios et decanos, qui iudicent populum omni tempore; quidquid autem maius fuerit referant ad te, et ipsi minora tantummodo iudicent; leviusque sit tibi, partito in alios onere. Si hoc feceris, implebis imperium Dei, et praecepta eius poteris sustentare ; et omnis hic populus revertetur ad loca sua cum pace; Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam. A commento v. ancora Cremascoli 2011, pp. 35-6, nota 21", "labels": [[44, 58, "PER"], [260, 264, "MISC"], [680, 684, "ORG"], [1075, 1095, "MISC"], [1257, 1273, "MISC"], [1275, 1279, "LOC"], [1371, 1386, "MISC"]]} +{"text": "\"l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine\" (Ficino); \"‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno\" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: \"sono, nell’ordine, in rapporto di priorità\" (Vinay); \"sont entre eux dans le rapport de progression\" (Pézard); \"si presentano in modo graduale\" (Pizzica 1988); \"are related in a sequence\" (Shaw 1996); \"are to be ranked in that order\" (Kay); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: \"Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate\". Imbach, pp. 285-286, richiama il commento alle Sententiae, I 8 1 3 e le questioni disputate De veritate, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.", "labels": [[20, 22, "MISC"], [53, 59, "PER"], [74, 75, "MISC"], [82, 96, "MISC"], [96, 117, "MISC"], [120, 127, "LOC"], [215, 220, "PER"], [272, 278, "PER"], [315, 327, "MISC"], [359, 368, "MISC"], [405, 408, "PER"], [421, 428, "PER"], [431, 437, "PER"], [439, 455, "PER"], [457, 464, "MISC"], [806, 812, "PER"], [853, 863, "LOC"], [898, 909, "PER"], [911, 915, "PER"], [936, 943, "PER"]]} +{"text": "quintum è solo nella princeps e nei codici a (A1 T); tutti i manoscritti ? leggono primum, come Ficino (secondo el primo modo del chiamarsi \"prima\") e come l'Anonimo (secondo il primo modo diciendo alcuna cosa prima da altri). Cfr. Aristotele, Categoriae, 14 b 10-3: Oltre ai suddetti significati, parrebbe tuttavia che l'anteriorità debba assumerne ancora uno. In effetti, quando tra due oggetti sussista un rapporto convertibile, per cui la realtà di ciascuno di essi implica la realtà dell'altro, allora quello tra i due oggetti, la cui realtà è in qualsiasi modo la causa della realtà dell'altro, potrà dirsi verosimilmente anteriore per natura all'altro. Così pure, più succintamente, nelle Summulae logicales di Pietro Ispano, III 30, ed. de Rijk, p. 40", "labels": [[0, 7, "LOC"], [46, 50, "MISC"], [96, 102, "PER"], [158, 165, "ORG"], [232, 242, "PER"], [244, 254, "LOC"], [696, 714, "LOC"], [718, 731, "PER"], [733, 739, "MISC"], [748, 752, "ORG"]]} +{"text": "come dice Aristotile nella \"Metafisicha\" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro \"Di simpliciter ente\" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12", "labels": [[10, 20, "PER"], [28, 39, "PER"], [42, 48, "PER"], [66, 109, "MISC"], [111, 118, "ORG"], [195, 200, "PER"], [235, 245, "MISC"], [262, 272, "PER"], [274, 285, "PER"], [380, 386, "PER"], [415, 421, "LOC"], [424, 428, "LOC"], [436, 439, "PER"], [524, 529, "PER"], [573, 579, "PER"], [581, 604, "LOC"], [629, 647, "MISC"]]} +{"text": "chiosa Vinay: Ci sono due tipi di molteplice: c'è il molteplice del creato che è l'espressione dell'infinita bontà di Dio e come tale porta in sé una immanente unità (Summa theol., I, q. 47, art. II); e c'è il molteplice che \"de se tendit in infinitum\" all'infuori di ogni ordine e di ogni finalità cioè il molteplice per il molteplice che fa domandare allo scettico perché ci sia un mondo e non due (ivi, art. III). D. si riferisce a questo secondo concetto di molteplicità come negazione \"simpliciter\"\" dell'unità", "labels": [[7, 12, "LOC"], [109, 121, "MISC"], [167, 178, "MISC"], [181, 182, "PER"], [196, 198, "PER"], [411, 414, "MISC"], [417, 419, "MISC"]]} +{"text": "\"le dieci sujtoic…ai degli elementi pitagorici opposti tra loro “secundum coëlementationem” ed enumerate da Aristotele in Metaph., I, 5, 986 a 22-30\" (così Nardi, che propone anche un rinvio a Ethica ad Nicomachum, 1096 b 5-6, aggiungendo: \"ma non X, vi, 7, come pretenderebbe il nostro caro Pézard, che non so dove abbia presa questa citazione\"). Leggono Pictagoras C D E H S; Favati 1970, p. 20 e nota 52, amerebbe, come esempio di \"altri recuperi [...] sul piano della grafia\", la forma Pythagoras attestata da K L T U (Pitagoras A1 G N Z, Pyctagoras B, Phytagoras M P, Pictogoras F, Pittagoras Ph V, Pitogoras Y). Per Giorgio Stabile, Pitagora, in ED, IV, 1973, p. 538, Pitagora \"è uno dei pochi filosofi presocratici su cui D., basandosi soprattutto su dossografie di Aristotele o di suoi commentatori, torna più volte\"; p. 540 per il luogo in esame.", "labels": [[108, 118, "PER"], [122, 128, "LOC"], [131, 132, "PER"], [156, 161, "PER"], [193, 199, "LOC"], [203, 213, "PER"], [248, 249, "MISC"], [292, 298, "PER"], [348, 376, "MISC"], [378, 389, "MISC"], [490, 500, "MISC"], [514, 521, "MISC"], [523, 541, "MISC"], [543, 555, "MISC"], [557, 571, "MISC"], [573, 585, "LOC"], [587, 602, "MISC"], [604, 615, "LOC"], [622, 637, "PER"], [639, 647, "PER"], [652, 654, "MISC"], [656, 658, "MISC"], [674, 682, "PER"], [729, 731, "MISC"], [773, 783, "PER"]]} +{"text": "La virtù volitiva è una delle potenze dell'anima è l'a. propriamente è una \"forma\" che include in sé tre potenze vitali: la vegetativa, la sensitiva e la intellettiva e da queste due ultime si svolge, nell'inclinazione al bene desiderato, la virtù volitiva. Principio formale di quest'ultima è la \"specie\", cioè la rappresentazione o \"intenzione\" in cui si rispecchia il bene appreso, intermediaria, nel processo gnoseologico, tra cosa e soggetto. Tale principio, nella sua duplice accezione, ontologica e gnoseologica, uno in se stesso, si moltiplica nella pluralità dei corpi (Pizzica 1988). Nardi rinvia a Pg XVII 99-139 e XVIII 22-39; Kay anche a Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, I 53", "labels": [[594, 599, "PER"], [579, 591, "MISC"], [609, 619, "MISC"], [626, 634, "MISC"], [639, 642, "PER"], [651, 667, "PER"], [669, 674, "PER"], [682, 690, "PER"], [692, 696, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Uguccione, B 115, 1: \"blandior –diris –ditus sum, verbum deponens, et construitur cum dativo ut ‘blandior tibi’, idest adulor. Invenitur etiam cum accusativo in eodem sensu, et inde blandus –a –um et comparatur –dior –simus, unde blande –dius –sime adverbium\"; v. più oltre, III xvi 10.", "labels": [[5, 14, "ORG"], [16, 17, "MISC"], [115, 116, "MISC"]]} +{"text": "Aristotile insegnia (Ficino, p. 348); come è manifesto (Anonimo, p. 150). Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1179 b 31 è 1180 a 24", "labels": [[21, 27, "PER"], [56, 63, "LOC"], [79, 89, "PER"], [91, 97, "PER"], [101, 111, "PER"]]} +{"text": "commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il \"genus humanum\" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco", "labels": [[20, 25, "PER"], [55, 60, "PER"], [141, 142, "MISC"], [314, 324, "PER"], [484, 493, "LOC"], [548, 553, "PER"], [795, 798, "PER"], [860, 869, "MISC"], [896, 906, "PER"], [938, 946, "PER"], [952, 958, "MISC"], [1000, 1009, "LOC"]]} +{"text": "cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, III, q. 35, a. 8 (Utrum Christus fuerit congruo tempore natus), Resp.: Christus autem, tanquam Dominus et Conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum.... È d'obbligo ricordare il notissimo passaggio, testé citato, in Cv IV V 4: E però che nella sua venuta nel mondo, non solamente lo cielo, ma la terra convenia essere in ottima disposizione; e la ottima disposizione della terra sia quando ella è monarchia, cioè tutta ad uno principe [...]; ordinato fu per lo divino provedimento quello popolo e quella cittade che ciò dovea compiere, cioè la gloriosa Roma", "labels": [[5, 21, "PER"], [23, 39, "PER"], [41, 44, "PER"], [59, 80, "MISC"], [105, 109, "MISC"], [112, 126, "MISC"], [136, 171, "MISC"], [303, 308, "MISC"], [640, 644, "LOC"]]} +{"text": "Cassell, pp. 302-3, nota 108, ipotizza che siano qui presenti motivi cari alla tradizione francescana, particularly celebrative of Christ's coming in \"the quiet silence\" [...] of the reign of Augustus, così come si esprime nell'Arbor vitae di Bonaventura (I, 3-4) a commento di Gal 4, 4", "labels": [[0, 7, "PER"], [116, 146, "MISC"], [192, 200, "PER"], [228, 233, "LOC"], [243, 254, "PER"], [278, 281, "PER"]]} +{"text": "Svetonio, Augustus, 22; Floro, Epitoma, II 34 64; Orosio, Historiae adversus Paganos, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, Svetonio, Caio Tranquillo, in ED, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in ED, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in ED, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in VE II VI 7 (cfr. l'Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)", "labels": [[0, 8, "PER"], [10, 18, "PER"], [24, 29, "PER"], [31, 38, "LOC"], [50, 56, "PER"], [58, 67, "PER"], [77, 84, "PER"], [86, 91, "MISC"], [108, 124, "PER"], [126, 134, "PER"], [136, 151, "PER"], [156, 158, "ORG"], [160, 161, "MISC"], [227, 232, "LOC"], [277, 292, "PER"], [297, 299, "ORG"], [301, 303, "MISC"], [323, 329, "PER"], [364, 369, "PER"], [383, 398, "PER"], [402, 404, "MISC"], [406, 408, "MISC"], [551, 561, "MISC"], [570, 598, "MISC"], [630, 635, "PER"], [650, 659, "PER"], [662, 672, "MISC"], [701, 703, "MISC"]]} +{"text": "L'espressione è enfatica (Vinay). Cfr. Virgilio, Eclogae, IV 6 (per il quale v. sopra, I XI 1); Ovidio, Fasti, I 280-1", "labels": [[26, 31, "PER"], [39, 47, "PER"], [49, 56, "PER"], [58, 62, "MISC"], [96, 102, "PER"], [104, 109, "PER"], [111, 116, "MISC"]]} +{"text": "Lc 2, 1: \"Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis\". Dante cita lo stesso luogo anche più avanti, II viii 14; in Cv IV v 8; e nell’Ep VII 14, \"dove Luca è detto “bos noster evangelizans accensus ignis eterni flamma” nella quale immagine tradizionale è la spiegazione dello “scriba mansuetudinis”\" (Vinay); e v. anche II x 6. Cfr. Gian Roberto Sarolli, Luca, in ED, III, 1971, pp. 696-7, e per il \"latinismo\" del ricorrente appellativo, Antonio Lanci, Scriba, ivi, V, 1976, p. 93, con rimandi a Mn II viii 14 e III iv 11, nonché a Pd X 27 (\"quella materia ond’io son fatto scriba\"), e con il commento: \"Infatti Luca e tutti coloro che hanno scritto il Vecchio e il Nuovo Testamento non erano veri e propri “scrittori”, nel senso di “autori”, ma “scrivani” (scribae) della parola di Dio\". Dante però usa il termine non solo per Luca, per gli scribe divini eloquii (Mn III iv 11) o per gli scribe Cristi (Mn III ix 9), ma anche per Livio (Mn II iii 6) e per gli scribe romane rei (Mn II iv 10), ai quali egli non negava di certo la qualità di “scrittori” nel senso di “autori” (tant’è che Ficino stesso, p. 384, gli scribe divini eloquii di Mn III iv 11 sono \"li scriptori del divino sermone\").", "labels": [[0, 4, "MISC"], [10, 26, "LOC"], [60, 75, "PER"], [112, 117, "PER"], [157, 159, "PER"], [172, 177, "MISC"], [190, 199, "MISC"], [207, 211, "MISC"], [357, 362, "PER"], [376, 378, "PER"], [389, 409, "PER"], [411, 415, "MISC"], [420, 422, "MISC"], [424, 427, "MISC"], [495, 508, "PER"], [510, 516, "ORG"], [523, 524, "MISC"], [553, 558, "MISC"], [589, 596, "MISC"], [669, 673, "MISC"], [710, 717, "MISC"], [723, 739, "MISC"], [790, 791, "MISC"], [803, 804, "MISC"], [815, 822, "MISC"], [830, 843, "MISC"], [846, 851, "PER"], [885, 889, "PER"], [922, 928, "MISC"], [953, 959, "PER"], [961, 972, "MISC"], [988, 993, "PER"], [995, 1000, "MISC"], [1037, 1042, "MISC"], [1124, 1125, "MISC"], [1134, 1139, "MISC"], [1145, 1151, "PER"], [1197, 1203, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Io 19, 23: Erat autem tunica inconsutilis desuper contexta per totum. La tunica di Cristo, tessuta senza cuciture e che i soldati a guardia della croce non osano scindere, è assunta a simbolo della unità dell'Impero, spezzata il giorno della donazione di Costantino è seme e frutto di cupidigia [...] è ma non per questo meno legittima e indistruttibile perché voluta da Dio (Vinay). Cfr. più oltre, III X 6, e la v. Inconsutilis, in ED, III, 1971, p. 414. Niente affatto superfluo ricordare, come opportunamente fano Kay e Cassell, che nella extravagante Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245) si ricorre alla stessa figura come simbolo dell'unità indivisibile della Chiesa universale", "labels": [[68, 73, "LOC"], [214, 220, "LOC"], [260, 270, "PER"], [376, 379, "MISC"], [381, 386, "MISC"], [419, 434, "ORG"], [439, 441, "ORG"], [443, 446, "MISC"], [523, 526, "PER"], [529, 536, "PER"], [561, 573, "MISC"], [577, 591, "PER"], [601, 607, "MISC"], [616, 617, "MISC"], [622, 631, "LOC"], [633, 635, "LOC"], [721, 738, "ORG"]]} +{"text": "come il gran drago rosso dell'Apocalissi (12, 3) (Furlan); cfr. anche Ap 17, 9. Cassell rimanda ancora all'immagine analoga presente nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245: Igitur ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum) e addita come luogo parallelo Ep VII [6] 21, allegando Kay a proposito di una supposta eco di versi oraziani (Epist., I, 1, 76; Carm., II, 13, 34)", "labels": [[8, 40, "LOC"], [50, 56, "LOC"], [70, 75, "MISC"], [80, 87, "PER"], [139, 151, "MISC"], [155, 169, "PER"], [179, 185, "MISC"], [194, 195, "MISC"], [200, 209, "LOC"], [211, 213, "LOC"], [226, 270, "MISC"], [346, 352, "PER"], [371, 374, "PER"], [426, 431, "MISC"], [434, 435, "MISC"], [444, 448, "PER"], [451, 453, "PER"]]} +{"text": "Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce Salmo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli Atti degli Apostoli, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della Monarchia al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche Nardi riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per Vinay il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo De potestate regia et papali, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (Ep VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del Convivio in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (Pd XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1", "labels": [[61, 66, "MISC"], [70, 82, "PER"], [87, 89, "MISC"], [91, 93, "MISC"], [112, 124, "MISC"], [194, 202, "PER"], [204, 222, "PER"], [224, 242, "PER"], [244, 261, "PER"], [395, 402, "LOC"], [409, 418, "PER"], [538, 557, "MISC"], [606, 612, "PER"], [670, 675, "PER"], [678, 684, "PER"], [695, 697, "MISC"], [716, 721, "PER"], [754, 760, "LOC"], [776, 792, "LOC"], [889, 906, "PER"], [922, 928, "PER"], [933, 938, "PER"], [961, 971, "PER"], [994, 1000, "PER"], [1063, 1081, "MISC"], [1117, 1123, "LOC"], [1186, 1202, "LOC"], [1204, 1219, "MISC"], [1222, 1234, "MISC"], [1258, 1267, "LOC"], [1452, 1458, "LOC"], [1505, 1520, "MISC"], [1550, 1555, "PER"], [1699, 1704, "PER"], [1838, 1846, "PER"], [1850, 1856, "LOC"], [1867, 1869, "MISC"], [1897, 1899, "MISC"], [2001, 2011, "MISC"], [2028, 2040, "MISC"], [2116, 2151, "MISC"], [2171, 2176, "MISC"], [2274, 2297, "MISC"], [2306, 2317, "MISC"], [2350, 2361, "MISC"], [2401, 2406, "PER"], [2420, 2432, "MISC"], [2461, 2465, "PER"], [2515, 2521, "PER"], [2744, 2747, "MISC"], [2758, 2764, "LOC"], [2779, 2782, "MISC"], [2910, 2920, "MISC"], [2944, 2967, "MISC"], [2984, 2995, "PER"], [3063, 3065, "PER"]]} +{"text": "per Scott 2010, p. 249, uno dei frammenti autobiografici più preziosi che Dante ci abbia mai lasciato. Indispensabile una lettura in parallelo con Cv IV IV 8-9 e 11-2: Veramente potrebbe alcuno gavillare dicendo che, tutto che al mondo officio d’imperio si richeggia, non fa ciò l’autoritade dello romano principe ragionevolemente somma, la quale s’intende dimostrare; però che la romana potenzia non per ragione né per decreto di convento universale fu acquistata, ma per forza, che alla ragione pare esser contraria. A ciò si può lievemente rispondere, che la elezione di questo sommo officiale convenia primieramente procedere da quello consiglio che per tutto provede, cioè Dio [...]. Onde non da forza fu principalmente preso per la romana gente, ma da divina provedenza, che è sopra ogni ragione. E in ciò s’accorda Virgilio nel primo dello Eneida [Aen. I 277-8], quando dice, in persona di Dio parlando: “A costoro – cioè alli Romani – né termine di cose né di tempo pongo; a loro ho dato imperio sanza fine”. La forza dunque non fu cagione movente, sì come credeva chi gavillava, ma fu cagione instrumentale, sì come sono li colpi del martello cagione [instrumentale] del coltello, e l’anima del fabbro è cagione efficiente e movente; e così non forza, ma ragione, [e] ancora divina, [conviene] essere stata principio del romano imperio. Nardi, p. 365, opportunamente commenta: Qui, nella Monarchia, Dante non parla affatto di “gavillo”, ma di due momenti diversi nello sviluppo del suo pensiero. Dapprima anche lui, come altri, aveva creduto con sua meraviglia che il popolo romano avesse conquistato il mondo senza alcun diritto, “sed armorum tantummodo violentia”. E continua: “Sed postquam medullitus oculos mentis infixi...”. Dante confessa ora che ci fu un tempo nel quale anch’egli aveva creduto quel che gli avversari dell’Impero credevano. Cosa che nel Convivio non dice, tutto preso dalla scoperta fatta da poco. Sulla animosità antiromana diffusa negli ambienti curialisti, da Egidio Romano a Jean Lemoine (che secondo la testimonianza di Giovanni d’Andrea voleva Roma fundata a praedonibus). Cfr. Vinay, che si affida a Chiappelli 1908, p. 21, cui deve anche l’improbabile idea (fortemente accreditata ancora da Crosara 1962) della dipendenza di Dante dalle Quaestiones de iuris subtilitatibus, un tempo attribuite ad Irnerio, dove si difendono “i Romani dalle accuse di violenza ponendo in rilievo la loro clemenza verso i vinti, la fedeltà cogli amici, la giustizia coi popoli soggetti”, aggiungendo che “quel grande popolo ottenne il principato del mondo per tali doti e per la sua prudenza nel dettar leggi” e concludendo che “Cristo gli confermò la potestà della terra”. Cfr. Cremascoli 2011, p. 37 e nota 28, anche per l’usuale riferimento ad Agostino, De civitate Dei, V, 21", "labels": [[1346, 1351, "PER"], [4, 14, "PER"], [74, 79, "PER"], [147, 152, "MISC"], [678, 681, "MISC"], [822, 830, "PER"], [847, 853, "MISC"], [855, 858, "MISC"], [897, 900, "MISC"], [929, 940, "LOC"], [1397, 1406, "LOC"], [1408, 1413, "PER"], [1688, 1726, "MISC"], [1739, 1744, "PER"], [1839, 1845, "LOC"], [1870, 1878, "PER"], [1996, 2009, "PER"], [2012, 2024, "PER"], [2058, 2066, "PER"], [2069, 2075, "PER"], [2083, 2087, "LOC"], [2117, 2122, "PER"], [2140, 2155, "MISC"], [2232, 2244, "MISC"], [2266, 2271, "PER"], [2278, 2313, "MISC"], [2338, 2345, "PER"], [2368, 2374, "LOC"], [2526, 2527, "MISC"], [2650, 2657, "MISC"], [2701, 2716, "MISC"], [2769, 2777, "PER"], [2779, 2794, "MISC"], [2796, 2797, "MISC"]]} +{"text": "allega Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 60, a. 1 e chiosa Vinay: L’amor naturale è il vincolo elementare che stringe gli esseri e costituisce la base dell’armonia del creato; di fronte ad esso la “derisio” rappresenta un atteggiamento antitetico e disarmonico che va superato con la “correctio” che è atto di carità, cioè, in questo caso, di amicizia. Cfr. però il richiamo di Kay ad If XI 56 (pur lo vinco d’amor che fa natura) e ad altri luoghi tomisti", "labels": [[393, 395, "WORK_OF_ART"], [7, 14, "PER"], [17, 23, "PER"], [25, 41, "PER"], [43, 51, "MISC"], [67, 72, "MISC"], [74, 76, "MISC"], [205, 206, "MISC"], [292, 293, "MISC"], [386, 389, "PER"]]} +{"text": "curiosamente ‘legittimistica’ l’interpretazione di Pézard, il quale, rifiutandosi di pensare a un Dante che faccia qui figure de révolutionnaire, crede alterato il testo tràdito che vorrebbe integrato da suum, intendendo: considérant faussement comme leur bien cela même qui est le bien du peuple romain. Né vale a tranquillizzarlo Vinay, che citando Tommaso d’Aquino e il suo De regimine principum, I 6, scrive: D. non trae le conseguenze di questa premessa e non dice quale dovrà essere l’atteggiamento dei sudditi per liberarsi di fatto: evidentemente, aggiungiamo noi, non potrà essere che uno solo, e cioè non la ribellione ma l’appello all’imperatore secondo il principio comunemente accolto: “si ... ad ius alicuius superioris pertineat multitudini providere de rege, expectandum est ab eo remedium contra tyranni nequitiam. Bertalot 1920, Ricci 1979 e Shaw 1996 relegano in apparato (ma con significative discordanze) la lezione existimantes, già accolta da Witte 1874, conservata dalla princeps K e da una minoranza di codici (H P U Y)", "labels": [[51, 57, "PER"], [98, 103, "PER"], [332, 337, "PER"], [351, 358, "PER"], [361, 367, "PER"], [377, 398, "MISC"], [400, 403, "MISC"], [413, 415, "MISC"], [699, 700, "MISC"], [832, 845, "MISC"], [847, 857, "MISC"], [860, 869, "MISC"], [966, 976, "MISC"], [1004, 1005, "PER"], [1036, 1043, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27; a questi luoghi e ai relativi commenti tomistici rinvia Vinay, con ulteriore richiamo alla Questio de aqua et terra, XX, e a Cv IV XIII 8 (col commento di Busnelli 1964, II, p. 158), cui accenna anche Nardi, precisando tuttavia che Dante ne tratta lì ad altro proposito", "labels": [[5, 15, "PER"], [17, 23, "PER"], [27, 37, "PER"], [117, 122, "PER"], [152, 176, "MISC"], [178, 180, "MISC"], [186, 196, "MISC"], [216, 229, "MISC"], [231, 233, "PER"], [262, 267, "PER"], [293, 298, "PER"]]} +{"text": "cfr. Aristotele, De caelo, 270 b 12-6, di cui è esplicito il riferimento nel volgarizzamento dell’Anonimo: come è manifesto per quelle cose che inel libro “De’ Cieli” parla Aristotile (p. 155); tutto l’inciso manca invece in Ficino", "labels": [[5, 15, "PER"], [17, 25, "PER"], [98, 105, "LOC"], [155, 165, "MISC"], [173, 183, "PER"], [225, 231, "PER"]]} +{"text": "Vinay cita ancora Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 19, a. 2, Resp.: In quanto il diritto appartiene all’essenza divina, Dio lo vuole in due modi: in quanto fa parte della sua essenza cioè della sua perfezione e in quanto vuole che le creature partecipino della sua perfezione: “cum ad perfectionem voluntatis spectet ut bonum quod quis habet aliis communicet, hoc praecipue divinam voluntatem decet, ut se et alia velit; se ut finem, caetera vero ut ad finem ordinata, id est propter se, quia condecet eius summam bonitatem alia eam participare", "labels": [[0, 5, "PER"], [18, 25, "PER"], [28, 34, "PER"], [36, 52, "PER"], [54, 55, "PER"], [70, 74, "MISC"], [129, 132, "MISC"], [286, 287, "MISC"], [329, 339, "PER"], [345, 356, "PER"], [369, 407, "PER"]]} +{"text": "come il Filosafo insegnia (Anonimo, pp. 155-6); come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27. Cfr. sopra, II II 1", "labels": [[84, 104, "WORK_OF_ART"], [8, 25, "LOC"], [27, 34, "LOC"], [58, 68, "PER"], [70, 76, "PER"], [94, 104, "PER"]]} +{"text": "sull’auctoritas come forma di premessa in in un sillogismo che conduce a conclusioni probabili v. qui Imbach (p. 293), Kay (pp. 100-1, nota 21) e Cassell (pp. 304-5, nota 121), con rimando a Pietro Ispano, Summulae logicales, V, 36, ed. de Rijk, pp. 75-6, Cfr. più oltre, II V 6", "labels": [[102, 108, "LOC"], [119, 122, "LOC"], [146, 153, "PER"], [191, 204, "PER"], [206, 224, "MISC"], [226, 227, "MISC"], [240, 244, "ORG"], [256, 259, "MISC"]]} +{"text": "così Paolo, Rm 1, 20: \"Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur\"; Dante lo cita in Ep V [8] 23. Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921 hanno qui sed invisibilia; Ricci 1965, p. 176, restaura l’et unanimemente attestato dalla tradizione, diretta e indiretta (con la sola eccezione di C, che legge ž = etiam) ricevendone consenso da Nardi. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae", "labels": [[5, 10, "PER"], [12, 16, "MISC"], [23, 46, "MISC"], [99, 104, "PER"], [116, 120, "MISC"], [129, 139, "MISC"], [141, 154, "MISC"], [157, 170, "MISC"], [198, 208, "MISC"], [319, 320, "MISC"], [367, 372, "PER"], [379, 386, "PER"], [389, 395, "PER"], [397, 413, "PER"], [415, 422, "MISC"], [430, 434, "MISC"], [437, 446, "PER"], [572, 580, "LOC"]]} +{"text": "cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1123 b 35: poiché l’onore è il premio della virtù, e lo si conferisce ai buoni (ripetuto nel commento tomista, III 9, n. 539: Honor [...] est praemium virtutis)", "labels": [[5, 15, "PER"], [17, 23, "PER"], [27, 37, "PER"], [150, 155, "MISC"], [165, 170, "MISC"]]} +{"text": "Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi Cv IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481) e demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4", "labels": [[0, 3, "PER"], [14, 19, "PER"], [216, 225, "MISC"], [281, 288, "MISC"], [305, 312, "PER"], [566, 567, "MISC"], [854, 860, "LOC"], [1166, 1171, "PER"], [1234, 1241, "PER"], [1372, 1385, "MISC"], [1394, 1407, "MISC"], [1423, 1431, "PER"], [1461, 1464, "LOC"], [1480, 1494, "MISC"], [1585, 1592, "MISC"], [1594, 1605, "MISC"], [1607, 1616, "PER"], [1618, 1620, "PER"], [1675, 1678, "LOC"], [1715, 1729, "MISC"], [1759, 1762, "LOC"], [1779, 1790, "LOC"], [1822, 1827, "MISC"]]} +{"text": "Giovenale, Sat. VIII 20; cfr. Cv IV XXIX 4: Alla prima questione risponde Giovenale nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due auctoritates per due nobilitates distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella Monarchia, dunque, Giovenale non nega più Aristotele, lo integra. Nardi precisa: Il verso di Giovenale però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della P.L. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco Kay e Cassell, che ricorda che in Cv IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, Tresor 2:114, where Bruneto also cites the Moralium as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of Juvenal). Cfr. Ettore Paratore, Giovenale, in ED, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, Juvenal, in DEnc, p. 550", "labels": [[838, 843, "PER"], [30, 32, "WORK_OF_ART"], [1428, 1435, "PER"], [0, 9, "PER"], [11, 14, "MISC"], [16, 23, "MISC"], [74, 83, "PER"], [374, 380, "LOC"], [572, 582, "MISC"], [772, 781, "LOC"], [791, 800, "PER"], [814, 824, "PER"], [865, 874, "PER"], [890, 896, "LOC"], [952, 957, "PER"], [1001, 1009, "MISC"], [1033, 1041, "PER"], [1045, 1050, "LOC"], [1066, 1074, "PER"], [1095, 1100, "MISC"], [1107, 1121, "ORG"], [1152, 1155, "PER"], [1158, 1165, "PER"], [1186, 1196, "MISC"], [1199, 1204, "PER"], [1221, 1236, "PER"], [1238, 1250, "MISC"], [1277, 1346, "MISC"], [1363, 1386, "MISC"], [1410, 1416, "PER"], [1443, 1458, "PER"], [1460, 1469, "PER"], [1474, 1476, "MISC"], [1478, 1481, "MISC"], [1527, 1539, "PER"], [1541, 1548, "PER"], [1553, 1557, "MISC"]]} +{"text": "Mt 7, 2: \"et in qua mensura mensi fueritis remetietur vobis\"", "labels": [[0, 4, "MISC"]]} +{"text": "abbandono qui il testo dell’ed. Shaw 2009 per tornare alla lezione testimoniata dalla princeps K e dai manoscritti – ad eccezione di B, c. 91r, che ha Sub sumptam e di M, che legge Sub assumptę (c. 26r) – e respinta da tutti gli editori moderni in favore di Subassumptam: lezione congetturale che Ricci 1965 stima indiscutibilmente corretta, giudicando il neutro plurale subassumpta in contrasto con quanto si legge sopra, I XI 3; I XI 20; I XIII 8; e più avanti nel testo, II III 17; luoghi tutti dai quali si evincerebbe \"che siamo in presenza di un femminile singolare\". Con un \"E qui il Ricci si ferma\" Nardi contesta vivacemente tale scelta, proseguendo (pp. 374-5): Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica: “Est enim nobilitas virtus et divitie antique” Aristotele aveva accennato alla nobiltà della schiatta, mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale: “Que due sententie ad duas nobilitates dantur: propriam scilicet et maiorum” (cfr. qui sopra, § 4). Due sententie e due nobilitates, nient’affatto identiche: poiché nei paragrafi che seguono (II, iii, 8-9, 10-6) Dante le tiene accuratamente distinte. Che male c’è a credere che egli le abbia comprese entrambe sotto il neutro plurale subassumpta? Le citazioni del Ricci per escludere questa interpretazione non mi paiono valide; poiché nei tre casi di I, xi, 3, I, xi, 20 e I, xiii, 8 è evidente che si tratta di una sola “propositio subassumpta”. Nel quarto caso invece di II, iii, 17 (“Hiis itaque ad evidentiam subassumpte prenotatis”), parrebbe che Dante intenda riferirsi non “ad propriam eius [Enee] nobilitatem” (II, iii, 8-9), bensì “ad hereditariam nobilitatem” (ibid., 10-6), che è quella derivante dagli avi e dai matrimoni, e che si trasmette ai discendenti, sì che anche in questo caso si tratterebbe di una “propositio subassumpta” come negli altri tre. E fa bene Nardi a citare la traduzione ficiniana: \"Questo confermano et testimoniano gli antichi\"; per contro, l’Anonimo traduce e chiosa: \"La subassunta, cioè la minore preposizione, li testimoni delli antichi la dimostrarono\". Per Favati 1970, p. 3, s’impone \"la reintegrazione del femminile, anche a non voler dire che l’accordo con testimonia non dà senso plausibile\". Kay sembra consentire a Nardi, intendendo così il senso del luogo in esame: \"The subassumed things [i.e. the opinions of Aristotle and Juvenal previously cited] are rendered credible by the testimonies of the ancients\"; salvo poi concludere che \"subsequent commentators, however, have agreed with Ricci’s preference for subassumptam\" e tradurre quindi: \"On the other hand, the testimony of ancient writers substantiates the minor premise\"", "labels": [[607, 612, "PER"], [23, 28, "MISC"], [32, 41, "MISC"], [95, 96, "PER"], [133, 134, "MISC"], [151, 154, "PER"], [168, 169, "MISC"], [181, 193, "ORG"], [258, 270, "PER"], [297, 307, "MISC"], [423, 429, "MISC"], [433, 438, "MISC"], [474, 476, "MISC"], [591, 596, "PER"], [672, 677, "PER"], [731, 739, "LOC"], [741, 745, "LOC"], [788, 798, "PER"], [901, 910, "PER"], [912, 916, "MISC"], [1104, 1111, "MISC"], [1124, 1129, "PER"], [1276, 1281, "PER"], [1364, 1369, "MISC"], [1374, 1379, "MISC"], [1386, 1393, "MISC"], [1434, 1457, "MISC"], [1486, 1488, "PER"], [1499, 1504, "MISC"], [1565, 1570, "PER"], [1612, 1616, "PER"], [1632, 1634, "PER"], [1653, 1654, "MISC"], [1657, 1681, "PER"], [1833, 1856, "MISC"], [1890, 1895, "PER"], [1993, 2008, "PER"], [2113, 2124, "MISC"], [2253, 2256, "PER"], [2277, 2282, "PER"], [2550, 2585, "MISC"], [2607, 2624, "MISC"]]} +{"text": "il divino poeta Virgilio (Ficino). Dopo la citazione dell’Ecloga IV (sopra, I XI 1) è questo il primo ricordo dell’Eneide, su cui v. Domenico Consoli, Virgilio – Virgilio nelle opere minori, in ED, V, 1976, p. 1033, il quale sottolinea che il grosso dell’opera virgiliana si presenta a D. senza sovrastrutture allegoriche, come lettera veridica. In tal senso qui come nel Convivio e nella Commedia Virgilio, insieme con Livio, non solo garantisce la verità storica (Vinay), ma offre il superiore insegnamento morale per il quale gli stessi giuristi contemporanei di Dante ammettevano che nel difetto o nel silenzio delle norme giuridiche fosse lecito allegare i poeti: è il caso di Alberto Gandino, il quale, citando Virgilio, Aen. VI 730, scrive: Quas auctoritates et maxime, ubi leges deficiunt, non est prohibitum allegare (Tractatus de maleficiis, Rubr. Quid sit fama, § 1, ed. Kantorowicz 1907, p. 52; v. anche Quaglioni 1999a e cfr. Minnucci 2000)", "labels": [[16, 24, "PER"], [26, 32, "PER"], [58, 67, "PER"], [78, 82, "MISC"], [115, 121, "MISC"], [130, 149, "PER"], [151, 159, "PER"], [162, 170, "PER"], [194, 196, "MISC"], [198, 199, "MISC"], [286, 288, "MISC"], [372, 380, "MISC"], [389, 397, "MISC"], [398, 406, "PER"], [420, 425, "PER"], [466, 471, "PER"], [566, 571, "PER"], [682, 697, "PER"], [717, 725, "PER"], [727, 730, "PER"], [827, 850, "MISC"], [852, 856, "MISC"], [882, 898, "MISC"], [916, 931, "MISC"], [939, 952, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Livio, Ab U. c. I 1. Dubbi sulla conoscenza diretta di Livio da parte di Dante registra Vinay (Si tratta sempre di citazioni generiche, non letterali, o, per lo meno, tali che la reminiscenza sarebbe difficilmente dimostrabile se non soccorresse un richiamo esplicito), concludendo che è impossibile giungere ad una certezza obiettiva, o meglio vi è una certezza sola, che D., scrivendo la Mon., non aveva avuto il testo sottomano come non lo aveva avuto scrivendo il Conv., III, 11, 3: “vivea ... Pittagora. E che ello fosse in quel tempo pare che ne tocchi alcuna cosa Tito Livio ne la prima parte del suo volume incidentemente”. Cfr. Antonio Martina, Livio, in ED, III, 1971, p. 675 e p. 677, dove si suppone che Dante abbia potuto disporre per qualche breve lasso di tempo delle Deche di L. o – ciò che è più probabile – di un’antologia contenente passi liviani e fissare nella sua memoria impressioni e immagini che poi ha utilizzato associandole a quelle di altri storici e poeti a cui egli si accostava con precisi interessi e che erano oggetto della sua quotidiana meditazione. Livio è evocato dopo i poeti (Virgilio, Ovidio, Stazio e Lucano) e con Plinio, Frontino, Paolo Orosio, qui nisi sunt altissimas prosas ... et multos alios quos amica sollicitudo visitare nos invitat in VE II VI 7: v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453, che con Marigo 1957 e Mengaldo 1979 scrive che “il nome dei quattro scrittori citati ... desterà la più grande meraviglia” [...]; “lista abbastanza sorprendente e misteriosa sia per le inclusioni che per le esclusioni (soprattutto Cicerone)” [...]. Dei quattro, l’unico largamente diffuso nell’età di Dante e a lui veramente familiare è Orosio: lo si ricava non solo dal Convivio, dalla Monarchia e dalla Commedia, per i quali Dante attingerà a piene mani dalla Historiae adversus paganos tanto l’informazione storica quanto la visione provvidenziale dell’Impero romano [...]; ma anche dal De vulgari, dove Orosio rappresenta la principale fonte geografica per la descrizione dell’Europa e dell’Italia. Sull’altissima probabilità di una conoscenza di Livio per il tramie di uno dei suoi scopritori nella Biblioteca Capitolare di Verona (uno dei primissimi centri preumanistici italiani) e sulla necessità, anche a questo proposito, di un supplemento d’indagine in rapporto a Dante, v. ancora la nota di M. Tavoni, ivi, pp. 1453-5, che giustamente interpreta l’amica sollicitudo con Renucci 1974, p. 72, come “l’insistence d’un ami”, e scrive: Si tratta, ne sono convinto, di una precisa allusione personale: un amico ha suggerito a Dante alcune letture estremamente specifiche. Può trattarsi solo di un amico determinato; anzi, per saper dare un suggerimento così peculiare, dev’essere un amico con caratteristiche culturali peculiari. Amicus, nel De vulgari, è parola riservata a una sola persona: in sei casi su sei compare nel sintagma cristallizzato “amicus eius” [...], a designare Dante in quanto amico di Cino da Pistoia. Si può formulare l’ipotesi che anche l’“amica sollicitudo”, in linea col messaggio che tutto il testo comunica, alluda a Cino. Cino sarebbe un candidato adattissimo per il rapporto unico che lo lega a Dante in questo momento, e appare abbastanza plausibile per fisionomia culturale, date le citazioni di autori classici di cui dissemina i suoi scritti giuridici [...]; fra i quali però dei nostri quattro autori compare solo il più ovvio, Orosio. Ma una circostanza molto più stringente orienta in altra direzione. Tutti e tre gli autori più imprevisti, Livio, Plinio e Frontino, ognuno dei quali a questa data è una rarità, puntano alla Biblioteca Capitolare di Verona (che peraltro possedeva anche Orosio “et multos alios”): in essa, infatti, si trovano eccezionalmente riuniti le Epistulae di Plinio il Giovane [...]; la I e la III deca di Livio, e probabilmente anche la IV; gli Stratagemata di Frontino [...]. A Verona, presso Bartolomeo della Scala, Dante aveva risieduto dalla tarda primavera del 1303 ai primi mesi del 1304.... Per la “fortuna” di Livio fra tardo Medioevo e primo umanesimo è d’obbligo il rimando a Billanovich 1989a; e cfr. Billanovich 1981, che tuttavia dietro Moore 1896, pp. 273-8, vede solo un Dante isolato e durante tutta la vita ammiratore entusiasta delle vecchie posizioni che l’università gotica aveva conquistato, e che perciò non si familiarizzò mai con gli Ab Urbe condita, preferendo ricorrere al triviale Orosio (pp. 55-6, anche per l’interessante parallelo fra il come Livïo scrive, che non erra di If XXVIII 12, che giustamente la Chiavacci Leonardi 1991, p. 833, mostra in parallelo con il luogo in esame, e il Si Titus Livius ne ment di Jean de Meung nel Roman de la rose, v. 5634). Cfr. infine quanto già esposto a questo proposito più sopra, I XVI 2 e II IV 9", "labels": [[581, 586, "PER"], [5, 10, "PER"], [12, 22, "PER"], [26, 31, "MISC"], [60, 65, "PER"], [78, 83, "PER"], [93, 98, "PER"], [378, 380, "MISC"], [395, 398, "ORG"], [473, 477, "ORG"], [480, 483, "PER"], [492, 512, "MISC"], [576, 586, "PER"], [642, 657, "PER"], [659, 664, "PER"], [669, 671, "MISC"], [673, 676, "MISC"], [721, 726, "PER"], [788, 799, "PER"], [833, 836, "MISC"], [1091, 1096, "PER"], [1121, 1129, "PER"], [1131, 1137, "PER"], [1139, 1145, "PER"], [1148, 1154, "PER"], [1162, 1168, "PER"], [1170, 1178, "PER"], [1180, 1192, "PER"], [1293, 1301, "MISC"], [1305, 1338, "MISC"], [1371, 1376, "PER"], [1391, 1400, "PER"], [1403, 1413, "MISC"], [1437, 1448, "MISC"], [1451, 1464, "MISC"], [1476, 1477, "MISC"], [1559, 1560, "MISC"], [1660, 1668, "PER"], [1730, 1735, "PER"], [1766, 1772, "PER"], [1800, 1808, "PER"], [1816, 1825, "LOC"], [1834, 1842, "MISC"], [1856, 1861, "PER"], [1891, 1900, "LOC"], [1985, 1998, "LOC"], [2019, 2029, "MISC"], [2036, 2042, "PER"], [2110, 2116, "LOC"], [2124, 2130, "LOC"], [2180, 2185, "PER"], [2233, 2254, "LOC"], [2258, 2264, "LOC"], [2404, 2409, "PER"], [2432, 2441, "PER"], [2511, 2523, "MISC"], [2537, 2540, "MISC"], [2661, 2666, "PER"], [2877, 2887, "MISC"], [2983, 2984, "MISC"], [3016, 3021, "PER"], [3041, 3056, "PER"], [3179, 3183, "LOC"], [3185, 3189, "LOC"], [3259, 3264, "PER"], [3497, 3503, "PER"], [3612, 3617, "PER"], [3619, 3625, "PER"], [3628, 3636, "PER"], [3696, 3717, "LOC"], [3721, 3727, "LOC"], [3758, 3764, "PER"], [3841, 3850, "LOC"], [3854, 3871, "PER"], [3882, 3892, "MISC"], [3901, 3906, "PER"], [3933, 3935, "MISC"], [3941, 3965, "ORG"], [3975, 3981, "LOC"], [3990, 4012, "PER"], [4014, 4019, "PER"], [4114, 4119, "PER"], [4130, 4156, "MISC"], [4182, 4193, "PER"], [4208, 4219, "PER"], [4246, 4251, "PER"], [4282, 4287, "PER"], [4454, 4461, "ORG"], [4504, 4510, "LOC"], [4569, 4574, "PER"], [4599, 4611, "MISC"], [4632, 4655, "MISC"], [4713, 4728, "LOC"], [4740, 4753, "PER"], [4758, 4774, "MISC"], [4847, 4854, "MISC"]]} +{"text": "L ha item in vio., cui sembrerebbe corrispondere Ficino: Ancora nel sesto; l’Anonimo traduce anche, cioè Virgilio, nel sesto libro. Cfr. Aen. VI 162-235. Per Ettore v. la voce di Giorgio Padoan, in ED, II, 1970, pp. 762-3; per Miseno e Priamo le rispettive voci di Clara Kraus, in ED, III, 1971, p. 974, e dello stesso Padoan, ivi, IV, 1973, p. 660", "labels": [[49, 55, "PER"], [77, 84, "PER"], [105, 113, "PER"], [137, 140, "PER"], [158, 164, "PER"], [179, 193, "PER"], [198, 200, "ORG"], [202, 204, "MISC"], [227, 233, "LOC"], [236, 242, "PER"], [265, 276, "PER"], [281, 283, "ORG"], [285, 288, "MISC"], [319, 325, "PER"], [332, 334, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Orosio, Historiae adversus paganos, I 2 1: Maiores nostri orbem totius terre, oceani limbo circumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt, quamvis aliqui duas hoc est Asiam ac deinde Africam in Europam accipiendam putarint", "labels": [[5, 11, "PER"], [13, 22, "PER"], [41, 47, "MISC"], [48, 55, "LOC"], [151, 186, "MISC"], [216, 221, "PER"], [232, 239, "LOC"], [243, 271, "ORG"]]} +{"text": "cfr. Virgilio, Aen. VI 648-50; e v. la relativa voce di Clara Kraus, in ED, I, 1970, p. 418", "labels": [[5, 13, "PER"], [15, 18, "PER"], [56, 67, "PER"], [72, 74, "ORG"], [76, 77, "MISC"]]} +{"text": "Ficino ha Vergilio; cfr. Aen. III 339-40", "labels": [[0, 6, "PER"], [10, 18, "PER"], [25, 28, "PER"]]} +{"text": "et che fussi moglie (Ficino), e che fosse moglie (Anonimo). È necessario il confronto con Cv IV XXVI 8: E così infrenato mostra Virgilio, lo maggiore nostro poeta, che fosse Enea, nella parte dello Eneida ove questa etade si figura; la quale parte comprende lo quarto, lo quinto e lo sesto libro dello Eneida. E quanto raffrenare fu quello, quando, avendo ricevuto da Dido tanto di piacere quanto di sotto nel settimo trattato si dicerà, e usando con essa tanto di dilettazione, elli si partío, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa, come nel quarto dell’Eneida scritto è!. Si veda la lunga nota di Nardi, pp. 380-1, a proposito della colpa di Didone e di Enea: La colpa di Enea è chiara: egli consentì, sì, all’amore di Didone, ma non consentì mai di divenire suo coniuge. Che essa sia condannata nella schiera ov’è Francesca (Inf., V, 61-2), per aver rotto “fede al cener di Sicheo”, non vuol dire, come pensa Vinay, che “sarebbe difficile chiarire che cosa Dante abbia pensato effettivamente della legittimità o meno di un connubio pagano”; un connubio, pagano o no, è un connubio, fondato sul reciproco consenso, e il venir meno a questo consenso reciproco costituisce una rottura. Di questo connubio si parla in tutto il canto IV dell’Eneide, ma Virgilio lascia capire in modo chiaro che Didone chiamava coniugium quello che era un amore furtivo, e che con questo nome coniugium essa celava una colpa, non un reciproco contratto stipulato nell’intento di por fine alle peregrinazioni dell’ospite e di resistere all’intimazione di Giove: Naviget! (Aen., IV, 237). Ed Enea si dimostra disposto ad obbedire. Cfr. Vinay, pp. 124-5, nota 24", "labels": [[1250, 1256, "WORK_OF_ART"], [0, 19, "MISC"], [21, 27, "PER"], [50, 57, "PER"], [90, 95, "MISC"], [128, 136, "PER"], [174, 178, "PER"], [198, 204, "MISC"], [302, 308, "MISC"], [368, 372, "PER"], [564, 570, "MISC"], [608, 613, "PER"], [653, 659, "PER"], [665, 669, "PER"], [683, 687, "PER"], [730, 736, "PER"], [821, 824, "MISC"], [826, 835, "MISC"], [837, 840, "MISC"], [843, 844, "MISC"], [869, 870, "MISC"], [887, 893, "MISC"], [922, 927, "PER"], [933, 934, "MISC"], [970, 975, "PER"], [1242, 1256, "MISC"], [1261, 1269, "PER"], [1303, 1309, "PER"], [1545, 1550, "PER"], [1552, 1560, "MISC"], [1562, 1565, "LOC"], [1568, 1570, "PER"], [1581, 1585, "PER"], [1625, 1630, "PER"]]} +{"text": "il medesimo poeta nostro profetizza (Anonimo); al solito, Ficino ha dichiara Virgilio; cfr. Aen. IV 171-2. Preferisco noster vates, testimoniato dai manoscritti ?1 (B L), oltre che da S, a noster poeta, probabile integrazione tramandata da E M P e accolta da Bertalot 1920 e da Rostagno 1921. La princeps e i restanti codici hanno infatti noster; e Idem noster, con Ricci 1965, poco felicemente hanno tutti gli editori fino a Shaw 2009, che trasferisce la maiuscola dall’idem al noster, scrivendo idem Noster. Non convincono le giustificazioni di Ricci 1965, pp. 180-1, cui pare di dover escludere che il semplice noster nient’altro sia che una lezione lacunosa per il fatto che l’intera famiglia ? s’accorda [...] con la maggior parte della famiglia ? nel dare il semplice noster [...], saldo indizio che tale dovesse essere la lezione dell’archetipo. E dunque? Ciò che si deve escludere è che il semplice noster sia errore dell’archetipo (cosa non agevole, soprattutto a causa di quel noster vates vaticinatur che obbliga a considerare attentamente l’ipotesi della caduta per omeoteleuto, anche indipendentemente dall’uso precedente di noster Vates ... cantat in II III 12). Invece Ricci 1965 adduce a sostegno del semplice noster poco più della sua pura e semplice convinzione, e domandatosi: Ma posto che l’archetipo avesse il solo noster, potremo accoglierlo come lezione genuina?, risponde: Io ritengo di sì, offrendo questa sola ragione: Basta riflettere che, avendo Dante citato il poeta Virgilius [...], le tre volte successive si limita a dire Poeta [...]; o Vates [...], poi di nuovo Poeta e finalmente Idem. Ma tutte le volte aggiunge noster. Quindi Idem noster è lo stesso che poeta noster Virgilius. Basta davvero? Una ragione stilistico-grammaticale che milita troppo debolmente a favore del semplice noster non pare sufficiente. Ciò è reso evidente dalla stessa difficoltà degli interpreti che adottano la lezione di Ricci 1965 e tuttavia traducono, come ad es. Nardi o Marcelli-Martelli 2004, lo stesso Poeta nostro, il medesimo nostro Poeta, o notre poète (Pézard, Gally 1993, Livi 2002), o der Dichter (Imbach); solo Ronconi 1966 e Pizzica 1988 hanno, anticipando l’ed. Shaw 2009, il Nostro; ed eclatante è il fenomeno giusto nella versione della Shaw, che dopo aver tradotto il noster Vates ... cantat di II III 12 our bard proclaims, osserva: The word ‘bard’ [vates] underlines Virgil’s prophetic function, reiterated in the verb [vaticinatur] used in par. 15 (Shaw 1996, p. 36 nota 15); ma non solo nel verbo, se la stessa traduce nel luogo in esame l’Idem noster accolto dall’ed. Ricci our bard proclaims, integrando nella versione inglese il vates che non si vuol riconoscere come lezione genuina nel testo latino. Anche Kay adotta la stessa soluzione: our same bard sings divinely, chiosando infine (p. 111 nota 34): A divinus vates in action! Certo è che qui Virgilio non semplicemente dichiara (Ficino), afferma (Vinay) e neppure enseigne (Pézard, Livi 2002), lehrt (Imbach), ma vaticinat, profetizza (Anonimo), come nell’incontro con Dante in If I 100-5, dov’è utile ricordare Guido da Pisa, Expositiones et glose super Comediam Dantis, pp. 32-3: Postquam Virgilius contra avaritiam locutus est Danti, ponit quoddam vaticinium, dicens quod venturus est quidam dominus qui avaritiam exterminabit e mundo, ipsamque in Infernum reducet, de quo loco invidia dyabolica concitavit, ac per totam mundi machinam seminavit. Iuxta quod in Libro Sapientie dicitur secundo capitulo: Invidia dyaboli mors introivit in orbem terrarum. Hoc est, per invidiam dyaboli mors, hoc est avaritia, que totum mundum occidit, introivit in orbem terrarum. Sed circa istud vaticinium tria principaliter sunt dicenda [...]. Per primum accipere possumus nobilitatem Romani Imperii, quod quidem inter omnia regna obtinet principatum. Per secundum vero, personam possumus accipere imperantis, qui quidem ita largus erit quod nichil sibi preter honorem et gloriam reservabit, sed omnia rei publice et suis militibus assignabit [...]. Et ista duo pertinent ad sacrum imperium, sicut prophetatum fuit longo ante tempore, prout scribit Virgilius libro VI Eneydorum. Et beatus Augustinus etiam ponit in primo libro De Civitate Dei: Parcere subiectis et debellare superbos. Circa secundum est notandum quod iste poeta, more poetarum, futura vaticinatur; unde poeta idem est quod propheta. Nam quos Sacra Scriptura prophetas appellat, hos pagani denominabant poetas, et aliquando vates. Vates autem a vi mentis dicuntur, ut ait Varro. Vaticinando igitur dicit autor istum venturum dominum nasciturum inter feltrum et feltrum. Hoc est quia ista exterminatio quam faciet de avaritia erit virtualis et essentialis, non vitiosa et apparens; ideo dicit ipsam oriundam a corde. Cor autem medium est inter duas subascellas. Abscella autem lingua hyspana feltrum vocatur [...]. Circa tertium vero nota quod, licet ipsam avaritiam iste venturus dominus de toto mundo debeat effugare, nichilominus iste vates ponit vaticinando quod erit salus totius Ytalice regionis, quia in Ytalia magis avaritia viget, et in laycis clericis maxime propter symoniam prelatorum et presidum sacrosancte Romane Ecclesie cupidorum. Ea propter, ubi magis abundat infirmitas, ibidem succurrere magis debet efficacia medicantis. Veniet itaque venturus dominus qui avaritiam et symoniam de Ytalia ac orbe etiam universo repellet", "labels": [[1978, 1983, "PER"], [1490, 1505, "PER"], [18, 35, "PER"], [37, 44, "LOC"], [58, 64, "PER"], [77, 85, "PER"], [92, 95, "PER"], [97, 103, "MISC"], [107, 130, "MISC"], [165, 166, "MISC"], [184, 185, "LOC"], [240, 245, "MISC"], [259, 272, "MISC"], [278, 291, "MISC"], [349, 360, "MISC"], [366, 376, "MISC"], [426, 435, "MISC"], [502, 508, "PER"], [547, 557, "MISC"], [1145, 1150, "MISC"], [1165, 1174, "MISC"], [1184, 1194, "MISC"], [1474, 1479, "PER"], [1496, 1505, "PER"], [1554, 1559, "LOC"], [1569, 1574, "MISC"], [1595, 1600, "LOC"], [1614, 1618, "PER"], [1662, 1666, "PER"], [1696, 1712, "PER"], [1933, 1943, "MISC"], [1986, 1994, "PER"], [2020, 2032, "MISC"], [2053, 2058, "PER"], [2075, 2081, "PER"], [2083, 2093, "MISC"], [2095, 2104, "MISC"], [2113, 2120, "MISC"], [2122, 2128, "LOC"], [2136, 2143, "MISC"], [2151, 2163, "MISC"], [2189, 2198, "MISC"], [2203, 2209, "ORG"], [2266, 2270, "MISC"], [2305, 2321, "MISC"], [2378, 2379, "MISC"], [2399, 2405, "PER"], [2482, 2491, "MISC"], [2574, 2578, "PER"], [2603, 2608, "PER"], [2745, 2748, "PER"], [2885, 2893, "PER"], [2922, 2928, "PER"], [2940, 2945, "PER"], [2967, 2973, "LOC"], [2975, 2979, "LOC"], [2994, 3000, "LOC"], [3029, 3036, "LOC"], [3062, 3067, "PER"], [3071, 3079, "MISC"], [3105, 3118, "PER"], [3120, 3141, "MISC"], [3148, 3163, "PER"], [3175, 3193, "PER"], [3223, 3228, "LOC"], [3344, 3352, "LOC"], [3443, 3453, "PER"], [3457, 3498, "MISC"], [3499, 3519, "PER"], [3772, 3779, "MISC"], [4129, 4157, "MISC"], [4169, 4185, "PER"], [4207, 4223, "MISC"], [4389, 4404, "PER"], [4518, 4523, "LOC"], [4525, 4536, "PER"], [4807, 4815, "PER"], [5030, 5046, "MISC"], [5056, 5062, "LOC"], [5166, 5191, "MISC"], [5287, 5353, "MISC"]]} +{"text": "in Ficino ancora Vergilio; cfr. Aen. XII 936-7, e v. le voci Latino e Lavinia di Clara Kraus, in ED, III, 1971, pp. 599 e 602", "labels": [[3, 25, "LOC"], [32, 35, "PER"], [61, 67, "MISC"], [70, 92, "PER"], [97, 99, "MISC"], [101, 104, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, III 102", "labels": [[5, 12, "PER"], [15, 21, "PER"], [23, 28, "PER"], [36, 44, "PER"], [46, 53, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Ex 8, 16-7: Dixitque Dominus ad Moysen: Loquere ad Aaron: Extende virgam tuam et percute pulverem terrae, et sint sciniphes in universa terra Aegypti. Feceruntque ita. Et extendit Aaron manum virgam tenens percussitque pulverem terrae; et facti sunt sciniphes in hominibus et in iumentis; omnis pulvis terrae versus est in sciniphes per totam terram Aegypti. L’Anonimo ha quando fu venuto alli scivifes, cioè cienciali (p. 160), e Ficino a l’operare de’ segni, versione che, secondo Furlan, sembra riflettere un’errata lezione (signa per sciniphes?) del codice latino di cui si servì; o forse Ficino corresse, facendo appello all’interpretazione più larga possibile (le piaghe bibliche come “segni“ del volere divino) in presenza di lezioni inconferenti come quelle attestate in A1, sinistros, e in T, ministros corretto da sinistros (cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e l’apparato in Shaw 2009, p. 374). Vinay traduce di fronte al miracolo delle zanzare, e zanzare hanno, in vario modo, tutti gli altri, salvo Gally 1993 che usa il generico insectes, Nardi che ha locuste, biasimato perciò da Pizzica 1988 e quindi da Kay", "labels": [[17, 33, "PER"], [37, 43, "LOC"], [45, 61, "LOC"], [147, 154, "LOC"], [156, 171, "PER"], [185, 210, "PER"], [348, 362, "LOC"], [364, 373, "LOC"], [436, 442, "PER"], [457, 464, "MISC"], [488, 494, "PER"], [514, 517, "MISC"], [598, 604, "PER"], [702, 703, "MISC"], [784, 786, "MISC"], [804, 805, "MISC"], [848, 875, "MISC"], [892, 901, "MISC"], [912, 917, "PER"], [1018, 1028, "MISC"], [1059, 1064, "PER"], [1101, 1113, "MISC"], [1126, 1129, "PER"]]} +{"text": "cfr. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, III 99: minores effectus qui fiunt per causas inferiores potest facere immediate absque secundis causis. Cfr. Kenelm Foster, Summa contra Gentiles, in ED, V, 1976, p. 480", "labels": [[5, 12, "PER"], [15, 21, "PER"], [23, 28, "PER"], [36, 44, "PER"], [46, 52, "MISC"], [127, 149, "PER"], [156, 169, "PER"], [172, 177, "PER"], [185, 193, "PER"], [198, 200, "ORG"], [202, 203, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Livio, Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent. Ammesso (e non concesso) che Orosio più di Livio sembri qui essere stato la fonte di Dante (Ricci 1965), non capisco perché il turbata di Orosio valga più del turbavit di Livio a sostenere perturbante, accolto in Ricci 1965 e Shaw 2009 contro procumbante della coppia H Z o proturbante di C E Ph U V, di K e di tutti gli editori moderni. Ficino ha per la subita et intollerabile gragniuola; l’Anonimo di subito venne una intollerabile grandine. Per Annibale v. la voce di Nicola F. Parise, in ED, I, 1970, pp. 288-9", "labels": [[5, 10, "PER"], [12, 28, "MISC"], [55, 71, "PER"], [102, 113, "PER"], [214, 218, "LOC"], [556, 568, "MISC"], [573, 579, "PER"], [581, 590, "PER"], [609, 615, "MISC"], [675, 713, "MISC"], [861, 867, "PER"], [875, 880, "PER"], [917, 922, "PER"], [924, 934, "MISC"], [970, 976, "PER"], [1003, 1008, "PER"], [1045, 1055, "MISC"], [1058, 1067, "MISC"], [1100, 1103, "MISC"], [1121, 1131, "MISC"], [1136, 1137, "MISC"], [1170, 1176, "PER"], [1225, 1232, "LOC"], [1281, 1289, "PER"], [1304, 1320, "PER"], [1325, 1330, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Livio, Ab U. c. II 13: Ergo ita honorata uirtute, feminae quoque ad publica decora excitatae, et Cloelia uirgo una ex obsidibus, cum castra Etruscorum forte haud procul ripa Tiberis locata essent, frustrata custodes, dux agminis uirginum inter tela hostium Tiberim tranauit, sospitesque omnes Romam ad propinquos restituit; Orosio, Historiae adversus paganos, II 5: et nisi hostem uel Mucius constanti urendae manus patientia uel uirgo Cloelia admirabili transmeati fluminis audacia permouissent, profecto Romani conpulsi forent perpeti aut captiuitatem hoste insistente superati, aut seruitutem recepto rege subiecti. Ficino ha mirabile cosa el transito d’Oratio Cocle, sì che Furlan ipotizza che la versione del filosofo platonico, qualora non nasca da una sua errata interpretazione, rifletta forse una lezione (Cocle per Clelie?) del codice latino di cui si servì, rammaricandosì infine che neppure in quest’occasione il parco apparato dell’edizione Ricci possa essere d’aiuto. Soccorrono ora l’apparato nell’ed. Shaw 2009 (p. 375) e più ancora la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006), che registrano la lezione cocle di F ed altre similari, tra le quali chloclie di T (dove però a c. 181r io leggo chloeli?); coclee di A1 E G L P (corretto in Cloelie) Ph Y; colee di D H S Z. Ma un’occhiata almeno all’apparato dell’ed. Bertalot (p. 47) avrebbe già soddisfatto a sufficienza, così come uno sguardo alle note di Nardi (p. 386), che possono fornire una ragione alla fusione dei due nomi: Nello scudo d’Enea [...], Clelia è associata a Coclite nel distico: pontem auderet quia uellere Cocles / et fluuium uinclis innaret Cloelia ruptis” (Aen. VIII 650-1). Un’analoga associazione è del resto anche poco oltre nel passo di Livio sopra ricordato", "labels": [[5, 10, "PER"], [12, 23, "PER"], [102, 109, "LOC"], [145, 155, "MISC"], [179, 186, "LOC"], [262, 269, "PER"], [292, 303, "MISC"], [329, 335, "PER"], [337, 346, "PER"], [365, 370, "MISC"], [390, 396, "PER"], [441, 448, "LOC"], [511, 517, "LOC"], [624, 630, "PER"], [662, 674, "PER"], [683, 689, "PER"], [820, 837, "MISC"], [959, 964, "PER"], [1022, 1031, "MISC"], [1057, 1071, "ORG"], [1110, 1119, "MISC"], [1157, 1158, "LOC"], [1203, 1204, "LOC"], [1256, 1266, "MISC"], [1280, 1287, "MISC"], [1289, 1293, "ORG"], [1304, 1315, "MISC"], [1316, 1319, "MISC"], [1357, 1365, "PER"], [1448, 1453, "PER"], [1537, 1541, "PER"], [1549, 1555, "LOC"], [1570, 1577, "LOC"], [1619, 1625, "PER"], [1655, 1662, "LOC"], [1672, 1675, "LOC"], [1756, 1761, "PER"]]} +{"text": "Colui che diriza el pensiero suo al bene della repubricha diriza el pensiero al fine della ragione (Ficino); qualunque persona adtende al bene della republica, la fine della ragione adtende (Anonimo); anacronistiche le traduzioni che fanno riferimento al bene dello stato. Con questa sententia Dante apre la sezione del secondo libro consacrata alla dimostrazione della giuridicità dell’Impero, nelle sue origini così come nella sua realtà presente, attraverso la ricerca di una definizione del fine del diritto e della sua stessa sostanza. Se l’idea della identità del bonum rei publice (la salus rei publicae ciceroniana) col fine stesso del diritto appartiene alla tradizione teologico-politica e giuridico-politica, a Dante si deve riconoscere la novità di una stretta formulazione di natura quasi aforistica. Naturalmente i “precedenti” a lui più vicini e per lui più autorevoli possono essere agevolmente indicati nel duplice strato, aristotelico e ciceroniano, della giuspubblicistica del XIII e XIV secolo, a cominciare dal commento tomista all’Etica Nicomachea (V 3). Cfr. anche l’ampia voce Cicerone, Marco Tullio, di Alessandro Ronconi, in ED, I, 1970, pp. 991-7", "labels": [[100, 106, "PER"], [191, 198, "ORG"], [294, 299, "PER"], [387, 393, "LOC"], [722, 727, "PER"], [829, 830, "MISC"], [1053, 1069, "PER"], [1071, 1074, "MISC"], [1101, 1109, "PER"], [1111, 1123, "PER"], [1128, 1146, "PER"], [1151, 1153, "ORG"], [1155, 1156, "MISC"]]} +{"text": "bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well", "labels": [[731, 735, "WORK_OF_ART"], [328, 331, "WORK_OF_ART"], [2594, 2605, "PER"], [3623, 3641, "WORK_OF_ART"], [23, 29, "PER"], [196, 201, "PER"], [227, 240, "MISC"], [282, 283, "MISC"], [320, 331, "PER"], [342, 349, "PER"], [350, 356, "PER"], [358, 359, "PER"], [369, 376, "PER"], [578, 579, "MISC"], [616, 617, "MISC"], [728, 735, "PER"], [749, 756, "PER"], [757, 763, "PER"], [765, 766, "PER"], [825, 830, "PER"], [896, 901, "PER"], [968, 977, "MISC"], [1072, 1077, "PER"], [1175, 1177, "MISC"], [1241, 1242, "MISC"], [1252, 1253, "MISC"], [1339, 1359, "MISC"], [1393, 1395, "MISC"], [1435, 1436, "MISC"], [1443, 1444, "MISC"], [1590, 1606, "PER"], [1608, 1622, "MISC"], [1626, 1631, "PER"], [1636, 1638, "MISC"], [1640, 1642, "MISC"], [1674, 1687, "MISC"], [1732, 1737, "PER"], [1742, 1763, "MISC"], [1767, 1780, "PER"], [1782, 1789, "MISC"], [1867, 1872, "PER"], [2034, 2041, "PER"], [2046, 2051, "MISC"], [2053, 2058, "MISC"], [2061, 2062, "MISC"], [2094, 2100, "MISC"], [2361, 2377, "PER"], [2425, 2439, "MISC"], [2441, 2444, "MISC"], [2552, 2563, "PER"], [2590, 2605, "PER"], [2804, 2814, "LOC"], [2884, 2896, "PER"], [3045, 3048, "PER"], [3156, 3172, "PER"], [3280, 3283, "MISC"], [3326, 3331, "PER"], [3435, 3442, "MISC"], [3444, 3450, "MISC"], [3483, 3494, "MISC"], [3526, 3539, "MISC"], [3541, 3569, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp.: omnis lex ad bonum commune ordinatur.", "labels": [[5, 12, "PER"], [15, 21, "PER"], [23, 39, "PER"], [41, 48, "MISC"], [63, 67, "MISC"]]} +{"text": "la fonte, che Vinay dichiara di ignorare, è indicata da Ricci 1965 in Servio, In Aen. VI 825, e confermata da Nardi; cfr. anche Kay", "labels": [[14, 19, "PER"], [56, 66, "MISC"], [70, 76, "MISC"], [78, 84, "MISC"], [110, 115, "PER"], [128, 131, "PER"]]} +{"text": "al solito, Ficino ha semplicemente Virgilio; cfr. Aen. VI 820-1", "labels": [[11, 17, "PER"], [35, 43, "PER"], [50, 53, "PER"]]} +{"text": "la variante potuit, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla princeps K; questa ha inoltre narrat con B L G, mentre T ha enarrat (cfr. Shaw 2009, Introduzione, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, Ab U. c. VIII 9; X 28; Virgilio, Aen. VI 824, e Servio, In Aen. VI 825. Ulteriori indicazioni in Kay. Dante ne parla già in Cv IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in Pd VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro", "labels": [[31, 41, "MISC"], [57, 67, "MISC"], [152, 153, "PER"], [184, 185, "MISC"], [188, 189, "MISC"], [198, 199, "MISC"], [217, 226, "MISC"], [228, 240, "PER"], [296, 304, "PER"], [323, 329, "PER"], [336, 341, "PER"], [343, 358, "PER"], [360, 364, "MISC"], [366, 374, "PER"], [376, 379, "PER"], [391, 397, "PER"], [399, 405, "MISC"], [440, 443, "LOC"], [445, 450, "PER"], [467, 472, "MISC"], [507, 512, "MISC"], [572, 580, "MISC"], [590, 598, "PER"], [601, 608, "PER"], [648, 652, "ORG"], [654, 660, "PER"]]} +{"text": "Ricci conserva la lezione severissimi vere libertatis, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’Introduzione, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il vere che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra severissimi e libertatis attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la vera libertas di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione vere è rimasto nelle edizioni e traduzioni della Monarchia basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a Kay (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da Vinay e rinfocolata da Pézard, sul significato da darsi a vere, Cassell e Furlan, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano vere, con la traduzione conseguente di Cassell, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al vere di P (F N Y hanno veri; leggono veritatis Ph V), deve ricorrere alla Word Collation nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’Introduzione, p. 321. Registra invece la variante severissime, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra tutoris e auctoris: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi tutoris calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di auctoris da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, Vinay (e Pézard, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (tutoris) e ? (auctoris); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove tutoris trova il consenso della princeps K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di auctoris impostata da Vinay sulla base di Cv IV VI 5 (perché lì Dante parla di autor e non di auctor, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso Vinay all’omnium virtutum auctore di Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che autoris e auctoris si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio nella immaginazione dantesca (Vinay), Ricci allega Lucano, Pharsalia, II 374-378, e Seneca, Epistulae morales, XV III 69-73; Nardi, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, Aen. VIII 670, sottolineando da una parte come qui Monarchia e Convivio si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in Cv IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in Cv IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in Pg I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in ED, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal Convivio il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella Monarchia (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del Purgatorio: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)", "labels": [[5226, 5236, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [105, 117, "MISC"], [147, 157, "MISC"], [199, 204, "PER"], [211, 219, "LOC"], [414, 423, "PER"], [426, 432, "PER"], [567, 576, "LOC"], [597, 607, "MISC"], [620, 632, "MISC"], [634, 649, "MISC"], [651, 661, "MISC"], [664, 673, "MISC"], [716, 720, "MISC"], [757, 760, "LOC"], [825, 834, "MISC"], [880, 892, "MISC"], [975, 980, "PER"], [998, 1004, "PER"], [1039, 1046, "PER"], [1049, 1055, "PER"], [1103, 1107, "MISC"], [1167, 1174, "PER"], [1226, 1234, "PER"], [1361, 1371, "MISC"], [1374, 1387, "MISC"], [1415, 1416, "LOC"], [1418, 1423, "MISC"], [1454, 1458, "MISC"], [1481, 1495, "ORG"], [1523, 1532, "MISC"], [1552, 1560, "MISC"], [1596, 1605, "MISC"], [1670, 1682, "PER"], [1763, 1764, "MISC"], [1847, 1852, "PER"], [2016, 2026, "MISC"], [2028, 2041, "MISC"], [2043, 2056, "MISC"], [2058, 2063, "LOC"], [2067, 2073, "PER"], [2256, 2265, "MISC"], [2313, 2316, "MISC"], [2414, 2419, "PER"], [2434, 2444, "MISC"], [2456, 2461, "PER"], [2505, 2510, "PER"], [2551, 2556, "PER"], [2588, 2596, "PER"], [2598, 2627, "MISC"], [2629, 2631, "MISC"], [2667, 2672, "PER"], [2743, 2749, "PER"], [2851, 2868, "PER"], [2885, 2895, "LOC"], [2926, 2931, "PER"], [2934, 2939, "PER"], [2947, 2953, "PER"], [2955, 2964, "LOC"], [2966, 2972, "MISC"], [2980, 2986, "PER"], [2988, 3005, "PER"], [3007, 3016, "MISC"], [3021, 3026, "PER"], [3096, 3104, "PER"], [3106, 3109, "PER"], [3157, 3166, "PER"], [3169, 3177, "PER"], [3275, 3280, "PER"], [3282, 3290, "PER"], [3293, 3301, "PER"], [3424, 3429, "PER"], [3433, 3438, "MISC"], [3471, 3477, "PER"], [3609, 3615, "MISC"], [3628, 3639, "PER"], [4067, 4070, "MISC"], [4093, 4101, "MISC"], [4172, 4178, "PER"], [4543, 4544, "MISC"], [4588, 4594, "PER"], [4625, 4631, "PER"], [4700, 4707, "MISC"], [4770, 4773, "MISC"], [4825, 4826, "MISC"], [4866, 4880, "MISC"], [4907, 4910, "MISC"], [4937, 4952, "PER"], [4954, 4971, "PER"], [4976, 4978, "MISC"], [4980, 4981, "MISC"], [5030, 5038, "MISC"], [5054, 5060, "PER"], [5141, 5143, "PER"], [5150, 5159, "LOC"], [5177, 5182, "PER"], [5253, 5255, "PER"], [5602, 5617, "MISC"], [5626, 5641, "MISC"]]} +{"text": "Cicerone, De finibus bonorum et malorum, II 61", "labels": [[0, 8, "PER"], [10, 39, "MISC"], [41, 46, "MISC"]]} +{"text": "Cicerone, De officiis, I 112", "labels": [[0, 8, "PER"], [10, 21, "MISC"], [23, 28, "MISC"]]} +{"text": "Dante [...] aveva detto, a conferma della sua tesi, che “finem iuris intendentem oportet cum iure intendere”: si tratta qui del fine vero del diritto, per raggiungere il quale non vi è altro mezzo che il diritto; quello raggiunto con mezzi che nulla avessero a che fare col diritto sarebbe invece, secondo le parole stesse di Aristotele, un qualcosa che del fine del diritto avrebbe solo l’apparenza, come della vera elemosina avrebbe solo l’apparenza quella fatta con beni rubati (Nardi). Dante ricalca il testo del commento di Tommaso d’Aquino all’Etica Nicomachea, VI 10, n. 1229: Contingit in syllogisticis aliquando concludi veram conclusionem per falsum syllogismum. Et ita etiam in operabilibus contingit quandoque pervenire ad bonum finem per aliquod malum. Et hoc est quod dicit, quod contingit aliquando sortiri bonum finem quasi falso syllogismo, ita scilicet quod aliquis consiliando perveniat ad id quod oportet facere, sed non per quod oportet: puta cum aliquis furatur ut subveniat pauperi. Et hoc est ac si aliquis in syllogizando ut veniat ad veram conclusionem assumeret medium aliquem falsum terminum", "labels": [[0, 5, "PER"], [327, 337, "PER"], [483, 488, "PER"], [491, 496, "PER"], [530, 537, "PER"], [540, 546, "PER"], [551, 567, "PER"], [569, 574, "MISC"], [585, 611, "MISC"]]} +{"text": "l’esempio scolastico dell’elemosina, che non è tale quando sia elargita con il frutto del furto o della rapina (bonus usus non iustificat iniuste quesita), appartiene alla letteratura teologico-politica così come alla letteratura giuridica: cfr. soprattutto i testi escerpiti nel Decretum di Graziano, il c. 5, D", "labels": [[21, 35, "MISC"], [112, 122, "MISC"], [280, 288, "ORG"], [292, 300, "PER"], [311, 312, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, II II 2-3; Ficino ha et la materia disprezassi, l’Anonimo e•lla materia abandonasse. Si v. su ciò Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-IIae, q. 9, a. 1", "labels": [[23, 29, "PER"], [62, 69, "PER"], [110, 117, "PER"], [120, 126, "PER"], [128, 144, "PER"], [146, 152, "MISC"]]} +{"text": "E però Aristotile ... pruova (Ficino); cfr. Physica, 194 a 28-32", "labels": [[7, 17, "PER"], [30, 36, "PER"], [44, 51, "LOC"]]} +{"text": "Virgilio, Aen. VI 848-54. La qual cosa il poeta nostro troppo sottilmente (Anonimo); Ficino ha semplicemente: Questo manifesta Virgilio; anche l’omissione di valde subtiliter (e cfr. subito sotto l’analoga omissione di subtiliter tangit) più che a un intervento ficiniano inteso ad abbreviare, può far pensare ad una nota marginale scivolata nel testo; di notazioni del genere sono pieni anche i commenti danteschi: cfr. Benvenuto da Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, ad If XVII 1-33: valde vigil et subtiliter sentit; ad If XXVIII 22-63: valde subtiliter et pulcre; ad If XXXI 46-81: Et hic nota quod autor loquitur valde subtiliter; ad Pd XXI 103-42: valde, et inter alia pulcra quae scribit ... disputat subtiliter. Sia come sia, Vinay si sofferma a fornire dell’avverbio più di una interpretazione", "labels": [[474, 483, "PER"], [0, 8, "PER"], [10, 13, "PER"], [75, 82, "LOC"], [85, 91, "PER"], [127, 135, "PER"], [421, 439, "PER"], [441, 449, "LOC"], [456, 462, "LOC"], [463, 483, "PER"], [488, 495, "MISC"], [539, 551, "MISC"], [587, 597, "MISC"], [655, 665, "MISC"], [750, 755, "PER"]]} +{"text": "cfr. sopra, I I 1 per il principio evocato in Dig. 1, 1, 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 1) e in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 101, a. 1", "labels": [[46, 49, "ORG"], [60, 67, "PER"], [68, 74, "PER"], [76, 77, "PER"], [90, 97, "PER"], [100, 106, "PER"], [108, 124, "PER"], [126, 129, "MISC"], [130, 134, "ORG"]]} +{"text": "E • ccome dicie Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 9-10. Remigio de’ Girolami cites the same passage in the same vein in his exaltation of the common good (Cassell)", "labels": [[42, 62, "WORK_OF_ART"], [16, 26, "PER"], [28, 34, "PER"], [52, 62, "PER"], [77, 97, "LOC"], [176, 183, "PER"]]} +{"text": "Heb 11, 6", "labels": [[0, 6, "MISC"]]} +{"text": "non mi riesce di dare una risposta all’interrogativo di Vinay, vale a dire fino a qual punto questa interpretazione arbitraria del passo del Levitico sia propria di D., poiché non sembra appartenere alla tradizione esegetica a noi nota", "labels": [[56, 61, "PER"], [141, 149, "MISC"], [165, 167, "MISC"]]} +{"text": "v. 1 Sam 15, 1-23; per il giudizio divino espresso per bocca di Samuele v. più oltre, III VI 1-6. Cfr. le voci di Gian Roberto Sarolli, Samuele, in ED, IV, 1973, p. 1098 e Saul, ivi, V, 1976, p. 43. È tutt’altro che un relatively insignificant point (Cassell). Sull’importanza del luogo scritturale nella letteratura medievale v. Quaglioni 1999c, e più in generale i saggi raccolti in Campos Boralevi – Quaglioni 2003a", "labels": [[0, 11, "LOC"], [64, 71, "LOC"], [114, 134, "PER"], [136, 143, "LOC"], [148, 150, "ORG"], [152, 154, "MISC"], [172, 176, "MISC"], [183, 184, "MISC"], [251, 258, "PER"], [330, 345, "MISC"], [385, 400, "ORG"]]} +{"text": "cfr. Ex 7, 8-12", "labels": []} +{"text": "2 Par 20, 12; è omesso da K D", "labels": [[0, 8, "MISC"], [26, 29, "PER"]]} +{"text": "la scelta di etenim, lezione di B L T contro enim della coppia D M, di G e della princeps K, si deve a Bertalot 1920; Ricci 1965 la difende contro Witte 1874 e Rostagno 1921. Vinay indica con precisione l’origine della falsa etimologia dantesca nel Catholicon del Balbi (Certo derivatur a certus ... et est certare, litigare, pugnare. Certi non solemus litigare unde dicitur certare quasi certum se dicens habere), rinviando ovviamente anche alle Derivationes di Uguccione, C 151 18 (che Dante non vi abbia neppure dato uno sguardo, come pare credere Kay, io lo stimo sommamente improbabile); cfr. anche Cassell, p. 312, nota 187", "labels": [[32, 33, "MISC"], [36, 37, "MISC"], [63, 66, "MISC"], [71, 72, "MISC"], [90, 91, "LOC"], [103, 116, "MISC"], [118, 128, "MISC"], [147, 157, "MISC"], [160, 173, "MISC"], [175, 180, "PER"], [249, 269, "LOC"], [335, 340, "PER"], [447, 472, "MISC"], [474, 479, "MISC"], [488, 493, "PER"], [551, 554, "PER"], [604, 611, "PER"]]} +{"text": "cfr. Ac 1, 26: et cecidit sors super Mathiam; e v. If XIX 94-6: “Né Pier né li altri tolsero a Matia / oro od argento, quando fu sortito / al loco che perdé l’anima ria” (col commento della Chiavacci Leonardi 1991, p. 583). Cfr. la voce Mattia di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 870-1", "labels": [[51, 53, "WORK_OF_ART"], [37, 44, "PER"], [64, 65, "MISC"], [68, 72, "PER"], [95, 100, "LOC"], [190, 213, "LOC"], [237, 243, "MISC"], [247, 267, "PER"], [272, 274, "MISC"], [276, 279, "MISC"]]} +{"text": "per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18", "labels": [[411, 429, "WORK_OF_ART"], [1269, 1278, "WORK_OF_ART"], [2562, 2577, "WORK_OF_ART"], [60, 67, "LOC"], [160, 166, "LOC"], [180, 189, "PER"], [208, 215, "PER"], [324, 331, "PER"], [333, 337, "PER"], [340, 343, "MISC"], [386, 401, "MISC"], [486, 496, "MISC"], [541, 551, "MISC"], [581, 583, "PER"], [591, 594, "PER"], [662, 667, "PER"], [689, 694, "PER"], [740, 755, "MISC"], [832, 839, "PER"], [969, 974, "PER"], [1013, 1018, "PER"], [1020, 1024, "PER"], [1029, 1037, "ORG"], [1041, 1049, "PER"], [1051, 1060, "LOC"], [1062, 1068, "MISC"], [1092, 1115, "MISC"], [1133, 1144, "MISC"], [1148, 1159, "PER"], [1169, 1170, "MISC"], [1172, 1175, "MISC"], [1181, 1190, "MISC"], [1192, 1194, "LOC"], [1211, 1214, "ORG"], [1234, 1254, "PER"], [1256, 1261, "PER"], [1263, 1267, "MISC"], [1354, 1376, "MISC"], [1518, 1531, "PER"], [1569, 1605, "MISC"], [1611, 1616, "PER"], [1633, 1640, "PER"], [1721, 1729, "PER"], [1753, 1769, "MISC"], [1771, 1774, "MISC"], [1775, 1779, "ORG"], [2272, 2273, "MISC"], [2313, 2329, "LOC"], [2332, 2344, "LOC"], [2360, 2382, "MISC"], [2396, 2401, "PER"], [2402, 2409, "LOC"], [2410, 2421, "PER"], [2660, 2685, "MISC"], [2697, 2719, "MISC"], [2871, 2885, "PER"], [2887, 2893, "PER"], [2895, 2901, "PER"], [2907, 2911, "MISC"], [2913, 2916, "MISC"], [2940, 2955, "PER"], [2957, 2963, "PER"], [2968, 2970, "ORG"], [2972, 2974, "MISC"], [2994, 3008, "MISC"]]} +{"text": "PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR: per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18", "labels": [[463, 481, "WORK_OF_ART"], [1321, 1330, "WORK_OF_ART"], [2614, 2629, "WORK_OF_ART"], [25, 35, "MISC"], [112, 119, "LOC"], [212, 218, "LOC"], [232, 241, "PER"], [260, 267, "PER"], [376, 383, "PER"], [385, 389, "PER"], [392, 395, "MISC"], [438, 453, "MISC"], [538, 548, "MISC"], [593, 603, "MISC"], [633, 635, "PER"], [643, 646, "PER"], [714, 719, "PER"], [741, 746, "PER"], [792, 807, "MISC"], [884, 891, "PER"], [1021, 1026, "PER"], [1065, 1070, "PER"], [1072, 1076, "PER"], [1081, 1089, "ORG"], [1093, 1101, "PER"], [1103, 1112, "LOC"], [1114, 1120, "MISC"], [1144, 1167, "MISC"], [1185, 1196, "MISC"], [1200, 1211, "PER"], [1221, 1222, "MISC"], [1224, 1227, "MISC"], [1233, 1242, "MISC"], [1244, 1246, "LOC"], [1263, 1266, "ORG"], [1286, 1306, "PER"], [1308, 1313, "PER"], [1315, 1319, "MISC"], [1406, 1428, "MISC"], [1570, 1583, "PER"], [1621, 1657, "MISC"], [1663, 1668, "PER"], [1685, 1692, "PER"], [1773, 1781, "PER"], [1805, 1821, "MISC"], [1823, 1826, "MISC"], [1827, 1831, "ORG"], [2324, 2325, "MISC"], [2365, 2381, "LOC"], [2384, 2396, "LOC"], [2412, 2434, "MISC"], [2448, 2453, "PER"], [2454, 2461, "LOC"], [2462, 2473, "PER"], [2712, 2737, "MISC"], [2749, 2771, "MISC"], [2923, 2937, "PER"], [2939, 2945, "PER"], [2947, 2953, "PER"], [2959, 2963, "MISC"], [2965, 2968, "MISC"], [2992, 3007, "PER"], [3009, 3015, "PER"], [3020, 3022, "ORG"], [3024, 3026, "MISC"], [3046, 3060, "MISC"]]} +{"text": "cfr. 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L’esempio è riproposto più sotto, II IX 11; cfr. le voci di Giorgio Padoan, Anteo, in ED, I, 1970, pp. 296-7, ed Ercole, ivi, II, pp. 817-8; e v. Alessandro Vettori, Antaeus, in DEnc, p. 49", "labels": [[750, 752, "WORK_OF_ART"], [0, 7, "PER"], [17, 31, "MISC"], [34, 40, "PER"], [48, 54, "PER"], [56, 61, "PER"], [64, 70, "MISC"], [103, 109, "LOC"], [134, 136, "PER"], [145, 157, "MISC"], [190, 196, "PER"], [204, 221, "MISC"], [227, 233, "LOC"], [269, 275, "PER"], [307, 312, "PER"], [442, 448, "PER"], [571, 577, "PER"], [744, 752, "PER"], [753, 761, "MISC"], [765, 767, "MISC"], [799, 801, "MISC"], [825, 839, "PER"], [841, 846, "PER"], [851, 853, "MISC"], [855, 856, "MISC"], [878, 884, "PER"], [891, 893, "PER"], [911, 929, "PER"], [931, 938, "ORG"], [943, 947, "MISC"]]} +{"text": "Cicerone, De officiis, III 10 42", "labels": [[0, 8, "PER"], [10, 21, "MISC"]]} +{"text": "per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: per nonaginta annos et plures; si deve notare che M D hanno rispettivamente octuaginta e lxxxii; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. Vinay e Kay, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente Pézard) che l’espressione consorte thori ha la sua fonte in Ovidio, Metam., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di Vinay, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in If V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce Imperadore (imperatrice; imperadrice), in ED, III, 1971, p. 381", "labels": [[25, 31, "PER"], [47, 48, "PER"], [100, 103, "MISC"], [147, 153, "PER"], [155, 164, "PER"], [174, 181, "PER"], [201, 205, "PER"], [235, 240, "PER"], [283, 293, "PER"], [363, 369, "MISC"], [386, 400, "PER"], [439, 448, "LOC"], [467, 471, "MISC"], [516, 525, "PER"], [553, 558, "PER"], [561, 564, "PER"], [631, 637, "PER"], [691, 697, "PER"], [699, 704, "PER"], [749, 754, "PER"], [813, 818, "PER"], [894, 896, "MISC"], [919, 925, "PER"], [933, 942, "LOC"], [979, 983, "PER"], [1024, 1040, "PER"], [1089, 1093, "LOC"], [1094, 1110, "PER"], [1122, 1132, "MISC"], [1164, 1166, "MISC"], [1168, 1171, "MISC"]]} +{"text": "fa mentione Hovidio (Ficino); Ovidio ne fa memoria (Anonimo); e facit anziché fecit legge Witte 1874 con i codici M N P S. Non si tratta dunque di una semplice banalità degli isolatissimi P e M, come avrebbe voluto Ricci 1965. Cfr. Ovidio, Metam. IV 58. Cfr. Antonio Martina, Piramo, in ED, IV, 1973, p. 528", "labels": [[12, 19, "PER"], [21, 27, "PER"], [30, 36, "PER"], [52, 59, "LOC"], [90, 100, "MISC"], [114, 126, "MISC"], [188, 189, "MISC"], [192, 193, "MISC"], [215, 225, "MISC"], [232, 238, "PER"], [240, 245, "PER"], [247, 252, "MISC"], [259, 274, "PER"], [276, 282, "PER"], [287, 289, "MISC"], [291, 293, "MISC"]]} +{"text": "Orosio, Historiae adversus Paganos, I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent. Kay avverte che introducendo gli Egizi nella successione degli Imperi Dante ha alterato l’ordine derivato dalla prophetia Danielis, così come lo si legge nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35, poi passato nella Glossa ordinaria alla Scrittura. Per gli Sciti, ricordati anche nel paragrafo seguente, cfr. quanto già detto sopra, I XIV 6", "labels": [[0, 6, "PER"], [8, 17, "PER"], [27, 34, "PER"], [44, 63, "MISC"], [179, 200, "MISC"], [268, 271, "PER"], [301, 306, "LOC"], [331, 343, "PER"], [380, 398, "LOC"], [438, 446, "PER"], [449, 453, "MISC"], [480, 511, "MISC"], [521, 526, "MISC"], [597, 604, "MISC"]]} +{"text": "è omesso dalla princeps K e da Ficino; l’Anonimo ha infra la colonna termine. Bertalot 1920, p. 62, succintamente annota: Vox athloteta ex Arist. Eth. 1, 2, 1095 b 1 hausta est. Perciò Nardi può scrivere a commento: frase simbolica suggerita, come ha ben visto il Bertalot, da Aristotele, Eth. Nicom., I, 2, 1095 b 1. Gli atloteti erano coloro che presiedevano la corsa e stavano in principio; all’estremità opposta era la mèta o traguardo", "labels": [[24, 25, "LOC"], [31, 37, "PER"], [41, 48, "LOC"], [78, 91, "LOC"], [122, 125, "LOC"], [139, 144, "ORG"], [146, 149, "MISC"], [185, 190, "PER"], [264, 272, "PER"], [277, 287, "PER"], [289, 292, "PER"], [294, 299, "MISC"], [302, 303, "MISC"]]} +{"text": "la princeps inverte Persarum rex; cfr. Orosio, Historiae adversus Paganos, II 7 6: Regina caput Cyri amputari atque in utrem humano sanguine oppletum conici iubet non muliebriter increpitans: “Satia te”, inquit, “sanguine quem sitisti, cuius per annos triginta insatiabilis perseverasti”; Dante lo ricorda in Pg XII 55-57: Mostrava la ruina e ’l crudo scempio / che fé Tamiri, quando disse a Ciro: “Sangue sitisti, e io di sangue t’empio”. Cfr. Clara Kraus, Ciro, in ED, II, 1970, p. 25", "labels": [[20, 32, "MISC"], [39, 45, "PER"], [47, 56, "PER"], [66, 73, "PER"], [75, 77, "PER"], [83, 89, "PER"], [96, 100, "LOC"], [192, 198, "MISC"], [212, 213, "MISC"], [289, 294, "PER"], [369, 375, "LOC"], [392, 396, "LOC"], [398, 413, "MISC"], [445, 456, "PER"], [458, 462, "LOC"], [467, 469, "ORG"], [471, 473, "MISC"]]} +{"text": "fece menzione Luchano ... così dicendo (Ficino); per l’Anonimo semplicemente Lucano così ne canta. La princeps ha meminit. Cfr. Lucano, Pharsalia, II 672-3", "labels": [[14, 21, "PER"], [40, 46, "PER"], [55, 62, "LOC"], [77, 83, "LOC"], [128, 134, "LOC"], [136, 145, "LOC"], [147, 153, "MISC"]]} +{"text": "sembra a Kay che Dante qui echeggi Floro, Epitoma, II 18 9: non alia post Xerxen miserabilior fuga, piuttosto che Orosio, Historiae adversus Paganos, II 9-10", "labels": [[9, 12, "PER"], [17, 22, "PER"], [35, 40, "PER"], [42, 49, "LOC"], [51, 53, "LOC"], [74, 98, "MISC"], [114, 120, "PER"], [122, 131, "PER"], [141, 148, "PER"], [150, 154, "MISC"]]} +{"text": "Lucano, Pharsalia, VIII 692-4", "labels": [[0, 6, "LOC"], [8, 17, "LOC"], [19, 27, "LOC"]]} +{"text": "cfr. Rm 11, 33: O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei. Se la princeps K omette per sé divitiarum, legge però sapientiæ et scientiæ, com’è nella Vulgata, insieme ai codici ?1 (B L) e G H. Critico della lezione scientie et sapientie, accolta da Ricci 1965 (e da tutti i precedenti editori) Nardi non vorrebbe si scegliesse un testo diverso solo per il dubbio che alcuni copisti scrivessero non ciò che leggevano, ma ciò che sapevano a memoria, avvertendo che ciò può accadere allo stesso autore, come può essere stato il caso di Dante, che cita lo stesso versetto paolino, e nello stesso modo, nella Questio de aqua et terra, XXII 77: Audiant vocem Apostoli ad Romanos: “O altitudo divitiarum scientiae et sapientiae Dei, quam incomprehensibilia iudicia eius et investigabiles vie eius!”; rimprovera dunque Ricci di non citare il luogo parallelo in Cv IV XXI 6: Per che io voglio dire come l’Apostolo: “O altezza delle divizie della sapienza di Dio, come sono incomprensibili li tuoi giudicii e investigabili le tue vie!”; luogo che la Simonelli 1970, pp. 387-8, ritiene lacunoso fin dalla prima edizione del 1490, e che dunque può essere letto “O altezza de le divizie de la sapienza e de la scienza di Dio”. Propone infine di leggere sapientie et scientie Favati 1970, p. 16. Cfr. a commento Cremascoli 2011, p. 38, nota 35", "labels": [[27, 65, "MISC"], [82, 83, "LOC"], [156, 163, "MISC"], [187, 188, "MISC"], [194, 206, "MISC"], [255, 265, "MISC"], [300, 305, "PER"], [539, 544, "PER"], [610, 634, "MISC"], [636, 643, "MISC"], [645, 667, "MISC"], [671, 678, "LOC"], [817, 822, "PER"], [859, 864, "MISC"], [902, 910, "PER"], [943, 958, "MISC"], [1046, 1060, "MISC"], [1200, 1217, "MISC"], [1268, 1279, "MISC"], [1304, 1319, "MISC"]]} +{"text": "Ficino ha ancora una volta Virgilio; cfr. Aen. I 234-6", "labels": [[0, 6, "PER"], [27, 35, "PER"], [42, 45, "PER"]]} +{"text": "Lucano, Pharsalia, I 109-11", "labels": [[0, 6, "LOC"], [8, 17, "LOC"], [19, 24, "MISC"]]} +{"text": "Boezio, Consolatio Philosophiae, II, metro 6, 8-13. Cfr. ancora la voce Boezio di Francesco Tateo, in ED, I, 1970, p. 656", "labels": [[0, 6, "LOC"], [8, 31, "LOC"], [33, 35, "PER"], [72, 78, "PER"], [82, 97, "PER"], [102, 104, "MISC"], [106, 107, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis. La lezione exivit, prescelta da Ricci 1965 contro l’exiit di Bertalot 1920 (nonché della Vulgata) per avere dalla sua l’accordo di K T con ottimi rappresentanti del ramo ? (p. 203), è criticata da Nardi, che ricorda con enfasi che però il Vernani [...] ha: “Lucas dicit: ‘Exiit edictum’”!. Cfr. anche Kay. Tace l’apparato dell’ed. Shaw 2009, e perfino la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006) registra la sola lezione exivit (non così però se si ricorre alla funzione Show original spelling forms: leggono exiit i codici A2 B D F G H L M S, ai quali si può aggiungere l’Anonimo, che scrive “Exit ... escì”); Ficino traduce solo “Mandò”. Vinay commenta: \"Più avanti [...], riprendendo un motivo notissimo, D. darà del testo evangelico un’interpretazione politico-giuridica: qui lo cita per il suo valore di testimonianza storica a riprova della vittoria di fatto del popolo Romano\". Per Augusto cfr. sopra, I XVI 1 e più oltre, II X 6, ed Ep VII [3] 14; e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, Augusto, in ED, I, 1970, pp. 449-50", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [72, 79, "PER"], [14, 30, "LOC"], [64, 79, "PER"], [147, 157, "MISC"], [176, 189, "MISC"], [204, 211, "MISC"], [312, 317, "PER"], [354, 361, "PER"], [372, 378, "MISC"], [387, 392, "PER"], [416, 419, "LOC"], [421, 425, "LOC"], [446, 455, "MISC"], [470, 484, "ORG"], [523, 532, "MISC"], [609, 637, "MISC"], [662, 668, "MISC"], [677, 680, "MISC"], [711, 718, "LOC"], [731, 736, "MISC"], [749, 755, "PER"], [769, 775, "MISC"], [778, 783, "PER"], [846, 848, "MISC"], [875, 878, "MISC"], [1027, 1034, "PER"], [1047, 1054, "MISC"], [1079, 1085, "MISC"], [1106, 1128, "PER"], [1130, 1137, "PER"], [1142, 1144, "MISC"], [1146, 1147, "MISC"]]} +{"text": "come Tulio et Vegetio comandano (Ficino); cfr. Vegezio, De re militari, III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum; Cicerone, De officiis, I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore (e cfr. poco oltre, II IX 4 e 8, dov’è rifuso il testo del De officiis, I 34-38). Cfr. Moore 1893, p. 24; e ora Di Fonzo 2009, p. 53, e più ampiamente 2011. Vinay parla di un fraintendimento di Dante a proposito dell’accordo tra Cicerone e Vegezio; Nardi lo nega a ragione; per Kay Vinay is certainly right. Dissente dall’interpretazione data più in generale da Vinay a questo luogo Cassell, secondo cui Dante most likely learned of Vegetius from the twenty-three references to the De re militari that Giles of Rome makes in the De regimine principum, rimandando a Briggs 1999, p. 11", "labels": [[921, 942, "WORK_OF_ART"], [5, 21, "PER"], [33, 39, "PER"], [47, 54, "PER"], [56, 70, "MISC"], [181, 189, "PER"], [191, 202, "MISC"], [204, 212, "MISC"], [412, 414, "PER"], [451, 462, "ORG"], [464, 468, "MISC"], [479, 484, "PER"], [504, 517, "MISC"], [549, 554, "PER"], [586, 591, "PER"], [621, 629, "PER"], [632, 639, "PER"], [641, 646, "PER"], [670, 679, "PER"], [754, 759, "PER"], [775, 782, "PER"], [796, 801, "PER"], [825, 942, "MISC"], [957, 968, "MISC"]]} +{"text": "Cicerone, De officiis, I 12 38: \"Sed ea bella quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt\"", "labels": [[0, 8, "PER"], [10, 21, "MISC"], [23, 30, "MISC"], [33, 52, "MISC"]]} +{"text": "i versi che seguono appartengono agli Annales di Ennio e sono conservati in Cicerone, De officiis, I 12 38. Che il testo così citato da Dante, mutilo nei vv. 5 e 8, abbia perciò un innegabile tono “oracolare”, meno evidente nell’originale, è osservazione di Pizzica 1988 accolta da Kay. I due versi 5 e 8 sono però conservati, come subito si dirà, da un’esigua minoranza dei testimoni, rappresentata dalla princeps K e dall’addottrinato (Ricci 1965) M", "labels": [[38, 45, "MISC"], [49, 54, "PER"], [76, 84, "PER"], [86, 97, "MISC"], [99, 106, "MISC"], [136, 141, "PER"], [197, 198, "MISC"], [258, 270, "MISC"], [282, 285, "PER"], [351, 354, "MISC"], [415, 416, "MISC"], [438, 448, "MISC"], [450, 451, "MISC"]]} +{"text": "merchato di sangue et d’ing[i]ustitia (Ficino), mentre l’Anonimo scrive merchato di sangue e di giustizia. Imbach, p. 164 (cfr. Imbach, p. 306), ha sposato, ma solo in questo luogo e non più avanti nel paragrafo successivo, la proposta, vivacemente avanzata da Nardi, di restaurare la lezione iniustitie, conservata, oltre che da Ficino, da D, c. 44v (non però da G, come vorrebbe Bertalot 1920 in apparato, p. 66, ché quel testimone ha chiaramente iustie = iustitie a c. 22r) e accolta dagli editori con l’eccezione di Ricci 1965. Questi poté sostenere che Witte 1874, preferendo iniustitie, era andato contro la testimonianza dell’intera tradizione, obbiettando: Ma è facile osservare – e non faccio altro che ripetere ciò che benissimo hanno già notato il Bigongiari e il Toynbee – che Dante costruisce le due frasi in relazione a un concetto di Ennio esplicitamente poco prima citato: Nec mi aurum posco, nec mi pretium dederitis; non cauponantes bellum, sed belligerantes. Nel duello inteso come giudizio di Dio, gli avversari devono essere guidati unicamente dall’amore della giustizia; se per cupidigia combattessero, non si dovrà dire che anelano alla giustizia, ma che ne fanno commercio, iustitie mercatores in quanto combattono da mercenari; cauponantes bellum, come dice Ennio (p. 207). Smentendo in base all’apparato di Bertalot l’affermazione secondo cui iniustitie mancherebbe alla totalità dei testimoni, Nardi contesta insieme Bigongiari 1927, p. 458, Toynbee 1929, p. 53, e Ricci 1965, negando che Dante si riferisca al cauponantes bellum di Ennio e ribattendo argutamente: No, qui Dante parrebbe dire un’altra cosa: il loro combattimento “non tunc duellum, sed forum sanguinis et iniustitie dicendum esset; nec tunc arbiter Deus esse credatur, sed ille antiquus Hostis qui litigii fuerat persuasor”. In quel “forum sanguinis” ci sarebbe rimasta proprio la giustizia ... a tener compagnia al diavolo?. Per Pézard le sens est le même; Pizzica 1988 considera iniustitie inaccettabile; Kay sostiene ancora che all the manuscripts read iustitie e ritiene decisive la difesa di Bigongiari, cui consente anche Shaw 2009. Così anche Cassell. Io preferisco dar fede alla lezione iniustitie di D, Ficino, Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921, difesa da Nardi e recuperata da Imbach; me ne rende persuaso, oltre tutto, il testo del c. 25, D. I De penitencia, nel Decretum Gratiani, dove si legge quanto Dante poteva riecheggiare in questo luogo: Omnis iniquitas, et oppressio, et iniusticia, iudicium sanguinis est (Friedberg, I, col. 1164)", "labels": [[939, 957, "WORK_OF_ART"], [1253, 1271, "WORK_OF_ART"], [1538, 1556, "WORK_OF_ART"], [0, 37, "MISC"], [39, 45, "PER"], [57, 64, "LOC"], [107, 113, "LOC"], [128, 134, "LOC"], [261, 266, "PER"], [330, 336, "PER"], [341, 342, "LOC"], [364, 365, "MISC"], [381, 394, "MISC"], [520, 530, "MISC"], [558, 568, "MISC"], [759, 769, "ORG"], [775, 782, "ORG"], [789, 794, "PER"], [849, 854, "PER"], [889, 907, "MISC"], [1001, 1016, "MISC"], [1283, 1288, "PER"], [1333, 1341, "PER"], [1421, 1426, "PER"], [1444, 1459, "MISC"], [1469, 1481, "MISC"], [1492, 1502, "MISC"], [1516, 1521, "PER"], [1560, 1565, "PER"], [1600, 1605, "PER"], [1620, 1623, "MISC"], [1657, 1658, "MISC"], [1726, 1747, "ORG"], [1763, 1816, "MISC"], [1827, 1843, "MISC"], [1924, 1930, "PER"], [1952, 1964, "MISC"], [2001, 2004, "PER"], [2091, 2101, "PER"], [2122, 2131, "MISC"], [2144, 2151, "PER"], [2203, 2204, "MISC"], [2206, 2212, "PER"], [2214, 2224, "MISC"], [2226, 2239, "MISC"], [2242, 2255, "MISC"], [2267, 2272, "PER"], [2289, 2295, "LOC"], [2352, 2370, "PER"], [2376, 2393, "MISC"], [2416, 2421, "PER"], [2459, 2464, "PER"], [2529, 2538, "LOC"], [2540, 2541, "LOC"]]} +{"text": "cfr. sopra, II VII 9, con il richiamo a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3", "labels": [[40, 47, "PER"], [50, 56, "PER"], [58, 74, "PER"], [76, 79, "MISC"], [80, 84, "ORG"]]} +{"text": "cfr. 1 Sam 17, 38-51", "labels": [[5, 10, "PER"]]} +{"text": "la tradizione si divide qui tra iustitiam, attestata da D F G N T U V e prescelta da Bertalot 1920, da Ricci 1965 e da Shaw 2009, e instantiam della princeps K e dei rimanenti codici, adottato da Witte 1874 e da Rostagno 1921; si veda altresì la versione ficiniana, per conoscere l’instantia, e quella dell’Anonimo, che pur mal traducendo ha la stessa base nella tradizione: per la fretta di cognioscere. Per Ricci instantia è soltanto un termine del linguaggio filosofico indicante una proposizione che si contrappone ad un’altra, e dunque qui evidentemente non può aver luogo. Ma in questo contesto il significato è quello giuridico: instantiam cognoscere significa infatti “giudicare la lite pendente” (come in Dig. 5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77): cfr. sopra, II V 23. Tanto più che in Livio è chiaro che i due popoli e i loro campioni non combattono per una causa di giustizia, ma a motivo della cupido imperii e per ottenere la supremazia: imperium agebatur (Ab U. c. I 23, 7 e 25, 2). Difficoltà tra i moderni interpreti (Vinay non traduce; e v. Marcelli-Martelli 2004: per trovare giustizia), che però tacitamente sembrano in parte accedere al significato tecnico: Pézard, in simmetria con afin de rechercher le bon plaisir divin (poco più sopra, II IX 13), ha afin de connaître la décision divine; Nardi per definir la lite; Sanguineti 1985, anch’egli per simmetria con II IX 13, al fine di conoscere il giudizio di Dio; Pizzica 1988 per dirimere legalmente la contesa; Shaw 1996 in order to reach a just settlement", "labels": [[32, 41, "PER"], [56, 65, "MISC"], [85, 98, "MISC"], [103, 113, "MISC"], [119, 128, "MISC"], [158, 159, "MISC"], [196, 206, "MISC"], [212, 225, "MISC"], [307, 314, "LOC"], [409, 414, "PER"], [522, 525, "MISC"], [676, 677, "MISC"], [714, 717, "MISC"], [734, 741, "PER"], [742, 748, "PER"], [750, 751, "PER"], [799, 804, "PER"], [974, 987, "MISC"], [1038, 1043, "PER"], [1059, 1070, "PER"], [1182, 1188, "PER"], [1264, 1266, "PER"], [1316, 1321, "PER"], [1343, 1353, "PER"], [1388, 1396, "PER"], [1434, 1437, "MISC"], [1439, 1451, "MISC"], [1488, 1497, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Ab U. c. I 23-5", "labels": [[8, 18, "MISC"]]} +{"text": "cfr. poco più sotto, II IX 18; la princeps K ha la variante disceptantium, accolta da Witte 1874 e respinta da Ricci 1965 (p. 210); trovo la medesima lezione in Y. Ficino traduce benché si conbattessi con gran moltitudine; l’Anonimo tace. Vinay ricorda ancora Orosio, Historiae adversus Paganos, II 4, dov’è solo un accenno, e osserva che tutto questo elenco dei successivi competitori di Roma trova esatto riscontro in Cicerone, De officiis, I 12 38", "labels": [[43, 44, "LOC"], [86, 96, "MISC"], [111, 121, "MISC"], [161, 170, "PER"], [225, 237, "MISC"], [239, 244, "PER"], [260, 266, "PER"], [268, 277, "PER"], [287, 294, "PER"], [296, 300, "MISC"], [389, 393, "LOC"], [420, 428, "PER"], [430, 441, "MISC"], [443, 450, "MISC"]]} +{"text": "Lucano, Pharsalia, II 135-8; K inverte sic reducit", "labels": [[0, 6, "LOC"], [8, 17, "LOC"], [19, 25, "MISC"], [29, 30, "PER"]]} \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_3.jsonl b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_3.jsonl new file mode 100644 index 0000000..5bd4acf --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_3.jsonl @@ -0,0 +1,100 @@ +{"text": "2 Tm 4, 8", "labels": []} +{"text": "solo K legge rationalibus, lezione accolta da tutti gli editori e difesa da Ricci 1979, pp. 102-3, contro Favati 1970, p. 21, prima del doveroso restauro dell’ed. Shaw 2009 (cfr. Introduzione, pp. 305-6 e note 150-4; ma non si tratta certo di una congettura, come invece annota Kay). Anche Ficino ha rationali, mentre l’Anonimo scrive ragionevoli. Per il significato di rationabilis v. le Derivationes di Uguccione, R 26, 4, che distingue: et licet Boetius ista nomina indifferenter accipiat, differunt tamen, quia rationale dicitur quod utitur rationem ut homo, angelus, anima, rationabile quod ratione agitur vel dicitur vel quod ratione agit vel dicit; unde multi, immo omnes homines sunt rationales, sed non omnes sunt rationabiles", "labels": [[5, 6, "LOC"], [76, 86, "MISC"], [106, 117, "MISC"], [163, 172, "MISC"], [179, 191, "MISC"], [278, 281, "PER"], [290, 296, "PER"], [320, 327, "LOC"], [389, 414, "MISC"], [416, 420, "MISC"], [449, 456, "PER"], [525, 537, "PER"], [563, 570, "PER"], [611, 631, "PER"], [640, 654, "ORG"], [673, 702, "MISC"], [704, 707, "ORG"], [712, 735, "MISC"]]} +{"text": "Dante rinnova l’annuncio del salmo con cui si apre il libro II (Ps 2, 1-3), rafforzando il senso dell’argomentazione già svolta in II I 1 e 4, che è tutto in quella constatazione della sostanziale identità dell’atteggiamento ribelle dei popoli dei suoi tempi con quello dei popoli già ribelli all’antica Roma: inane allora, inane oggi, la ribellione (Capitani 1965, poi Capitani 1983, p. 39); v. qui in proposito l’Introduzione, e più ampiamente Casadei 2011, p. 187 e note 12-3, a proposito dello stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ (Ep VI [2] 5, datata 31 marzo 1311), con rimando, in generale, a Russo 1987, Gagliardi 2007 e Muresu 2009", "labels": [[64, 66, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [304, 308, "LOC"], [351, 364, "LOC"], [370, 383, "LOC"], [415, 427, "PER"], [446, 458, "MISC"], [542, 577, "MISC"], [579, 584, "MISC"], [643, 653, "MISC"], [655, 669, "PER"], [672, 683, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Pd XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive Vinay: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), Kay aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s Decretum, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, Povertà, in ED, IV, 1973, p. 628", "labels": [[66, 88, "MISC"], [230, 253, "MISC"], [446, 459, "MISC"], [578, 584, "PER"], [627, 632, "PER"], [649, 657, "LOC"], [775, 786, "PER"], [788, 789, "MISC"], [997, 1005, "MISC"], [1008, 1012, "MISC"], [1017, 1021, "MISC"], [1086, 1098, "MISC"], [1146, 1151, "PER"], [1186, 1192, "PER"], [1194, 1198, "PER"], [1203, 1220, "MISC"], [1222, 1231, "MISC"], [1233, 1239, "MISC"], [1246, 1283, "MISC"], [1286, 1289, "PER"], [1347, 1354, "PER"], [1356, 1365, "PER"], [1371, 1377, "PER"], [1422, 1429, "MISC"], [1432, 1440, "MISC"], [1463, 1469, "PER"], [1471, 1475, "PER"], [1509, 1518, "PER"], [1520, 1529, "LOC"], [1531, 1532, "MISC"], [1589, 1596, "LOC"], [1722, 1741, "ORG"], [1791, 1801, "PER"], [1803, 1820, "PER"], [1822, 1829, "PER"], [1834, 1836, "ORG"], [1838, 1840, "MISC"]]} +{"text": "Ritornino honde vennono (Ficino); così anche l’Anonimo: Ritornino onde vennero. I due volgarizzamenti corrispondono alla lezione tramandata dai soli codici H Z; accolta da tutti gli editori moderni, è respinta recisamente da Ricci 1965 come un capriccio smentito dallo schieramento compatto della maggioranza dei codici e della princeps. Egli si spinge fino ad affermare (p. 213): Basta [...] analizzare il senso di questo passo, fino ad oggi interpretato sempre in modo errato, per capire che qui Redeunt e solo Redeunt va bene. Dante parla delle facultates Ecclesie provenienti da donazioni imperiali, e distingue due casi: 1. se tali beni non tornano all’Impero, chi li detiene non è grato del dono ricevuto; 2. se tali beni tornano all’Impero, allora si deve dire che tornano male, mentre invece erano venuti bene. Alla luce di tale svolgimento del pensiero dantesco, il congiuntivo esortativo Redeant è completamente privo di senso; mentre la frase Redeunt unde venerunt è una perfetta protasi con l’ellissi del si. L’improponibilità di tale interpretazione è denunciata da Nardi 1965, poi in Nardi 1966c, pp. 408-14; lo stesso Nardi conserva il testo dell’ed. Ricci 1965 (ciò che suona ancora fuorviante per Cassell, p. 316, nota 237) ma interpreta: Tornino onde vennero, commentando: perciò Dante ha il coraggio di gridare: “Tornino onde vennero: vennero bene e tornano male: giacché furono ben dati e mal posseduti”! (pp. 426-7). Questa correzione, tacitamente accolta già in Pézard (Qu’ils s’en retournent au lieu d’où ils sont venus) e nel testo corredato dalla traduzione del Ronconi 1966 (Tornino da dove sono venuti), è stata espressamente accolta da Imbach, che traduce di conseguenza: Diese Güter sollen dahin zurückkehren, woher sie gekommen sind (pp. 170-1 e p. 309); così anche Pizzica 1988, pur se limitatamente alla traduzione (Ritornino da dove provennero, corredata da un nota adesiva alle argomentazioni di Nardi). Riconosciuta come lezione genuina da Shaw 1981, pp. 207-8, adottata nelle edizioni-traduzioni della Shaw (a) 1995 e 1996: Let them return where they came from, e da Cassell (Let them go back where they came from!) che la giudica come la sola dotata di senso logico, è ancora contestata da Kay, che inclinando verso la lezione difesa da Ricci suggerisce che Dante possa aver adottato quella “più esitante costruzione” perché probabilmente a conoscenza del dissenso di san Tommaso verso le norme giustinianee sulla revoca della donazione. Ma Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3 (Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda), afferma solo che chi conferisce un beneficio deve sanzionare l’ingratitudine non statim, e deve prima mostrarsi pium medicum: ut scilicet iteratis beneficiis ingratitudinem sanet. Per un bilancio di tutta la questione cfr. Furlan, e soprattutto Shaw 2009, Introduzione, p. 322. È forse lecito sospettare, infine, che nell’uso dell’espressione redeant unde venerunt possano ravvisarsi calchi di forme quasi proverbiali (cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1: sin aliter, aere dirutum facies, ut cumulo carminis in fiscum suum redacto redeant versus, unde venerunt).", "labels": [[25, 31, "PER"], [47, 54, "LOC"], [56, 65, "LOC"], [156, 159, "MISC"], [225, 235, "MISC"], [498, 505, "PER"], [513, 520, "PER"], [530, 535, "PER"], [559, 567, "ORG"], [658, 664, "LOC"], [740, 746, "LOC"], [898, 905, "PER"], [954, 961, "PER"], [1021, 1023, "MISC"], [1079, 1084, "PER"], [1098, 1109, "MISC"], [1133, 1138, "PER"], [1166, 1176, "MISC"], [1214, 1221, "PER"], [1256, 1263, "PER"], [1298, 1303, "PER"], [1332, 1339, "PER"], [1484, 1490, "LOC"], [1587, 1599, "MISC"], [1601, 1608, "LOC"], [1664, 1670, "PER"], [1700, 1737, "MISC"], [1796, 1808, "MISC"], [1848, 1857, "LOC"], [1930, 1935, "PER"], [1975, 1984, "MISC"], [2038, 2042, "MISC"], [2060, 2063, "PER"], [2103, 2110, "PER"], [2112, 2115, "PER"], [2227, 2230, "PER"], [2274, 2279, "PER"], [2295, 2300, "PER"], [2405, 2416, "PER"], [2478, 2485, "PER"], [2488, 2494, "PER"], [2496, 2512, "PER"], [2514, 2517, "MISC"], [2518, 2522, "ORG"], [2544, 2549, "MISC"], [2811, 2817, "MISC"], [2833, 2842, "MISC"], [2844, 2856, "PER"], [3019, 3026, "LOC"], [3028, 3043, "LOC"]]} +{"text": "Vinay cita il commento boeziano al Perˆ `Ermhne…aj (I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur). Imbach rinvia alle Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 153, ed. de Rijk, p. 169; cfr. anche Kay e Cassell, che nota: Dante begins to use conditional arguments as opposed to syllogisms", "labels": [[0, 5, "PER"], [35, 47, "MISC"], [52, 53, "MISC"], [55, 62, "MISC"], [74, 82, "LOC"], [137, 143, "LOC"], [156, 174, "LOC"], [178, 191, "PER"], [193, 200, "MISC"], [206, 213, "PER"], [234, 237, "PER"], [240, 247, "PER"], [259, 264, "PER"]]} +{"text": "come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere. Cfr. sopra, I XIII 4", "labels": [[36, 56, "WORK_OF_ART"], [10, 20, "PER"], [22, 28, "PER"], [46, 56, "PER"], [182, 190, "MISC"]]} +{"text": "Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis; cfr. sopra, II VIII 14 ed Ep VII [3] 14, e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, Augusto, in ED, I, 1970, pp. 449-50, e Cremascoli 2011, p. 39, nota 36", "labels": [[67, 74, "PER"], [0, 4, "MISC"], [9, 25, "LOC"], [59, 74, "PER"], [122, 124, "PER"], [136, 142, "PER"], [163, 185, "PER"], [187, 194, "PER"], [199, 201, "MISC"], [203, 204, "MISC"], [226, 241, "MISC"]]} +{"text": "\"in quella singulare discritione della generatione humana\" (Ficino); \"in quella singhulare descripzione della umana natura\" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: \"singolare\", \"singulier\". Commenta Kay osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di singulari, concedendo a Dante il senso di \"eccezionale\" (Vinay, Pizzica 1988) o \"memorabile\" (Nardi): \"I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”\". \"Unique\" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e Cassell, ma è usato anche da Pézard e dalla Gally 1993; Imbach, Marcelli-Martelli 2004 hanno \"straordinario\", \"besonderen\"; Ronconi 1966 \"d’eccezione\". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). Vinay cita in questo luogo estesamente un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): \"In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo\". Nardi, che legge il Memoriale nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli Staatsschriften des späteren Mittelalters, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il Tractatus, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede Kay, ché anzi dice che \"le idee circolano anche senza libri\". Kay indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, Historie adversus Paganos, VI 22 6-8: \"Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani\". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. Furlan nota che \"Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla Monarchia\". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata Sine nomine 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della Monarchia dantesca: \"Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!\" (ed. Dotti 1974, p. 42).", "labels": [[1744, 1749, "PER"], [60, 66, "PER"], [125, 132, "LOC"], [156, 166, "PER"], [174, 178, "PER"], [220, 223, "PER"], [320, 325, "PER"], [353, 358, "PER"], [360, 372, "MISC"], [390, 395, "PER"], [484, 490, "MISC"], [514, 523, "MISC"], [526, 533, "PER"], [555, 561, "PER"], [570, 580, "MISC"], [582, 588, "LOC"], [590, 598, "PER"], [650, 662, "MISC"], [688, 689, "MISC"], [707, 712, "PER"], [827, 835, "MISC"], [838, 843, "PER"], [890, 899, "MISC"], [906, 945, "PER"], [971, 989, "PER"], [998, 1037, "MISC"], [1052, 1058, "PER"], [1061, 1075, "PER"], [1094, 1108, "PER"], [1138, 1145, "ORG"], [1178, 1186, "MISC"], [1212, 1219, "MISC"], [1238, 1248, "PER"], [1275, 1279, "PER"], [1302, 1309, "PER"], [1410, 1417, "MISC"], [1428, 1429, "MISC"], [1576, 1579, "MISC"], [1585, 1592, "MISC"], [1640, 1648, "MISC"], [1694, 1701, "MISC"], [1720, 1727, "MISC"], [1764, 1773, "MISC"], [1789, 1807, "PER"], [1823, 1838, "LOC"], [1843, 1864, "PER"], [1866, 1867, "PER"], [1881, 1890, "PER"], [1893, 1900, "LOC"], [1918, 1927, "MISC"], [1954, 1959, "PER"], [1966, 1973, "PER"], [1997, 2002, "PER"], [2073, 2087, "PER"], [2100, 2103, "PER"], [2162, 2165, "PER"], [2217, 2222, "PER"], [2227, 2235, "PER"], [2237, 2243, "PER"], [2245, 2253, "LOC"], [2263, 2270, "PER"], [2272, 2279, "MISC"], [2284, 2289, "PER"], [2319, 2325, "PER"], [2461, 2465, "PER"], [2500, 2504, "PER"], [2522, 2530, "LOC"], [2532, 2538, "LOC"], [2578, 2582, "LOC"], [2651, 2705, "PER"], [2856, 2860, "MISC"], [2918, 2949, "MISC"], [3070, 3077, "MISC"], [3085, 3099, "MISC"], [3233, 3266, "MISC"], [3287, 3292, "PER"], [3309, 3315, "PER"], [3332, 3338, "PER"], [3396, 3404, "PER"], [3446, 3450, "PER"], [3485, 3494, "MISC"], [3511, 3532, "PER"], [3555, 3561, "PER"], [3572, 3576, "LOC"], [3626, 3635, "LOC"], [3651, 3655, "LOC"], [3690, 3698, "PER"], [3721, 3725, "MISC"], [3764, 3778, "PER"], [3801, 3810, "LOC"], [3822, 3844, "MISC"], [3876, 3880, "ORG"]]} +{"text": "de iure (per ragione nel volgarizzamento ficiniano, p. 375; di ragione in quello dell’Anonimo) è, al solito, variamente tradotto dagli interpreti più recenti: di diritto, von Rechts, de droit, based on right, lawful, ecc. Canning 2011, pp. 68-9 e nota 20, scrive che Dante produced the extraordinary argument that for the atonement to be valid, Christ had to be condemned and punished by a judge appointed by legitimate, universal authority, namely the Emperor Tiberius [...]. This was a theologically idiosyncratic view to say the least: one which went against theological orthodoxy and was rapidly condenmned by his opponents, as for instance Guido Vernani showed. Dante of course considered that he had thereby produced an irrefutable argument in the emperor’s favour, but in this he seemed to have been alone. In this use of the Bible as sacred history he was going out on a limb far beyond the traditional providential view. Per gli stretti punti di contatto di questo passaggio con il Defensor pacis di Marsilio da Padova v. Garnett 2006, pp. 75-6. Scrive Nardi a commento, p. 430 (con riferimento a Remigio de’ Girolami, ed. Matteini 1958, pp. 108-9, e allo stesso Nardi 1966c, pp. 377-85): questo capitolo xi, conclusivo del secondo libro dantesco, ha fatto perdere addirittura la testa al “più antico oppositore politico” di Dante, che, appena enunciata la tesi dantesca, esclama: “Hic iste homo copiosissime deliravit et, ponendo os in celum, lingua eius transivit in terra [Ps., 72, 9]. Quis enim unquam tam turpiter erravit ut diceret quod pena debita pro peccato originali potestati alicuius terreni iudicis subiaceret?", "labels": [[1485, 1487, "WORK_OF_ART"], [0, 7, "PER"], [171, 181, "PER"], [222, 234, "MISC"], [267, 272, "PER"], [345, 387, "MISC"], [421, 440, "ORG"], [442, 469, "MISC"], [477, 485, "MISC"], [645, 658, "PER"], [667, 672, "PER"], [991, 999, "LOC"], [1009, 1038, "PER"], [1062, 1067, "PER"], [1106, 1126, "LOC"], [1132, 1145, "LOC"], [1172, 1177, "PER"], [1334, 1339, "PER"], [1390, 1394, "MISC"]]} +{"text": "Eph 1, 5-8. La Vulgata ha in laudem gloriae gratiae suae invece di in laudem et gloriam gratie sue, e inoltre divitias gratiae eius in luogo di divitias glorie sue", "labels": [[0, 5, "ORG"], [15, 22, "MISC"]]} +{"text": "perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’", "labels": [[2144, 2149, "PER"], [2238, 2244, "PER"], [463, 466, "PER"], [1271, 1282, "WORK_OF_ART"], [197, 214, "PER"], [234, 239, "PER"], [281, 296, "MISC"], [301, 323, "MISC"], [327, 342, "PER"], [382, 401, "MISC"], [442, 449, "PER"], [451, 458, "PER"], [468, 471, "MISC"], [576, 591, "MISC"], [594, 607, "MISC"], [723, 739, "MISC"], [889, 896, "LOC"], [1109, 1112, "LOC"], [1138, 1145, "PER"], [1146, 1152, "PER"], [1154, 1155, "PER"], [1217, 1220, "MISC"], [1241, 1248, "PER"], [1289, 1300, "LOC"], [1307, 1314, "LOC"], [1316, 1320, "LOC"], [1334, 1337, "LOC"], [1424, 1431, "PER"], [1467, 1470, "PER"], [1498, 1503, "PER"], [1594, 1601, "PER"], [1604, 1610, "PER"], [1612, 1628, "PER"], [1630, 1633, "MISC"], [1634, 1638, "ORG"], [1653, 1657, "MISC"], [1660, 1670, "PER"], [2120, 2121, "MISC"], [2135, 2136, "MISC"], [2165, 2168, "LOC"], [2171, 2179, "LOC"], [2227, 2228, "ORG"], [2230, 2244, "ORG"], [2246, 2261, "MISC"], [2263, 2273, "MISC"], [2275, 2284, "MISC"], [2286, 2292, "PER"], [2295, 2302, "PER"], [2340, 2349, "MISC"]]} +{"text": "Ex 2, 14: \"Quis te constituit principem et iudicem super nos?\"", "labels": []} +{"text": "Vinay, ricordando che il Vernani della Reprobatio (ed. Matteini 1958, p. 28) osserva \"che la sola cosa che conta è che Cristo abbia obbedito al Padre fino alla morte e alla morte in croce\" (come in Paolo, Ph 2, 8), giudica \"nuovo e paradossale nella sua forma l’argomento dantesco\"; cita tuttavia un significativo passo del già menzionato Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück (ed. Grundmann, p. 14 = ed. Grundmann – Heimpel, pp. 97-8; cfr. sopra, II X 6): \"Dominus morte instante approbavit et honoravit romanum Imperium; dum enim Pylatus iactaret se de potestate quam habeet in Christum et diceret ei: ‘nescis quia potestatem habeo crucifigere et dimittere te?’ Dominus, ut dicit Iohannes, respondit: ‘non haberes ullam potestatem adversus me nisi datum esset tibi desuper’. Quod, secundum glosam, duobus modis exponitur. Uno modo sic: desuper, id est a Deo, quia non est potestas nisi a Deo; vel: desuper id est a Cesare, qui Pylatum prefecerat in presidem. Unde super verbis hiis ‘si hunc dimittis, non es amicus Cesaris’, dicit glosa: ‘Iudei terrent Pylatum a Cesare quem non potest ut auctorem sue potestatis contempnere’. Deus enim fuit auctor potestati Pylati primarius, Cesar autem fuit auctor sue potestatis secundarius. Secundum hunc posteriorem intellectum Dominus in verbis istis multum commendat romanum Imperium. Ostendit enim potestatem Cesaris aliis potestatibus mundanis preeminere et ipsas sub eo contineri. Quid est enim potestatem dari desuper nisi dari ab eo cuius supereminet potestas et alias potestates mundanas tamquam inferiores et minores sub se continet et includit?\"", "labels": [[39, 49, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [25, 49, "MISC"], [55, 68, "MISC"], [119, 125, "PER"], [144, 149, "MISC"], [198, 203, "PER"], [205, 209, "MISC"], [339, 348, "MISC"], [355, 394, "PER"], [400, 409, "PER"], [423, 432, "PER"], [435, 442, "ORG"], [476, 483, "MISC"], [531, 539, "MISC"], [550, 557, "PER"], [598, 620, "MISC"], [682, 689, "MISC"], [700, 708, "ORG"], [792, 793, "MISC"], [795, 799, "PER"], [874, 877, "LOC"], [908, 911, "LOC"], [935, 941, "PER"], [947, 954, "LOC"], [1035, 1043, "PER"], [1059, 1080, "ORG"], [1083, 1094, "PER"], [1144, 1145, "MISC"], [1179, 1195, "MISC"], [1197, 1220, "MISC"], [1249, 1274, "MISC"], [1287, 1294, "ORG"], [1336, 1344, "LOC"], [1371, 1420, "MISC"]]} +{"text": "sembrerebbe di cogliere qui un’assonanza con la definizione della giurisdizione ordinaria come giurisdizione “totale”, che si legge nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 21 (De officio et potestate iudicis delegati), § 1, p. 16: Ordinarius iudex est qui in ecclesiasticis ab Apostolico, in secularibus ab Imperatore totalem quandam habet iurisdictionem", "labels": [[28, 31, "MISC"], [109, 110, "MISC"], [138, 155, "MISC"], [159, 176, "PER"], [178, 179, "MISC"], [185, 208, "MISC"], [240, 250, "PER"], [316, 326, "PER"]]} +{"text": "è allusione alla profezia di Caifa in Io 11, 49-52: Unus autem ex ipsis Caiphas nomine, cum esset pontifex anni illius, dixit eis: Vos nescitis quidquam nec cogitatis quia expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo, et non tota gens pereat. Hoc autem a semetipso non dixit; sed, cum esset pontifex anni illius, prophetavit quod Iesus moriturus erat pro gente et non tantum pro gente, sed ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum. Cfr. Pietro Mazzamuto, Caifas, in ED, I, 1970, pp. 751-2. Rinviando a quanto già detto in Nardi 1966c, pp. 383-4, lo stesso Nardi sottolinea che a questo prophetavit di Caifa il Vernani non ha fatto attenzione. Dante invece costruisce la fine del secondo libro proprio su questa arcana parola", "labels": [[29, 34, "LOC"], [38, 43, "MISC"], [72, 79, "MISC"], [332, 337, "PER"], [453, 469, "PER"], [471, 477, "PER"], [482, 484, "MISC"], [486, 487, "MISC"], [538, 549, "MISC"], [572, 577, "PER"], [617, 622, "LOC"], [626, 633, "PER"], [659, 664, "PER"]]} +{"text": "come Santo Lucha parla inel Vangielio suo (Anonimo); Ficino invece ha come parla Lucha nel suo Vangelio. Cfr. Lc 23, 11: Sprevit autem illum Herodes cum exercitu suo et illusit indutum veste alba, et remisit ad Pilatum. La variante in suo Euangelio è testimoniata dalla princeps K e da F; D T omettono suo", "labels": [[5, 16, "PER"], [28, 37, "LOC"], [43, 50, "LOC"], [53, 59, "PER"], [81, 86, "PER"], [95, 103, "ORG"], [110, 115, "MISC"], [141, 148, "PER"], [211, 218, "LOC"], [239, 248, "PER"], [279, 280, "LOC"], [286, 287, "LOC"], [289, 292, "LOC"]]} +{"text": "col virgiliano Ausonia (Aen. I 421-2) Dante indica qui l’intiera penisola italiana (cfr. Pd VIII 61-2: e quel corno d’Ausonia che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona). Cfr. Clara Kraus, Ausonia, in ED, I, 1970, p. 452. Kay nota che l’enfasi sull’Italia è relativa agli effetti della donazione di Costantino, che consegnava al pontefice romano tam palatium ... quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates. Così nella palea Constantinus del Decretum Gratiani: c. 14 [§ 6], D. XCVI (Friedberg, I, col. 344 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93), per la quale v. oltre, III X 1", "labels": [[24, 27, "LOC"], [38, 43, "PER"], [92, 96, "MISC"], [118, 125, "LOC"], [145, 149, "LOC"], [155, 160, "LOC"], [166, 172, "LOC"], [180, 191, "PER"], [193, 200, "LOC"], [205, 207, "ORG"], [209, 210, "MISC"], [226, 229, "PER"], [253, 259, "LOC"], [303, 313, "PER"], [372, 385, "PER"], [479, 491, "MISC"], [496, 513, "MISC"], [528, 535, "PER"], [537, 546, "MISC"], [548, 549, "MISC"], [562, 585, "LOC"], [595, 603, "PER"]]} +{"text": "Dn 6, 22 (ripetuto più oltre, III I 3). Per il solenne esergo con le parole di Daniele, da cui D. attinge la forza di dire la verità benché sappia che gli avversari l’attaccheranno: Dio proteggerà Dante, v. Vincent Truijen, Daniele, in ED, II, 1970, p. 303, e ora più in generale Cremascoli 2011, p. 40 e nota 40. Vinay avverte che neppure questa citazione biblica era nuova nella pubblicistica dei tempi di Dante, come esempio degli interventi miracolosi di Dio nel governo del mondo, e cita in proposito Egididio Romano, De ecclesiastica potestate, III 3, aggiungendo: Ma lo scopo di D. è diverso: egli dirà parole dure per gli uomini di chiesa, prima di scendere in lizza vuole perciò affermare solennemente la sua consapevolezza di difendere la causa della giustizia e della verità, la sua ferma decisione di difenderla ad ogni costo, la sua fiducia piena nel soccorso divino. Tutto il capitolo mantiene il tono sostenuto dell’inizio, preannunzia la solenne profezia di Cacciaguida (Par., XVII) e richiama la canzone Tre donne intorno al cor: siamo nell’atmosfera dei grandi canti della giustizia e della fierezza di D.. Stupisce perciò che lo stesso Vinay s’interroghi subito dopo sul motivo di tanta solennità. Furlan avverte che Ficino ha Io ò chiuso le bocche a’ lioni [...], curiosamente in prima persona; ma non c’è nulla di curioso nella prima persona, sia perché l’identificazione tra Daniele e Dante è qui implicita, sia perché sono diversi i codici ? che leggono conclusi (A2 D E M S U); più chiaro ancora il volgarizzameno dell’Anonimo, che esplicita la lezione del proprio codice: “Conclusi ora leonum. Chonclusi le bocche de’ leoni et non mi nociettero, però che inanzi a•llui la giustizia è trovata in me”. Se inoltre è vero, com’è vero, che anche il carattere pedissequo del volgarizzamento dell’Anonimo può essere rivelatore dei suoi rapporti con la tradizione manoscritta, si noterà la coincidenza con la lezione di D, che inverte iusticia est inventa (A2 legge inventa est iusticia). Né Ricci 1965 né Shaw 2009 registrano queste varianti; la sola lezione Conclusi è invece nell’apparato di Bertalot 1920, p. 73, con l’esclusione dei codici S U, a lui sconosciuti; e v. la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006)", "labels": [[0, 4, "MISC"], [79, 86, "LOC"], [95, 97, "MISC"], [182, 185, "MISC"], [197, 202, "PER"], [207, 222, "PER"], [224, 231, "PER"], [236, 238, "ORG"], [240, 242, "MISC"], [280, 295, "MISC"], [314, 319, "PER"], [408, 413, "PER"], [445, 462, "MISC"], [506, 521, "PER"], [523, 549, "MISC"], [551, 556, "MISC"], [586, 588, "MISC"], [974, 985, "PER"], [987, 990, "MISC"], [993, 997, "MISC"], [1021, 1045, "MISC"], [1121, 1122, "LOC"], [1155, 1160, "PER"], [1217, 1223, "PER"], [1236, 1242, "PER"], [1246, 1250, "MISC"], [1269, 1276, "PER"], [1397, 1404, "PER"], [1407, 1412, "PER"], [1487, 1491, "MISC"], [1494, 1499, "MISC"], [1597, 1617, "MISC"], [1641, 1651, "MISC"], [1687, 1693, "LOC"], [1815, 1822, "LOC"], [1937, 1938, "LOC"], [1974, 1976, "LOC"], [2009, 2019, "MISC"], [2023, 2032, "MISC"], [2077, 2085, "LOC"], [2112, 2125, "LOC"], [2162, 2165, "LOC"], [2194, 2208, "ORG"], [2247, 2256, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.", "labels": [[596, 604, "WORK_OF_ART"], [14, 47, "MISC"], [102, 105, "PER"], [179, 198, "PER"], [233, 241, "MISC"], [314, 319, "PER"], [330, 335, "PER"], [395, 405, "MISC"], [433, 442, "MISC"], [470, 474, "ORG"], [491, 495, "MISC"], [501, 513, "MISC"], [586, 604, "MISC"], [681, 687, "PER"], [713, 717, "ORG"]]} +{"text": "il comandatore de’ costumi, il Filosafo (Anonimo); el preceptore de’ costumi, Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1096 a 14-7: Ma può sembrare meglio e doveroso, per salvaguardare la verità, anche sacrificare i sentimenti personali, dal momento che noi siam pure filosofi: pur essendoci care entrambe le cose, gli amici e la verità, è dovere morale preferire la verità. Cfr. Cv IV VIII 15: E da questo fallo si guardò quello maestro delli filosofi, Aristotile, nel principio dell’Etica quando dice: “Se due sono li amici, e l’uno è la verità, alla verità è da consentire”; Pd XVII 118-20: “e s’io al vero son timido amico, / temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico” (col commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 490); Ep XI [5] 11: Habeo preter hec preceptorem Phylosophum qui, cuncta moralia dogmatizans, amicis omnibus veritatem docuit preferendam; per Aristotele maestro di filosofia morale cfr. Cv IV VI 15", "labels": [[387, 389, "WORK_OF_ART"], [943, 945, "WORK_OF_ART"], [104, 124, "WORK_OF_ART"], [17, 26, "MISC"], [31, 39, "LOC"], [41, 48, "LOC"], [67, 76, "MISC"], [78, 88, "PER"], [90, 96, "PER"], [114, 124, "PER"], [390, 392, "PER"], [461, 471, "PER"], [487, 497, "MISC"], [511, 512, "MISC"], [588, 596, "MISC"], [601, 602, "MISC"], [604, 606, "MISC"], [728, 751, "MISC"], [762, 767, "PER"], [776, 781, "LOC"], [805, 816, "LOC"], [899, 909, "PER"], [946, 948, "PER"]]} +{"text": "Dn 6, 22; cfr. sopra, III I 1", "labels": [[0, 4, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Pv 30, 5: Omnis sermo Dei ignitus, clipeus est sperantibus in se", "labels": []} +{"text": "cfr. 1 Th 5, 8: Nos autem, qui diei sumus, sobrii simus induti loricam fidei et caritatis et galeam spem salutis", "labels": [[50, 55, "PER"], [93, 112, "ORG"]]} +{"text": "cfr. Is 6, 6-9: Et volavit ad me unus de seraphim et in manu eius calculus, quem forcipe tulerat de altari, et tetigit os meum et dixit: Ecce tetigit hoc labia tua, et auferetur iniquitas tua, et peccatum tuum mundabitur: Et audivi vocem Domini dicentis: Quem mittam? et quis ibit nobis? Et dixi: Ecce ego, mitte me. Commenta felicemente Vinay: Siamo in piena atmosfera profetica. Isaia vede il Signore ed è tormentato al pensiero di averlo visto “pollutus labiis”, un serafino lo purifica con un carbone ardente e Dio lo manda al suo popolo. Nel momento di affrontare l’ultima battaglia con le armi della dialettica D. sogna in cuor suo una investitura soprannaturale: resiste all’invito di più alto volo e col cap. 2 il trattato torna al tono consueto, ma le pupille del “loico” sembrano appena rideste da un gran sogno di poesia", "labels": [[76, 106, "MISC"], [108, 135, "MISC"], [137, 149, "MISC"], [238, 244, "PER"], [255, 267, "MISC"], [297, 305, "MISC"], [338, 343, "MISC"], [381, 386, "PER"], [395, 402, "PER"], [447, 463, "MISC"], [515, 518, "MISC"], [617, 625, "PER"]]} +{"text": "cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5", "labels": [[16, 65, "PER"], [69, 81, "LOC"], [100, 103, "PER"], [170, 175, "MISC"], [181, 185, "ORG"], [199, 203, "ORG"]]} +{"text": "Sulla soglia della terza e più scottante “questio”, D. anticipa il classico argomento guelfo dei due “luminari”. Nell’entusiasmo del prologo, scritto con tutta l’anima, dimentica l’impassibilità del ragionatore e nella stessa formulazione del problema ne propone la soluzione: “duo luminaria magna”, foggiata com’è la frase, ricorda più i “due soli” di Purg., XVI, 107 che il sole e la luna tradizionali (Vinay). Per la metafora politica del sole e della luna, tratta da Gn 1, 16 e forse già adombrata sopra, I XI 5, cfr. più avanti, III IV 2 e 17-22; III XVI 18; oltre che in Ep V [10] 30 (splendor minoris luminaris); VI [2] 8 (Cur apostolice monarchie similiter invidere non libet, ut si Delia geminatur in celo, geminetur et Delius?); XI [10] 21 (Romam urbem, nunc utroque lumine destitutam), con le voci Luna, di Marcello Aurigemma, in ED, III, 1971, pp. 732-4 e Sole, di Giorgio Stabile (Temi di simbologia solare in Dante) e di Emmanuel Poulle (Il pianeta sole), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4. Su questo punto – senz’altro il più noto e discusso del trattato – mi limito per ora a ricordare Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, con la revisione critica di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82)", "labels": [[353, 357, "WORK_OF_ART"], [52, 54, "MISC"], [277, 278, "MISC"], [339, 340, "MISC"], [360, 363, "MISC"], [405, 410, "MISC"], [471, 475, "MISC"], [509, 515, "MISC"], [534, 542, "MISC"], [577, 581, "MISC"], [620, 622, "MISC"], [691, 696, "LOC"], [729, 735, "PER"], [739, 741, "MISC"], [751, 762, "MISC"], [809, 813, "LOC"], [818, 836, "PER"], [841, 843, "ORG"], [845, 848, "MISC"], [868, 872, "MISC"], [877, 892, "PER"], [894, 912, "MISC"], [923, 928, "PER"], [935, 950, "PER"], [952, 967, "MISC"], [975, 976, "MISC"], [1118, 1133, "MISC"], [1142, 1152, "MISC"], [1182, 1195, "MISC"], [1204, 1217, "LOC"]]} +{"text": "cfr. sopra, I II 4. Nardi vi sottolinea il richiamo al principium inquisitionis directivum di I III 2 (e cfr. II II 1), come radice dei “termini medi” [...], cioè degli argomenti da assumere per la determinazione di essa [ricerca], con rimando alle Summulae logicales di Pietro Ispano, IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6); concordano Pizzica 1988 e Kay, che allegano anche Aristotele, Analytica priora, 25 b 37 – 26 a 1, e Cassell Cfr. sopra, I III 1, con la voce di Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 676", "labels": [[20, 25, "PER"], [12, 18, "MISC"], [94, 101, "MISC"], [249, 267, "MISC"], [271, 284, "PER"], [286, 290, "MISC"], [293, 296, "MISC"], [305, 309, "ORG"], [340, 352, "MISC"], [355, 358, "LOC"], [379, 389, "PER"], [391, 400, "PER"], [429, 440, "MISC"], [449, 456, "MISC"], [473, 487, "PER"], [489, 498, "PER"], [503, 505, "ORG"], [507, 509, "MISC"]]} +{"text": "se Nardi si appella qui a Pietro Ispano, Summulae logicales, V 36, Vinay fa di questo passo (il principio che Dio non vuole quel che ripugna all’intenzione della natura) la spina dorsale del libro e non semplicemente una lustra logica per dare unità ad un discorso frammentario: In realtà si tratta di una presa di posizione assai meditata: “natura”, tutto sommato, vuol dire qui “ragione”. E fin qui bene; ma poi aggiunge, non senza qualche forzatura: affrontando il problema dei rapporti fra spirituale e temporale D. si sforza di ragionare filosoficamente rinunciando del tutto alla metafisica e all’autorità. Mentre nei primi due libri i “principia” sono effettivamente dei trampolini logico-metafisici, qui il “principium” si risolve in un metodo", "labels": [[3, 8, "PER"], [26, 39, "PER"], [41, 59, "MISC"], [61, 65, "MISC"], [67, 72, "PER"], [110, 113, "MISC"], [341, 342, "MISC"], [380, 381, "MISC"], [517, 519, "MISC"], [642, 643, "MISC"], [715, 726, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Aristotele, Physica, 185 a 14-7 e Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8; con Cv II XIII 27 testé citato v. Pd XXXIII 133-6: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova", "labels": [[5, 15, "PER"], [17, 24, "PER"], [39, 57, "MISC"], [83, 88, "MISC"], [110, 126, "MISC"], [137, 148, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Cv II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. Pd XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; Pd XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a Dn 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a Dn 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. Ap 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito Summa Theologiae, I, q. 92, a. 4, ad 2", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [63, 68, "MISC"], [86, 91, "PER"], [253, 262, "MISC"], [269, 271, "MISC"], [328, 329, "MISC"], [353, 388, "MISC"], [393, 401, "MISC"], [553, 559, "LOC"], [572, 573, "LOC"], [641, 645, "LOC"], [664, 674, "MISC"], [681, 685, "MISC"], [873, 889, "PER"], [891, 892, "PER"]]} +{"text": "per gli Sciti v. sopra, I XIV 6 e II VIII 5-6, con la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81; sulla Scizia come esempio [...] che non si può disputare intorno a cose che non si conoscono v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, p. 1203; per il significato di civilitatem v. ancora la nota di Tavoni a VE I IX 4, ivi, p. 1220, e sopra, I, II, 8. Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1112 a 24-32: Ma neppure si delibera [...] intorno a ciò che avviene ora in un modo ora in un altro, come la siccità o la pioggia. Neppure intorno alle cose che avvengono per caso [...]. Ma neppure intorno a tutte le cose umane: ad esempio nessuno degli Spartani potrebbe deliberare sul modo migliore in cui gli Sciti potrebbero governarsi. Sembra dubitare della pertinenza di questo riferimento Pizzica 1988; il dubbio è tutt’altro che chiarito da Kay", "labels": [[8, 22, "MISC"], [24, 31, "MISC"], [54, 62, "MISC"], [66, 80, "PER"], [85, 87, "ORG"], [89, 90, "MISC"], [111, 117, "MISC"], [212, 221, "PER"], [229, 235, "MISC"], [299, 313, "PER"], [332, 343, "MISC"], [375, 380, "MISC"], [390, 400, "PER"], [402, 408, "PER"], [412, 422, "PER"], [678, 686, "LOC"], [736, 741, "MISC"], [820, 832, "MISC"], [873, 876, "PER"]]} +{"text": "Shaw 2009 dissente dalla correzione introdotta da Ricci 1965 ed elogiata dallo stesso Nardi come liberazione del testo da un grave errore (p. 438); e cfr. Pizzica 1988, che parla di motivi giustissimi; e Kay, che si limita a parlare di un’emendazione introdotta correctly; di una lezione messa a testo con piena ragione parla ancora Furlan, mentre nello stesso volume Martelli traduce allontandosi dalla lezione di Ricci per tornare a quella del Ficino e del cod. Trivulziano: Martelli 2004, pp. 635-6 nota 6). Ricci infatti legge rationis intuitu voluntatem prevolantibus contro tutti gli editori moderni, che appoggiandosi al Ficino e al codice Trivulziano, preferirono rationis intuitum voluntate credendo che qui Dante voglia accennare agli uomini che sottomettono la ragione al desiderio, mentre, al contrario, Dante avrebbe inteso distinguere qui, come in Cv I IV 3, due grandi categorie di uomini: quelli che vivono secondo ragione, da quelli – e sono i più – che vivono secondo il senso, e perciò si sarebbe riferito agli uomini nei quali, normalmente, la volontà è guidata dalla ragione; per gli altri ogni discorso è inutile (Ricci 1965, p. 226, con rimando a quel che Dante dice dei bruti sopra, I XII 5). La Shaw ha modificato il proprio parere (cfr. Shaw 2009, Introduzione, pp. 324-6) dietro le contestazioni di diversi studiosi (cfr. la v. Volontà di G. Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40: 1138; e Sasso 2002, p. 303 nota 13) e soprattutto dietro gli argomenti addotti da Falzone 2006. Scrive la Shaw: Le traduzioni medievali della sezione dell’Etica di Aristotele a cui le righe dantesche alludono chiaramente liberano la questione da ogni dubbio [...]. Il commento di Tommaso d’Aquino all’Etica [...] è altrettanto chiaro: “quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium” (con apporto ulteriore della Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 156, a. 1, Resp., dove sono divisi due tipi d’incontinentia: Uno modo, quando anima passionibus cedit antequam ratio consilietur: quae quidem vocatur irrefrenata incontinentia, vel praevolatio. Alio modo, quando non permanet homo in his quae consiliata sunt, eo quod debiliter est firmatus in eo quod ratio iudicavit: unde et haec incontinentia vocatur debilitas). Ancora una volta perciò T ha la lezione corretta [...] e anzi è l’unico testimone che così legge insieme alla traduzione di Ficino: Agli huomini che volano collo appitito innanzi alla consideratione della ragione (pp. 379-80); non molto dissimile il volgarizzamento dell’Anonimo: Li huomini che proponghono la volontà alla ragione. La princeps K ha intuitu con tutti i codici ? e uoluntatem con la maggior parte degli stessi (cfr. Renello 2011, p. 156)", "labels": [[1562, 1567, "WORK_OF_ART"], [1355, 1362, "WORK_OF_ART"], [0, 9, "MISC"], [50, 60, "MISC"], [86, 91, "PER"], [155, 167, "MISC"], [204, 207, "PER"], [236, 239, "MISC"], [333, 339, "MISC"], [368, 376, "PER"], [415, 420, "PER"], [446, 452, "PER"], [464, 475, "LOC"], [477, 490, "MISC"], [511, 516, "PER"], [628, 634, "PER"], [647, 658, "PER"], [717, 722, "PER"], [816, 821, "PER"], [862, 871, "MISC"], [1136, 1146, "MISC"], [1179, 1184, "PER"], [1220, 1224, "ORG"], [1263, 1272, "MISC"], [1274, 1286, "MISC"], [1352, 1362, "MISC"], [1366, 1376, "PER"], [1381, 1383, "MISC"], [1385, 1386, "MISC"], [1415, 1425, "MISC"], [1489, 1501, "MISC"], [1513, 1517, "MISC"], [1557, 1567, "MISC"], [1571, 1581, "PER"], [1687, 1694, "PER"], [1697, 1703, "PER"], [1708, 1713, "MISC"], [1742, 1743, "MISC"], [1783, 1791, "PER"], [1821, 1835, "LOC"], [1850, 1863, "ORG"], [1865, 1906, "MISC"], [1932, 1955, "MISC"], [1986, 2002, "MISC"], [2004, 2007, "MISC"], [2008, 2012, "ORG"], [2028, 2032, "MISC"], [2406, 2407, "MISC"], [2506, 2512, "PER"], [2653, 2660, "LOC"], [2726, 2727, "LOC"], [2813, 2825, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Io 8, 44: Vos ex patre diabolo estis et desideria patris vestri vultis facere. Nardi commenta: Questa seconda categoria di avversari comprende certamente i “reges et principes in hoc unico concordantes: ut adversentur Domino suo et Uncto suo, romano principi” (Mon., II, i, 3-5); ma non sono i soli; dubbi sulla possibilità di estendere l’accusa agli scrittori regalisti esprime Vinay", "labels": [[84, 89, "PER"], [55, 82, "PER"], [161, 162, "MISC"], [223, 229, "PER"], [237, 242, "PER"], [266, 269, "ORG"], [272, 274, "PER"], [384, 389, "PER"]]} +{"text": "a differenza della traduzione letterale dell’Anonimo, le tradizioni della chiesa, Ficino scrive e loro decreti; Furlan ha ragione di notare che Ficino traduce sempre traditiones con riferimento alla legislazione pontificia (più oltre in questo paragrafo, custitutione, e in III III 14-6, costitutioni, ordini, ordinatione; ma non c’è alcun bisogno di supporre che egli leggesse nel suo codice constitutiones, che la tradizione manoscritta non registra mai; vero è invece che di ecclesiasticas constitutiones parla Graziano nel dictum ante c. 1, D. XV, che Dante ha qui costantemente presente. Kay osserva che è Dante, e non il “protervo canonista”, ad identificare le “tradizioni della Chiesa” con le decretali in III III 14; perciò non sembra avere molto senso la discussione su cui ancora insiste Vinay, se si debba intendere tutta la tradizione ecclesiastica posteriore ai “concilia principalia” e ai Padri o la tradizione quale è espressa nelle Decretali, propendendo per la prima ipotesi, che cioè Dante abbia proposto e abbia risolto in modo radicale la questione di principio sulla “tradizione” in genere nel senso che tutte le “traditiones” scritte emananti dalla Chiesa non hanno alcuna autorità se non in quanto la mutuano dalla Bibbia, dalle deliberazioni dei “Concilia principalia” e dai Padri", "labels": [[82, 88, "PER"], [112, 118, "PER"], [144, 150, "PER"], [274, 284, "MISC"], [514, 522, "PER"], [545, 550, "PER"], [556, 561, "PER"], [593, 596, "PER"], [611, 616, "PER"], [686, 692, "ORG"], [714, 724, "MISC"], [799, 804, "PER"], [904, 909, "ORG"], [949, 958, "ORG"], [1003, 1008, "PER"], [1172, 1178, "ORG"], [1239, 1245, "MISC"], [1272, 1280, "LOC"], [1300, 1305, "ORG"]]} +{"text": "cfr. Ps 110, 9: Redemptionem misit populo suo, mandavit in aeternum testamentum suum: sanctum et terribile nomen eius", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [16, 28, "PER"]]} +{"text": "Vinay rinvia alla Determinatio compendiosa, VIII, e nota giustamente che Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3, in cui sono escerpiti testi di Isidoro, Gregorio Magno e Gelasio I sull’autorità dei quattro concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. In ispecie il c. 2, D. XV recita: Sicut sancti euangelii quatuor libros, sic quatuor concilia suscipere et uenerari me fateor [...]; hec tota deuotione amplector, integerrima approbatione custodio, quia in his uelut in quadrato lapide sanctae fidei structura consurgit, et cuiuslibet uitae atque actionis norma existit (Friedberg, I, col. 35). Si noti che Giovanni Teutonico, nella Glossa ordinaria al dictum grazianeo posto innanzi ai tre canoni della distinctio XV, scrive: Hactenus tractavit magister de naturali iure: hic incipit tractare de iure canonico; assignat itaque rationem et originem ipsius, et ostendit quae opuscula recipiantur ab ecclesia, et quae non (glo. quoniam de iure naturali, dictum ante c. Canones, D. XV, in Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis, col. 52)", "labels": [[0, 5, "PER"], [18, 30, "MISC"], [44, 48, "MISC"], [73, 78, "PER"], [130, 147, "MISC"], [221, 228, "PER"], [230, 244, "PER"], [247, 256, "PER"], [294, 299, "LOC"], [301, 315, "LOC"], [317, 322, "LOC"], [325, 335, "LOC"], [357, 362, "PER"], [371, 376, "LOC"], [657, 666, "LOC"], [668, 669, "LOC"], [693, 711, "PER"], [719, 745, "MISC"], [813, 821, "PER"], [1050, 1060, "PER"], [1062, 1067, "PER"], [1072, 1089, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Mt 28, 20; T ha Marcus (così anche poco oltre, III III 15)", "labels": [[5, 10, "MISC"], [16, 17, "MISC"], [21, 27, "LOC"]]} +{"text": "B L hanno Ieronimi et aliorum; il loro capostipite ripeteva con tutta probabilità mnemonicamente il dictum di Graziano ante c. Decretales (c. 1, D. XX), dov’è posto il problema della equiparazione delle decretali ai canoni conciliari e alla dottrina dei Padri ad esposizione della Scrittura: Unde nonnullorum Pontificum constitutis Augustini, Ieronimi atque aliorum tractatorum dicta eis videntur esse preferenda; simile lapsus in H, che legge Gregorii et aliorum", "labels": [[0, 1, "LOC"], [10, 29, "MISC"], [110, 118, "PER"], [127, 137, "PER"], [145, 150, "PER"], [254, 259, "ORG"], [281, 290, "MISC"], [309, 319, "LOC"], [332, 341, "LOC"], [343, 351, "LOC"], [431, 432, "LOC"], [444, 452, "PER"]]} +{"text": "letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, Metaphysica, 981 a 30; 981 b 31-2. Nardi commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. Vinay avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato, insieme alla Summa contra Gentiles, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)", "labels": [[240, 245, "PER"], [34, 41, "LOC"], [136, 142, "PER"], [193, 203, "PER"], [205, 216, "PER"], [256, 258, "MISC"], [471, 476, "PER"], [648, 655, "PER"], [658, 664, "LOC"], [680, 691, "LOC"], [722, 727, "MISC"], [735, 743, "MISC"], [745, 752, "MISC"]]} +{"text": "è il luogo a ognuno noto di Gn 1, 16-8: Fecitque Deus duo luminaria magna: luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti, et stellas. Et posuit eas in firmamento caeli, ut lucerent super terram et praeessent diei ac nocti et dividerent lucem ac tenebras. Et vidit Deus quod esset bonum. Per la metafora politica del sole e della luna, forse già adombrata sopra, I XI 5 e III I 5 (ma v. Ep V [10] 30; VI [2] 8; XI [10] 21), e sviluppata più avanti, III IV 17-22 e III XVI 18, cfr. ancora le voci Luna, di Marcello Aurigemma, in ED, III, 1971, pp. 732-4 e Sole, di Giorgio Stabile (Temi di simbologia solare in Dante) e di Emmanuel Poulle (Il pianeta sole), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4, e più ampiamente Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, Vinay 1962, con le fondamentali note critiche di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82), e con nuova ed ampia analisi di Puletti 1989 e, più recentemente, di Cassell 2001 e Cassell, pp. 86-90, Quaglioni 2004e e 2005, e Ferrara 2005 e 2007", "labels": [[28, 32, "MISC"], [40, 53, "MISC"], [291, 312, "MISC"], [391, 395, "MISC"], [410, 417, "MISC"], [427, 429, "MISC"], [437, 439, "MISC"], [522, 526, "LOC"], [531, 549, "PER"], [554, 556, "ORG"], [558, 561, "MISC"], [581, 585, "MISC"], [590, 605, "PER"], [607, 625, "MISC"], [636, 641, "PER"], [648, 663, "PER"], [665, 680, "MISC"], [688, 689, "MISC"], [751, 766, "MISC"], [775, 785, "MISC"], [787, 797, "MISC"], [836, 849, "LOC"], [858, 871, "LOC"], [917, 924, "PER"], [954, 966, "MISC"], [969, 976, "PER"], [989, 1004, "MISC"], [1015, 1027, "MISC"]]} +{"text": "cfr. in generale la voce Allegoria di Jean Pépin, in ED, I, pp. 151-5, e per la Monarchia in particolare pp. 153-4. L’allegoria innocenziana, alla quale correntemente si rinvia (in ispecie alla decretale Solitae, inclusa nella Compilatio Tertia dello stesso pontefice nel 1210 [cap. 2, Comp. III, I, 21: QCA, p. 110] e quindi nel Liber Extra di Gregorio IX nel 1234 [cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8]), trova appiglio in una già consolidata tradizione esegetica intorno al libro della Genesi, dove la creazione del firmamentum è intesa come originaria costituzione dell’Ecclesia. Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro, ad Gn 1, 7, Allegorice, v. Firmamentum: Ecclesia (In universum Vetus et Novum Testamentum, I, f. 1vB)", "labels": [[25, 34, "MISC"], [38, 48, "PER"], [53, 55, "MISC"], [57, 58, "MISC"], [80, 89, "LOC"], [116, 118, "MISC"], [204, 211, "MISC"], [227, 244, "MISC"], [286, 290, "PER"], [292, 295, "PER"], [297, 298, "MISC"], [304, 307, "MISC"], [330, 341, "MISC"], [345, 356, "PER"], [375, 376, "MISC"], [378, 379, "MISC"], [385, 412, "MISC"], [414, 423, "LOC"], [425, 427, "LOC"], [514, 532, "MISC"], [634, 656, "MISC"], [660, 675, "PER"], [680, 684, "MISC"], [689, 699, "MISC"], [704, 715, "LOC"], [717, 725, "LOC"], [768, 769, "LOC"]]} +{"text": "così nella decretale Solitae, De maioritate et obedientia (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’argumentum era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa principaliter et finaliter, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, I, n. 401, PL, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella Compilatio III apponendovi tranquillamente il dictum di Tolomeo nell’Almagesto (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al Liber Extra (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (Decretales D. Gregorii Papae IX., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’argumentum a perfezionamento nella sua diffusissima Summa sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (Summa Aurea, IV, Qui filii sint legitimi, § Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella Unam sanctam (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa Allocucio di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina Romani principes (cap. un., Clem., II, 9, De iureiurando: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. Cassell, p. 323, nota 307)", "labels": [[3572, 3588, "WORK_OF_ART"], [21, 28, "MISC"], [30, 57, "MISC"], [67, 68, "MISC"], [70, 71, "MISC"], [77, 86, "LOC"], [88, 90, "LOC"], [140, 149, "PER"], [399, 409, "PER"], [482, 505, "PER"], [507, 526, "PER"], [538, 557, "MISC"], [592, 601, "PER"], [620, 625, "LOC"], [627, 629, "LOC"], [642, 662, "ORG"], [664, 719, "ORG"], [727, 739, "MISC"], [772, 785, "PER"], [839, 845, "LOC"], [862, 895, "ORG"], [1146, 1158, "LOC"], [1176, 1189, "PER"], [1191, 1233, "MISC"], [1235, 1236, "MISC"], [1246, 1248, "ORG"], [1250, 1255, "MISC"], [1283, 1297, "PER"], [1319, 1325, "PER"], [1357, 1364, "LOC"], [1452, 1473, "PER"], [1488, 1496, "PER"], [1547, 1564, "PER"], [1576, 1588, "PER"], [1590, 1602, "MISC"], [1604, 1606, "PER"], [1669, 1683, "MISC"], [1725, 1732, "PER"], [1738, 1747, "MISC"], [1749, 1753, "MISC"], [1756, 1766, "LOC"], [1878, 1882, "PER"], [2028, 2093, "MISC"], [2112, 2123, "ORG"], [2138, 2155, "PER"], [2241, 2272, "PER"], [2295, 2303, "LOC"], [2369, 2390, "MISC"], [2430, 2443, "PER"], [2449, 2457, "PER"], [2459, 2462, "LOC"], [2467, 2491, "MISC"], [2508, 2511, "ORG"], [2596, 2600, "PER"], [2740, 2743, "LOC"], [2790, 2799, "ORG"], [2801, 2805, "MISC"], [2808, 2812, "MISC"], [2826, 2829, "MISC"], [2867, 2870, "MISC"], [2975, 2979, "MISC"], [2982, 2986, "LOC"], [3000, 3003, "MISC"], [3014, 3035, "MISC"], [3118, 3128, "LOC"], [3187, 3198, "PER"], [3200, 3202, "PER"], [3231, 3239, "MISC"], [3387, 3399, "MISC"], [3409, 3415, "MISC"], [3424, 3425, "MISC"], [3430, 3456, "MISC"], [3458, 3467, "LOC"], [3469, 3471, "LOC"], [3503, 3512, "MISC"], [3516, 3530, "PER"], [3561, 3578, "LOC"], [3600, 3604, "PER"], [3607, 3609, "PER"], [3614, 3628, "MISC"], [3630, 3639, "PER"], [3641, 3643, "PER"], [3715, 3720, "PER"], [3740, 3747, "PER"]]} +{"text": "che•ccome dicie Aristotile; Aristotele, De sophisticis elenchis, 176 b 29-35: Dal momento poi che la risoluzione corretta consiste nel rivelare la falsità di un sillogismo, indicando da quale domanda discende l’errore, e poiché d’altro canto un sillogismo si dice falso in due sensi (in un senso, se la conclusione dedotta è falsa, in un secondo senso, se il ragionamento appare come un sillogismo, pur non essendolo), sussisteranno dunque tanto la suddetta risoluzione, quanto la correzione del sillogismo apparente, la quale consiste nell’indicare la domanda, su cui si fonda l’apparenza del sillogismo. Imbach, p. 317, cita il commento di Tommaso, I, 22, n. 181: Contingit autem per aliquem syllogismus deceptionem accidere dupliciter: uno modo qui peccat in materia, procedens ex falsis; alio modo, quia peccat in forma, non servando debitam figuram et modum. Et est differentia inter hos modos duos: quia ille qui peccat in materia, syllogismus est, cum observentur omnia, quae ad formam syllogismi pertinent. Ille autem qui peccat in forma non est syllogismus, sed paralogysmus, idest apparens syllogismus", "labels": [[16, 26, "PER"], [28, 38, "PER"], [40, 63, "PER"], [606, 612, "PER"], [642, 649, "PER"], [651, 652, "PER"], [666, 693, "MISC"]]} +{"text": "e queste due cose apponeva Aristotile (Ficino); Aristotele, Physica, 186 a 6-8. Cfr. in generale Cv II I 13: Ancora, posto che possibile fosse, sarebbe inrazionale, cioè fuori d’ordine, e però con molta fatica e con molto errore si procederebbe. Onde, sì come dice lo Filosofo nel primo de la Fisica, la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che conoscemo non così bene: dico che la natura vuole, in quanto questa via di conoscere è in noi naturalmente innata; e più in particolare Pd XII 121-6: Vie più che ’ndarno da riva si parte, / perché non torna tal qual e’ si move, / chi pesca per lo vero e non ha l’arte. / E di ciò sono al mondo aperte prove / Parmenide, Melisso e Brisso e molti, / li quali andaro e non sapëan dove, con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 378, con ampio rinvio a questo luogo. Cfr. anche Clara Kraus, Melisso, in ED, III, 1971, pp. 885-6 e le voci di Giorgio Stabile, Parmenide, ivi, IV, pp. 311-4 e Brisso, ivi, I, 970, pp. 700-1", "labels": [[27, 37, "PER"], [39, 45, "PER"], [48, 58, "PER"], [60, 67, "PER"], [97, 102, "PER"], [268, 276, "PER"], [290, 299, "ORG"], [594, 595, "LOC"], [649, 650, "LOC"], [741, 750, "PER"], [752, 759, "PER"], [762, 768, "PER"], [837, 860, "LOC"], [914, 925, "PER"], [927, 934, "PER"], [939, 941, "MISC"], [943, 946, "MISC"], [980, 995, "PER"], [997, 1006, "PER"], [1013, 1015, "PER"], [1029, 1035, "MISC"], [1042, 1043, "MISC"]]} +{"text": "Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (Vinay, con allegazione di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 1. a. 5). Imbach, p. 318, cita le Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum", "labels": [[123, 126, "MISC"], [184, 195, "MISC"], [199, 205, "PER"], [213, 214, "MISC"], [240, 241, "MISC"], [253, 254, "MISC"], [282, 283, "MISC"], [557, 558, "MISC"], [634, 640, "MISC"], [643, 648, "MISC"], [669, 676, "PER"], [679, 685, "LOC"], [687, 703, "PER"], [705, 708, "MISC"], [709, 713, "ORG"], [728, 734, "MISC"], [752, 770, "LOC"], [774, 787, "PER"], [789, 795, "MISC"], [804, 808, "ORG"]]} +{"text": "Agostino, De civitate Dei, XVI 2. Scrive Puletti 1989, p. 252: La sottigliezza dell’Alighieri non deve destare stupore: tutti i teologi, soprattutto allorché scrivevano su problemi politici, insegnavano a togliere peso alle argomentazioni avversarie attraverso le pedanti diastinzioni logiche tipiche della scolastica, fossero esse a carattere filosofico o teologico (p. 252). Sull’importanza della citazione di Agostino da parte di Dante v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. XXXVII e Cremascoli 2011, p. 40 e nota 42. Rammenta questa stessa autorità Pietro Alighieri, nella terza redazione del suo Comentum super poema Comedie Dantis, nel proemio dell’Inferno", "labels": [[0, 8, "PER"], [10, 25, "MISC"], [27, 32, "MISC"], [41, 48, "PER"], [84, 93, "PER"], [412, 420, "PER"], [433, 438, "PER"], [444, 472, "PER"], [505, 514, "PER"], [517, 532, "MISC"], [583, 599, "PER"], [631, 666, "MISC"], [685, 692, "LOC"]]} +{"text": "Agostino, De doctrina Christiana, I 36. La princeps K e G hanno in libro de Doctrina Christiana; così anche l’Anonimo: ello medesimo Aghostino inello libro di “Dottrina Cristiana”; e così Ficino: esso ancora disse nel libro della “Dottrina cristiana", "labels": [[0, 8, "PER"], [10, 32, "PER"], [52, 53, "LOC"], [56, 57, "MISC"], [76, 95, "LOC"], [110, 117, "LOC"], [133, 142, "PER"], [188, 194, "PER"], [230, 239, "MISC"]]} +{"text": "che•cchi sente altrimenti nelle Scripture che•ccolui che•lle scripse (Ficino, p. 384); di quello, altro inelle Scritture sentire che quello che•lle scrisse, dicie (Anonimo). A dispetto della lunga e sprezzante nota di Ricci 1965, pp. 234-5, che la considera null’altro che un’erronea, arbitraria, saccente giunta, inserita da chi, per propria balordaggine non comprendendo il testo, credette necessario lavorare di congettura per guarire un passo che in effetti era sanissimo e non aveva alcun bisogno di cure, anch’io ho deciso di tornare alla lezione qui vult tramandata da D L M U, accolta da Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921 e arditamente propugnata da Nardi, pp. 446-8, ripresa parzialmente da Pizzica 1988 (che del qui vult salverebbe solo qui, concordandolo con dicit riferito a illo), riproposta da Imbach, p. 192 e p. 318, e, sia pure con l’avvertenza che the question must remain open, da Kay, ma non da Shaw 2009. Già tutta formulata in Ricci 1959, la soppressione suscitò la reazione, tanto curiosa e interessata quanto perplessa, di Capitani 1961 (poi in Capitani 1983, pp. 13-7), i cui dubbi, espressi in modo garbato ma pungente, riguardavano sia la mancanza di una chiara posizione stemmatica dei codici considerati deteriores, sia la struttura logica e grammaticale del testo proposto, sia – soprattutto – il suo rapporto con la fonte agostiniana, che male si riconosceva nella forma impersonale proposta da Ricci. Il quale nell’edizione del 1965 ripropose quasi parola per parola quanto esposto sei anni prima, confermando di ritenere ovvio nel latino classico e medievale l’uso delle proposizioni infinitive con valore neutro, accennando al suo critico senza degnarsi di farne il nome e facendo letterariamente spallucce (Che farci?). L’ed. Ricci 1965 legge pertanto idem ait in Doctrina Cristiana loquens de illo aliud in Scripturis sentire, intendendo illo come forma neutra, riferita a sentire usato in senso oggettivo e giungendo perfino a correggere puntigliosamente e pesantemente la traduzione proposta da Vinay: Il qui vult parve necessario a chi si ostinò nel credere che illo fosse maschile; invece è neutro, e si riferisce all’intera frase sentire in Scripturis aliud quam dicit ille qui scripsit eas: “parlando di quell’attribuire alla Scrittura un significato diverso da quello voluto da colui che l’ha scritta”. Non v’è errore, non v’è lacuna nel testo testimoniato dalla quasi totalità dei codici... (p. 235). Nardi, nel restituire il nome al critico di Ricci 1959, ne ripercorre gli argomenti, precisando: il testo agostiniano cui Dante si riferisce [...] dice: “Sed quisquis [var. si quis] in scripturis aliud sentit quam ille qui scripsit, illis non mentientibus fallitur”. Ma se Dante avesse avuto sotto gli occhi l’opera di sant’Agostino che cita, avrebbe avuto la certezza che quel quisquis e il sentit che segue danno alla frase un senso personale, al quale egli ritorna anche poco dopo (“ita fallitur” ecc.), e non si riesce a capire il senso impersonale che vorrebbe cavarne il Ricci [...], come gli obbietta O. Capitani [...]. “Quisquis in scripturis aliud sentit quam ille qui scripsit” non è certo reso fedelmente dalle parole della lezione attribuita a Dante: “loquens de illo aliud in Scripturis sentire quam ille qui scripsit eas”. Fedelmente Dante avrebbe riassunto il pensiero di Agostino se fra illo e aliud avesse inserito un semplice qui, e avesse lasciato stare sentit all’indicativo. Ma probabilmente, per maggior chiarezza, invece del semplice qui avrà messo un qui vult, e il vult lo ha obbligato a lasciare l’indicativo sentit per l’infinito: qui vult sentire: nel modo più semplice e naturale, senza il putiferio del de illo come neutro e di sentire come infinito campato in aria, che il Ricci ne ha tirato fuori... (pp. 447-8). Cassell, p. 324, nota 314 aderisce alla lezione delle edd. Ricci 1965 e Shaw 2009", "labels": [[2452, 2457, "PER"], [32, 41, "MISC"], [70, 76, "PER"], [111, 120, "MISC"], [140, 147, "PER"], [164, 171, "ORG"], [218, 228, "MISC"], [273, 283, "MISC"], [576, 577, "MISC"], [580, 583, "MISC"], [596, 606, "MISC"], [608, 621, "MISC"], [623, 636, "MISC"], [665, 670, "PER"], [707, 719, "MISC"], [815, 821, "PER"], [907, 910, "PER"], [922, 931, "MISC"], [956, 966, "MISC"], [1054, 1067, "MISC"], [1076, 1089, "LOC"], [1433, 1438, "PER"], [1762, 1764, "MISC"], [1768, 1778, "MISC"], [1806, 1840, "ORG"], [1850, 1860, "LOC"], [2040, 2045, "PER"], [2189, 2199, "MISC"], [2240, 2241, "MISC"], [2275, 2284, "MISC"], [2496, 2506, "MISC"], [2574, 2579, "PER"], [2605, 2609, "MISC"], [2725, 2730, "PER"], [2771, 2784, "PER"], [2937, 2938, "MISC"], [3029, 3034, "MISC"], [3060, 3071, "PER"], [3079, 3088, "MISC"], [3208, 3213, "PER"], [3241, 3251, "MISC"], [3300, 3305, "PER"], [3339, 3347, "PER"], [3756, 3761, "PER"], [3797, 3804, "PER"], [3856, 3866, "MISC"], [3869, 3878, "MISC"]]} +{"text": "bene l’Anonimo: le publiche ragioni, e meglio ancora Ficino: le publiche costitutioni. Efficace ma anacronistico Vinay: lo stato, così come Nardi: pubbliche istituzioni, e più ancora Ronconi 1966: le leggi dello Stato; bene Pézard e Shaw 1996: les droits publics, public rights, e meglio ancora Kay e Cassell: public laws. Si ricordi che la summa divisio dettata nelle Istituzioni di Giustiniano dà del ius publicum la seguente definizione (Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3): publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, e con maggiore ampiezza nel Digesto (Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit", "labels": [[53, 59, "PER"], [113, 118, "PER"], [140, 145, "PER"], [183, 195, "MISC"], [212, 217, "LOC"], [224, 230, "ORG"], [233, 242, "MISC"], [295, 298, "PER"], [301, 308, "PER"], [369, 380, "MISC"], [384, 395, "PER"], [441, 445, "MISC"], [458, 465, "PER"], [466, 472, "PER"], [474, 475, "PER"], [566, 573, "LOC"], [575, 578, "LOC"], [594, 601, "PER"], [602, 608, "PER"], [610, 611, "PER"]]} +{"text": "per il significato di questa espressione come tipica del profetismo dantesco v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, pp. XXXVI-VII; per Vinay il passo riecheggia la rampogna paolina in 1 Cor 1, 12: Hoc autem dico, quod unusquisque vestrum dicit: Ego quidem sum Pauli, ego autem Apollo, ego vero Cephae, ego autem Christi; e 2 Pt 1, 21: Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines", "labels": [[77, 110, "MISC"], [147, 152, "MISC"], [153, 156, "MISC"], [162, 167, "PER"], [213, 218, "MISC"], [287, 292, "PER"], [304, 310, "PER"], [321, 327, "PER"], [339, 346, "PER"], [352, 356, "MISC"], [362, 369, "MISC"]]} +{"text": "per dictator v. Uguccione, D 52, 6 (a dicto dictator, qui dictat), e per il suo uso in Dante cfr. VE II VI 4 e Pg XXIV 59; per la specificità del suo significato in questo luogo v. la nota di M. Tavoni a VE II VI 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1442, con riferimento a Mengaldo 1979, e Chiavacci Leonardi 1994, p. 712. Cfr. anche la voce Dittare di Bruno Basile, in ED, II, 1970, p. 520, con la voce Dittatore relativa a questo luogo, ivi, p. 521", "labels": [[4, 25, "PER"], [27, 31, "MISC"], [87, 92, "PER"], [98, 103, "MISC"], [111, 121, "MISC"], [192, 201, "PER"], [204, 209, "MISC"], [274, 287, "MISC"], [291, 314, "MISC"], [343, 350, "MISC"], [354, 366, "PER"], [371, 373, "ORG"], [375, 377, "MISC"], [405, 414, "MISC"]]} +{"text": "I due “regimina” [...] non aggiungono o tolgono nulla alla essenza dell’uomo (Vinay, che allega Boezio, In Isagogen Prophyrii, I 16, dove “sostanziale” nella natura dell’uomo è solo l’elemento razionale, e dove si afferma che solo se perisse questo perirebbe anche la speciei substantia)", "labels": [[6, 7, "MISC"], [78, 83, "MISC"], [96, 102, "PER"], [104, 125, "MISC"], [127, 131, "MISC"], [138, 139, "MISC"], [268, 286, "MISC"]]} +{"text": "sull’assioma scolastico Deus et natura nil otiosum facit e sulla sua fonte in Aristotele, De caelo, 271 a 33, cfr. quanto annotato sopra, I III 3", "labels": [[0, 12, "MISC"], [24, 28, "ORG"], [78, 88, "PER"], [90, 98, "PER"], [138, 145, "MISC"]]} +{"text": "si deve notare la variante peccabit, attestata da T M, e che trova corrispondenza nel volgarizzamento di Ficino: l’argumento peccherà in forma (l’Anonimo ha la ragione pecchava inn-ella forma); peccat legge G. Sulla falsità del sillogismo in forma, quando cioè il ragionamento appare come sillogistico pur non essendolo (parasillogismo, sillogismo apparente), cfr. ampiamente sopra, III IV 4, con le ulteriori precisazioni in margine a questo luogo in Vinay, Nardi e Kay, che rinviano tutti alle Summulae logicales di Pietro Ispano (ed. de Rijk, p. 44)", "labels": [[50, 53, "LOC"], [105, 111, "PER"], [146, 153, "LOC"], [207, 209, "PER"], [383, 391, "MISC"], [452, 457, "MISC"], [459, 464, "PER"], [467, 470, "PER"], [496, 514, "LOC"], [518, 531, "PER"], [537, 544, "PER"]]} +{"text": "nel sillogismo, che necessariamente si compone di tre termini (cfr. Aristotele, Analytica priora, 41 b 36), il predicato nella conclusione deve coincidere con il termine estremo della premessa maggiore, diversamente non ci sarà un solo termine medio ma due, come nel caso contestato da Dante, e il sillogismo sarà falso (“apparente”) perché avrà quattro termini anziché tre", "labels": [[68, 78, "PER"], [80, 89, "PER"], [286, 291, "PER"]]} +{"text": "Gn 29, 34-5. Sul mancato uso di questo argomento scritturale prima di Dante, sul suo disdegno da parte del Vernani e sulla sua successiva, modesta comparsa nella Summa de potestate ecclesiastica di Agostino Trionfo (I 7) v. Vinay, pp. 222-3 nota 2 (il quale però, benché parli sulla scorta di Chiappelli 1908, p. 30, salta a conclusioni infelici, sostenendo di ritrovare in ciò conferma che D. non aveva una conoscenza approfondita della pubblicistica del suo tempo); v. anche le osservazioni di Kay, con riferimento all’ipotesi formulata da Maccarrone 1955, p. 57, che cioè Dante abbia potuto avere esperienza dell’uso di tale argomento in some oral dispute (e cfr. quanto detto sopra a proposito dell’audiverim di III III 10)", "labels": [[70, 75, "PER"], [107, 114, "PER"], [162, 194, "MISC"], [198, 214, "PER"], [216, 219, "MISC"], [221, 229, "PER"], [293, 308, "MISC"], [391, 393, "MISC"], [496, 499, "PER"], [542, 557, "MISC"], [575, 580, "PER"], [716, 726, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, III IV 3 e soprattutto III IV 16, sia per i duo regimina, sia per il valore di fingo / figura (v. ancora Uguccione, F 42, 7-8: Item a fingo hic figulus, idest ollarius, luti compositor, qui lutum confingit et redigit in aliquam formam; et hec figura –e; est figura hominis, forma nature, et accipitur figura multis modis quos diligentia lectoris distinguet; unde figuratus –a –um, et figuro –as et hinc verbalia)", "labels": [[12, 20, "MISC"], [35, 44, "MISC"], [117, 126, "ORG"], [128, 129, "LOC"], [139, 143, "ORG"]]} +{"text": "cfr. Uguccione, M 10, 17 e 21: Item a maior maius adverbium [...]. Et componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic magister –tri, quasi maior in statione, sicut minister, minor in statione [...]; quod autem dicitur magister, quasi magis doctus, ethimologia est; M 106, 10: Minor componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic minister, quasi minor in statione; vel minister dicitur quia officium debitum manibus exequatur", "labels": [[5, 14, "ORG"], [16, 17, "MISC"], [31, 59, "MISC"], [273, 274, "MISC"], [284, 300, "ORG"]]} +{"text": "Mt 2, 10-11: \"Videntes autem stellam gavisi sunt gaudio magno valde et intrantes domum invenerunt puerum cum Maria matre eius et procidentes adoraverunt eum et, apertis thesauris suis, obtulerunt ei munera, aurum, tus et myrrham\"", "labels": [[0, 4, "MISC"], [109, 114, "PER"]]} +{"text": "cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)", "labels": [[55, 59, "PER"], [90, 95, "PER"], [114, 119, "MISC"], [224, 231, "PER"], [234, 240, "PER"], [242, 258, "PER"], [260, 264, "MISC"], [282, 302, "MISC"], [332, 341, "MISC"], [385, 392, "MISC"], [449, 453, "MISC"], [560, 565, "PER"], [643, 648, "PER"], [719, 720, "MISC"], [722, 727, "MISC"], [729, 747, "MISC"], [749, 758, "PER"], [760, 762, "PER"], [775, 776, "MISC"], [826, 829, "MISC"], [843, 858, "MISC"], [906, 913, "PER"], [914, 920, "PER"], [922, 923, "PER"], [938, 953, "MISC"], [1040, 1050, "PER"], [1053, 1059, "PER"], [1078, 1088, "PER"], [1166, 1169, "LOC"], [1183, 1190, "MISC"], [1255, 1258, "MISC"], [1273, 1297, "MISC"], [1331, 1334, "PER"], [1474, 1477, "PER"], [1576, 1583, "PER"], [1584, 1590, "PER"], [1592, 1593, "LOC"]]} +{"text": "nessuno prencipe può autorizare sé medesimo (Anonimo, pp. 200-1); nessuno prencipe può autorità a•ssé medesimo dare (Ficino). Vinay azzarda che l’affermazione abbia un fondamento teologico e non giuridico, e giunge a conclusioni del tutto inconferenti. Ma se è vero che la forma aforistica di questa sententia rimanda ad una massima giuridica, non vedo perché si debba lamentare che per essa non si trovi no precedent (Kay, p. 245 nota 11, che rinvia a Kay 1990, p. 266, nella convinzione che Dante probably coined it himself). Sicuramente Dante è un produttore di auctoritates, e pertanto invece di limitarsi a incastonare e glossare detti memorabili [...] egli ne produce dei suoi, e conferisce lo stesso piglio legislativo a tutti i suoi enunciati, come in un noto giudizio avverte Contini 1970, pp. 376-7 (cfr. in generale Ascoli 2008, e in particolare per il significato di auctoritas nella Monarchia pp. 240-63); tuttavia qui auctorizare ha ancora una volta il significato giuridico di “costituire in un diritto”, secondo il brocardo che vuole che sia auctor omnis a quo ius in nos transit, e più ancora il significato preciso di extollere ad dignitatem, di honorem assumere, proprio come nella formula nemo debet sibi honorem assumere del Liber Extra di Gregorio IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58), che a parer mio qui Dante ricalca e conforma al suo discorso. Sarà anche bene ricordare che così come nessuno può essere all’origine del suo potere, se non gli è conferito da un’autorità superiore, allo stesso modo nessuno può fondare la limitazione del suo potere; così Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 5, ad 3, quando ponendo la questione dell’indipendenza del princeps dai vincoli giuridici positivi, afferma che nullus cogitur a se ipso, cioè che nessuno può obbligare giuridicamente se stesso verso se stesso ed essere perciò principio di limitazione al suo stesso potere (cfr. Quaglioni 2004c, p. 26)", "labels": [[45, 52, "LOC"], [117, 123, "PER"], [126, 131, "PER"], [419, 422, "PER"], [453, 461, "LOC"], [493, 498, "PER"], [540, 545, "PER"], [785, 797, "MISC"], [827, 838, "MISC"], [896, 905, "LOC"], [992, 993, "MISC"], [1058, 1070, "PER"], [1073, 1080, "PER"], [1201, 1213, "MISC"], [1214, 1224, "PER"], [1246, 1257, "MISC"], [1261, 1272, "PER"], [1283, 1284, "MISC"], [1286, 1287, "MISC"], [1292, 1301, "LOC"], [1303, 1305, "PER"], [1335, 1340, "PER"], [1490, 1493, "MISC"], [1586, 1593, "PER"], [1596, 1602, "PER"], [1604, 1620, "PER"], [1622, 1629, "MISC"]]} +{"text": "la creazione di un sostituto di pari potere è perciò una absurditas, come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 160, § 2, ricordata qui sopra, III VII 7", "labels": [[96, 99, "WORK_OF_ART"], [80, 99, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Io 20, 21-3: Dixit ergo eis iterum: Pax vobis: sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Haec cum dixisset, insufflavit et dixit eis: Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis, retenta sunt", "labels": [[52, 57, "LOC"], [67, 72, "ORG"], [92, 109, "PER"], [137, 154, "PER"]]} +{"text": "cfr. Kay, p. 249 nota 9, che cita Pietro Ispano, Summulae logicales, I, 8 e XII, 2 (ed. de Rijk, pp. 4, 209)", "labels": [[5, 8, "PER"], [34, 47, "PER"], [49, 67, "MISC"], [69, 70, "MISC"], [76, 79, "MISC"], [91, 95, "ORG"]]} +{"text": "la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi manente vinculo, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (Mr 10, 11; Lc 16, 18; Mt 19, 9 con l’eccezione della fornicatio) v. a commento Kay; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, Divorzio (Storia), in EDir, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, Separzione personale dei coniugi (Storia), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008", "labels": [[313, 315, "WORK_OF_ART"], [324, 329, "MISC"], [335, 340, "MISC"], [392, 395, "PER"], [444, 450, "ORG"], [483, 499, "PER"], [501, 509, "PER"], [511, 517, "LOC"], [523, 527, "MISC"], [529, 533, "MISC"], [559, 584, "PER"], [586, 596, "LOC"], [620, 626, "PER"], [634, 637, "MISC"], [675, 684, "MISC"], [781, 811, "LOC"], [842, 854, "MISC"], [856, 869, "MISC"], [871, 884, "MISC"], [886, 900, "MISC"]]} +{"text": "cfr. sopra, III VIII 3. Mi pare che anche in questo caso Dante ponga il problema nei termini generali ed astratti relativi alla pretesa di sovraordinare la norma canonica alle norme secolari, e la giurisdizione spirituale alla temporale, senza alcun necessario riferimento ad episodi lontani o receni. Cassell lega invece questo passo ancora una volta alla bolla Si fratrum di Giovanni XXII e alla sua revoca dei decreti imperiali di conferimento dei titoli vicariali, in particolar modo quello di Cangrande, conferito a vita da Enrico VII nel marzo del 1311. Di ciò sopra, II X 1, e nella mia Introduzione", "labels": [[57, 62, "PER"], [302, 309, "PER"], [363, 373, "MISC"], [377, 390, "PER"], [498, 507, "LOC"], [529, 539, "PER"]]} +{"text": "Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69", "labels": [[0, 5, "MISC"], [51, 60, "MISC"], [83, 88, "PER"], [229, 244, "MISC"], [271, 274, "PER"], [399, 416, "MISC"], [424, 429, "PER"], [431, 436, "PER"], [444, 453, "PER"], [457, 466, "PER"], [468, 469, "PER"], [517, 522, "PER"], [534, 539, "MISC"], [543, 559, "PER"], [567, 579, "MISC"], [583, 597, "PER"], [603, 609, "MISC"], [618, 619, "MISC"], [624, 650, "MISC"], [652, 661, "LOC"], [663, 665, "LOC"], [689, 695, "MISC"], [699, 712, "PER"], [719, 732, "MISC"], [734, 746, "MISC"], [748, 758, "MISC"], [760, 769, "MISC"], [771, 780, "MISC"], [782, 796, "MISC"], [810, 819, "MISC"], [847, 860, "LOC"], [888, 896, "PER"], [905, 911, "MISC"], [916, 918, "MISC"], [920, 922, "MISC"], [986, 998, "MISC"], [1030, 1047, "PER"], [1049, 1067, "PER"], [1070, 1088, "PER"], [1109, 1114, "PER"], [1245, 1254, "PER"], [1320, 1326, "PER"], [1469, 1480, "MISC"], [1491, 1494, "MISC"], [1586, 1593, "PER"], [1655, 1662, "PER"], [1760, 1773, "PER"], [1797, 1812, "MISC"]]} +{"text": "Lc 22, 7", "labels": [[0, 5, "MISC"]]} +{"text": "Lc 22, 35-36. Ficino e l’Anonimo traducono venne a questo, venne ad questo. Con la princeps K (ad hæc) e con i codici che leggono ad hec (A2 E P) consentono tutti i moderni editori fino a Ricci 1965, che confessa la difficoltà dichiarando d’intrupparsi con gli altri editori sperando in bene (p. 253); Shaw (a) 1995 adotta ad hoc, giudicando a ragione imperativa la sua scelta (Shaw 2009, Introduzione, p. 311); la rifiuta invece Kay", "labels": [[0, 5, "MISC"], [14, 20, "PER"], [25, 32, "LOC"], [92, 93, "LOC"], [138, 140, "LOC"], [143, 144, "LOC"], [188, 198, "MISC"], [302, 306, "MISC"], [378, 387, "MISC"], [389, 401, "PER"], [430, 433, "PER"]]} +{"text": "Mt 16, 15-6", "labels": [[0, 5, "MISC"]]} +{"text": "Mt 26, 33", "labels": [[0, 5, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Mr 14, 29 e 31: Petrus autem ait illi: Etsi omnes scandalizati fuerint in te, sed non ego [...]. At ille amplius loquebatur: Et si oportuerit me simul commori tibi, non te negabo. Similiter autem et omnes dicebant", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [44, 81, "MISC"]]} +{"text": "Lc 22, 33", "labels": [[0, 5, "MISC"]]} +{"text": "Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)", "labels": [[27, 29, "WORK_OF_ART"], [16, 21, "MISC"], [38, 43, "MISC"], [106, 118, "MISC"], [122, 136, "PER"], [146, 152, "MISC"], [161, 162, "MISC"], [167, 193, "MISC"], [195, 204, "LOC"], [206, 208, "LOC"], [285, 298, "PER"], [300, 326, "MISC"], [328, 332, "MISC"], [339, 344, "PER"], [362, 365, "PER"]]} +{"text": "Io 20, 6", "labels": []} +{"text": "Io 21, 7", "labels": []} +{"text": "\"in laulde della sua purità avere narrate\" (Ficino); puritas è in genere tradotto \"purezza\", \"candore\", \"ingenuousness\" (Shaw 1996); preferisce \"schiettezza\" Nardi, e \"lack of sophistication\" Kay. Cfr. ancora Uguccione, P 124, 1-2: \"PURUS –a –um, mundus, liquidus, sine commixtione alicuius rei, immunis, innocens, expers, et comparatur –or –mus, unde pure –ius –me adverbium et hec puritas -tis\". Ad Uguccione, T 68, 30-1, si può ricorrere anche per il significato di continuo (“tenere insieme”, e dunque “elencare”): \"Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione\". Vinay si dilunga nella citazione di esempi del vocabolario tecnico del linguaggio aristotelico-scolastico (dietro di lui Kay)", "labels": [[158, 163, "PER"], [192, 195, "PER"], [44, 50, "PER"], [121, 130, "MISC"], [209, 218, "MISC"], [220, 225, "MISC"], [401, 410, "ORG"], [412, 416, "MISC"], [506, 507, "MISC"], [520, 545, "MISC"], [862, 867, "PER"], [983, 986, "PER"]]} +{"text": "Ac 1, 1", "labels": []} +{"text": "K inverte quidam adhuc; i quidam genericamente evocati formano la larga schiera delle auctoritates e degli scrittori a sostegno del constitutum Constantini, così come Dante e i contemporanei potevano leggerlo, sia pure in forma di excerptum, nella palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5), esito di una tradizione che dagli Actus beati Sylvestri e dalle antiche collezioni canoniche giunge fino alla Legenda aurea di Iacopo da Varazze. Bene, a questo proposito, Kay, che ricorda che il testo del Constitutum, abbreviato nella palea grazianea, è il solo ad avere rilievo nella controversia (si aggiunga: non solo perché ivi depositato, ma soprattutto perché ivi “recepito” ed eretto a norma universale dell’utrumque ius, dell’ordine giuridico della cristianità). Superflua, da questo punto di vista, ogni residua considerazione (Pizzica 1988, p. 381 nota 2) della polemica intorno alla conoscenza “diretta” del testo da parte di Dante, a partire dai dubbi di Nardi 1942a, poi con aggiunte in Nardi 1944, pp. 109-59, in particolare pp. 144-7 (cfr. Vinay e Maccarrone 1955, p. 72), con le ulteriori note di Nardi 1992, p. 240, intese ad innalzare il tono della disputa col rifiuto di attribuire un \"carattere politico-giuridico\" alla confutazione di Dante (fino alla sconcertante dichiarazione, secondo la quale \"dal punto di vista politico e giuridico la Monarchia dantesca è cosa da far sorridere uomini che del governo degli stati e di diritti s’intendevano molto bene anche nel medio evo. La vera importanza della Monarchia è nella sua concezione filosofica e religiosa della vita\"), salvo poi confondere il problema della autenticità della Donazione con quello della sua validità, tacciando Vinay di conoscere \"poco la storia del diritto medievale, specialmente del periodo del Barbarossa e di Accursio\", e scambiare la palea con \"una glossa del Paucapalea\" (Nardi, p. 475). Cfr. Horst Fuhrmann, Kostantinische Schenkung, in LexMA, V, 1999, coll. 1385-7, e per il testo critico del Constitutum Fuhrmann 1968. Per una ricostruzione dettagliata della vicenda normativo-dottrinale v. Laehr 1926 e 1931-32, quindi Maffei 1969, con amplissima bibliografia; e cfr. Maffei 1987, con ampie postille e note bibliografiche. Si veda in sintesi anche Fried 2007 e Vian 2004. Un punto non eludibile della critica storiografica è quello stabilito un trentennio fa da Capitani 1982, poi in Capitani 1983, pp. 83-114, in part. 90-112; cfr. anche Fenzi 200, p. 94 nota 93, a proposito della Donazione di Costantino nel pensiero di Dante nella ricerca di Cristaldi 2000, pp. 223-392.", "labels": [[254, 266, "PER"], [132, 155, "WORK_OF_ART"], [144, 155, "PER"], [167, 172, "PER"], [271, 288, "MISC"], [297, 304, "PER"], [317, 324, "MISC"], [368, 373, "ORG"], [380, 389, "LOC"], [444, 457, "MISC"], [461, 478, "PER"], [506, 509, "PER"], [540, 551, "LOC"], [806, 815, "PER"], [872, 884, "MISC"], [940, 941, "MISC"], [972, 977, "PER"], [1002, 1007, "PER"], [1035, 1045, "MISC"], [1090, 1095, "PER"], [1098, 1113, "MISC"], [1148, 1153, "PER"], [1291, 1296, "PER"], [1397, 1406, "LOC"], [1559, 1568, "LOC"], [1686, 1695, "ORG"], [1737, 1742, "PER"], [1824, 1834, "PER"], [1840, 1848, "PER"], [1892, 1902, "LOC"], [1905, 1910, "PER"], [1926, 1940, "PER"], [1942, 1966, "PER"], [1971, 1976, "MISC"], [1978, 1979, "MISC"], [2028, 2048, "MISC"], [2156, 2167, "MISC"], [2205, 2216, "LOC"], [2285, 2295, "MISC"], [2298, 2307, "MISC"], [2399, 2412, "LOC"], [2421, 2434, "LOC"], [2476, 2485, "MISC"], [2520, 2543, "MISC"], [2560, 2565, "PER"], [2583, 2597, "LOC"]]} +{"text": "il passo dipende forse direttamente dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze (XII, pp. 83-5), come già sopra, II v 5 (ma v. anche Brunetto Latini, Tresor, I 87). Cfr. If XXVII 94-7: \"“Ma come Costantin chiese Silvestro / dentro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi per maestro / a guerir de la sua superba febbre”\"; e a commento Chiavacci Leonardi 1991, p. 818 e p. 586 (per il parallelo If XIX 115-7: \"Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!\"). Cfr. ancora Enzo Petrucci, Costantino, in ED, II, 1970, pp. 236-9, e Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 109-59).", "labels": [[167, 169, "WORK_OF_ART"], [42, 55, "MISC"], [59, 76, "PER"], [78, 81, "MISC"], [110, 112, "MISC"], [130, 145, "PER"], [147, 153, "MISC"], [155, 159, "MISC"], [162, 165, "MISC"], [170, 178, "MISC"], [183, 184, "MISC"], [192, 201, "PER"], [209, 218, "PER"], [228, 235, "PER"], [347, 370, "PER"], [406, 412, "MISC"], [426, 435, "PER"], [556, 569, "PER"], [571, 581, "PER"], [586, 588, "MISC"], [590, 592, "MISC"], [613, 624, "MISC"], [633, 643, "MISC"]]} +{"text": "\"donò la sedia dello inperio, c[i]oè Roma, alla chiesa, con molte altre degnità d’inperio\" (Ficino); Vinay intende dignitates come \"prerogative imperiali\", seguito da Ronconi 1966, mentre \"diritti imperiali\" traduce Sanguineti 1985, \"imperial privileges\" Shaw 1996 e Cassell, \"dignities of the Empire\" Kay. Nel principio e nel § 6 della palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93) si può leggere: \"Constantinus inperator quarta die sui baptismi priuilegium Romanae ecclesiae Pontifici contulit, ut in toto orbe Romano sacerdotes ita hunc caput habeant, sicut iudices regem [...]. Unde ut pontificalis apex non uilescat, sed magis quam terreni inperii dignitas gloria et potentia decoretur, ecce tam palatium nostrum, ut predictum est, quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates, prefato beatissimo Pontifici nostro Syluestro uniuersali Papae contradimus atque relinquimus, et ab eo et a successoribus eius per hanc diualem nostram et pragmaticum constitutum decernimus disponenda, atque iuri sanctae Romanae ecclesiae concedimus permansura\". Oltre alla variante Romana donavi in T e nei codici A2 D G M H Z, è importante notare la lezione presente di seguito nel solo U (per le lectiones singulares del quale cfr. Shaw 1969 e Shaw 1991, pp. 285-6), che insieme alla palea Constantinus allega espressamente al modo dei giuristi la precedente e più sintetica palea Constantinus inperator coronam: è il solo caso in tutta la tradizione del trattato. Questa è la lezione di U, c. 52: quia coronam et et (sic) omnem Regiam dignitatem in urbe Romana et in Italia et in Italia (sic) et in partibus occidentalibus ut xcvi. di. c. coronam et c. Constantinus. Si deve infatti leggere così, e non già quia coronam et etonem, come si ha tanto nella Word Collation quanto nella funzione Image/Text nell’ed. elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006). Per evitare tale errore di lettura, dovuto al mancato avvertimento della duplicazione, nel codice U, di et davanti a o?3 (= omnem), sarebbe bastato uno sguardo al testo della palea (c. 13, D. XCVI: Friedberg, I, col. 342): \"Constantinus inperator coronam, et omnem regiam dignitatem in urbe Romana, et in Italia, et in partibus occidentalibus Apostolico concessit. Nam in gestis beati Sylvestri [...] ita legitur\".", "labels": [[343, 355, "PER"], [1326, 1346, "WORK_OF_ART"], [37, 41, "LOC"], [92, 98, "PER"], [101, 106, "PER"], [167, 179, "MISC"], [216, 231, "MISC"], [255, 264, "MISC"], [267, 274, "PER"], [302, 305, "PER"], [360, 377, "MISC"], [386, 393, "PER"], [406, 413, "MISC"], [423, 446, "LOC"], [456, 464, "PER"], [495, 517, "MISC"], [554, 561, "PER"], [572, 590, "PER"], [608, 648, "PER"], [837, 850, "PER"], [946, 972, "MISC"], [984, 989, "PER"], [1148, 1155, "PER"], [1210, 1216, "LOC"], [1227, 1228, "MISC"], [1242, 1254, "MISC"], [1316, 1317, "MISC"], [1362, 1371, "MISC"], [1374, 1383, "MISC"], [1420, 1432, "PER"], [1511, 1541, "MISC"], [1618, 1619, "MISC"], [1659, 1665, "PER"], [1698, 1704, "LOC"], [1711, 1717, "LOC"], [1784, 1796, "PER"], [1885, 1899, "ORG"], [1922, 1927, "MISC"], [1928, 1932, "MISC"], [1966, 1975, "MISC"], [2076, 2077, "MISC"], [2095, 2098, "MISC"], [2167, 2174, "PER"], [2187, 2193, "MISC"], [2202, 2232, "MISC"], [2264, 2275, "ORG"], [2283, 2289, "LOC"], [2321, 2341, "MISC"], [2363, 2372, "LOC"]]} +{"text": "per Kay Dante seems to have had no particular writer in mind, poiché al tempo l’argumentum (in senso tecnico; v. Uguccione, A 307, 1, 3-4: ARGUO [...], idest convincere [...]. Item ab arguo hoc argumentum [...]; dicitur enim argumentum res ficta que tamen fieri potuit [...]. Dicitur etiam argumentum rei dubie probatio) era a commonplace, tale da render superfluo l’elenco dei suoi sostenitori, a cominciare da Placido di Nonantola e Onorio di Autun, fornito da Laehr 1926 e preso a base da Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 111-22). Opportunamente Vinay nota già che era stato Enrico VII, alla vigilia della sua incoronazione imperiale, a rinnovare specialiter et expresse la concessione dei privilegi contenuti nel Constitutum (de novo concedimus omnia privilegia Constantini: MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, n. 393, p. 344; e cfr. n. 454, p. 396 (11 ottobre 1310); v. Bowsky 1958, p. 56, e più in generale Bowsky 1960, Menache 1998", "labels": [[4, 13, "PER"], [110, 122, "PER"], [139, 144, "ORG"], [176, 183, "MISC"], [276, 289, "PER"], [412, 432, "PER"], [435, 450, "PER"], [463, 468, "PER"], [492, 497, "PER"], [512, 522, "MISC"], [552, 557, "PER"], [581, 591, "PER"], [720, 731, "LOC"], [769, 780, "LOC"], [787, 804, "MISC"], [819, 821, "MISC"], [830, 837, "PER"], [896, 910, "MISC"], [937, 948, "MISC"], [950, 962, "MISC"]]} +{"text": "cfr. Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70. il principale argomento contro gli avversari è quello della contraddittorietà, e perciò dell’impossibilità, logica e giuridica, della validità dell’esecuzione in officio di atti ad esso contrari. L’enunciazione dantesca ha il tono e lo stile di un brocardo, di cui può facilmente ravvisarsi l’origine in luoghi del corpus giustinianeo già noti per risalenti indagini (cfr. Chiappelli 1908, p. 12), come ad esempio Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda; o come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872). Sul passo v. anche Lansing 1976", "labels": [[5, 23, "PER"], [25, 48, "PER"], [53, 55, "ORG"], [57, 59, "MISC"], [275, 277, "MISC"], [452, 467, "MISC"], [493, 496, "MISC"], [616, 619, "MISC"], [634, 649, "MISC"], [702, 709, "LOC"], [710, 716, "LOC"], [718, 719, "PER"], [757, 769, "MISC"]]} +{"text": "ogni lacerazione dell’indivisibile unità dell’Impero, simboleggiata dalla tunica inconsutile del Cristo evocata sopra, I XVI 3 e qui poco più avanti, contraddice alla natura dell’Impero e allo stesso officio imperiale, che è quello del suo potenziale accrescimento. Bene qui Vinay, che nota che il ragionamento di Dante non è diverso da quello desunto dall’etimologia “augustus ab augeo”; e a questo proposito cfr. sopra, II XI 8, col richiamo alla glossa accursiana semper augustus al proemio delle Istituzioni di Giustiniano: Quia huius debet esse propositi quilibet imperator, semper ut augeat, licet hoc non semper faciat (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 2). All’etimologia anzidetta si appiglia lo stesso Accursio nella sua glossa conferens generi all’autentica Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la Novella giustinianea che afferma solennemente che sacerdotium e imperium procedono entrambi ex uno eodemque principio. La glossa, che costituisce la fonte autoritativa principale della confutazione dantesca, premesso il principio generale della separazione tra le due giurisdizioni, spirituale e temporale (ergo apparet quod nec papa in temporalibus nec imperator in spiritualibus se debeant immiscere), formula subito dopo la quaestio qui riproposta e la risolve, allegando come d’uso per primi gli argomenti che si vogliono confutare e solo in secondo luogo gli argomenti contrari, muniti gli uni e gli altri degli appigli autoritativi della tradizione giuridica: Nunquid habet ergo papa temporalem iurisdictionem in ijs qu? sunt imperij, quod Constantinus imperator donavit beato Silvestro Papæ? Videtur quod sic, licet immensa fuerit donatio, infra, titu. j. §. sinimus [Auth. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1]; præterea quod vult princeps, hoc est lex: ut ff. de const. prin. l. j. [Dig. 1, 4, 1]. Item sicut patrimonialia, ita imperialia donare potest, cum nulla sit differentia: ut C. de quadri. præscr. l. fi. in prin. [Cod. 7, 37, 3] econtra videtur quod non: quia tunc non esset Augustus dictus: ut in rubrica proœmij instit. [Inst. Prooem., De confirmatione Institutionum, pr.] Item imperare non potuit pari, idest imperatori venienti post se: ut ff. de arbi. l. nam magistratus [Dig. 4, 8, 4]. et ff. ad Treb. ille a quo. §. tempestivum [Dig. 36, 1, 13, § 4]. Item ne turbetur opus Dei si clerici intromittant se in temporalibus: ut C. de epis. et cle. l. placet [Cod. 1, 3, 17]. Item ne unus duorum officium habeat: ut ff. de pact. l. si plures [Dig. 2, 14, 9]; sed licet solutio facti ad nos non pertineat, solvimus quod de iure non valuit talis collatio sive donatio: ut infra eo. ti. §. [quae] igitur [Auth. Coll. I, 6, epil. = Nov. VI, epil.]. et C. de leg. et consti. l. digna in fi. [Cod. 1, 14, 4] et insti. qui. mo. test. infir. §. fi. [Inst. 2, 17, § 8]. nec ob[stat] infra tit. j. in prin. [Auth. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1] quia auxit honorem ecclesiæ quantum in eo fuit Constantinus vel in aliis: non autem in iurisdictione: quia sic posset totum imperium perire, ut dictum est (Volumen, col. 41). Sulla glossa conferens generi e sulla sua rigorosa coerenza alla concezione dualistica v. ampiamente Maffei 1965, pp. 66-8", "labels": [[1877, 1880, "WORK_OF_ART"], [2548, 2551, "WORK_OF_ART"], [1755, 1759, "WORK_OF_ART"], [46, 52, "LOC"], [97, 103, "PER"], [119, 126, "MISC"], [179, 185, "LOC"], [275, 280, "PER"], [314, 319, "PER"], [500, 514, "MISC"], [515, 526, "PER"], [627, 650, "MISC"], [656, 663, "PER"], [721, 729, "PER"], [778, 804, "MISC"], [806, 810, "MISC"], [812, 816, "ORG"], [830, 833, "MISC"], [844, 851, "PER"], [852, 858, "PER"], [860, 863, "LOC"], [880, 887, "MISC"], [1546, 1553, "PER"], [1621, 1648, "MISC"], [1663, 1677, "PER"], [1761, 1765, "PER"], [1767, 1769, "MISC"], [1854, 1862, "PER"], [1864, 1868, "PER"], [1870, 1875, "PER"], [1892, 1916, "MISC"], [1978, 1990, "MISC"], [2017, 2020, "ORG"], [2078, 2086, "PER"], [2126, 2130, "ORG"], [2132, 2138, "PER"], [2141, 2171, "PER"], [2178, 2182, "PER"], [2280, 2283, "MISC"], [2305, 2309, "LOC"], [2339, 2342, "LOC"], [2361, 2365, "PER"], [2434, 2444, "PER"], [2465, 2468, "ORG"], [2481, 2485, "ORG"], [2707, 2711, "LOC"], [2713, 2717, "ORG"], [2733, 2736, "MISC"], [2750, 2762, "PER"], [2792, 2795, "ORG"], [2847, 2851, "ORG"], [2903, 2907, "LOC"], [2909, 2913, "LOC"], [2915, 2917, "MISC"], [2999, 3011, "PER"], [3108, 3115, "MISC"], [3228, 3239, "LOC"]]} +{"text": "ad un volere et uno nonvolere tenere la humana generatione subg[i]ughata (Ficino), e similmente l’Anonimo: l’umana gienerazione ad uno volere et ad uno non volere tenerlo subgietto (p. 208). A tale formula si tengono stretti per lo più anche i moderni interpreti. Schiva la difficoltà della traduzione Vinay (ad una sola ed unica volontà); efficace Pizzica 1988, al volere positivo e negativo di uno solo, che però “copre” troppo la formula dantesca; meglio Ronconi 1966, sotto un’unica volontà che comanda e proibisce; Shaw 1996, to a single will (its commands and its prohibitions); Kay, to a single will or to a single prohibition; e Cassell, to a single will in choosing and refusing. Una tale dualità appartiene alla tradizione esegetica di Gn 2, 16-7, intorno alla duplicità del comando divino, positivo e negativo (comede, ne comedas; cfr. la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini). Lo stesso farà Bartolo nelle sue glosse alla costituzione Ad reprimendum di Enrico VII, ponendo nei duo praecepta facta primis duobus parentibus l’origine di ogni diritto positivo e dunque le due “briglie di ogni debita fedeltà” (v. sopra, I IV 2, e cfr. Quaglioni 1994a, pp. 390-1)", "labels": [[1061, 1075, "WORK_OF_ART"], [74, 80, "PER"], [98, 105, "LOC"], [302, 307, "MISC"], [349, 361, "MISC"], [458, 470, "MISC"], [478, 481, "MISC"], [520, 529, "MISC"], [585, 588, "PER"], [637, 644, "PER"], [746, 750, "MISC"], [850, 869, "MISC"], [873, 887, "PER"], [892, 904, "PER"], [913, 919, "PER"], [1018, 1025, "PER"], [1079, 1089, "PER"], [1199, 1200, "MISC"], [1245, 1249, "MISC"]]} +{"text": "onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. 1 Cor 3, 11; e inoltre Eph 2, 20 e 1 Pt 2, 6", "labels": [[8, 19, "MISC"], [20, 29, "PER"], [43, 49, "PER"], [80, 85, "MISC"], [94, 98, "MISC"]]} +{"text": "cfr. 1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus. Non sono sicuro che con questa allegazione Dante abbia voluto implicitamente negare l’interpretazione “ierocratica” di Mt 16, 18 (quia tu est Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam), come vuole Kay, ed è assai più probabile che qui si aderisca al significato fissato ad opera della Glossa ordinaria al luogo evangelico, ad v. petra: id est Christum in quem credis", "labels": [[18, 23, "LOC"], [35, 43, "ORG"], [88, 93, "PER"], [147, 148, "MISC"], [164, 169, "MISC"], [187, 193, "PER"], [255, 258, "PER"], [343, 349, "LOC"], [401, 409, "LOC"]]} +{"text": "conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter \"i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero\", ponendo i due istituti \"sullo stesso piano\" ed escludendo \"dal terreno politico rivelazione e redenzione\", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: \"È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”\". E ancora: \"Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità\". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come \"a God-given remedy for corrupt human nature\". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (\"Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus\"), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (\"Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant\"), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i \"mores ipso iure conscripti et traditi\", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex \"quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat\" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): \"Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur\". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo \"la ragione umana\" (Anonimo), \"la humana ragione\" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, \"può suonare ambigua, se non equivoca\"). Perciò pare impropria la traduzione \"human right\" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo \"human law\". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.", "labels": [[2932, 2938, "PER"], [30, 35, "PER"], [92, 98, "ORG"], [106, 112, "LOC"], [222, 227, "PER"], [307, 313, "LOC"], [402, 405, "PER"], [474, 480, "PER"], [523, 530, "MISC"], [549, 550, "MISC"], [603, 605, "MISC"], [755, 761, "LOC"], [962, 979, "LOC"], [1049, 1052, "PER"], [1101, 1106, "PER"], [1138, 1144, "LOC"], [1153, 1156, "LOC"], [1249, 1260, "PER"], [1272, 1277, "PER"], [1454, 1462, "ORG"], [1466, 1474, "PER"], [1502, 1506, "PER"], [1509, 1516, "PER"], [1632, 1637, "PER"], [1662, 1673, "PER"], [1675, 1689, "PER"], [2032, 2036, "PER"], [2038, 2047, "PER"], [2049, 2055, "MISC"], [2179, 2196, "MISC"], [2200, 2217, "PER"], [2219, 2220, "MISC"], [2225, 2244, "MISC"], [2256, 2265, "PER"], [2278, 2285, "PER"], [2287, 2288, "MISC"], [2302, 2309, "PER"], [2325, 2336, "LOC"], [2675, 2691, "MISC"], [2693, 2700, "MISC"], [2728, 2733, "PER"], [2844, 2851, "PER"], [2875, 2881, "PER"], [2924, 2938, "MISC"], [3032, 3041, "MISC"], [3043, 3050, "PER"], [3060, 3063, "PER"], [3123, 3125, "MISC"]]} +{"text": "Cn 8, 5. Lo stemma impone qui Canticum, conservato solo da K T (a meno di considerare la loro lezione come errore poligenetico: v. Favati 1970, pp. 10-2, che conclude affermando che \"il meno che si può fare è sospendere il giudizio di erroneità\"; e cfr. p. 13 nota 35), contro varie lezioni, abbreviate e no, dei restanti testimoni, tra le quali Canticorum è tramandata da D G H M; Ficino ha \"secondo la “Canticha”\", che sembra condurre alla lezione iuxta canticam di E; l’Anonimo scrive \"secondo quello della Canticha\". Implicito il precedente richiamo, sopra, III iii 12; v. ancora Angelo Penna, Cantico dei Cantici, in ED, I, 1970, p. 793.", "labels": [[30, 38, "LOC"], [59, 62, "PER"], [128, 142, "MISC"], [346, 356, "MISC"], [373, 380, "MISC"], [382, 388, "PER"], [404, 413, "MISC"], [473, 480, "MISC"], [510, 518, "PER"], [584, 596, "PER"], [598, 617, "MISC"], [622, 624, "MISC"], [626, 627, "MISC"]]} +{"text": "\"Fondandosi sulle conclusioni del primo libro, D. riprende sostanzialmente l’argomento classico già ricordato dell’“Augustus ab augendo”\" (Vinay, che cita a questo proposito la Quaestio in utramque partem, mentre Dante qui ha ancora in mente l’accursiano \"quia sic posset totum imperium perire\" nella chiusa della glossa \"conferens generi\" alla Novella VI di Giustiniano, di cui v. sopra, III x 5).", "labels": [[47, 49, "MISC"], [139, 144, "PER"], [177, 185, "MISC"], [213, 218, "PER"], [345, 355, "MISC"], [359, 370, "PER"], [389, 396, "MISC"]]} +{"text": "non c’è bisogno di dire che l’argomentazione è “più chiara” when put in modern American terms, for the Constitution is evidently prior to the president and other officials established thereby (Kay). Sono convinto che più che alle definizioni di stampo etimologico della tradizione scolastica (Chiappelli 1908, p. 14; Calasso 1953; Costa 1969, pp. 99-100) la formula dantesca si richiami al testo della costituzione Omnis iurisdictio del “buon Barbarossa” (Omnis iurisdictio et districtus apud principem est et omnes iudices a principe administrationem accipere debent et iuramentum prestare quale a lege constitutum est), una delle “leggi perdute” di Roncaglia che, non ancora espunta dalle raccolte feudistiche, poteva essere allegata da Jacques de Revigny nella sua Lectura Feudorum (ed. Pecorella 1956, dove però l’allegazione è stimata frutto di memoria erronea) prima di essere recuperata integralmente da Baldo degli Ubaldi alla fine del secolo XIV (Colorni 1967 e Colorni-Dolezalek 1969, Dilcher 2003, Quaglioni 2007a e 2008b). Cfr. quanto già notato sopra, I X 5 e II X 8", "labels": [[79, 93, "MISC"], [95, 115, "MISC"], [135, 161, "MISC"], [193, 196, "LOC"], [293, 308, "MISC"], [317, 329, "MISC"], [331, 341, "LOC"], [402, 420, "MISC"], [437, 438, "MISC"], [443, 453, "PER"], [456, 461, "PER"], [651, 660, "PER"], [739, 757, "PER"], [768, 784, "MISC"], [790, 804, "LOC"], [911, 929, "PER"], [971, 993, "MISC"], [995, 1007, "MISC"], [1009, 1024, "MISC"], [1065, 1070, "MISC"]]} +{"text": "corrisponde al quia sic posset totum imperium perire della glossa accursiana conferens generi (cfr. sopra, III X 5). Strettamente adesive le versioni di Ficino (anicchillare si potrebbe) e dell’Anonimo (si potrebbe annicchillare). Kay indica in Cv IV XXIX 11 una similarità esemplificativa. Cfr. ancora Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70", "labels": [[20, 30, "ORG"], [66, 93, "PER"], [153, 159, "PER"], [194, 201, "LOC"], [231, 234, "PER"], [245, 250, "MISC"], [303, 321, "PER"], [323, 346, "PER"], [351, 353, "ORG"], [355, 357, "MISC"]]} +{"text": "prosegue l’esplicazione di quanto espresso in III X 4, e già specificato per la prima parte qui sopra nel paragrafo 11: se l’imperatore non poteva de iure alienare la minima parte della giurisdizione imperiale, la Chiesa non aveva de iure la facoltà di riceverla, perché la liceità di una donazione è soggetta al duplice requisito della dispositio conferentis (la facoltà di donare da parte del donante) e della dispositio eius cui confertur (l’idoneità a ricevere da parte del donatario). Mi sembra che Dante non interpreti la dispositio aristotelica in senso puramente soggettivo (la volontà del donante, la gratitudine nel donatario), ma nel senso prevalentemente oggettivo di facoltà e attitudine. Né poteva essergli estranea la conoscenza del principio giuridico espresso in Dig. 39, 5 (de donationibus), 9, per il quale non può esser donato se non ciò che può diventare proprietà del donatario: Donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur (Mommsen-Krüger, I, p. 608)", "labels": [[147, 154, "WORK_OF_ART"], [231, 238, "WORK_OF_ART"], [46, 53, "MISC"], [214, 220, "ORG"], [504, 509, "PER"], [780, 783, "LOC"], [901, 907, "MISC"], [953, 960, "PER"], [961, 967, "PER"], [969, 970, "PER"]]} +{"text": "come dicie Aristotile nella “Eticha” (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1120 a 14: Ed è chiaro che all’elargire ricchezze s’accompagna il far del bene e il compiere belle azioni, mentre all’acquisirne s’accompagna il ricever del bene e il non agir male", "labels": [[52, 72, "WORK_OF_ART"], [11, 21, "LOC"], [28, 35, "MISC"], [38, 44, "PER"], [62, 72, "PER"]]} +{"text": "v. Uguccione, P 107, 17: dispono –is, ordinare, dispensare", "labels": [[0, 12, "PER"], [14, 19, "MISC"]]} +{"text": "Mt 10, 9-10. Si veda in proposito l’ampia disamina di Puletti 1989, pp. 263-7, che ritiene che Dante interpreti il versetto evangelico in senso strettamente letterale, non ritenendolo dunque \"una metafora per indicare i beni temporali in genere\" (p. 266)", "labels": [[0, 5, "MISC"], [54, 61, "PER"], [95, 100, "PER"]]} +{"text": "ché se in Luca (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. ibid., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (Nardi)", "labels": [[10, 14, "MISC"], [62, 63, "MISC"], [255, 264, "MISC"], [444, 449, "MISC"]]} +{"text": "a titolo di possesso, qui (e non solo più sotto nell’ultimo paragrafo, come vuole Kay) nel significato strettamente giuridico del termine (un fatto – la detenzione della cosa con l’intenzione di tenerla per sé – da cui emanano dei diritti). L’esclusione della Chiesa dall’idoneità all’acquisto del possesso configura perciò la detenzione delle dignitates imperiali come una vitiosa possessio (cfr. Dig. 41, 2, 53: Mommsen Krüger, I, p. 656), difendibile solo contro gli extranei, ma non contro l'Impero stesso. In questo caso la traduzione (a titolo di proprietà) e il commento di Vinay raggiungono un notevole grado di confusione terminologica e concettuale", "labels": [[398, 401, "WORK_OF_ART"], [82, 85, "PER"], [241, 243, "MISC"], [260, 266, "ORG"], [414, 428, "PER"], [430, 439, "MISC"], [496, 502, "LOC"], [581, 586, "PER"]]} +{"text": "per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce Pauperum, in ED, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, Povertà, ivi, p. 629; Kay ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (Volumen, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel Rosarium di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del dispansator pauperum, che il Codice Giustiniano identifica con l’oeconomus ecclesiae (Cod. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476; v. inoltre il Decretum Gratiani, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle res ecclesiasticae ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per Vinay è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera Pézard nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église", "labels": [[1181, 1187, "PER"], [6, 7, "MISC"], [17, 23, "PER"], [62, 70, "MISC"], [75, 77, "MISC"], [79, 81, "MISC"], [99, 113, "PER"], [115, 122, "PER"], [137, 140, "PER"], [173, 184, "MISC"], [188, 199, "PER"], [201, 203, "PER"], [269, 273, "MISC"], [275, 279, "MISC"], [281, 283, "MISC"], [305, 312, "PER"], [313, 319, "PER"], [321, 324, "PER"], [409, 416, "MISC"], [444, 459, "MISC"], [486, 494, "MISC"], [498, 513, "PER"], [554, 558, "PER"], [560, 565, "PER"], [576, 591, "MISC"], [657, 672, "MISC"], [728, 746, "MISC"], [785, 788, "ORG"], [810, 824, "PER"], [826, 828, "PER"], [849, 863, "MISC"], [867, 872, "PER"], [876, 892, "PER"], [897, 899, "MISC"], [901, 903, "MISC"], [933, 950, "MISC"], [959, 965, "PER"], [967, 971, "PER"], [1062, 1071, "PER"], [1073, 1079, "MISC"], [1095, 1100, "LOC"], [1125, 1130, "PER"], [1173, 1187, "PER"], [1248, 1254, "PER"]]} \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_4.jsonl b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_4.jsonl new file mode 100644 index 0000000..aaf8508 --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_4.jsonl @@ -0,0 +1,35 @@ +{"text": "citando Chiappelli 1908, p. 36, Vinay ricorda che le scuole dei giuristi consideravano l’imperatore come advocatus Ecclesiae per la difesa dei beni materiali e dell’autorità morale, e scrive: Il concetto è riaffermato solennemente da Clemente V nella sua lettera del 26 luglio 1309 ad Arrigo VII: “sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)", "labels": [[8, 23, "MISC"], [32, 37, "PER"], [105, 124, "MISC"], [234, 244, "PER"], [285, 295, "PER"], [417, 424, "LOC"], [517, 541, "MISC"], [588, 637, "MISC"], [810, 828, "MISC"], [833, 836, "MISC"], [852, 855, "MISC"], [857, 874, "MISC"], [889, 891, "MISC"], [900, 907, "PER"]]} +{"text": "l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in Dig. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (Kay 1990, p. 266), Kay commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel Decretum di Graziano nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)", "labels": [[0, 2, "PER"], [46, 52, "PER"], [102, 109, "LOC"], [228, 243, "MISC"], [291, 294, "LOC"], [306, 313, "PER"], [314, 320, "PER"], [433, 446, "MISC"], [455, 468, "MISC"], [539, 547, "MISC"], [558, 561, "PER"], [572, 601, "MISC"], [617, 622, "PER"], [732, 737, "PER"], [814, 825, "PER"], [831, 839, "PER"], [854, 862, "ORG"], [866, 874, "PER"], [886, 897, "MISC"], [900, 910, "MISC"], [918, 920, "MISC"], [933, 939, "PER"], [943, 952, "PER"], [954, 960, "MISC"], [1140, 1147, "LOC"], [1150, 1156, "PER"], [1179, 1188, "MISC"], [1272, 1278, "MISC"]]} +{"text": "commenta Nardi: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’usurpatio iuris del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla Prima filosofia (per questa espressione cfr. Aristotele, Metaph., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e Conv., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a VE I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “Ratione vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica", "labels": [[9, 14, "PER"], [140, 150, "PER"], [210, 229, "LOC"], [247, 258, "PER"], [391, 406, "MISC"], [436, 446, "PER"], [448, 454, "PER"], [457, 459, "MISC"], [481, 483, "MISC"], [501, 505, "MISC"], [508, 512, "MISC"], [529, 538, "PER"], [605, 610, "PER"], [620, 623, "MISC"], [681, 689, "MISC"], [757, 758, "MISC"]]} +{"text": "Ficino scrive: \"E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”\" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia \"Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”\", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come \"reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus\" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, \"caput unum habens plenitudinem potestatis\": \"Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti\" (glo. \"confitebuntur\", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula \"mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam\", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9", "labels": [[0, 6, "PER"], [58, 70, "MISC"], [111, 118, "MISC"], [193, 208, "MISC"], [280, 281, "MISC"], [318, 328, "PER"], [330, 341, "PER"], [369, 378, "PER"], [478, 483, "PER"], [500, 525, "MISC"], [529, 554, "PER"], [606, 613, "PER"], [707, 714, "PER"], [776, 791, "MISC"], [801, 808, "PER"], [812, 818, "LOC"], [820, 830, "PER"], [848, 853, "PER"], [898, 904, "MISC"], [908, 923, "PER"], [951, 967, "PER"], [1229, 1235, "ORG"], [1295, 1306, "PER"], [1442, 1449, "PER"], [1657, 1673, "LOC"], [1851, 1857, "MISC"], [1859, 1863, "LOC"], [1866, 1867, "LOC"], [1875, 1899, "MISC"], [1935, 1958, "PER"], [1960, 1973, "PER"], [1986, 1997, "PER"], [2010, 2022, "PER"], [2045, 2060, "MISC"], [2072, 2082, "MISC"], [2109, 2114, "PER"], [2170, 2181, "PER"], [2196, 2202, "MISC"], [2208, 2221, "MISC"], [2222, 2232, "PER"], [2309, 2314, "PER"], [2377, 2380, "PER"]]} +{"text": "Nota Vinay che “genus” è usato qui nel senso improprio di “species” per non introdurre un termine nuovo, come in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 18, a. 2, Resp.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus humanum genus totam humanam speciem", "labels": [[5, 10, "MISC"], [58, 59, "MISC"], [113, 120, "PER"], [123, 129, "PER"], [131, 147, "PER"], [149, 156, "MISC"], [171, 175, "MISC"]]} +{"text": "per antistes v. Uguccione, A 196, 4: et ab ante et sto fit hic et hec antistes –stitis, idest sacerdos quasi ante stans pro populo; e S 301, 45: Sto –as componitur hic et hec antistes –tis, idest sacerdos qui ante stat et orat pro plebe. La scelta del vocabolo non può essere casuale; l’Anonimo spiega: sommo antiste, cioè ponteficie; Ficino traduce direttamente sommo pontefice; così fanno anche tutti i moderni interpreti, con qualche sfumatura e poche eccezioni: Imbach traduce der Papst; più aderente al testo la versione Marcelli-Martelli 2004: il sommo Sacerdote", "labels": [[37, 69, "MISC"], [114, 130, "MISC"], [134, 139, "LOC"], [145, 174, "MISC"], [287, 301, "PER"], [335, 341, "PER"], [466, 472, "LOC"], [485, 490, "PER"], [526, 548, "MISC"], [559, 568, "MISC"]]} +{"text": "Ficino traduce in breve: \"e riponsi sotto el predicamento della relatione\"; l’Anonimo ha qui la stessa omissione per omeoteleuto che si trova in P. Il codice E legge illud; K e parte dei manoscritti β (D M P Ph S) hanno ad aliud. Giudicando \"impossibile [...] una scelta perentoria\", Ricci 1965 scrive che l’incertezza dei manoscritti \"deriva certo da un’abbreviazione ambigua di questo tipo: ad\" (effettivamente attestata in Ph), ma dichiara anche che \"è da aggiungere che nella terminologia scolastica l’equivalenza di relatio ad aliud e di relatio ad aliquid è perfetta e lo scambio continuo\". Imbach e Kay rimandano alla categoria di relazione (praedicamentum ad aliquid) definita da Aristotele, Categoriae, 6 a 36-7: \"‘Relative’ si dicono poi le nozioni, ciascuna delle quali, proprio ciò che è, in sé, si dice esserlo di qualcos’altro, o in qualsiasi altro modo viene riferita a qualcos’altro\"", "labels": [[0, 6, "PER"], [78, 85, "LOC"], [145, 171, "MISC"], [173, 174, "LOC"], [202, 212, "MISC"], [284, 294, "MISC"], [352, 355, "MISC"], [426, 428, "MISC"], [597, 603, "LOC"], [606, 609, "PER"], [688, 698, "PER"], [700, 710, "PER"], [724, 733, "ORG"]]} +{"text": "cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc", "labels": [[23, 32, "PER"], [147, 148, "LOC"], [153, 154, "MISC"], [194, 207, "MISC"], [225, 231, "LOC"], [239, 246, "LOC"], [285, 298, "MISC"], [315, 325, "MISC"], [354, 364, "MISC"], [367, 380, "MISC"], [509, 512, "MISC"], [535, 542, "MISC"], [627, 637, "MISC"], [693, 696, "MISC"], [748, 753, "PER"], [818, 825, "PER"], [828, 834, "PER"], [836, 852, "PER"], [854, 863, "MISC"], [961, 971, "MISC"], [1003, 1004, "PER"], [1057, 1070, "LOC"], [1073, 1086, "MISC"], [1120, 1125, "MISC"], [1136, 1139, "MISC"], [1148, 1162, "MISC"], [1222, 1229, "LOC"], [1282, 1288, "PER"], [1290, 1304, "PER"], [1306, 1310, "LOC"], [1315, 1317, "MISC"], [1319, 1322, "MISC"], [1393, 1394, "MISC"], [1416, 1417, "MISC"], [1427, 1428, "MISC"], [1449, 1450, "MISC"], [1527, 1530, "MISC"], [1541, 1547, "PER"], [1601, 1616, "PER"], [1618, 1624, "PER"], [1626, 1632, "MISC"], [1662, 1678, "MISC"], [2015, 2027, "ORG"], [2047, 2052, "PER"], [2054, 2059, "PER"], [2079, 2087, "MISC"], [2089, 2092, "MISC"], [2132, 2141, "ORG"], [2168, 2169, "MISC"], [2286, 2287, "MISC"], [2523, 2549, "PER"], [2766, 2783, "MISC"], [2816, 2821, "PER"], [2853, 2863, "MISC"], [2885, 2891, "MISC"], [2956, 2961, "PER"], [3019, 3025, "PER"], [3064, 3100, "MISC"], [3149, 3172, "MISC"], [3186, 3208, "MISC"]]} +{"text": "Kay, p. 287 nota 26, suggerisce che la “sostanza a Dio sottostante” che Dante ha in mente sia il cielo del sole, moved by the order of angels called “Powers (Potestates)”, e aggiunge: In the Paradiso, Dante follows the astrologers in associating both fathers (including popes) and rulers with the heaven of the sun [...]. Aquinas suggests what the relation of superiority is that pope and emperor have in common: “Therefore, to the [angelic] order of Powers it belongs to regulate (ordinare) what is to be done by those who are subject to them (subditis), con rimando a Summa Theologica, Ia, q. 108, a. 3 e a Kay 1994, pp. 117-9. Cfr. in proposito Cassell", "labels": [[191, 199, "WORK_OF_ART"], [0, 3, "PER"], [39, 40, "MISC"], [51, 54, "MISC"], [72, 77, "PER"], [158, 168, "PER"], [187, 199, "MISC"], [201, 206, "PER"], [322, 401, "MISC"], [413, 423, "MISC"], [451, 480, "MISC"], [492, 543, "MISC"], [545, 553, "MISC"], [570, 586, "PER"], [588, 598, "MISC"], [609, 617, "MISC"], [648, 655, "PER"]]} +{"text": "manca in Ficino (p. 401), e l’Anonimo equivoca traducendo alla festa; cfr. Ac 25, 10. Kay ricorda che Tolomeo da Lucca, nella sua continuazione del De regimine principum, III 5, fa già uso del luogo paolino per provare la legittimità dell’Impero di Roma (cfr. Maccarrone 1955, p. 101). Cfr. la voce Festo, Porcio di Clara Kraus, in ED, II, 1970, p. 847", "labels": [[0, 15, "LOC"], [30, 37, "LOC"], [86, 89, "PER"], [102, 109, "PER"], [113, 118, "LOC"], [148, 169, "MISC"], [171, 176, "MISC"], [260, 275, "MISC"], [299, 304, "PER"], [306, 327, "PER"], [332, 334, "ORG"], [336, 338, "MISC"]]} +{"text": "Ac 27, 24", "labels": []} +{"text": "Ac 28, 19", "labels": []} +{"text": "è ancora una volta un luogo paolino: Ph 1, 23. Sull’importanza di questa serie di citazioni dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere di Paolo, quale fonte preziosa per Dante, v. la lunga nota di Nardi, pp. 488-90, e v. la voce Paolo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, pp. 272-3", "labels": [[37, 41, "ORG"], [98, 117, "MISC"], [137, 142, "PER"], [169, 174, "PER"], [196, 201, "PER"], [228, 249, "PER"], [254, 256, "MISC"], [258, 260, "MISC"]]} +{"text": "Lv 11, 43. Cfr. la voce di Angelo Penna, Leviti, in ED, III, 1971, p. 636", "labels": [[0, 2, "WORK_OF_ART"], [27, 39, "PER"], [41, 47, "PER"], [52, 54, "ORG"], [56, 59, "MISC"]]} +{"text": "dalla maggiore parte (Anonimo, Ficino); se si tratti della maggioranza numerica o della parte qualitativamente prevalente o di entrambe (come abbiamo nell’espressione valenciorem [...] partem, considerata quantitate personarum et qualitate del quasi coevo Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63), non è facile dire; preferisce dei migliori fra essi Vinay; Nardi traduce quelli che eccellono fra di essi; Imbach der wichtigsten unter ihnen; Gally 1993 d’une élite d’entre eux; Shaw 1996 the most exceptional among them; invece Pézard du plus grand nombre; Ronconi 1966 e Sanguineti 1985 maggioranza; Kay their greater part; Cassell those in the majority. Ma qui non è certo in questione a vote or referendum of all mankind, come un po’ sopra le righe sembra intendere Cassell, che conclude: Note the tone of Dante’s puckish argument in allowing such a possibility – but it does give him the opportunity to wave a haughty dismissal of his stooping opponents with a flourish of tongue-in-cheek legalese!. Cfr. più oltre, III XIV 7, con la nota 18 di Kay, p. 300", "labels": [[22, 29, "LOC"], [31, 37, "PER"], [256, 270, "LOC"], [274, 292, "PER"], [296, 300, "MISC"], [306, 312, "MISC"], [314, 322, "MISC"], [377, 382, "PER"], [384, 389, "PER"], [432, 466, "MISC"], [468, 478, "MISC"], [504, 513, "MISC"], [554, 574, "MISC"], [583, 595, "MISC"], [598, 625, "MISC"], [627, 630, "PER"], [651, 658, "PER"], [759, 762, "MISC"], [795, 802, "PER"], [818, 840, "MISC"], [1046, 1049, "MISC"], [1075, 1078, "PER"]]} +{"text": "Mt 16, 18", "labels": [[0, 5, "MISC"]]} +{"text": "senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra lex vetus e lex nova come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)", "labels": [[91, 100, "MISC"], [103, 111, "MISC"], [198, 204, "PER"], [411, 415, "PER"], [417, 445, "PER"], [517, 537, "PER"], [545, 549, "LOC"], [559, 562, "LOC"], [567, 576, "LOC"], [600, 608, "PER"], [662, 666, "LOC"], [680, 700, "MISC"], [746, 766, "PER"], [784, 794, "MISC"], [796, 819, "MISC"], [825, 832, "PER"]]} +{"text": "cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent", "labels": [[16, 32, "PER"], [36, 41, "PER"], [154, 160, "LOC"], [164, 169, "MISC"], [280, 286, "MISC"], [304, 338, "MISC"], [396, 403, "PER"], [469, 474, "PER"], [492, 506, "PER"], [510, 520, "MISC"], [525, 528, "MISC"], [544, 558, "ORG"], [643, 655, "MISC"], [667, 668, "MISC"], [734, 738, "PER"], [937, 960, "MISC"], [974, 980, "PER"], [1035, 1048, "PER"], [1050, 1076, "MISC"], [1078, 1080, "MISC"], [1085, 1100, "PER"], [1115, 1129, "MISC"], [1196, 1203, "PER"], [1301, 1309, "LOC"], [1333, 1344, "PER"], [1356, 1369, "PER"], [1495, 1505, "PER"]]} +{"text": "cfr. Mt 10, 9-10: Nolite possidere aurum neque argentum neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via neque duas tunicas neque calceamenta neque virgam; dignus enim est operarius cibo suo. Cfr. sopra, III X 14. Nardi respinge altri riferimenti proposti da Ricci 1965, e Kay nota ancora una volta che Dante tratta della sollicitudo temporalis in un governmental sense, as political responsibility rather than as a concern for wordly goods. Di diverso avviso Puletti 1989, che però della meditazione di Dante sottolinea la tendenza a privilegiare un’esegesi diversa rispetto a quella in voga al suo tempo, esegesi che testimonia una spiritualità nuova e un’esigenza di rinnovamento che non coinvolge solo le istituzioni politiche, ma che riguarda la coscienza (p. 271)", "labels": [[215, 220, "PER"], [5, 10, "MISC"], [260, 270, "MISC"], [274, 277, "PER"], [304, 309, "PER"], [461, 468, "PER"], [505, 510, "PER"], [549, 552, "MISC"], [656, 659, "MISC"]]} +{"text": "\"come dicie il Filosafo ine’ libri “De Semplici Ente”\" (Anonimo); \"secondo la “Metafisicha”\" (Ficino). Cfr. Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; e v. sopra, I XIII 3, col rimando a Cv IV X 8: \"Ove è da sapere che, sì come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un’altra, generasi di quella, essendo in quello essere\"", "labels": [[15, 23, "ORG"], [27, 52, "MISC"], [56, 63, "LOC"], [78, 90, "MISC"], [94, 100, "PER"], [108, 118, "PER"], [120, 131, "PER"], [182, 187, "MISC"], [232, 240, "PER"], [368, 378, "LOC"], [409, 412, "MISC"]]} +{"text": "per Ficino e per l’Anonimo \"o della maggiore parte\", \"o della maggior parte\". Traduce \"o dei migliori\" Vinay; \"ou du plus grand nombre\" Pézard; \"o dei più eccellenti fra di essi\" Nardi; \"oder der wichtigsten Menschen\" Imbach; \"ou d’une élite\" Gally 1993; \"or of the most exceptional among them\" Shaw 1996; \"or of their prevailing part\" Kay. Kay si riferisce soprattutto a quanto già visto sopra, III XIV 1 e ricorda che l’espressione, usata qui da Dante in un senso molto vicino a quello di Marsilio da Padova, ha origine dalla traduzione di Guglielmo di Morbeke della Politica di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29)", "labels": [[569, 577, "WORK_OF_ART"], [4, 10, "PER"], [19, 26, "LOC"], [78, 85, "MISC"], [103, 108, "PER"], [136, 142, "PER"], [179, 184, "PER"], [208, 216, "LOC"], [218, 224, "LOC"], [243, 253, "MISC"], [295, 304, "MISC"], [336, 339, "PER"], [341, 344, "PER"], [448, 453, "PER"], [491, 509, "PER"], [542, 562, "PER"], [581, 591, "PER"]]} +{"text": "cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)", "labels": [[239, 243, "WORK_OF_ART"], [209, 216, "LOC"], [236, 243, "LOC"], [257, 260, "LOC"], [271, 278, "PER"], [279, 285, "PER"], [287, 288, "PER"], [303, 311, "MISC"], [319, 323, "PER"], [325, 334, "PER"], [336, 342, "MISC"]]} +{"text": "Io 13, 15", "labels": []} +{"text": "Io 21, 19", "labels": []} +{"text": "Io 18, 36. Nell’interpretazione di questa frase D. ripete quel che dicevano i teocratici salvo ad attribuire poi alle parole un significato preciso e impegnativo dal quale i suoi avversari rifuggivano (Vinay). Su questo luogo v. la voce Pilato, Ponzio di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 521", "labels": [[48, 50, "MISC"], [202, 207, "MISC"], [237, 243, "PER"], [245, 251, "PER"], [255, 267, "PER"], [272, 274, "MISC"], [276, 278, "MISC"]]} +{"text": "Ps 94, 5. La lezione Psalmista è di K + A2 E F G Ph V; tutti gli altri testimoni leggono psalmus (anche Ficino ha perché dicie el salmo così, mentre l’Anonimo scrive con ciò sia cosa che dicha il Salmista). Si è già fatto riferimento sopra, I XV 3, a quanto rileva Favati 1970, p. 11, circa le testimonianze equipollenti sul piano della documentazione codicologica in questo luogo", "labels": [[0, 2, "WORK_OF_ART"], [89, 96, "WORK_OF_ART"], [21, 30, "MISC"], [36, 48, "MISC"], [104, 110, "PER"], [151, 158, "LOC"], [196, 204, "ORG"], [265, 276, "MISC"]]} +{"text": "la Vulgata ha et siccam, e non essendo attestata una variante aridam nella tradizione della Vulgata Kay suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et aridam manus eius fundaverunt, tanto nella versione del Breviarium Ambrosianum quanto in quella del Psalterium Romanum. Peraltro, arida appartiene al racconto della creazione, Gn 1, 9-10: \"Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat arida. Et factum est ita. E vocavit Deus aridam terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum\"; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (yabbashāh), יַבֶּשֶׁת (yabbēshet): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (xerà), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente \"la terra\", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: \"e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche\". Cfr. anche le voci Salmista (Maurizio Dardano) e Salmo (Angelo Penna), in ED, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079", "labels": [[100, 103, "PER"], [3, 10, "MISC"], [92, 103, "MISC"], [112, 115, "MISC"], [146, 151, "PER"], [177, 185, "LOC"], [268, 290, "LOC"], [312, 330, "MISC"], [388, 392, "MISC"], [401, 416, "MISC"], [521, 525, "ORG"], [593, 614, "MISC"], [691, 692, "MISC"], [705, 706, "MISC"], [730, 738, "MISC"], [753, 754, "MISC"], [809, 815, "PER"], [860, 867, "LOC"], [955, 962, "MISC"], [1068, 1076, "MISC"], [1078, 1094, "PER"], [1098, 1103, "PER"], [1105, 1117, "PER"], [1123, 1125, "MISC"], [1127, 1129, "MISC"]]} +{"text": "\"in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori\" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: \"Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica\". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5", "labels": [[79, 81, "WORK_OF_ART"], [66, 71, "PER"], [82, 84, "PER"], [354, 364, "PER"], [544, 559, "MISC"], [580, 588, "LOC"], [727, 737, "PER"], [879, 891, "PER"], [988, 1000, "MISC"], [1105, 1118, "LOC"], [1198, 1205, "MISC"], [1295, 1307, "PER"], [1393, 1395, "MISC"], [1407, 1419, "MISC"], [1487, 1495, "MISC"], [1631, 1641, "LOC"], [1719, 1721, "MISC"], [1735, 1744, "MISC"], [2224, 2232, "ORG"], [2275, 2285, "PER"], [2299, 2310, "MISC"], [2372, 2380, "PER"], [2431, 2441, "PER"], [2554, 2557, "MISC"], [2950, 2980, "MISC"], [2997, 3010, "PER"], [3012, 3032, "MISC"], [3106, 3113, "PER"], [3116, 3122, "PER"], [3124, 3140, "PER"], [3142, 3149, "MISC"]]} +{"text": "\"pe’ profeti et sagri scriptori\" (Ficino); \"per li profeti e scrittori storiografi\" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), \"for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament\". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (\"AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective\"), scrive che Dante \"sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento\". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia \"the sacred writers\" Kay; similmente Ronconi 1966 (\"autori dei libri sacri\"), Nardi (\"scrittori ispirati\"), Imbach (\"die Verfasser der Heiligen Schriften\"), Shaw 1996 (\"sacred writers\") e Cassell (\"holy writers\")", "labels": [[34, 40, "PER"], [85, 92, "PER"], [111, 114, "PER"], [136, 141, "PER"], [212, 221, "MISC"], [276, 283, "MISC"], [304, 317, "MISC"], [320, 330, "MISC"], [341, 346, "MISC"], [364, 371, "ORG"], [373, 380, "MISC"], [382, 387, "ORG"], [452, 457, "PER"], [467, 472, "PER"], [576, 581, "PER"], [602, 614, "MISC"], [625, 634, "LOC"], [649, 654, "MISC"], [955, 960, "PER"], [1010, 1027, "MISC"], [1030, 1040, "MISC"], [1052, 1062, "ORG"], [1066, 1080, "PER"], [1082, 1089, "PER"], [1120, 1123, "PER"], [1136, 1143, "MISC"], [1177, 1182, "PER"], [1207, 1213, "LOC"], [1256, 1265, "MISC"], [1287, 1294, "PER"]]} +{"text": "è ancora allusione all’autentica Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la già ricordata Novella giustinianea che afferma solennemente che sacerdotium e imperium procedono l’uno e l’altro, come maxima dona Dei, \"ex uno eodemque principio\"; cfr. sopra, III X 5", "labels": [[33, 59, "MISC"], [61, 65, "MISC"], [67, 71, "ORG"], [85, 88, "MISC"], [99, 106, "PER"], [107, 113, "PER"], [115, 118, "LOC"], [148, 155, "MISC"], [265, 268, "MISC"]]} +{"text": "in questa areola, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono in arcula ista mortalium T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo aresco –scis inchoativum, quod componitur inaresco et exaresco; et ab aresco hec area –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur area quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec areola –e diminutivum. Vinay traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di Par., XXII, 151; l’“angustissimi mundi area” di Ep. VII, 4. (Cfr. Boezio, De consolatione, II, pr. 7); e v. la voce Aiuola, in ED, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [areola] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per Pd XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in Pd XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche Cassell e Scott 2010, p. 270 e nota 101", "labels": [[42, 51, "MISC"], [53, 60, "LOC"], [104, 110, "PER"], [146, 157, "MISC"], [159, 168, "ORG"], [170, 175, "MISC"], [180, 199, "MISC"], [553, 558, "PER"], [649, 652, "MISC"], [655, 659, "MISC"], [697, 699, "LOC"], [701, 704, "LOC"], [710, 713, "MISC"], [715, 721, "PER"], [723, 738, "PER"], [740, 742, "PER"], [765, 771, "LOC"], [776, 778, "ORG"], [780, 781, "MISC"], [892, 901, "MISC"], [1182, 1193, "MISC"], [1226, 1237, "MISC"], [1297, 1298, "MISC"], [1326, 1327, "MISC"], [1379, 1402, "MISC"], [1518, 1525, "PER"], [1528, 1533, "PER"]]} +{"text": "\"sanza nessuno mezzo\" (Anonimo); \"sanza mezo alcuno\" (Ficino). Scrive a commento Kay, che ricorda ancora una volta la principale fonte romanistica di Dante, cioè la Novella VI di Giustiniano: \"This is the conclusion of the proof positive in this chapter; it excludes both the pope and the electors\". Cfr. sopra, III XVI 13 e quanto ricordato a commento di III I 5", "labels": [[54, 60, "PER"], [81, 84, "PER"], [150, 155, "PER"], [165, 175, "MISC"], [179, 190, "PER"], [193, 228, "MISC"]]} +{"text": "nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, Consolatio Philosophiae, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di arx Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec arx –cis pro roca, quia arceat hostem. Vinay traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; Nardi nella rocca; Imbach in der Höhe; Shaw 1996 e Kay in the citadel; ecc. Pézard, traducendo dans le fort château, propone di emendare unitus in munitus (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da Kay e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore monitus); cfr. anche Pézard 1967-79, II, pp. 160-5", "labels": [[92, 98, "PER"], [106, 112, "PER"], [114, 137, "LOC"], [139, 141, "PER"], [147, 149, "MISC"], [154, 158, "LOC"], [255, 268, "PER"], [270, 275, "MISC"], [281, 316, "MISC"], [338, 343, "PER"], [398, 403, "PER"], [417, 423, "PER"], [431, 435, "LOC"], [437, 446, "MISC"], [449, 467, "MISC"], [474, 480, "PER"], [616, 626, "MISC"], [668, 671, "PER"], [677, 681, "LOC"], [730, 741, "MISC"], [746, 748, "PER"]]} +{"text": "v. la voce Reverenza di Alessandro Niccoli, in ED, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la paternitas) rispetto a quella dell’imperatore (il dominium), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. Kay Cv I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e Cv IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il sacerdotium e l’imperium sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. Iuramentum Imperatoris (6 luglio 1313), in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione", "labels": [[11, 20, "MISC"], [24, 42, "PER"], [47, 49, "MISC"], [51, 53, "MISC"], [94, 103, "PER"], [106, 111, "MISC"], [362, 365, "MISC"], [409, 418, "MISC"], [420, 424, "MISC"], [454, 462, "MISC"], [549, 554, "MISC"], [700, 717, "LOC"], [740, 750, "PER"], [754, 765, "PER"], [767, 772, "PER"], [824, 830, "ORG"], [841, 847, "LOC"], [1028, 1036, "PER"], [1119, 1125, "PER"], [1284, 1288, "LOC"], [1290, 1294, "ORG"], [1308, 1311, "MISC"], [1322, 1329, "MISC"], [1423, 1433, "PER"], [1467, 1492, "PER"], [1513, 1516, "MISC"], [1518, 1533, "PER"], [1535, 1552, "MISC"], [1588, 1590, "MISC"], [1599, 1606, "MISC"]]} +{"text": "The crucial question, however, is whether filial reverence involves obedience. Dante’s answer is negative, for in the Convivio he considers reverence and obedience to be mutually exclusive. An adolescent son owes his father obedience (Conv. 4.24.14-15), but when the son reaches the age of discretion, which Dante takes to be twenty five, then he no longer needs to rely on paternal guidance, and his obedience is replaced by reverence towards his father, which is product of his discretion (Conv. 4.8.1). Accordingly, Dante is saying here that the emperor owes the pope reverence but not obedience (Kay). Che la filiale reverentia dantesca (confessione di debita subiezione) non possa essere interpretata semplicemente come una relazione potestativa in senso dominativo, è chiaro anche da quanto spiega Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 4, distinguendo tra ius paternum e ius dominativum", "labels": [[0, 20, "MISC"], [79, 84, "PER"], [235, 239, "PER"], [302, 313, "PER"], [339, 391, "PER"], [393, 454, "MISC"], [456, 490, "MISC"], [492, 496, "MISC"], [506, 517, "PER"], [519, 524, "PER"], [600, 603, "PER"], [804, 811, "PER"], [814, 820, "PER"], [822, 838, "PER"], [840, 843, "MISC"], [844, 848, "ORG"]]} \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_4jsonl b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_4jsonl new file mode 100644 index 0000000..8ee502b --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/data_monarchia_4jsonl @@ -0,0 +1,36 @@ + +{"text": "citando Chiappelli 1908, p. 36, Vinay ricorda che le scuole dei giuristi consideravano l’imperatore come advocatus Ecclesiae per la difesa dei beni materiali e dell’autorità morale, e scrive: Il concetto è riaffermato solennemente da Clemente V nella sua lettera del 26 luglio 1309 ad Arrigo VII: “sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)", "labels": [[8, 23, "MISC"], [32, 37, "PER"], [105, 124, "MISC"], [234, 244, "PER"], [285, 295, "PER"], [417, 424, "LOC"], [517, 541, "MISC"], [588, 637, "MISC"], [810, 828, "MISC"], [833, 836, "MISC"], [852, 855, "MISC"], [857, 874, "MISC"], [889, 891, "MISC"], [900, 907, "PER"]]} +{"text": "l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in Dig. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (Kay 1990, p. 266), Kay commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel Decretum di Graziano nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)", "labels": [[0, 2, "PER"], [46, 52, "PER"], [102, 109, "LOC"], [228, 243, "MISC"], [291, 294, "LOC"], [306, 313, "PER"], [314, 320, "PER"], [433, 446, "MISC"], [455, 468, "MISC"], [539, 547, "MISC"], [558, 561, "PER"], [572, 601, "MISC"], [617, 622, "PER"], [732, 737, "PER"], [814, 825, "PER"], [831, 839, "PER"], [854, 862, "ORG"], [866, 874, "PER"], [886, 897, "MISC"], [900, 910, "MISC"], [918, 920, "MISC"], [933, 939, "PER"], [943, 952, "PER"], [954, 960, "MISC"], [1140, 1147, "LOC"], [1150, 1156, "PER"], [1179, 1188, "MISC"], [1272, 1278, "MISC"]]} +{"text": "commenta Nardi: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’usurpatio iuris del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla Prima filosofia (per questa espressione cfr. Aristotele, Metaph., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e Conv., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a VE I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “Ratione vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica", "labels": [[9, 14, "PER"], [140, 150, "PER"], [210, 229, "LOC"], [247, 258, "PER"], [391, 406, "MISC"], [436, 446, "PER"], [448, 454, "PER"], [457, 459, "MISC"], [481, 483, "MISC"], [501, 505, "MISC"], [508, 512, "MISC"], [529, 538, "PER"], [605, 610, "PER"], [620, 623, "MISC"], [681, 689, "MISC"], [757, 758, "MISC"]]} +{"text": "Ficino scrive: \"E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”\" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia \"Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”\", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come \"reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus\" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, \"caput unum habens plenitudinem potestatis\": \"Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti\" (glo. \"confitebuntur\", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula \"mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam\", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9", "labels": [[0, 6, "PER"], [58, 70, "MISC"], [111, 118, "MISC"], [193, 208, "MISC"], [280, 281, "MISC"], [318, 328, "PER"], [330, 341, "PER"], [369, 378, "PER"], [478, 483, "PER"], [500, 525, "MISC"], [529, 554, "PER"], [606, 613, "PER"], [707, 714, "PER"], [776, 791, "MISC"], [801, 808, "PER"], [812, 818, "LOC"], [820, 830, "PER"], [848, 853, "PER"], [898, 904, "MISC"], [908, 923, "PER"], [951, 967, "PER"], [1229, 1235, "ORG"], [1295, 1306, "PER"], [1442, 1449, "PER"], [1657, 1673, "LOC"], [1851, 1857, "MISC"], [1859, 1863, "LOC"], [1866, 1867, "LOC"], [1875, 1899, "MISC"], [1935, 1958, "PER"], [1960, 1973, "PER"], [1986, 1997, "PER"], [2010, 2022, "PER"], [2045, 2060, "MISC"], [2072, 2082, "MISC"], [2109, 2114, "PER"], [2170, 2181, "PER"], [2196, 2202, "MISC"], [2208, 2221, "MISC"], [2222, 2232, "PER"], [2309, 2314, "PER"], [2377, 2380, "PER"]]} +{"text": "Nota Vinay che “genus” è usato qui nel senso improprio di “species” per non introdurre un termine nuovo, come in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 18, a. 2, Resp.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus humanum genus totam humanam speciem", "labels": [[5, 10, "MISC"], [58, 59, "MISC"], [113, 120, "PER"], [123, 129, "PER"], [131, 147, "PER"], [149, 156, "MISC"], [171, 175, "MISC"]]} +{"text": "per antistes v. Uguccione, A 196, 4: et ab ante et sto fit hic et hec antistes –stitis, idest sacerdos quasi ante stans pro populo; e S 301, 45: Sto –as componitur hic et hec antistes –tis, idest sacerdos qui ante stat et orat pro plebe. La scelta del vocabolo non può essere casuale; l’Anonimo spiega: sommo antiste, cioè ponteficie; Ficino traduce direttamente sommo pontefice; così fanno anche tutti i moderni interpreti, con qualche sfumatura e poche eccezioni: Imbach traduce der Papst; più aderente al testo la versione Marcelli-Martelli 2004: il sommo Sacerdote", "labels": [[37, 69, "MISC"], [114, 130, "MISC"], [134, 139, "LOC"], [145, 174, "MISC"], [287, 301, "PER"], [335, 341, "PER"], [466, 472, "LOC"], [485, 490, "PER"], [526, 548, "MISC"], [559, 568, "MISC"]]} +{"text": "Ficino traduce in breve: \"e riponsi sotto el predicamento della relatione\"; l’Anonimo ha qui la stessa omissione per omeoteleuto che si trova in P. Il codice E legge illud; K e parte dei manoscritti β (D M P Ph S) hanno ad aliud. Giudicando \"impossibile [...] una scelta perentoria\", Ricci 1965 scrive che l’incertezza dei manoscritti \"deriva certo da un’abbreviazione ambigua di questo tipo: ad\" (effettivamente attestata in Ph), ma dichiara anche che \"è da aggiungere che nella terminologia scolastica l’equivalenza di relatio ad aliud e di relatio ad aliquid è perfetta e lo scambio continuo\". Imbach e Kay rimandano alla categoria di relazione (praedicamentum ad aliquid) definita da Aristotele, Categoriae, 6 a 36-7: \"‘Relative’ si dicono poi le nozioni, ciascuna delle quali, proprio ciò che è, in sé, si dice esserlo di qualcos’altro, o in qualsiasi altro modo viene riferita a qualcos’altro\"", "labels": [[0, 6, "PER"], [78, 85, "LOC"], [145, 171, "MISC"], [173, 174, "LOC"], [202, 212, "MISC"], [284, 294, "MISC"], [352, 355, "MISC"], [426, 428, "MISC"], [597, 603, "LOC"], [606, 609, "PER"], [688, 698, "PER"], [700, 710, "PER"], [724, 733, "ORG"]]} +{"text": "cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc", "labels": [[23, 32, "PER"], [147, 148, "LOC"], [153, 154, "MISC"], [194, 207, "MISC"], [225, 231, "LOC"], [239, 246, "LOC"], [285, 298, "MISC"], [315, 325, "MISC"], [354, 364, "MISC"], [367, 380, "MISC"], [509, 512, "MISC"], [535, 542, "MISC"], [627, 637, "MISC"], [693, 696, "MISC"], [748, 753, "PER"], [818, 825, "PER"], [828, 834, "PER"], [836, 852, "PER"], [854, 863, "MISC"], [961, 971, "MISC"], [1003, 1004, "PER"], [1057, 1070, "LOC"], [1073, 1086, "MISC"], [1120, 1125, "MISC"], [1136, 1139, "MISC"], [1148, 1162, "MISC"], [1222, 1229, "LOC"], [1282, 1288, "PER"], [1290, 1304, "PER"], [1306, 1310, "LOC"], [1315, 1317, "MISC"], [1319, 1322, "MISC"], [1393, 1394, "MISC"], [1416, 1417, "MISC"], [1427, 1428, "MISC"], [1449, 1450, "MISC"], [1527, 1530, "MISC"], [1541, 1547, "PER"], [1601, 1616, "PER"], [1618, 1624, "PER"], [1626, 1632, "MISC"], [1662, 1678, "MISC"], [2015, 2027, "ORG"], [2047, 2052, "PER"], [2054, 2059, "PER"], [2079, 2087, "MISC"], [2089, 2092, "MISC"], [2132, 2141, "ORG"], [2168, 2169, "MISC"], [2286, 2287, "MISC"], [2523, 2549, "PER"], [2766, 2783, "MISC"], [2816, 2821, "PER"], [2853, 2863, "MISC"], [2885, 2891, "MISC"], [2956, 2961, "PER"], [3019, 3025, "PER"], [3064, 3100, "MISC"], [3149, 3172, "MISC"], [3186, 3208, "MISC"]]} +{"text": "Kay, p. 287 nota 26, suggerisce che la “sostanza a Dio sottostante” che Dante ha in mente sia il cielo del sole, moved by the order of angels called “Powers (Potestates)”, e aggiunge: In the Paradiso, Dante follows the astrologers in associating both fathers (including popes) and rulers with the heaven of the sun [...]. Aquinas suggests what the relation of superiority is that pope and emperor have in common: “Therefore, to the [angelic] order of Powers it belongs to regulate (ordinare) what is to be done by those who are subject to them (subditis), con rimando a Summa Theologica, Ia, q. 108, a. 3 e a Kay 1994, pp. 117-9. Cfr. in proposito Cassell", "labels": [[191, 199, "WORK_OF_ART"], [0, 3, "PER"], [39, 40, "MISC"], [51, 54, "MISC"], [72, 77, "PER"], [158, 168, "PER"], [187, 199, "MISC"], [201, 206, "PER"], [322, 401, "MISC"], [413, 423, "MISC"], [451, 480, "MISC"], [492, 543, "MISC"], [545, 553, "MISC"], [570, 586, "PER"], [588, 598, "MISC"], [609, 617, "MISC"], [648, 655, "PER"]]} +{"text": "manca in Ficino (p. 401), e l’Anonimo equivoca traducendo alla festa; cfr. Ac 25, 10. Kay ricorda che Tolomeo da Lucca, nella sua continuazione del De regimine principum, III 5, fa già uso del luogo paolino per provare la legittimità dell’Impero di Roma (cfr. Maccarrone 1955, p. 101). Cfr. la voce Festo, Porcio di Clara Kraus, in ED, II, 1970, p. 847", "labels": [[0, 15, "LOC"], [30, 37, "LOC"], [86, 89, "PER"], [102, 109, "PER"], [113, 118, "LOC"], [148, 169, "MISC"], [171, 176, "MISC"], [260, 275, "MISC"], [299, 304, "PER"], [306, 327, "PER"], [332, 334, "ORG"], [336, 338, "MISC"]]} +{"text": "Ac 27, 24", "labels": []} +{"text": "Ac 28, 19", "labels": []} +{"text": "è ancora una volta un luogo paolino: Ph 1, 23. Sull’importanza di questa serie di citazioni dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere di Paolo, quale fonte preziosa per Dante, v. la lunga nota di Nardi, pp. 488-90, e v. la voce Paolo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, pp. 272-3", "labels": [[37, 41, "ORG"], [98, 117, "MISC"], [137, 142, "PER"], [169, 174, "PER"], [196, 201, "PER"], [228, 249, "PER"], [254, 256, "MISC"], [258, 260, "MISC"]]} +{"text": "Lv 11, 43. Cfr. la voce di Angelo Penna, Leviti, in ED, III, 1971, p. 636", "labels": [[0, 2, "\r\nWORK_OF_ART"], [27, 39, "PER"], [41, 47, "PER"], [52, 54, "ORG"], [56, 59, "MISC"]]} +{"text": "dalla maggiore parte (Anonimo, Ficino); se si tratti della maggioranza numerica o della parte qualitativamente prevalente o di entrambe (come abbiamo nell’espressione valenciorem [...] partem, considerata quantitate personarum et qualitate del quasi coevo Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63), non è facile dire; preferisce dei migliori fra essi Vinay; Nardi traduce quelli che eccellono fra di essi; Imbach der wichtigsten unter ihnen; Gally 1993 d’une élite d’entre eux; Shaw 1996 the most exceptional among them; invece Pézard du plus grand nombre; Ronconi 1966 e Sanguineti 1985 maggioranza; Kay their greater part; Cassell those in the majority. Ma qui non è certo in questione a vote or referendum of all mankind, come un po’ sopra le righe sembra intendere Cassell, che conclude: Note the tone of Dante’s puckish argument in allowing such a possibility – but it does give him the opportunity to wave a haughty dismissal of his stooping opponents with a flourish of tongue-in-cheek legalese!. Cfr. più oltre, III XIV 7, con la nota 18 di Kay, p. 300", "labels": [[22, 29, "LOC"], [31, 37, "PER"], [256, 270, "LOC"], [274, 292, "PER"], [296, 300, "MISC"], [306, 312, "MISC"], [314, 322, "MISC"], [377, 382, "PER"], [384, 389, "PER"], [432, 466, "MISC"], [468, 478, "MISC"], [504, 513, "MISC"], [554, 574, "MISC"], [583, 595, "MISC"], [598, 625, "MISC"], [627, 630, "PER"], [651, 658, "PER"], [759, 762, "MISC"], [795, 802, "PER"], [818, 840, "MISC"], [1046, 1049, "MISC"], [1075, 1078, "PER"]]} +{"text": "Mt 16, 18", "labels": [[0, 5, "MISC"]]} +{"text": "senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra lex vetus e lex nova come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)", "labels": [[91, 100, "MISC"], [103, 111, "MISC"], [198, 204, "PER"], [411, 415, "PER"], [417, 445, "PER"], [517, 537, "PER"], [545, 549, "LOC"], [559, 562, "LOC"], [567, 576, "LOC"], [600, 608, "PER"], [662, 666, "LOC"], [680, 700, "MISC"], [746, 766, "PER"], [784, 794, "MISC"], [796, 819, "MISC"], [825, 832, "PER"]]} +{"text": "cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent", "labels": [[16, 32, "PER"], [36, 41, "PER"], [154, 160, "LOC"], [164, 169, "MISC"], [280, 286, "MISC"], [304, 338, "MISC"], [396, 403, "PER"], [469, 474, "PER"], [492, 506, "PER"], [510, 520, "MISC"], [525, 528, "MISC"], [544, 558, "ORG"], [643, 655, "MISC"], [667, 668, "MISC"], [734, 738, "PER"], [937, 960, "MISC"], [974, 980, "PER"], [1035, 1048, "PER"], [1050, 1076, "MISC"], [1078, 1080, "MISC"], [1085, 1100, "PER"], [1115, 1129, "MISC"], [1196, 1203, "PER"], [1301, 1309, "LOC"], [1333, 1344, "PER"], [1356, 1369, "PER"], [1495, 1505, "PER"]]} +{"text": "cfr. Mt 10, 9-10: Nolite possidere aurum neque argentum neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via neque duas tunicas neque calceamenta neque virgam; dignus enim est operarius cibo suo. Cfr. sopra, III X 14. Nardi respinge altri riferimenti proposti da Ricci 1965, e Kay nota ancora una volta che Dante tratta della sollicitudo temporalis in un governmental sense, as political responsibility rather than as a concern for wordly goods. Di diverso avviso Puletti 1989, che però della meditazione di Dante sottolinea la tendenza a privilegiare un’esegesi diversa rispetto a quella in voga al suo tempo, esegesi che testimonia una spiritualità nuova e un’esigenza di rinnovamento che non coinvolge solo le istituzioni politiche, ma che riguarda la coscienza (p. 271)", "labels": [[215, 220, "PER"], [5, 10, "MISC"], [260, 270, "MISC"], [274, 277, "PER"], [304, 309, "PER"], [461, 468, "PER"], [505, 510, "PER"], [549, 552, "MISC"], [656, 659, "MISC"]]} +{"text": "\"come dicie il Filosafo ine’ libri “De Semplici Ente”\" (Anonimo); \"secondo la “Metafisicha”\" (Ficino). Cfr. Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; e v. sopra, I XIII 3, col rimando a Cv IV X 8: \"Ove è da sapere che, sì come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un’altra, generasi di quella, essendo in quello essere\"", "labels": [[15, 23, "ORG"], [27, 52, "MISC"], [56, 63, "LOC"], [78, 90, "MISC"], [94, 100, "PER"], [108, 118, "PER"], [120, 131, "PER"], [182, 187, "MISC"], [232, 240, "PER"], [368, 378, "LOC"], [409, 412, "MISC"]]} +{"text": "per Ficino e per l’Anonimo \"o della maggiore parte\", \"o della maggior parte\". Traduce \"o dei migliori\" Vinay; \"ou du plus grand nombre\" Pézard; \"o dei più eccellenti fra di essi\" Nardi; \"oder der wichtigsten Menschen\" Imbach; \"ou d’une élite\" Gally 1993; \"or of the most exceptional among them\" Shaw 1996; \"or of their prevailing part\" Kay. Kay si riferisce soprattutto a quanto già visto sopra, III XIV 1 e ricorda che l’espressione, usata qui da Dante in un senso molto vicino a quello di Marsilio da Padova, ha origine dalla traduzione di Guglielmo di Morbeke della Politica di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29)", "labels": [[569, 577, "WORK_OF_ART"], [4, 10, "PER"], [19, 26, "LOC"], [78, 85, "MISC"], [103, 108, "PER"], [136, 142, "PER"], [179, 184, "PER"], [208, 216, "LOC"], [218, 224, "LOC"], [243, 253, "MISC"], [295, 304, "MISC"], [336, 339, "PER"], [341, 344, "PER"], [448, 453, "PER"], [491, 509, "PER"], [542, 562, "PER"], [581, 591, "PER"]]} +{"text": "cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)", "labels": [[239, 243, "WORK_OF_ART"], [209, 216, "LOC"], [236, 243, "LOC"], [257, 260, "LOC"], [271, 278, "PER"], [279, 285, "PER"], [287, 288, "PER"], [303, 311, "MISC"], [319, 323, "PER"], [325, 334, "PER"], [336, 342, "MISC"]]} +{"text": "Io 13, 15", "labels": []} +{"text": "Io 21, 19", "labels": []} +{"text": "Io 18, 36. Nell’interpretazione di questa frase D. ripete quel che dicevano i teocratici salvo ad attribuire poi alle parole un significato preciso e impegnativo dal quale i suoi avversari rifuggivano (Vinay). Su questo luogo v. la voce Pilato, Ponzio di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 521", "labels": [[48, 50, "MISC"], [202, 207, "MISC"], [237, 243, "PER"], [245, 251, "PER"], [255, 267, "PER"], [272, 274, "MISC"], [276, 278, "MISC"]]} +{"text": "Ps 94, 5. La lezione Psalmista è di K + A2 E F G Ph V; tutti gli altri testimoni leggono psalmus (anche Ficino ha perché dicie el salmo così, mentre l’Anonimo scrive con ciò sia cosa che dicha il Salmista). Si è già fatto riferimento sopra, I XV 3, a quanto rileva Favati 1970, p. 11, circa le testimonianze equipollenti sul piano della documentazione codicologica in questo luogo", "labels": [[0, 2, "WORK_OF_ART"], [89, 96, "WORK_OF_ART"], [21, 30, "MISC"], [36, 48, "MISC"], [104, 110, "PER"], [151, 158, "LOC"], [196, 204, "ORG"], [265, 276, "MISC"]]} +{"text": "la Vulgata ha et siccam, e non essendo attestata una variante aridam nella tradizione della Vulgata Kay suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et aridam manus eius fundaverunt, tanto nella versione del Breviarium Ambrosianum quanto in quella del Psalterium Romanum. Peraltro, arida appartiene al racconto della creazione, Gn 1, 9-10: \"Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat arida. Et factum est ita. E vocavit Deus aridam terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum\"; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (yabbashāh), יַבֶּשֶׁת (yabbēshet): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (xerà), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente \"la terra\", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: \"e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche\". Cfr. anche le voci Salmista (Maurizio Dardano) e Salmo (Angelo Penna), in ED, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079", "labels": [[100, 103, "PER"], [3, 10, "MISC"], [92, 103, "MISC"], [112, 115, "MISC"], [146, 151, "PER"], [177, 185, "LOC"], [268, 290, "LOC"], [312, 330, "MISC"], [388, 392, "MISC"], [401, 416, "MISC"], [521, 525, "ORG"], [593, 614, "MISC"], [691, 692, "MISC"], [705, 706, "MISC"], [730, 738, "MISC"], [753, 754, "MISC"], [809, 815, "PER"], [860, 867, "LOC"], [955, 962, "MISC"], [1068, 1076, "MISC"], [1078, 1094, "PER"], [1098, 1103, "PER"], [1105, 1117, "PER"], [1123, 1125, "MISC"], [1127, 1129, "MISC"]]} +{"text": "\"in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori\" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: \"Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica\". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5", "labels": [[79, 81, "WORK_OF_ART"], [66, 71, "PER"], [82, 84, "PER"], [354, 364, "PER"], [544, 559, "MISC"], [580, 588, "LOC"], [727, 737, "PER"], [879, 891, "PER"], [988, 1000, "MISC"], [1105, 1118, "LOC"], [1198, 1205, "MISC"], [1295, 1307, "PER"], [1393, 1395, "MISC"], [1407, 1419, "MISC"], [1487, 1495, "MISC"], [1631, 1641, "LOC"], [1719, 1721, "MISC"], [1735, 1744, "MISC"], [2224, 2232, "ORG"], [2275, 2285, "PER"], [2299, 2310, "MISC"], [2372, 2380, "PER"], [2431, 2441, "PER"], [2554, 2557, "MISC"], [2950, 2980, "MISC"], [2997, 3010, "PER"], [3012, 3032, "MISC"], [3106, 3113, "PER"], [3116, 3122, "PER"], [3124, 3140, "PER"], [3142, 3149, "MISC"]]} +{"text": "\"pe’ profeti et sagri scriptori\" (Ficino); \"per li profeti e scrittori storiografi\" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), \"for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament\". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (\"AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective\"), scrive che Dante \"sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento\". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia \"the sacred writers\" Kay; similmente Ronconi 1966 (\"autori dei libri sacri\"), Nardi (\"scrittori ispirati\"), Imbach (\"die Verfasser der Heiligen Schriften\"), Shaw 1996 (\"sacred writers\") e Cassell (\"holy writers\")", "labels": [[34, 40, "PER"], [85, 92, "PER"], [111, 114, "PER"], [136, 141, "PER"], [212, 221, "MISC"], [276, 283, "MISC"], [304, 317, "MISC"], [320, 330, "MISC"], [341, 346, "MISC"], [364, 371, "ORG"], [373, 380, "MISC"], [382, 387, "ORG"], [452, 457, "PER"], [467, 472, "PER"], [576, 581, "PER"], [602, 614, "MISC"], [625, 634, "LOC"], [649, 654, "MISC"], [955, 960, "PER"], [1010, 1027, "MISC"], [1030, 1040, "MISC"], [1052, 1062, "ORG"], [1066, 1080, "PER"], [1082, 1089, "PER"], [1120, 1123, "PER"], [1136, 1143, "MISC"], [1177, 1182, "PER"], [1207, 1213, "LOC"], [1256, 1265, "MISC"], [1287, 1294, "PER"]]} +{"text": "è ancora allusione all’autentica Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la già ricordata Novella giustinianea che afferma solennemente che sacerdotium e imperium procedono l’uno e l’altro, come maxima dona Dei, \"ex uno eodemque principio\"; cfr. sopra, III X 5", "labels": [[33, 59, "MISC"], [61, 65, "MISC"], [67, 71, "ORG"], [85, 88, "MISC"], [99, 106, "PER"], [107, 113, "PER"], [115, 118, "LOC"], [148, 155, "MISC"], [265, 268, "MISC"]]} +{"text": "in questa areola, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono in arcula ista mortalium T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo aresco –scis inchoativum, quod componitur inaresco et exaresco; et ab aresco hec area –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur area quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec areola –e diminutivum. Vinay traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di Par., XXII, 151; l’“angustissimi mundi area” di Ep. VII, 4. (Cfr. Boezio, De consolatione, II, pr. 7); e v. la voce Aiuola, in ED, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [areola] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per Pd XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in Pd XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche Cassell e Scott 2010, p. 270 e nota 101", "labels": [[42, 51, "MISC"], [53, 60, "LOC"], [104, 110, "PER"], [146, 157, "MISC"], [159, 168, "ORG"], [170, 175, "MISC"], [180, 199, "MISC"], [553, 558, "PER"], [649, 652, "MISC"], [655, 659, "MISC"], [697, 699, "LOC"], [701, 704, "LOC"], [710, 713, "MISC"], [715, 721, "PER"], [723, 738, "PER"], [740, 742, "PER"], [765, 771, "LOC"], [776, 778, "ORG"], [780, 781, "MISC"], [892, 901, "MISC"], [1182, 1193, "MISC"], [1226, 1237, "MISC"], [1297, 1298, "MISC"], [1326, 1327, "MISC"], [1379, 1402, "MISC"], [1518, 1525, "PER"], [1528, 1533, "PER"]]} +{"text": "\"sanza nessuno mezzo\" (Anonimo); \"sanza mezo alcuno\" (Ficino). Scrive a commento Kay, che ricorda ancora una volta la principale fonte romanistica di Dante, cioè la Novella VI di Giustiniano: \"This is the conclusion of the proof positive in this chapter; it excludes both the pope and the electors\". Cfr. sopra, III XVI 13 e quanto ricordato a commento di III I 5", "labels": [[54, 60, "PER"], [81, 84, "PER"], [150, 155, "PER"], [165, 175, "MISC"], [179, 190, "PER"], [193, 228, "MISC"]]} +{"text": "nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, Consolatio Philosophiae, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di arx Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec arx –cis pro roca, quia arceat hostem. Vinay traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; Nardi nella rocca; Imbach in der Höhe; Shaw 1996 e Kay in the citadel; ecc. Pézard, traducendo dans le fort château, propone di emendare unitus in munitus (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da Kay e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore monitus); cfr. anche Pézard 1967-79, II, pp. 160-5", "labels": [[92, 98, "PER"], [106, 112, "PER"], [114, 137, "LOC"], [139, 141, "PER"], [147, 149, "MISC"], [154, 158, "LOC"], [255, 268, "PER"], [270, 275, "MISC"], [281, 316, "MISC"], [338, 343, "PER"], [398, 403, "PER"], [417, 423, "PER"], [431, 435, "LOC"], [437, 446, "MISC"], [449, 467, "MISC"], [474, 480, "PER"], [616, 626, "MISC"], [668, 671, "PER"], [677, 681, "LOC"], [730, 741, "MISC"], [746, 748, "PER"]]} +{"text": "v. la voce Reverenza di Alessandro Niccoli, in ED, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la paternitas) rispetto a quella dell’imperatore (il dominium), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. Kay Cv I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e Cv IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il sacerdotium e l’imperium sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. Iuramentum Imperatoris (6 luglio 1313), in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione", "labels": [[11, 20, "MISC"], [24, 42, "PER"], [47, 49, "MISC"], [51, 53, "MISC"], [94, 103, "PER"], [106, 111, "MISC"], [362, 365, "MISC"], [409, 418, "MISC"], [420, 424, "MISC"], [454, 462, "MISC"], [549, 554, "MISC"], [700, 717, "LOC"], [740, 750, "PER"], [754, 765, "PER"], [767, 772, "PER"], [824, 830, "ORG"], [841, 847, "LOC"], [1028, 1036, "PER"], [1119, 1125, "PER"], [1284, 1288, "LOC"], [1290, 1294, "ORG"], [1308, 1311, "MISC"], [1322, 1329, "MISC"], [1423, 1433, "PER"], [1467, 1492, "PER"], [1513, 1516, "MISC"], [1518, 1533, "PER"], [1535, 1552, "MISC"], [1588, 1590, "MISC"], [1599, 1606, "MISC"]]} +{"text": "The crucial question, however, is whether filial reverence involves obedience. Dante’s answer is negative, for in the Convivio he considers reverence and obedience to be mutually exclusive. An adolescent son owes his father obedience (Conv. 4.24.14-15), but when the son reaches the age of discretion, which Dante takes to be twenty five, then he no longer needs to rely on paternal guidance, and his obedience is replaced by reverence towards his father, which is product of his discretion (Conv. 4.8.1). Accordingly, Dante is saying here that the emperor owes the pope reverence but not obedience (Kay). Che la filiale reverentia dantesca (confessione di debita subiezione) non possa essere interpretata semplicemente come una relazione potestativa in senso dominativo, è chiaro anche da quanto spiega Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 4, distinguendo tra ius paternum e ius dominativum", "labels": [[0, 20, "MISC"], [79, 84, "PER"], [235, 239, "PER"], [302, 313, "PER"], [339, 391, "PER"], [393, 454, "MISC"], [456, 490, "MISC"], [492, 496, "MISC"], [506, 517, "PER"], [519, 524, "PER"], [600, 603, "PER"], [804, 811, "PER"], [814, 820, "PER"], [822, 838, "PER"], [840, 843, "MISC"], [844, 848, "ORG"]]} \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/from_doccano_hdn1.json b/commentaries/data_parsed/doccano_data/from_doccano_hdn1.json new file mode 100644 index 0000000..bf07d3c --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/from_doccano_hdn1.json @@ -0,0 +1,100 @@ +{"id": 2227, "text": "per Brugnoli il solenne incipit ricalca certamente Sallustio, Catilinae coniuratio, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit; il luogo era noto a Dante probabilmente attraverso monita o forse per un tramite simile a Isidoro, Etymologiae, XI 15 che pure riporta in parte e per lo stesso scopo di D. il prologo di Sallustio (Giorgio Brugnoli, Sallustio Crispo, Caio, in ED, IV, 1973, p. 1077)", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[4, 12, "LOC"], [51, 60, "PER"], [307, 312, "PER"], [377, 384, "PER"], [473, 482, "PER"], [484, 500, "PER"], [386, 397, "WORK_OF_ART"], [456, 458, "PER"], [529, 531, "WORK_OF_ART"], [62, 82, "WORK_OF_ART"], [502, 524, "PER"]]} +{"id": 2230, "text": "la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[128, 133, "PER"], [156, 172, "PER"], [177, 210, "WORK_OF_ART"], [63, 65, "WORK_OF_ART"], [113, 115, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2233, "text": "cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (\"lo fondamento radicale della imperiale maiestade\"), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[19, 22, "PER"], [48, 53, "PER"], [91, 96, "PER"], [490, 495, "PER"], [651, 656, "PER"], [681, 688, "PER"], [690, 697, "PER"], [737, 755, "PER"], [712, 733, "WORK_OF_ART"], [295, 300, "PER"], [368, 370, "WORK_OF_ART"], [590, 595, "PER"], [761, 772, "PER"]]} +{"id": 2242, "text": "sull’importanza di questi passi e del \"procedimento astratto di ascesa dal particolare al generale\" v. la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, pp. 1356-7; qui così come in Mn I iii 4 e I v 6, vicinia non è il \"borgo\" (Vinay) o \"la struttura del borgo\" (Pizzica 1988), non la \"contrada\" (Sanguineti 1985) o il \"rione\" (Marcelli-Martelli 2004), e neppure \"il villaggio\" (Nardi; Imbach: \"ein Dorf\"), se non come una “struttura sociale-giuridica”; è la vicinanza di Cv IV iv 2: \"E sì come un uomo a sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famiglia, così una casa a sua sufficienza richiede una vicinanza: altrimenti molti difetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. E però che una vicinanza [a] sé non può in tutto satisfare, conviene a satisfacimento di quella essere la cittade. Ancora la cittade richiede alle sue arti e alle sue difensioni vicenda avere e fratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto lo regno\". La matrice aristotelica ovviamente risalta (cfr. Aristotele, Politica, 1252 a 24 – 1253 b 37, e v. in proposito la voce Politica di Enrico Berti, ED, I, 1970, p. 585, che nota la stretta aderenza alla fonte, la cui diretta conoscenza è invece contestata da Gilbert 1928). Qui è tracciata una \"interessante gradatio\" (Bruno Basile, Vicinanza, in ED, V, 1976, p. 10002), una gradazione ascendente che implica una scala delle potestà: da quella esercitata nella domus e nella vicinia, fino alla civitas e al regnum. Sia pure rovesciandone la sequenza, la ricalca con evidenza Bartolo, a poco più di una generazione dalla morte di Dante, nel suo De tyranno (ed. Quaglioni 1983, pp. 175-213).", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[114, 123, "PER"], [395, 400, "PER"], [1023, 1033, "PER"], [1106, 1118, "PER"], [1231, 1238, "PER"], [1291, 1303, "PER"], [1601, 1606, "PER"], [244, 249, "PER"], [402, 408, "WORK_OF_ART"], [1035, 1043, "WORK_OF_ART"], [1094, 1102, "WORK_OF_ART"], [1120, 1125, "WORK_OF_ART"], [1319, 1321, "WORK_OF_ART"], [1547, 1554, "PER"], [1616, 1626, "WORK_OF_ART"], [126, 128, "WORK_OF_ART"], [198, 200, "WORK_OF_ART"], [279, 286, "PER"], [313, 323, "PER"], [488, 490, "WORK_OF_ART"], [344, 361, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2261, "text": "\"nella casa\" (Ficino), \"una casa\" (Anonimo, p. 134); Nardi: \"una famiglia\", ma in apparato precisa: \"unità familiare (domus per Dante come per la traduzione latina della Politica aristotelica ad opera di Guglielmo di Moerbeke; in greco o„k…a e o‡koj, 1252 b 10 sgg.)\"; bene \"household\" (Shaw 1996 e Kay, che chiosa: \"Sometimes translated “family”, but “household” is more precise because Aristotle has in mind kinsfolk living under the same roof. For him, an extended family living under several roofs constitutes the next larger unit, the neighborhood\", con la citazione di Aristotele, Politica, 1252 b 15-9). A Vinay non par dubbio \"che “unam” sia articolo indeterminato\". Cfr. Domenico Consoli, Famiglia, in ED, II, 1970, pp. 789-90. Sulla \"rassegna\" che qui comincia cfr. ancora, la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1357.", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[14, 20, "PER"], [53, 58, "PER"], [128, 133, "PER"], [204, 225, "PER"], [299, 302, "PER"], [575, 585, "PER"], [613, 618, "PER"], [680, 696, "PER"], [795, 804, "PER"], [35, 42, "PER"], [170, 191, "WORK_OF_ART"], [587, 595, "WORK_OF_ART"], [711, 713, "WORK_OF_ART"], [287, 291, "PER"], [388, 397, "PER"], [807, 809, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2229, "text": "l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a \"public teachings\", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[1936, 1941, "PER"], [505, 512, "PER"], [554, 570, "MISC"], [962, 967, "PER"], [995, 1007, "WORK_OF_ART"], [1048, 1063, "PER"], [1065, 1070, "WORK_OF_ART"], [1301, 1310, "PER"], [1468, 1473, "PER"], [1780, 1798, "PER"], [1883, 1889, "ORG"], [2012, 2022, "PER"], [2141, 2144, "PER"], [2501, 2506, "PER"], [2675, 2681, "PER"], [2684, 2692, "PER"], [1567, 1574, "PER"], [1754, 1776, "WORK_OF_ART"], [2562, 2568, "WORK_OF_ART"], [2613, 2629, "WORK_OF_ART"], [833, 840, "WORK_OF_ART"], [2066, 2070, "PER"], [2023, 2027, "MISC"], [2071, 2075, "MISC"], [2580, 2590, "PER"], [2597, 2605, "WORK_OF_ART"], [2633, 2640, "PER"], [2641, 2645, "MISC"]]} +{"id": 2228, "text": "per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come \"Dio\" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: \"la natura di sopra, cioè Dio\"), ritenendola una \"espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”\" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo \"dall’alto\", né mi pare più appropriato tradurre \"una forza soprannaturale\" (Ronconi 1966). Che \"non di tutti gli uomini\" si parli qui, \"né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità\" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale \"Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7\". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: \"c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques\", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: \"La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal\"); a \"lo motor primo\" di Pg XXV 70 rinvia Kay: \"Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know\". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità \"with a formula common in the study of law\", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che \"all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare\" (come in VE I iv 6: \"imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est\").", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[164, 169, "PER"], [931, 936, "PER"], [960, 965, "PER"], [1163, 1173, "PER"], [1569, 1579, "PER"], [1589, 1594, "PER"], [2325, 2330, "PER"], [2459, 2466, "PER"], [2715, 2723, "PER"], [2734, 2742, "PER"], [2843, 2845, "MISC"], [2857, 2869, "PER"], [119, 121, "WORK_OF_ART"], [338, 345, "PER"], [525, 530, "WORK_OF_ART"], [804, 808, "WORK_OF_ART"], [1006, 1029, "WORK_OF_ART"], [1822, 1830, "WORK_OF_ART"], [1954, 1963, "WORK_OF_ART"], [1986, 1994, "WORK_OF_ART"], [2096, 2102, "PER"], [2111, 2117, "PER"], [2319, 2322, "PER"], [2446, 2453, "PER"], [2882, 2884, "WORK_OF_ART"], [92, 106, "WORK_OF_ART"], [692, 699, "PER"], [896, 901, "PER"], [2081, 2088, "PER"], [2192, 2194, "WORK_OF_ART"], [2209, 2211, "WORK_OF_ART"], [2302, 2304, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2231, "text": "alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di publice in E, come se il suo codice avesse posteritati traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la ratio del ius publicum nella partizione scolastica di pubblico e privato in Inst. 1, 1, § 4 e in Dig. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (Vinay, Ronconi 1966), a pro del viver civile (Nardi), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (Imbach); the benefit of all (Shaw 2006). Pézard non traduce", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[40, 46, "PER"], [588, 594, "PER"], [31, 38, "PER"], [294, 298, "WORK_OF_ART"], [315, 318, "WORK_OF_ART"], [427, 432, "PER"], [434, 441, "PER"], [473, 478, "PER"], [547, 553, "PER"], [333, 347, "WORK_OF_ART"], [503, 510, "PER"], [576, 580, "PER"]]} +{"id": 2232, "text": "“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: \"Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere\". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): \"Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret\" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: \"Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant\" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: \"monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps\" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: \"Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur\" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia \"temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum\" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive \"universale dominium dicitur monarchia\" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: \"monarchia sive gubernatio unius regis\" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[157, 159, "WORK_OF_ART"], [96, 114, "PER"], [420, 430, "PER"], [1820, 1825, "LOC"], [1843, 1860, "ORG"], [1917, 1934, "PER"], [1936, 1951, "PER"], [2136, 2139, "PER"], [130, 132, "WORK_OF_ART"], [1418, 1421, "WORK_OF_ART"], [1423, 1438, "WORK_OF_ART"], [1504, 1511, "PER"], [1957, 1967, "WORK_OF_ART"], [1978, 1995, "WORK_OF_ART"], [2180, 2186, "PER"], [2202, 2218, "WORK_OF_ART"], [2220, 2227, "PER"], [2244, 2251, "PER"], [2513, 2520, "PER"], [3032, 3039, "PER"], [3093, 3098, "PER"], [3304, 3322, "PER"], [3551, 3567, "PER"], [3595, 3600, "PER"], [3678, 3683, "PER"], [2418, 2434, "WORK_OF_ART"], [2477, 2487, "WORK_OF_ART"], [2489, 2496, "PER"], [2582, 2604, "WORK_OF_ART"], [3009, 3026, "WORK_OF_ART"], [3204, 3211, "WORK_OF_ART"], [3218, 3224, "WORK_OF_ART"], [3351, 3365, "WORK_OF_ART"], [3527, 3533, "PER"], [3606, 3629, "WORK_OF_ART"], [3716, 3723, "PER"], [3811, 3832, "WORK_OF_ART"], [300, 312, "PER"], [1440, 1491, "WORK_OF_ART"], [2117, 2121, "PER"], [2282, 2299, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2234, "text": "l'Anonimo ha sopra tutti, Ficino in quelle cose. Così tra i moderni anche Nardi, tra quelle cose e su quelle cose, Imbach, in allem und über alles, e Shaw 1996, in those things and over those things. Non vedo ragioni per intendere in ciò e al di sopra di ciò (Marcelli-Martelli 2004), e meno che mai tra quelle istituzioni che si definiscono in un ambito temporale e tuttavia superiore ad esse, come traduce Pizzica 1988, che segue Ricci 1965 rinviando a Cv IV IV 7; l' però Dante, con trasparente allusione al principio romanistico Quod principi placuit, legis habet vigorem (Dig. 1, 4, 1 pr.: Mommsen-Krüger, I, p. 7), si limita a definire l'ufficio della maiestas imperiale come vertice del potere: E questo officio per eccellenza Imperio è chiamato, sanza nulla addizione, però che esso è di tutti li altri comandamenti comandamento. E così chi a questo officio è posto è chiamato Imperadore, però che di tutti li comandatori elli è comandatore, e quello che esso dice a tutti è legge, e per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade. E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade essere altissima nell'umana compagnia. Io penso invece a Cv IV IX 8-9, dove appunto si ricorda che all'imperatore si deve un'obbedienza legittima, cioè limitata alla sua iurisdictio (che non eccede il temporale): questo officiale [...] di cui si parla, cioè lo Imperadore, al quale tanto quanto le nostre operazioni propie, che dette sono, si stendono, siamo subietti; e più oltre no; cfr. più sotto, I XIV 7", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[26, 32, "PER"], [74, 79, "PER"], [115, 121, "PER"], [2, 9, "PER"], [577, 580, "WORK_OF_ART"], [475, 480, "WORK_OF_ART"], [150, 154, "PER"], [408, 415, "PER"], [432, 437, "PER"], [455, 457, "WORK_OF_ART"], [1210, 1212, "WORK_OF_ART"], [260, 277, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2235, "text": "ogni verità che nonn-è prencipio (Ficino), ongni verità che non è principio (Anonimo). Così con pulizia anche Nardi: ogni verità che non sia un principio. Non si vede la necessità di tradurre ogni verità che non sia assiomatica (Pizzica 1988), troppo distante dalla terminologia dantesca; similmente Ronconi 1966: un postulato; Vinay preferisce parafrasare: Per risolvere tali problemi, la prima cosa da fare mi sembra sia ricercare un principio tale da poter fondare su di esso il seguito del discorso, allegando il commento tomista ai Secondi Analitici di Aristotele (99 b 20), sulla necessità, per ogni scienza dimostrativa, di procedere da proposizioni per sé evidenti: necesse est quod demonstrativa scientia, idest que per demonstrationem acquiritur, procedat ex propositionibus veris primis et immediatis idest que non per aliquod medium demonstrantur sed per seipsas sunt manifeste. Si tratta appunto di ciò che Dante chiama lo fondamento radicale in Cv IV IV 1 (cfr. sopra, I I 5) e intelletto / de le prime notizie in Pg XVIII 55-6. Cfr. la voce Proposizione di Barbara Faes de Mottoni, ED, IV, 1973, pp. 710-1; Kay allega a proposito la voce Principio di Alfonso Maierù, ivi, pp. 673-7 (pp. 675-6 per il luogo in esame); e cfr. del compianto studioso anche la già citata voce Verità, in ED, V, 1976, pp. 962-4", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[34, 40, "PER"], [110, 115, "PER"], [328, 333, "PER"], [558, 568, "PER"], [920, 925, "PER"], [1072, 1095, "PER"], [77, 84, "PER"], [537, 554, "WORK_OF_ART"], [1122, 1125, "PER"], [1166, 1180, "PER"], [1298, 1300, "WORK_OF_ART"], [300, 307, "PER"], [229, 236, "PER"], [959, 961, "WORK_OF_ART"], [1028, 1030, "WORK_OF_ART"], [1097, 1099, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2236, "text": "qui tractatus ha il significato non generico di “raccolta ordinata di quaestiones intorno ad un unico soggetto”; stessa specificità ha il termine inquisitio, \"indagine\", \"inchiesta\", \"investigazione\" o solo \"inquisizione\" (Ficino e l’Anonimo, p. 129, conservano \"inquisitione\", \"inquisizione\"), termine tecnico che allude al procedere del giudizio per quaestiones, tanto nel dominio della logica quanto in quello della prassi giudiziale (ordo iudiciorum); v. la voce Inquisizione, in ED, III, 1971, p. 458, a proposito del luogo in esame e con rimando a Cicerone, De officiis, I 4 13 (\"veri inquisitio atque investigatio\"). Vinay intende \"una ricerca sillogistica\", Ronconi 1966 \"una ricerca deduttiva\" e Sanguineti 1985 \"un’indagine sillogistica\"; Kay spiega: \"an investigation that follows Aristotle’s scientific method\"; eludono il senso tecnico dell’espressione la traduzione \"una qualche ricerca\" (Marcelli-Martelli 2004).", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[223, 229, "PER"], [554, 562, "PER"], [624, 629, "PER"], [705, 715, "PER"], [749, 752, "PER"], [234, 241, "PER"], [484, 486, "WORK_OF_ART"], [564, 575, "WORK_OF_ART"], [666, 673, "PER"], [903, 920, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2239, "text": "come quello che per primo muove chi agisce (Nardi, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 674-5 e Imbach, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. 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Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: \"se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico\"; Nardi: \"se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano\"; Imbach: \"das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung\" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge \"la fin universelle du genre humain\"); e Shaw 1996: \"the purpose of the whole of human society\"; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: \"Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice\", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle \"forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga\" e sulla concezione dantesca della \"civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”\". Anche Vinay ricorda che in Dante \"il concetto è più sfumato e complesso\" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (\"ad sulcos bone civilitatis\") e VIII 3 (\"sancte civilitatis exempla\"), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e \"nettamente politico\", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: \"quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur\". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di \"sub eadem civilitatem morantes\". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è \"scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia\".", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[138, 145, "PER"], [244, 250, "PER"], [417, 422, "PER"], [495, 500, "PER"], [577, 583, "PER"], [1435, 1449, "PER"], [1900, 1905, "PER"], [1921, 1926, "PER"], [2491, 2494, "PER"], [2594, 2603, "PER"], [2778, 2783, "PER"], [2842, 2852, "PER"], [2901, 2914, "PER"], [2991, 2996, "PER"], [1505, 1526, "WORK_OF_ART"], [2358, 2394, "WORK_OF_ART"], [2919, 2940, "WORK_OF_ART"], [284, 290, "PER"], [304, 311, "PER"], [654, 660, "PER"], [723, 727, "PER"], [1011, 1013, "WORK_OF_ART"], [1191, 1198, "PER"], [1265, 1270, "PER"], [2250, 2266, "PER"], [2719, 2724, "PER"], [2053, 2055, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2243, "text": "Vinay, pp. 16-7 nota 2, ricordando che su questo luogo, a pochissimi anni dalla morte di Dante, cominciò ad appuntarsi la polemica del Vernani (ed. Matteini 1958, pp. 10-6), avverte: Il passo va considerato attentamente perché essenziale ad una esatta interpretazione della Mon. D. dice che, come ogni membro del corpo umano risponde ad un fine diverso da quello delle sue parti, così la umanità risponde ad un fine diverso da quello dei singoli uomini e dei singoli raggruppamenti politico-sociali. Non so se tutto il ragionamento dantesco rientri, secondo parve al Vinay, come costruzione logica (non nei risultati a cui porta) nell'ortodossia tomistica, ma certo è utile il raffronto con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[0, 5, "PER"], [89, 94, "PER"], [135, 142, "PER"], [691, 707, "PER"], [274, 277, "WORK_OF_ART"], [567, 572, "PER"], [709, 725, "WORK_OF_ART"], [148, 156, "WORK_OF_ART"], [279, 281, "PER"]]} +{"id": 2244, "text": "cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828. ARTE SUA, QUE NATURA EST: cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[175, 180, "PER"], [316, 328, "PER"], [459, 475, "PER"], [843, 851, "PER"], [1035, 1058, "MISC"], [1064, 1071, "PER"], [1128, 1141, "PER"], [1144, 1164, "MISC"], [1177, 1190, "MISC"], [1218, 1222, "MISC"], [1368, 1383, "PER"], [1403, 1412, "PER"], [1420, 1423, "MISC"], [341, 343, "WORK_OF_ART"], [477, 493, "WORK_OF_ART"], [898, 902, "WORK_OF_ART"], [916, 919, "WORK_OF_ART"], [935, 949, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2247, "text": "Aristotele, De caelo, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma cum Deus et natura in necessariis non deficiat. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso otiosum è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. Mn III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a \"indarno\", come in Cv III xv 8-9: \"A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato\". Pézard rimanda a Pd VIII 113-4: \"E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”\"; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: \"La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati\". Cassell nota che \"Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, “otiosum”, instead of William of Moerbeke’s rendering, “frustra”, in the De cælo et mundo\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 10, "PER"], [216, 228, "PER"], [414, 419, "PER"], [1114, 1121, "PER"], [1132, 1137, "PER"], [12, 20, "WORK_OF_ART"], [241, 243, "WORK_OF_ART"], [833, 839, "PER"], [264, 270, "PER"], [381, 383, "WORK_OF_ART"], [453, 455, "WORK_OF_ART"], [850, 852, "WORK_OF_ART"], [956, 974, "PER"], [1146, 1165, "PER"], [1246, 1262, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2250, "text": "Vinay spiega con il Compendium Theologiae tomista che il termine apprehensivum \"indica la capacità elementare di accogliere in sé delle forme\" mediante le facoltà sensitive; quanto all’intelletto possibile, \"id per quod homo intelligit\", appunto giusta la dottrina tomista, \"come potenza ricettiva invece che attiva di forma, non può compiere esso il lavorio occorrente ad astrarre dalle forme ‘particulares’ i concetti, cioè gli universali, che solo esso può accogliere perché costituiscono ciò ch’è veramente intelligibile\"; perciò è necessario porre un altro intelletto (l’intelletto agente), che renda intelligibili in atto le specie intelligibili in potenza (come la luce rende attualmente visibili i colori visibili solo potenzialmente, secondo esemplifica lo stesso Tommaso).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 5, "PER"], [773, 780, "PER"], [20, 41, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2251, "text": "traduco alla lettera, come del resto è già in Ficino (et none altro) e in molti dei moderni interpreti, a cominciare da Pézard; Gally 1993 ha uniquement intellectuelles, che echeggia il puramente intellettuali di Vinay, seguito da altri. Cfr. più oltre, I XII 5. Sono appunto queste le intelligenze angeliche che presiedono al moto dei corpi celesti, per le quali è d'obbligo il rimando a Cv II IV 1-17, dove Dante le definisce movitori [...] sustanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli, descrivendone il perfettissimo stato e affermando che lo 'ntelletto loro è uno e perpetuo, giacché esse non hanno altra operazione che l'intendere, come spiega Busnelli 1964 (I, p. 128), sottolineando una strettissima dipendenza di Dante dal Tommaso della Summa contra Gentiles, II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere. Per tutto ciò più in generale cfr. Bemrose 1983, p. 68. E", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[46, 52, "PER"], [120, 126, "PER"], [213, 218, "PER"], [409, 414, "PER"], [767, 772, "PER"], [777, 796, "PER"], [804, 812, "PER"], [128, 133, "PER"], [389, 391, "WORK_OF_ART"], [695, 703, "PER"], [1520, 1527, "PER"]]} +{"id": 2252, "text": "è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un \"intolerabilis error\", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha \"e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione\", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce \"et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo\"), lezione già ritenuta \"ineccepibile\" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò \"il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione\", giudicando il passo di difficile interpretazione \"per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”\"; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile \"imprecisione verbale\", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a \"non sunt nisi actu intelligentes\", perché \"in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico\", e respinge poi come \"poco dantesca\" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che \"le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici\" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto \"and their existence is nothing other than understanding that they are essences\", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’\"interciso\" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene \"sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo\"). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce \"their very being is simply the act of understanding that their own nature exists\". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: \"Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione\"; esso può dunque “tradurre” l’\"intelligere [...] continuum et semper\" delle creature angeliche che presiede al moto \"semper continuus\" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: \"E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione\"; e dove conclude (10-1 e 13): \"Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori\". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: \"È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”\". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: \"e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[411, 417, "PER"], [1118, 1123, "PER"], [1471, 1478, "PER"], [805, 809, "PER"], [1553, 1569, "PER"], [2091, 2096, "PER"], [2231, 2236, "PER"], [2257, 2260, "PER"], [2774, 2779, "PER"], [2964, 2969, "PER"], [3113, 3118, "PER"], [3718, 3723, "PER"], [3936, 3941, "PER"], [3959, 3972, "PER"], [3978, 3985, "PER"], [4014, 4024, "PER"], [4284, 4294, "PER"], [5293, 5303, "PER"], [5688, 5698, "PER"], [5786, 5796, "PER"], [6017, 6025, "PER"], [6226, 6232, "PER"], [2835, 2850, "WORK_OF_ART"], [3145, 3154, "PER"], [4305, 4315, "WORK_OF_ART"], [5798, 5809, "WORK_OF_ART"], [6030, 6054, "WORK_OF_ART"], [64, 69, "PER"], [95, 102, "PER"], [261, 287, "WORK_OF_ART"], [304, 310, "PER"], [327, 333, "PER"], [717, 723, "PER"], [776, 781, "PER"], [921, 926, "PER"], [960, 968, "PER"], [1005, 1013, "PER"], [1971, 1981, "PER"], [2006, 2016, "PER"], [2750, 2752, "WORK_OF_ART"], [2935, 2939, "PER"], [3661, 3682, "WORK_OF_ART"], [3917, 3919, "WORK_OF_ART"], [5320, 5325, "WORK_OF_ART"], [5645, 5653, "PER"]]} +{"id": 2253, "text": "cfr. Commentum magnum in Aristotelis De anima libros, III 5, p. 410. \"La “sententia” sulla quale anche Averroè sarebbe d’accordo, è la necessità di una pluralità per l’attuazione della potenza intellettiva umana. D., credo, allude genericamente al principio basilare del commento al terzo libro del De anima che la “continuatio” dell’intelletto separato con l’indivisuo avviene per mezzo delle “intentiones imaginatae”, donde la necessità di una esperienza molteplice senza la quale si cade nell’assurdo di una forza che non è forza di nulla\" (Vinay).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[103, 110, "PER"], [5, 21, "WORK_OF_ART"], [299, 307, "WORK_OF_ART"], [544, 549, "PER"], [25, 36, "PER"], [37, 52, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2248, "text": "l'espressione ha carattere tecnico. L'operatio è essenziale nella perfezione delle creature, come argomenta Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[108, 124, "PER"], [126, 142, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2254, "text": "non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. Prudenza di Philippe Delhaye, in ED, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[174, 184, "PER"], [232, 248, "PER"], [370, 377, "PER"], [444, 460, "PER"], [469, 471, "MISC"], [186, 206, "WORK_OF_ART"], [250, 266, "WORK_OF_ART"], [465, 467, "WORK_OF_ART"], [14, 21, "PER"], [524, 533, "PER"]]} +{"id": 2255, "text": "Aristotele, Physica, 243 b 11-2: \"sedendo e riposando l’anima diventa sapiente e prudente\". Si suole ricordare che questa fu la risposta data a Dante, che lo aveva rimproverato per la sua pigrizia, dal liutaio Belacqua (v. la relativa voce di Francesco Salsano, in ED, I, 1970, pp. 556-8, e cfr. Carpi 2004, I, p. 141 e p. 286), di cui Dante traccia un sapido ritratto in Pg IV 97-139, in part. vv. 109-11: \"“O dolce segnor mio”, diss’io, “adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia”\". L’aneddoto, dell’Anonimo Fiorentino, è nel commento della Chiavacci Leonardi 1994, p. 128: \"Questo Belacqua fu uno cittadino da Firenze, artefice, e facea cotai colli di liuti e di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli veniva la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l’Auttore fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua negligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose con le parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l’Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te\". Ed è forse in questo contesto che occorre collocare la frase con cui Belacqua interrompe il colloquio di Dante e Virgilio nella penosa ascesa della montagna del Purgatorio, ai vv. 97-9: \"E com’elli ebbe sua parola detta, / una voce di presso sonò: “Forse / che di sedere in pria avrai distretta!”\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 10, "PER"], [144, 149, "PER"], [210, 218, "PER"], [243, 260, "PER"], [336, 341, "PER"], [544, 562, "PER"], [655, 662, "LOC"], [1055, 1065, "PER"], [1287, 1295, "PER"], [1323, 1328, "PER"], [1331, 1339, "PER"], [12, 19, "WORK_OF_ART"], [626, 634, "PER"], [1022, 1030, "PER"], [1379, 1389, "WORK_OF_ART"], [372, 374, "WORK_OF_ART"], [585, 603, "PER"], [265, 267, "WORK_OF_ART"], [296, 301, "PER"]]} +{"id": 2256, "text": "cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp., dov'è allegato Aristotele, Metaphysica, 982 a 8. In Cv IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. Vinay ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus testimoniorum, v. Prudentia est: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [Dig. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [Dig. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[119, 135, "PER"], [200, 210, "PER"], [288, 293, "PER"], [429, 447, "PER"], [1803, 1811, "PER"], [137, 153, "WORK_OF_ART"], [212, 223, "WORK_OF_ART"], [403, 425, "WORK_OF_ART"], [656, 679, "WORK_OF_ART"], [1127, 1130, "WORK_OF_ART"], [1240, 1243, "WORK_OF_ART"], [631, 654, "PER"], [1725, 1734, "PER"]]} +{"id": 2257, "text": "vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società\" (Vinay), ma non sembra si possa affermare che \"“tranquillitas” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra\". Dante usa tranquillitas, da sola o insieme con pax, in I v 8: cum maiori fiducia sue tranquillitatis; I xvi 2: in pacis universalis tranquillitate; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui pax e tranquillitas si fondono: \"Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse tranquillitas, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt\". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che tranquillitas occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: \"in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit\" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[178, 183, "PER"], [493, 498, "PER"], [910, 927, "LOC"], [1012, 1017, "PER"], [1786, 1804, "PER"], [2090, 2100, "PER"], [2379, 2388, "LOC"], [245, 247, "PER"], [760, 768, "WORK_OF_ART"], [1053, 1073, "WORK_OF_ART"], [1768, 1782, "WORK_OF_ART"], [1817, 1823, "PER"], [1971, 1985, "WORK_OF_ART"], [2179, 2201, "WORK_OF_ART"], [2222, 2225, "WORK_OF_ART"], [2227, 2242, "WORK_OF_ART"], [2308, 2315, "WORK_OF_ART"], [2427, 2434, "PER"], [1692, 1702, "PER"], [1842, 1849, "PER"], [2244, 2295, "WORK_OF_ART"], [2523, 2532, "PER"]]} +{"id": 2258, "text": "H legge iuxta illud psalmiste; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. Ps 8, 6, ripetuto in Heb 2, 7. Dante lo cita già in Cv IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe Kay, the comparison between men and angels in Mn I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[138, 140, "WORK_OF_ART"], [89, 95, "PER"], [126, 131, "PER"], [169, 174, "PER"], [352, 355, "PER"], [38, 45, "PER"], [159, 162, "WORK_OF_ART"], [190, 192, "WORK_OF_ART"], [445, 455, "WORK_OF_ART"], [398, 400, "PER"]]} +{"id": 2259, "text": "Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[85, 103, "PER"], [105, 119, "WORK_OF_ART"], [132, 138, "PER"], [0, 2, "WORK_OF_ART"], [11, 13, "WORK_OF_ART"], [36, 38, "WORK_OF_ART"], [47, 49, "WORK_OF_ART"], [360, 365, "PER"], [367, 369, "WORK_OF_ART"], [489, 491, "WORK_OF_ART"], [700, 702, "WORK_OF_ART"], [767, 777, "PER"]]} +{"id": 2260, "text": "per declarata cfr. sopra, I iv 1; è “patente” ciò che “si mostra apertamente”, ciò che non ha bisogno di essere provato (cfr. Uguccione, P 38 1-2: \"pateo –es –ui passum, idest aperiri, videri, manifestari, manifestum esse vel diffundi; et dicitur patet quasi palam tenet [...]; unde patens\"). Debole la traduzione di Vinay (\"risulta\"), così come quella di Nardi (\"appare\"); anche Shaw 1996 e Kay hanno semplicemente \"clear\"; meglio Sanguineti 1985: \"risulta dunque evidente\"; l’Anonimo (p. 133) e Ficino (p. 333) traducono \"è manifesto\". Cfr. più avanti, I x 2.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[317, 322, "PER"], [392, 395, "PER"], [432, 442, "PER"], [478, 485, "PER"], [497, 503, "PER"], [126, 135, "PER"], [356, 361, "PER"], [137, 138, "WORK_OF_ART"], [380, 384, "PER"]]} +{"id": 2262, "text": "\"el quale padre di famiglia si chiama\" (Ficino), \"il quale si dicie padre di famiglia\" (Anonimo); non certo \"il cosiddetto padre di famiglia\" (Pizzica 1988). La nota di M. Tavoni a VE I xviii 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1346, a proposito del \"vere paterfamilias\" e del suo “riuso” \"in chiave politica\", ricorda con Marigo 1957: \"Paterfamilias è parola presa nel suo senso giuridico: “Paterfamilias appellatur qui in domo dominium habet...” (Paulus, Digestum 50, 16, 195)\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[40, 46, "PER"], [169, 178, "PER"], [88, 95, "PER"], [324, 330, "PER"], [450, 456, "WORK_OF_ART"], [458, 469, "WORK_OF_ART"], [143, 150, "PER"], [181, 183, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2263, "text": "Aristotele, Politica, 1252 b 21-4: e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano. L'assunto è ripetuto dalla migliore giurisprudenza trecentesca: In domo propria potest dici patremfamilias habere aliquid iuris regalis. Ius enim sibi dicit in filios et in servos [...]. Item maior seu antiquior domus habet quodammodo quandam iurisdictionem in uxorem, liberos et servos; et etiam antiquior frater vel patruus in minores xxv. annis, qui sunt in illa domo (Bartolo da Sassoferrato, De tyranno, q. IV, ed. Quaglioni 1983, p. 183)", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[481, 504, "PER"], [0, 10, "PER"], [12, 20, "WORK_OF_ART"], [506, 516, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2264, "text": "il luogo omerico (Od. IX 114) è in Aristotele, Politica, 1252 b 24: E ciascuno governa i suoi figli e la moglie. Cfr. Cv IV XXVII 10, col commento di Busnelli 1964, II, p. 234, che rinvia a questo luogo; v. inoltre Guido Martellotti, Omero, in ED, IV, 1973, pp. 145-8 ed Enrico Berti, Politica, ivi, p. 586", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[118, 120, "WORK_OF_ART"], [18, 20, "WORK_OF_ART"], [35, 45, "PER"], [215, 232, "PER"], [234, 239, "PER"], [271, 283, "PER"], [47, 55, "WORK_OF_ART"], [244, 246, "WORK_OF_ART"], [285, 293, "WORK_OF_ART"], [150, 158, "PER"]]} +{"id": 2265, "text": "Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 10, "PER"], [333, 343, "PER"], [423, 439, "PER"], [12, 20, "WORK_OF_ART"], [441, 457, "WORK_OF_ART"], [345, 365, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2266, "text": "cfr. sopra, I V 2 e 3, quando aliqua plura ordinantur ad unum, con riferimento ad Aristotele, Politica, 1254 a 28-32. Il ragionamento è in sostanza questo: l'affermazione del Filosofo è vera perché di fatto vediamo che qualsiasi complesso rivolto ad un fine si sfalda in mancanza di una autorità che ne guidi e diriga i componenti (Vinay)", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[82, 92, "PER"], [175, 183, "PER"], [332, 337, "PER"], [94, 102, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2267, "text": "\"per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti\", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, Metaphysica, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[102, 112, "PER"], [114, 125, "WORK_OF_ART"], [70, 77, "PER"]]} +{"id": 2268, "text": "non c’è necessità alcuna di tradurre \"questo ordinamento “ad unum”\" (Vinay). Nel notarne l’imbarazzo e nel rinviare sia a quel che si legge più oltre, II vi 4-5, sia alla \"bella terzina\" di Pd I 103-5: \"“Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante”\", Nardi scrive: \"il discorso procede sempre movendo dalla distinzione fatta da Aristotele nel libro XII della Metafisica, dell’ordine che regna tra le parti dell’universo tra loro dall’ordine superiore che domina l’universo nella sua totalità, trasferita per certa analogia al duplice ordine che, per Dante, dovrebbe estendersi dalle parti al tutto della società umana come alle parti tra loro e al tutto d’un esercito comandato da un unico duce\". Scrive Cassell a commento: \"Dante’s syllogism is complicated but clear. He contrasts the relation among the parts to the relation between those parts and their leader, and considers the latter (by which he means the position of the emperor toward his subjects) a relationship superior to the former. The relation of the ruler to the ruled is parallel to the Deity’s ordering of Creation\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[416, 426, "WORK_OF_ART"], [308, 313, "PER"], [385, 395, "PER"], [607, 612, "PER"], [761, 768, "PER"], [782, 787, "PER"], [69, 74, "PER"], [190, 192, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2269, "text": "cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[29, 35, "PER"], [160, 165, "PER"], [220, 236, "LOC"], [255, 275, "LOC"], [296, 309, "PER"], [348, 351, "PER"], [435, 448, "PER"], [450, 462, "PER"], [468, 473, "PER"], [93, 100, "PER"], [208, 218, "PER"], [326, 328, "WORK_OF_ART"], [504, 506, "WORK_OF_ART"], [519, 537, "PER"]]} +{"id": 2270, "text": "l'inciso ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum manca alla traduzione di Ficino; analoga omissione nei codici M S. Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto. Pizzica 1988 richiama il luogo importantissimo rappresentato da Cv III II 4-5, con il commento di Busnelli 1964, I, pp. 263-8, e le diverse considerazioni sia in Nardi, sia in Nardi 1949, pp. 256-7", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[103, 109, "PER"], [150, 166, "PER"], [1028, 1033, "PER"], [1042, 1047, "PER"], [168, 184, "WORK_OF_ART"], [866, 873, "PER"], [930, 932, "WORK_OF_ART"], [964, 972, "PER"]]} +{"id": 2271, "text": "Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 16, "PER"], [18, 34, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2272, "text": "è ripetuto più sotto, I viii 2, I viii 5 e I ix 1. \"“Bene se habere et optime” vuol [...] dire realizzare “divinam similitudinem” “secundum quod effectum capere potest”\" (Vinay), come si legge in Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 45, e come Dante espone in Cv III vii 2: \"Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, dalle cose riceventi. Onde scritto è nel libro delle Cagioni: \"La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo della sua vertù e dello suo essere”\". Ficino traduce \"ogni cosa sta bene\", l’Anonimo \"ciascuna cosa bene sta e optimamente\" (p. 136); Nardi \"bene, anzi ottimamente, ordinato\" (cfr. Nardi 1924a, poi Nardi 1967, pp. 81-109: 106). Varie le soluzioni di alcuni tra i moderni interpreti, da \"è perfetto\" (Vinay) a \"en heureux état et au mieux possible\" (Pézard), \"uno stato di benessere e di felicità\" (Sanguineti 1985), \"in gutem und bestem Zustand\" (Imbach), \"in a good (indeed, ideal) state\" (Shaw 1996). Kay sostiene che la frase è ridondante in ragione di un voluto parallelismo con quanto si legge sopra, I vii 2.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[884, 889, "PER"], [237, 242, "MISC"], [251, 256, "PER"], [741, 747, "PER"], [780, 787, "PER"], [837, 842, "PER"], [1003, 1008, "PER"], [1052, 1058, "PER"], [1150, 1156, "LOC"], [1206, 1209, "PER"], [171, 176, "PER"], [535, 554, "WORK_OF_ART"], [196, 212, "PER"], [214, 235, "WORK_OF_ART"], [267, 269, "WORK_OF_ART"], [901, 906, "PER"], [1101, 1111, "PER"], [1194, 1198, "PER"]]} +{"id": 2273, "text": "\"Creando il mondo, Dio ha voluto che le creature fossero a sua immagine secondo le possibilità della loro natura particolare. Il fine supremo a cui tendono le creature è l’attuazione di questa “intentio” divina che costituisce la ragione stessa del loro essere, punto di partenza e punto d’arrivo ad un tempo. Dio è principio e fine\" (Vinay, con la citazione di Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 25: \"unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem\"). Cfr. la voce Intenzione di Tullio Gregory, in ED, III, 1971, p. 480.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[335, 340, "PER"], [362, 378, "PER"], [380, 401, "PER"], [515, 529, "PER"], [534, 536, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2274, "text": "Gn 1, 26; cfr. Cv IV xii 14: \"E la ragione è questa: che lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé (sì come è scritto: “Facciamo l’uomo ad imagine e similitudine nostra”), essa anima massimamente desidera di tornare a quello\". Su questa citazione scritturale v. Cremascoli 2011, p. 33 e nota 9.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[397, 407, "PER"], [15, 17, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2275, "text": "l'idea che solo l'universo nella sua interezza rispecchi unitariamente quella bontà del creatore che le singole creature, ciascuna per sé, possono solo sparsamente rappresentare, è in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[184, 200, "PER"], [202, 218, "PER"]]} +{"id": 2276, "text": "un'impronta, ovvero un segno impresso, un calco, un'orma; cfr. poco più sotto, I IX 1, e Pd I 106-8: Qui veggion l'alte creature l'orma / de l'etterno valore, il qual è fine / al quale è fatta la toccata norma, su cui v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 33: orma: impronta; questa parola, che esprime con potente ed evidente metafora l'idea della \"somiglianza\" del creato al creatore, traduce il latino vestigium, termine usato già da Agostino e poi dagli scolastici per significare quella somiglianza, e da Dante stesso ripreso [...] in modo esplicito nella Monarchia (e v. anche ivi, Introduzione, p. XIX). Cfr. anche Bonaventura, Breviloquium, II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum. Stretta l'aderenza al testo da parte dell'Anonimo: uno vestigio della divina bontà. Splendido Ficino (che trova in questo luogo una di quelle sententie platoniche ricordate nel proemio del suo volgarizzamento e con le quali Dante, parlando inn-ispirito con Platone, avrebbe adornato e libri suoi (p. 327): una honbra d'Iddio. Cfr. Bruno Bernabei, Vestigio, in ED, V, 1976, p. 986", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[89, 91, "WORK_OF_ART"], [221, 239, "PER"], [554, 563, "WORK_OF_ART"], [430, 438, "PER"], [503, 508, "PER"], [615, 626, "PER"], [942, 948, "PER"], [1072, 1077, "PER"], [1105, 1112, "PER"], [1179, 1193, "PER"], [628, 640, "WORK_OF_ART"], [890, 897, "PER"], [1208, 1210, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2277, "text": "si veda ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[15, 31, "PER"], [33, 49, "PER"]]} +{"id": 2278, "text": "Vinay addita come luogo parallelo Cv IV XVI 7: Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo della Fisica quando dice: \"Ciascuna [cosa] è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propia, e allora è massimamente secondo sua natura, onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo\", cioè quando aggiugne la sua propia virtude; e allora è in tutta sua natura, e allora si può dire nobile circulo; trova però deludente la dimostrazione che segue, e che farebbe rimpiangere la teoria della generazione esposta da D. in Conv., IV, 21. Su tutto il contenuto di questo paragrafo si v. la lunga e dotta nota di Nardi, pp. 320-2, con quanto egli aveva già esposto in L'arco della vita (Nardi 1967, pp. 110-38: 110-4), e più succintamente Imbach, pp. 272-3", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[34, 36, "WORK_OF_ART"], [76, 84, "PER"], [103, 109, "WORK_OF_ART"], [557, 559, "PER"], [563, 567, "WORK_OF_ART"], [725, 730, "PER"], [0, 5, "PER"], [651, 656, "PER"], [777, 783, "LOC"], [706, 723, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2279, "text": "sulla perfezione del cielo Vinay allega un passo (III 9) del De ecclesiastica potestate di Egidio Romano, che Dante può aver avuto presente; Pizzica 1988 abbellisce e traduce qui sovranamente perfetto", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[141, 148, "PER"], [27, 32, "PER"], [91, 104, "PER"], [110, 115, "PER"], [61, 87, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2280, "text": "U ha una lacuna in luogo di secundum, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece pħm (phylosophum) i codici D F G N Y; M ha secundum phylosophum; Ficino traduce \"come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile\", l’Anonimo \"secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”\" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, Fisica, in ED, II, 1970, pp. 933-4. \"Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi De physico auditu, De physica consultatione) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente Lezioni intorno alla natura\" (Nardi); cfr. Aristotele, Physica, 194 b 13 e De anima, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: \"Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol\". Si rammenti Pd XXII 116: \"quelli ch’è padre d’ogne mortal vita\", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita Rime 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: \"Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta\"; nonché Cv III xii 8: \"Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[237, 244, "WORK_OF_ART"], [246, 256, "PER"], [304, 322, "WORK_OF_ART"], [294, 302, "PER"], [337, 344, "WORK_OF_ART"], [613, 640, "WORK_OF_ART"], [905, 907, "WORK_OF_ART"], [988, 1006, "PER"], [1026, 1030, "WORK_OF_ART"], [1271, 1273, "WORK_OF_ART"], [192, 198, "PER"], [365, 377, "PER"], [483, 500, "PER"], [643, 648, "PER"], [656, 666, "PER"], [739, 746, "PER"], [774, 779, "PER"], [261, 268, "PER"], [390, 392, "WORK_OF_ART"], [502, 526, "WORK_OF_ART"], [668, 675, "WORK_OF_ART"], [688, 696, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2281, "text": "vulgatissimo brocardo (v. ad es. Bracton, De legibus et consuetudinibus Angliae, II 33), qui impiegato a proposito nel caso del conflitto tra giurisdizioni di pari grado; contrariamente a quanto si vede affermato (Pizzica 1988, Kay), la citazione non risale ad Accursio e alla sua glossa a Dig. 4, 8, 3, § 3 e a Dig. 4, 8, 4, dove il testo ha magistratus superiore aut pari imperio nullo modo possunt cogi (Mommsen-Krüger, I, p. 67), o a Dig. 36, 1, 13, § 4 (ivi, p. 522), dove si legge praetorem quidem in praetorem, vel consulem in consulem nullum imperium habere; tanto meno alla glo. conferens generi alla Novella VI di Giustiniano (Auth. Coll. I, 6, Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem adduci, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), in cui quelle autorità legali sono allegate in relazione al Constitutum Constantini (Furlan); risale invece, nella formulazione qui usata, alla decretale Innotuit di Innocenzo III, già compresa nella Compilatio III (cap. 5, III Comp., I, 6: QCA, p. 105), ma che Dante leggeva ormai nel Liber Extra di Gregorio IX, cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62); il principio era già ricevuto nel c. 4, D. XXI del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 70). In proposito v. Pennington 1993, p. 93, e più specificamente Pennington 1999, p. 260, con l'esempio, a Dante calzantissimo, di Guido da Suzzara", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[214, 221, "PER"], [407, 421, "WORK_OF_ART"], [732, 746, "WORK_OF_ART"], [918, 926, "WORK_OF_ART"], [1304, 1314, "PER"], [1349, 1359, "PER"], [228, 231, "PER"], [261, 269, "PER"], [42, 79, "WORK_OF_ART"], [290, 293, "WORK_OF_ART"], [312, 315, "WORK_OF_ART"], [624, 635, "PER"], [930, 943, "PER"], [1065, 1076, "PER"], [1391, 1396, "PER"], [1415, 1431, "PER"], [438, 441, "WORK_OF_ART"], [610, 620, "WORK_OF_ART"], [824, 847, "WORK_OF_ART"], [849, 855, "PER"], [964, 978, "WORK_OF_ART"], [1026, 1031, "PER"], [1050, 1061, "WORK_OF_ART"], [1245, 1262, "WORK_OF_ART"], [1096, 1128, "WORK_OF_ART"], [1169, 1178, "PER"], [1264, 1273, "PER"]]} +{"id": 2282, "text": "Aristotele, Metaphysica, 1076 a 3-5, che ricorda tacitamente un verso omerico (Il. II 24; cfr. ancora la v. Omero di Guido Martellotti, in ED, IV, 1973, pp. 145-8). Per il valore polisemico di ens nella scolastica medievale cfr. Vinay", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[139, 141, "WORK_OF_ART"], [0, 10, "PER"], [108, 113, "PER"], [117, 134, "PER"], [12, 23, "WORK_OF_ART"], [229, 234, "PER"]]} +{"id": 2283, "text": "v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura \"nel senso geometrico, morale e logico\"); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, \"dirittura\", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (\"Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose\") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: \"“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”\"; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (\"una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto\") come forma di \"italiano anodino\" e \"assai più difficile del latino di D.\", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: \"In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione\". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula \"iustitia est rectitudo\" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce \"una retttudine overo regola\"), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: \"Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude\". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: \"una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione\"; cfr. Ronconi 1966: \"un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione\"; Pizzica 1988: \"un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra\"; Marcelli-Martelli 2004: \"una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[333, 335, "WORK_OF_ART"], [699, 703, "WORK_OF_ART"], [1050, 1052, "PER"], [1063, 1065, "WORK_OF_ART"], [2065, 2085, "WORK_OF_ART"], [2358, 2369, "WORK_OF_ART"], [2567, 2574, "PER"], [2726, 2731, "PER"], [2744, 2747, "PER"], [3299, 3304, "PER"], [2776, 2792, "PER"], [2794, 2810, "WORK_OF_ART"], [3453, 3460, "PER"], [3566, 3583, "WORK_OF_ART"], [3375, 3382, "PER"], [169, 174, "PER"], [687, 696, "PER"], [861, 866, "PER"], [2053, 2063, "PER"], [2847, 2852, "PER"], [27, 29, "WORK_OF_ART"], [440, 478, "WORK_OF_ART"], [1229, 1240, "WORK_OF_ART"], [1456, 1458, "PER"], [1805, 1807, "PER"]]} +{"id": 2284, "text": "Dante cita pressoché alla lettera dal Liber sex principiorum 1 1, p. 36: \"forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens\". Lo scritto, in passato a torto atribuito a Gilbert de la Porrée (v. la voce Magister Sex Principiorum in ED, III, 1971, p. 767, e cfr. Cassell) faceva parte del corpus delle opere logiche di Aristotele nel curriculum degli artistae; ciò suggerisce a Kay che Dante possa non averne avuto diretta conoscenza, dal momento che essa \"was widely quoted by later scholastics\". Commenta Nardi: \"E proprio per questo Dante cita il Magister Sex Principiorum, il quale recte, a buon diritto, ha affermato che huiusmodi forme, quali la “bianchezza” e la “giustizia”, pur trovandosi enunciate di un composto, in sé stesse consistono in una “semplice e invariabile essenza”. Quest’unica testimonianza chiede Dante al Magister Sex Principiorum; nient’altro. Quello che immediatamente precede e segue questa citazione è chiosa di Dante. Siffatte “forme”, come quelle della “bianchezza” e della “giustizia”, sono “essenze inviariabili” in suo abstracto, come appunto vuole Aristotele; ma in quanto entrano in composizione con soggetti variabili quibus concernuntur (da concerno, che ha il perfetto concrevi e il supino concretum uguali a concresco!), ossia in concreto, sono suscettibili di “magis et minus” “secundum quod magis et minus in subiectis de contrariis admiscetur”\". Così anche Alfonso Maierù, Suggetto, in ED, V, 1976, p. 475, che richiama questo luogo a proposito della \"sostanza individuante\", del \"‘concretum’ cui ineriscono le forme accidentali e i loro contrari; queste forme, in sé immutabili, sono suscettibili di variazioni in più o in meno a seconda del ‘concetto’ cui ineriscono, sicché propriamente il s. è capace di più o meno, non le forme\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[38, 60, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [203, 223, "PER"], [295, 302, "PER"], [351, 361, "PER"], [410, 413, "PER"], [418, 423, "PER"], [539, 544, "PER"], [568, 573, "PER"], [854, 859, "PER"], [974, 979, "PER"], [1116, 1126, "PER"], [1433, 1447, "PER"], [582, 607, "WORK_OF_ART"], [863, 888, "WORK_OF_ART"], [1462, 1464, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2285, "text": "la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[201, 211, "PER"], [278, 283, "PER"], [289, 305, "PER"], [213, 223, "WORK_OF_ART"], [307, 323, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2286, "text": "Aristotele, Categoriae, 10 b 12-3, spiega così: Alla qualità appartiene inoltre la contrarietà. Ad esempio, la giustizia è contraria all'ingiustizia, la bianchezza è contraria alla nerezza, ed analogamente per le altre qualità", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 10, "PER"], [12, 22, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2287, "text": "cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult (cfr. sopra, I XI 3 e più in generale I III 3)", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[5, 21, "PER"], [23, 39, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2288, "text": "Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia Melanippe di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci Espero (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed Etica (Enrico Berti), in ED, II, 1970, pp. 731 e 756-8", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[12, 32, "WORK_OF_ART"], [91, 100, "WORK_OF_ART"], [104, 112, "PER"], [441, 446, "WORK_OF_ART"], [0, 10, "PER"], [147, 163, "PER"], [423, 434, "PER"], [606, 619, "PER"], [622, 636, "PER"], [648, 660, "PER"], [165, 181, "WORK_OF_ART"], [641, 646, "WORK_OF_ART"], [666, 668, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2289, "text": "la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è \"giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste\"), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): \"Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi\", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: \"iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.\"; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[428, 432, "WORK_OF_ART"], [449, 452, "WORK_OF_ART"], [469, 483, "PER"], [588, 593, "PER"], [734, 750, "PER"], [931, 936, "WORK_OF_ART"], [977, 993, "WORK_OF_ART"], [140, 160, "WORK_OF_ART"], [682, 687, "PER"], [691, 707, "PER"], [1127, 1134, "PER"], [712, 714, "WORK_OF_ART"], [752, 768, "WORK_OF_ART"], [1184, 1202, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2290, "text": "giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (\"radix omnium peccatorum\" e non semplicemente \"inordinatus amor divitiarum\", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: \"E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono\". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: \"Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis\" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: \"honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere\"); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: \"Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris\" (glo. \"alterum non ledere\", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: \"Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur\" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[195, 211, "PER"], [340, 342, "WORK_OF_ART"], [884, 892, "PER"], [1151, 1153, "WORK_OF_ART"], [1240, 1249, "PER"], [1303, 1317, "WORK_OF_ART"], [1673, 1696, "WORK_OF_ART"], [25, 30, "PER"], [324, 329, "PER"], [1081, 1089, "PER"], [1702, 1709, "PER"], [1773, 1781, "LOC"], [1866, 1877, "PER"], [2437, 2446, "PER"], [213, 229, "WORK_OF_ART"], [1265, 1269, "WORK_OF_ART"], [1283, 1286, "WORK_OF_ART"], [1478, 1486, "WORK_OF_ART"], [1537, 1545, "WORK_OF_ART"], [1653, 1657, "WORK_OF_ART"], [1816, 1829, "WORK_OF_ART"], [1903, 1914, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2291, "text": "cfr. Cv I iv 8: \"E questi ... passionati mal giudicano\", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: \"Passio igitur ligat rationem\"); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha \"quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo\"; l’Anonimo, più semplicemente, \"quelli che si studiano di passionare il giudice\". Vinay, seguito dai più, traduce \"chi cerca di influenzare il giudice\"; non piace Ronconi 1966: \"coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato\"; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: \"coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice\"; meno felice Kay: \"those who try to appeal to the judge’s passions\", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia \"all [...] appeals to the emotions\", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: \"Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain\" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[62, 70, "WORK_OF_ART"], [97, 113, "PER"], [658, 665, "PER"], [1041, 1059, "WORK_OF_ART"], [1469, 1472, "WORK_OF_ART"], [1579, 1593, "WORK_OF_ART"], [1736, 1743, "WORK_OF_ART"], [1878, 1886, "PER"], [1854, 1863, "PER"], [5, 7, "WORK_OF_ART"], [216, 221, "PER"], [223, 229, "PER"], [313, 319, "PER"], [464, 469, "PER"], [760, 763, "PER"], [997, 1002, "PER"], [1345, 1354, "PER"], [115, 131, "WORK_OF_ART"], [248, 252, "WORK_OF_ART"], [235, 246, "PER"], [385, 392, "PER"], [545, 552, "PER"], [1716, 1731, "PER"]]} +{"id": 2292, "text": "la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. Nardi; cfr. anche Summa Theologiae, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (Utrum iustitia sit semper ad alterum), Resp., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza Vinay)", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[77, 97, "WORK_OF_ART"], [263, 268, "PER"], [281, 297, "WORK_OF_ART"], [65, 75, "PER"], [237, 244, "PER"], [373, 378, "PER"], [421, 426, "PER"]]} +{"id": 2293, "text": "ricorre solo in questo luogo; conservano questa forma la princeps K e parte dei manoscritti β (B D E F N P V Y); i restanti testimoni hanno sillogismus o altre lezioni assai corrotte (anche l'Anonimo conserva sillogismo, mentre Ficino ha argumento. È un sillogismo preliminare (preparatory syllogism, Cassell), ovvero il sillogismo introdotto a dimostrazione della verità della premessa di un altro sillogismo, in modo che la conclusione del p. venga a essere la stessa premessa da dimostrare (v. Prosillogismus, in ED, IV, 1973, 719-20): vedi Aristotele, Analytica priora, 42 b 5; 44 a 22, e cfr. ampiamente Nardi, p. 336", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[80, 93, "WORK_OF_ART"], [57, 67, "WORK_OF_ART"], [556, 572, "WORK_OF_ART"], [228, 234, "PER"], [301, 308, "PER"], [544, 554, "PER"], [609, 614, "PER"], [192, 199, "PER"], [516, 518, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2294, "text": "Aristotele, Analytica priora, 26 b – 28 a; il prosillogismo qui introdotto appartiene alla seconda delle tre figure in cui il sillogismo può presentarsi, cioè a quella in cui il termine medio è predicato di entrambe le premesse: \"“nessun uomo intelligente trascura la sua cultura, Caio trascura la sua cultura, dunque Caio non è un uomo intelligente” è un sillogismo di seconda figura e come tale è “privativus” non “affirmativus” (Cfr. Boezio, Priorum analyt. interpretatio I 5, PL 64, col. 643 sgg.)\" (Vinay).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[12, 28, "WORK_OF_ART"], [0, 10, "PER"], [281, 285, "LOC"], [318, 322, "LOC"], [437, 443, "LOC"], [445, 459, "WORK_OF_ART"], [504, 509, "PER"]]} +{"id": 2295, "text": "cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di ab omni cupiditate; in questo senso si può evocare la lupa \"che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza\" di If I 49-50; così il luogo paolino \"radix omnium malorum est cupiditas\" (1 Tm 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della cupiditas come \"radix omnium peccatorum\", e non semplicemente come \"inordinatus amor divitiarum\", in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (Utrum cupiditas sit radix omnium peccatorum); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone Doglia mi reca nello core ardire (Rime 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. Vinay ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, De regimine christiano: \"reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum\" (ed. 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Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[14, 22, "PER"], [2364, 2378, "WORK_OF_ART"], [2267, 2272, "PER"], [1290, 1296, "WORK_OF_ART"], [58, 64, "PER"], [67, 77, "PER"], [1018, 1023, "PER"], [1090, 1103, "PER"], [1172, 1188, "PER"], [24, 31, "PER"], [34, 56, "WORK_OF_ART"], [2328, 2331, "WORK_OF_ART"], [79, 88, "WORK_OF_ART"], [1105, 1126, "WORK_OF_ART"], [2343, 2346, "WORK_OF_ART"], [1190, 1206, "WORK_OF_ART"], [2315, 2319, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2298, "text": "l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché \"non può avere un altro sopra di sé\" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[194, 200, "PER"], [257, 277, "WORK_OF_ART"], [608, 619, "PER"], [856, 874, "WORK_OF_ART"], [822, 851, "WORK_OF_ART"], [891, 905, "WORK_OF_ART"], [1082, 1084, "WORK_OF_ART"], [2519, 2526, "WORK_OF_ART"], [3385, 3395, "PER"], [3311, 3318, "PER"], [3341, 3344, "PER"], [245, 255, "PER"], [512, 517, "PER"], [531, 534, "PER"], [803, 809, "PER"], [1039, 1044, "PER"], [2051, 2056, "PER"], [2202, 2221, "PER"], [2235, 2242, "PER"], [2245, 2252, "PER"], [2256, 2265, "PER"], [2270, 2277, "PER"], [2280, 2286, "PER"], [2581, 2594, "PER"], [2600, 2609, "PER"], [2614, 2621, "PER"], [2624, 2631, "PER"], [2657, 2660, "LOC"], [2674, 2681, "PER"], [2684, 2690, "PER"], [2890, 2897, "PER"], [2900, 2907, "PER"], [3071, 3077, "PER"], [3080, 3098, "PER"], [3322, 3336, "PER"], [590, 599, "WORK_OF_ART"], [876, 879, "WORK_OF_ART"], [2633, 2641, "PER"], [2729, 2736, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2299, "text": "si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[857, 871, "WORK_OF_ART"], [548, 562, "WORK_OF_ART"], [817, 840, "WORK_OF_ART"], [63, 73, "PER"], [282, 296, "PER"], [305, 307, "MISC"], [345, 350, "PER"], [431, 442, "PER"], [664, 671, "PER"], [301, 303, "WORK_OF_ART"], [416, 427, "WORK_OF_ART"], [842, 845, "WORK_OF_ART"], [948, 955, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2300, "text": "Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 3, "PER"], [32, 48, "PER"], [50, 66, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2301, "text": "Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla natura passivorum et activorum. \"Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la Fisica e nel primo De Generatione” (Conv., IV, x, 9; cfr. ibid., III, x, 2), fra l’agente e il paziente è necessario vi sia contatto: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (Conv., III, x, 2)\" (Nardi).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[256, 277, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [290, 304, "WORK_OF_ART"], [307, 311, "WORK_OF_ART"], [236, 244, "PER"], [522, 527, "PER"], [502, 506, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2302, "text": "cfr. Attilio Mellone, De Causis, in ED, II, 1970, p. 327. \"Il piccolo anonimo Liber de causis godé fra gli Scolastici di grande autorità e fortuna, e fu una delle opere più frequentemente citate [...]. Tradotto dall’arabo in latino, a Toledo, da Gherardo di Cremona, fra il 1167 e il 1184, fu [...] uno dei principali tramiti dell’influenza del pensiero neo-platonico sulla Scolastica cristiana [...]. Dante [...] vi si riferisce sempre come a scritto d’ignoto autore\" (Nardi 1924a, poi in Nardi 1967, pp. 81-3 e 88-9, con speciale riguardo a questo luogo e con rinvio ai commenti di Tommaso, Egidio Romano e Alberto Magno). Dante si riferisce qui alla prop. 1: \"Omnis causa primaria plus est influens super causatum suum quam causa universalis secunda\". Lo stesso Nardi 1942b, p. 118, spiega: \"La maggior vicinanza del Monarca a tutti gli uomini va intesa dunque nel senso che esso è sulla terra ‘causa universalis prima’ di ogni potere politico di cui partecipano i principi particolari, e perciò è ‘magis causa’\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[78, 93, "WORK_OF_ART"], [235, 241, "LOC"], [246, 265, "PER"], [470, 475, "PER"], [490, 495, "PER"], [5, 20, "PER"], [36, 38, "ORG"], [402, 407, "PER"], [584, 591, "PER"], [593, 606, "PER"], [609, 622, "PER"], [625, 630, "PER"], [765, 770, "PER"]]} +{"id": 2303, "text": "che la libertà, \"tra i vocaboli centrali del mondo dantesco\" (Bruno Bernabei, Libertà, in ED, III, 1971, p. 641), in questo luogo sia \"sentita, più che come esigenza morale, come supremo attributo della razionalità\" (Vinay), pare considerazione un poco avventata, probabilmente nel ricordo di Cv III xiv 9-10, dove \"la nobile anima d’ingegno\" è detta \"libera ne la sua propria potestate\" in base al canone aristotelico \"che quella cosa è libera che per sua cagione è, non per altrui\" (v. più sotto, I xii 8, con richiamo a Metaphysica, 982 b 25-6). Credo superflua ogni correzione di tipo conciliatorio (v. Pizzica 1988, p. 224 nota 1). Non sarà invece superfluo ricordare che il diritto romano giustinianeo, tra le sue rare definizioni, ne possiede una della libertas. Un frammento di Fiorentino dice infatti che la libertà è una facoltà naturale, e che la schiavitù è un istituto del diritto delle genti contrario a natura: \"Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur. Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur\" (Dig. 1, 5, 4, pr.-§ 1: Mommsen-Krüger, I, p. 7): la libertà, che consiste nella capacità di possedere diritti e nell’assenza di uno stato di soggezione, è un diritto naturale innato in ogni essere umano, o per dirla altrimenti ogni uomo è in origine libero. Per tutto ciò v. l’insuperato studio di Wirszubski 1957.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[293, 295, "WORK_OF_ART"], [607, 614, "PER"], [1141, 1155, "WORK_OF_ART"], [1416, 1426, "PER"], [62, 76, "PER"], [90, 92, "WORK_OF_ART"], [217, 222, "PER"], [523, 534, "WORK_OF_ART"], [1118, 1121, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2304, "text": "cfr. Cv I viii 14: \"la vertù dee avere atto libero e non sforzato\"; opportunamente Kay si appella al significato di \"“full discretion” [...] in Roman law\", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel \"liberum arbitrium\" di Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3 e nel \"plenum arbitrium\" di Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). Vinay ricorda invece Pg VI 130-132 (\"Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca\"), sostenendo però curiosamente che mentre là \"la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”\", qui \"è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione\". Cfr. l’importante voce Arbitrio di Sofia Vanni Rovighi, in ED, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[365, 379, "WORK_OF_ART"], [423, 425, "WORK_OF_ART"], [841, 860, "PER"], [5, 7, "WORK_OF_ART"], [339, 353, "WORK_OF_ART"], [83, 86, "PER"], [402, 407, "PER"], [144, 153, "WORK_OF_ART"], [237, 240, "WORK_OF_ART"], [327, 330, "WORK_OF_ART"], [865, 867, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2305, "text": "Boezio, In lib. Aristotelis (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: \"sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis de voluntate iudicium\"; cfr. anche Id., Consolatio Philosophiae, V 2 2-6, sulla \"arbitrii libertas\" come \"volendi nolendique libertas\" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di Vinay (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che \"il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”\", dall’altra sostiene che \"il passo non è perspicuo\", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: de voluntate risulta così gravemente frainteso: \"Nessun dubbio che “de voluntate” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”\" (p. 70); inoltre non è \"la formula adoperata dai “multi”\" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i multi, che saranno senz’altro i \"commentatori di Pier Lombardo, Sententiae, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum de voluntate iudicium”\". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale \"avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “de voluntate” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis\" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione \"libero giudizio portato sulla volontà\", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di Pézard, il quale ammette che \"l’expression est douteuse\" ma respinge come \"étrange\" la proposta di Vinay, traducendo invece \"un jugement librement formé par la volonté\" e spiegando (p. 649): \"Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine\". Lo ricalca Livi 2002: \"un libre jugement formulé par la volonté\". Ficino ha semplicemente \"libero g[i]udicio di volontà\", e l’Anonimo \"giudicie della volontà\". Per tutto ciò v. anche la voce Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[11, 27, "WORK_OF_ART"], [533, 538, "PER"], [2456, 2471, "PER"], [0, 6, "PER"], [478, 483, "PER"], [624, 630, "PER"], [956, 961, "PER"], [1189, 1194, "PER"], [1364, 1377, "PER"], [1534, 1541, "PER"], [2087, 2092, "PER"], [2180, 2185, "PER"], [2265, 2269, "PER"], [2320, 2326, "PER"], [187, 210, "WORK_OF_ART"], [574, 576, "PER"], [650, 652, "PER"], [863, 869, "PER"], [1379, 1389, "WORK_OF_ART"], [1618, 1620, "PER"], [1988, 1994, "PER"], [2380, 2387, "PER"], [2476, 2478, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2306, "text": "sulle intelligenze angeliche cfr. sopra, I iii 7; sui beati che non dismettono l’esercizio del libero arbitrio v. Giorgio Stabile, Volontà, in ED, V, 1976, p. 1139. \"La conseguenza che l’immutabilità del volere non sopprime il libero arbitrio nelle intelligenze separate le quali sono anzi perfettamente libere riposa su alcuni motivi della speculazione scolastica che ricorrono ripetutamente in S. Tommaso: negli angeli, volontà e appetito sono distinti come nell’uomo, quindi è identico il trinomio “apprehensio-iudicium-appetitus” con la differenza che negli angeli l’“iudicium” non risponde ad una “inquisitiva deliberatio consilii” ma ad una “subita acceptatio veritatis” (Summa theol., I, q. 49, art. III); la perfezione della loro libertà dipende da questa “subita acceptatio” che esclude a priori una sopraffazione dell’“appetitus” anche se questo dovesse intendersi per analogia all’“appetitus” umano\" (Vinay). Per il \"suggello poetico\" (Pizzica 1988) di tutto ciò cfr. Pg XVIII 55-60. Vedi anche la v. 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Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[11, 19, "WORK_OF_ART"], [76, 92, "PER"], [94, 110, "PER"], [29, 37, "PER"]]} +{"id": 2308, "text": "corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: \"“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”\" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi \"traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo\", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): \"Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium...\". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la \"autocitazione [...], insolita e isolata\" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, \"dantesca o meno\" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla \"coeva alla redazione del trattato\"), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile \"l’ipotesi che si tratti di una interpolazione\", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"come dissi nella “Comedia” del Paradiso\") manchi in Ficino, che invece ha \"come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”\", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene \"esagerato\" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove \"incontestabili\" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: \"come iddii\" (Ficino), \"come Dii\" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso \"mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”\"; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (\"Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”\"), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: \"Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes\", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (\"Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]\"); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante \"si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste\", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: \"Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos\". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: \"E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[43, 45, "WORK_OF_ART"], [290, 308, "PER"], [452, 461, "PER"], [1077, 1084, "PER"], [1096, 1101, "PER"], [1146, 1154, "PER"], [1185, 1193, "PER"], [1458, 1463, "PER"], [1470, 1474, "PER"], [1547, 1555, "PER"], [1569, 1577, "PER"], [1883, 1890, "PER"], [1937, 1944, "PER"], [2253, 2258, "PER"], [2420, 2427, "WORK_OF_ART"], [2433, 2441, "WORK_OF_ART"], [2501, 2509, "WORK_OF_ART"], [2521, 2529, "WORK_OF_ART"], [2666, 2671, "PER"], [2750, 2764, "WORK_OF_ART"], [2768, 2772, "PER"], [2784, 2788, "PER"], [2889, 2895, "PER"], [2934, 2940, "PER"], [2963, 2968, "PER"], [3133, 3138, "PER"], [3193, 3201, "WORK_OF_ART"], [3221, 3236, "LOC"], [3288, 3297, "PER"], [3312, 3319, "PER"], [3336, 3340, "PER"], [3827, 3833, "PER"], [4027, 4029, "WORK_OF_ART"], [4245, 4252, "PER"], [4323, 4325, "WORK_OF_ART"], [4390, 4392, "WORK_OF_ART"], [4410, 4426, "PER"], [4716, 4718, "WORK_OF_ART"], [5408, 5414, "PER"], [5480, 5482, "WORK_OF_ART"], [6026, 6027, "WORK_OF_ART"], [22, 30, "PER"], [659, 670, "PER"], [792, 799, "PER"], [824, 847, "PER"], [1240, 1245, "PER"], [1680, 1692, "PER"], [1857, 1863, "PER"], [2187, 2192, "PER"], [2316, 2321, "PER"], [2454, 2460, "PER"], [645, 655, "WORK_OF_ART"], [849, 888, "WORK_OF_ART"], [901, 903, "WORK_OF_ART"], [937, 969, "WORK_OF_ART"], [2392, 2399, "PER"], [3626, 3631, "PER"], [3777, 3783, "PER"], [3856, 3861, "PER"], [4092, 4100, "PER"], [4268, 4271, "PER"], [4751, 4756, "PER"], [4847, 4852, "PER"], [4869, 4874, "PER"], [4961, 4967, "LOC"], [5996, 6006, "PER"], [6045, 6050, "PER"], [3798, 3805, "PER"], [3820, 3821, "WORK_OF_ART"], [4428, 4444, "WORK_OF_ART"], [4969, 4992, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2309, "text": "\"come nella “Metafisicha” dicie Aristotile\" (Ficino); ricalca, come al solito, l’Anonimo: \"come al Filosafo piacie inel libro “Di simpliciter ente”\". Così anche più oltre, I xiii 3; I xv 2; e III xiv 6; cfr. Aristotele, Mataphysica, 982 b 25-6; \"ma nel testo aristotelico si parla dell’“uomo che diciamo libero”\" (Nardi). Dante lo ricorda in Cv III xiv 10: \"e lo Filosofo dice, nel secondo della Metafisica, che quella cosa è libera, che per sua cagione è, non per altrui\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[13, 24, "WORK_OF_ART"], [32, 42, "PER"], [45, 51, "PER"], [208, 218, "PER"], [314, 319, "PER"], [342, 348, "MISC"], [363, 371, "PER"], [396, 406, "ORG"], [322, 327, "WORK_OF_ART"], [81, 88, "PER"], [99, 107, "PER"], [220, 231, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2310, "text": "sono raddrizzate le forme politiche deviate o perverse, cioè le tirannidi come esiti della corruzione delle rette costituzioni: v. Aristotele, Politica, 1279 a 23-39 (cfr. sopra, I II 6). Plastica la resa ficiniana: le torte republiche si dirizano; senza senso l'Anonimo, il cui volgarizzamento (però che allora solo politichamente siamo reti obliquamente) riflette una lezione assai vicina a quella di M, c. 14v: Tunc enim politicem dirigimur oblique", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[131, 141, "PER"], [263, 270, "PER"], [143, 151, "WORK_OF_ART"], [403, 404, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2311, "text": "è la servitus \"que morti comparatur\", come scrive Bartolo nel De regimine civitatis (ed. Quaglioni 1983, p. 158), allegando una celebre regula iuris in Dig. 50, 17, 209 (Mommsen-Krüger, I, p. 873). Anche Cassell richiama qui Bartolo, non a torto come \"Dante’s follower\".", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[170, 184, "WORK_OF_ART"], [89, 98, "PER"], [252, 257, "PER"], [204, 211, "PER"], [225, 232, "LOC"], [50, 57, "PER"], [62, 83, "WORK_OF_ART"], [152, 155, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2312, "text": "\"reghono\" (Ficino); \"e politizare\" (Anonimo). Nardi traduce \"ben governano\", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: \"Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke\". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[263, 268, "PER"], [381, 384, "PER"], [485, 496, "WORK_OF_ART"], [616, 624, "WORK_OF_ART"], [629, 637, "PER"], [690, 698, "PER"], [46, 51, "PER"], [11, 17, "PER"], [225, 230, "PER"], [282, 287, "PER"], [300, 305, "PER"], [645, 652, "PER"], [667, 674, "PER"], [36, 43, "PER"], [435, 449, "WORK_OF_ART"], [463, 465, "PER"], [684, 689, "PER"], [763, 773, "PER"], [786, 791, "PER"]]} +{"id": 2313, "text": "Honde Aristotile nella \"Politicha\"; cfr. Aristotele, Politica, 1276 b 16 – 1278 b 5", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[41, 51, "PER"], [53, 61, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2314, "text": "Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[206, 226, "WORK_OF_ART"], [383, 391, "WORK_OF_ART"], [554, 559, "PER"], [689, 691, "WORK_OF_ART"], [963, 972, "PER"], [975, 977, "WORK_OF_ART"], [1030, 1036, "PER"], [1157, 1164, "PER"], [1344, 1349, "PER"], [1383, 1389, "PER"], [1519, 1524, "PER"], [1644, 1647, "PER"], [1566, 1572, "PER"], [1478, 1488, "PER"], [1432, 1439, "PER"], [1594, 1598, "PER"], [0, 7, "PER"], [261, 268, "PER"], [313, 318, "PER"], [329, 336, "PER"], [97, 126, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2315, "text": "gens, gentem non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui \"la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica\" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regimine principum, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622).", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[59, 76, "WORK_OF_ART"], [403, 419, "PER"], [551, 567, "PER"], [340, 356, "PER"], [533, 549, "PER"], [358, 374, "WORK_OF_ART"], [444, 465, "WORK_OF_ART"], [572, 574, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2316, "text": "giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di \"minister omnium\", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di \"minister dei\", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[206, 213, "PER"], [316, 323, "PER"], [815, 817, "WORK_OF_ART"], [1033, 1041, "PER"], [1051, 1058, "PER"], [1183, 1190, "PER"], [1269, 1278, "PER"], [22, 25, "PER"], [287, 305, "PER"], [438, 443, "PER"], [862, 865, "MISC"], [870, 891, "PER"], [994, 1012, "PER"], [1168, 1173, "PER"], [757, 759, "PER"], [839, 860, "WORK_OF_ART"], [827, 834, "PER"], [896, 908, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2317, "text": "cfr. sopra, I XI 20. Cassell dà, con Vinay e Kay, alla ripetizione di potest il significato di un'enfasi sulla perfezione potenziale della monarchia. Leggiamo in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[494, 499, "WORK_OF_ART"], [21, 28, "PER"], [37, 42, "PER"], [45, 48, "PER"], [162, 178, "PER"], [180, 196, "PER"], [470, 481, "PER"]]} +{"id": 2318, "text": "inconferente l'allegazione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1110 a 2-3, proposta da Kay", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[42, 62, "WORK_OF_ART"], [30, 40, "PER"], [88, 91, "PER"]]} +{"id": 2319, "text": "Aristotile nella \"Metafisicha\"; cfr. sopra, I XII 8; riassume Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; corrisponde a quanto Dante, allegando però il libro VII della Metafisica (1032 a 18) scrive in Cv IV X 8: \"Ove è da sapere che, sé come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un'altra, generasi di quella, essendo in quello essere\". Cassell osserva che \"Dante applies the concept to the Church\", più avanti, III, XIV, 6", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 10, "PER"], [18, 29, "WORK_OF_ART"], [74, 85, "WORK_OF_ART"], [195, 197, "PER"], [162, 172, "WORK_OF_ART"], [62, 72, "PER"], [121, 126, "PER"], [381, 391, "LOC"], [479, 486, "PER"], [500, 505, "PER"], [245, 253, "PER"]]} +{"id": 2320, "text": "Gn 27, 1-29: i fatti, benché ingannevoli (come le mani ricoperte di pelle di capretto e le vesti indossate da Giacobbe in luogo del fratello Esaù, che indussero Isacco ormai cieco e morente a scambiare Giacobbe per il figlio primogenito, benedicendolo e ponendolo a capo della sua famiglia) sono più forti delle parole (come il suono della voce, che Isacco riconobbe per quello di Giacobbe, ma che non fu sufficiente a convincerlo della sua vera identità). In Vinay, potuerunt per persuaserunt è, come registrano Ricci 1965 e Nardi, una svista del Rostagno. Cfr. la v. Giacobbe di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 145-6; Cremascoli 2011, p. 35 e note 19-20, richiama a questo proposito il Contra mendacium di Agostino", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[0, 2, "WORK_OF_ART"], [513, 518, "PER"], [606, 608, "WORK_OF_ART"], [632, 642, "WORK_OF_ART"], [700, 716, "WORK_OF_ART"], [720, 728, "PER"], [569, 577, "PER"], [110, 118, "PER"], [141, 145, "PER"], [161, 167, "PER"], [202, 210, "PER"], [350, 356, "PER"], [381, 389, "PER"], [460, 465, "PER"], [526, 531, "PER"], [548, 556, "PER"], [581, 601, "PER"]]} +{"id": 2321, "text": "Honde Aristotile \"A Nicomaco\" (Ficino); Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[52, 72, "WORK_OF_ART"], [31, 37, "PER"], [40, 50, "PER"]]} +{"id": 2322, "text": "cfr. sopra, I XI 5. D. si riferisce qui agli \"habitus\" propriamente umani, a quelli cioè che l'uomo non riceve direttamente dalla natura né da Dio, ma deve crearsi con le proprie forze, ad es. le virtù, la scienza ecc. Per creare un \"habitus\" occorre ripetere determinati atti e occorrerà ripeterli tanto meno quanto minore sarà l'opposizione attiva o passiva offerta dal corpo o dalle facoltà dell'anima o dall'uno o dalle altre. Così sarà tanto più facile acquistare l'abito alla scienza quanto il corpo sarà più resistente alla fatica o più pronta la memoria; sarà tanto più facile creare l'abito alla giustizia quanto minore sarà la resistenza della cupidigia, come è detto subito dopo (cfr. Summa theol., 1a 2ae, q. 49 sgg.) (Vinay). Kay ricorda le frequenti menzioni dell'abito di scienza in Cv I I 2 e 6; II XIII 6; III XIII 9; v. anche la nota di G. Gorni a Vn 16, 1, nel vol. I di questa edizione, p. 963. Riferendosi a questo luogo Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 963, scrive che l'abito della v. filosofica è l'insieme delle virtù che sostengono l'uomo nell'acquisizione della v. investigata dalla filosofia", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[798, 800, "WORK_OF_ART"], [866, 868, "WORK_OF_ART"], [696, 707, "WORK_OF_ART"], [739, 742, "PER"], [855, 863, "PER"], [942, 956, "PER"], [20, 22, "PER"], [731, 736, "PER"], [969, 971, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2323, "text": "cfr. sopra, I XI 6, 11 e 14; e si ricordi ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori. Cfr. anche la v. Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, p. 1138", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[49, 65, "PER"], [312, 327, "PER"], [67, 83, "WORK_OF_ART"], [332, 334, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2324, "text": "Dante disegna qui con estrema concisione il paradigma della relazione tra diritti propri e diritto comune, ricordando che gli statuti cittadini (chiamati leges municipales, con precisione tecnica che si ritrova già, ad esempio, nella Glossa accursiana a Dig. 1, 1, 9) ricevono un'interpretazione passiva dal ius commune, in quanto norme nessariamente lacunose – non semplicemente difettose (Pizzica 1988), imperfette (Nardi), insufficienti (Vinay), défaillantes (Pézard), ma defective (Shaw 1996) in senso tecnico – e dunque bisognose di correctio, di corretione, come con altrettanta precisione tecnica sottolinea Ficino (p. 346); solito calco nell'Anonimo: àno di bisogno d'opera direttiva. La princeps K, riflettendo le incertezze di una parte dei codici β, ha directione. Per tutte le questioni relative alla dottrina degli statuti e alla loro interpretazione cfr. Sbriccoli 1969", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[233, 251, "WORK_OF_ART"], [486, 490, "PER"], [391, 398, "PER"], [696, 706, "WORK_OF_ART"], [751, 759, "WORK_OF_ART"], [869, 878, "PER"], [254, 257, "WORK_OF_ART"], [0, 5, "PER"], [418, 423, "PER"], [441, 446, "PER"], [463, 469, "PER"], [615, 621, "PER"], [650, 658, "PER"]]} +{"id": 2325, "text": "è la lezione dell’intiera tradizione manoscritta, nella quale Favati 1970, p. 7 nota 15, non ha ravvisato errore; anche Ficino legge \"tra·lloro\". Difesa da Nardi, per Ricci 1965 e Shaw 2009, Introduzione, pp. 245-6 e note 73-4, è errore d’archetipo da correggersi con intra se, come nel volgarizzamento dell’Anonimo (\"intra di sé\") e secondo Bigongiari 1950, p. 86 (poi in Bigongiari 1964, p. 37). Che sia una \"felice correzione\" Ricci 1965 lo scrive in apparato, spiegando nell’Introduzione, p. 48, che Dante allude alle \"leggi particolari adatte alle locali esigenze di ciascuna comunità\", senza riguardo \"a rapporti intercorrenti tra le varie comunità, ma invece alle caratteristiche (proprietates) che ciascuna ha in se stessa (intra se)\"; e conclude sottolineando che è facile comprendere come \"lo scambio tra intra e inter sia nato da un’abbreviazione non bene sciolta\". Nardi rifiuta con ragione la correzione sulla base del successivo accenno alle differenze fra ordinamenti. Dante infatti non ha in mente alcun “carattere intrinseco”, ma il concetto relazionale di iura propria, di “diritti propri”, che sono tali per ciascun populus in rapporto agli iura communia, agli istituti del diritto delle genti e del diritto naturale, secondo lo schema che ha origine da Gaio in Dig. 1, 1 (de iustitia et iure), 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 1): \"Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur\". Sono queste le proprietates, le particolarità, le differenze specifiche dei “tra di loro”, nationes, regna et civitates inter se.", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[62, 68, "PER"], [167, 172, "PER"], [180, 184, "PER"], [373, 383, "PER"], [430, 435, "PER"], [1273, 1277, "PER"], [1281, 1284, "WORK_OF_ART"], [1292, 1311, "WORK_OF_ART"], [1317, 1331, "WORK_OF_ART"], [877, 882, "PER"], [120, 126, "PER"], [156, 161, "PER"], [342, 352, "PER"], [479, 491, "PER"], [504, 509, "PER"], [984, 989, "PER"], [308, 315, "PER"]]} +{"id": 2326, "text": "non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion", "meta": {}, "annotation_approver": null, "labels": [[38, 45, "PER"], [82, 92, "PER"], [137, 139, "PER"], [176, 187, "PER"], [189, 192, "MISC"], [352, 358, "MISC"], [377, 393, "PER"], [584, 589, "PER"], [622, 625, "PER"], [146, 163, "WORK_OF_ART"], [167, 174, "WORK_OF_ART"], [341, 350, "WORK_OF_ART"], [395, 411, "WORK_OF_ART"], [613, 620, "PER"]]} +{"id": 2237, "text": "v. la voce Speculare di Emilio Pasquini, in ED, V, 1976, pp. 369-70. Vinay forza alquanto il testo col tradurre: \"vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico\". Spiega però opportunamente: \"È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica\". Nardi ricorda che \"per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a Conv., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica\". Si veda Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 16, Resp.: \"Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili\".", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[557, 562, "PER"], [24, 39, "PER"], [899, 910, "PER"], [953, 958, "PER"], [961, 968, "PER"], [1022, 1030, "PER"], [1106, 1110, "MISC"], [1867, 1873, "PER"], [44, 46, "WORK_OF_ART"], [69, 74, "PER"], [788, 792, "WORK_OF_ART"], [815, 823, "PER"], [1036, 1042, "WORK_OF_ART"], [1071, 1087, "WORK_OF_ART"], [1053, 1069, "PER"], [1966, 1974, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2238, "text": "bello e dantesco il ficiniano \"fonte et prencipio d’ogni repta civilità\"; bene anche l’Anonimo: \"fonte e principio di tutte le regole politiche\". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i \"retti ordinamenti civili\" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece \"droites formes d’état\" (Pézard), né \"retti ordinamenti statuali\" (Pizzica 1988), né \"das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen\" (Imbach). Ha ragione Kay di notare \"that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor\".", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[245, 250, "PER"], [403, 411, "PER"], [463, 476, "PER"], [525, 532, "PER"], [536, 541, "LOC"], [578, 586, "PER"], [803, 806, "PER"], [823, 828, "PER"], [391, 401, "WORK_OF_ART"], [438, 459, "WORK_OF_ART"], [560, 574, "WORK_OF_ART"], [673, 679, "PER"], [783, 789, "PER"], [87, 94, "PER"], [503, 519, "PER"], [593, 614, "WORK_OF_ART"], [618, 625, "PER"], [715, 722, "PER"]]} +{"id": 2246, "text": "cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[57, 62, "PER"], [198, 210, "PER"], [341, 357, "PER"], [946, 953, "PER"], [1010, 1023, "PER"], [1285, 1294, "PER"], [223, 225, "WORK_OF_ART"], [359, 375, "WORK_OF_ART"], [780, 784, "WORK_OF_ART"], [798, 801, "WORK_OF_ART"], [917, 940, "WORK_OF_ART"], [1026, 1046, "WORK_OF_ART"], [582, 584, "WORK_OF_ART"], [634, 636, "WORK_OF_ART"], [715, 733, "WORK_OF_ART"], [817, 831, "WORK_OF_ART"], [1059, 1067, "PER"], [1100, 1102, "WORK_OF_ART"], [1250, 1255, "PER"], [1259, 1265, "PER"], [1297, 1299, "WORK_OF_ART"]]} +{"id": 2249, "text": "in Ficino \"l’ultima forza\", nell’Anonimo \"potenzia ultima\". Vinay traduce ancora \"la proprietà specifica\"; Pézard \"l’affaire dernière\"; Ronconi 1966 e altri \"la massima facoltà\"; Imbach \"die äußerste Kraft\"; Gally 1993 \"la perfection suprême\"; Kay \"the highest power\". Nardi interpreta \"l’ultimo grado della potenza\", spiegando, pp. 294-6: \"tutto il discorso che segue non è altro che una parafrasi, da parte di Dante, di quanto abbiamo udito da Aristotele [Ethica ad Nicomachum, 1097 b 33 – 1098 a 17], per stabilire quale operatio è propria dell’uomo sì da potersi dire ultimum de potentia hominis. Lo Stagirita [...] si limita ad osservare che operazione propria dell’uomo non è la vita vegetativa ch’esso ha comune con le piante, né quella sensitiva che ha comune con gli altri animali privi di ragione [...]. Col suo discorso, insomma, Dante non fa altro che ribadire il concetto aristotelico che l’opus e l’operatio propria dell’uomo è l’esse apprehensivum per intellectum possibilem. E qui si debbono richiamare quei luoghi del Convivio ove lo stesso concetto è affermato con insolite vigoria e vivacità sfuggite al Ricci, e cioè II, vii, 3-4, IV, vii, 11-5, a dimostrare che chi da ragione si diparte, “morto è uomo e rimaso bestia”\".", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[269, 274, "PER"], [60, 65, "PER"], [107, 113, "PER"], [200, 205, "PER"], [412, 417, "PER"], [446, 456, "PER"], [604, 613, "PER"], [841, 846, "PER"], [3, 9, "PER"], [33, 40, "PER"], [136, 143, "PER"], [179, 185, "PER"], [1035, 1043, "WORK_OF_ART"], [1123, 1128, "PER"], [208, 213, "PER"], [244, 247, "PER"], [458, 478, "WORK_OF_ART"]]} diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/reheard_convivio.jsonl b/commentaries/data_parsed/doccano_data/reheard_convivio.jsonl new file mode 100644 index 0000000..3a1e33e --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/reheard_convivio.jsonl @@ -0,0 +1,666 @@ +{"text": "sono le parole con cui si apre la Metafisica di Aristotele (I 1, 980a 21) il Filosofo per antonomasia in tutta la produzione filosofica e teologica del tardo Medioevo. Il sintagma prima Filosofia\" verrà applicato da Dante alla Metafisica in Cv II xiii 8, ma esso è già presente nello stesso Aristotele per distinguere questa scienza dalla Fisica, filosofia seconda (cfr. Metaph. VI 1, 1026 a 27-30). Prima e seconda hanno qui valore assoluto ed indicano il grado di dignità nella gerarchia delle scienze. La Metafisica infatti si occupa sia dell'essere in assoluto che di quel particolare tipo di enti (gli enti divini) che è causa dell'essere per tutti gli altri. Venire dopo la Fisica (questo infatti significa in greco Metafisica) significa allora essere al vertice del sistema del sapere. Dal punto di vista della nostra conoscenza e del nostro apprendimento il rapporto però si inverte e la Metafisica viene dopo la Fisica nel senso che non può essere padroneggiata senza una previa conoscenza del mondo fisico. Con la frase iniziale del Convivio si aprono molti dei commenti aristotelici del XIII secolo (per esempio ben Gianfranco Fioravanti, Sermones in lode della Filosofia e della Logica a Bologna nella prima metà del XIV secolo, in AAVV, L'insegnamento della logica a Bologna nel XIV secolo a cura di Dino Buzzetti, Maurizio Ferriani, Andrea Tabarroni, Presso l' Istituto per la storia dell' Università di Bologna, Bologna 1992. undici dei tredici commenti di Tommaso. Cfr. Cheneval - Imbach 1993). Essa era comunque diventata il vessillo di battaglia dei maestri parigini di filosofia della seconda metà del '200, che la utilizzavano nei loro scritti per fondare e difendere la dignità superiore del filosofare. Usandola Dante dimostra così fin dall'inizio di volersi mantenere al livello della cultura alta ed universitaria.", "labels": [[34, 44, "WORK_OF_ART"], [48, 58, "PER"], [77, 85, "PER"], [158, 166, "WORK_OF_ART"], [216, 221, "PER"], [227, 243, "WORK_OF_ART"], [292, 302, "PER"], [340, 346, "WORK_OF_ART"], [373, 379, "WORK_OF_ART"], [510, 520, "WORK_OF_ART"], [682, 688, "WORK_OF_ART"], [725, 735, "WORK_OF_ART"], [900, 910, "ORG"], [925, 931, "WORK_OF_ART"], [1047, 1057, "WORK_OF_ART"], [1132, 1153, "PER"], [1155, 1163, "PER"], [1178, 1187, "WORK_OF_ART"], [1196, 1202, "PER"], [1205, 1212, "LOC"], [1255, 1282, "WORK_OF_ART"], [1318, 1331, "PER"], [1333, 1350, "PER"], [1352, 1368, "PER"], [1381, 1408, "WORK_OF_ART"], [1410, 1431, "LOC"], [1433, 1440, "LOC"], [1479, 1486, "PER"], [1493, 1510, "WORK_OF_ART"], [1741, 1746, "PER"]]} +{"text": "Dante sintetizza in poche righe una argomentazione rintracciabile abbastanza correntemente in molti di quegli elogi della filosofia con i quali i maestri parigini aprivano i loro corsi o che comunque inserivano nelle loro lezioni (su questa letteratura cfr. per un primo sguardo d'insieme: Lafleur 1988): 'ogni realtà, indirizzata (impinta\") dall'ordine provvidenziale (\"provedenza di prima natura\"), desidera come suo fine e suo bene la piena realizzazione della propria natura (\"è inclinabile alla sua propria perfezione\"); l' uomo si caratterizza per il possesso e l'esercizio dell'intelletto; dunque la piena realizzazione della sua natura si identificherà per lui con l'attività intellettuale, cioè con la scienza (che per Dante, come per i suoi contemporanei, significa, aristotelicamente, sapere rigorosamente dimostrativo). E poiché il raggiungimento del fine si identifica con la felicità assoluta (\"ultima\") solo chi possiede la scienza è veramente felice. Dunque tutti noi, per natura, siamo soggetti (\"semo subietti\") a questo desiderio'. Sonia Gentili ha richiamato l'attenzione sulla stretta corrispondenza tra l'inizio del Convivio e le prime frasi del prologo del Commento al De anima del domenicano Graziadio di Ascoli (\"Sicut in principio metaphisice Philosophus dicit: Omnes homine naturaliter scire desiderant. Huius autem aliqualiter ratio esse potest quia unumquodque naturali quadam inclinacione seu desiderio inclinatur et appetit suum proprium et ultimum complementum\"; cfr. Gentili 2004, p. 179, nota 1) Graziadio è cronologicamente posteriore al testo dantesco così come lo è l'anonimo professore bolognese che utilizzerà, quasi con le stesse parole, il medesimo sillogismo.: \"Philosophus in principio Metaphysicae: omnes homines etc. Unumquodque enim naturaliter appetit suam perfectionem; sed scire est perfectio hominis per quam distinguitur a brutis animalibus; ergo omnis homo naturaliter scire desiderat\" (cfr. Fioravanti 1992, p. 172). Si tratta comunque di un motivo pervasivo, presente anche nel Prologo ad un corso di lezioni sull' Etica Nicomachea del domenicano fiorentino Remigio de' Girolami, lui sì contemporaneo e concittadino di Dante. Probabilmente questo testo è stato composto durante un soggiorno parigino di Remigio, ma le idee che esprime avranno avuto certamente modo di essere divulgate anche a Firenze (cfr. Panella 1981, pp. 122). La \"prima natura\" con la sua \"provedenza\" è con tutta probabilità da identificare con la \"natura universale che ordina la particulare a sua perfezione\" di cui si parla in Convivio I vii 9; III iv 10; IV ix 2, xxvi 3. Gli argomenti di Giorgio Inglese a favore della lezione \"propia natura\" (cfr. Inglese 2000, pp. 79-97) si scontrano, a mio avviso, con la difficoltà di attribuire ad una inclinazione naturale non consapevole una 'provvidenza'. Vedi a questo proposito Pd I 109 sgg. dove Dante distingue chiaramente tra l'istinto che orienta ogni singolo ente nel \"gran mar dell'essere\" e la \"provedenza che cotanto assetta\".", "labels": [[0, 5, "PER"], [290, 297, "PER"], [728, 733, "PER"], [1051, 1064, "WORK_OF_ART"], [1139, 1147, "WORK_OF_ART"], [1181, 1189, "WORK_OF_ART"], [1193, 1236, "WORK_OF_ART"], [1270, 1281, "PER"], [1501, 1508, "PER"], [1531, 1540, "PER"], [1730, 1742, "WORK_OF_ART"], [1946, 1956, "PER"], [2034, 2041, "WORK_OF_ART"], [2071, 2087, "WORK_OF_ART"], [2122, 2134, "WORK_OF_ART"], [2175, 2180, "PER"], [2259, 2266, "WORK_OF_ART"], [2349, 2356, "LOC"], [2363, 2370, "PER"], [2561, 2569, "WORK_OF_ART"], [2625, 2640, "PER"], [2687, 2694, "WORK_OF_ART"], [2860, 2862, "WORK_OF_ART"], [2879, 2884, "PER"]]} +{"text": "secondo uno schema anch'esso presente nei commenti agli scritti aristotelici, soprattutto alla Metafisica, e nel genere letterario degli elogi della Filosofia cui abbiamo accennato, Dante affronta il tema degli ostacoli (impedimenta nel linguaggio tecnico di Parigi) che allontanano di fatto gli uomini dal filosofare. Il ricorso ai vari tipi di impedimenta serve a risolvere una difficoltà di fondo: se è vero che per natura tutti gli uomini tenderebbero alla conoscenza scientifica (cioè, nel nostro caso, filosofica), perchè, nella realtà effettuale sono così pochi quelli che la raggiungono, e così tanti quelli che non la considerano o addirittura la disprezzano?. Anche la classificazione degli ostacoli in ostacoli interni ed esterni (dentro all'uomo e di fuori da esso\") rientra nella tradizione universitaria. Relativamente agli ostacoli interni va tenuto presente che, secondo un diffuso adagio aristotelico, un difetto sensoriale dovuto alla cattiva struttura degli organi, esemplificato qui dalla mancanza di udito e quindi di parola, rende impossibile l' acquisizione della scienza corrispondente (cfr. An. Post. I 18, 81 a 38-40 ); per la cultura tardo medievale funziona il principio che il più delle volte ad un handicap fisico corrisponde una qualche mancanza nelle facoltà conoscitive (è un adagio diffuso, tratto dalla Physiognomica pseudoaristotelica, quello per cui \"animae, ut plurimum, sequuntur corpora\" e Dante stesso vi farà riferimento in Cv IV ii 7 \"La nostra mente ... è fondata sopra la complessione del corpo\". Cfr. anche Cv III viii 17). Quanto all'anima, la malizia consiste in una radicata abitudine a commettere azioni malvage (\"malizia\") cui segue un irrimediabile stravolgimento del giudizio (\"inganno\") che ritiene desiderabile e trova piacevole ciò che non lo è veramente (\"viziose delettazioni\") e disprezza (\"tiene a vile\") ciò che dovrebbe è fonte di vera felicità. Il termine malitia (traduzione latina del greco kakia) si trova nel primo capitolo del settimo libro dell' Etica Nicomachea (1145 a 16-17); nel suo Commento Tommaso d'Aquino la caratterizza appunto come una perversione abituale del desiderio talmente forte da dominare (\"vincere\") la stessa ragione, portandola a considerare il piacere vizioso come il vero fine da raggiungere. Chi è in queste condizioni fa il male per scelta (In libros Ethicorum expositio, VII, lectio 1, n. 1294). I quattro impedimenti erano già elencati in trattati tipicamente universitari, anche se non tutti contemporaneamente: vedi ad esempio Tommaso d'Aquino nella Summa contra Gentiles (un'opera che Dante citerà esplicitamente in Cv IV xv 12 e IV xxx 3) I, cap. 4, n. 23 \"A fructu enim studiosae inquisitionis, qui est inventio veritatis, plurimi impediuntur tribus de causis. Quidam siquidem propter complexionis indispositionem (\"parti indebitamente disposte\") ... Quidam vero impediuntur necessitate rei familiaris ... (\"la cura familiare e civile\") ... Quidam autem impediuntur pigritia (\"cagione ... induttrice ... di pigrizia\")\"; Boezio di Dacia, De summo bono (p. 373) \"Cum enim omnes homines naturaliter scire desiderant, paucissimi tamen ... studio sapientiae vacant. Videmus enim quosdam pigritiam sequi, quosdam autem voluptates sensibiles (\"viziose delettazioni\") et quosdam desiderium bonorum fortunae\"; Giovanni di Jandun, Quaestiones super Metaphysicam I q. 4 \"Aliquis impeditur propter defectum necessariorum ad vitam ... Similiter aliquis retrahitur propter malitiam individualis naturae (\"quando la malizia vince in essa\"). Alia causa est segnities propter quam aliquis abhorret studere\". Meno diretto mi sembra il rapporto con la prefazione del Didascalicon di Ugo di San Vittore, accennato nel Commento Busnelli e sottolineato particolarmente da Baranski (cfr. Baranski 2000, pp. 92-7). In ogni caso la trattazione dei due impedimenti esterni riflette preoccupazioni e giudizi propri di Dante: la \"cura familiare\" (cioè l'impegno relativo alla gestione dei rapporti e dei beni privati) e quella \"civile\" (cioè l' impegno relativo alla cosa pubblica, alla politica; con civilis viene infatti reso, nella traduzione latina della Politica aristotelica il termine politikòs) è visto non solo come inevitabile (\"cagione di necessitade\", cioè causa che toglie ogni possibilità di dedicars allo studio), ma anche giustificato (\"convenevole\"). La pigritia poi si colora di notazioni socio-geografiche: la mancanza di scuole superiori (indicate al tempo di Dante con il nome di Studia), quindi di intellettuali (\"gente studiosa\") e la lontananza geografica che ne rende difficile la frequentazione saranno per tutto il Trecento ed oltre una delle motivazioni con cui le classi dirigenti dei Comuni italiani (Firenze, Pisa, Siena, Perugia ...) si impegnano nella fondazione di università municipali. Dante, che è stato a Bologna, la città dello Studio per antonomasia, pensa evidentemente che l' ostacolo sia ritenuto insormontabile solo dal vizio della pigrizia, degno di biasimo anche se non quanto la malizia. Ma soprattutto, come vedremo, Dante non accetta come irriformabile il dato di fatto per cui l'umanità è divisa tra una piccola minoranza di fruitori del sapere ed una stragrande maggioranza di frustrati inconsapevoli; il suo Convivio è infatti apparecchiato per rimuovere, almeno in parte, i due ostacoli esterni. Una più ampia e anche in parte diversa trattazione dei difetti fisici e mentali che impediscono il raggiungimento della verità si avrà in Cv IV xv 11-18.", "labels": [[95, 105, "ORG"], [182, 187, "PER"], [1117, 1119, "WORK_OF_ART"], [1121, 1125, "WORK_OF_ART"], [1341, 1354, "LOC"], [1433, 1438, "PER"], [1469, 1471, "WORK_OF_ART"], [1557, 1559, "WORK_OF_ART"], [2021, 2037, "WORK_OF_ART"], [2071, 2087, "PER"], [2532, 2548, "PER"], [2555, 2576, "WORK_OF_ART"], [2591, 2596, "PER"], [2622, 2624, "WORK_OF_ART"], [3030, 3045, "PER"], [3047, 3060, "WORK_OF_ART"], [3313, 3331, "PER"], [3333, 3363, "WORK_OF_ART"], [3662, 3674, "WORK_OF_ART"], [3678, 3696, "PER"], [3712, 3722, "WORK_OF_ART"], [3765, 3773, "PER"], [3780, 3788, "PER"], [3906, 3911, "PER"], [4146, 4167, "WORK_OF_ART"], [4467, 4472, "PER"], [4488, 4494, "WORK_OF_ART"], [4630, 4638, "PER"], [4719, 4726, "LOC"], [4728, 4732, "LOC"], [4734, 4739, "LOC"], [4741, 4748, "LOC"], [4810, 4815, "PER"], [4831, 4838, "LOC"], [5053, 5058, "PER"], [5249, 5257, "WORK_OF_ART"], [5478, 5480, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘si mangia’. Il pane degli angeli, nella tradizione veterotestamentaria è la manna (cfr. Ps. 77, 25 «Panem angelorum manducavit homo»). Nel vangelo di Giovanni (6, 59) il nuovo pane del cielo, che si oppone alla manna dei padri, è Cristo che si offre come vero cibo. L’esegesi patristica, a partire da Agostino, aveva visto nel ‘panis angelorum’ il Verbo stesso (cfr. le Enarrationes in Psalmos, ps. 77, 17, p. 1081, seguite quasi alla lettera da Cassiodoro e da Remigio di Auxerre, fino alla Glossa ordinaria, PL. 113, p. 970: «Panis caeli, non aliter quam Christus de quo coelestes, id est angeli, reficiuntur eius contemplatione»). A questa interpretazione se ne era aggiunta un’altra che collegava il pane degli angeli mangiato dagli uomini al mistero eucaristico (cfr. Aimone di Halberstadt, Explanatio in Psalmos, PL 116, p. 462). Nei decenni immediatamente precedenti il Convivio, nella sequenza della nuova festa del Corpus Domini da lui composta Tommaso d’Aquino aveva particolarmente sottolineato quest’ultimo aspetto («in figuris praesignatus … datur manna patribus»; «ecce panis angelorum factus cibus viatorum»). Che, come qui avviene, il pane degli angeli indichi anche per gli uomini il sapere e la conoscenza è dunque un’ esegesi abbastanza originale di Dante: infatti solo nel Commento ai Salmi di Brunone di Asti viene identificato oltre che con il corpo di Cristo, con la “intelligentia” e la “scientia spiritualis” (cfr. PL 164, p. 998). Si è molto discusso se questo sapere si identificasse per Dante con la teologia o con la filosofia. Molto opportunamente Bruno Nardi ha fatto notare che questa distinzione non sembra applicabile al pensiero dantesco, per cui il Verbo identificato appunto con il “panis angelorum” dall’esegesi patristica e scolastica, riassume in sé entrambe (cfr. Nardi 1944, pp. 47-53). Minor attenzione è stata riservata al fatto che per l’autore del Convivio questo pane viene distribuito ad alcuni (pochi) mentre altri, molti e sociologicamente ben connotati, ne rimangono esclusi: l’immagine della mensa alla quale si siede e dove lo si può trovare e mangiare ha tutta l’aria di rimandare ad un contesto istituzionale. Per questo mi sembra plausibile che Dante stia pensando anche ad un sapere concreto e curriculare ed alle istituzioni che lo forniscono, prima di tutti l’Università (nella bolla con cui nell’aprile 1231 il papa Gregorio IX annunciava ai maestri e agli studenti parigini una revisione dei libri aristotelici in funzione di un loro uso legittimo come testi di insegnamento, la città ed il suo Studio venivano definiti ‘parens scientiarum’ e ‘officina specialis sapientie’ (cfr.Denifle-Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis, I, n. 78).", "labels": [[89, 91, "WORK_OF_ART"], [140, 159, "WORK_OF_ART"], [231, 237, "PER"], [302, 310, "PER"], [350, 355, "PER"], [372, 395, "WORK_OF_ART"], [448, 458, "PER"], [464, 482, "PER"], [494, 510, "WORK_OF_ART"], [512, 514, "WORK_OF_ART"], [559, 584, "WORK_OF_ART"], [775, 796, "PER"], [798, 819, "WORK_OF_ART"], [821, 823, "WORK_OF_ART"], [879, 887, "WORK_OF_ART"], [926, 939, "WORK_OF_ART"], [956, 972, "PER"], [1271, 1276, "PER"], [1295, 1303, "WORK_OF_ART"], [1307, 1315, "WORK_OF_ART"], [1316, 1326, "PER"], [1377, 1383, "PER"], [1442, 1444, "WORK_OF_ART"], [1517, 1522, "PER"], [1580, 1591, "PER"], [1688, 1693, "WORK_OF_ART"], [1808, 1813, "PER"], [1897, 1905, "WORK_OF_ART"], [2204, 2209, "PER"], [2379, 2390, "PER"], [2663, 2701, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘provano compassione verso coloro che vedono andar («veggion sen gire») mangiando erba e ghiande, cibo degno di bestie («bestiale pastura») e non di uomini’. La pastura di ghiande rimanda alla condizione del figliol prodigo costretto a desiderare il cibo dei porci che conduceva al pascolo (cfr. Lc. 15, 16).", "labels": [[296, 298, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la liberalità, virtù che aristotelicamente consiste nel saper acquisire e donare in modo corretto ricchezze materiali (cfr. Eth. Nic. IV 1, 1119 b 22 sgg. e lo stesso Convivio, IV xvii 4 «liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali») viene estesa al bene della scienza. Qui essa dovrebbe trovare la sua applicazione insieme più alta e più necessaria: la scienza infatti è un dono di Dio e, come il tempo, non può essere comprata e venduta, ma solo dispensata (cfr. Post –Giocarinis- Kay 1955). Ma questa linea di pensiero andava ormai soccombendo sotto la pressione delle ‘artes lucrativae’, diritto e medicina, dove la preparazione universitaria dei professionisti serviva semmai ad alzare le tariffe (cfr. Cv IV xxvii 9). L’affermazione del Convivio, dunque, riguarda più il dover essere che l’essere e forse non è priva di una sfumatura di ironia. Sulla relazione tra liberalità e misericordia in Dante vedi Artale 2000, pp. 69-97.", "labels": [[167, 175, "PER"], [515, 519, "PER"], [533, 536, "PER"], [759, 761, "WORK_OF_ART"], [794, 802, "WORK_OF_ART"], [951, 956, "PER"], [962, 968, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta del desiderio di sapere di cui Dante ha parlato nel primo paragrafo di questo capitolo. La metafora della sete e l’ immagine del fonte vivo richiamano le parole rivolte da Gesù alla Samaritana nel Vangelo di Giovanni «Aqua quam dabo … fiet … fons aquae salientis in vitam aeternam» (4, 14). La stessa metafora verrà usata da Dante in Pg XXI 1-4, con un rimando esplicito al testo evangelico: «La sete natural che mai non sazia / se non con l’acqua onde la femminetta / sammaritana dimandò la grazia / mi travagliava …». Ma nel Convivio, come vedremo, Dante pensa che la sete “naturale” possa essere saziata “naturalmente” dal sapere che l’uomo è capace di raggiungere usando al meglio il proprio intelletto.", "labels": [[41, 46, "PER"], [182, 186, "PER"], [192, 202, "WORK_OF_ART"], [207, 226, "MISC"], [336, 341, "PER"], [540, 548, "WORK_OF_ART"], [564, 569, "PER"]]} +{"text": "‘raccolgo’. Anche l'immagine del raccogliere ciò che cade dalla mensa rimanda a due passi evangelici: la parabola di Lazzaro e del ricco epulone (Lc. 16, 21) e il colloquio di Gesù con la donna cananea (Mt. 15, 26-27). Con questa similitudine Dante in qualche modo caratterizza la sua collocazione particolare nei confronti del mondo della cultura alta: egli non fa parte strutturalmente della corporazione dei ‘viri scientifici’, ma, nonostante le cure civili e familiari è riuscito (come egli stesso ci dirà) a fruire in qualche misura del loro sapere, prima leggendo da solo alcuni testi, poi frequentando le istituzioni culturali che lo producono e lo tramandano. Di questo sapere egli vuole ora essere in qualche modo il tramite verso coloro che ne sono stati totalmente esclusi. Da cosa deriva questo desiderio di divulgazione? Come vedremo Dante è un convertito alla Filosofia; a differenza degli intellettuali di professione ha sperimentato e sperimenta personalmente la distanza abissale tra il pane degli angeli e l' erba e le ghiande che lui stesso non dimentica di aver mangiato («non me dimenticando»); quindi è maggiormente aperto ad un sentimento di compassione («misericordievolmente mosso») per coloro che sono rimasti in bestiale pastura e sente forte un bisogno che gli uomini di scienza non provano: quello di avvicinare al sapere filosofico il numero maggiormente possibile di persone. In effetti, come ha giustamente notato F. Cheneval (Cheneval 1998, p. 354) i maestri universitari avevano sì elencato gli impedimenti ad una vita veramente degna dell'uomo, ma non avevano mai pensato che fosse loro compito rimuoverli. La novità dell’atteggiamento di Dante risulterà ancora più evidente se, con Ruedi Imbach, sottolineeremo che nell’esegesi di Alberto Magno, un filosofo e teologo già da vivo modello di cultura alta, cui Dante si riferirà spesso nel Convivio, il pane che Gesù rifiuta inizialmente alla donna cananea è appunto la dottrina profonda, negata ai laici (cfr. In Joel prophetam enarratio, c. 1, n. 11 «Et cum laica peteret panem delicatum, respondit: non est bonum sumere panem filiorum et mittere canibus», citato in Imbach, 1989, p. 133).", "labels": [[118, 125, "PER"], [148, 150, "WORK_OF_ART"], [178, 182, "PER"], [205, 207, "WORK_OF_ART"], [245, 250, "PER"], [850, 855, "PER"], [1450, 1461, "PER"], [1463, 1471, "PER"], [1678, 1683, "PER"], [1722, 1734, "WORK_OF_ART"], [1771, 1784, "PER"], [1849, 1854, "PER"], [1878, 1886, "WORK_OF_ART"], [1900, 1904, "PER"], [2002, 2026, "WORK_OF_ART"], [2157, 2163, "LOC"]]} +{"text": "il termine “convivio” che come Dante ci dice immediatamente dopo, sarà anche il titolo dell'opera, è carico di richiami e suggestioni. Che Platone avesse parlato di un banchetto filosofico veniva asserito nel XII secolo non a partire, come ci aspetteremmo, dal Simposio (un testo del tutto sconosciuto per il Medioevo) ma dal Timeo in cui proprio all’inizio Socrate aveva accennato ad un convito del giorno prima. Così aveva glossato un suo interprete: «Plato per involucrum cuiusdam convivii tractat … materiam. Volens enim per positivam justitiam accedere ad naturalem … inducit Socratem … pridie Timaeo … dedisse epulum, id est tractatum de positiva iustitia» (Bernardo di Chartres, Glosae super Timaeum, ed. Dutton, p. 145). E poco dopo, spiegando il termine epulum: «Epulum, id est convivium, dicitur disputatio philosophorum per simile, quia sicut in convivio multa habentur fercula, ita in eorum disputatione multae et variae tractantur sententiae» (ivi, p. 147). Nella Bibbia, poi, la Sapienza stessa allestiva un banchetto per gli uomini (cfr. Prv 9, 1-5). Infine, nella stessa linea del pane degli angeli, il termine era stato utilizzato nella liturgia del Corpus Domini («O sacrum convivium in quo Christus sumitur»). Nella letteratura volgare, immediatamente prima di Dante, Guittone d’Arezzo, richiesto di ammaestramenti, aveva parlato della sua poveretta mensa e di una vivanda che sarebbe stata utile al suo convitato (Lettera a Gianni Bentivegna, in Lettere, ed. Margueron, p. 4). Dante, a differenza di Guittone, parla però di un «convivio generale», cioè pubblico, aperto a tutti. Il paragone può dunque rimandare anche ad una di quelle tavole bandite che nella Firenze del XIII secolo mostravano la “larghezza” di magnati come Betto Brunelleschi (cfr. Decameron VI 9). La Cronica di Giovanni Villani (VIII 89, pp. 547-548) parla di una corte bandita nell’estate del 1283 alla quale parteciparono «mille uomini e più tutti vestiti di robe bianche … stando in conviti insieme,in desinari e in cene» e richiamò a Firenze «di diverse parti molti gentiluomini di corte e giocolari» (meno convincente il richiamo del Commento di Cheneval ai ‘convivia publica’ caratteristici di alcune città greche e ricordati nella Politica aristotelica). Viene così ulteriormente sottolineata l'intenzione di venire incontro ai bisogni più profondi di chi, non per disgrazia o colpa, è rimasto escluso dal sapere. Il De vulgari eloquentia (I i 1) esprime con la metafora del bere la medesima intenzione di venire incontro ad un vasto pubblico di non specialisti.", "labels": [[31, 36, "PER"], [140, 147, "PER"], [262, 270, "WORK_OF_ART"], [310, 318, "PER"], [327, 332, "PER"], [359, 366, "PER"], [600, 606, "WORK_OF_ART"], [665, 685, "PER"], [687, 707, "WORK_OF_ART"], [713, 719, "PER"], [979, 985, "WORK_OF_ART"], [1056, 1059, "WORK_OF_ART"], [1171, 1184, "WORK_OF_ART"], [1284, 1289, "PER"], [1449, 1466, "PER"], [1471, 1478, "WORK_OF_ART"], [1503, 1508, "PER"], [1526, 1534, "PER"], [1686, 1693, "LOC"], [1752, 1770, "PER"], [1777, 1786, "WORK_OF_ART"], [1797, 1804, "WORK_OF_ART"], [1808, 1824, "PER"], [2036, 2043, "LOC"], [2137, 2145, "WORK_OF_ART"], [2149, 2157, "PER"], [2236, 2257, "WORK_OF_ART"], [2422, 2443, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘pulire da ogni macchia, da ogni sporcizia’. Il termine ‘purgare’ era già ststo usato da Brunetto Latini nel senso traslato che gli darà Dante (cfr. La Rettorica I, 13, p. 7 «Tulio, volendo che la rettorica fosse amata e tenuta cara …, mise davanti questo prolago, nel quale purgò quelle cose che pareano a llui gravose » ).", "labels": [[89, 104, "PER"], [137, 142, "PER"], [152, 163, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘non è ammesso dai maestri di retorica’ (“per”, nell’italiano antico, ha spesso il valore di complemento di mezzo o di agente). Dante si riferisce con tutta probabilità agli autori di quei testi che per la cultura medievale fondano e trasmettono la retorica come scienza capace di essere insegnata: essenzialmente il Cicerone del De inventione e della Rhetorica ad Herennium al tempo di Dante comunemente attribuita all’Arpinate. Non è da escludere la presenza di “rettorici” contemporanei come Brunetto Latini che nel Trésor aveva abbondantemente parafrasato Cicerone e nella Rettorica aveva commentato il De inventione. Né in Cicerone né in Brunetto si trova però un divieto di parlare di sé medesimi, bensì suggerimenti su come accattivarsi l’animo degli uditori parlando di sé, ma con modestia e senza iattanza (cfr. Trésor, III xxv 2, p. 678 che parafrasa De inventione I.22, e Rettorica 95, pp. 120 sgg. che lo commenta). Tra questi, quello di «diluere crimina inlata et aliquas inhonestas suspiciones iniectas» corrisponde effettivamente ad una delle due cause che rendono necessario il parlare di sé alla quale si riferirà Dante nel paragrafo 13 («L’una è quando senza ragionare di sé grande infamia o pericolo non si può cessare»). Come hanno notato i commenti di Busnelli e di Vasoli, il divieto di parlare sia bene sia male di sé si trova piuttosto attribuito ad Aristotele in un’opera assai diffusa e utlizzata nel Medio Evo, i Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (cfr. VII.ii.11 «Aristoteles de semet ipso in neutram partem loqui debere praedicabat, quoniam laudare se vani, vituperare stulti esset»). Da qui era passato in una delle più diffuse opere enciclopediche del Medioevo, lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (IV, cap. 82, p. 174) e dallo Speculum in un’opera in volgare coeva di Dante, il Fiori e vita di filosafi e d’altri savi e d’imperadori, p. 128. L’ipotesi più probabile è che Dante avesse trovato la massima nei Disticha Catonis, uno dei testi base delle scuole medievali di grammatica. In ogni caso, accanto alla auctoritas degli “autori”, Dante registra il fatto che in linea di massima ci si astiene comunque («da ciò l’uomo è rimosso »: «l’uomo» ha un valore impersonale, come nel francese “on”) dal parlare di sé: se infatti parlare di qualcuno implica sempre lode o biasimo, chi parla di sé non può riferire la lode o il biasimo altro che a se stesso, e questo rende necessariamente il suo discorso rozzo e volgare («stanno a far dire rusticamente nella bocca di ciascuno»). Sulla necessità di non essere «laudatore di sé medesimo, la quale cosa è al postutto biasimevole a chi lo fa» cfr. Vn 19, 2.", "labels": [[129, 134, "PER"], [318, 326, "PER"], [331, 344, "WORK_OF_ART"], [353, 375, "WORK_OF_ART"], [388, 393, "PER"], [421, 429, "WORK_OF_ART"], [496, 511, "PER"], [520, 526, "WORK_OF_ART"], [561, 569, "PER"], [578, 587, "WORK_OF_ART"], [608, 621, "WORK_OF_ART"], [629, 637, "PER"], [644, 652, "PER"], [822, 828, "PER"], [885, 894, "WORK_OF_ART"], [1134, 1139, "PER"], [1276, 1284, "LOC"], [1377, 1387, "PER"], [1430, 1439, "WORK_OF_ART"], [1443, 1448, "PER"], [1474, 1489, "PER"], [1711, 1730, "WORK_OF_ART"], [1734, 1754, "PER"], [1786, 1794, "WORK_OF_ART"], [1827, 1832, "PER"], [1837, 1861, "WORK_OF_ART"], [1931, 1936, "PER"], [1967, 1983, "WORK_OF_ART"], [2097, 2102, "PER"], [2652, 2654, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante riecheggia qui un brano della Scrittura (Sap. 11, 21 «Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti»).", "labels": [[0, 5, "PER"], [36, 45, "WORK_OF_ART"], [47, 50, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante usa come esempio di un lecito parlare di sé Boezio e il suo De consolatione philosophiae, scritto nel 524 d.C. mentre il filosofo e uomo politico latino era incarcerato a Pavia sotto l’ accusa di alto tradimento nei confronti del re Teodorico. All’ inizio del trattato Boezio, rivolgendosi alla Filosofia (personificata in una veneranda matrona che gli è apparsa in prigione), pronuncia una appassionata apologia di se stesso, lamentandosi che nessuno si fosse levato a difenderlo («poi che altro escusatore non si levava») e dimostrando infondate le accuse che lo avevano fatto incarcerare lontano da Roma («essilio»; cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 3, p. 9 «tu in has essilii nostri solitudines, o omnium magistra virtutum, venisti?») che, altrimenti, sarebbero rimaste per lui marchio d'infamia perenne («perpetual infamia». Boezio si lamenta di esser stato «existimatione foedatus»; cfr De consolatione philosophiae I, prosa 4, 45, p. 18).", "labels": [[0, 5, "PER"], [50, 56, "PER"], [66, 94, "WORK_OF_ART"], [239, 248, "PER"], [275, 281, "PER"], [609, 613, "LOC"], [850, 856, "PER"], [913, 941, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il senso è che nessuno avrebbe potuto certificare con una testimonianza più attendibile la dottrina e gli esempi di vita offerti alla nostra considerazione. Agostino, infatti, li aveva sperimentati di persona prima di narrarli. In effetti il vescovo di Ippona afferma chiaramente di aver scritto le Confessioni spinto non dalla curiosità, ma dalla carità perchè rechino frutto a chi le legge (cfr. Confessiones, X iii 3-iv 6, pp. 156-58).", "labels": [[159, 167, "PER"], [302, 320, "WORK_OF_ART"], [404, 416, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘il colpo inferto dalla Fortuna’. Il termine “fortuna” ha per Dante significati più complessi che per noi. La tarda antichità greco-latina aveva fatto della fortuna una divinità (la Tyche) che reggeva a suo capriccio il mondo delle ricchezze, del potere e del successo, e anche dell’agonismo sportivo (una statua della Tyche dominava l’ingresso al grande stadio di Costantinopoli). Attraverso il De consolatione philosophiae questa personificazione era passata al Medioevo sia latino che romanzo (dal Policraticus di Giovanni di Salisbury al Roman de la rose) mantenendo la medesima sfera di competenza (gli «splendori mondani» di If VII 77). La Fortuna, però, come la Natura dei maestri chartriani o di Alano di Lilla, era diventata una ancella di Dio. L’alternarsi dei suoi favori è plasticamente reso da un simbolo diffusissimo: la ruota della Fortuna (cfr. If XV 95-6 «però giri Fortuna la sua rota / come le piace …»). Il suo girare non può essere fermato da preghiere perché fa parte esso stesso di un ordine provvidenziale che il più delle volte sfugge alla nostra comprensione immediata; come aveva già detto Agostino nel Contra Academicos (I i.1, p. 3): «quae vulgo fortuna nominatur, occulto quodam ordine regitur» (cfr. Mn II ix 9). Se riuscissimo ad adottare il punto di vista della totalità la Fortuna dovrebbe essere lodata, non biasimata (cfr. If VII 91-3). Se in Cv IV xi 6 sgg., nel caso particolare della distribuzione delle ricchezze, la fortuna viene vista come principio di ingiustizia e quindi di irrazionalità, ciò dipende dalla natura stessa dei beni distribuiti, e inoltre si tratta di giudizi formulati dal punto di vista di una giustizia e di una razionalità umane (cfr. Renucci, 1954, pp. 99-100). In ogni modo qui e nella Commedia Dante ha come punto di riferimento Boezio, e non Aristotele o i suoi commentatori medievali, che presentano della fortuna e della casualità una dottrina piuttosto diversa (cfr. Phys. II, 5-6) e soprattutto assai più tecnica e meno trasfigurabile poeticamente.", "labels": [[24, 31, "PER"], [62, 67, "PER"], [182, 187, "WORK_OF_ART"], [319, 324, "WORK_OF_ART"], [396, 424, "WORK_OF_ART"], [464, 472, "PER"], [501, 513, "WORK_OF_ART"], [517, 538, "PER"], [542, 558, "WORK_OF_ART"], [647, 654, "PER"], [705, 719, "PER"], [848, 855, "PER"], [885, 892, "PER"], [1121, 1129, "PER"], [1134, 1151, "WORK_OF_ART"], [1311, 1318, "PER"], [1384, 1386, "WORK_OF_ART"], [1758, 1766, "WORK_OF_ART"], [1767, 1772, "PER"], [1802, 1808, "PER"], [1816, 1826, "PER"], [1944, 1948, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la metafora della povertà che «vapora» (cioè esala) un vento secco, si spiega con la teoria generale dei venti esposta da Aristotele nel secondo libro dei Meteorologici (c. 4, 360 a 12 sgg.), un testo che Dante utilizzerà attraverso la parafrasi di Alberto Magno, e che comunque era tra i più diffusi, in traduzioni e compendi in volgare, anche al di fuori del circuito universitario (un esempio per tutti è La composizione del mondo colle sue cascioni di Ristoro d’Arezzo).", "labels": [[122, 132, "PER"], [155, 168, "WORK_OF_ART"], [205, 210, "PER"], [249, 262, "PER"], [456, 463, "LOC"], [466, 472, "LOC"]]} +{"text": "Dante illustra analiticamente (usando il suo linguaggio, diremmo “sottilmente”) il processo per cui la buona opinione di una persona si accresce esponenzialmente passando di bocca in bocca: il secondo anello della catena («la seconda mente») non si limita a recepire l’ampliamento della fama operato dal primo («non solamente alla dilatazione della prima sta contenta»), ma a sua volta amplia ulteriormente rispetto a quello che le è giunto («quella più ampia fa che a lei non vene») per uno dei due motivi già prima accennati: o perché consapevolmente cerca di abbellire («procura di adornare») quel che trasmette agli altri («riportamento») considerandolo come fosse un suo proprio prodotto («sì quasi come suo effetto»), o perché è ingannato dall’amore disinteressato che in lui si genera verso la persona lodata («per l’inganno che riceve della caritade in lei generata»). Anche qui nel primo caso si va contro coscienza, nel secondo no. Lo stesso si verifica in chi a sua volta riceve («la terza ricevitrice») e così la fama buona si accresce («si dilata») all’infinito. Una medesima struttura («ragione») possiamo osservare («si può vedere») nel processo con cui si accresce la cattiva fama («infamia»), solo che le cause vanno rovesciate nel loro contrario («volgendo le cagioni …nelle contrarie»); prodotta da una mente nemica, infatti, essa è cresciuta dall’odio anzi che dalla «caritade». Per dar forza alla sua spiegazione Dante cita e traduce Eneide IV 175 «fama mobilitate viget viresque adquirit eundo». Dato che in latino viget non significa “vive”, ma “ha vigore”, è possibile sia che il codice di Virgilio letto da Dante avesse la variante vivit al posto di viget, sia che Dante sbagliasse citando a memoria.", "labels": [[0, 5, "PER"], [1387, 1396, "WORK_OF_ART"], [1434, 1439, "PER"], [1455, 1461, "WORK_OF_ART"], [1614, 1622, "PER"], [1632, 1637, "PER"], [1691, 1696, "PER"]]} +{"text": "‘come fossero dei bambini’. Con l’ espressione ‘fanciullezza d’animo’, indipendentemente dall’età effettiva, Aristotele aveva caratterizzato chi vive assecondando le passioni e non la ragione (cfr. Eth. Nic. I 2, 1095a 6-8. Dante si riferirà espressamente a questo passo in Cv IV xvi 5). Il testo aristotelico osservava che costoro si lasciano trascinare da qualsiasi tipo di attrazione. Dante allarga questa breve notazione: quelli che seguono i sensi ora desiderano ardentemente una cosa («sono vaghi»), e poi velocemente ne sono sazi, si rallegrano e si rattristano intensamente ma per breve tempo e per motivi futili («si tratta di brievi dilettazioni e tristizie»), rapidamente diventano amici e rapidamente nemici («tosto» ha il valore di subito, improvvisamente). Osservazioni simili sono presenti in altri passi dell’ Etica Nicomachea e della Retorica in cui Aristotele illustra i caratteri propri dei giovani (cfr. Eth. Nic. VIII 3, 1156 a 34-35 « i giovani rapidamente diventano amici e rapidamente cessano di esserlo»; Rhet. II 12, 1389 a 5-6 «sono incostanti e volubili nei loro desideri; il loro desiderio è intenso ma viene meno rapidamente»). Dante usa queste notazioni estraendole dal loro contesto socio-psicologico ed inserendole nel quadro più ampio già delineato dalle linee iniziali del Convivio: nonostante tutti gli uomini abbiano come loro fine e loro perfezione il conoscere, nei fatti la grande maggioranza non raggiunge nemmeno lo stadio dell’ uso di ragione, e rimane, come i bambini, al livello della sensibilità .Ora chi usa i sensi non coglie se non l'aspetto esteriore delle cose («semplicemente di fuori») ed il suo giudizio sarà per forza di cose affrettato e superficiale («onde tosto veggiono tutto ciò che ponno, e giudicano secondo la loro veduta»). Solo gli occhi della ragione colgono le cose nella loro realtà profonda, caratterizzata da una finalità che le rende buone, («la loro bontade la quale a debito fine è ordinata») andando oltre le apparenze («passano a veder quello», cioè il bene ed il fine che non sono percepibili dai sensi). Che la maggioranza degli uomini, seguendo i sensi, non viva da uomo è una affermazione comune agli intellettuali universitari, siano essi filosofi o teologi, accompagnata spesso non solo dalla deplorazione, ma anche dall'orgogliosa coscienza di essere l' eccezione. (cfr. il De summo bono di Boezio di Dacia, pp. 371-372 «Et ita omnes homines hodie impedit inordinata concupiscentia a suo summo bono exceptis paucissimis honorandis viris … et isti sunt philosophi qui ponunt vitam suam in studio sapientiae»). Il caso di Dante sembra però diverso. Per molti di coloro che mangiano il pan degli angeli gli altri uomini sono assimilabili a bestie, secondo un adagio attribuito indifferentemente ad Aristotele, Averroè e Seneca ed usatissimo dai ‘magistri in philosophia’ del XIII secolo «Vae vobis homines qui computati estis in numero bestiarum» (cfr. il De summo bono di Boezio di Dacia, p. 369, ll. 19-21). Nel Convivio il paragone è con i fanciulli: come i bambini, non ancora uomini, sono però in potenza a diventarlo, così chi vive secondo i sensi per natura rimane sempre in grado di esercitare pienamente la sua natura razionale (cfr. If XXVI 119-120 «fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza»). Il Convivio proprio a questo vuole contribuire.", "labels": [[109, 119, "PER"], [198, 201, "WORK_OF_ART"], [226, 231, "PER"], [276, 278, "WORK_OF_ART"], [390, 395, "PER"], [828, 844, "WORK_OF_ART"], [853, 861, "WORK_OF_ART"], [869, 879, "PER"], [927, 930, "WORK_OF_ART"], [1034, 1038, "PER"], [1163, 1168, "PER"], [1314, 1322, "WORK_OF_ART"], [2367, 2380, "WORK_OF_ART"], [2384, 2399, "PER"], [2614, 2619, "PER"], [2789, 2799, "PER"], [2801, 2808, "PER"], [2811, 2817, "PER"], [2947, 2960, "WORK_OF_ART"], [2964, 2979, "PER"], [3006, 3016, "WORK_OF_ART"], [3333, 3341, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che l’invidia sia una passione viziosa presente solo tra pari grado è dottrina peculiare della Retorica aristotelica (III 10, 1387 b 24).", "labels": [[95, 116, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la citazione di Agostino non è letterale. Il concetto è comunque chiaramente presente nelle Confessioni: «Nemo mundus a peccato coram te, nec infans cuius est unius diei vita super terram» (I vii 11, p. 6)", "labels": [[16, 24, "PER"], [92, 117, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il termine “virtù”, come dimostrano gli esempi del cavallo e della spada, ha per Dante qui come in seguito un significato più ampio di quello strettamente morale. Esso indica per ciascuna cosa e non solo per l’uomo la capacità di realizzare al livello massimo tutte le proprie potenzialità e raggiungere il fine cui è ordinata. L’esempio del cavallo “virtuoso” si ritrova sia nell’ Etica Nicomachea (II 6, 1106 a 19-21) sia nel Commento di Tommaso (I, lectio 10, n. 128 «sed hoc pertinet ad rationem virtutis quod unusquisque habens virtutem, secundum eam bene operetur, sicut virtus equi est secundum quam bene currit»; II, lectio 6, n. 307 «Similiter etiam virtus equi est quae facit equum bonum, et per quam equus bene operatur opus suum, quod est velociter currere»).", "labels": [[81, 86, "PER"], [382, 398, "WORK_OF_ART"], [429, 437, "WORK_OF_ART"], [441, 448, "PER"]]} +{"text": "è stato notato come questa frase richiami un’affermazione presente proprio in un testo di linguistica: le Quaestiones supra Prisciano Minori di Gentile da Cingoli, un maestro che ha insegnato a Bologna dal 1290 al 1318 circa: «in natura … dicitur esse perfectum quod attingit propriam operationem et finem, et quantum magis potest in propriam operationem et finem … tanto dicitur esse perfectius». (cfr. Longoni 1991, pp. 110-111).", "labels": [[106, 140, "WORK_OF_ART"], [144, 162, "PER"], [194, 201, "LOC"], [405, 412, "PER"]]} +{"text": "compare qui per la prima volta e quasi per inciso un tema che avrà largo spazio nella trattazione seguente (cfr. per esempio Cv II iv 10). Nella trattazione patristica e monastica attiva è la vita dedicata al servizio dei fratelli, anche attraverso l’esercizio di responsabilità e di cariche che rendono necessario un certo tasso di immersione nel “mondo” (i buoni prelati ne sono l’incarnazione); contemplativa è invece quella totalmente spesa nella preghiera e nella meditazione della parola divina: la vita del monaco. La prima è raffigurata da Marta, la seconda da Maria. Nell’episodio della accoglienza di Gesù nella casa di Lazzaro, infatti, Marta si preoccupa dei doveri dell’ospitalità, mentre Maria siede ai piedi dell’ospite attenta alle sue parole (cfr. Lc. 10, 38-42. Dante si riferirà esplicitamente a questo episodio in Cv IV xvii 10 ). Alla radice di questa interpretazione e di questa dottrina (certamente non presente nel Vangelo) sta, anche se profondamente modificata, la teoria dei generi di vita elaborata dalla filosofia greca. Con la traduzione, a metà del XIII secolo, dell’ Etica Nicomachea, questa teoria torna ad essere conosciuta direttamente dai medievali e reagisce a sua volta sul modello teologico. Aristotele aveva distinto tre tipi di vita: una basata sulla ricerca del piacere, una sulla ricerca dell’onore che è dovuto alle virtù, una terza dedicata all’esercizio della conoscenza pura (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 17 sgg.). Ovviamente, come per lo Stagirita, anche per gli intellettuali delle Università la prima era da respingere in assoluto; la terza, quella contemplativa (così infatti era stato reso il termine greco theoretiké nella traduzione latina del testo aristotelico) era, come quella di cui avevano parlato Padri e monaci, la migliore. L’identità verbale nascondeva però una forte diversità di contenuti: alla meditazione delle “cose” divine rivelate nella Scrittura si sostituiva la contemplazione dell’ordine razionale del cosmo. Per parte sua la seconda vita era stata identificata con quella attiva. Anch’essa peraltro aveva assunto caratteri assai diversi da quelli tradizionali identificandosi, molto laicamente, con l’esercizio delle virtù politiche (cfr. Eth. Nic. I 5, 1095 b 29-31 e più ampiamente X 7, 1177 b 6 sgg.), soprattutto della giustizia. In questo senso il primo commentatore del testo aristotelico nella sua interezza, Alberto Magno, parlerà di due felicità collegate a due tipi di vita: quella contemplativa, appunto, e quella politica (cfr. Super Ethica commentum et quaestiones I, lectio 7, p. 33, ll. 1-15) e Dante in questo lo seguirà.", "labels": [[125, 127, "WORK_OF_ART"], [548, 553, "PER"], [569, 574, "PER"], [596, 615, "WORK_OF_ART"], [648, 653, "PER"], [702, 707, "PER"], [765, 767, "WORK_OF_ART"], [780, 785, "PER"], [834, 836, "WORK_OF_ART"], [940, 947, "WORK_OF_ART"], [1100, 1116, "WORK_OF_ART"], [1232, 1242, "PER"], [1429, 1432, "WORK_OF_ART"], [1485, 1494, "PER"], [1530, 1540, "LOC"], [1757, 1762, "PER"], [1907, 1916, "WORK_OF_ART"], [2213, 2216, "WORK_OF_ART"], [2391, 2404, "PER"], [2515, 2552, "WORK_OF_ART"], [2585, 2590, "PER"]]} +{"text": "il principio generale enunciato al paragrafo precedente viene applicato specificamente al linguaggio. Esso per natura ha il compito di rendere palese («è ordinato a manifestare») agli altri ciò che la mente internamente concepisce («lo umano concetto» «cose concepute nella mente»), come dice esplicitamente il De vulgari eloquentia «Si ... perspicaciter consideramus quid cum loquimur intendamus, patet quod nichil aliud quam nostre mentis enucleare aliis conceptum» (I ii 3). Un testo di Tommaso, segnalato nel Commento di Cheneval (cfr. Summa Theologiae I, q. 107, a. 1, respondeo: «Nihil est … aliud loqui ad alterum quam conceptum mentis alteri manifestare») sembra poter essere la fonte specifica di Dante, sia per il Convivio che per il De vulgari eloquentia. Si tratta comunque di dottrina presente in molti trattati universitari di grammatica, di origine sia parigina che bolognese. Per Parigi cfr. il Tractatus de modis significandi di Boezio di Dacia («Est etiam grammatica necessaria ut per ipsam homo sciat exprimere conceptum intentum per sermonem congruum» ed. Pinborg, p. 22, ll. 46-47); per Bologna le già citate Quaestiones supra Prisciano Minori di Gentile da Cingoli composte probabilmente prima o al massimo negli anni stessi della stesura del Convivio (quaestio 4 «Nomina necessaria sunt ut exprimamus nostros conceptus alteri», ed. Martorelli, p. 21, ll. 67-68).", "labels": [[312, 336, "WORK_OF_ART"], [492, 499, "PER"], [515, 523, "WORK_OF_ART"], [527, 535, "PER"], [542, 558, "WORK_OF_ART"], [709, 714, "PER"], [727, 735, "WORK_OF_ART"], [747, 768, "WORK_OF_ART"], [914, 932, "WORK_OF_ART"], [949, 964, "PER"], [1111, 1118, "LOC"], [1171, 1178, "WORK_OF_ART"], [1268, 1276, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la maggior capacità del latino rispetto al volgare di esprimere concetti e dottrine viene sottolineata con queste parole dal De regimine principum di Egidio Romano, opera di un universitario diffusissima in ambienti non universitari, tradotta in volgare prima della composizione del Convivio, conosciuta sicuramente da Dante e da lui citata in Convivio IV xxiv 9 «Videntes philosophi nullum idioma vulgare esse completum et perfectum per quod perfecte exprimere possent naturas rerum et mores hominum et cursus astrorum ... invenerunt sibi quasi proprium idioma, quod dicitur latinum, vel idioma literale, quod constituerunt adeo latum et copiosum ut per ipsum possent omne suos conceptus sufficienter exprimere» (II ii 7, p. 304. Cfr. Alessio 1984)", "labels": [[125, 146, "WORK_OF_ART"], [150, 163, "PER"], [283, 291, "WORK_OF_ART"], [319, 324, "PER"], [345, 353, "WORK_OF_ART"], [738, 745, "PER"]]} +{"text": "‘deriva piacere’. La definizione del bello come simmetria ed armonia delle parti ha sicuramente ascendenze agostiniane («congruentia partium» in Epistula III. 4, p. 8. Cfr. De civitate Dei XXII 19, p. 838) e nel caso specifico dell’uomo, ciceroniane (De officiis, I, 28, 98 «pulchritudo corporis apta compositione membrorum movet oculos»). Essa peraltro era condivisa dagli autori medievali cui Dante fa riferimento. Cfr. Alberto Magno, Physica VII tr. 1, cap. 7, p. 531, ll. 39-41 «Est pulcritudo in proportione commensurationis membrorum adinvicem»; Tommaso, In libros Ethicorum expositio, I, lectio 13, n. 159 «Nam in debita commensuratione partium pulchritudo consistit». Il termine «debitamente» sembra indicare un rapporto preferenziale con il testo di Tommaso come vedremo ben conosciuto e spesso utilizzato da Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 87-8). Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui per far bello un canto le voci devono essere tra loro in rapporti stabiliti dalla teoria musicale («intra sé rispondenti secondo debito dell’arte») bisogna ricordare che al tempo di Dante erano diffuse, almeno nella musica sacra, forme di polifonia come gli organa in cui una voce teneva un canto fermo mentre un’altra eseguiva variazioni melismatiche (cfr. Pd VIII 17-18 «… e come voce in voce si discerne / quand’una è ferma, e l’altra va e riede»).", "labels": [[145, 157, "WORK_OF_ART"], [252, 263, "WORK_OF_ART"], [396, 401, "PER"], [423, 436, "PER"], [438, 445, "WORK_OF_ART"], [554, 561, "PER"], [762, 769, "PER"], [821, 826, "PER"], [833, 841, "WORK_OF_ART"], [1088, 1093, "PER"], [1264, 1266, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "tutti gli studiosi di Dante hanno sottolineato come il rapporto latino-volgare presente nel Convivio venga rovesciato nel De vulgari eloquentia dove è il volgare ad essere «nobilior» (I i 4-5). Nel De vulgari la priorità temporale, l’universalità e la naturalità del volgare, fanno aggio sulla immutabilità rivendicata al latino dal Convivio di cui, nello scritto linguistico, si sottolinea piuttosto l’artificialità (cfr. VE I ix 1). E’ probabile, ipotizzando una più che verosimile posteriorità del trattato linguistico, che la prospettiva di Dante sia cambiata e che egli «abbia scoperto, sotto lo svantaggio vistoso della instabilità, il pregio nascosto della naturalità.» (Tavoni). Bisogna peraltro sottolineare come nel Convivio la superiorità del latino non consiste esclusivamente nella sua presunta immutabilità. Esso è non solo più nobile, ma più «virtuoso» e più bello, e sotto questo aspetto, quello delle capacità espressive, non si tratta, come nel De vulgari, di un rapporto tra natura (volgare) e artificio (latino), ma tra semplice uso ed arte. E se è vero che, nella cultura di Dante, la natura è superiore all’arte è anche vero, aristotelicamente parlando, che l’ artifex è superiore al puro empirico (cfr. Metaph. I 1, 981 a 24 sgg.). Qui deve allora entrare in campo la diversità dei contesti: nel De vulgari il confronto è tra il volgare come genere, anteriore ad ogni sua specificazione storico geografica, e il concetto, pure generale, di lingua “regolata”. Nel Convivio si tratta invece da un lato di un volgare particolare, la lingua del sì, esso stesso specificazione di un particolare “ydioma”, e dall’altro di una particolare “grammatica”, il latino; il loro rapporto non è visto in un contesto di teoria linguistica, ma in funzione di uno specifico problema letterario, quello del Commento ad un testo, dove, paradossalmente, la superiorità del latino risulterebbe un ostacolo alla piena fruizione delle canzoni volgari (come dice acutamente Cecil Grayson: «Whatever Dante may say about the greater nobility of the natural vernacular… he leaves no doubt that he regarded the artistic achievement of Latin as superior and as a model of imitation» Grayson 1965, p. 63). Se volessimo risolvere il problema usando una distinzione tipica della cultura delle Scuole potremmo dire che il volgare è più nobile in assoluto (simpliciter) mentre la “gramatica” lo è sotto certe particolari condizioni (secundum quid). Come dunque giustamente afferma Irène Rosier-Catach, non c’è contraddizione tra le affermazioni del Convivio e quelle del De vulgari eloquentia; nei due testi il termine ‘nobile’ non ha il medesimo referente (cfr. Rosier-Catach 2011b). Infine, il confronto tra i due mezzi espressivi non rimane qualcosa di astrattamente dato: il compito che Dante si assegna è infatti quello di attuare le possibilità espressive del volgare ancora non attuate, facendolo uscire dal semplice uso, portandolo allo stesso livello della “gramatica” (cfr. Cv I x 13) e trasformandolo nel «sole nuovo che darà luce a coloro che sono in tenebre ed oscuritade» (cfr. Cv I xiii 12). E sarà qui da notare che anche nel De vulgari, dopo le affermazioni di principio sulla superiorità del volgare come genere, la trattazione è tutta volta alla caccia di un volgare illustre, di un volgare normativo per tutte le varie ‘loquele’ italiche, che non risulterà dunque così immediatamente naturale (sul tipo di artificialità del volgare illustre vedi Alessio 1995).", "labels": [[22, 27, "PER"], [92, 100, "WORK_OF_ART"], [122, 143, "WORK_OF_ART"], [198, 208, "WORK_OF_ART"], [333, 341, "WORK_OF_ART"], [545, 550, "PER"], [575, 576, "WORK_OF_ART"], [678, 684, "PER"], [726, 734, "WORK_OF_ART"], [963, 973, "WORK_OF_ART"], [1097, 1102, "PER"], [1227, 1233, "WORK_OF_ART"], [1322, 1345, "WORK_OF_ART"], [1489, 1497, "WORK_OF_ART"], [1819, 1827, "WORK_OF_ART"], [1980, 1993, "WORK_OF_ART"], [2184, 2191, "PER"], [2478, 2490, "PER"], [2491, 2497, "PER"], [2546, 2554, "WORK_OF_ART"], [2568, 2589, "WORK_OF_ART"], [2660, 2673, "WORK_OF_ART"], [2789, 2794, "PER"], [2985, 2987, "WORK_OF_ART"], [3093, 3095, "WORK_OF_ART"], [3144, 3154, "WORK_OF_ART"], [3469, 3476, "PER"]]} +{"text": "il tutto di cui gli amici sono parte è un volere e un non volere comune («uno»). Che gli amici siano un’ anima sola e che essi abbiano un unico volere era stato detto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX 8, 1168 b 7-8; Rhet. II 4, 1381 a 8-9) e da Cicerone (cfr. De amicitia XVII.61, un testo che Dante, in Cv II.xii.3 dice esplicitamente di aver letto), ma anche dal Trésor di Brunetto Latini, che però attribuisce il detto a Sallustio («Salustet dit: l’office de ceste vertu est voloir et desvoloir une meisme chose» II CIV 1, p. 578).", "labels": [[170, 180, "PER"], [187, 190, "WORK_OF_ART"], [215, 219, "PER"], [245, 253, "PER"], [260, 279, "WORK_OF_ART"], [294, 299, "PER"], [304, 306, "WORK_OF_ART"], [366, 372, "WORK_OF_ART"], [376, 391, "PER"], [425, 434, "PER"], [436, 445, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘in generale, non nella sua specificità’. Che la conoscenza umana inizi, imperfettamente, come percezione non articolata di un tutto ancora confuso (universale, genere) è dottrina presente nella Fisica di Aristotele (I, 1, 184 a 23 sgg.) e nei suoi commentatori medievali. Le parole di Dante sono molto simili a quelle usate da Tommaso nella Summa contra Gentiles « Per similitudinem animalis, per quam cognoscimus aliquid in genere tantum, imperfectiorem cognitionem habemus quam per similitudinem hominis per quam cognoscimus speciem completam: cognosceree enim aliquid secundum genus tantum est cognoscere imperfecte» (II, cap. 98, n. 1837).", "labels": [[196, 202, "WORK_OF_ART"], [206, 216, "PER"], [287, 292, "PER"], [329, 336, "PER"], [343, 355, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘da lontano’. Cfr. il Commento alla Fisica di Tommaso: «cum aliquis a remotis (da lungi) videtur, prius percipimus ipsum esse corpus quam esse animal, et hoc prius quam quod sit homo, et ultimo quod sit Socrates» (I, lectio 1, n. 11).", "labels": [[22, 30, "WORK_OF_ART"], [36, 42, "WORK_OF_ART"], [46, 53, "PER"], [204, 212, "PER"]]} +{"text": "senza averne ricevuto l’ordine. Che l’atto di obbedienza non debba dipendere dalla volontà di chi obbedisce, ma da quella di chi comanda era stato affermato da Tommaso nella Summa Theologiae (IIa-IIae, q. 104, a. 2, ad 3m).", "labels": [[160, 167, "PER"], [174, 190, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "non è del tutto chiaro, rimanendo all’interno di questo paragrafo, quale realtà Dante indichi con l’espressione «natura universale» qui usata per la prima volta (ma cfr. la nota a Cv I i 1). In Cv III.iv.10 la natura universale è identificata con Dio («anzi fece ciò la natura universale, cioè Dio»), ma in Cv IV.ix.2 il rapporto tra natura universale e Dio non è quello di identità, bensì quello di limitato a limitante: Dio, l'unica realtà infinita, costituisce appunto il suo limite. Nella tradizione filosofica peripatetica il concetto di ‘natura universalis’ e la sua distinzione da/ relazione con la ‘natura particularis’ (concetti e distinzione non presenti in Aristotele) risalgono ad Avicenna (Liber de philosophia prima sive de scientia divina, VI. 5, vol. II, p. 335): da qui passano sia in Alberto Magno (cfr. Physica II, tr. 1, cap. 5, vol. I, pp. 83-84) che in Tommaso d'Aquino (cfr. Summa Theologiae, Ia-IIae, q.85, a. 6, respondeo). Per tutti questi autori la natura universale è un principio che regola in vista di un fine (quindi di un bene) la totalità delle trasformazioni che producono, alterano e distruggono le singole sostanze (le nature particolari); essa dunque, in qualche modo comanda («gubernat», dice Avicenna; «regit», dice Alberto) le nature particolari. Questo principio si identifica sia per Avicenna, che per Alberto e per Tommaso, con l' azione delle intelligenze celesti che si servono come di strumenti dei cieli e degli astri e sta a fondamento dell' ordinato svolgersi dei mutamenti terrestri. Concetti analoghi vengono espressi da Dante nel primo canto del Paradiso, dove l’ordine «cui sono accline /tutte nature per diverse sorte» è forma generale dell’universo, segno visibile di Dio e del suo essere Provvidenza (cfr. Pd I 103-120). Mentre l'esempio dei denti sembra essere originale, quello delle cinque dita delle mani è diffusissimo nei testi coevi di filosofia (cfr. Alberto Magno, Physica II, tr. 2, cap. 17, vol. I, p. 125, ll. 26-30); la presenza sporadica di un ‘sextus digitus’ fa vedere come non sempre la natura particolare sia capace di raggiungere il fine che le è comandato.", "labels": [[80, 85, "PER"], [180, 182, "WORK_OF_ART"], [196, 198, "WORK_OF_ART"], [309, 311, "WORK_OF_ART"], [673, 683, "PER"], [698, 706, "PER"], [708, 759, "WORK_OF_ART"], [808, 821, "PER"], [828, 839, "WORK_OF_ART"], [884, 900, "PER"], [907, 923, "WORK_OF_ART"], [1243, 1251, "PER"], [1267, 1274, "PER"], [1338, 1346, "PER"], [1356, 1363, "PER"], [1370, 1377, "PER"], [1584, 1589, "PER"], [1610, 1618, "WORK_OF_ART"], [1774, 1776, "WORK_OF_ART"], [1927, 1940, "PER"], [1942, 1952, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘traduzione’. Piuttosto sorprendente è il giudizio sulla mancanza di musica e di armonia dei Salmi tradotti in latino, un testo centrale per la teologia e la spiritualità medievali, e soprattutto un testo poetico e musicale quotidianamente salmodiato nei monasteri, ampiamente usato nella liturgia e sicuramente ascoltato da Dante: le anime che approdano al lido del Purgatorio cantano appunto il salmo 113, «In exitu Israel de Aegypto» (cfr. Pg II 46-48) che fa parte della liturgia dei vespri della domenica; gli angeli stessi nel Paradiso terrestre intonano alcuni versetti del salmo 30, «In te Domine speravi». (cfr. Pg XXX 82-84). Il tutto, ovviamente, nella traduzione latina. Con tutta probabilità gioca qui l'autorità del traduttore per eccellenza, San Girolamo, che, nella prefazione alla versione latina del Chronicon Eusebii (PL XXVII, pp. 36-37) aveva già sottolineato la difficoltà di rendere in un'altra lingua tutto il “decoro” del testo originale, dando come esempio proprio quello di Omero («Quod si cui non videtur linguae gratiam interpretatione mutari, Homerum ad verbum exprimat in latinum») Riguardo ai Salmi, testo poetico e musicale per eccellenza, degno di stare accanto a Orazio e a Pindaro («Quid Psalterio canorius quod in morem nostri Flacci et graeci Pindari, nunc iambo currit, nun alcaico personat, nunc sapphico tumet, nunc semipede ingreditur») egli notava come, letti nella traduzione greca dei Settanta, dessero tutt'altro suono («aliud quiddem sonant»).", "labels": [[94, 118, "WORK_OF_ART"], [327, 332, "PER"], [369, 387, "WORK_OF_ART"], [446, 448, "WORK_OF_ART"], [536, 544, "WORK_OF_ART"], [763, 775, "PER"], [824, 841, "WORK_OF_ART"], [843, 851, "WORK_OF_ART"], [1007, 1012, "PER"], [1014, 1019, "WORK_OF_ART"], [1204, 1210, "PER"], [1215, 1222, "PER"], [1270, 1276, "PER"], [1287, 1294, "WORK_OF_ART"], [1436, 1444, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘liberalità che dona subito, senza riluttanza’ (commentando appunto il testo dell’Etica Nicomachea relativo alla liberalitas, Tommaso aveva scritto che chi la esercita «est promptus ad benefaciendum donando» IV, lectio 2, n. 670 ).", "labels": [[82, 98, "WORK_OF_ART"], [126, 133, "PER"]]} +{"text": "‘come nel caso in cui’. Esempi di doni non convenienti alla condizione di chi li riceve sono offerti da Seneca nel De beneficiis: donare a donne o vecchi armi da caccia, libri a contadini, reti da pesca a chi è dedito agli studi (I i 11). Dante ne trova altri, più aderenti alle professioni e alle condizioni sociali del mondo dei suoi lettori (e suo). Gli Aforismi attribuiti ad Ippocrate (tradotti in latino già dal VI secolo d. C.) e l’ Ars medica o Ars parva di Galeno (129-201 d. c.), tradotta in latino a partire da una traduzione araba prima da Costantino Africano nell’ XI secolo e poi da Gerardo da Cremona, nella seconda metà del XII (Tegni è la translitterazione, corrotta, del termine greco Techne, arte, sottinteso medica. Dante tratta il titolo Tegni, che nei testi medici latini è indeclinabile, come un maschile plurale. Cfr. Nardi 1944 , pp. 53-55) erano i testi su cui nell’ Università di Bologna si insegnava medicina al tempo di Dante (si correva dietro ad Aforismi, come vien detto in Pd XI 4-5). Dopo la laurea, rimanevano strumenti indispensabili della pratica medica e facevano parte della biblioteca di ogni professionista affermato (cfr. Ottosson 1984).", "labels": [[104, 110, "PER"], [115, 128, "WORK_OF_ART"], [239, 244, "PER"], [381, 390, "PER"], [454, 463, "WORK_OF_ART"], [467, 473, "PER"], [553, 572, "PER"], [598, 616, "PER"], [647, 652, "WORK_OF_ART"], [738, 743, "PER"], [761, 766, "WORK_OF_ART"], [844, 849, "PER"], [895, 916, "LOC"], [951, 956, "PER"], [1008, 1010, "WORK_OF_ART"], [1167, 1175, "PER"]]} +{"text": "‘senza tristezza’. Che il piacere sia connaturato all’ azione virtuosa è dottrina fondamentale dell’etica aristotelica, non sempre facilmente conciliabile con la tradizione cristiana. La virtù infatti, per Aristotele, si possiede e si esercita solo dopo che è diventata una seconda natura, quando non si deve più contrastare la passione contraria con una violenza verso se stessi che produce dolore e fatica («tristezza»). Come dice con perfetta chiarezza il Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea «ante virtutem facit homo sibi quandam violentiam ad operandum …, et ideo tales operationes habent quandam tristitiam admixtam. Sed post habitum virtutis generatum huiusmodi operationes fiunt delectabiliter» (II, lectio 3, n.265). Questo principio generale viene affermato anche nella trattazione aristotelica della liberalità (cfr. Eth. Nic. IV, 2, 1120 a 26-31 «Quod enim secundum virtutem, delectabile vel non triste» Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 103, l. 20) e ribadito dal Commento di Tommaso con parole che trovano un’eco in quelle di Dante («in omni virtute … actus virtuosus vel est delectabilis, vel saltem est sine tristitia» IV, lectio 2, n. 667). Causa del piacere («letizia») è l’utilità che il dono procura sia a chi dona, per il fatto che dona («per lo donare») sia a chi riceve per il fatto di riceverlo («per lo ricevere»). Si tratta della medesima utilità vista da due differenti angolature; esattamente come nella fisica aristotelica unico è il movimento di ciò che muove e di ciò che è mosso, ma esso rimane nel movente e passa nel mosso, così l’utilità rimane nel donatore nel dare e passa in chi riceve nel ricevere.", "labels": [[208, 218, "PER"], [461, 469, "WORK_OF_ART"], [473, 480, "PER"], [486, 502, "WORK_OF_ART"], [837, 840, "WORK_OF_ART"], [936, 947, "PER"], [949, 961, "WORK_OF_ART"], [993, 1001, "WORK_OF_ART"], [1005, 1012, "PER"], [1057, 1062, "PER"]]} +{"text": "chi dona, secondo Dante, deve aver l’accortezza («providenza») di donare in modo da mantenere per sé («dalla sua parte») l’utilità che consiste nell’onestà («onestade»). Nella dottrina tradizionale, che risale al De officiis di Cicerone, la virtù è un ‘bonum honestum’; cfr. ad esempio De officiis III, 3, 11 sgg ) e di dare all’altro un bene dal cui uso possa derivare utilità («l’utilitade dell’uso della cosa donata»). I commentatori hanno giustamente richiamato l’attenzione su testi in cui Tommaso distingue l’atto di chi fa del bene da quello di chi lo riceve. Nel primo caso abbiamo un “actus virtutis” e quindi un “bonum honestum”, nel secondo esclusivamente un “bonum utile”. Rimane il problema dell’ identificazione piuttosto ardita di honestas e utilitas operata dall’espressione «utilitade dell’onestade». Nella tradizione cui abbiamo accennato, infatti, honestum ed utile sono distinti, anche se non opposti. La precisazione successiva («ch’è sopra ogni utilitade») sembrerebbe dire che l’ utilitade può riferirsi all’ onestade in senso solo metaforico. Ma allora tutta l’argomentazione ne risulta viziata.", "labels": [[18, 23, "PER"], [213, 224, "WORK_OF_ART"], [228, 236, "PER"], [286, 301, "WORK_OF_ART"], [496, 503, "PER"], [792, 817, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il senso è che se un qualcosa è utile in una posizione data, trasportarla in un’altra in cui sarebbe pure egualmente utile è altrettanto da condannare (è «biasimevole») quanto trasportarla in una in cui sarebbe meno utile; facendo così, infatti, avremmo agito senza produrre quel miglioramento che è appunto il fine della virtù, avremmo agito («adoperato»») invano; e questo è un male (per Aristotele l’ “invano” si ha quando una azione non raggiunge lo scopo per cui è stata intrapresa. Cfr. Phys. II 6, 197 b 22-27).", "labels": [[157, 158, "WORK_OF_ART"], [393, 403, "PER"], [496, 500, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘abbia bisogno’. Che la nostra vita abbia bisogno degli amici è affermato all'inizio dell’ottavo libro dell’ Etica Nicomachea (1155 a 3-6), un testo cui Dante rimanderà esplicitamente in Cv IV xxv 1.", "labels": [[109, 127, "WORK_OF_ART"], [154, 159, "PER"], [188, 190, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "quando il dono sarà materialmente venuto meno, la sua immagine rimarrà nella memoria come l’ impronta di un sigillo rimane nella cera anche in assenza del sigillo e sarà la sua utilità che ve la avrà impressa. La metafora del sigillo e della cera era stata usata da Alberto Magno proprio per spiegare il permanere di una sensazione nella memoria anche in assenza della cosa che l’aveva prodotta. Cfr. De memoria et reminiscentia, tr. 1, cap. 4, pp. 103-104).", "labels": [[266, 279, "PER"]]} +{"text": "si tratta di una frase del De beneficiis di Seneca («nulla res carius constat quam quae praecibus empta est» II i 4) che però, con tutta probabilità, Dante traduce di seconda mano da una citazione presente nella Summa Theologiae di Tommaso («sicut Seneca dicit, nulla res carius emitur quam quae praecibus empta est» IIa-IIae, q. 83, a.2 Utrum si conveniens orare, terzo argomento in contrario)", "labels": [[28, 41, "WORK_OF_ART"], [45, 51, "PER"], [152, 157, "PER"], [214, 230, "WORK_OF_ART"], [234, 241, "PER"], [250, 256, "PER"]]} +{"text": "‘affittarla’. L’esempio del suonatore di cetra richiama un passo dell’ Etica Nicomachea (I 6, 1098 a 7-12 ) dove Aristotele, ancora una volta reso più chiaro dal Commento di Tommaso, afferma che l’attività propria del suonatore di cetra (cytharista) è suonare la cetra, quella del buon suonatore, suonarla bene. Dietro l’apparente tautologia è presente la dottrina per cui, per ogni attività o abilità che perfeziona un ente, il fine consiste semplicemente nel suo pieno esercizio. Basandosi su questo Dante si scaglia contro la trasformazione del valore d’uso in valore di scambio e di ciò che è perfezione interna in merce esterna. Nella sua rapida invettiva sono presenti echi del dibattito, particolarmente vivace tra la fine del XII e per tutto il XIII secolo, se la scienza, che è “donum Dei”, possa essere venduta e comprata (ovvero il problema del salario ai professori; cfr. Post – Giocarinis - Kay 1955) e della polemica dei teologi e dei professori di filosofia contro le discipline che danno guadagno, le “scientiae lucrativae” come medicina e giurisprudenza (cfr. ancora Pd XII 83 «chi dietro a iura, chi dietro ad aforismi sen giva»). Ma il quadro è più vasto ed originale e non si ferma ai luoghi comuni di una polemica interna a gruppi di intellettuali più o meno professionisti. Qui è già presente la consapevolezza della grande trasformazione economica e sociale cominciata con il conio del fiorino d’oro, e con la consapevolezza, il rifiuto del «maladetto fiore» che Firenze spande per il mondo trasformando ogni cosa in merce (Pd IX, 126 sgg.). Cfr. Cv III x 11.", "labels": [[72, 88, "WORK_OF_ART"], [115, 125, "PER"], [164, 172, "WORK_OF_ART"], [176, 183, "PER"], [504, 509, "PER"], [887, 910, "WORK_OF_ART"], [1088, 1090, "WORK_OF_ART"], [1492, 1499, "LOC"], [1553, 1559, "WORK_OF_ART"], [1577, 1579, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘perversa abitudine universalmente diffusa’. “Mondo” non è un termine neutro, ma ha qui una valenza negativa risalente alla contrapposizione del Vangelo di Giovanni (ma anche di alcune lettere di Paolo) tra il regno divino di verità e di giustizia, accolto da pochi, e questo mondo, la maggioranza, che appunto ha rifiutato e rifiuta verità e giustizia.", "labels": [[145, 164, "WORK_OF_ART"], [196, 201, "PER"]]} +{"text": "Aristotele (cfr. Eth Nic. I 7, 1098 a 18-19 «Una enim hirundo ver non facit» Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 151, l. 14) utilizza il detto per mostrare come una vita felice, per esser tale, debba esserlo ininterrottamente e non maniera discontinua. Diverso è l’uso che fa Dante di questa espressione che doveva esser diventata ormai proverbiale: l’esistenza di alcuni “litterati” che possiedono nobiltà vera è l’eccezione che conferma la regola. Da questo paragrafo, e da quello precedente risulta che il concetto di nobiltà d’animo, ancor prima di essere definito nel suo contenuto, ha già una sua estensione di carattere politico-sociale: hanno nobiltà d’animo solo pochi “litterati” e molti “volgari” e tra questi, sembra, tutti i principi, baroni, cavalieri ed altra nobile gente cui è rivolto il Commento delle canzoni.", "labels": [[0, 10, "PER"], [18, 25, "WORK_OF_ART"], [91, 102, "PER"], [284, 289, "PER"], [815, 823, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante traduce, adattandolo alle sue esigenze, un passo del Digesto (I, 4, 2) attribuito a Ulpiano, giurista del II secolo d. C. «In rebus novis constituendis evidens utilitas debet, ut recedatur ab eo iure quod diu aequum visum est» (la massima era già stato citata da Boncompagno da Signa nel prologo alla sua Rhetorica Novissima, p. 252 b, e da Tommaso nella Summa Theologiae Ia-IIae, q. 97, a. 2, respondeo).", "labels": [[0, 5, "PER"], [59, 66, "WORK_OF_ART"], [90, 97, "PER"], [269, 289, "PER"], [311, 330, "LOC"], [348, 355, "PER"], [362, 378, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "i termini “geloso”, “gelosia” piuttosto che sospetti di infedeltà indicano, come dice Egidio Romano, un amore particolarmente forte (cfr. De regimine principum I iii 10, p. 181, «zelus nihil est aliud quam quidam amor intensus»): nel caso specifico la preoccupazione costante che l'amico non abbia a patir danno da un qualsiasi evento esterno al rapporto di amicizia. Questo atteggiamento rende attenti («fa l’uomo sollicito») a prevedere e a prevenire anche mali ipotetici e comunque molto lontani («a lunga providenza»).", "labels": [[87, 100, "PER"], [139, 162, "WORK_OF_ART"], [179, 185, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "ho pensato che se avessi composto il Commento in latino, il desiderio di comprendere («intendere») le canzoni avrebbe spinto qualcuno che non conosceva il latino («alcuno illitterato») a farlo tradurre in italiano («avrebbe fatto lo comento latino trasmutare in volgare»). Così ho avuto paura che la traduzione fosse stata fatta («temendo che ‘l volgare non fosse stato posto») da un cattivo traduttore, cioè da chi avrebbe fatto apparire brutto il volgare («l’avesse laido fatto parere»); dunque ho provveduto ad usarlo io direttamente («providi io a ponere lui»). Il «Taddeo ipocratista», cioè seguace, ma anche commentatore di Ippocrate, che ha volto in italiano la traduzione latina dell' Etica Nicomachea è Taddeo Alderotti, fiorentino e professore di medicina a Bologna dal 1260 ca fino alla morte nel 1295. La sua fama, sia nell'insegnamento sia nell'esercizio della professione, è attestata da Pd XII 81-83 dove Taddeo personifica la medicina, così come Enrico di Susa cardinale vescovo di Ostia incarna il diritto canonico (accomunati per altro entrambi dal giudizio negativo sulle “scientiae lucrativae”: «Non per lo mondo, per cui mo s'affanna / di retro a Ostiense e a Tadeo»). Il testo di cui parla Dante non è quello dell’ Etica Nicomachea nella sua interezza, bensì un compendio arabo (il cosiddetto Liber Ethicorum o Summa Alexandrinorum) tradotto in latino da Ermanno il Tedesco nel 1243, sicuramente conosciuto ed utilizzato da Dante. Della Summa esistono due versioni in volgare: quella in italiano tramandata sotto il nome di Taddeo Alderotti (ma presente anche nella traduzione italiana del Trésor attribuita a Bono Giamboni) e quella in antico francese inserita nel Trésor di Brunetto Latini. I rapporti tra queste versioni sono problematici. Con tutta probabilità la traduzione di Brunetto dipende da quella di Taddeo (in effetti il testo del Convivio parla di una versione diretta dal latino: «trasmutò lo latino dell’Etica»). Entrambe sono posteriori al Commento all’ Etica Nicomachea di Tommaso d’Aquino (cfr. Gentili 2005, pp. 41-47. Sul metodo di lavoro di Taddeo vedi Gentili 2006). In ogni caso con Taddeo sembra aver inizio un interesse dei professori di medicina per la filosofia morale che sarà caratteristico delle università medievali italiane.", "labels": [[37, 45, "PER"], [569, 576, "WORK_OF_ART"], [630, 639, "PER"], [693, 709, "WORK_OF_ART"], [712, 728, "PER"], [768, 775, "LOC"], [902, 904, "WORK_OF_ART"], [965, 979, "PER"], [1184, 1189, "LOC"], [1215, 1220, "PER"], [1240, 1256, "WORK_OF_ART"], [1318, 1333, "WORK_OF_ART"], [1336, 1356, "WORK_OF_ART"], [1380, 1398, "PER"], [1449, 1454, "PER"], [1462, 1467, "PER"], [1549, 1565, "PER"], [1615, 1621, "PER"], [1635, 1648, "PER"], [1691, 1697, "WORK_OF_ART"], [1701, 1716, "PER"], [1807, 1815, "PER"], [1837, 1843, "PER"], [1869, 1877, "WORK_OF_ART"], [1945, 1950, "WORK_OF_ART"], [1982, 1990, "WORK_OF_ART"], [1996, 2012, "WORK_OF_ART"], [2016, 2032, "PER"], [2039, 2046, "PER"], [2088, 2094, "PER"], [2100, 2107, "PER"], [2132, 2138, "PER"]]} +{"text": "nella dottrina aristotelica il senso della vista ha come suo oggetto proprio i colori (cfr. De an. II 7, 418 a 26 sgg.). All'inizio della Metafisica, poi, Aristotele noterà come noi preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni proprio perché ci fa conoscere maggiormente la differenza tra le cose (I 1, 980 a 21-27). La metafora dell’ occhio della ragione ed il paragone con l’occhio fisico sono presenti nel Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea (III, lectio 13, n. 521), ma attribuiti ad altri e senza che l’ Aquinate li faccia propri. Sempre nel Commento all' Etica, e più precisamente nel prologo, Dante poteva però leggere che è prerogativa della ragione, e non dei sensi, «cognoscere ordinem» . La discrezione di cui qui si parla è appunto una capacità razionale di giudicare distinguendo in base all’ ordine dei fini.", "labels": [[92, 97, "WORK_OF_ART"], [140, 150, "ORG"], [157, 167, "PER"], [416, 424, "WORK_OF_ART"], [428, 435, "PER"], [441, 457, "MISC"], [523, 531, "PER"], [561, 569, "WORK_OF_ART"], [575, 580, "WORK_OF_ART"], [614, 619, "PER"]]} +{"text": "il riferimento è a Mt, 15, 14 «Caecus autem si caeco ducatum praestet, ambo in foveam cadent», ma la citazione non è letterale.", "labels": [[19, 21, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. De consolatione philosophiae III, prosa 6, 6, p. 71: «Popularem gratiam ne commemoratione quidem dignam puto, quia nec iudicio provenit nec umquam firma perdurat».", "labels": []} +{"text": "Tullio esclama: la exclamatio, figura retorica presente nella Rhetorica ad Herennium (IV xv 22) era appunto diventata “gridare” nel Fiore di Rettorica di Bono Giamboni «E’ un altro ornamento che s’appella gridare, il quale si fa con boce di dolore, rammaricandosi d’alcuno uomo overo città overo luogo overo altra cosa» (ed. Speroni, p. 13). All’inizio de De finibus bonorum et malorum (I 2, 4 sgg.) Cicerone, affrontando anticipatamente le critiche cui il suo lavoro di latinizzazione del patrimonio filosofico greco sarebbe andato incontro, difende le capacità espressive del ‘sermo patrius’ contro coloro che, esaltatori della lingua greca, disprezzano ciò che è scritto in latino. I sintagmi «latino romano» e «gramatica greca» e soprattutto la loro opposizione danno origine a qualche problema interpretativo. Sembra infatti che qui Dante opponga una lingua nativa (quasi un “volgare” latino) ad una lingua regolata. Risulta però alquanto improbabile, anche alla luce delle sue affermazioni precedenti sulla sua incorruttibilità che Dante pensi ad un latino in movimento (come abbiamo detto bisognerà aspettare gli umanisti perché si ponga il problema del rapporto lingua scritta-lingua parlata dei Romani). Inoltre, anche se così fosse, il paragone non reggerebbe in quanto il linguaggio preferito al volgare del sì è esso stesso un volgare. Dunque è preferibile non dare troppo peso all’espressione “latino-romano” e considerarlo come un sinonimo di latino-grammatica.", "labels": [[0, 6, "PER"], [62, 71, "WORK_OF_ART"], [132, 137, "PER"], [141, 150, "PER"], [154, 167, "PER"], [356, 385, "WORK_OF_ART"], [402, 410, "PER"], [842, 847, "PER"], [1042, 1047, "PER"], [1208, 1214, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il farsi grandi ed il farsi piccoli hanno sempre come termine di riferimento («rispetto» dal latino respectus che indica la categoria filosofica della relazione) qualcosa nei cui confronti il magnanimo si sente grande ed il pusillanime piccolo (i termini “magnificare” e “parvificare” sono calchi sia dalla Summa Alexandrinorum che dalla traduzione latina dell’ Etica Nicomachea del Grossatesta).", "labels": [[307, 327, "WORK_OF_ART"], [362, 394, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘con la stessa misura con cui’ In questi paragrafi viene ampiamente utilizzata la terminologia dell Etica Nicomachea. Con “magnanimo” (la traduzione latina aveva reso con magnanimus il corrispondente greco megalopsychos, così come pusillanimus traduceva mikropsychos) il Convivio, introduce nell’uso italiano un vocabolo che fino ad allora era stato usato solo dai volgarizzamenti della Summa Alexandrinorum, del De regimine principum di Egidio Romano, dalla versione italiana del Trésor di Brunetto Latini e che anche in seguito avrà occorrenze assai rare (cfr. Corti 2003, pp. 67-75) Ma, al di là dell’uso dei termini, Dante non sa o non vuole cogliere appieno il senso profondo del discorso aristotelico sulla magnanimità: in nessun modo, per Aristotele, il magnanimo giudica gli altri minori di quello che effettivamente sono, ed ancor meno al magnanimo «le sue cose paiono migliori che non sono», come se si trattasse di una valutazione in eccesso, speculare e contraria a quella del pusillanime («e così lo pusillanimo, per contrario …»). Per lo Stagirita il megalopsychos è colui che guarda tutto dall’alto, e addirittura tutto disprezza giustamente, perché conscio della propria reale superiorità (cfr. Eth. Nic. IV 3, 1124 a 20; 1124 b 5-6 e Moore, p. 104). Egli stesso è misura delle cose: come dice la Summa Alexandrinorum «Et est quidem magnanimus finis et extremum respectu rebus quibus comparatur». (ed. Marchesi, p. LVII). Se questo testo è stato presente a Dante, come vuole Maria Corti (Corti 2003, p. 123) sulla base della presenza in entrambi del termine respectus-respetto (il testo autentico di Aristotele nella traduzione latina del Grossatesta ha solo «est autem magnanimus magnitudine quidem extremus»), è stato sicuramente male interpretato. Il fatto è che una figura del genere poteva difficilmente ottenere diritto di cittadinanza tra i modelli di virtù cristiane. Allo stesso modo la condanna di chi, pur essendo degno di onore, non vi aspira o lo rifiuta (questo, infatti, per contrasto, è il pusillanime) poteva risultare una condanna della virtuosa umiltà. Né il tentativo di Tommaso di far accettare questi concetti tipicamente greci distinguendo e precisando ebbe pieno successo (Gauthier 1951). Dante ha sicuramente una certa simpatia per i magnanimi: nella Commedia la qualifica è riservata a Virgilio (If II 43) e a Farinata (If X 73); pienamente fondata risulta la tesi sostenuta contemporaneamente da Fiorenzo Forti e Kenelm Forster per cui ciò che accomuna gli ‘spiriti magni’ del Limbo sarebbe appunto la magnanimità (cfr. Forti 1977, pp. 10-48; Forster 1977, p. 194). Ma se anche la magnanimità è una virtù, si tratta di una virtù quanto mai ambigua (cfr. Marchesi 2001, pp. 103-107, che si riferisce all’atteggiamento di Cicerone sempre in bilico fra l’ammirazione per il magnanimo e la paura dei suoi eccessi).", "labels": [[101, 117, "WORK_OF_ART"], [272, 280, "WORK_OF_ART"], [388, 408, "WORK_OF_ART"], [414, 435, "WORK_OF_ART"], [439, 452, "PER"], [483, 489, "WORK_OF_ART"], [493, 508, "PER"], [565, 570, "PER"], [624, 629, "PER"], [749, 759, "PER"], [1055, 1064, "PER"], [1214, 1217, "WORK_OF_ART"], [1254, 1259, "PER"], [1316, 1338, "WORK_OF_ART"], [1476, 1481, "PER"], [1494, 1505, "PER"], [1507, 1512, "PER"], [1620, 1630, "PER"], [1659, 1670, "PER"], [2111, 2118, "PER"], [2217, 2225, "PER"], [2233, 2238, "PER"], [2296, 2304, "WORK_OF_ART"], [2332, 2340, "PER"], [2356, 2364, "PER"], [2443, 2457, "PER"], [2460, 2474, "WORK_OF_ART"], [2524, 2529, "PER"], [2567, 2572, "PER"], [2590, 2597, "PER"], [2701, 2709, "WORK_OF_ART"], [2767, 2775, "PER"]]} +{"text": "l’ affermazione che per natura («naturalmente») la vicinanza e la bontà («prossimitade e bontade») fanno nascere («siano cagioni generative») l’amicizia, e che il bene ricevuto («beneficio»), la comunanza di intenti («studio») e una lunga frequentazione tra amici («consuetudine») la fanno crescere («siano cagioni accrescitive») è costruita unendo una espressione di Cicerone tradotta quasi alla lettera (De amicitia, ix 29, «Confirmatur amor et beneficio accepto et studio perspecto et consuetudine adiuncta») con una breve citazione del Commento di Tommaso all’ Etica Nicomachea («Ratio dilectionis in omni amicitia cognata est propinquitas unius ad alterum» VIII, lectio 12, n. 1708). In questo secondo caso, però, Dante forza il testo perché Tommaso, e Aristotele, stanno parlando di un particolare tipo di amicizia, quella tra consanguinei (appunto la ‘amicitia cognata’) e la «prossimitade» è dunque quella della parentela. Che vera amicizia sia solo quella che si instaura tra i buoni e che gli amici desiderino passare la vita insieme, sono affermazioni ampiamente presenti nell’ Etica Nicomachea, ma non collegate alla nascita o alla crescita della amicizia. Questo piccolo esempio anticipa ciò di cui ci renderemo conto meglio man mano che procediamo nella lettura del Convivio: Dante utilizza con una certa libertà le sue “auctoritates”, piegandole spesso a conclusioni che sono tutte sue.", "labels": [[369, 377, "PER"], [407, 418, "WORK_OF_ART"], [541, 549, "WORK_OF_ART"], [553, 560, "PER"], [566, 584, "WORK_OF_ART"], [585, 591, "WORK_OF_ART"], [721, 726, "PER"], [749, 756, "PER"], [760, 770, "PER"], [885, 886, "WORK_OF_ART"], [1091, 1107, "WORK_OF_ART"], [1282, 1290, "WORK_OF_ART"], [1292, 1297, "PER"]]} +{"text": "non si tratta dell’esecutore vocale o strumentale, ma del teorico, dell’ artifex che conosce razionalmente i principi della disciplina, sia riguardo ai toni, sia riguardo ai ritmi, sia riguardo alla struttura dei canti e delle stesse produzioni poetiche. Cfr. la Institutio musica di Boezio, I, c. 34, ed. Friedlein , p. 225, 11-15.", "labels": [[263, 280, "WORK_OF_ART"], [284, 290, "PER"]]} +{"text": "che la giustizia sia la virtù tipica dell’uomo («più umana») in quanto radicata esclusivamente nella parte razionale e non, come fortezza e temperanza rivolta alle facoltà inferiori era stato detto da Alberto Magno nel suo Commento all’ Etica Nicomachea «iustitia est in ratione, non secundum quod habet ordinationem ad potentias inferiores … sed secundum quod habet ordinem ad exteriora, et ideo etiam iustitia est magis humana quam aliae duo» (scil. fortitudo et temperantia) Super Ethica commentum et quaestiones I, lectio 16, vol. I, p. 86, ll. 69-73). Sul rapporto privilegiato tra giustizia e volontà vedi il Commento di Tommaso alle prime righe del quinto libro dell’ Etica Nicomachea «Et est considerandum quod convenienter Aristotiles notificavit iustitiam per voluntatem, in qua non fiunt passiones … unde est proprium subiectum iustitiae quae non est circa passiones» (V, lectio 1, n. 889).", "labels": [[202, 215, "PER"], [224, 232, "WORK_OF_ART"], [621, 629, "WORK_OF_ART"], [633, 640, "PER"], [681, 697, "WORK_OF_ART"], [739, 772, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nonostante la precisione del rimando (in effetti il quinto libro dell’Etica Nicomachea è dedicato alla virtù della giustizia) l’affermazione per cui anche una banda di malfattori («ladroni» ha il senso generico di malfattori come il latino latrones) e di ladri («rubatori») ha bisogno di leggi interne per mantenersi coesa (e quindi rende omaggio involontario alla giustizia) non si trova in Aristotele. Si trova invece nel De officiis di Cicerone (II, 11, 40) da cui è passato nella sezione del Trésor di Brunetto Latini dedicata alle virtù, nella rubrica appunto della giustizia (II CXI 2, p. 545), che sembra essere la fonte diretta di Dante (cfr. Marchesi 2001, pp. 92-93). Neppure nel Trésor, per altro, si trova l’idea che anche i malfattori amano la giustizia.", "labels": [[70, 86, "WORK_OF_ART"], [393, 403, "PER"], [425, 436, "WORK_OF_ART"], [440, 448, "PER"], [498, 504, "WORK_OF_ART"], [508, 523, "PER"], [642, 647, "PER"], [654, 662, "WORK_OF_ART"], [693, 699, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘la capacità di rendere accessibili agli altri i propri contenuti mentali’. «Concetto» sta per tutto ciò che viene “concepito” internamente, non solo al livello puramente intellettuale, ma anche emozionale, secondo la dottrina aristotelica del De interpretatione (cfr. 16 a 2-4 «Sunt ergo ea quae sunt in voce earum quae sunt in anima passionum notae» Translatio Boethii, p.5, ll. 4-6).", "labels": [[244, 264, "WORK_OF_ART"], [365, 372, "PER"]]} +{"text": "‘in vista della perfezione’. Che il fine ultimo sia ciò che è voluto di per se stesso e non in vista d’altro, che esso coincida con il bene e che tutto il resto sia voluto in vista del fine e del bene, dottrina comune al tempo di Dante, era chiaramente affermato proprio all’inizio dell’ Etica Nicomachea: così per la precisazione che il fine ed il bene consistono per ogni ente nella realizzazione delle proprie specifiche capacità, cioè nella sua perfezione. L’affermazione della esistenza di due perfezioni («una prima e una seconda») non presente in Aristotele, deriva invece dal Commento di Tommaso all’ Etica, dove si distingue una ‘perfectio prima’ data ad ogni ente dalla sua forma specifica, ed una ‘perfectio secunda et ultima’ consistente nella sua operatio (I, lectio 10, n. 119). Ora, secondo un adagio sempre ripetuto nei testi filosofici coevi, ‘forma dat esse’; dunque la prima lo fa essere. La operatio in cui consiste la ‘perfectio secunda’ è l’attuazione piena delle capacità proprie dell’agente; in essa consiste il suo bene, la sua “bontade”; dunque «la seconda lo fa essere buono»", "labels": [[232, 237, "PER"], [290, 306, "WORK_OF_ART"], [556, 566, "PER"], [586, 594, "WORK_OF_ART"], [598, 605, "PER"], [611, 616, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘ciò che rende possibile al fabbro lavorare il ferro’ (la ‘causa disponens’ di cui parla Tommaso nel Commento alla Fisica II, lectio 5, n. 180).", "labels": [[89, 96, "PER"], [101, 109, "WORK_OF_ART"], [115, 124, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "‘per natura indirizza tutte le sue energie al proprio mantenimento in essere’ (in latino studere vale impegnarsi, sforzarsi, tendere verso qualcosa). Il concetto deriva direttamente dal De consolatione philosophiae III, prosa 11, 33, p. 90: «dedit enim providentia rebus … ut quoad possunt naturaliter manere desiderent». Per una sua ulteriore utilizzazione cfr. Cv IV xxii.", "labels": [[186, 218, "WORK_OF_ART"], [363, 365, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "deliberare ha un valore tecnico e si riferisce non tanto ad una indistinta attività di esame e di giudizio, quanto ad un preciso genere letterario, quello della oratio deliberativa che ha carattere squisitamente politico e viene usato nelle assemblee e nei consigli delle città italiane nel XIII secolo e oltre; cfr. Brunetto Latini, Rettorica 21 2, p. 21 «E questo modo di causare (cioè la causa diliberativa) è quello che fanno tutto die i signori e le podestà delle genti, che raunano li consillieri per diliberare che ssia da fare sopra alcuna vicenda e che non da fare: e quasi ciascuno dice la sua sentenza, sicché alla fine si prende quella che pare migliore». L’ interpretare si riferisce invece alla lettura e spiegazione di testi. “Questionare” è poi un verbo derivato dal termine latino quaestio. La prima di queste tre attività può essere con certezza accostata ad un uso del volgare da parte di Dante, membro della classe dirigente del Comune fiorentino, negli anni precedenti la stesura del Convivio. Sappiamo infatti, dai verbali coevi, che egli ha espresso pareri nei diversi Consigli, nel dicembre del 1295, nel 1296 (giugno) e nel 1297, più volte nei mesi cruciali del 1301. Per quanto riguarda l’ interpretare Inglese ha proposto, sia pure dubitativamente, il riferimento alle prose della Vita Nova in cui viene data una spiegazione alle composizioni poetiche. Dante lo fa mediante la divisio textus: una tecnica tipica della interpretatio universitaria in cui i testi filosofici e medici venivano suddivisi in parti e parti di parti, fino ad arrivare alla unità minima di significato della sententia dell’autore. Il caso più evidente mi sembra quello della canzone Donne ch’avete intelletto d’amore dove troviamo, accanto ad una articolazione del testo particolarmente complessa, la partizione in “proemio’ e “trattato”, esattamente come avverrà per il quarto trattato del Convivio (cfr. Cv IV i 2). Sulla struttura e sull’ importanza della divisio textus nella Vita Nuova cfr. D’Andrea 1980). Quanto al “questionare”, se con il termine si intendesse (come a prima vista sembrerebbe ovvio) la tecnica tipica del dibattito universitario, l’affermazione sarebbe davvero strana. Prima della stesura del Convivio Dante avrà pure partecipato alle dispute dei filosofi, ma certo come uditore e non come protagonista. Solo nell’ultima parte della sua vita, maestro ormai affermato, potrà disputare e determinare autonomamente una quaestio (la Quaestio de aqua et terra), ma comunque lo farà in latino, come in latino si svolgevano sempre simili performances. Il testo filosofico in volgare edito da Francesca Geymonat sotto il titolo Questioni filosofiche in volgare mediano dei primi del Trecento (Geymonat 2000) non è ricollegabile, nemmeno in maniera mediata, ad alcun atto effettivo di disputa (più interessanti potrebbero essere i Sillogismi di maestro Giandino da Carmignano, la cui edizione è stata promessa da Giuseppina Brunetti. Cfr. Brunetti, 2002). Il riferimento più probabile rimane quello alle discussioni politiche e soprattutto ai ‘contrasti’ d’amore’, siano essi espressi in lettere o canzoni, cui la Rettorica di Brunetto estende il termine di “questione”, anche se non usa mai in questo contesto il verbo “questionare” (76, 15, pp. 101-2).", "labels": [[320, 335, "PER"], [337, 346, "WORK_OF_ART"], [915, 920, "PER"], [956, 962, "WORK_OF_ART"], [1012, 1020, "WORK_OF_ART"], [1320, 1329, "WORK_OF_ART"], [1392, 1397, "PER"], [1697, 1702, "WORK_OF_ART"], [1892, 1913, "WORK_OF_ART"], [1995, 2005, "WORK_OF_ART"], [2012, 2014, "WORK_OF_ART"], [2014, 2020, "PER"], [2234, 2242, "WORK_OF_ART"], [2243, 2248, "PER"], [2470, 2495, "WORK_OF_ART"], [2626, 2644, "PER"], [2716, 2724, "PER"], [2726, 2734, "PER"], [2864, 2874, "WORK_OF_ART"], [2886, 2908, "PER"], [2947, 2966, "PER"], [2973, 2981, "PER"], [3148, 3157, "WORK_OF_ART"], [3161, 3169, "PER"]]} +{"text": "il paragrafo conclusivo del primo trattato è tutto intriso di richiami scritturistici: presentando il pane d’orzo («orzato») di cui si sazieranno («si satolleranno) a migliaia e di cui ne avanzeranno («me ne soperchieranno») le sporte Dante rimanda consapevolmente («questo sarà quello …» ) al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci raccontato dal Vangelo di Giovanni (6, 5-14) ; «dare lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade» rimanda al brano messianico di Isaia 9, 2, ripreso in Mt 4, 16. In questo secondo caso è interessante notare come il testo di Isaia parli di tenebre della morte («qui in umbra mortis sedent»). Si tratta in qualche modo di una anticipazione di Cv IV vii 10 sgg. dove Dante sosterrà esplicitamente che chi non usa la ragione, anche se sembra vivo, è in realtà morto (cfr. anche Cv II xv 4). Se è evidente che l’immagine del pane, usata fin dall’inizio del trattato indica il contenuto del Commento, ci si è chiesti se quella, nuova, del sole e della luce, si riferisca al contenuto o alla veste linguistica del trattato. In realtà risulta difficile, dal punto di vista della novità, scindere le due cose. Il termine «questo», ripetuto due volte, indica abbastanza chiaramente il Convivio nel suo insieme: coloro che sono nelle tenebre lo sono per ragioni di lingua; il sole «usato» che non li illumina («che a loro non luce») è lo strumento espressivo normalmente usato per la scienza, cioè il latino. Ma d’altro lato l’uso del volgare e l’individuazione di un pubblico diverso e più ampio comporta anche una nuova organizzazione del sapere che si vuole trasmettere, anche se non proprio un sapere nuovo contenutisticamente (cfr. Imbach 2003, pp. 135-9). Rimane infine il problema di cosa intende Dante parlando del sorgere di un sole nuovo e del tramontare di quello vecchio. Difficile pensare che egli ipotizzasse, dopo la pubblicazione del Convivio, la scomparsa del latino e della scienza dei “litterati:” dando all’espressione «là dove» un senso rigorosamente spaziale (e non temporale) la frase potrebbe essere interpretata nel senso di un nuovo sole che sorge ad illuminare quell’emisfero dell’umanità che il sole normale ha lasciato in ombra (ma il «tramonterà» indica pur sempre un qualcosa che deve avvenire, non un antefatto da modificare).", "labels": [[235, 240, "PER"], [361, 380, "WORK_OF_ART"], [481, 486, "PER"], [504, 506, "WORK_OF_ART"], [576, 581, "PER"], [693, 695, "WORK_OF_ART"], [716, 721, "PER"], [826, 828, "WORK_OF_ART"], [937, 945, "WORK_OF_ART"], [1227, 1235, "WORK_OF_ART"], [1324, 1325, "WORK_OF_ART"], [1680, 1686, "PER"], [1747, 1752, "PER"], [1893, 1901, "WORK_OF_ART"], [2207, 2208, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "chiede alla mia nave'. Alla metafora del banchetto si sovrappone quella della navigazione. La trattazione vera e propria, nel suo inizio, è paragonata all'uscita di un naviglio dal porto per affrontare l'alto mare (entrare in pelago\"; cfr. Cv I ix 7); essa è mossa dal vento (\"ora\": aura) del desiderio, ma guidata dalla vela innalzata (\"drizzata\") della ragione (l'artimone, secondo Isidoro di Siviglia è una vela che serve non tanto a far muovere quanto a indirizzare la nave. Cfr. Etymologiae XIX 3, 3, vol. II, p. 307. Il termine è usato dagli Atti degli Apostoli 27, 40 nella narrazione di un episodio della navigazione di Paolo prigioniero verso Roma). Il viaggio deve comunque concludersi in un approdo sicuro (\"salutevole\") che sarà motivo di lode per chi lo avrà raggiunto (\"laudevole\" ha significato causativo). L'immagine della navigazione e dell'approdo per indicare un percorso intellettuale o più genericamente spirituale è un luogo comune della tradizione. Basterà ricordare il prologo del De beata vita di Agostino (I, i-ii, p. 65). La metafora è applicata specificamente alla produzione di un testo da San Girolamo, nella prefazione del suo Commento ad Osea, anche se in questo caso il vento è quello dello Spirito Santo \"Nobis interpretationis vela pandentibus, tu debes illud propheticum dicere: A quattuor ventis caeli veni spiritus, ut celeri cursu …merces dominicas … ad portus tutissimos perferamus\" (PL 25, p. 905).", "labels": [[240, 242, "WORK_OF_ART"], [385, 404, "PER"], [551, 570, "WORK_OF_ART"], [631, 636, "PER"], [655, 659, "LOC"], [1010, 1023, "WORK_OF_ART"], [1027, 1035, "PER"], [1124, 1137, "WORK_OF_ART"], [1164, 1180, "WORK_OF_ART"], [1230, 1243, "WORK_OF_ART"], [1432, 1434, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in Cv I i 18 Dante aveva anticipato che la spiegazione delle canzoni avrebbe avuto un doppio livello: uno letterale ed uno allegorico. Qui l'affermazione viene ripetuta, ed inquadrata nella dottrina più ampia dei quattro possibili sensi di un testo: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale, il senso anagogico, analizzati nei paragrafi seguenti. L'idea di un molteplice livello su cui gioca l'interpretazione testuale era stata introdotta già da Origene in funzione dell'esegesi della Bibbia per evitare le difficoltà poste da alcuni passi, se presi alla lettera (per esempio tutte le rappresentazioni antropomorfiche di Dio), ma soprattutto per la convinzione che la parola divina fosse ricca di una molteplicità pressoché inesauribile di sensi. Girolamo, Agostino e Cassiano avevano teorizzato i procedimenti esegetici trasmettendone il modello ad autori dell'Alto Medioevo come Beda e Rabano Mauro. Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo la dottrina era ormai cristallizzata nello schema dei quattro sensi della Scrittura. Come dice un distico mnemotecnico diffusissimo sotto il nome del grande esegeta Nicolò di Lira: Littera gesta docet, quid credas allegoria / moralis quid agas, quo tendas anagogia\". Dante sembrerebbe voler estendere questo modello esegetico a tutti i testi (\"Le scritture possono intendersi ... \"). La cosa è però assai problematica: per un verso, infatti, questa estensione risulta eccessiva. Dante sa bene che le opere filosofiche, o quelle giuridiche, o quelle mediche non si prestano a simili procedimenti esegetici. Nella cultura universitaria, che si fonda su commenti a questo tipo di testi (alcuni dei quali ben conosciuti a Dante), non c'è posto per l'interpretazione allegorica, o tropologica, o anagogica. Per un altro verso, nel caso specifico, il testo stesso da commentare non risulta di fatto disponibile ai quattro livelli di senso: nell'esegesi della canzone, infatti, solo una volta si farà ricorso alla tropologia e mai alla anagogia e anche in questi paragrafi introduttivi, gli esempi di questi due sensi sono tratti esclusivamente dalla Sacra Scrittura. Ma soprattutto, le definizioni qui date di senso letterale ed allegorico non coincidono con quelle correnti nell'esegesi biblica. Dante stesso è cosciente di questa differenza quando afferma subito dopo che per i poeti il senso allegorico è diverso che per i teologi. Definendoli come \"favole\" e \"belle menzogne\" sotto cui si nasconde la verità l'Alighieri sembra voler dire che ai testi dei poeti, e alle sue stesse canzoni, deve applicarsi esclusivamente l'allegoria 'in dictis' che è indifferente al valore di verità del senso letterale, mentre per un teologo come Tommaso la lettera della Scrittura è comunque vera, e l' allegoria si applica fondamentalmente ai facta (cfr. A. Strubel 1975; Corti 1993, pp. 128-33). Si è però notato che per Dante, non solo nella Commedia, ma anche nel Convivio, molte delle composizioni poetiche narrano fatti storicamente veri, anche se suscettibili di interpretazione allegorica (cfr. Scott, 1995; Sarteschi 2003; vedi qui la nota a Convivio II i 15). In ogni modo quando dice di voler \"prendere lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato\" Dante si riallaccia ad una tradizione non biblica di esegesi rivolta al mito, e di conseguenza ai testi poetici che ne erano veicolo. Già in epoca alessandrina essa era stata usata, proprio come nel caso della Bibbia, per interpretare passi dei poemi omerici in cui il divino era presentato in modi ormai troppo crudamente antropomorfici per la sensibilità dei lettori. Sul finire dell' Antichità questo procedimento era stato teorizzato da Macrobio. Nel Commento al Somnium Scipionis egli aveva distinto tra fabula, una menzogna che è semplicemente piacevole da ascoltare (\"solas aurium delicias profitetur\") e che deve essere tenuta fuori dal sacrario della verità, e narratio fabulosa in cui \"notio sacrarum rerum per quaedam composita et ficta profertur\" (scrittura allegorica) che svela il suo significato profondo solo attraverso una giusta decodificazione (interpretazione allegorica. Cfr. I ii 8-11, pp. 5-6). Il testo di Macrobio aveva trasmesso questa teoria al Medioevo che ne avrebbe fatto uso soprattutto nel XII secolo, con Bernardo Silvestre, Guglielmo di Conches, Alano di Lilla. Questi autori credevano fermamente che sotto l'involucrum, l'integumentum della forma favolosa i poeti, soprattutto Virgilio ed Ovidio, avessero volutamente trasmesso verità sia etiche che fisiche (e comunque filosofiche) ed avevano essi stessi praticato un'esegesi basata su questa convinzione. Alcuni erano consapevoli della differenza tra questo metodo e quello usato dai teologi; come afferma un Commento del XII secolo al De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella attribuito a Bernardo Silvestre \"Est allegoria oratio sub historica narratione verum et ab exteriori diversum involvens intellectum, ut de lucta Jacob. Integumentum vero est narratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo ... Allegoria quidem divine pagine, integumentum philosophicae competit\" (ed. Westra, p. 45, ll. 72-78). La nuova cultura universitaria sostenne con Aristotele e contro Platone la necessità che il linguaggio filosofico fosse rigorosamente univoco (un detto diffuso che rimanda ai Topici aristotelici sostiene che \"peccatum est uti metaphoris in problematibus\". Cfr. Top. II, 1, 109 a 27-32) e dunque guardò con molta diffidenza a questo atteggiamento, considerando la poesia come il grado più basso di conoscenza. Del resto, con un certo tasso di incongruenza, Dante stesso affermerà in Cv IV xiv 15 che delle favole non ci si deve curare quando si disputa filosoficamente.", "labels": [[3, 5, "WORK_OF_ART"], [13, 18, "PER"], [463, 470, "PER"], [503, 509, "WORK_OF_ART"], [765, 773, "PER"], [775, 783, "PER"], [786, 794, "PER"], [880, 884, "WORK_OF_ART"], [899, 903, "WORK_OF_ART"], [906, 918, "PER"], [1041, 1050, "WORK_OF_ART"], [1132, 1138, "PER"], [1142, 1155, "WORK_OF_ART"], [1235, 1240, "PER"], [1447, 1452, "PER"], [1686, 1691, "PER"], [2112, 2127, "WORK_OF_ART"], [2261, 2266, "PER"], [2399, 2410, "PER"], [2478, 2487, "PER"], [2700, 2707, "PER"], [2814, 2821, "PER"], [2828, 2833, "PER"], [2879, 2884, "PER"], [2901, 2909, "WORK_OF_ART"], [2924, 2932, "WORK_OF_ART"], [3059, 3064, "PER"], [3107, 3118, "PER"], [3224, 3229, "PER"], [3434, 3440, "WORK_OF_ART"], [3666, 3674, "WORK_OF_ART"], [3680, 3688, "WORK_OF_ART"], [4156, 4164, "PER"], [4198, 4206, "PER"], [4264, 4282, "PER"], [4284, 4304, "PER"], [4306, 4320, "PER"], [4438, 4446, "PER"], [4450, 4456, "PER"], [4749, 4783, "WORK_OF_ART"], [4787, 4803, "PER"], [4817, 4835, "PER"], [5057, 5066, "WORK_OF_ART"], [5202, 5212, "PER"], [5222, 5229, "PER"], [5333, 5352, "WORK_OF_ART"], [5615, 5620, "PER"], [5641, 5643, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la definizione, assai vicina a quella data dal Commento a Marziano Capella, è egualmente presente in un Commento all' Eneide databile al XII secolo attribuito anch'esso a Bernardo Silvestre (ed. Jones, p. 3, ll. 14-15). Il termine stesso significa letteralmente qualcosa che copre il corpo (manto\" appunto) e a questo insieme di idee sembrano far riferimento i versi di If IX 60-3 \"O voi ch'avete li 'ntelletti sani / mirate la dottrina che s'asconde /sotto il velame delli versi strani\" e di Pg VIII 19-21 \"Aguzza qui, lettor, bel gli occhi al vero /ché 'l velo è ora ben tanto sottile, / certo che 'l trapassar dentro è leggiero\" (ma già nella canzone Doglia mi reca Dante aveva affermato ai vv. 57-9 \"ché rado sotto benda / parola oscura giugne all'intelletto\").", "labels": [[47, 55, "LOC"], [118, 124, "WORK_OF_ART"], [171, 189, "PER"], [195, 200, "PER"], [498, 500, "WORK_OF_ART"], [677, 682, "PER"]]} +{"text": "si mostrerà'. Dante, promettendo una più ampia spiegazione del motivo per cui i poeti (che sono anche uomini del sapere, saggi) hanno velato la verità che i loro scritti contengono, si riallaccia implicitamente ad una domanda già presente nel Commento al Somnium Scipionis. Con tutta probabilità anche la risposta sarebbe stata analoga. Per Macrobio i saggi sanno che la natura non ama essere vista nuda, cioè contemplata direttamente da tutti. I suoi segreti sono come i segreti dei culti misterici, devono essere difesi da una divulgazione che li svilirebbe. A questo servono i miti escogitati dai prudentes\" (cfr. In Somnium Scipionis I.ii.17-18, p. 7 \"… sciunt inimicam esse naturae apertam nudamque expositionem sui, quae sicut vulgaribus hominum sensibus intellectum suum vario rerum tegmine operimentoque subtraxit, ita a prudentibus arcana sua voluit per fabulosa tractari\").", "labels": [[14, 19, "PER"], [243, 251, "WORK_OF_ART"], [341, 349, "PER"]]} +{"text": "l'episodio della trasfigurazione sul monte Tabor in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni è narrato dai tre Vangeli sinottici (cfr. Mt 17, 1-9; Mc 9, 1-9; Lc 9, 28-36).", "labels": [[37, 48, "LOC"], [64, 70, "PER"], [72, 79, "PER"], [82, 90, "PER"], [133, 135, "WORK_OF_ART"], [157, 159, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'aggettivo greco anagoghikos significa letteralmente 'ciò che trasporta in alto' (Dante parla di sovrasenso\" traducendo giustamente il prefisso greco ano come super-sopra). Si ricorre al senso anagogico quando si espone oltre la lettera (\"spiritualmente si spone\") un brano delle Scritture (\"una scrittura\") che è certamente vero anche (\"eziandio\") nel senso letterale, ma in cui attraverso le cose (\"per le cose\") significate dalle parole, rimanda non più a verità di fede, o a precetti morali, ma alla gloria eterna di Dio e del suo regno ultramondano (\"significa dell'etternal gloria delle superne cose\". L'espressione è un calco di quella usata da Tommaso per definire appunto il senso anagogico. Cfr. Summa Theologiae I, q. 1, a. 10, respondeo). L'esempio è tratto dai due primi versetti del salmo 113, dove si parla dell'uscita di Israele dall'Egitto: benchè (\"ancora che\") sia evidente che il fatto è vero letteralmente (\"essere vero secondo la lettera sia manifesto\") esso rimanda ad una verità superiore: che l'anima, liberata dal peccato (\"nell'uscita dell'anima dal peccato\") diviene santa e liberamente padrona di sé (\"libera in sua potestate\"). Non per nulla il salmo viene cantato dalle anime traghettate dall'angelo verso la montagna del Purgatorio (cfr. Pg II 45-48). Nella Lettera a Cangrande gli stessi versetti dello stesso salmo verranno interpretati anche secondo i sensi morale ed anagogico (Epistula XIII 7, 21-22, p. 611). Come nota J. Pépin, il salmo 113 era stato nella storia dell'esegesi biblica uno dei testi più usati per esemplificare i vari sensi della Scrittura (cfr. Pépin 1970, pp.87-8).", "labels": [[83, 88, "PER"], [658, 665, "PER"], [712, 728, "WORK_OF_ART"], [843, 850, "LOC"], [856, 862, "LOC"], [1259, 1269, "WORK_OF_ART"], [1276, 1278, "WORK_OF_ART"], [1296, 1315, "WORK_OF_ART"], [1464, 1472, "PER"], [1592, 1601, "WORK_OF_ART"], [1608, 1613, "PER"]]} +{"text": "i Salmi erano stati composti, fin dall'inizio, per essere cantati e il re Davide, cui il Medioevo li attribuiva tutti senza problemi, era considerato anche profeta, in quanto si pensava che numerosi brani dei suoi canti\" avessero un carattere decisamente messianico e prefigurassero nascita, morte e resurrezione del Cristo.", "labels": [[317, 323, "PER"]]} +{"text": "deve essere il primo'. La priorità del primo senso sugli altri era dottrina comune a teologi come Alberto Magno e Tommaso (cfr. di Alberto, Summa Theologica sive de mirabili scientia Dei I, tr. I, q. 5, cap. 4 Sensus litteralis prius est et in ipso fundantur tres alii sensus spirituales\", ed. Kübel, p. 21, e di Tommaso, Summa Theologiae I, q. 1, a.10, ad 1m \"Omnes sensus fundantur super unum, scilicet litteralem, ex quo solo potest trahi argumentum\").", "labels": [[98, 111, "PER"], [114, 121, "PER"], [131, 138, "PER"], [140, 156, "WORK_OF_ART"], [295, 300, "PER"], [314, 321, "PER"], [323, 341, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in ogni produzione, sia essa opera della natura o dell'arte, è impossibile che si abbia luogo il processo di introduzione della forma (procedere alla forma\") se prima il sostrato che è fondamento della forma (\"lo subietto sopra che la forma dee stare\") non si trova nella dovuta disposizione (\"sanza prima esser disposto\"). Dante applica al caso particolare del rapporto lettera-altri sensi la teoria aristotelica della generazione naturale (di cui quella artificiale è imitazione) come processo in cui una forma si unisce ad una materia precedente che le fa da sostrato (questo è il significato di \"subietto\", dal latino subiectum, esso stesso traduzione del greco ypokeimenon: che sta sotto) .Questo sostrato, che in sé sarebbe pura potenza, in ogni produzione deve assumere quelle effettive caratteristiche (di calore, umidità, durezza etc.) che sole rendono possibile l' unione con quel tipo di forma. Vengono portati due esempi: uno tratto dalla generazione naturale (l'oro), l'altro dalla produzione artificiale (l'arca): ciò che viene strutturato dalla forma dell'oro non può essere una materia qualsiasi: essa è invece il risultato di un lavoro di trasformazione che Dante chiama \"digestione\", in Aristotele termine generico indicante ogni tipo di cottura da parte del calore (cfr. Meteor. IV 2, 379 b 10-380 a 10), applicato specificamente alla produzione dei minerali da Alberto Magno (cfr. De mineralibus III, tr. 1, capp. 3 e 5, pp. 62-66 e la nota di B. Nardi in Nardi 1944, pp .61-65 che si riferisce anche alle teorie alchemiche). Solo quando questo tipo di sostrato sarà pronto e disponibile (\"apparecchiata\") si genererà l'oro. In maniera diversa, ma analoga, nel fabbricare un mobile, non basta che il legno sia presente (\"apparecchiato\"), ma occorre che abbia alcune caratteristiche (\"disposto\"): ad esempio, esser già ridotto in tavole. Il linguaggio di Dante risulta qui del tutto debitore di quello della cultura universitaria: l'endiadi \"subietto-materia\" è frequentissima negli scritti dei magistri artium parigini, anzi è quasi la cifra di Boezio di Dacia (cfr. De aeternitate mundi, p. 350, ll. 401-402 \"Natura omnem suum effectum facit ex subiecto et materia\"). Lo stesso esempio dell' arca (in sé termine del linguaggio quotidiano indicante un mobile tipico dell'arredamento medievale, la cassapanca) si trova spesso usato in contesti filosofici (cfr. ad esempio il Commento di Tommaso alla Metafisica di Aristotele, VIII, lectio 4, n. 1734 o il Commento di Bonaventura al secondo libro delle Sentenze, dist. I, pars I, a. 1, q. 1, p. 17) ) fin da quando i traduttori della Fisica aristotelica avevano usato archa per rendere in latino il greco kibotion (cfr. ad es. Phys. III 6, 207 a 10. Translatio Vetus, p 128, l. 13).", "labels": [[324, 329, "PER"], [1175, 1180, "PER"], [1205, 1215, "PER"], [1290, 1296, "WORK_OF_ART"], [1382, 1395, "PER"], [1468, 1476, "PER"], [1480, 1485, "PER"], [1878, 1883, "PER"], [2069, 2084, "PER"], [2091, 2111, "WORK_OF_ART"], [2399, 2407, "WORK_OF_ART"], [2411, 2418, "PER"], [2424, 2434, "WORK_OF_ART"], [2438, 2448, "PER"], [2479, 2487, "WORK_OF_ART"], [2491, 2502, "PER"], [2608, 2627, "WORK_OF_ART"], [2735, 2740, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il fondamento da cui deve iniziare ogni processo produttivo, sia naturale che artificiale, è ovviamente diverso per ogni tipo di produzione. Dei due esempi portati da Dante, quello della casa si ritrova là dove Aristotele parla dei vari significati del termine principio\" (cfr. Metaph. V 1, 1013 a 4-5 \"Aliud unde primum generatur inexistente, ut ... domus fundamentum\" Recensio Guillelmi, p. 92, 8-9). J. Pépin ha presentato la storia della metafora del senso letterale come fondamento di tutto l'edificio esegetico, da Filone di Alessandria a Tommaso passando per il Didascalicon di Ugo di San Vittore (cfr. Pépin 1970, pp. 92-95). Nel passo già citato della Metafisica, è presente anche un'accenno al fondamento della scienza identificato con i postulati indimostrabili delle dimostrazioni (\"Amplius, unde cognoscibilis res primum, et hoc principium dicitur rei, ut demonstrationum suppositiones\" 1013 a 14-16. Recensio Guillelmi, p. 92, ll. 16-18 ). Per Dante, invece, l'edificio della scienza si costruisce sulle dimostrazioni stesse (\"con ciò sia cosa che 'l dimostrare sia edificazione di scienza\"). Nella premessa maggiore ed in quella minore del sillogismo qui usato da Dante, però, i termini non hanno il medesimo significato: nella prima dimostrare è inteso in senso stretto (la scienza si costruisce attraverso sillogismi dimonstrativi), nella seconda la \"litterale demonstrazione\" è un'esegesi della lettera del testo piuttosto che una dimostrazione scientifica (nel paragrafo 14, infatti, si parlerà di \"dimostrare i sensi\").", "labels": [[167, 172, "PER"], [211, 221, "PER"], [278, 284, "WORK_OF_ART"], [372, 390, "WORK_OF_ART"], [405, 413, "PER"], [523, 544, "PER"], [547, 554, "PER"], [571, 583, "WORK_OF_ART"], [587, 605, "PER"], [612, 617, "PER"], [663, 673, "WORK_OF_ART"], [916, 934, "PER"], [960, 965, "PER"], [1181, 1186, "PER"]]} +{"text": "Dante, citandolo espressamente, parafrasa l'inizio della Fisica aristotelica Necesse ... procedere ex incertioribus nature, nobis autem certioribus, in certiora nature et notiora ... Innata... est ex notioribus nobis via et certioribus in certiora nature et notiora (I, 1, 184 a 16-21. Translatio Vetus, p. 7, ll. 8-13).", "labels": [[0, 5, "PER"], [57, 85, "WORK_OF_ART"], [298, 303, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'intervallo di tempo tra la morte di Beatrice (8 giugno 1290) e l'apparizione della 'donna gentile' già ricordata nella Vita Nova (24 sgg.) viene indicato in modo indiretto, attraverso una di quelle complesse immagini astronomiche, anch'esse presenti nella Vita Nova e che tanto spazio avranno nella Commedia: il pianeta Venere due volte (due fiate\") aveva compiuto quella rivoluzione (\"rivolta era in quello suo cerchio\") che la rende visibile (\"la fa parere\") alla sera, appena dopo il tramonto (\"serotina\") e al mattino, poco prima dell'alba (\"matutina\"). La rivoluzione intorno alla terra descritta dall'astro non si svolge lungo un circolo semplice: nella astronomia tolemaica Venere si muove contemporaneamente secondo due movimenti circolari: il primo, attorno alla terra, lungo un circolo leggermente eccentrico (deferente), il secondo lungo un circolo più piccolo (epiciclo) che tocca un punto del deferente e che quindi partecipa del moto del deferente (come Dante dirà in Cv II iii 17-18, la stella si trova materialmente sul \"dosso\" del cerchio piccolo). La combinazione dei due movimenti rende ragione delle complesse posizioni del pianeta che sembra oscillare ora a destra (oriente) ora a sinistra (occidente) del sole sull'eclittica, comparendo poco prima dell'alba (Lucifero) e poco dopo il tramonto (Espero). Il \"cerchio\" di cui qui parla Dante è appunto l'epiciclo e poiché per questa sua specifica rivoluzione Venere impiega 584 giorni, il tempo intercorso sarà stato di 1168 giorni, cioè di tre anni (di cui uno, il 1292, bisestile) e 72 giorni solari. Dante conosceva la durata del periodo di Venere dal Liber aggregationum stellarum, o più semplicemente del Liber aggregationis, composto dall' astronomo arabo Al-Farghani (Alfraganus) nel IX secolo, tradotto in latino nel XII prima da Giovanni Ispano (Johannes Hispalensis) e poi da Gerardo da Cremona. Si tratta di un testo di geografia astronomica che Dante utilizzerà ampiamente per tutto quanto riguarda le misure e le distanze sia astronomiche che specificamente terrestri (cfr. Cv II iii 10; III v 10; IV viii 7 e Toynbee, pp. 64-77). La scelta, per la datazione, di Venere e del suo periodo è evidentemente collegata alla canzone che si rivolge appunto ai motori del \"bel pianeta che d'amar conforta\" (Pg I 19).", "labels": [[38, 46, "PER"], [121, 130, "WORK_OF_ART"], [258, 267, "WORK_OF_ART"], [301, 309, "WORK_OF_ART"], [974, 979, "PER"], [988, 990, "WORK_OF_ART"], [1288, 1296, "PER"], [1323, 1329, "WORK_OF_ART"], [1362, 1367, "PER"], [1580, 1585, "PER"], [1621, 1627, "WORK_OF_ART"], [1632, 1661, "WORK_OF_ART"], [1687, 1706, "WORK_OF_ART"], [1742, 1750, "PER"], [1752, 1762, "PER"], [1815, 1830, "PER"], [1832, 1852, "WORK_OF_ART"], [1863, 1881, "PER"], [1934, 1939, "PER"], [2064, 2066, "WORK_OF_ART"], [2290, 2292, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che l' amore, a differenza della benivolentia, non sia dato tutto in un attimo, ma necessiti di tempo per crescere e raggiungere la perfezione è dottrina sia di Aristotele (cfr. Eth. Nic. IX, 5, 1166 b 34-35 et amacio quidem cum consuetudine, benivolencia autem et ex repentino\". Translatio Grosseteste. Textus purus, ll. 9-10) che di Tommaso nel suo Commento all' Etica IX, lectio 5, n. 1823 \"Importat ... amatio ...quemdam vehementem impetum animi. Non autem consuevit animus statim vehementer ad aliquid moveri, sed paulatim ad maius perducitur\"). In essi non troviamo però traccia del \"nutrimento di pensieri\".", "labels": [[161, 171, "PER"], [178, 181, "WORK_OF_ART"], [291, 302, "PER"], [304, 316, "WORK_OF_ART"], [336, 343, "PER"], [352, 360, "WORK_OF_ART"], [366, 375, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nella metafora del castello assediato, la parte della vista è il davanti. L'integrazione dalla vista\" dopo \"dalla parte\" è sicuramente da preferire a quella \"dalla memoria\" proposta dalla edizione Simonelli ed accettata da Inglese nel suo Commento: non sembra infatti plausibile una memoria protesa sul \"dinanzi\". Anche nelle localizzazioni delle facoltà mentali trasmesse alla cultura latina dall'opera di Avicenna la memoria \"est in posteriore parte cerebri\", mentre l'immaginazione, su cui, insieme alla vista, si fonda la nascita di amore, \"est in fronte, in anteriore parte cerebri\" (cfr. Alberto Magno, De memoria et reminiscentia tr. 1, cap. 1, p. 99). Già nella canzone La dispietata mente Dante aveva scritto \"La dispietata mente (=memoria), che pur mira / di retro al tempo che se n'è andato / da l'un de' lati mi combatte il core\". Più difficile il caso di \"comento quello che\" testo trasmesso da tutta tradizione manoscritta: per l'inaccettabile \"comento\" numerose sono state le proposte di correzione, da 'comente' (dialettale, per \"come\": come quello che, lezione accettata dal Commento Inglese) a 'com'era' (Simonelli) fino all'edizione Brambilla Ageno che suggerisce di leggere l'intera espressione come 'comendante quella'. Nessuna mi sembra soddisfacente in quanto tutte sembrano attribuire al pensiero nutrito dalla memoria l'atto di impedire \"a dare dietro il volto\" (di mantenersi cioè volti verso il passato ) che invece può essere opera solo del pensiero nutrito dalla vista. Accolgo dunque la proposta \"contro quello\" del Commento Busnelli che rende abbastanza coerente la metafora militare: il pensiero assediante riceveva continuamente rinforzi dalla vista (\"lo soccorso dinanzi\"), il pensiero assediato dalla memoria, ma il combattimento era impari perché il primo poteva ricevere rinforzi in maniera indefinita e in misura sempre maggiore; il secondo (\"l'altro\") non poteva farlo proprio perché in lotta contro un avversario capace di impedirgli di volgere l'attenzione dal presente al passato.", "labels": [[198, 207, "WORK_OF_ART"], [241, 249, "WORK_OF_ART"], [409, 417, "PER"], [596, 609, "PER"], [611, 641, "WORK_OF_ART"], [681, 706, "WORK_OF_ART"], [1097, 1105, "WORK_OF_ART"], [1106, 1113, "WORK_OF_ART"], [1128, 1137, "WORK_OF_ART"], [1157, 1172, "PER"], [1504, 1511, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "calco dal latino 'in illo' (sottinteso: libro). Si rimanda qui ad un celebre passo del De partibus animalium I, 5, 644 b 31-35 (nella trasmissione araba del Corpus aristotelicum e quindi nella traduzione latina di Michele Scoto i trattati della Historia animalium, del De partibus animalium e del De generatione animalium erano stati riuniti sotto un solo titolo, il De animalibus, appunto) Hec quidem enim , etsi secundum modicum attingamus, tamen … delectabilius quam que apud nos omnia, quemadmodum et amatorum quamcumque et modicam particulam considerare delectabilius est quam multa alia et magna per certitudinem videre\". Il brano era già stato ampiamente utilizzato nella produzione filosofica e teologica del XIII secolo; per questo concorderei con Boyde nel ritenere che Dante lo citi di seconda mano, attraverso la parafrasi che Tommaso ne fa nella Summa contra Gentiles I, cap. 5, n. 32: \"Unde in XI de Animalibus dicit quod quamvis parum sit quod de substantiis superioribus percipimus, tamen illud modicum est magis amatum et desideratum omni cognitione quam de substantiis inferioribus habemus\" (Boyde 1984, p. 103, nota 35).", "labels": [[88, 111, "WORK_OF_ART"], [158, 178, "WORK_OF_ART"], [215, 228, "PER"], [246, 254, "WORK_OF_ART"], [270, 291, "WORK_OF_ART"], [298, 324, "WORK_OF_ART"], [370, 383, "WORK_OF_ART"], [761, 766, "PER"], [784, 789, "PER"], [843, 850, "PER"], [864, 885, "WORK_OF_ART"], [917, 930, "WORK_OF_ART"], [1116, 1121, "PER"]]} +{"text": "il De caelo (che nella tradizione araba è intitolato De caelo et mundo) nella classificazione delle scienze naturali, e quindi dei libri corrispondenti, (i Libri naturales) era appunto il secondo, dopo la Fisica in senso stretto e prima del De generatione.", "labels": [[3, 11, "WORK_OF_ART"], [53, 70, "WORK_OF_ART"], [206, 212, "WORK_OF_ART"], [242, 256, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "opinione errata'. Gli errori aristotelici segnalati da Dante non si trovano letteralmente nel testo citato. Ad essi fanno invece riferimento i commenti di Averroè e di Alberto Magno, sottolineando come essi siano dipesi da quelli degli astronomi contemporanei dello Stagirita. Cfr. Averroè, De caelo et mundo II, c. 58, f. 137 F Hoc significat, quod astrologi dixerunt in suo tempore, quod sol erat supra lunam et Venus et Mercurius supra solem\"; Alberto Magno, De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 15-22 \"Et de numero quidem omnes antiqui usque ad tempora Ptolomaei consensisse videntur, quod spherae fuerint octo quarum superior sit sphaera stellarum fixarum et secunda Saturni, et tertia Iovis, et quarta Martis, quinta autem Veneris et sexta Mercurii, et septima solis et octava lunae\" (in questo caso i cieli sono numerati a partire dal più esterno)", "labels": [[55, 60, "PER"], [156, 163, "PER"], [169, 182, "PER"], [267, 276, "PER"], [283, 290, "PER"], [292, 312, "WORK_OF_ART"], [449, 462, "PER"], [464, 484, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'dove mostra chiaramente di essersi limitato a seguire il parere degli altri (cioè degli astronomi) quando aveva avuto bisogno di parlare di astronomia'. Cfr. Metaph. XII 8, 1073 b 2-8 dove Aristotele si affida effettivamente all'astronomia per quanto riguarda la determinazione del numero dei movimenti celesti (e quindi dei cieli), affermando però che essi sono in numero assai maggiore dei corpi mossi, ed assegnando ad ogni astro un determinato numero di sfere che nel totale supera di molto quello di otto. Nella semplificazione operata da Dante (ed in genere dai non specialisti di astronomia) il sistema di sfere collegate ad ogni pianeta costituisce un'unità (il cielo di ...). Per una consapevolezza del problema vedi però il paragrafo 17 di questo capitolo. Che la verità venga in genere trovata solo dopo una storia di tentativi erronei, ma meritori, è dottrina di Aristotele (cfr. Metaph. II 1, 993 b 11-19) che qui viene applicata alle dottrine stesse dello Stagirita.", "labels": [[160, 166, "WORK_OF_ART"], [191, 201, "PER"], [546, 551, "PER"], [877, 887, "PER"], [894, 900, "WORK_OF_ART"], [972, 981, "PER"]]} +{"text": "la correzione apportata da Tolomeo ad Aristotele ha come punto di partenza una più accurata osservazione astronomica per cui il cielo delle stelle fisse risulta soggetto ad altri movimenti oltre quello di rotazione diurna da oriente ad occidente (accorgendosi che l'ottava spera si movea per più movimenti\"). Dante non specifica qui quali siano questi movimenti limitandosi a notare che Tolomeo aveva visto come il cerchio descritto dall'ottava sfera non coincidesse perfettamente (\"veggendo lo cerchio suo partire\") con quello di una rotazione diurna semplice (\"dallo diritto cerchio che volge tutto da oriente ad occidente\"). Si tratta di un movimento assai lento (un grado ogni cento anni) lungo l'eclittica, da occidente ad oriente (analogo quindi a quello dei pianeti), ipotizzato per spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi (cfr. il Commento di Tommaso al De caelo II, lectio 17, n. 457 \" Est autem hic considerandum quod tempore Aristotelis nondum erat deprehensus motus stellarum fixarum, quas Ptolomaeus ponit moveri ab occidente in orientem super polos Zodiaci quibuslibet centum annis gradu uno, ita quod tota revolutio earum compleatur in triginta sex millibus annorum\". Di esso Dante parlerà più esplicitamente in Cv II xiv 1). L'esistenza di questo ulteriore movimento fece ipotizzare da parte di Tolomeo l'esistenza di un altro cielo esterno (\"fuori\") a quello delle stelle fisse (\"lo Stellato\"). Che il grande astronomo di età imperiale avesse corretto Aristotele per quanto riguarda il numero dei cieli era opinione sostenuta già da Averroè (cfr. De caelo et mundo II, c. 67, ed. cit, f. 144 D) e condivisa da Alberto Magno (cfr. De caelo et mundo II, tr.3, cap.2, pp. 166-167) ma i passi portati dai commenti di Vasoli e di Ricklin non presentano specifici riscontri testuali con le affermazioni del Convivio. In realtà Tolomeo, così come lo leggeva Alberto approvandone la soluzione, aggiungeva non uno, ma due cieli: il primo che spiegasse il movimento delle stelle da occidente ad oriente, il secondo che spiegasse il loro volgersi diurno da oriente ad occidente. Dante, che, come vedremo, interpreterà il sistema di Tolomeo come un sistema fisico, attribuisce una motivazione filosofica alla correzione da lui apportata (\"costretto dalli principi di filosofia\"). In questo egli concorda di nuovo con Alberto: cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, pp. 166-167 \"Ptolemaei autem sententia, secundum quod ego possum intelligere, est quod decem sint orbes caelorum, et ratio sua physica est, non mathematica. Supponit enim id quo probatum est in secundo Philosophiae primae Aristotelis, quod videlicet omne quod est in multis per rationem unam existens in illis est in aliquo priore illis quod est causa omnium illorum\". Ma la motivazione filosofica specifica presentata dal Convivio, che necessariamente il primo mobile deve essere semplicissimo (e quindi avere un solo movimento) è attribuita da Alberto non a Tolomeo, bensì ad Alpetragio, cioè all'astronomo andaluso Al-Bitruji, autore del De motibus caelorum (tradotto due volte in latino da Michele Scoto nel 1217 e da Kalonymus ibn David nel 1258). Alpetragio, per altro, viene presentato come sostenitore dell'esistenza di nove sfere (Cfr. De coelo et mundo, loc. cit.). Con tutta probabilità Dante, che conosceva direttamente la parafrasi di Alberto (cfr. la nota a Cv II iii 6) ha contaminato i due testi e del resto anche Averroè aveva attribuito a Tolomeo l'aggiunta di un solo cielo a quelli aristotelici, il nono appunto. Come nota il Nardi (cfr. Nardi 1967, pp. 155-6) la necessità che il primo mobile, cioè il cielo ultimo che contiene tutti gli altri trasmettendo loro il moto diurno, sia semplicissimo è riconducibile in generale all'assioma neoplatonico che pone il semplice prima del complesso, l'uno prima del molteplice; ma se semplicissimo vuol dire qui dotato di un solo movimento si tratta di una esigenza propria anche della Fisica aristotelica: il movimento circolare del cielo mosso dal Motore primo deve essere uniforme ed unico (cfr. Phys. VIII 10, 259 a 1 sgg .).", "labels": [[27, 34, "PER"], [38, 48, "PER"], [311, 316, "PER"], [389, 396, "PER"], [855, 863, "WORK_OF_ART"], [867, 874, "PER"], [878, 889, "WORK_OF_ART"], [952, 970, "PER"], [1018, 1028, "PER"], [1208, 1213, "PER"], [1244, 1246, "WORK_OF_ART"], [1328, 1335, "PER"], [1417, 1425, "WORK_OF_ART"], [1486, 1496, "PER"], [1567, 1574, "PER"], [1581, 1602, "WORK_OF_ART"], [1647, 1660, "PER"], [1667, 1688, "WORK_OF_ART"], [1763, 1770, "PER"], [1839, 1847, "WORK_OF_ART"], [1859, 1866, "PER"], [1889, 1896, "PER"], [2108, 2113, "PER"], [2162, 2169, "PER"], [2346, 2353, "PER"], [2360, 2381, "WORK_OF_ART"], [2602, 2614, "PER"], [2823, 2831, "WORK_OF_ART"], [2946, 2953, "PER"], [2960, 2967, "PER"], [2978, 2988, "PER"], [3018, 3028, "WORK_OF_ART"], [3041, 3060, "WORK_OF_ART"], [3094, 3107, "PER"], [3122, 3141, "PER"], [3299, 3304, "PER"], [3349, 3356, "PER"], [3373, 3375, "WORK_OF_ART"], [3431, 3438, "PER"], [3458, 3465, "PER"], [3547, 3552, "PER"], [3559, 3564, "PER"], [3949, 3968, "WORK_OF_ART"], [4063, 4067, "PER"]]} +{"text": "la posizione reciproca (sito\") dei nove cieli, numero ora comunemente accettato (\"secondo che si tiene\") dalla astronomia e dalla filosofia (in questo caso dalla filosofia naturale), è stata decisa in maniera chiara (\"manifesto e diterminato\") e questo grazie alla scienza ottica (\"perspettiva\"), all'aritmetica (\"arismetrica\") e alla geometria che lo hanno colto (\"veduto\") sia attraverso l'osservazione sensibile, sia attraverso una dimostrazione razionale (l'endiadi \"sensibilmente e ragionevolmente\" anticipa in qualche modo le 'necessarie dimostrazioni' e le 'sensate esperienze' di Galileo. Ma già Alberto Magno, nella parafrasi della Metafisica XI (= XII), tr. 2, cap.. 22, p. 501, ll. 45-48 aveva scritto \"Astrologia ... tale motus ex tribus investigat, ex visu videlicet et ratione et instrumentis\"). Il termine \"perspettiva\" è un calco del corrispondente latino perspectiva che a sua volta rende il greco optiké, la nostra ottica appunto. Già considerata da Aristotele come una scienza mista di matematica e di fisica, e quindi la più adatta a combinare esperienza e dimostrazione razionale (cfr. An. Post. I 7, 75 b 14-17; Phys. II 2, 194 a 7-12) era stata sviluppata da Tolomeo e nel mondo dell'Islam aveva registrato sostanziali progressi con trattati come il De radiis di Al-Kindi e il De aspectibus di Alhazen (testi tutti tradotti in latino verso la fine del XII secolo). Nel XIII secolo autori latini come Witelo (uno scienziato polacco attivo in Italia presso la corte papale), e Giovanni Pecham (un francescano, prima maestro di teologia a Parigi e poi arcivescovo di Canterbury) avevano a loro volta composto trattati di perspectiva che esponevano una teoria dei raggi visuali e in genere di quelli luminosi (leggi della riflessione e della rifrazione) su cui si basavano le misurazioni trigonometriche delle distanze degli astri dalla terra e fra loro. La \"perspettiva\" inoltre conteneva anche una teoria fisica della sensazione visiva, mutuata da Aristotele, ed una sua spiegazione in termini fisiologici derivata da Galeno. Sulle caratteristiche di questa scienza al tempo di Dante e sul diverso posto che i perspectivisti e gli aristotelici puri le assegnavano nel sistema del sapere vedi Gilson 2000.", "labels": [[590, 597, "PER"], [606, 619, "PER"], [643, 657, "WORK_OF_ART"], [973, 983, "PER"], [1112, 1114, "WORK_OF_ART"], [1116, 1120, "WORK_OF_ART"], [1191, 1198, "PER"], [1282, 1303, "WORK_OF_ART"], [1309, 1322, "WORK_OF_ART"], [1433, 1439, "WORK_OF_ART"], [1474, 1480, "LOC"], [1508, 1523, "PER"], [1569, 1575, "LOC"], [1982, 1992, "PER"], [2052, 2058, "PER"], [2112, 2117, "PER"], [2226, 2232, "PER"]]} +{"text": "Dante fornisce due esempi di osservazioni del cielo che dimostrano come il cielo della luna sia inferiore sia a quello del sole che a quello di Marte. La seconda è riferita correttamente allo stesso Aristotele che ne parla appunto in De caelo II 12, 292 a 3-6. Ma il testo di Dante, che pure ha dei punti precisi di contatto con la traduzione latina del testo aristotelico (lunam...vidimus... subintrantem ... astrum Martis\") presuppone la conoscenza del Commento di Alberto Magno seguito praticamente alla lettera per una parte non presente in Aristotele (cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 56-57 \"Et oriebatur Mars ex parte illuminati in luna versus occidentem\").", "labels": [[0, 5, "PER"], [144, 149, "WORK_OF_ART"], [199, 209, "PER"], [234, 245, "WORK_OF_ART"], [276, 281, "PER"], [456, 464, "WORK_OF_ART"], [468, 481, "PER"], [546, 556, "PER"], [563, 583, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il nono cielo, essendo insieme a tutti gli altri di materia trasparente come il cristallo, ma a differenza degli altri non recando infisso alcun astro non può essere percepito dal senso della vista. La sua esistenza è fondata sulla necessità di postulare un movimento perfettamente unico ed uniforme. Il diafano\", nella dottrina aristotelica della sensazione visiva, è la proprietà fondamentale di un mezzo, come l'aria o l'acqua, che rimane invisibile fino a quando la luce non l'abbia attuato attraverso un colore (cfr. De an. II 7, 418 a 4-13).", "labels": []} +{"text": "sostengono l'esistenza del cielo Empireo' (pongono\" è un calco del latino universitario 'ponunt'). Introducendo come decimo cielo l'Empireo Dante utilizza una cosmologia diversa e per alcuni aspetti anche opposta a quella aristotelica. Nel De caelo (II, 7) Aristotele aveva polemizzato contro chi sosteneva la natura ignea dei cieli: l' Empireo invece, come dice il suo nome (\"che è a dire\": vale a dire), è fatto di fuoco. I cieli della cosmologia aristotelica sono tutti caratterizzati dal movimento: l'Empireo invece è immobile (\"pongono esso essere immobile\"). La natura e le proprietà che Dante assegna a questo cielo appartengono alla tradizione patristica: dalla presenza nel racconto genesiaco di due cieli, quello creato 'in principio' e quello prodotto solo il secondo giorno (il firmamentum), si era dedotta l'esistenza, al di sopra del cielo in cui erano stati posti i due \"luminari\" e le stelle, di un cielo superiore, invisibile ed immobile. Nell' Alto Medioevo Beda il Venerabile aveva dato forma compiuta a questa esegesi (cfr. Commento al Genesi, p. 10) affermando che esso, fin dalla creazione, è stato la dimora di Dio (\"E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade\") e delle schiere angeliche (\"Questo loco è di spiriti beati...\"). Infine, la Glossa ordinaria (PL 113, p. 68) affermando che esso si dice \"Empyreus, id est igneus ... \" aveva precisato che ciò \"non ab ardore sed a splendore dicitur\" (\"che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso\"). Tutti gli autori del XII secolo, fino alle Sentenze di Pier Lombardo, avrebbero ripreso con minime variazioni una simile dottrina (Fioravanti 1998). Dante sembra consapevole che esistenza e caratteristiche dell'Empireo sono un dato di fede, non suscettibile di rigoroso accertamento razionale (\"Veramente ... li cattolici pongono\"). Era stata la posizione di teologi \"aristotelici\" come Alberto Magno e Tommaso. Il primo aveva detto che l'Empireo \"nec sensu nec ratione manifestatur\" e che quindi era rimasto ignoto ai filosofi (cfr. Summa de creaturis I De quattuor coequaevis tr. III, q. 12, a. 3, p. 423); e il secondo aveva precisato che proprio per questo il decimo cielo \"non naturali ratione, sed auctoritate est habitum\" (cfr. In IIm Sententiarum, dist. 2, q. 2, a. 1 Utrum caelum empyreum sit corpus, respondeo). L'autorità che supplisce alla mancanza di prove è per Dante quella della Chiesa: \"secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna\". D'altra parte, però, egli non solo include questo decimo cielo nel suo sistema del mondo, ma cerca di spiegare il rapporto tra la sua quiete ed il moto velocissimo del Cristallino usando concetti aristotelici. L' Empireo infatti è \"quieto\" perché nel suo insieme e in ciascuna sua parte ha da sempre raggiunto ciò che la sua struttura desidera (\"per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole\"), cioè Dio. Avere Dio presente significa infatti la fine di ogni desiderio, e quindi di ogni movimento. Cfr. Pd XXXIII 46-48 \"E io ch'al fine di tutt'i desii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii\" (l'espressione \"la sua materia vuole\" è peraltro strana. Di un appetito della materia, e tanto meno della materia dei cieli, Dante non parla mai altrove. Potremmo congetturare, fin dall'archetipo, un errore di lettura: \"materia\" al posto di \"natura\". Si tratta di due parole che nei testi filosofici medievali sono spesso scambiate l'una per l'altra a motivo di una fortissima somiglianza nella grafia abbreviata). Questa spiegazione della immobilità dell'Empireo risale, come ha dimostrato il Nardi (Nardi 1944., pp. 67-68) a Michele Scoto e a Guglielmo d'Alvernia. Le parti del Cristallino (\"il nono cielo\") che è contiguo all'Empireo senza intermediari (\"immediato a quello\") desiderano a loro volta esser unite ad ognuna delle parti di \"quel divinissimo ciel quieto\", e a causa di questo ardente desiderio (\"per lo ferventissimo appetito\") il nono cielo si muove circolarmente (\"si rivolve\") entro il decimo con una velocità quasi incalcolabile (\"incomprensibile\"). Il desiderio di perfezione è quindi la causa per cui il primo Mobile ha un movimento più veloce di ogni altro corpo (\"è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento\"). Già Aristotele, accennando brevemente ad un Principio Primo che non muove, come gli altri motori, mediante contatto, bensì attirando a sé come oggetto di desiderio (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 3-4) aveva implicitamente individuato in questo rapporto la causa del movimento eterno dei cieli ed Averroè lo avevano affermato con chiarezza, il primo nella sua Metafisica (\"cuius principium, scil. motus, est desiderium assimilandi bonitati ultimae ... secundum possibilitatem suam\" Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 2, vol. II, p. 459) il secondo nel suo Commento al cap. 7 di Metaph. XI (= XII \"Primum caelum movetur ab isto motore secundum desiderium ut assimiletur ei secundum suum posse, sicut amans movetur ut assimiletur suo amato, alia autem corpora caelestia moventur secundum desiderium ad motum primi corporis\" c.37, f. 320 H-I). Il movimento del primo cielo è dunque causato dal desiderio di raggiungere la perfezione e di assimilarsi alla quiete del Primo Principio, esattamente come per Dante è causato dal desiderio di assimilarsi alla quiete del cielo empireo (che, a sua volta, è immobile perché luogo-non luogo di Dio, Motore immobile). L'accenno dantesco alle 'parti' non è casuale: il movimento del cielo, infatti, non implica in senso stretto un mutamento di luogo: esso riguarda non il tutto, ma le parti che occupano l'una il luogo dell'altra 'secundum successionem'. Infine il desiderio di armonizzare la cosmologia aristotelica con la 'fides catholica' risulta dalla convinzione che anche lo Stagirita, se bene interpretato (\"a chi bene lo 'ntende\"), affermerebbe che esiste un decimo cielo, luogo di Dio e degli angeli (\"pare ciò sentire\"). Dante, con tutta probabilità, ha in mente un passo del terzo capitolo del primo libro del De caelo (270 b 5-9) dove Aristotele porta a sostegno della sua teoria dell'immutabilità del cielo il fatto che tutti coloro che credono negli Dei, sia Greci che Barbari, pongono la loro dimora nella parte superiore dell'universo (la traduzione dall'arabo di Gerardo da Cremona, assai lontana dalla lettera del testo greco, dava al passo una coloritura decisamente religiosa: \"Omnes enim homines conveniunt in hoc quod hoc corpus gloriosum primum est locus spirituum\". Cfr. Averroes, In libros De caelo et mundo, f. 16 I. Vedi anche la nota a Cv II iv 3) I brani dove lo Stagirita utilizza le comuni credenze religiose o le teorie dei poeti teologi come anticipazione mitica e quindi in un qualche senso conferma delle sue tesi sul divino (cfr. ad es. Metaph. XII 8, 1074 b 1-14 ) si erano già prestati ad una interpretazione 'in bonam partem' da parte di intellettuali (anche teologi) desiderosi di conciliare la propria fede con la filosofia.", "labels": [[33, 40, "PER"], [132, 145, "WORK_OF_ART"], [240, 248, "WORK_OF_ART"], [257, 267, "PER"], [337, 344, "WORK_OF_ART"], [505, 512, "PER"], [594, 599, "PER"], [985, 995, "PER"], [1057, 1063, "WORK_OF_ART"], [1188, 1195, "WORK_OF_ART"], [1274, 1290, "WORK_OF_ART"], [1336, 1344, "PER"], [1524, 1532, "WORK_OF_ART"], [1536, 1549, "PER"], [1612, 1622, "PER"], [1630, 1635, "PER"], [1692, 1699, "WORK_OF_ART"], [1868, 1881, "PER"], [1884, 1891, "PER"], [1920, 1927, "PER"], [2015, 2033, "WORK_OF_ART"], [2036, 2062, "WORK_OF_ART"], [2221, 2237, "WORK_OF_ART"], [2359, 2364, "PER"], [2378, 2384, "WORK_OF_ART"], [2402, 2414, "WORK_OF_ART"], [2618, 2629, "PER"], [2663, 2670, "PER"], [2977, 2979, "WORK_OF_ART"], [3224, 3229, "PER"], [3555, 3562, "WORK_OF_ART"], [3593, 3598, "PER"], [3600, 3605, "PER"], [3626, 3639, "PER"], [3644, 3664, "PER"], [3679, 3690, "PER"], [3728, 3754, "WORK_OF_ART"], [4132, 4138, "WORK_OF_ART"], [4201, 4213, "WORK_OF_ART"], [4253, 4263, "PER"], [4419, 4425, "WORK_OF_ART"], [4543, 4550, "PER"], [4606, 4616, "WORK_OF_ART"], [4728, 4748, "WORK_OF_ART"], [4819, 4827, "WORK_OF_ART"], [4841, 4847, "WORK_OF_ART"], [4860, 4931, "WORK_OF_ART"], [5226, 5241, "WORK_OF_ART"], [5264, 5269, "PER"], [5400, 5415, "WORK_OF_ART"], [5782, 5791, "PER"], [5933, 5938, "PER"], [6023, 6031, "WORK_OF_ART"], [6049, 6059, "PER"], [6283, 6301, "PER"], [6518, 6535, "WORK_OF_ART"], [6567, 6569, "WORK_OF_ART"], [6596, 6605, "PER"]]} +{"text": "secondo la definizione aristotelica luogo è ciò che contiene un corpo o più precisamente il limite di un corpo che ne contiene un altro (cfr. Phys. IV 4, 212 a 3-7). L'Empireo, dunque, essendo il limite ultimo, è il luogo dell'universo, ma non è esso stesso in un luogo", "labels": [[142, 146, "WORK_OF_ART"], [168, 175, "PER"]]} +{"text": "la non localizzazione dell'Empireo sembra qui anticipare la negazione di ogni sua fisicità: come Pd XXVII 109-110 (e questo cielo non ha altro dove / che la mente divina\") esso è visto come una produzione esclusivamente mentale, di una prima mente divina (nel grandioso dizionario medievale, le Derivationes Magnae di Uguccione da Pisa, Dante poteva leggere \"noys , id est mens, et componitur cum protos, quod est primum, et dicitur hec protonoe-es, quasi protonoe, id est prima nois, id est mens divina\" s.v. Noys, N 61, 1, p. 849). Cfr.", "labels": [[27, 34, "PER"], [97, 99, "WORK_OF_ART"], [297, 316, "WORK_OF_ART"], [320, 329, "PER"], [339, 344, "PER"], [518, 519, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "se la dizione questa magnificenza\" viene riferita alla Mente divina, come vorrebbe un approccio strettamente grammaticale, la citazione del Salmo 8, 2 (\"elevata est magnificentia tua super caelos\") sottolineerebbe la trascendenza divina rispetto anche all'Empireo, e in questo senso il versetto era stato utilizzato da Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae III, q. 57, a. 4). Ma Dante aveva poco prima definito il decimo cielo proprio come il \"luogo della somma Deitade\". Dunque, da un punto di vista logico, sembrerebbe possibile riferire l'espressione all' Empireo stesso, che è l'oggetto reale del discorso, e vedere l'uso del Salmo come inteso a sottolineare la sua incommensurabilità con gli altri cieli. Non sono dunque completamente d'accordo con quegli studiosi che vedono, all'altezza del Convivio, una concezione dell'Empireo come cielo materiale, superata di colpo nella Commedia (vedi Nardi 1967 e ultimamente Ottaviani 2004, pp. 50 sgg.)", "labels": [[56, 68, "WORK_OF_ART"], [141, 148, "WORK_OF_ART"], [257, 264, "WORK_OF_ART"], [320, 336, "PER"], [338, 358, "WORK_OF_ART"], [377, 382, "PER"], [460, 467, "WORK_OF_ART"], [557, 564, "PER"], [628, 633, "WORK_OF_ART"], [796, 804, "WORK_OF_ART"], [826, 833, "WORK_OF_ART"], [880, 890, "WORK_OF_ART"], [896, 901, "PER"], [921, 930, "PER"]]} +{"text": "tutti e nove i cieli mobili sono dotati di due poli. Nei cieli inferiori al Cristallino essi sono fissi per quanto riguarda il movimento diurno (fermi quanto a sé\"): si muovono però accidentalmente in quanto trasportati dal movimento di rivoluzione lungo l'eclittica. Nel Cristallino, invece, sono immobili da tutti i punti di vista (\"non mutabili secondo alcun rispetto\"). Inoltre in ogni sfera celeste è individuabile un cerchio, l'equatore, che in ogni momento del movimento circolare (\"in ciascuna parte della sua rivoluzione\") è egualmente distante dai due poli (\"igualmente ... rimoto dall'uno polo e dall'altro\") come può vedere sperimentalmente (\"sensibilmente\") chi fa girare una mela o un altro oggetto rotondo (\"chi volge un pomo o altra cosa ritonda\"). Lungo l'equatore la velocità del cielo (\"rattezza nel muovere\") è ovviamente massima, e, per ogni sua parte, diminuisce (\"è più tarda\") man mano che se ne allontana e si avvicina ai poli. Questo perché lo spazio percorso girando intorno al centro dell'universo (\"la sua revoluzione\") diventa minore, ma deve essere necessariamente percorso nel medesimo tempo di quello maggiore (\"conviene essere in uno medesimo tempo, di necessitade, con la maggiore\"). Sulla possibile dipendenza di questo testo dal Liber aggregationis di Alfragano cfr. Toynbee, pp. 64-65.", "labels": [[76, 87, "PER"], [273, 284, "WORK_OF_ART"], [1270, 1289, "WORK_OF_ART"], [1293, 1302, "PER"], [1308, 1315, "PER"]]} +{"text": "al cielo ed alla stella di Venere vengono applicati i principi precedentemente esposti: l'astro, essendo la parte più nobile, sarà come incastonato sulla superficie esterna (dosso\") della sua sfera in un punto della linea equatoriale. Dante afferma però che Venere non è posta direttamente sull'equatore della sfera che la muove da oriente ad occidente, bensì sull'equatore di una sfera più piccola che, si muove con un movimento circolare suo proprio (\"una speretta che per sé medesima in esso cielo si volge\") sul dosso della sfera più grande ed è dotata delle medesime caratteristiche (poli, equatore...) Egli accetta così la dottrina tolemaica degli epicicli (\"lo cerchio della quale gli astrologi chiamano epiciclo\"). Ma per Tolomeo gli epicicli sono costruzioni puramente geometriche bidimensionali che servono a render conto dei moti complessi dei pianeti, non spiegati a sufficienza da un modello di sfere concentriche. Lo stesso Alberto Magno, quando definisce l'epiciclo, ne parla come di un circulus che non può essere indagato attraverso argomenti fisici (cfr. De caelo et mundo II, tr. 3, cap. 11, p. 166, ll. 3-13) e così fa Ristoro d'Arezzo nella sua Composizione del mondo I xii 3, p. 18 \"Ciascheduno di questi cerchi porta un altro cerchietto lo quale è chiamato epiciclo\". Per Dante si tratta invece di \"sfere\" e \"sferette\", cioè di corpi fisici che si collocano (e si muovono) non su di un piano, ma in uno spazio tridimensionale. Nel suo Commento al XII libro della Metafisica Averroè aveva sostenuto che il modello di Tolomeo, costruito solo per 'salvare i fenomeni' e calcolare le posizioni degli astri, era insostenibile dal punto di vista delle leggi della fisica, intendi della fisica aristotelica (cfr. c. 45: \"Eccentricum enim aut epicyclum dicere est extra naturam; epicyclus autem impossibile est ut sit omnino\" \"Astrologia autem huius temporis nihil est in esse, sed est conveniens computationi\", f. 329 G, M). D'altra parte il modello di sfere concentriche riproposto da uno stretto aristotelico come l'astronomo Al-Bitruji (Alpetragius), conosciuto e citato da Dante in Cv III ii 5, risultava troppo approssimativo proprio riguardo al calcolo. Dante, non consapevole del conflitto altamente tecnico tra astronomi-fisici ed astronomi puramente matematici, unifica i due sistemi (e d'altra parte ancor oggi si parla in modo improprio del sistema aristotelico-tolemaico). Per una breve ed essenziale illustrazione del problema cfr. Hugonnard-Roche 1998, pp. 89-109.", "labels": [[236, 241, "PER"], [259, 265, "PER"], [733, 740, "PER"], [942, 955, "PER"], [1077, 1097, "WORK_OF_ART"], [1143, 1159, "WORK_OF_ART"], [1170, 1192, "WORK_OF_ART"], [1300, 1305, "PER"], [1463, 1471, "WORK_OF_ART"], [1491, 1509, "WORK_OF_ART"], [1544, 1551, "PER"], [1944, 1945, "WORK_OF_ART"], [2051, 2074, "WORK_OF_ART"], [2100, 2105, "PER"], [2109, 2111, "WORK_OF_ART"], [2183, 2188, "PER"], [2478, 2483, "PER"]]} +{"text": "dopo aver CITAZIONE ESPLICITAto quale sia questo terzo cielo di cui parla la Canzone e averne mostrato la struttura fisica, Dante parla della natura e del numero delle entità che lo muovono. Tutti sono d'accordo sulla natura dei motori (movitori\") del cielo di Venere (e di tutti gli altri cieli): si tratta di sostanze immateriali (\"separate dalla materia\"), vale a dire intelligenze pure, che la maggioranza degli uomini, non esperti di filosofia (\"la volgare gente\") identifica con gli angeli. Come vedremo nei paragrafi seguenti, la diversità di opinione (\"diversi diversamente hanno sentito\") riguarda essenzialmente la loro funzione ed il loro numero. Per Aristotele incorporeità e pensiero puro sono in primo luogo le caratteristiche del Motore immobile-Principio primo (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 18-25, 1073 a 3-7), ma per analogia esse si trasferiscono anche ai motori degli altri cieli (cfr. Metaph. XII 8, 1073 a 36-38) .Il termine intelligentia, non presente in Aristotele (che usa piuttosto quello di substantia separata), era stato usato nelle traduzioni latine di Al-Ghazali, Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, pp. 476 sgg.) ed Averroè. Al tempo di Dante si trattava di dottrina comune. Il fatto che l'identificazione sostanze separate-angeli sia attribuita alla \"volgare gente\" accomuna Dante ad Alberto Magno (cfr. ad esempio Metaphysica XI , tr. 2, cap. 10, vol. II, p. 495, ll. 55-56 \"et has intelligentias secundum vulgus angelos vocant\"; In secundum librum Sententiarum, dist. 3, a. 3, p. 64 \"Dicit Avicenna quod intelligentiae sunt quas populus ... angelos vocat\"). Anche Averroè nel Commento al De caelo I, c. 22, f. 17 H, aveva scritto \"Omnes gentes que concedunt Deum esse conveniunt in hoc, quod caelum est locus Dei et aliorum spirituum qui vulgariter dicuntur Angeli\". Ma mentre Alberto in più luoghi respinge decisamente l'identificazione (cfr. In secundum Sententiarum, loc. cit. pp. 64b - 66a; Problemata determinata, q. 2, p. 48, ll. 26-36), Dante la accetta pienamente, anzi considera la dottrina cristiana sugli angeli come un necessario correttivo alle manchevolezze della trattazione puramente filosofica. In questo caso la verità è stata finalmente trovata (\"avvegna che la veritade sia trovata\") in grazia non della pura ragione, ma della rivelazione di Cristo. Riguardo alla identificazione delle intelligenze separate con gli angeli i teologi medievali non furono comunque concordi; cfr. Bemrose 1983.", "labels": [[124, 129, "PER"], [263, 269, "WORK_OF_ART"], [665, 675, "PER"], [749, 780, "WORK_OF_ART"], [787, 793, "WORK_OF_ART"], [907, 913, "WORK_OF_ART"], [981, 991, "PER"], [1098, 1106, "PER"], [1113, 1133, "WORK_OF_ART"], [1195, 1202, "PER"], [1216, 1221, "PER"], [1355, 1360, "PER"], [1364, 1377, "PER"], [1395, 1406, "WORK_OF_ART"], [1574, 1582, "PER"], [1648, 1655, "PER"], [1673, 1683, "WORK_OF_ART"], [1864, 1871, "PER"], [1983, 2005, "WORK_OF_ART"], [2033, 2038, "PER"], [2336, 2357, "WORK_OF_ART"], [2487, 2494, "PER"]]} +{"text": "la prima scuola filosofica, di cui fa parte Aristotele, ha sostenuto che il numero delle sostanze separate equivale a quello dei movimenti circolari celesti (essere tante quante circulazioni fossero nelli cieli e non più\"); questo perché se ce ne fossero delle altre esse non avrebbero una attività propria (\"sanza operazione\"), e quindi da sempre (\"etternalmente\") non avrebbero avuto alcuna ragione di esistere (\"sarebbero state indarno\", cioè invano) perché in loro l'essenza si identifica con l'attività (\"con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione\"). Effettivamente nel libro XII della Metafisica Aristotele determina il numero delle sostanze separate in base al numero dei movimenti celesti (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 15sgg.). Nel suo Commento Averroè argomenta che se ne esistessero altre, esse sarebbero ociosae, cioè prive di attività, il che equivale a dire che esisterebbero inutilmente (frustra, termine cui corrisponde appunto \"indarno\"), e questo è impossibile perché la natura non produce niente se non in vista di uno scopo (cfr. Metaph., XI = XII, c. 44, f. 327 H; vedi anche Phys. II, c. 75, f. 75 M). Pure ad Averroè è attribuibile la dottrina per cui la substantia e la perfectio delle sostanze separate consiste nel produrre il movimento dei cieli (ivi, c. 36, f. 318 K). Tutti coloro che nel XIII secolo hanno sostenuto la piena coincidenza tra essere ed operazione nelle sostanze separate, hanno identificato quest'ultima in primo luogo con l'attività del pensare e infatti anche per Dante esse muovono i cieli \"intendendo\". Il luogo del De caelo in cui Aristotele sembrerebbe ammettere, sia pure incidentalmente (\"incidentemente\"), l'esistenza di sostanze separate non collegate al movimento dei cieli è probabilmente I 9, 279 a 19-22 in cui si parla di entità che, al di là dell'ultima sfera del cosmo, al di fuori dello spazio e del tempo, trascorrono tutta l'eternità in una vita ottima e pienamente sufficiente a se stessa. Nella Summa theologica sive de mirabili scientia Dei Alberto aveva già interpretato questo passo come un accenno all'esistenza dell' Empireo, luogo degli angeli e dei beati: \"Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et Philosophi vocant uniforme in lumine ... est caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive firmamentum, et est illud de quo dicit Aristoteles in II De caelo et mundo quod extra caelum nihil est, nec locus nec tempus, sed vita beata quae est extra ipsum non sicut in loco vel in tempore, sed sicut in obiecto. Extra enim illud est caelum empyreum, in quo obicit se Deus beatis ad contemplandum et fruendum immediate\" (Pars Secunda, tr. 11, q. 52, membrum 2 Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile, p. 554). Per parte sua Tommaso nel Commento al De caelo (I, lectio 21, n. 214) sostiene contro Alessandro di Afrodisia che la condizione di vita descritta da Aristotele non si può riferire ai corpi celesti ma solo a Dio ed alle sostanze separate nel loro insieme, che sono 'al di là' del movimento dell'ultimo cielo in quanto lo contengono e con esso contengono tutto il cosmo. Da queste affermazioni sembra derivare (anche se l'Aquinate non lo dice esplicitamente) che l'insieme delle sostanze separate dotate di vita perfetta fuori del tempo e dello spazio sia più vasto di quello delle intelligenze motrici dei cieli, ma non viene mai fatto cenno all' Empireo.", "labels": [[44, 54, "PER"], [602, 623, "WORK_OF_ART"], [714, 720, "WORK_OF_ART"], [763, 770, "PER"], [1060, 1066, "WORK_OF_ART"], [1108, 1112, "PER"], [1144, 1151, "PER"], [1524, 1529, "PER"], [1578, 1586, "WORK_OF_ART"], [1594, 1604, "PER"], [1975, 2017, "WORK_OF_ART"], [2022, 2029, "PER"], [2102, 2109, "WORK_OF_ART"], [2365, 2376, "PER"], [2383, 2405, "WORK_OF_ART"], [2522, 2531, "WORK_OF_ART"], [2585, 2595, "WORK_OF_ART"], [2652, 2664, "WORK_OF_ART"], [2766, 2773, "PER"], [2778, 2786, "WORK_OF_ART"], [2790, 2798, "WORK_OF_ART"], [2838, 2848, "PER"], [2902, 2912, "PER"], [3173, 3181, "PER"], [3399, 3406, "PER"]]} +{"text": "specie'. I brevi cenni, quasi manualistici, relativi alla posizione di Platone sono tutti derivabili dai testi in cui Aristotele riassume ed interpreta le dottrine del suo maestro. Questo vale per l'assimilazione delle idee di Platone a sostanze separate (cfr. Metaph. XII 3, 1071b 14-16) e il Commento di Tommaso, lectio 5, n. 2493), per la restrizione del numero delle idee a quello delle specie (escludendo quindi idee degli individui; cfr. Metaph. XII 3, 1070 a 18-19), per la loro estensione agli enti geometrici (le larghezze\"; cfr. De an. I 2, 404 b 20-21), per la loro capacità di produrre, come esemplari, individui della propria specie (\"generatrici dell'altre cose ed essempli\"; cfr. Metaph. I, 9, 991 b 3-42). Che le intelligenze separate siano produttrici dei cieli cui presiedono (\"generatrici di quelli\") non è invece dottrina di Aristotele, bensì di Avicenna (cfr. Liber de philosophia prima sive scientia divina IX, 4, vol. II, p. 483), respinta da Averroè (cfr. Metaphysica XI = XII, c.44, f. 327 H-K) ma ripresa da Alberto Magno nel De causis et processu universitatis I, tr. 4, cap. 8, pp. 55-58).", "labels": [[71, 78, "PER"], [118, 128, "PER"], [227, 234, "PER"], [261, 267, "WORK_OF_ART"], [295, 303, "WORK_OF_ART"], [307, 314, "PER"], [445, 451, "WORK_OF_ART"], [697, 703, "WORK_OF_ART"], [848, 858, "PER"], [869, 877, "PER"], [884, 904, "WORK_OF_ART"], [970, 977, "PER"], [984, 995, "WORK_OF_ART"], [1040, 1053, "PER"], [1058, 1096, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nonostante non attribuissero loro lo stesso significato filosofico delle idee di Platone'. Da alcuni autori l'identificazione tra Dei e Forme veniva attribuita allo stesso Platone (cfr. Sigieri di Brabante, Quaestiones in librum De causis, quaestio 17, Utrum positis ideis quaelibet earum esset Deus aliquis, p. 76). Questa posizione poteva trovare un fondamento nel famoso brano del Timeo in cui il Demiurgo affida agli Dei secondi\" il compito di iniziare il processo della generazione (cfr. Timeo 41 CD, nella traduzione latina di Calcidio, ed. Waszink, p. 36), ripetutamente citato, per esempio, da Alberto Magno. Che invece fossero stati i miti divini a prefigurare la verità filosofica relativa alle sostanze separate (cui, come abbiamo visto, egli equiparava le idee platoniche) era l' opinione di Aristotele (cfr. Metaph. XII 8, 1074 a 38-b 13) ed è un principio ermeneutico di Tommaso, ogni volta che trova il termine \"dei\" nel testo aristotelico, quello di trascriverlo nel registro delle sostanze separate. Dante avrebbe ben potuto contaminare le due prospettive. Gli dei cui si riferiscono sia Platone che Aristotele sono però quelli che presiedono ai sette pianeti, gli stessi ai quali lo stesso Dante accenna in Pd IV 61-3 (\"questo principio, male inteso, torse / già tutto il mondo quasi, sì che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse\"); quelli qui citati (Giunone, Minerva, Cerere e Vulcano) non hanno invece alcuna controparte astronomico-astrologica. Dante sembra usare un modello risalente agli Stoici, ma largamente accettato dagli interpreti medievali della mitologia antica: gli dei sono personificazioni di forze e processi naturali: Vulcano del fuoco, Cerere delle messi etc . Sulla originalità di questa utilizzazione degli dei olimpici e sulla sua presenza anche nella Commedia sono pienamente valide le penetranti osservazioni di Paul Renucci (Renucci 1954, pp. 82, 197-8). Vedi anche Bemrose 1983 , pp. 117 sgg.", "labels": [[81, 88, "PER"], [172, 179, "PER"], [186, 205, "WORK_OF_ART"], [207, 238, "WORK_OF_ART"], [384, 389, "PER"], [400, 415, "WORK_OF_ART"], [493, 498, "PER"], [533, 541, "PER"], [547, 554, "PER"], [602, 615, "PER"], [804, 814, "PER"], [821, 827, "WORK_OF_ART"], [886, 893, "PER"], [1018, 1023, "PER"], [1107, 1114, "PER"], [1119, 1129, "PER"], [1210, 1215, "PER"], [1227, 1229, "WORK_OF_ART"], [1314, 1319, "LOC"], [1321, 1329, "LOC"], [1332, 1337, "LOC"], [1381, 1388, "LOC"], [1390, 1397, "WORK_OF_ART"], [1399, 1405, "LOC"], [1408, 1415, "LOC"], [1478, 1483, "PER"], [1523, 1529, "WORK_OF_ART"], [1685, 1703, "WORK_OF_ART"], [1804, 1812, "WORK_OF_ART"], [1866, 1878, "PER"], [1881, 1888, "PER"], [1922, 1929, "PER"]]} +{"text": "l'insolita definizione può avere come spiegazione i versi dell' Eneide II, 437 in cui Giunone viene definita domina potens\" (cfr. Brambilla Ageno 1986).", "labels": [[64, 73, "WORK_OF_ART"], [87, 94, "PER"], [131, 140, "PER"]]} +{"text": "il luogo detto 'casa di Marte' a Firenze ed il mitico fiume sotterraneo della Diana a Siena sono esempi di toponomastica medievale che avevano mantenuto un ricordo degli antichi dei e che potevano essere conosciuti da Dante (cfr. G. Villani, Nuova Chronica II, 5; III, 1, vol. I, pp. 68, 98; Pg XIII 153).", "labels": [[78, 83, "PER"], [218, 223, "PER"], [230, 240, "WORK_OF_ART"], [242, 259, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante risponde ad una possibile obiezione basata su di un passo dell' Etica Nicomachea (X 8, 1178 b 25-26) in cui Aristotele parla, al plurale, della vita speculativa degli dei, identificati da Tommaso nel suo Commento con le sostanze separate che muovono i cieli (Diis enim, id est substantiis separatis, quia habent solam intellectualem vitam, tota eorum vita est bona\" X, lectio 12, n. 2125), e sembra dire che solo quella appartenga loro (\"convegna pure\"). Dante risponde così: anche se è vero che solo la vita di contemplazione è loro propria (\"come pure la speculativa convenga loro\"), tuttavia, per alcune di esse, dall'attività di pensare deriva come effetto il movimento circolare dei cieli (\"pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo\"); esso, come abbiamo già visto, regola l'universo (\"è governo del mondo\"); quest'ultimo può dunque paragonarsi ad una collettività politica bene ordinata (\"è quasi una ordinata civilitade\") che è presente come fine nel pensiero dei motori celesti (\"intesa nella speculazione delli motori\". Per il termine \"civilitade\" cfr. la nota a Cv IV iv 1). Una CITAZIONE ESPLICITA analogia tra l'universo e una comunità politica e tra le sostanze separate e una classe di governo è presente in Averroè, Metaphysica XI (= XII), c. 44, f. 328 A-C. La risposta di Dante, comunque, contrasta con quanto affermato poco prima, e cioè che alcune sostanze separate esercitano solo l' attività di governo del mondo ed altre solo quella del pensiero puro.", "labels": [[0, 5, "PER"], [70, 86, "WORK_OF_ART"], [114, 124, "PER"], [194, 201, "PER"], [210, 218, "WORK_OF_ART"], [462, 467, "PER"], [1103, 1105, "WORK_OF_ART"], [1255, 1262, "WORK_OF_ART"], [1264, 1278, "WORK_OF_ART"], [1322, 1327, "PER"]]} +{"text": "il secondo argomento è ancor più generale del primo: il principio per cui nessun effetto è maggiore della sua causa (cagione\"), in quanto essa non può trasfondervi più di quanto non sia la sua capacità produttiva (\"poi che la cagione non può dare quello che non ha\") viene applicato al rapporto tra l'intelletto divino, che è produttore della totalità delle cose, e l'intelletto umano che ne è per così dire un prodotto privilegiato (\"massimamente dell'intelletto umano\"): chiaramente dunque quest'ultimo non può sopravanzare (\"soperchiare\") il primo; anzi ne è superato in maniera infinita (il termine \"improporzionalmente\" indica in maniera implicita l'infinità dell'intelletto divino: infatti, come dice Aristotele in De caelo I 6, 274 a 7, tra finito ed infinito non è possibile alcuna proporzione ). Se dunque abbiamo capito attraverso le argomentazioni precedenti (\"per le ragioni di sopra ... intendiamo\") che Dio avrebbe potuto (\"possuto\") creare un numero quasi infinito (\"innumerabile quasi\") di intelligenze, risulta evidente che Dio effettivamente ne ha create un numero maggiore di quelle che muovono i cieli (\"questo avere fatto maggiore numero\"). L'argomento, oltre ad essere generalissimo, è anche di non facile interpretazione: esso si presenta come un passaggio dal posse all' esse e sembra presupporre in qualche modo un principio di pienezza (tutto quello che Dio poteva produrre, lo ha effettivamente prodotto). Non risulta però chiaro quale funzione abbia la tesi della improporzionalità tra intelletto divino ed intelletto umano e soprattutto le \"ragioni di sopra\" avevano argomentato a favore non della possibilità, ma della effettiva esistenza di un numero più alto di Intelligenze. Sui limiti dell'argomentazione di Dante cfr. Nardi 1992, pp. 60-2.", "labels": [[707, 717, "PER"], [721, 729, "WORK_OF_ART"], [1742, 1747, "PER"], [1753, 1758, "PER"]]} +{"text": "Dante riconosce il carattere solo probabile e non strettamente dimostrativo delle sue argomentazioni. Nessuno se ne deve meravigliare perché. questo dipende dalla natura della realtà che si vuole conoscere. Ora, per quanto riguarda le sostanze separate, noi possiamo affermare che esse esistono (affermar loro essere\") ma contemporaneamente (\"medesimamente\") dobbiamo limitarci alla ammirazione della loro altissima natura (\"loro eccellenza\"), senza poterla conoscere poiché supera le nostre capacità di comprensione (\"soverchia gli occhi della mente umana\". Da un punto di vista strettamente sintattico le affermazioni delle proposizioni dipendenti dalla prima dovrebbero essere riferite a \"queste e altre ragioni\". In realtà esse hanno come soggetto sottinteso le Intelligenze-angeli. Cfr. Porro 2006, p. 315) Come Dante preciserà in Cv II xiv 8 e III iv 9 in maniera sicura noi conosciamo solo l'esistenza delle Intelligenze, dimostrata a partire dai loro effetti (i movimenti dei cieli, appunto), mentre poco o niente ci è accessibile della loro essenza. Non per nulla nel secondo libro della Metafisica (cap. 1, 993 b 9-11) Aristotele, riguardo alla nostra conoscenza delle realtà immateriali, istituisce il famosissimo paragone tra l'intelletto umano e l'occhio di un animale notturno che voglia vedere il sole (il termine greco nykteris è stato reso nelle varie traduzioni latine medievali con termini diversi, noctua, vespertilio oppure nicticorax, ma vespertilio-pipistrello è quello che ha avuto maggiore diffusione )", "labels": [[0, 5, "PER"], [795, 800, "PER"], [820, 825, "PER"], [839, 841, "WORK_OF_ART"], [1100, 1110, "WORK_OF_ART"], [1132, 1142, "PER"]]} +{"text": "Dante porta come esempio quello di chi, nonostante abbia gli occhi chiusi, può egualmente dire che l'aria è luminosa perché un minimo di splendore dei raggi solari passa attraverso le pupille trapelando dalla palpebra (passa per le pupille del palpastrello\") Nonostante la vicinanza della citazione del secondo libro della Metafisica abbia portato editori e commentatori a scegliere tra le varianti testuali il più facile \"vipistrello\" al posto di \"palpastrello\", la proposta della Ageno è resa del tutto plausibile dal contesto. Infatti il poco di splendore che permette di affermare la luminosità dell'aria anche a chi tiene gli occhi chiusi trapela nelle sue pupille, non in quelle di un non meglio identificato pipistrello. Ovviamente gli occhi sono \"gli occhi intellettuali\": il poco di luce percepibile sono le conclusioni raggiunte dalle \"ragioni non dimostrative\". Infine gli occhi della mente sono come ciechi finché (\"mentre che\") sono impediti (\"legati\") dalla sensibilità corporea (\"per gli organi del nostro corpo\"). Che la conoscenza umana abbia come punto di partenza e come limite la sensazione è dottrina aristotelica. La convinzione che il corpo sia un ostacolo che impedisce la conoscenza delle realtà soprasensibili, raggiungibili solo quando l'anima riesce a liberarsene (momentaneamente, come nei sogni e nelle visioni, definitivamente dopo la morte) risale invece a Platone. Si tratta di una dottrina ripresa da Avicenna (\"anima impedita est in corpore et ex corpore, et ... in multis eget corpore, sed corpus elongat eam a dignioribus suis perfectionibus ...; cum autem aufertur de anima nostra ispa aggravatio et impedimentum, tunc intelligentia animae de his est melior quam habet anima et quae est purior et delectabilior\" Liber de anima seu sextus de naturalibus, V 5, pp. 131-132, ll. 7-16 e pp. 132-133, ll. 24-28). Lo schema continua a funzionare in quasi tutti i pensatori latini, anche in chi, come Tommaso accetta in pieno la noetica aristotelica (cfr. Quaestio disputata de anima, art 15: \"Nec … dubium est quin per motus corporeos et occupationem sensuum anima impediatur a receptione influxus substantiarum separatarum, unde dormientibus et alienatis a sensibus quaedam revelationes fiunt quae non accidunt sensu utentibus\"). La definizione del corpo come carcere dell'anima richiama però un platonismo piuttosto estremo (quello del Fedone) e non mi sembra compaia negli stessi termini né in Tommaso né in Alberto (cfr. nota a Cv. III ii 14). La troviamo invece nella prefazione di alla traduzione latina del De pomo sive de morte Aristotelis, un testo in cui lo Stagirita, in punto di morte, si esprime attraverso concetti decisamente platonici (in Aristotelis librorum deperditorum fragmenta, ed. Gigon, p. 54b). Dante poteva leggere qualcosa di simile anche nella Scrittura, e precisamente in Sap. 9, 15 \"Corpus enim quod corrumpitur aggravat animam et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem\", un brano che, in contesto assai simile, Boncompagno da Signa mette in bocca proprio all'anima: \"Ego... sum de angeli natura creata et tu factum de terra, immo de limo et fece terrestri. Te mecum idem esse fateris? Scirem quidem preterita, presentia et futura, si tua non essem putredine sordidata. Nam corpus, quod corrumpitur, aggravat animam et deprimit terrena inhabitatio sensum plurima cogitantem, et tu dicis: Sum idem cum illa. \" (Amicitia , ed. Nathan, p. 47)", "labels": [[0, 5, "PER"], [325, 335, "WORK_OF_ART"], [484, 489, "PER"], [1391, 1398, "PER"], [1437, 1445, "PER"], [1752, 1792, "WORK_OF_ART"], [1936, 1943, "PER"], [2375, 2381, "WORK_OF_ART"], [2435, 2442, "PER"], [2449, 2456, "PER"], [2470, 2472, "WORK_OF_ART"], [2553, 2586, "WORK_OF_ART"], [2607, 2616, "PER"], [2694, 2737, "WORK_OF_ART"], [2760, 2765, "PER"], [2841, 2844, "WORK_OF_ART"], [2997, 3017, "PER"], [3410, 3416, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "dopo aver cercato di ovviare con le sue argomentazioni al difetto di ragione\", Dante affronta ora il tema del \"difetto di ammaestramento\", cioè della assenza della rivelazione divina che ha impedito ai pagani una piena conoscenza della natura delle sostanze angeliche. A questa particolare materia Dante applica un modello generale già enunciato dalle lettere paoline, quello della progressività della rivelazione divina. All'interno della storia della salvezza, l'ammaestramento relativo agli angeli è iniziato parzialmente (\"in parte\") con gli israeliti, istruiti dai profeti, come dice la lettera agli Ebrei (attribuita ovviamente all'Apostolo per eccellenza, Paolo; Dante traduce, con lievi mutamenti il versetto primo del primo capitolo \"multifariam multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis\"). Il processo si è compiuto per noi con Cristo, venuto direttamente da Dio (\"ma noi semo di ciò ammaestrati da colui che venne da quello\" cfr. Jo. 17, 28 \"veni a Patre...\" ) lui che ha creato (\"fece\") e mantiene in essere (\"conserva\") le creature spirituali (e quindi le conosce perfettamente).", "labels": [[79, 84, "PER"], [298, 303, "PER"], [605, 610, "WORK_OF_ART"], [638, 646, "PER"], [663, 668, "PER"], [670, 675, "PER"], [852, 858, "PER"], [955, 957, "WORK_OF_ART"], [974, 979, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "figlia di Giovacchino e discendente come noi tutti, eccetto Cristo, da Adamo'. I nomi dei genitori di Maria (Giovacchino ed Anna) non compaiono nei vangeli canonici, bensì risalgono ad una tradizione diffusa da Girolamo e poi universalmente accettata, presente anche nel testo base per l'insegnamento della teologia, le Sententiae di Pier Lombardo.", "labels": [[10, 21, "PER"], [60, 66, "PER"], [71, 77, "PER"], [102, 107, "PER"], [109, 120, "PER"], [124, 128, "PER"], [211, 219, "PER"], [320, 330, "WORK_OF_ART"], [334, 347, "PER"]]} +{"text": "Dante fonde due versetti del prologo del Vangelo di Giovanni : 1, 5 lux in tenebris lucet\" e 1, 9 \"erat lux vera quae illuminat omnem hominem\".", "labels": [[0, 5, "PER"], [41, 60, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come nel caso del nome dei genitori di Maria, così anche in quello della sua età al momento dell'annunciazione i Vangeli (nel caso specifico Luca) non dicono niente. Dante attinge da una tradizione che faceva oscillare gli anni tra i dodici e i quattordici.", "labels": [[39, 44, "PER"], [113, 120, "WORK_OF_ART"], [141, 145, "WORK_OF_ART"], [166, 171, "PER"]]} +{"text": "si riferisce a quanto detto da Gesù a chi, nell' orto degli Ulivi, aveva cercato di difenderlo usando la spada (cfr. Mt 26, 53).", "labels": [[31, 35, "PER"], [117, 119, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si riferisce all'episodio della seconda tentazione nel deserto, quando Satana esorta Cristo a gettarsi dal pinnacolo del Tempio perché si adempia quanto detto dal Salmo Angelis tuis mandavit de te, et in manibus tollent te\" (cfr. Mt 4, 6-11). La risposta di Gesù effettivamente non nega che l'affermazione del versetto sia vera, ma nel contesto della disputa ne respinge l'uso che Satana vuol farne. Solo nella conclusione dell'episodio delle tentazioni, però, e non nelle parole del demonio, appare il termine \"ministrare\" : \"et ecce angeli accesserunt, et ministrabant ei\".", "labels": [[71, 77, "PER"], [85, 91, "PER"], [121, 127, "WORK_OF_ART"], [164, 177, "PER"], [231, 233, "WORK_OF_ART"], [259, 263, "PER"], [382, 388, "PER"]]} +{"text": "nel Medioevo una linea esegetica interpretava l'amato e l'amata del Cantico dei Cantici come figure di Cristo e della sua Chiesa (cfr. Bernardo di Chiaravalle, Sermones in Cantica, PL 178, p. 788. La metafora nuziale era già stata adoperata da Paolo nella Lettera agli Efesini 5, 25-32). Con tutta la tradizione Dante attribuisce il Cantico a Salomone, citando e traducendo il versetto 5 del cap. 8: Quae est ista quae ascendit de deserto, deliciis affluens (\"piena delle cose che dilettano\"), innixa super dilectum suum?\".", "labels": [[69, 88, "WORK_OF_ART"], [104, 110, "PER"], [123, 129, "WORK_OF_ART"], [136, 159, "PER"], [161, 169, "LOC"], [173, 180, "LOC"], [245, 250, "PER"], [257, 277, "WORK_OF_ART"], [314, 319, "PER"], [335, 353, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che equivale a dire'. Principati santi\" corrisponde in effetti al greco hierai archai, santi poteri, attraverso la mediazione del latino (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 80, n. 2548 \"hierarchiae, id est sacri principatus\"). La affermazione di una \"quasi innumerabilità\" degli angeli trova appoggi nella Scrittura (cfr. Dan. 7, 10), ma la loro distinzione in tre gruppi di tre schiere gerarchicamente ordinate è creazione ecclesiatica non anteriore al VI secolo dopo Cristo.", "labels": [[145, 152, "PER"], [154, 166, "WORK_OF_ART"], [320, 329, "WORK_OF_ART"], [483, 489, "PER"]]} +{"text": "l' ordine ascendente delle schiere angeliche (quanto al nostro salire a loro altezza\", cioè dal basso in alto) rispecchia quello presentato da Gregorio Magno nei Moralia in Iob XXXII, c. 23 (PL 76, p. 665). In realtà nelle Homiliae in Evangelia II, xxxiv 7-10 (PL 76, p. 1249 sgg. Gregorio fornisce un altro schema, quasi identico a quello di Dionigi). Nella Divina Commedia Dante accoglierà invece l'ordine presente nel capitolo sesto del De coelesti hierarchia dello pseudo Dionigi Areopagita: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini. Il modello di Dionigi risultò più autorevole in quanto lo si riteneva derivato dalla diretta testimonianza di Paolo che nella seconda Lettera ai Corinzi 12, 1-4 aveva detto di essere stato \"rapito\" in Paradiso.. Di Paolo l'anonimo compositore del De coelesti hierarchia si presentava come discepolo e poteva farlo in quanto gli Atti degli Apostoli 17, 34 raccontavano di come tra i pochi convertiti ateniesi dell'apostolo ci fosse stato un Dionigi giudice dell'Areopago. Cfr. Pd XXVIII 136-8 \"E se tanto segreto ver proferse / mortale in terra non voglio ch'ammiri / ché chi 'l vide quassù, gliel scoperse\" (cfr. \"lo primo secreto che ne mostrò\" del paragrafo 4. Dunque la Santa Chiesa è veramente \"secretaria\" delle verità divine). Quanto a Gregorio anch'egli dopo la morte, in Paradiso, sarebbe stato testimone 'de visu' della verità di questa diversa classificazione. Cfr. Pd XXVIII, 133 sgg. \"Ma Gregorio da lui (scil. Dionigi) poi si divise / onde sì tosto come l'occhio aperse / in questo ciel, di se medesmo rise\". Nell' uso del modello di Gregorio Dante sembra dipendere dal Trésor di Brunetto Latini (I XII 5, p. 26). Quando nel cielo di Venere Carlo Martello citerà proprio la canzone Voi ch'intendendo il terzo ciel movete, Dante, commetterà un piccolo falso, facendo dire al principe angioino che essa era rivolta ai Principati, in modo da retrocedere all'altezza del Convivio la sua accettazione del modello angelologico dell' Areopagita (cfr. Pd VIII 34-7). Su tutta la questione vedi un documentatissimo contributo di Agostino Pertusi (Pertusi 1988) che fornisce una tavola comparativa dei diversi modi di ordinamento delle schiere angeliche, da cui risulta che lo schema di Gregorio era stato usato anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia. Risulta comunque strano il ricorso a Gregorio dato che, guardando i mosaici del suo bel San Giovanni e leggendo le raffigurazioni delle gerarchie angeliche da sinistra a destra e da destra a sinistra, rispetto alla figura del Cristo, Dante avrebbe potuto vedere proprio l'ordine stabilito da Dionigi (cfr. Wilkins 1927).", "labels": [[145, 159, "PER"], [164, 171, "LOC"], [225, 233, "WORK_OF_ART"], [265, 270, "WORK_OF_ART"], [285, 293, "PER"], [347, 354, "PER"], [363, 378, "WORK_OF_ART"], [379, 384, "PER"], [444, 466, "WORK_OF_ART"], [480, 498, "PER"], [560, 565, "PER"], [567, 576, "PER"], [602, 609, "PER"], [698, 703, "PER"], [722, 740, "WORK_OF_ART"], [791, 799, "WORK_OF_ART"], [805, 810, "PER"], [837, 861, "WORK_OF_ART"], [920, 939, "WORK_OF_ART"], [1032, 1039, "PER"], [1068, 1070, "WORK_OF_ART"], [1267, 1279, "LOC"], [1336, 1344, "PER"], [1373, 1381, "WORK_OF_ART"], [1496, 1504, "PER"], [1519, 1526, "PER"], [1644, 1658, "PER"], [1680, 1686, "WORK_OF_ART"], [1690, 1705, "PER"], [1745, 1751, "WORK_OF_ART"], [1753, 1767, "PER"], [1834, 1839, "PER"], [1981, 1989, "WORK_OF_ART"], [2041, 2051, "PER"], [2058, 2060, "WORK_OF_ART"], [2134, 2150, "PER"], [2152, 2159, "PER"], [2291, 2299, "PER"], [2328, 2339, "WORK_OF_ART"], [2343, 2362, "PER"], [2401, 2409, "PER"], [2452, 2464, "WORK_OF_ART"], [2590, 2596, "PER"], [2598, 2603, "PER"], [2656, 2663, "PER"], [2670, 2677, "PER"]]} +{"text": "anche il numero e la partizione degli ordini angelici all'interno delle tre gerarchie obbedisce ad una logica trinitaria dato che (con ciò sia cosa che\") la conoscenza di ognuna delle tre persone assume a sua volta tre forme (\"triplicemente si possa considerare\"). La contemplazione del Padre, infatti, può essere o assoluta (\"non avendo rispetto se non ad esso\"), o nel suo rapporto di distinzione (\"come da lui si parte\") e di unità (\"come con lui sé unisce\") con il Figlio, o nella relazione con lo Spirito Santo in quanto, come dice il credo niceno-costantinopolitano \"ex Patre procedit\" (\"secondo che da lui procede\"). Applicando questo schema alle altre due persone della Trinità (nella versione latina del Credo, a differenza di quella greca, lo Spirito Santo non procede solo dal Padre, ma anche dal Figlio) ricaviamo appunto nove ordini, tre per ognuna delle tre gerarchie. Un collegamento tra le tre gerarchie angeliche e la Trinità era stato operato da San Bonaventura: anche in questo caso ad ognuna di esse erano stati attribuiti tre ordini individuati dal triplice rapporto con ogni sigola persona della Trinità, vista in se stessa e nella relazione simmetrica con le altre due; cfr. Collationes in Hexaemeron XXI, 20, PL 76, p. 434: \"ordo respondens Patri secundum quod est in seipso ... secundum quod est in Filio ... secundum quod est in Spiritu Sancto ; ordo respondens Filio secundum quod est in Patre ... secundum quod est in seipso ... secundum quod est in Spiritu Sancto; ordo respondens Spiritui Sancto secundum quod est in Patre ... secundum quod est in Filio ... secundum quod est in seipso\". Ma i nomi degli ordini attribuiti ad ognuno di questi nove rapporti sono diversi da quelli di Dante (che li individua solo per la prima terna): i Troni in relazione al Padre in se stesso, i Cherubini in relazione al Padre in quanto è nel Figlio, i Serafini in relazione al Padre in quanto è nello Spirito Santo (come si vede Bonaventura segue la classificazione dello pseudo-Dionigi e non quella di Gregorio Magno).", "labels": [[471, 477, "PER"], [504, 517, "WORK_OF_ART"], [578, 592, "WORK_OF_ART"], [680, 687, "WORK_OF_ART"], [715, 720, "WORK_OF_ART"], [755, 768, "WORK_OF_ART"], [790, 795, "WORK_OF_ART"], [810, 816, "PER"], [966, 982, "WORK_OF_ART"], [1121, 1128, "WORK_OF_ART"], [1328, 1333, "PER"], [1359, 1373, "WORK_OF_ART"], [1392, 1397, "PER"], [1419, 1424, "LOC"], [1482, 1496, "LOC"], [1551, 1556, "LOC"], [1582, 1587, "PER"], [1716, 1721, "PER"], [1790, 1795, "WORK_OF_ART"], [1812, 1821, "PER"], [1838, 1843, "WORK_OF_ART"], [1860, 1866, "PER"], [1895, 1900, "WORK_OF_ART"], [1947, 1958, "PER"], [1997, 2004, "PER"], [2021, 2035, "PER"]]} +{"text": "e a questo punto non bisogna passare sotto silenzio una cosa'. In questo breve inciso Dante ricorda la caduta di una parte degli angeli (si perderono alquanti\") immediatamente dopo la loro creazione (\"tosto che furono creati\"). Per quanto riguarda il numero, quello fornito da Dante (\"forse in numero della decima parte\") è da riallacciare ad una interpretazione allegorica della parabola delle dieci dracme (cfr. Lc 15, 8-9) data da Gregorio Magno: la moneta perduta simboleggia quella decima parte del numero complessivo degli eletti che è caduta e ha dovuto essere 'restaurata' (cfr. Homiliae in Evangelia II xxxiv 6, 1249). Per quanto riguarda l'intervallo tra la creazione e la caduta degli angeli ribelli il Convivio è molto vicino, anche testualmente, a Tommaso (Summa Theologiae I, q. 63, a. 6, respondeo \"Opinio probabilior et Sanctorum dictis magis consona est quod statim post instans suae creationis diabolus peccaverit\"). Cfr. Pd XXIX 49-51 \"Né giugnerìesi, numerando, al venti / sì tosto, come delli angeli parte /turbò il suggetto de' vostri elementi\".", "labels": [[86, 91, "PER"], [277, 282, "PER"], [414, 416, "WORK_OF_ART"], [434, 448, "PER"], [599, 611, "MISC"], [714, 722, "WORK_OF_ART"], [761, 768, "PER"], [770, 788, "WORK_OF_ART"], [940, 942, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per rimediare alla cui caduta'. Un collegamento tra ribellione e caduta di Lucifero e creazione dell'uomo era stato istituito da Agostino (cfr. De civitate Dei XXII 1, p. 807: Deus ... de mortali progenie ... tantum populum gratia sua colligit, ut inde subpleat et instauret partem quae lapsa est angelorum\") e da Gregorio Magno, sempre nella interpretazione della parabola delle dracme (cfr. Homiliae in Evangelia, loc. cit. \"Decem ... drachmas habuit mulier, quia novem sunt ordines Angelorum, sed ut compleretur electorum numerus homo decimus est creatus, qui a conditore suo nec post culpam periit\".). Anselmo d'Aosta, però, aveva sostenuto che la seconda non poteva esser considerata semplicemente in funzione della prima e quindi ad essa posteriore (Cur Deus homo I xviii, pp. 76 sgg.); con questa precisazione la dottrina della restauratio della caduta degli angeli da parte degli uomini predestinati al Paradiso era stata accolta nelle Sentenze di Pier Lombardo, II, dist. I, cap. 5, vol. I ii, p. 334 \"De homine quoque in Scriptura interdum reperitur quod factus sit propter reparationem angelicae ruinae. Quod non ita est intelligendum quasi non fuisset homo factus si non peccasset Angelus, sed quia inter alias causas, ut praecipuas, haec etiam nonnulla existit\"). Dante, affermando che l'uomo fu creato in un secondo momento (\"poi\"), sembra invece aderire alla forma meno ortodossa di questa credenza (cfr. Nardi 1985, pp. 250-53. Vedi anche Pd XXX 130-132, dove Beatrice, mostrando a Dante la candida rosa e gli scanni su cui siedono i beati, precisa che ormai il numero perfetto dei beati sta per essere raggiunto: \"Vedi nostra città quant'ella gira :/ vedi li nostri scanni sì ripieni / che poca gente più ci si disira\").", "labels": [[75, 83, "PER"], [129, 137, "PER"], [315, 329, "PER"], [607, 622, "PER"], [913, 921, "WORK_OF_ART"], [946, 954, "WORK_OF_ART"], [958, 971, "PER"], [1195, 1202, "PER"], [1279, 1284, "PER"], [1422, 1427, "PER"], [1457, 1459, "WORK_OF_ART"], [1479, 1487, "PER"], [1501, 1506, "PER"]]} +{"text": "Dante afferma che le verità sugli angeli rivelate dalla Scrittura e insegnate dalla Chiesa non contrastano con la cosmologia aristotelica delle Intelligenze celesti, anzi le forniscono il quadro complessivo di riferimento: i nove ordini angelici spiegano (narrano\") l'esistenza dei nove cieli soggetti a movimento mentre il decimo (l'Empireo) sta a significare l'unità e l'immobilità (\"stabilitade\") di Dio che qui è sia l'Imperatore dell'Universo che il Primo Motore immobile di Aristotele.", "labels": [[0, 5, "PER"], [84, 90, "WORK_OF_ART"], [334, 341, "PER"], [423, 447, "WORK_OF_ART"], [480, 490, "PER"]]} +{"text": "Dante traduce i versi 664-5 del primo libro dell'Eneide (nate, meae vires ... solus / nate patris summi qui tela typhoea temnis\") concordando \"patris summi\" con \"nate\" (\"figlio del sommo padre\") invece che con \"tela\" (i dardi del sommo padre) e quindi attribuendo questi ultimi al gigante Tifeo (\"cioè quello gigante\"). Il senso del brano virgiliano ne viene ovviamente stravolto. Si è peraltro ipotizzato che si tratti di uno stravolgimento consapevole: facendo di Amore il figlio del Sommo Padre, un figlio per di più che non teme i dardi infernali, Dante gli avrebbe conferito un valore figurale e cristologico. Cfr. Brugnoli 2002.", "labels": [[0, 5, "PER"], [49, 55, "WORK_OF_ART"], [289, 294, "WORK_OF_ART"], [487, 498, "WORK_OF_ART"], [553, 558, "PER"], [622, 630, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Metamorfosi, V, 365 Arma manusque meae, mea, nate, potentia\". Come nel caso di \"Eneidos\" (cfr. Cv III xi 16) e di \"Tebaidos\" (cfr. Cv III xi 16) il volgare di Dante trasforma in sostantivo maschile un genitivo femminile alla greca retto in latino da un \"liber\" spesso sottinteso ('in libro Metamorfoseos'). Vedi però Cv IV xxv 6, 8 \"nel libro primo di Tebe", "labels": [[26, 44, "WORK_OF_ART"], [87, 94, "WORK_OF_ART"], [102, 104, "WORK_OF_ART"], [122, 130, "WORK_OF_ART"], [138, 140, "WORK_OF_ART"], [166, 171, "PER"], [297, 310, "WORK_OF_ART"], [325, 327, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "seguendo il compendio delle migliori prove astronomiche presente nel Libro dell'Aggregazione'. Si tratta, come abbiamo già visto (cfr. Cv II ii 2) del Liber aggregationis qui nominativamente citato, dove Alfragano sostiene che a Venere, Marte, Giove e Saturno vanno attribuiti tre movimenti: cursus qui videtur in orbe signorum uniuscuiusque harum stellarum ... aggregatur ex tribus motibus tantum, videlicet motu stellae in orbe revolutionis, et motu centri revolutionis in orbe egredientis centri et motu omnium spaerarum aequali motui stellarum fixarum\" (cap. XIV, pp. 124-5). Dante interpreta correttamente il primo come il movimento di Venere nel suo epiciclo e il secondo come il movimento per cui Venere e l'epiciclo insieme si muovono circolarmente intorno ad un punto (\"l'altro secondo che lo epiciclo si muove con tutto lo cielo\"); in questo caso, però, egli omette di precisare che la rivoluzione avviene intorno ad un centro che non coincide con il centro dell'universo (il \"motus egredientis centri\" di Alfragano, in termini tecnici il deferente) ed aggiunge la precisazione che questo avviene in sintonia con l'epiciclo del sole. Con il terzo movimento Venere, insieme agli altri pianeti, segue quello del cielo delle stelle fisse (\"lo terzo secondo che tutto quello cielo si muove seguendo lo movimento della stellata spera\"). Sempre seguendo (ma anche precisando) il testo di Alfragano, Dante, memore di quanto detto sopra (cfr. Cv II iii 5) articola il terzo movimento in due: quello, lentissimo, con cui il cielo delle stelle fisse si muove da occidente ad oriente un grado ogni cento anni e quello, velocissimo, con cui si muove da oriente ad occidente una volta ogni giorno astronomico (\"ogni die naturale una fiata\"). Mentre per il primo non sembrano esserci dubbi, per il secondo Dante afferma di non sapere se esso sia causato da uno specifico motore (\"se esso è da intelletto alcuno\") o da un trascinamento (\"rapina\") puramente meccanico esercitato dal movimento del primo Mobile, cioè il nono cielo, o, con altro nome il Cristallino. Solo Dio lo sa e quindi sarebbe segno di arroganza intellettuale optare per una delle due soluzioni (\"presuntuoso a decidere\"; cfr. Cv III iv 10. In Pd XXVIII 70, invece, usando proprio il verbo \"rapire\", Dante farà sua la seconda ipotesi, quella del resto comunemente accettata). In conclusione i movimenti a cui corrispondono con certezza altrettanti motori (\"a questi tre movimenti sono tre movitori\") sono tre. Tra filosofi ed astrologi Dante sceglie dunque la soluzione dei secondi, sia pure con una importante correzione, e cioè l'eliminazione del deferente: la distinzione tra un orbe il cui centro coincide perfettamente con il centro dell'universo e un altro che ha un centro non coincidente con il primo e sul quale il pianeta appare effettivamente muoversi è infatti difficilmente conciliabile con il modello fisico del mondo che Dante ha qui in mente ed avrà anche nella Commedia.", "labels": [[69, 92, "WORK_OF_ART"], [135, 137, "WORK_OF_ART"], [152, 171, "WORK_OF_ART"], [206, 215, "WORK_OF_ART"], [240, 245, "LOC"], [247, 252, "LOC"], [255, 262, "LOC"], [585, 590, "PER"], [646, 652, "PER"], [709, 715, "PER"], [1022, 1031, "WORK_OF_ART"], [1398, 1407, "PER"], [1409, 1414, "PER"], [1451, 1453, "WORK_OF_ART"], [1809, 1814, "PER"], [2055, 2066, "WORK_OF_ART"], [2200, 2202, "WORK_OF_ART"], [2217, 2219, "WORK_OF_ART"], [2274, 2279, "PER"], [2510, 2515, "PER"], [2911, 2916, "PER"], [2953, 2961, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il testo è dottrinalmente insostenibile dato che il contatto (tatto\") è precisamente il modo con cui interagiscono le realtà corporee. Non sarebbe quindi fuori luogo tornare alla lezione \"per tanto di virtù\" attestata dal ramo principale della tradizione manoscritta, e considerare il \"per tatto\" presente in un solo manoscritto come correzione (erronea) di copista. Né è da escludere, come altra possibilità, che \"per tatto\", seguito da una lacuna, debba essere collegato a \"corporalmente\", come sua specificazione: \"non corporalmente per tatto [ ma per ***] di virtù\". Alberto Magno aveva impiegato in proposito l'immagine della forma presente nell'anima che muove la mano dell'artigiano in vista della produzione di un oggetto (Metaphysica XI = XII, tr. 2, cap. 13, p. 500, ll. 70-74).", "labels": [[571, 584, "PER"], [731, 742, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "i rettorici\", come in Cv I.ii.3, sono gli autori di testi di retorica conosciuti ed usati dal Medioevo. Nella frase seguente, infatti, Dante cita la Rhetorica ad Herennium pur senza nominarla esplicitamente.", "labels": [[22, 24, "WORK_OF_ART"], [135, 140, "PER"], [149, 158, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Rhetorica ad Herennium I 4 6 Auditores attentos habebimus si pollicebimur nos de rebus magnis, novis, inusitatis verba facturos\".", "labels": []} +{"text": "che è lungo'. Se dunque il raggio terrestre è misurato in 3250 miglia la distanza di Venere dalla terra sarà qualcosa di più di 542.750 miglia. Le misure derivano dal già citato Liber aggregationis di Alfragano, che al cap XXI, p. 146, dà la distanza in assoluto, lasciando sottintesa la misura del moltiplicando Et propinquior longitudo Veneris est 167 aequalis medietati diametri terrae quod est 542 et 750 miliaria\" (cfr. Toynbee, p. 66). Dante, viceversa, lascia al lettore il calcolo fornendogli la lunghezza del raggio terrestre, ricavata peraltro sempre dal testo di Alfragano che nel cap. VIII aveva dato la misura del diametro. La distanza così calcolata (circa settecentomila chilometri, visto che il miglio corrisponde circa a 1450 metri ) è decisamente inferiore a quella effettiva. Nonostante questo essa non poteva non colpire la fantasia dei lettori, e di Dante stesso. Anche il cosmo chiuso e finito dei medievali albergava lontananze che facevano apparire la terra come una \"aiuola\", come \"l'infima lacuna dell'universo\" (cfr. Pd XXII 153; XXXIII 22-3).", "labels": [[86, 92, "LOC"], [179, 198, "WORK_OF_ART"], [202, 211, "WORK_OF_ART"], [426, 433, "PER"], [443, 448, "PER"], [575, 584, "PER"], [873, 878, "PER"], [1046, 1048, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. De consolatione philosophiae IV, prosa 3, 19, p. 111). In realtà Boezio collega la vita asinina non all'assenza della ragione, ma alla pigrizia e all'insensibilità, in una descrizione dei malvagi in cui ad ogni vizio o insieme di vizi corrisponde un animale, interpretazione allegorica del mito di Circe.", "labels": [[72, 78, "PER"], [305, 310, "PER"]]} +{"text": "il termine soave ha lo stesso significato di'. L'accostamento dell'aggettivo suavis al participio passato del verbo suadeo può essere stato suggerito a Dante dalle Derivationes di Uguccione da Pisa per cui suadere equivale a suavia dare (s.v. Sueo, S 210, 2, p. 1121); cfr. Pd XXXI 49 Vedea visi a carità suadi\".", "labels": [[153, 158, "PER"], [165, 190, "WORK_OF_ART"], [244, 248, "PER"], [275, 277, "WORK_OF_ART"], [287, 292, "PER"]]} +{"text": "Per Dante il dubbio è risolvibile facilmente (leggiermente\": senza sforzo): gli angeli del cielo di Venere possono produrre e mantenere (\"salvare\") il loro effetto solo in quelle realtà che possono fungere da sostrato all'azione del cielo che essi muovono (\"in quei subietti che sono sottoposti alla loro circulazione\"); essi dunque tenderanno a trasferirlo da ciò che non è più soggetto alla loro attività (\"quella parte che è fuori di loro podestade\") a ciò che lo è ancora o lo diventa (\"in quella che v'è dentro\"); le anime separate dal corpo dopo la morte (\"partite da questa vita\") non lo sono più, mentre quelle che vivificano un corpo lo sono ancora. Dunque, è la conclusione implicita, l'amore di Beatrice, ormai beata in cielo, non viene mantenuto, mentre viene acceso un altro amore per una donna che è ancora in vita. La risposta di Dante merita qualche riflessione. In primo luogo il ragionamento non sembra corretto: l'effetto d'amore, infatti, si è prodotto in Dante, che è ancora ben vivo e soggetto al movimento del terzo cielo, non in Beatrice. Ma soprattutto colpisce una trattazione dell'effetto d'amore come di un dato fisico oggettivo. Già nel terzo paragrafo di questo capitolo era intervenuto il modello dell'alternarsi necessario di generazioni e corruzioni. Qui esso viene ripreso e rafforzato con il riferimento alla natura umana che, come ogni altra specie, mantiene la sua struttura (la \"forma umana\") attraverso una successione continua di generanti e di generati (\"trasmuta la sua conservazione di padre in figlio\") poiché non può mantenerla, come suo effetto, in un solo individuo per un periodo infinito (\"non può in esso padre perpetualmente cotal suo effetto salvare\"). La dottrina è aristotelica (cfr. De an. II, 4, 415 b 3-7). Ripresa da Averroè (cfr. De anima II, tc. 34, p. 182, ll. 51-56) era ormai al tempo di Dante una formula vulgata (cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 179, n. 58 \"Nihil de numero corruptibilium contingit idem numero manere semper, tamen potest unum permanere in specie per generationem\"). Dante però, applicandola all'azione degli Angeli -motori di Venere, fa dell'amore un prodotto di cause naturali e come tale costante, al di là delle variazioni individuali, al di là degli amori, diremmo, \"soggettivi\". In questo modello l'astro, e chi lo muove, raggia indifferentemente ogni tipo di amore (anche quello \"folle\" di Pd VIII 1-3): nel loro succedersi i singoli amori non alterano l'unità specifica dell'effetto più di quanto i singoli generati diversifichino l'unità della specie umana. Come ha giustamente notato Claudio Giunta commentando nel vol. I la canzone Amor che movi tua virtù da cielo Amore per Dante è qualcosa di più del dio della tradizione lirica: è una forza cosmica che pervade tutto l'universo, \"per lo qual tutto il mondo si travaglia\"; proprio nel Convivio si affermerà che ogni realtà, corpi semplici, minerali, vegetali, animali, è mossa da un suo \"speziale amore\" (III iii 2 sgg.), guidato da un \"amore universale\" (cfr. Cv. III viii 13). Ma se è vero che alle radici di questo modo di pensare agisce un modello neoplatonico (impressionante è il raffronto che Giunta fa tra la canzone suddetta e il metro nono del libro terzo del De consolatione Philosophiae ) è anche vero che, sulla scia di Alberto Magno, Dante lo ha ritrascritto in termini rigorosamente peripatetici. Amore è una forza cosmica nel senso strettamente fisico: agisce solo attraverso un mezzo corporeo (i cieli) e produce il suo effetto sulle anime solo attraverso le strutture corporee; sull'anima separata dal corpo ed ormai \"divina\" esso non ha più potere né si vede come si possano rivolgere domande o preghiere (cosa che Dante ha fatto nella canzone) a chi agisce secondo leggi del tutto impersonali; l'individuo stesso, in quanto unione di anima e di corpo (\"l'anima col corpo congiunti\") viene qui definito come effetto naturale (\"effetto di quella\", cioè della natura umana): viene così dato fondamento all'affermazione precedente per cui l'anima unita al corpo è soggetta alla \"circulazione\" dei cieli causata dai loro motori. Solo dopo la morte (\"poi ch'è partita\") essa dura eterna (\"perpetualmente\") rivelando la sua vera natura che è più alta di quella umana.", "labels": [[4, 9, "PER"], [100, 106, "WORK_OF_ART"], [708, 716, "PER"], [847, 852, "PER"], [978, 983, "PER"], [1055, 1063, "PER"], [1741, 1746, "WORK_OF_ART"], [1779, 1786, "PER"], [1794, 1805, "WORK_OF_ART"], [1856, 1861, "PER"], [1892, 1916, "WORK_OF_ART"], [2061, 2066, "PER"], [2393, 2395, "WORK_OF_ART"], [2590, 2604, "PER"], [2682, 2687, "PER"], [2844, 2852, "WORK_OF_ART"], [3020, 3022, "WORK_OF_ART"], [3231, 3259, "WORK_OF_ART"], [3294, 3307, "PER"], [3309, 3314, "PER"], [3695, 3700, "PER"]]} +{"text": "come il dubium così la digressio è un procedimento tipico dell'esegesi universitaria di testi filosofico-scientifici, più precisamente delle parafrasi di Alberto Magno agli scritti aristotelici.", "labels": [[154, 167, "PER"]]} +{"text": "almeno una parte che dura in eterno'. Il termine perpetuo\" (lat. perpetuus), che anche nella sua forma avverbiale (\"perpetuamente\") Dante ha già usato più volte, ha sia in teologia che in filosofia, un valore tecnico per indicare una durata che ha un inizio, ma non ha una fine. Dietro all'affermazione del Convivio (\"se noi rivolgiamo tutte le scritture de' filosofi\") è probabilmente presente un testo del De natura et origine animae dove Alberto Magno afferma che tutte le scuole filosofiche, pur nella loro diversità, sono concordi nell'affermare che l'anima umana sopravvive oltre la morte: Alberto estende questa convinzione anche agli Epicurei (De natura et origine animae, tr. 2, cap. 13, p. 36, ll. 5-8, 43-52 \"Omnium Epicureorum opinione habetur quod anima immortalis est et secundum ea quae in corpore gessit, felicitatem vel infelicitatem habebit\"; \"Ex his igitur ... iam aliquis concipere poterit quod tam Peripatetici ... quam Stoici ... quam etiam Epicurei ... concorditer ab ipsa coacti veritate animam post dissolutionem corporis immortaliter vivere perpetuo tradiderunt\"). E' dunque probabile che, al livello del Convivio, Dante non avesse ancora motivo di collocare tra i dannati, come capofila e come seguaci dell'eresia per eccellenza, Epicuro e gli \"epicuri che l'anima col corpo morta fanno\" (If X 14-15. Cfr. Lucchesi 1987). Bisogna però dire che nel Commento al De anima (II, tr. 1, cap. 8, p. 76, ll. 17-19) lo stesso Alberto aveva attribuito agli Epicurei la dottrina della mortalità dell'intelletto con parole molto simili a quelle della Commedia: \"Et ideo falsum est quod dixerunt Epicurei, intellectum extingui corpore extincto\". Sulle motivazioni del doppio atteggiamento di Dante nei confronti dell'epicureismo del tutto persuasive sono le osservazioni di Giorgio Stabile curatore della voce Epicuro per l'Enciclopedia Dantesca, riprodotta ora con lievissime modifiche in Stabile 2007, pp. 317-327.", "labels": [[132, 137, "PER"], [307, 315, "WORK_OF_ART"], [408, 435, "WORK_OF_ART"], [441, 454, "PER"], [596, 603, "PER"], [642, 650, "WORK_OF_ART"], [652, 679, "WORK_OF_ART"], [920, 932, "PER"], [964, 1003, "WORK_OF_ART"], [1132, 1140, "WORK_OF_ART"], [1142, 1147, "PER"], [1259, 1266, "PER"], [1335, 1343, "PER"], [1377, 1385, "WORK_OF_ART"], [1389, 1397, "WORK_OF_ART"], [1447, 1456, "PER"], [1478, 1486, "WORK_OF_ART"], [1570, 1578, "WORK_OF_ART"], [1710, 1715, "PER"], [1792, 1807, "PER"], [1828, 1835, "PER"], [1842, 1863, "WORK_OF_ART"], [1909, 1916, "PER"]]} +{"text": "Dante articola la sua dimostrazione dell'immortalità in quattro argomenti: 1. il consenso universale (viii 9); 2. le assurdità che sorgerebbero nell'ipotesi che questa credenza universale non corrispondesse a verità (viii 10-11); 3. l'impossibilità che il desiderio naturale dell'immortalità rimanga frustrato (viii 12); 4. l'esperienza della visione del futuro nei sogni (viii 13). Per quanto riguarda il primo argomento, sembrano sostenere (par volere\") l'immortalità: 1. Aristotele, in particolare (\"massimamente\") nel De anima (\"in quello dell'Anima\" è, come abbiamo già visto, un calcodal latino: 'in illo De anima', sottinteso' libro' ); 2. soprattutto (\"massimamente\") i filosofi stoici; 3. Cicerone, specialmente nel breve trattato (\"libello\") sulla vecchiaia (\"vegliezza\". Si tratta del De senectute); 4 tutti i poeti greci e latini che hanno scritto (\"parlato\") aderendo alle credenze pagane (\"secondo la fede de' Gentili\"); 5. tutte le religioni (il termine \"leggi\" indica al tempo di Dante le grandi religioni rivelate, intese come complesso di norme etico-giuridiche) e tutti coloro che vivono seguendo una qualche norma razionale (\"qualunque altri vivono secondo alcuna ragione\"). Ora, per quanto riguarda Aristotele è vero che alcuni passi particolarmente difficili del De anima parlano dell'intelletto come di una realtà separata dalla materia, eterna ed incorruttibile (cfr. ad esempio II 2, 413 b 26-27; III,5, 430 a 23) e che tutti i suoi esegeti medievali concordano nel dire che esso \"non est neque corpus neque virtus in corpore\". Se, per lo Stagirita, l'intelletto si \"moltiplicasse\" nei singoli uomini garantendo così un'immortalità individuale e non fosse invece una realtà unica ed impersonale era stato invece un problema dibattutissimo prima di Dante (basti pensare alla polemica di Tommaso contro Sigieri di Brabante e gli \"averroisti\") e, in forme diverse, tale rimase anche dopo, almeno fino a Pietro Pomponazzi. Per quanto riguarda gli Stoici, essi con tutta probabilità si identificano qui con i Pitagorici e i Platonici secondo la particolare classificazione delle scuole filosofiche usata da Alberto Magno: Pitagora e Platone, infatti, sono sempre stati considerati come i più convinti campioni della immortalità dell'anima. (vedi il Commento a Cv III xiv 15). Riguardo a Cicerone, negli ultimi paragrafi del De senectute (xxi-xxiii) Catone il Vecchio esprime effettivamente la convinzione dell'esistenza dopo la morte, di una vita che sola è degna di esser definita tale. Per quanto riguarda i poeti, che per Dante sono in qualche modo i testimoni privilegiati della \"fede de' Gentili\", egli avrà pensato senz'altro al sesto libro dell' Eneide, al viaggio di Enea nell'al di là ed il suo incontro con le anime dei defunti (vv. 268 sgg. Ovviamente Dante non conosceva Lucrezio). Per quanto riguarda la lex Moysi (i Giudei) noi sappiamo che la credenza nell'immortalità dell'anima vi compare assai tardi, all'altezza dei libri dei Maccabei, ma la tradizione esegetica cristiana l'aveva considerata coestensiva a tutto il Vecchio Testamento. Per quanto invece concerne la lex Machometi (\"saracino\"-saraceno è l'equivalente medievale di musulmano) che essa promettesse un paradiso ai suoi fedeli (e sia pure un paradiso di gioie sensuali) era conoscenza vulgata (cfr. ad esempio lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais XXII, cap. 6, pp. 921-922). Infine, a partire dalla metà del XIII secolo i Tartari erano divenuti per la Cristianità occidentale oggetto prima di timore e poi di interesse politico-teologico: si pensava infatti che essi avrebbero potuto essere un valido alleato contro l'Islam, e pochi anni prima della stesura del Convivio, Egidio Romano compilava su incarico di Bonifacio VIII un testo (i Capitula fidei ad Tartarum Maiorem) che si pensava avrebbe aiutato la loro auspicata conversione. Un accenno alla credenza dei Mongoli-Tartari in una vita dopo la morte (ma una vita senza né Inferno né Paradiso) è nella Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine.", "labels": [[0, 5, "PER"], [474, 484, "PER"], [523, 531, "WORK_OF_ART"], [549, 554, "WORK_OF_ART"], [612, 633, "WORK_OF_ART"], [699, 707, "PER"], [797, 809, "WORK_OF_ART"], [921, 932, "WORK_OF_ART"], [998, 1003, "PER"], [1223, 1233, "PER"], [1288, 1298, "WORK_OF_ART"], [1568, 1577, "PER"], [1778, 1783, "PER"], [1816, 1823, "PER"], [1831, 1838, "PER"], [1930, 1947, "PER"], [1973, 1979, "WORK_OF_ART"], [2034, 2044, "WORK_OF_ART"], [2049, 2058, "WORK_OF_ART"], [2132, 2145, "PER"], [2147, 2155, "PER"], [2158, 2165, "PER"], [2285, 2287, "WORK_OF_ART"], [2313, 2321, "PER"], [2350, 2362, "WORK_OF_ART"], [2375, 2392, "PER"], [2552, 2557, "PER"], [2680, 2686, "WORK_OF_ART"], [2702, 2706, "PER"], [2791, 2796, "PER"], [2811, 2819, "PER"], [2858, 2864, "WORK_OF_ART"], [3063, 3081, "WORK_OF_ART"], [3331, 3341, "WORK_OF_ART"], [3345, 3365, "PER"], [3442, 3449, "WORK_OF_ART"], [3473, 3484, "WORK_OF_ART"], [3639, 3644, "LOC"], [3683, 3691, "WORK_OF_ART"], [3693, 3706, "PER"], [3732, 3746, "PER"], [3759, 3767, "WORK_OF_ART"], [3886, 3893, "WORK_OF_ART"], [3961, 3969, "WORK_OF_ART"], [3979, 3998, "WORK_OF_ART"], [4002, 4030, "PER"]]} +{"text": "i commentatori recenti, sulle tracce di Nardi (cfr. Nardi 1985, pp. 225-243) osservano come l'argomento del consenso universale ('consensus gentium') fosse stato fin dalla tarda antichità e fosse ancora al tempo di Dante usato comunemente a favore dell'immortalità dell'anima (cfr. ad esempio Seneca, Lettere a Lucilio, 117.6). Dante però non si ferma qui perché dimostra che se questa credenza, che è anche una speranza, fosse falsa ne deriverebbe una conseguenza impossibile (seguiterebbe una impossibilitade\") che sarebbe orribile anche solo enunciare (\"che pure a retraere sarebbe orribile\"), in quanto contraddirebbe ad una premessa da tutti accettata (\"ciascuno è certo\" \"nullo lo niega\": nessuno lo nega): che la natura umana è la più perfetta (\"perfettissima\") tra tutte le specie animali presenti nel mondo sublunare (\"di qua giù\", per escludere la natura angelica). Ora, molti animali (\"molti che vivono\") privi di ragione (\"bruti\"), sono completamente mortali e non possiedono questa speranza. Dunque il possederla senza poterla realizzare sarebbe per l'uomo un difetto che lo renderebbe inferiore a tutte le altre specie animali (\"di nullo altro animale\"), tanto più che molti si sono comportati prendendola tanto seriamente da sacrificarle la vita terrena (\"hanno dato questa vita per quella\". Ne conseguirebbe (\"seguiterebbe\") l'assurdo che l'animale perfettissimo sarebbe imperfettissimo: proprio la razionalità che lo rende superiore agli altri animali (\"che è sua perfezione maggiore\") sarebbe causa di questo difetto. Questo, risulta, anche solo a dirlo (\"pare a dire\") come qualcosa di assolutamente mostruoso (\"del tutto diverso\"). * ARISTOTILE L'AFFERMA ...: cfr. De partibus animalium II 10, 656 a 3-8. Nella raccolta degli scritti zoologici aristotelici tradotti dall'arabo da Michele Scoto sotto il titolo onnicomprensivo di Libri de animalibus (cfr. Cv II iii 2) il dodicesimo libro corrisponde al secondo del De partibus animalium.", "labels": [[40, 45, "PER"], [52, 57, "PER"], [217, 222, "PER"], [295, 301, "PER"], [303, 320, "WORK_OF_ART"], [331, 336, "PER"], [1811, 1824, "PER"], [1860, 1879, "WORK_OF_ART"], [1886, 1888, "WORK_OF_ART"], [1946, 1967, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'abbandono della vita presente nella certezza di una vita futura viene qui espresso chiaramente nei termini di una scelta volontaria e non imposta (corsero alla morte\"). Più che ai martiri cristiani potremmo allora pensare a quei filosofi pagani che, convinti dell'immortalità dell'anima, si diedero la morte per vivere una vita migliore, secondo una tradizione che risale almeno alle Divinae Institutiones di Lattanzio e che ritroviamo nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (III, cap. 44, De Empedocle et Parmenide philosophis, ed. cit., p. 101; cap. 78, De appetitu mortis ob desiderium immortalitatis, ed. cit., p.p. 109-110,; V, cap. 26, De Zenone et Crysippo Stoicorum principibus, ed. cit., p. 144), nel De vita et moribus philosophorum dello pseudo-Burley (capp. 29 Crisippus; 48 Empedocles; 51 Plato; 78 Zenon rispettivamente alle pp. 108, 190, 232, 304) e nell'anonimo Fiore di filosafi e d'altri savi e imperadori (s.v. Platone), p. 125). A questa tradizione dovrebbe essere allora riferita l 'espressione \"poi che detto è\".", "labels": [[386, 407, "WORK_OF_ART"], [411, 420, "PER"], [444, 463, "WORK_OF_ART"], [467, 487, "PER"], [503, 528, "WORK_OF_ART"], [569, 616, "WORK_OF_ART"], [655, 698, "WORK_OF_ART"], [723, 741, "WORK_OF_ART"], [769, 775, "PER"], [892, 897, "PER"], [946, 953, "PER"]]} +{"text": "si tratta dei sogni in cui, per dirla con il conte Ugolino, vengono squarciati i velami del futuro (cfr. If XXXIII, 27). Nel piccolo trattato intitolato De divinatione per somnum Aristotele aveva negato che il futuro potesse rendersi presente nei sogni, ma tutta la tradizione medievale non aveva seguito in questo il Filosofo. Già Alberto Magno aveva affermato che non esiste praticamente nessuno che non abbia avuto questa esperienza Vix arbitror quemquam inveniri hominem qui non de multis futuris praemonitus sit per suiipsius somnia\" (cfr. De somno et vigilia III, tr. I, cap. 2, p. 17). Questo fatto (o presunto tale. Aristotele attribuiva infatti i casi esperiti di corrispondenza tra sogni ed avvenimenti alla pura casualità) era stato usato effettivamente come argomento a favore dell'immortalità dell'anima. La conoscenza del futuro, infatti, non poteva essere frutto di congettura umana; solo una realtà immortale e quindi capace di trascendere il tempo e di avere il futuro come presente era in grado di possederla e di donarla (\"con ciò sia cosa che immortale convenga essere lo rivelante\". A questa connessione tra immortalità e presenzialità, inespressa nel testo, mi sembra si riferisca il \"se bene si pensa sottilmente\", cioè analizzando a fondo i fatti). Che le anime umane fossero capaci di ricevere queste rivelazioni era poi segno della loro affinità con il rivelante immortale, secondo uno schema già presente nel Fedone, riproposto da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. 2, cap. 6, p. 28, ll. 45-50 \"Constat quod horum receptio non est nisi secundum conformitatem animae humanae ad intellectus supernos et caelestes ... et ideo nec perire potest huiusmodi substantia recipiens talia oracula\"). Dante interviene riconducendo il generico principio della somiglianza ad un preciso assioma della filosofia naturale: tra ciò che viene mosso ricevendo una forma (\"o vero informato\") e ciò che muove producendo la forma, quando il rapporto sia senza mediazioni (\"informatore immediato\"), deve esistere un rapporto proporzionale (\"debba avere proporzione\"); ora tra ciò che immortale e ciò che è mortale non esiste alcuna proporzione (\"nulla sia proporzione\"); quindi ciò che è \"informato\" da una realtà immortale deve essere immortale. La premessa maggiore di questo sillogismo ha il suo fondamento in Aristotele (cfr. De generatione I 7, 323 b 30); viceversa lo Stagirita non ha mai affermato apertamente l'improporzionalità tra mortale ed immortale (il testo del De caelo citato dai commentatori e dalla edizione Brambilla Ageno riguarda l'incommensurabilità tra finito ed infinito, in un contesto prettamente fisico). I suoi esegeti medievali, basandosi su Metaph. III 4, 1000 a 5 sgg. gli hanno però attribuito l'assioma per cui i principi delle cose corruttibili (mortali) e quelli delle cose incorruttibili (immortali) sono specificamente diversi. La diversità di opinioni che Dante dice di avere riscontrato (\"le diverse oppinioni ch'io di ciò ritruovo\") relativamente alla natura corporea o incorporea delle cause dei sogni divinatori è presente nella parafrasi al De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, capp. 7-9, pp. 186-190) dove vengono presentate e criticate le posizioni di Averroè, Alfarabi, Isaac Israeli, sostenitori di una relazione immediata tra intelligenze ed anima umana (\"rivelante incorporeo\") e si argomenta invece a favore di un'azione dei corpi celesti (\"rivelante corporeo\") che comunque, nella fisica aristotelica, non sono soggetti a generazione e corruzione. Su tutta questa sezione del Convivio cfr. Nardi 1985, pp. 225-243.", "labels": [[154, 190, "WORK_OF_ART"], [319, 327, "PER"], [333, 346, "PER"], [437, 440, "PER"], [625, 635, "PER"], [1438, 1444, "WORK_OF_ART"], [1460, 1473, "PER"], [1737, 1742, "PER"], [2340, 2350, "PER"], [2401, 2410, "PER"], [2503, 2511, "WORK_OF_ART"], [2553, 2568, "PER"], [2698, 2704, "WORK_OF_ART"], [2922, 2927, "PER"], [3113, 3132, "WORK_OF_ART"], [3136, 3149, "PER"], [3239, 3246, "PER"], [3248, 3256, "PER"], [3258, 3271, "WORK_OF_ART"], [3570, 3578, "WORK_OF_ART"], [3584, 3589, "PER"]]} +{"text": "contaminazione di due versetti del Vangelo di Giovanni: \"Ego sum via, veritas et vita\" (14, 6) e \"Ego sum lux mundi\" (8, 12).", "labels": [[35, 54, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "le argomentazioni razionali a favore dell'immortalità dell'anima non mostrano la verità con certezza assoluta, ma sono sempre in qualche modo soggette a discussione. Questo dipende (incontra\") dal fatto che la luce intellettuale della nostra parte immortale (l'anima) finché è mescolata con la nostra componente mortale (il corpo) è come offuscata da un'ombra (cfr. Alberto Magno, De causis et processu universitatis, I, tr. 4, c. 2, p. 44, ll. 16-19 \"anima ...propter dependentiam ad corpus necesse est quod primae limpiditatis et sinceritatis patiatur adumbrationem\").", "labels": [[366, 379, "PER"], [381, 416, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per fondare scientificamente il fenomeno dell'innamoramento attraverso gli occhi viene qui introdotta dalla consueta formula 'tecnica' (e qui si vuol sapere\": 'et hic sciendum est') una breve spiegazione della struttura della sensazione visiva: nonostante più oggetti possano contemporaneamente (\"a un'ora\") colpire l'occhio, tuttavia (\"veramente\" con valore avversativo, dal latino verumtamen ) vediamo in senso proprio (\"veramente\", questa volta dal latino vere) solo quello che raggiunge il centro (\"la punta\") della pupilla seguendo una linea retta; solo un tale oggetto si imprime in maniera permanente (\"si suggella\") nella facoltà della immaginazione (imaginatio è il termine tecnico con cui i commentatori arabi e latini del De anima di Aristotele indicano la facoltà che ha capacità di trattenere l'immagine di un oggetto in assenza dell'oggetto stesso) L'amore nasce sì dalla vista, ma solo se la forma dell'oggetto amato si fissa nell'immaginazione; per l'uso della stessa metafora a proposito della memoria cfr. nota a Cv I viii 12). Questo perché (\"però che\") il nervo che è il veicolo fisiologico della capacità di vedere (\"per lo quale corre lo spirito visivo\") procede dal cervello al centro della pupilla in linea retta. Possiamo osservare come, nel solco della tradizione della scienza ottica medievale, questa spiegazione unisca elementi geometrici (la visione per linea retta) e anatomico- fisiologici (il nervo ottico). Nel primo caso i commentatori richiamano giustamente un brano del De sensu et sensato dove Alberto Magno sostiene che la vista più intensa (\"fortior visus\" ) si ha lungo linea retta che costituisce l'asse della piramide visiva che ha come vertice l'occhio e come base l'oggetto e che coincide con l'asse della pupilla (si tratta di una \"recta immutatio ad centrum oculi directa\"). La stessa dottrina è presente nella Perspectiva di Ruggero Bacone (cfr. Parronchi 1959, pp 5, 103, 27-28), ma come nota giustamente Simon Gilson, richiamandosi alla enciclopedia di Bartolomeo Anglico, il De naturis rerum, si trattava di dottrine ormai ampiamente diffuse (cfr. Gilson² 1997, pp. 193-4). E' invece di origine galenica la dottrina per cui gli spiriti animali, partendo dal cervello, raggiungono gli organi periferici, ed al cervello ritornano rendendo possibili le sensazioni. Una teoria generale della visione verrà presentata in Cv III ix 7-8. In questo brano le nozioni di ottica sono funzionali alla spiegazione dell'incontro degli sguardi amorosi: gli occhi che guardano altri occhi non possono fare a meno di essere a loro volta guardati (\"sì che esso non sia veduto da lui\"); le loro immagini (\"la sua forma\") si incrociano per la medesima linea retta, ed è su questa linea retta (\"nel dirizzare di questa linea\") che Amore, per cui ogni difesa è fragile (\"colui al quale ogni arme è leggiere\") scocca il suo arco. Come poi avverrà in maniera più continua e complessa nella Commedia, qui Dante intreccia tra di loro linguaggi assi diversi come quello della scienza e della mitologia amorosa.", "labels": [[733, 741, "WORK_OF_ART"], [745, 755, "PER"], [1031, 1033, "WORK_OF_ART"], [1509, 1528, "WORK_OF_ART"], [1534, 1547, "PER"], [1863, 1874, "WORK_OF_ART"], [1878, 1892, "PER"], [1899, 1908, "PER"], [1959, 1971, "PER"], [2008, 2026, "PER"], [2031, 2047, "WORK_OF_ART"], [2105, 2112, "WORK_OF_ART"], [2374, 2376, "WORK_OF_ART"], [2927, 2935, "WORK_OF_ART"], [2941, 2946, "PER"]]} +{"text": "più che al testo latino di De an. II, 2, 414 a 11-12 (Videtur ... in patiente et disposito activorum inesse actio\") cui rimanda Busnelli ripreso da Vasoli, Dante si rifà qui alle Auctoritates Aristotelis (p. 179 n. 55) \"actus activorum sunt in patiente praedisposito\" (cfr. Ricklin ). A questo principio aristotelico Dante si riferirà anche in Cv IV xx 7.", "labels": [[27, 32, "WORK_OF_ART"], [54, 100, "WORK_OF_ART"], [128, 138, "WORK_OF_ART"], [149, 155, "PER"], [157, 162, "PER"], [180, 204, "WORK_OF_ART"], [276, 283, "PER"], [319, 324, "PER"], [346, 348, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "non senza una qualche fluttuazione'. Cfr. De consolatione philosophiae II, prosa 1, 6, p. 28 Verum omnis subita mutatio rerum non sine quodam quasi fluctu contingit animorum\", che Dante traduce alla lettera (probabilmente, nel codice a sua disposizione, egli leggeva 'fluxu' e non 'fluctu'. Cfr. Cv III vii 2, dove viene reso con \"discorrimento\" il termine influxio presente nella traduzione latina del Liber de causis).", "labels": [[181, 186, "PER"], [297, 299, "WORK_OF_ART"], [405, 420, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il termine 'pius' che Dante rende con pietoso\" è nell'Eneide attributo costante di Enea.", "labels": [[22, 27, "PER"], [56, 62, "WORK_OF_ART"], [85, 89, "PER"]]} +{"text": "in questo paragrafo e nei seguenti Dante polemizza contro il modo approssimativo con cui vengono considerate virtù, o comunque disposizioni d'animo, come pietà e cortesia. In entrambi i casi si tratta di una mancanza di analisi per cui la gente comune (la volgar gente\") scambia il genere (pietà, cortesia) con una delle sue specie (misericordia, larghezza-liberalità). Già Tommaso aveva fatto del \"dolersi del male altrui\" (\"habere miserum cor super miseria alterius\", Summa Theologiae IIa-IIae, q. 30, a. 1, respondeo) una caratteristica della misericordia e nella Retorica, Aristotele aveva classificato la misericordia (traduzione latina del greco eleos) tra le passioni (cfr. Rhet. II 8, 1385 b 12 sgg.). Ma che la pietà sia una disposizione virtuosa (\"nobile disposizione\") di cui la misericordia, l'amore ed altre passioni che ci fanno attenti verso il prossimo (\"passioni caritative\") sono effetti particolari (\"speziale effetto\") è dottrina propria di Dante, anche se un richiamo potrebbe essere fatto a De civitate Dei X 1, p. 447 dove si osserva che il termine eusebeia (pietas) in sé riservato al culto divino, \"pro misericordia Graecorum vulgus usurpat\". Sulla pietà Dante tornerà in Cv IV xix precisando che si tratta di una \"buona disposizione da natura data\", anteriore quindi ad ogni processo di raggiungimento delle virtù più propriamente morali.", "labels": [[35, 40, "PER"], [378, 385, "PER"], [475, 491, "WORK_OF_ART"], [573, 581, "WORK_OF_ART"], [583, 593, "PER"], [688, 692, "PER"], [970, 975, "PER"], [1022, 1037, "WORK_OF_ART"], [1189, 1194, "PER"], [1206, 1208, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "traduzione di Ecl. 5, 12 Est et alia infirmitas pessima quam vidi sub sole, divitiae conservatae in malum domini sui\" ('in malum': \"a detrimento\").", "labels": [[14, 17, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta del De consolatione philosophiae, già utilizzato in Cv I ii 13; II vii 4 e che sarà ancora ampiamente presente nel resto del trattato. In realtà, come è stato fatto notare sia da Vasoli che soprattutto da Ricklin, il testo di Boezio era uno dei più conosciuti e diffusi nel Medioevo (vedi il Commento a Cv I ii 13). Come nel resto d'Italia anche a Firenze, nel XIV secolo il De consolatione era usato come libro di testo per gli studenti di latino giunti al termine del primo ciclo di letture, i cosiddetti 'auctores minores' (Lapo Mazzei in una lettera affermerà che Boezio ... si legge a corso in ogni scuola ai più giovani\". Cfr. Black-Pomaro 2000, pp. 3 sgg. ); un fiorentino contemporaneo di Dante, Bono Giamboni, lo aveva utilizzato a modello nel suo Libro de' vizi e delle virtù. Potremmo pensare che con l'espressione \"non conosciuto\" Dante voglia dire che il vero e profondo significato del testo è sfuggito e sfugge a chi lo usa come semplice mezzo di apprendimento del latino. Nei fatti le glosse presenti nei manoscritti fiorentini del De consolatione, sembrano essere di carattere esclusivamente grammaticale e non filosofico. Cfr. Black-G. Pomaro 2000, pp. 8-11.", "labels": [[14, 42, "WORK_OF_ART"], [62, 64, "WORK_OF_ART"], [216, 223, "PER"], [237, 243, "PER"], [285, 293, "WORK_OF_ART"], [314, 316, "WORK_OF_ART"], [360, 367, "LOC"], [387, 402, "WORK_OF_ART"], [539, 550, "WORK_OF_ART"], [581, 587, "PER"], [646, 658, "WORK_OF_ART"], [710, 715, "PER"], [718, 731, "WORK_OF_ART"], [772, 786, "WORK_OF_ART"], [858, 863, "PER"], [1064, 1079, "WORK_OF_ART"], [1161, 1176, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "amicizia'. Si tratta del dialogo Laelius de amicitia.", "labels": [[34, 53, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "aveva parlato del modo con cui Lelio aveva alleviato il proprio dolore'. Nel dialogo (I, 3-4) Lelio afferma che il dolore per la perdita dell'amico viene mitigato dalla certezza che la morte non ha potuto fargli alcun male. Come ha rilevato il Davis, il testo di Cicerone era presente nella Biblioteca del Convento domenicano di Santa Maria Novella ed utilizzato sicuramente da Remigio de' Girolami (cfr. Davis 1988, pp. 161-162).", "labels": [[31, 36, "PER"], [244, 249, "PER"], [263, 271, "PER"], [291, 314, "WORK_OF_ART"], [329, 348, "PER"], [378, 398, "PER"], [405, 410, "PER"]]} +{"text": "ma non senza l'intervento della volontà divina'. L' indefinitezza della causa è per Aristotele (cfr. Phys. II 4) caratteristica degli eventi casuali e fortuiti: i primi sono coincidenze nell'ambito delle produzioni naturali, i secondi riguardano il mondo delle azioni umane (come esempio dei secondi Boezio dà il trovare un mucchio d'oro, auri pondus\", zappando il proprio campo. Cfr. De consolatione V, prosa 1, 13, p. 137. L'esempio diverrà standard per i pensatori medievali). Ma lo Stagirita non sembra propenso a farne una causa occulta, cioè indeterminata solo per la nostra mente finita. Collegare la Fortuna e il fortuito a Dio ed alla sua provvidenza il cui agire ci sfugge è piuttosto, come abbiamo visto (cfr. il Commento a Cv I iii 4) una posizione di Agostino, ripresa in maniera più tecnicamente filosofica da Tommaso. Cfr. Summa contra Gentiles III cap. 92, n. 2672 \"Aliquod fortuitum bonum vel malum potest contingere homini et per comparationem ad ipsum, et per comparationem ad caelestia corpora et per comparationem ad angelos, non autem per comparationem ad Deum. Nam per comparationem ad ipsum, non solum in rebus humanis, sed nec in aliqua re potest esse aliquid casuale et improvisum\". (collego la frase \"non forse senza divino imperio\" non a \"io trovai\", ma, come fa anche Inglese, a \"fuori dell'intenzione trova oro, la quale occulta cagione presenta\": mi sembra che qui venga espresso un principio generale, quello per cui la \"cagione occulta\", è riconducibile in ultima analisi alla volontà divina, di cui il caso di Dante è solo una istanza particolare).", "labels": [[84, 94, "PER"], [101, 105, "WORK_OF_ART"], [300, 306, "PER"], [486, 495, "PER"], [724, 732, "WORK_OF_ART"], [735, 737, "WORK_OF_ART"], [764, 772, "PER"], [824, 831, "PER"], [838, 850, "WORK_OF_ART"], [1299, 1306, "WORK_OF_ART"], [1546, 1551, "PER"]]} +{"text": "nomi di autori', cioè, ancora una volta di coloro che hanno trovato o sistematizzato le varie scienze (fisica, astronomia, medicina...) rendendole poi disponibili in opere scritte (libri\"). In che modo tramite le letture di Boezio e di Cicerone Dante avesse potuto trovare questo tesoro non risulta del tutto chiaro. Nel De amicitia tra i personaggi greci e romani citati non compare un solo filosofo. Per quanto riguarda il De consolatione, gli unici contesti strettamente filosofici in cui si parla di Platone e di Aristotele sono nel quinto libro e riguardano: a) la dottrina della fortuna. b) la distinzione tra eternità di Dio e perpetuità del mondo (tutte le altre citazioni sono puramente esornative) ma non rimandano né a scienze né a libri. Una spiegazione possibile è che Dante abbia letto il De consolatione corredata un Commento (l'ipotesi è sostenuta, per altri motivi, da Antonio D'Andrea, che punta sul Commento dello pseudo-Tommaso; cfr. D' Andrea 1980, pp. 26-31). In ogni caso, come ha giustamente notato P. Boyde, Dante, leggendo Boezio avrà potuto sperimentare il fascino della definizione esatta e dei procedimenti strettamente argomentativi (cfr. Boyde 1984, p. 58).", "labels": [[224, 230, "PER"], [236, 250, "PER"], [321, 332, "WORK_OF_ART"], [425, 440, "WORK_OF_ART"], [504, 511, "PER"], [517, 527, "PER"], [783, 788, "PER"], [804, 841, "WORK_OF_ART"], [888, 904, "PER"], [920, 928, "WORK_OF_ART"], [942, 949, "PER"], [960, 966, "WORK_OF_ART"], [1026, 1034, "PER"], [1036, 1041, "PER"], [1052, 1058, "PER"], [1172, 1177, "PER"]]} +{"text": "'signora' . Che la filosofia fosse la donna\" di autori come Platone ed Aristotele poteva risultare chiaro dal contesto del De consolatione (è infatti la Filosofia che parla di loro come di suoi conoscenti e discepoli: \"Plato et Aristoteles mei\").", "labels": [[60, 67, "PER"], [71, 81, "PER"], [123, 138, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'a malapena, difficilmente potevo distoglierla da lei'. La personificazione della filosofia come una donna che viene in soccorso di un infelice (quindi gentile\") risale ovviamente a Boezio. Nel Medioevo questa immagine si era fusa con la figura della Sapienza figlia di Dio protagonista di alcuni libri della Bibbia. Vedi nota a Cv II xii 9.", "labels": [[182, 188, "PER"], [309, 315, "WORK_OF_ART"], [329, 331, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "comunicando lo stato in cui mi trovavo in maniera indiretta, presentando un'altra situazione (altre cose\", in questo caso l'amore verso una donna reale) come una sua immagine o prefigurazione (\"figura\"). Il termine \"figura\" nell'esegesi biblica, a partire da San Paolo (cfr. Cor I, 10, 1-11) indica di norma un personaggio realmente vissuto o un episodio realmente accaduto del Vecchio Testamento che solo alla luce di ciò che si dice nel Nuovo trova la sua più profonda verità: il dono della manna nel deserto rimanda, come a suo compimento, al corpo di Cristo offerto come pane (cfr. nota a Cv I i 6-8). Auerbach ha mostrato come Dante applichi questo modello alla esperienza del suo amore reale per Beatrice (cfr. Auerbach 1963, pp. 176-226). Le frasi immediatamente seguenti sembrerebbero però escludere l'applicazione di questo modello al rapporto tra la \"donna gentile\" e la Filosofia. Dante afferma infatti che ha parlato sotto figura perché a) nessuna poesia in volgare (\"rima di volgare\") sarebbe stata degna di parlare direttamente (\"poetare palesemente\") della filosofia (\"la donna di cu' io m'innamorava\"); b) i destinatari della canzone (\"gli uditori\") non si trovavano nella disposizione giusta (\"bene disposti\") per cogliere facilmente (\"leggiere\") il senso vero (\"non fittizio\") delle sue parole; c) infine perché da parte loro (\"per loro\") non si sarebbe creduto al senso vero (\"sentenza vera\") con altrettanta facilità che a quello figurato (\"come alla fittizia\"). Tutti infatti credevano (\"però che di vero si credea del tutto\") che Dante fosse innamorato di una donna reale (\"disposto a quello amore\") piuttosto che della filosofia (\"che non si credea di questo\"). Dunque Dante ribadisce qui quanto già detto in Cv I i 18: la canzone avuto fin dall' origine un carattere allegorico. Ma, allo stesso tempo, la giustificazione di questo procedimento rimanda ad una situazione reale: non solo il pubblico di Dante non era preparato a comprendere una scrittura allegorica (cfr. Cv II xi 7), ma era fermamente convinto che una poesia d'amore per una donna corrispondesse, nel caso specifico, ad un amore reale per una donna reale, e questo evidentemente non senza motivo (cfr. Cv II.ii.16). Ancora una volta dietro tutto questo complesso gioco di specchi si mostra e insieme si nasconde l'episodio della donna gentile nella Vita Nova che può benissimo esser stato vissuto retrospettivamente come figura dell'innamoramento per la Filosofia.", "labels": [[259, 268, "PER"], [378, 396, "WORK_OF_ART"], [439, 444, "WORK_OF_ART"], [556, 562, "PER"], [594, 596, "WORK_OF_ART"], [607, 615, "PER"], [633, 638, "PER"], [703, 711, "PER"], [718, 726, "PER"], [882, 891, "WORK_OF_ART"], [893, 898, "PER"], [1553, 1558, "PER"], [1693, 1698, "PER"], [1733, 1735, "WORK_OF_ART"], [1927, 1932, "PER"], [1996, 1998, "WORK_OF_ART"], [2194, 2196, "WORK_OF_ART"], [2343, 2352, "WORK_OF_ART"], [2448, 2457, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in queste poche parole del Convivio è condensata una storia complessa di rappresentazioni ed elogi della Filosofia come Sapienza divina. Abbiamo già visto che la personificazione della Filosofia in una domina bellissima e nobilissima risale originariamente al De consolatione Philosophiae. Molti commentatori altomedievali, nell'ambito di complesse allegorie tese a cristianizzare il testo di Boezio, l' avevano accomunata alla Sapientia Dei (cfr. Courcelle 1967, D'Alverny 1946). Ma anche più tardi questa linea interpretativa continuò a funzionare entro la nuova cultura universitaria. Una serie di orazioni in lode della filosofia tenute a Bologna pochi decenni dopo la composizione del Convivio varia all'infinito l' immagine della domina ricorrendo a paralleli con le donne della sacra Scrittura (Abigail, le donne gloriosae et gratiosae\" dei Proverbi, addirittura la \"mulier amicta sole\" dell'Apocalisse). Alcune di queste composizioni la identificano espressamente con la Sapienza biblica, facendone quindi implicitamente una figlia di Dio (cfr. Fioravanti 1992, p. 173). Quanto al suo carattere \"regale\" un testo diffusissimo come il De disciplina scolarium, attribuito allo stesso Boezio, definiva la filosofia 'imperialis domina'. L'attributo sarebbe stato ripreso in ambiente universitario intorno al 1250 (cfr. l'elogio della Filosofia composto dal magister artium Aubry de Reims in Gauthier 1984, p. 37).", "labels": [[27, 35, "WORK_OF_ART"], [185, 194, "WORK_OF_ART"], [260, 288, "WORK_OF_ART"], [393, 399, "PER"], [449, 458, "WORK_OF_ART"], [644, 651, "LOC"], [691, 699, "WORK_OF_ART"], [849, 857, "WORK_OF_ART"], [1054, 1064, "PER"], [1143, 1166, "WORK_OF_ART"], [1191, 1197, "PER"], [1340, 1349, "WORK_OF_ART"], [1379, 1393, "WORK_OF_ART"], [1398, 1406, "PER"]]} +{"text": "lo presuppone'. Dante utilizza la dottrina aristotelica comunemente accettata dai pensatori medievali secondo cui ogni scienza si distingue dalle altre per il campo specifico di realtà di cui tratta e che le fa, per così dire, da sostrato (subietto\": subiectum). L' esistenza del proprio oggetto è il fondamento ultimo della scienza corrispondente e in quanto tale è un presupposto non deducibile: la fisica non dimostra l'esistenza del movimento, né la matematica quella della quantità. Per il principio generale cfr. An. Post I 9, 76 a 16-17. La stessa dottrina è presentata da Dante all'inizio del De vulgari eloquentia \"Sed quia unamquamque doctrinam oportet non probare, sed suum aperire subiectum, ut sciatur quid sit id super quod illa versatur (\"si muove intorno\") ...\" (I.i.2)", "labels": [[16, 21, "PER"], [519, 521, "WORK_OF_ART"], [523, 527, "WORK_OF_ART"], [584, 589, "PER"], [605, 626, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "portare alla loro perfezione le realtà che sono in condizione di accoglierla'. Come già detto in Cv I xiii 3, due sono le perfezioni\" possedute da ogni realtà, e soprattutto da quelle più alte come l'uomo: una \"perfezione prima\" che la distingue specificamente dalle altre, e che non è se non la sua forma sostanziale, e una \"perfezione seconda\" che consiste nell'attuazione piena delle proprie capacità naturali. Come dice Tommaso nel Commento all' Etica Nicomachea \" (I, lectio 1, n.12 ) \"prima perfectio se habet per modum formae, secunda per modum operationis\". L'analogia tra cieli e scienze consiste per Dante nel fatto che i primi sono causa della perfezione prima; essi infatti sono la causa della produzione (sono \"cagione di induzione\") nelle realtà predisposte (\"nelle disposte cose\") delle forme che danno origine alle varie sostanze (\"della generazione sustanziale\"); le scienze, a loro volta, possedute nella maniera piena e costante indicata ancora una volta dal termine \"abito\", producono in noi la perfezione seconda, la conoscenza del vero (\"per le quali potemo la veritade speculare\"), cioè l'attività più alta e perfetta dell'uomo (\"ultima perfezione nostra\". La citazione di Aristotele si riferisce a Eth. Nic. VI 2, 1139 a 27). Per costruire l'analogia Dante presenta come comune a tutti i filosofi la dottrina secondo cui i cieli producendo le forme delle realtà terrestri (anime, nel caso degli esseri viventi) e immettendole nella materia, producono così le varie sostanze, nonostante che poi i vari pensatori si differenzino nell'individuare il modo e il soggetto preciso di questa azione (\"avvegna che questo diversamente pongano\"). La breve dossografia filosofica al riguardo è un modello di quel lavoro 'à bricolage' che caratterizza alcune parti del discorso dantesco: che Socrate, Platone ed un misterioso Dionisio academico abbiano sostenuto che le forme e soprattutto le anime umane derivano dalle stelle rimanda direttamente alla parafrasi di Alberto Magno al De somno et vigilia che a sua volta aveva già costruito la sua informazione utilizzando frammenti di fonti diverse (\"Plato autem et Socrates praeceptor eius, sed et illius praeceptor in philosophia Dionysius Academiae praecipuus Stoicorum, dicunt concorditer omnes a comparibus stellis animas descendisse\" III tr. 1, cap. 8, p. 187); quanto alla posizione per cui le forme sono prodotte non dai corpi celesti, ma dai loro motori, essa era stata attribuita a Platone ancora una volta da Alberto Magno nel suo De intellectu et intelligibili (\" Et videtur Plato velle quod intellectualitas in homine et sensibilitas in brutis ... effluat a motoribus orbium et stellarum\" I tr. 1, cap. 4, p. 48). Che la stessa cosa avessero pensato Avicenna ed Algazel (Al-Ghazali, filosofo e teologo islamico del XII secolo) poteva essere ricavato da un altro brano di Alberto, e precisamente dalla parafrasi al De anima, un'opera in cui i due pensatori arabi sono sempre citati insieme (\"dicunt isti splendorem intelligentiarum dare formas\" III tr. 2, cap. 8, p. 188). Per quanto riguarda Aristotele, nella sua teoria della generazione lo Stagirita aveva effettivamente sottolineato la particolarità del calore presente nello sperma; esso non coagula o dissecca in maniera meccanica come il fuoco, ma organizza e trasforma in maniera intelligente la materia producendo un altro essere vivente e per questo è assimilabile al calore degli astri, in particolare del sole, che è principio di generazione per animali e piante (cfr. De gen. anim. II 3, 736 b 43sgg.). Dante enfatizza questo legame per ricondurre anche lo Stagirita alla posizione per cui i cieli \"sono cagione della generazione sustanziale\". La dottrina peripatetica dell'origine dell'anima verrà illustrata più dettagliatamente nel capitolo XXI del IV trattato, dove ricomparirà parte di questa dossografia.", "labels": [[98, 100, "WORK_OF_ART"], [426, 433, "PER"], [438, 446, "WORK_OF_ART"], [452, 468, "WORK_OF_ART"], [612, 617, "PER"], [1199, 1209, "PER"], [1225, 1228, "WORK_OF_ART"], [1280, 1285, "PER"], [1814, 1821, "PER"], [1823, 1830, "PER"], [1848, 1856, "PER"], [1989, 2002, "PER"], [2006, 2027, "WORK_OF_ART"], [2205, 2224, "PER"], [2467, 2474, "PER"], [2495, 2508, "PER"], [2517, 2549, "WORK_OF_ART"], [2740, 2748, "PER"], [2752, 2759, "PER"], [2761, 2771, "WORK_OF_ART"], [2862, 2869, "PER"], [2906, 2914, "WORK_OF_ART"], [3084, 3094, "PER"], [3134, 3143, "PER"], [3558, 3563, "PER"], [3612, 3621, "PER"]]} +{"text": "rapporto'. Come esiste una analogia tra i cieli e le scienze in generale, così ne esiste una in particolare tra i singoli cieli e le singole scienze e questo spiega perché Dante abbia parlato del terzo dei dieci cieli. La analogia (comparazione\") riguarda non solo la quantità (dieci cieli corrispondono a dieci scienze), ma soprattutto l'ordine: a quello con cui si dispongono i cieli corrisponderà quello con cui si dispongono le scienze. La serie dei primi è data dalla progressiva distanza dal centro della terra: i sette orbi planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più vicini a noi (\"primi a noi\"), poi il cielo delle stelle fisse, poi il primo mobile, infine l'Empireo, l'unico immobile (\"quieto\"). La corrispondente seriazione delle scienze (\"ai sette primi rispondono le sette scienze ...\") era in parte già definita dalla cultura del tempo, in parte è creazione autonoma di Dante. Che il sistema delle discipline si articolasse nelle arti liberali del Trivio, arti \"sermocinali\", cioè della parola e in quelle del Quadrivio (o Quadruvio, seguendo il De consolatione philosophiae di Boezio) arti \"reali\", cioè delle cose, che quindi esse fossero sette era dottrina comune e, per limitarci alla Firenze dantesca, presente nella Rettorica di Brunetto Latini. C'è semmai da notare che l'ordine era per alcuni aspetti ancora fluttuante. Così in alcune classificazioni la Dialettica viene dopo la Retorica e normalmente la Musica segue non solo l'Aritmetica, ma anche la Geometria e l'Astronomia-Astrologia. Lo stesso parallelo tra pianeti ed arti liberali era stato formulato prima di Dante dall' Anticlaudianus di Alano di Lilla (cfr. Johnston 1930, pp. 34-35) dal De naturis rerum di Alexander Neckam (II 173, pp. 282-4), dalla Rhetorica Novissima di Boncompagno da Signa (cfr. Wieruszowski, pp. 506-508) e in una forma identica a quella del Convivio, da Michele Scoto nel suo Liber introductorius. (vedi Ricklin). In ambiente toscano ed in volgare questa corrispondenza era stata accettata (ma solo in linea generale) da Ristoro d'Arezzo nelLa composizione del mondo colle sue cascioni II viii 6, p. 202) \"E anco saràno sette arti liberali ... sì che ciascheduno planeto avarà la sua\". Ma, a differenza di Dante, nessuno aveva mostrato \"la ragione perché ciò sia\", analizzando (e sia pure \"brievemente\") cielo per cielo e scienza per scienza le ragioni dell'analogia. Inoltre tutti, tranne Boncompagno, si erano limitati alla corrispondenza sette a sette, parlando solo di pianeti, senza introdurre né cielo delle stelle fisse, né il primo mobile, né l'Empireo. Bisogna allora dire che tra fine del XII secolo e la prima metà del XIII ai testi classici che identificavano le sette arti liberali si era aggiunto un patrimonio scientifico-filosofico infinitamente più ricco: gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica, l' Etica di Aristotele avevano inevitabilmente modificato la struttura del sapere; strettamente legato ai trattati del Corpus aristotelicum era comparso un nuovo modello di classificazione delle scienze. Il quadro si era così complicato: le sette arti liberali non erano state rifiutate, ma erano diventate parti di più complessi schemi classificatori (per limitarci ancora una volta a Firenze è esemplare la Divisio philosophiae presentata, quasi negli stessi anni del Convivio, da Remigio de' Girolami. Cfr. Panella 1981). Dante però continua ad utilizzare lo schema vulgato e preferisce procedere per aggiunta, considerando le sette arti come gradini inferiori e propedeutici al nuovo sapere. Questo procedimento, già utilizzato da Tommaso nel Commento al De trinitate di Boezio (q. 5, a. 1, ad tertium), corrisponde più che ad astratti modelli classificatori, alla struttura effettiva della formazione universitaria, almeno per gli anni intorno alla metà del '200. Così come dopo i cieli dei pianeti viene l'ottava sfera, quella del cielo stellato, nel curriculum normale dopo le sette arti del Trivio e del Quadrivio vengono la \"scienza naturale che Fisica si chiama\" e la Metafisica (per la Metafisica come \"prima scienza\" cfr. nota a Cv I i 1). Come sottolinea giustamente Helene Wieruszowski, lo schema di Dante rispecchia anche un nuovo curriculum di studi, quello dell'Università di Parigi e degli Studia degli ordini mendicanti, mentre quello di Boncompagno, che pure aggiunge tre ulteriori scienze alle sette arti liberali, identificandole con la medicina, diritto civile e diritto canonico, rispecchia la situazione all'Università di Bologna nella prima metà del XIII secolo (cfr. Wieruszowski 1971, pp. 509-12)", "labels": [[172, 177, "PER"], [542, 546, "WORK_OF_ART"], [548, 556, "LOC"], [558, 564, "LOC"], [572, 577, "LOC"], [579, 584, "LOC"], [586, 593, "LOC"], [692, 699, "PER"], [909, 914, "PER"], [987, 993, "WORK_OF_ART"], [1062, 1071, "WORK_OF_ART"], [1085, 1113, "WORK_OF_ART"], [1117, 1123, "PER"], [1228, 1235, "LOC"], [1261, 1270, "WORK_OF_ART"], [1274, 1289, "PER"], [1401, 1411, "WORK_OF_ART"], [1426, 1434, "WORK_OF_ART"], [1452, 1458, "WORK_OF_ART"], [1476, 1486, "WORK_OF_ART"], [1500, 1535, "WORK_OF_ART"], [1615, 1620, "PER"], [1627, 1641, "WORK_OF_ART"], [1645, 1653, "PER"], [1654, 1659, "PER"], [1666, 1674, "PER"], [1698, 1714, "WORK_OF_ART"], [1718, 1734, "PER"], [1762, 1781, "LOC"], [1785, 1805, "PER"], [1812, 1824, "PER"], [1877, 1885, "WORK_OF_ART"], [1890, 1903, "PER"], [1912, 1932, "WORK_OF_ART"], [1940, 1947, "WORK_OF_ART"], [2057, 2073, "WORK_OF_ART"], [2242, 2247, "PER"], [2427, 2438, "PER"], [2590, 2597, "PER"], [2848, 2858, "WORK_OF_ART"], [2863, 2868, "WORK_OF_ART"], [2872, 2882, "PER"], [2979, 2999, "WORK_OF_ART"], [3246, 3253, "LOC"], [3269, 3300, "WORK_OF_ART"], [3330, 3338, "WORK_OF_ART"], [3343, 3363, "LOC"], [3370, 3377, "PER"], [3385, 3390, "PER"], [3595, 3602, "PER"], [3607, 3615, "WORK_OF_ART"], [3619, 3641, "WORK_OF_ART"], [4016, 4022, "PER"], [4039, 4049, "WORK_OF_ART"], [4058, 4068, "ORG"], [4102, 4104, "WORK_OF_ART"], [4176, 4181, "PER"], [4241, 4261, "WORK_OF_ART"], [4270, 4276, "WORK_OF_ART"], [4319, 4330, "PER"], [4495, 4516, "LOC"], [4557, 4569, "PER"]]} +{"text": "si tratta delle macchie lunari che qui Dante spiega col fatto che il corpo della luna è in alcune parti più raro che in altre (la quale non è altro che raritade del suo corpo\"). In queste parti i raggi solari che illuminano il pianeta non trovarno un limite (\"non possono terminare\") che funzioni come uno specchio da cui riflettersi (\"ripercuotersi\") come invece avviene nel resto della luna; esse dunque appaiono non luminose, ma oscure. Nardi ha sottolineato che questo tipo di spiegazione era già stato offerto da Averroè nel suo trattato De substantia orbis (cfr. Nardi 1967, pp.1-39): esso era stato ripreso ed ampliato nel Roman de la Rose (cfr. Ottaviani 2004, pp 114-115). Nel Paradiso, nel cielo appunto della luna, Beatrice mostrerà a Dante come la teoria qui esposta sia del tutto inadatta a render ragione del fenomeno delle macchie lunari e porrà la causa del diverso grado di splendore dei corpi celesti non più in un principio materiale (\"raro e denso\"), ma in uno formale (la diversa natura delle intelligenze separate che informano i diversi cieli. Cfr. Pd II 58 sgg.).", "labels": [[39, 44, "PER"], [440, 445, "PER"], [518, 525, "PER"], [543, 564, "WORK_OF_ART"], [570, 575, "PER"], [631, 647, "WORK_OF_ART"], [654, 663, "PER"], [687, 695, "WORK_OF_ART"], [728, 736, "PER"], [748, 753, "PER"], [1077, 1079, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Ars Poetica, 70-71 Multa renascentur quae iam cecidere ... vocabula\". Che la Grammatica sia caratterizzata come la luna dalla variabilità contrasta chiaramente con quanto affermato in Cv I v 7-8 dove la mutevolezza dei vocaboli è propria delle lingue volgari, non del latino-grammatica, che è \"perpetuo ed incorruttibile\". Colpisce poi il fatto che qui la variabilità sia estesa dal campo del lessico a quello delle strutture sintattiche (\"construzioni\"). Tutti i teorici della grammatica, nel XIII secolo, sia a Parigi (Boezio di Dacia, Martino di Dacia) che a Bologna (Gentile da Cingoli), erano infatti d'accordo nel ritenerle, al di sotto delle differenze lessicali, comuni a tutte le lingue, modi di significare fondati sulla trama stessa dell'essere (per un tentativo di interpretazione di questo contrasto cfr. Grayson 1965).", "labels": [[5, 16, "PER"], [82, 92, "WORK_OF_ART"], [190, 192, "WORK_OF_ART"], [522, 528, "LOC"], [530, 545, "PER"], [547, 563, "PER"], [571, 578, "LOC"], [580, 598, "PER"], [828, 835, "PER"]]} +{"text": "la dialettica è pienamente (perfettamente\") espressa (\"compilata\") e conclusa (\"terminata\") in quei determinati testi (\"in quello tanto testo\") che formano l' Organon aristotelico. Con il termine Ars Vetus (\"Arte Vecchia\") si indicavano i primi trattati dell' Organon (Categorie e De interpretatione, preceduti dalla Introduzione di Porfirio) che erano sempre rimasti a disposizione del mondo latino. L' Ars Nova (\"Arte Nuova\") comprendeva invece le opere tradotte alla fine del XII secolo: Analitici Primi e Secondi, Topici, Confutazioni sofistiche.", "labels": [[197, 206, "WORK_OF_ART"], [261, 268, "WORK_OF_ART"], [270, 279, "PER"], [282, 300, "WORK_OF_ART"], [334, 342, "PER"], [405, 413, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la Dialettica, in misura molto maggiore che ogni altra scienza, utilizza argomenti non dimostrativi in assoluto, ma solo probabili, ed in alcuni casi anche studiatamente fallaci. (sofistici\") e quindi non mostra sempre lo splendore della verità. La caratterizzazione dantesca non è in sintonia con la concezione, sostenuta da Agostino e ripresa da un \"dialettico\" come Abelardo, che fa della Dialettica la scienza della verità e la madre di tutte le scienze (sono piuttosto la critica e la satira della Dialettica che sottolineano il suo carattere ingannatore o comunque inutilmente complicato). E' vero che, con la conoscenza completa dell' Organon aristotelico, si tenderà a distinguere tra logica e dialettica, facendo della seconda una parte della prima e più precisamente quella che argomenta partendo da proposizioni solo probabili e le cui regole sono trattate nei Topici. Ma in questo schema essa non potrebbe ovviamente coincidere, come afferma Dante, con l'insieme degli scritti logici di Aristotele (che, sia detto tra parentesi, non risulta affatto quantitativamente il minore tra tutti i testi fondativi delle scienze). Inoltre non mi risulta che qualcuno abbia posto nella caratterizzazione della Dialettica l'uso delle argomentazioni sofistiche: compito di questa scienza, nelle Confutazioni sofistiche, è semmai quello non di \"velare\" ma di svelare le fallacie. Può darsi che Dante si riferisca alle concrete \"disputazioni de' filosofanti\" in cui argomenti probabili ed argomenti sofistici potevano ed erano effettivamente utilizzati a favore e contro una posizione data.", "labels": [[3, 13, "WORK_OF_ART"], [326, 334, "PER"], [369, 377, "PER"], [392, 402, "WORK_OF_ART"], [503, 513, "WORK_OF_ART"], [872, 878, "WORK_OF_ART"], [954, 959, "PER"], [999, 1009, "PER"], [1212, 1222, "WORK_OF_ART"], [1295, 1318, "WORK_OF_ART"], [1393, 1398, "PER"]]} +{"text": "come esempio della doppia pervasività dell'aritmetica rispetto alle altre scienze Dante porta quello della Fisica (scienza naturale\"): suo campo di indagine (\"subietto\") sono i corpi soggetti a movimento (\"corpo mobile\"); essi di per sé hanno la proprietà di essere continui (\"ha in sé ragione di continuitade\". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15) ed ogni realtà continua ha la proprietà di essere divisibile all'infinito e dunque contiene in potenza un numero infinito di parti (\"e questa ha in sé ragione di numero infinito\". Cfr. Phys. IV 11, 219 a 10-15). Inoltre nella trattazione, per lei fondamentale (\"principalissima\"), dei principi primi costitutivi di ogni realtà naturale, la Fisica giunge alla conclusione che essi sono tre: materia, forma ed assenza (\"privazione\") di forma. Che oggetto della scienza naturale sia il corpo soggetto a movimento è affermazione presente in tutte le classificazioni delle scienze del XIII secolo (vedi per tutti Alberto Magno Physica I, tr. 1,.cap. 1, vol. I, p. 1, ll. 58 sgg.). Che essa debba ricercare i principi delle realtà naturali è dottrina aristotelica esposta specialmente nel primo libro della Fisica che si conclude con la dimostrazione che essi sono appunto tre (cfr. Phys. I 7, 190 b 29 - 191 a 2). Nel testo aristotelico questo numero non è casuale, ma rigorosamente dedotto (i principi non possono essere né più né meno di tre). Dante avrebbe potuto trovare altri esempi di numeri in un certo senso costitutivi delle realta che numerano: nel capitolo primo del primo libro del De caelo (a proposito delle tre dimensioni), nei capitoli 2 e 3 del secondo libro del De generatione (a proposito dei quattro elementi) e nel primo capitolo del terzo libro del De anima (a proposito dei cinque sensi).", "labels": [[82, 87, "PER"], [107, 113, "WORK_OF_ART"], [317, 321, "WORK_OF_ART"], [529, 533, "WORK_OF_ART"], [684, 690, "WORK_OF_ART"], [952, 965, "PER"], [1146, 1152, "WORK_OF_ART"], [1222, 1226, "PER"], [1386, 1391, "PER"], [1534, 1544, "WORK_OF_ART"], [1621, 1635, "WORK_OF_ART"], [1712, 1720, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che il numero sia infinito nel senso che ad ogni numero determinato preso grande a piacere è sempre possibile aggiungere una unità e che, per questa sua indeterminazione, sfugga alla comprensione umana era dottrina ricavata da Aristotele (cfr. Phys. I 4, 187 b 7) e comunemente accettata dai suoi commentatori medievali, almeno nel XIII secolo (proprio sui paradossi derivanti dal concetto di infinito si era basata la confutazione dell'eternità del mondo da parte di Bonaventura). Le caratteristiche che Dante fornisce dell'aritmetica non sono prive di problemi. L'affermazione che essa dà lume\" a tutte le altre scienze potrebbe sembrare moderna, ma non prefigura affatto né Galileo né Cartesio. E' solo un omaggio al versetto 21 di Sap 11, in cui si dice che Dio \"omnia disposuit numero, pondere et mensura\", testo giustificativo di tutti coloro che nei singoli numeri volevano trovare proprietà insite nella struttura del cosmo. I pochi tentativi medievali di matematizzare realmente l'universo (Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone) avevano preso a modello l'espansione della luce e si erano rivolti piuttosto alla geometria ed all'ottica. In ogni modo presentare per ben due volte l'infinito incomprensibile come 'propietade' dell'aritmetica non depone a favore della sua capacità di \"illuminare\".", "labels": [[227, 237, "PER"], [244, 248, "WORK_OF_ART"], [468, 479, "PER"], [505, 510, "PER"], [677, 684, "PER"], [688, 696, "PER"], [735, 738, "PER"], [1002, 1021, "PER"], [1023, 1037, "PER"]]} +{"text": "Dante presenta come seconda proprietà di Marte quella di disseccare e bruciare, secondo quanto detto nel Quadripartito, l'opera astrologica dell'astronomo Tolomeo (Mars proprie desiccat et per vim sue nature comburit\" tr. I, cap. 4, f. 9va ) e di questo è segno il suo colore infuocato (\"pare affocato di calore\"). Ma, nel parallelismo con la musica, quello che conta è la capacità di attirare a sé i vapori atmosferici, quei vapori che, seguendo l'astro, lo fanno apparire più o meno rosso a seconda della loro maggiore o minore densità (\"spessezza e raritade\". Alla capacità attrattiva di Marte riguardo ai vapori si fa riferimento nella profezia di Vanni Fucci in If XXIV, 145 \"Tragge Marte vapori in Val di Magra\". Che la presenza dei vapori nell'aria provochi mutamenti nella percezione del colore dell'oggetto verrà detto in maniera più articolata in Cv III ix 12). Nel primo libro dei Meteorologici (\"Metaura\" è la forma volgare del titolo Metheora, ma a volte anche Methaura, dato dalle traduzioni latine all'opera aristotelica. Si tratta non di un femminile singolare, ma di un neutro plurale) Aristotele indaga sulle comete e su altri fenomeni luminosi che appaiono nella parte superiore dell'atmosfera. Nella sua parafrasi Alberto Magno ne individua la natura e l'origine in vapori terrestri secchi che salgono fino al concavo della sfera del fuoco, lì si infiammano per autocombustione (\"per lor medesimi\") e secondo Al-Farghani si muovono seguendo il moto delle stelle. Ma il commentatore latino sembra preferire la precisazione di un altro astronomo-astrologo arabo, Albumasar, secondo cui tutti quei vapori, in quanto infuocati, sono della stessa natura di Marte e sono da lui causati ed attratti quando la stella è più forte nel produrre i suoi effetti, quando in linguaggio astrologico è \"dominante\" (\"sono effetti della segnoria di Marte\"). Il testo del Convivio dipende dunque in toto da Alberto (Meteora I tr. 3, cap. 5 ; tr. 4, cap. 9, pp. 28-29; 39-40). Questo vale anche per l'accenno alla morte dei re annunciata, secondo Albumasar, da questi fenomeni atmosferici (\"Vult tamen Albumasar quod etiam ista aliquando mortem regis et principum significant\").", "labels": [[0, 5, "PER"], [41, 46, "WORK_OF_ART"], [156, 163, "PER"], [165, 189, "WORK_OF_ART"], [655, 666, "PER"], [707, 719, "LOC"], [860, 862, "WORK_OF_ART"], [950, 958, "WORK_OF_ART"], [1106, 1116, "PER"], [1237, 1250, "PER"], [1435, 1443, "PER"], [1584, 1593, "PER"], [1855, 1860, "PER"], [1877, 1885, "WORK_OF_ART"], [1912, 1919, "PER"], [2054, 2063, "PER"]]} +{"text": "Seneca perciò dice. La citazione non è diretta, ma ancora una volta attinta dalla parafrasi di Alberto ai Meteorologici (I, tr. 4 cap. 9, p. 40, ll. 10-11) Unde Seneca dicit quod circa excessum divi Augusti vidit speciem pileae igneae\" Il brano di Seneca relativo a questo prodigium è in Quaestiones Naturales I i 2-3 (cfr. Toynbee, pp. 39-40)", "labels": [[0, 6, "PER"], [95, 119, "PER"], [162, 168, "PER"], [249, 255, "PER"], [289, 310, "WORK_OF_ART"], [326, 333, "PER"]]} +{"text": "il principio della destruzione\" non può essere per Dante altro che il \"trasmutamento\" avvenuto con l'entrata di Carlo di Valois e la sconfitta dei Bianchi (da osservare che il \"trasmutamento di regni\" è un'aggiunta di Dante non presente nel testo di Alberto). L'apparizione nel cielo notturno di Firenze di una croce infuocata pochi giorni dopo l'entrata in città di Carlo (inizi del novembre 1301) è raccontata nella sua Cronica (II xix 85, p. 67 ) da un altro degli sconfitti, Dino Compagni. Anch'egli la interpreta ovviamente come presagio negativo, segno dell'ira divina contro Firenze.", "labels": [[52, 57, "PER"], [113, 128, "PER"], [148, 155, "PER"], [219, 224, "PER"], [251, 258, "PER"], [369, 374, "PER"], [425, 432, "WORK_OF_ART"], [482, 495, "WORK_OF_ART"], [585, 592, "LOC"]]} +{"text": "si tratta del Quadripartito di Tolomeo, già citato nel paragrafo precedente, che Dante traduce quasi alla lettera (cfr. tr. I, cap. 4: Jovis autem virtutis opus est complexionis temperate et locus sui motus est medianus inter frigiditatem Saturni et calorem Martis\", f. 9 rb).", "labels": [[31, 38, "PER"], [81, 86, "PER"], [240, 265, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come Giove si muove trovandosi delimitato da due orbite che gli sono contrarie per qualità la Geometria argomenta (metaforicamente si muove\") avendo come termini in basso (\"principio\") e in alto (\"fine\") due entità che vanno contro la sua natura (\"repugnanti ad essa\"). Si tratta del punto e del cerchio (\"sì come il punto e il cerchio\"), intendendo per cerchio in senso lato (\"largamente\") ogni corpo rotondo, sia bidimensionale (\"superficie\") che tridimensionale (\"corpo\", cioè sfera). La definizione di punto apre infatti gli Elementi di Euclide, il testo base della Geometria per il tardo medioevo (\"il principio di quella\") ed i problemi relativi alla iscrizione di solidi nella sfera li chiudono. Che il cerchio e la sfera siano figure perfettissime è piuttosto dottrina aristotelica (cfr. De caelo II 4, 283 a 23-26; 286 b 13-25) e di Agostino (De quantitate animae xi 17, p. 151). Ovviamente ciò che è perfetto è fine non solo come limite, ma soprattutto come perfezione a cui si tende (\"conviene però avere ragione di fine\"). Punto e cerchio contrastano con la esattezza caratteristica della Geometria , il primo perché, essendo indivisibile, sfugge alla misura e quindi alla comprensione (\"per la sua indivisibilità è immensurabile\"), il secondo perché non è mai riducibile geometricamente ad un quadrato equivalente (\"è impossibile a quadrare perfettamente\"). Infatti, per quanto si aumenti il numero dei lati di un poligono inscritto ad un cerchio dato, tra qualsiasi coppia di angoli contigui i cui vertici toccano due punti della circonferenza si avrà sempre una corda cui corrisponderà un arco di cerchio non pienamente riducibile a segmento di linea retta (\"per lo suo arco è impossibile misurare\"). Lo stesso avverrebbe per un poligono circoscritto (in questo caso i punti di contatto con la circonferenza non sono i vertici degli angoli, ma i punti medi dei lati). La quadratura del cerchio risulta dunque un processo di approssimazione all'infinito e come tale non misurabile e non padroneggiabile da parte dell'intelletto. Il testo di Dante risulta pienamente comprensibile tramite il Commento di Tommaso al passo di Phys. I 2, 185 a 14-17 dove Aristotele accenna appunto alla quadratura del cerchio (cfr. lectio 2, n. 18 \"Voluit enim quidam invenire aequale circulo dividendo circumferentiam circuli in multas partes et singulis partibus supponendo lineas rectas et sic ... aestimabat se invenisse figuram rectilineam aequalem toti circulo, cui facile erat invenire quadratum aequale ... Sed non sufficienter argumentabatur quia, licet illae decisiones consumerent totam circumferentiam circuli, non tamen figurae contentae a decisione circumferentiae et lineis rectis comprehendebant totam superficiem circuli\").", "labels": [[5, 10, "LOC"], [94, 113, "WORK_OF_ART"], [531, 539, "WORK_OF_ART"], [543, 550, "PER"], [572, 603, "WORK_OF_ART"], [799, 813, "WORK_OF_ART"], [846, 854, "PER"], [856, 879, "WORK_OF_ART"], [2059, 2064, "PER"], [2109, 2117, "WORK_OF_ART"], [2121, 2128, "PER"], [2141, 2145, "PER"], [2169, 2179, "PER"]]} +{"text": "ancora una volta la fonte di Dante è il Liber aggregationis di Alfragano (cap. XV, p. 131. Cfr. Toynbee, p. 67).", "labels": [[29, 34, "PER"], [41, 60, "WORK_OF_ART"], [64, 73, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "mancanza di accuratezza nel dimostrare o nell'osservare' .Cfr. Quadripartito tr. 1, cap.1, f. 3vb Illi qui eiciunt hanc scientiam... dant rationes, sed non sunt recte. ... Prima ratio in qua erraverunt in hoc est quod non inspexerunt in hac scientia, nec multi studuerunt in ea sicut debebant, quoniam est grandis valde et multarum viarum ... et error quo errant aliqui in hac scientia non est ex artis debilitate, sed eius qui se intromittit de ea\". Probabilmente Dante ha presente il Commento di Ali ibn Ridwan, che parla proprio di negligentia: \"Ptolomeus destruit rationem illorum ... dicens quod error quod accidit aliquibus astrologis non est ex debilitate artis, sed ex pigritia et negligentia aliquorum qui se intromittunt de ea\" (ivi, f. 4ra)", "labels": [[466, 471, "PER"], [487, 495, "WORK_OF_ART"], [499, 513, "PER"]]} +{"text": "la gente comune, non istruita'. Cfr. le Derivationes di Uguccione da Pisa, s. v. Gala, G 14, 19, p. 506) Et per compositionem a gala et xios, quod est circulus dicitur hic galaxios, vel galaxia, id est lacteus circulus qui vulgo dicitur via Sancti Jacobi\" La tradizione popolare trovava in qualche modo una giustificazione in Uguccione stesso che aveva collegato i termini galaxia e Galitia tramite la radice comune Gala (G 14, 4). Ora la \"via di Sa' Jacopo\" è il Cammino di Santiago, l'itinerario del celebre pellegrinaggio alla tomba dell'apostolo, Giacomo il Maggiore, il \"baron di Galizia\", appunto.", "labels": [[40, 65, "WORK_OF_ART"], [75, 85, "WORK_OF_ART"], [242, 255, "PER"], [327, 336, "PER"], [385, 392, "WORK_OF_ART"], [449, 459, "WORK_OF_ART"], [466, 485, "LOC"], [553, 572, "PER"], [587, 594, "LOC"]]} +{"text": "il testo di Dante dipende direttamente dal capitolo diciannovesimo del Liber aggregationis, pp. 139-140. Cfr. Toynbee, p. 69) Dicamus ergo quod sapientes probaverunt omnes stellas fixas quarum experientia per instrumenta fuit possibilis usque ad ultimum quod apparuit eis a parte meridiei in climate tertio ... Omnes igitur quae consideratione sunt comprehensae sunt 1022 stellae\" (\"che appare lor in meridie\": 'che hanno potuto vedere spingendosi a sud per quanto possibile'). Che questi savi fossero Egizi poteva essere dedotto dai testi in cui Aristotele ed i suoi commentatori sottolineavano come i sapienti di Egitto e di Babilonia avessero accumulato un patrimonio di osservazioni astronomiche (cfr. De caelo II 12, 292 a 7 sgg. e la corrispondente parafrasi di Alberto Magno II tr. 3, cap. 13, p. 171, ll. 59-65).", "labels": [[12, 17, "PER"], [71, 90, "WORK_OF_ART"], [503, 508, "LOC"], [548, 558, "PER"], [628, 637, "LOC"], [771, 784, "PER"]]} +{"text": "non si tratta del capitolo quinto del primo libro della Fisica (dove non si parla delle diverse specie di movimento), ma proprio del libro quinto della Fisica, che qui viene indicata nel suo insieme come primo libro. Infatti, nelle classificazioni medievali i Libri naturali di Aristotele (e quindi la Fisica in senso lato) comprendono diverse opere (De caelo, De generatione, Meteorologica etc.) di cui la Fisica in senso stretto (indicata a volte con il nome specifico di Naturalis auscultatio) è appunto il primo. Cfr. Phys.. V 1, 225 b 6-9; 2, 226 a 26-33).", "labels": [[56, 62, "WORK_OF_ART"], [152, 158, "WORK_OF_ART"], [278, 288, "PER"], [302, 308, "WORK_OF_ART"], [352, 360, "WORK_OF_ART"], [362, 376, "WORK_OF_ART"], [378, 391, "WORK_OF_ART"], [408, 414, "WORK_OF_ART"], [475, 496, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la rassegna delle opinioni relative alla natura della Galassia pone qualche problema, aggravato dallo stato lacunoso del testo. Che i Pitagorici abbiano collegato la nascita della Via Lattea al mito della caduta di Fetonte (si mossero dalla favola di Fetonte\"), conosciuto da Dante attraverso Ovidio Metamorfosi II 35 sgg, è detto nel cap. 8 del primo libro dei Meteorologici (345 a 13-b 12). Ad alcuni di essi (ma non a tutti) Aristotele attribuisce l'opinione che la Galassia fosse la traccia della combustione provocata dal sole che una qualche volta (\"alcuna fiata\") uscì dalla sua orbita (\"errò nella sua via\") investendo zone del cielo incapaci di sopportare il suo calore senza esserne alterate (\"parti non convenienti allo suo fervore\". Cfr anche il Commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 78). La lacuna del testo non ci permette di sapere come Dante avesse riassunto le opinioni di Anassagora e di Democrito presentate dal testo aristotelico. La menzione dei raggi solari riflessi (\"ripercussi\") in quella parte del cielo come causa dell'apparire della Galassia si riferisce invece ad una terza opinione menzionata in maniera anonima da Aristotele (a ragione, dunque, l'editrice ha congetturato qui una lacuna). Nell'interpretazione datane da Alberto, il lumen non si identificherebbe con i raggi solari, ma con il lumen stesso delle stelle riflesso dall'aria umida che, trovandosi sotto il cielo stellato, funge quasi da specchio (cfr. Meteora I, tr. 2, cap. 4, p 21, ll. 4-16). E' stato osservato che il testo più vicino a quello del Convivio si trova in Averroè, che appunto interpreta il raggio riflesso come raggio del sole (cfr. Meteorologica I, c. 3, f. 412 E \"Galasia est vestigium causatum ex reflexione radii solis ab aere ad illum locum\"). A mio avviso, però, è arduo pensare a un Dante che compone avendo sotto gli occhi contemporaneamente il testo di Aristotele, la parafrasi di Alberto e il Commento di Averroè (e questo per un brano tutto sommato di secondaria importanza).", "labels": [[134, 144, "WORK_OF_ART"], [180, 190, "LOC"], [215, 222, "PER"], [251, 258, "PER"], [276, 281, "PER"], [293, 299, "PER"], [430, 440, "PER"], [471, 479, "LOC"], [762, 770, "WORK_OF_ART"], [774, 781, "PER"], [856, 861, "PER"], [895, 905, "PER"], [911, 920, "PER"], [1066, 1074, "WORK_OF_ART"], [1150, 1160, "PER"], [1256, 1263, "PER"], [1556, 1564, "WORK_OF_ART"], [1577, 1584, "PER"], [1656, 1669, "WORK_OF_ART"], [1815, 1820, "PER"], [1887, 1897, "PER"], [1915, 1922, "PER"], [1928, 1936, "WORK_OF_ART"], [1940, 1947, "PER"]]} +{"text": "respinsero mediante argomenti aventi forza di dimostrazione'. Mi sembra impossibile interpretare il verbo riprovare\" come un rafforzativo di \"provare\". Sono quindi d'accordo con l'edizione Brambilla Ageno nel ritenere che il testo presenti una lacuna relativa a chi ha riprovato le tesi di Pitagora, di Anassagora e di Democrito, probabilmente lo stesso Aristotele integrato dalla parafrasi di Alberto Magno (cfr. Physica I, tr. 2, capp. 2-4, pp. 19-21).", "labels": [[189, 198, "PER"], [290, 298, "PER"], [303, 313, "PER"], [319, 328, "PER"], [354, 364, "PER"], [394, 407, "PER"], [414, 421, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la nova translatio è quella condotta direttamente sul testo greco da Guglielmo di Moerbeke intorno agli anni '60 del XIII secolo.", "labels": [[69, 90, "PER"]]} +{"text": "trattiene e quindi riflette la luce' (si tratta della stessa spiegazione usata nel caso delle macchie lunari). In questa parte Dante è tributario della parafrasi di Alberto Magno che utilizza quasi alla lettera, sia pur omettendo le parti più tecniche: I, tr. 2, cap. 6, p. 22, ll. 43-45 Pars illa orbis est spissior, et ideo retinens et repraesentans lumen solis\"; ivi, cap. 5, ed. Hossfeld, p. 21, ll. 47-4 \"nihil aliud autem est Galaxia nisi multae stellae parvae contiguae in illo loco orbis\"; ivi, c. 6, p. 22, ll. 51-53 \"Et haec est sententia Ptolomaei et Avicennae et etiam Aristotilis\" . Ma Dante non poteva riprendere da Alberto il discorso sulle due traduzioni dato che il domenicano tedesco utilizza la Vecchia e non conosce la Nuova. Che l'autore del Convivio avesse, o anche avesse avuto a disposizione le due traduzioni e le avesse effettivamente confrontate mi pare ipotesi azzardata, tanto più che, come giustamente nota Ricklin , il testo dato dalla Nova non dice esattamente quello che gli fa dire Dante. Nel suo Commento ai Meteorologici, un maestro delle arti della fine del '200, Radulphus Brito (Raoul le Breton), discutendo della natura della Galassia cita la posizione di Alberto e contemporaneamente nota: \"De ista quaestione est diversitas, et hoc provenit ex contrarietate duorum translationum, videlicet Nove Translationis et Antique\", dando della Nova un riassunto molto simile a quello del Convivio \"Propter multitudinem multarum stellarum in illo circulo existentium ... elevatur sursum magna exalatio calida et sicca\". Cito dal ms. Firenze, Conventi Soppressi E.1.252 che proviene dalla biblioteca di un convento fiorentino, quello di Santa Maria Novella. Purtroppo il codice sembra posteriore agli anni fiorentini di Dante (cfr. Pomaro 1980, pp. 389-391). Si può sospettare però che i termini del problema siano stati acquisiti da Dante proprio assistendo a lezioni sui Meteorologici, o comunque avendone a disposizione la trascrizione. In ogni caso il Convivio risulta piuttosto originale nell'accettare la teoria presentata nella Vetus (che è poi anche quella che più si avvicina alla verità), mentre essa era stata quasi del tutto soppiantata da quella della Nova (accettata anche da Radulphus Brito). Non si è troppo malevoli nel pensare che essa meglio si prestava alle \"comparazioni\" che stavano a cuore a Dante.", "labels": [[127, 132, "PER"], [165, 178, "PER"], [435, 479, "WORK_OF_ART"], [586, 597, "PER"], [604, 609, "PER"], [635, 642, "PER"], [719, 726, "WORK_OF_ART"], [744, 749, "WORK_OF_ART"], [768, 776, "WORK_OF_ART"], [943, 950, "PER"], [974, 978, "WORK_OF_ART"], [1023, 1028, "PER"], [1038, 1046, "WORK_OF_ART"], [1108, 1123, "PER"], [1125, 1140, "PER"], [1173, 1181, "LOC"], [1203, 1210, "PER"], [1339, 1368, "WORK_OF_ART"], [1383, 1387, "WORK_OF_ART"], [1427, 1435, "WORK_OF_ART"], [1573, 1580, "LOC"], [1582, 1608, "LOC"], [1676, 1695, "LOC"], [1759, 1764, "PER"], [1771, 1777, "PER"], [1873, 1878, "PER"], [1912, 1925, "WORK_OF_ART"], [1995, 2003, "WORK_OF_ART"], [2074, 2079, "WORK_OF_ART"], [2204, 2210, "WORK_OF_ART"], [2230, 2245, "PER"], [2355, 2360, "PER"]]} +{"text": "come, nel caso della Galassia, non possiamo (potemo\") vedere direttamente le stelle che la compongono e solo mediante il loro effetto (\"se non per lo effetto loro\") postuliamo mentalmente la loro esistenza (\"intendiamo quelle cose\"), analogamente (\"simigliantemente\") nel caso della Metafisica, non possiamo conoscere Dio e le sostanze separate (\"le prime sustanze\") direttamente ma solo attraverso (\"per\") i loro effetti (nel caso specifico, il movimento dei cieli ; cfr. Cv II iv 16-17). Quale fosse l'effettivo oggetto della Metafisica, se l'essere in quanto essere, come affermato in Metaph. IV 1 o Dio e le sostanze separate, come altrettanto esplicitamente detto in Metaph. VI 1, era stato oggetto di un lungo dibattito tra i commentatori arabi e latini. In ogni caso, anche scegliendo, come la maggior parte aveva fatto, la prima opzione, le sostanze eterne e incorruttibili, cause di tutti gli altri enti, rimanevano un capitolo importante della riflessione metafisica (cfr. Zimmermann 1965) Per altro Dante stesso nelle numerose citazioni presenti nel Monarchia si riferirà alla Metafisica come alla scienza che ha come oggetto l'essere in quanto tale: I xii 8 \"Illud est liberum quod suimet et non alterius gratia est, ut Philosopho placet in iis quae de simpliciter ente\" (cfr. I xiii 3, 15; III xiv 6).", "labels": [[283, 293, "ORG"], [473, 475, "WORK_OF_ART"], [528, 538, "WORK_OF_ART"], [588, 594, "WORK_OF_ART"], [672, 678, "WORK_OF_ART"], [984, 994, "PER"], [1011, 1016, "PER"], [1090, 1100, "WORK_OF_ART"], [1234, 1244, "PER"]]} +{"text": "'considerandole nelle loro caratteristiche comuni' (in questo caso Dante, a differenza di prima si riferisce non al complesso degli scritti naturalistici di Aristotele, ma proprio agli otto libri della Fisica che trattano in generale del corpo soggetto al movimento e che Ruggero Bacone aveva chiamato i Communia naturalium).", "labels": [[67, 72, "PER"], [157, 167, "PER"], [202, 208, "WORK_OF_ART"], [272, 286, "PER"], [304, 323, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "iniziarono ad esistere per un diretto atto creativo di Dio e quindi, a differenza delle altre realtà, non cesseranno mai di esistere'. Che le realtà incorruttibili (intelligenze separate e cieli) siano state prodotte da una diretta azione divina non è dottrina di Aristotele, ma piuttosto di Avicenna. Dante la riproporrà nel ventinovesimo canto del Paradiso (vv. 22-36). Per il filosofo arabo e per molti commentatori latini di Aristotele che a lui si rifanno il cominciamento\" non ha però un valore temporale. Dio crea, ma crea dall'eternità.", "labels": [[264, 274, "PER"], [292, 300, "PER"], [302, 307, "PER"], [351, 359, "WORK_OF_ART"], [430, 440, "PER"]]} +{"text": "ha una chiara analogia con la filosofia morale'. L'ordine in cui Dante pone le scienze, con l' Etica al punto finale della classificazione, è abbastanza inusuale rispetto agli schemi normali, ma non così isolato come si è creduto. Esso risale al De divisione scientiarum di Alfarabi disponibile ai Latini nella traduzione di Gerardo da Cremona (cfr. Nardi 1944, pp.213-214) e proprio negli anni di Dante era stato ripreso a Firenze da Remigio dei Girolami in una sua predica (cfr. Panella 1979, pp. 46-47). Alberto Magno, nella parafrasi dell' Etica, aveva detto che la scientia moralis eccelleva su tutte le altre e che giustamente Avicenna, nella sua enciclopedia delle scienze, ne aveva fatto il completamento della Metafisica stessa (ma di un primato dell' etica avevano già parlato i commentatori a lui anteriori: vedi Zavattero 2010). Nell'utilizzazione di questo schema da parte del Convivio gli studiosi, a partire dal magistrale saggio di E. Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 100-113) hanno visto la spia di un vero e proprio spostamento di asse culturale. Dante, cioè, facendo dell'etica e non della metafisica la regina delle scienze profane, riorienterebbe il sapere delle scuole subordinandolo ad un progetto di riforma etico-politica rivolto ad un pubblico di laici (cfr. ultimamente Cheneval 1998). Che le intenzioni di Dante vadano in questa direzione non è dubbio. Nel caso specifico, però, le motivazioni da lui addotte per spiegare come all' Etica tocchi il cielo più alto dopo l'Empireo si fondano esclusivamente su una caratteristica esterna: il compito, che le è proprio, di orientare e salvare\" le altre scienze, mentre niente ci vien detto al livello di un rapporto tra contenuti. In questo Dante si avvicina ad autori come Giovanni di Jandun, Alberto Magno, Ruggero Bacone e lo stesso Tommaso, citati sia da Nardi che dal Commento Vasoli, sostenitori del carattere \"architettonico\" e ordinatore dell'etica-politica rispetto agli altri campi del sapere, sulla base di quanto ESPLICITAmente affermato da Aristotele in Eth. Nic. I 1, 1094 a 27-b 2. Essi peraltro, e tutti i commentatori della Metafisica che trovavano nel testo aristotelico una possibile minaccia alla supremazia della Filosofia Prima, avevano operato una distinzione tra l' ordinare quanto all'uso di una cosa e l' ordinare quanto alla struttura stessa di una cosa: solo il primo appartiene all' Etica. Del resto anche nel Convivio la Metafisica continuerà ad essere la scienza in cui la Filosofia \"con più fervore termina il suo viso\" e la vita contemplativa, basata sulle virtù intellettuali continuerà ad essere giudicata superiore a quella fondata esclusivamente sulle virtù morali (cfr. Cv III xi 16; IV xvii 11-12).", "labels": [[65, 70, "PER"], [95, 103, "MISC"], [247, 271, "WORK_OF_ART"], [275, 283, "PER"], [327, 345, "PER"], [352, 357, "PER"], [400, 405, "PER"], [426, 433, "LOC"], [437, 457, "LOC"], [483, 490, "PER"], [509, 522, "PER"], [546, 551, "WORK_OF_ART"], [635, 643, "PER"], [721, 731, "LOC"], [827, 836, "PER"], [893, 901, "WORK_OF_ART"], [951, 960, "PER"], [963, 970, "WORK_OF_ART"], [1062, 1067, "PER"], [1294, 1302, "PER"], [1331, 1336, "PER"], [1459, 1471, "MISC"], [1497, 1504, "PER"], [1713, 1718, "PER"], [1746, 1764, "PER"], [1766, 1779, "PER"], [1781, 1795, "PER"], [1808, 1815, "PER"], [1831, 1836, "PER"], [1845, 1860, "WORK_OF_ART"], [2025, 2035, "PER"], [2039, 2042, "WORK_OF_ART"], [2115, 2125, "WORK_OF_ART"], [2208, 2223, "WORK_OF_ART"], [2386, 2391, "WORK_OF_ART"], [2413, 2421, "WORK_OF_ART"], [2425, 2435, "WORK_OF_ART"], [2683, 2685, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta piuttosto del Commento al primo libro, lectio 2, nn. 26-27.", "labels": [[24, 32, "PER"]]} +{"text": "in realtà, come abbiamo visto, il testo aristotelico in cui si afferma che uno dei compiti della scientia civilis è stabilire quali scienze siano da coltivare nelle città e fino a qual punto non si trova nel quinto libro dell' Etica Nicomachea (che parla effettivamente della giustizia legale politica), bensì nel primo (I 1, 1094 a 27- b 2) e si riferisce non alla scienza morale in senso stretto, ma più in generale a quella politica; inoltre la citazione non è letterale (Aristotele non parla del pericolo che le scienze siano abbandonate). Possiamo pensare ad una contaminazione (se lo studio delle scienze è prescritto dalla scienza politica, lo sarà attraverso leggi, e della giustizia politica tratta il quinto libro dell' Etica Nicomachea), che produce una forzatura del testo.", "labels": [[227, 243, "WORK_OF_ART"], [475, 485, "PER"], [730, 746, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per renderci conto di questo, ammettiamo per ipotesi che. Calco dal latino universitario 'unde ponamus quod'. Dante specifica le conseguenze di un' ipotetica cessazione del movimento del Primo Mobile: il cielo delle stelle fisse, se privo del moto diurno, avrebbe solo quello, lentissimo, lungo lo Zodiaco. Dalla creazione del mondo avrebbe percorso solo 65 gradi della sua orbita (6.500 anni diviso 100, il numero degli anni, ricordiamolo, necessari per procedere di un grado). Sommandoli ai 180 corrispondenti alla volta stellata visibile fin dal primo giorno si arriva a 245. Poiché l'intero è di 360 gradi, poco meno di un terzo rimarrebbe ancora invisibile ad ogni luogo della terra. Anche i pianeti si muoverebbero solo lungo l'eclittica: così essi rimarrebbero nascosti ai due emisferi per la metà del tempo impiegato a compiere la loro orbita, per il tempo, cioè, in cui viene percorsa la semisfera celeste opposta; il movimento del Cristallino, invece, fa loro percorrere ogni giorno tutta la volta celeste (i valori numerici si ottengono appunto dimezzando per ogni pianeta il tempo necessario per percorrere interamente lo Zodiaco, così come fornito da Alfragano. Vedi il rimando al Liber aggregationis in Toynbee, pp. 71-2).", "labels": [[110, 115, "PER"], [187, 199, "WORK_OF_ART"], [299, 306, "WORK_OF_ART"], [480, 490, "PER"], [945, 956, "PER"], [1138, 1145, "PER"], [1168, 1177, "PER"], [1198, 1217, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta evidentemente della teologia, che sta al vertice delle scienze come l'Empireo sta al vertice del cosmo. In questa gerarchia Dante accetta pienamente il punto di vista corrente, condiviso sia dai filosofi che dai teologi (basterà per tutti rinviare al De regimine principum di Egidio Romano, II ii 8, p. 308). La teologia di cui parla il Convivio, che non ammette contrasti di dottrina o uso litigioso dell'argomentazione, (non soffera lite alcuna d'oppinione o uso di sofistici argomenti\") è però molto diversa da quella esercitata ed anche teorizzata nelle aule universitarie o negli Studi conventuali, che lungi dall'escludere ogni discussione, proprio della disputa usava come di uno strumento privilegiato: \"l'eccellentissima certezza\" del suo oggetto (\"subietto\") sostenuta non solo da Dante, ma da tutti i professori di teologia non impediva affatto che ci fossero opinioni contrastanti di singoli e di scuole sostenute con tutti gli argomenti possibili (sì, proprio le \"liti d'oppinioni\"). Nel tumultuoso panorama dell'Università di Parigi della seconda metà del '200 non c'è molto posto per la pace teologica. Dante ha conosciuto questo tipo di teologia, e non lo ha apprezzato: nel Paradiso Beatrice parlerà con poca simpatia delle \"vostre scole\" dove \"per apparer ciascun s'ingegna e face / sue invenzioni\" (che possono ben corrispondere agli argomenti sofistici, argomenti apparenti per eccellenza) e si dorrà che sulla terra si vada filosofando per più di un sentiero: cfr. Pd XXIX 85-95 dove trattandosi nello specifico di problemi legati alla natura degli angeli, quel \"filosofando\" vale un \"teologizzando\" (cfr. Nardi 1966, p. 42). Bisognerà allora sottolineare come Dante non adoperi qui, e neppure in alcun altro passo del Convivio il termine \"teologia\". L' espressione \"scienza divina\" risale sicuramente ad Aristotele che così aveva definito la Metafisica in quanto conoscenza posseduta in primo luogo da Dio stesso (cfr. Metaph. I 2, 983 a 5-7) e questo sembra anche il significato in cui la usa Dante: essa infatti coincide totalmente, per l'uomo viator, con i contenuti della fede (la 'fides quae creditur'), cioè con la dottrina lasciata ai discepoli da Cristo (\"dando e lasciando a loro la sua dottrina, che è questa scienza di cui parlo\". La citazione è da Io 14, 27); se essa fa \"perfettamente il vero vedere\", se in questa visione la nostra anima si acquieta (\"si cheta\") e trova definitivamente pace è perché in qualche modo essa anticipa qui in via la condizione dei beati in patria dove solo si vede \"pura / la verità che là giù si confonde\" (è ancora Beatrice che parla, Pd XXIX 73-74). Tra questo tipo di conoscenza e la filosofia non risulta alcun rapporto di integrazione o di subordinazione: i due ambiti rimangono del tutto distinti anche se, in qualche modo, i limiti del sapere filosofico umano sembrano racchiudere un appello alla visione completa della verità donata per grazia. Come l' Empireo fa parte e non fa parte del cosmo, perché è un luogo-non luogo, così la teologia vagheggiata da Dante chiude il sistema delle scienze essendone sostanzialmente diversa. A questo proposito rimangono fondamentali le notazioni di Etienne Gilson (Gilson¹ 1939, pp. 114-122 ) riprese da K. Forster nella voce Teologia in ED (vol. V, pp. 564-8).", "labels": [[80, 87, "PER"], [134, 139, "PER"], [261, 282, "WORK_OF_ART"], [286, 299, "PER"], [348, 356, "WORK_OF_ART"], [803, 808, "PER"], [1040, 1060, "WORK_OF_ART"], [1132, 1137, "PER"], [1205, 1213, "WORK_OF_ART"], [1214, 1222, "PER"], [1501, 1503, "WORK_OF_ART"], [1643, 1648, "PER"], [1698, 1703, "PER"], [1756, 1764, "WORK_OF_ART"], [1843, 1853, "PER"], [1881, 1891, "WORK_OF_ART"], [1958, 1964, "WORK_OF_ART"], [2033, 2038, "PER"], [2194, 2200, "PER"], [2299, 2301, "WORK_OF_ART"], [2600, 2608, "PER"], [2620, 2622, "WORK_OF_ART"], [2946, 2953, "PER"], [3050, 3055, "PER"], [3181, 3195, "WORK_OF_ART"], [3197, 3204, "WORK_OF_ART"], [3236, 3246, "PER"], [3258, 3272, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Ct 6, 7 Sexagintae sunt reginae et octoginta concubinae et adulescentularum non est numerus; una est columba mea, perfecta mea\" (nel testo del Cantico non sono presenti i termini \"amiche\" e \"ancelle\" aggiunti da Dante).", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [148, 155, "PER"], [217, 222, "PER"]]} +{"text": "essere libero significa essere padrone di se stesso (cfr Metaph. I 2, 982 b 25-26) e solo esercitando la razionalità l'uomo si possiede pienamente (vedi Cv III xiv 9-10)", "labels": [[58, 64, "WORK_OF_ART"], [154, 164, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come aveva affermato Alberto Magno (e prima di lui Averroè) il dimostrare è carattere distintivo della Filosofia (e dei filosofi). Ma esser conquistata dalle dimostrazioni della Filosofia e vivere sotto le sue regole (nelle sue condizioni\") significa per l'anima conquistare la libertà. (\"l'anima liberata\"). La metafora degli occhi della donna - dimostrazioni della filosofia tornerà in Cv. III xv 2 e IV ii 17.", "labels": [[21, 34, "PER"], [51, 58, "PER"], [103, 112, "WORK_OF_ART"], [388, 390, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come abbiamo già intravisto (cfr. Cv I xiii 12) e come vedremo ancora meglio in seguito (cfr. Cv IV vii 11-12), per Dante, d'accordo in questo con Averroè, con Sigieri di Brabante, e con 'molt'altri', l'uomo che non esercita a pieno la sua facoltà intellettiva è uomo solo all'apparenza, e la sua vita è, per dirla con le parole di Seneca citate da Sigieri di Brabante nel De anima intellectiva, una vivi hominis sepultura\" (cfr. De anima intellectiva, cap. IX, p. 112, l. 24).", "labels": [[34, 36, "WORK_OF_ART"], [94, 96, "WORK_OF_ART"], [116, 121, "PER"], [147, 154, "PER"], [160, 179, "PER"], [332, 338, "PER"], [349, 356, "PER"], [373, 394, "WORK_OF_ART"], [431, 452, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "piaceri bassi e miserabili', cioè tutti quelli che contrastano con l'attività dell'intelletto. Come scrive Boezio di Dacia la delectatio sensibilis\" è \"minor et vilior\" di quella intellettuale (cfr. De summo bono, p. 370).", "labels": [[107, 122, "PER"]]} +{"text": "comportamenti propri della massa, del volgo'. Sul contrasto tra le opinioni della massa e quella dei pochi relativamente alla felicità cfr. Eth. Nic. I 4, 1095 a 20-23; 5, 1095 b 16 sgg.", "labels": [[140, 143, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante ritiene miracolo\" sinonimo di cosa meravigliosa (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 101, n. 2763 \" hoc sonat nomen 'miraculi', quod scilicet sit de se admiratione plenum\") e meravigliose sono le cose che suscitano meraviglia in chi le osserva. Nell'interpretazione allegorica gli \"ornamenti\" di queste realtà consistono nello svelare le loro cause (\"vedere le cagioni di quelle\"). Proprio questo fa la Filosofia (\"le quali ella dimostra\"): questo infatti sembra voler dire (\"sentire\") Aristotele quando al principio della Metafisica dice che gli uomini cominciarono a filosofare (metaforicamente \"cominciaro ad innamorare di questa donna\") proprio per conoscere le cause di ciò che suscitava in loro meraviglia (\"per questi adornamenti vedere\"). In effetti nel secondo capitolo del primo libro della Metafisica (982 b 12-13) Aristotele pone l'inizio della riflessione filosofica nella meraviglia provata davanti ai fenomeni naturali \"Nam propter admirari coeperunt homines philosophari\". Meravigliarsi significa però non conoscere ancora la causa di ciò che ci colpisce. Filosofare è cercarla e scoprirla, cioè superare e dissolvere quel che costituiva la sua motivazione iniziale (cfr. Metaph. I 2, 982 b 13-18; 983 a 11-18).", "labels": [[0, 5, "PER"], [60, 67, "PER"], [69, 81, "WORK_OF_ART"], [502, 512, "PER"], [539, 549, "WORK_OF_ART"], [818, 828, "WORK_OF_ART"], [843, 853, "PER"], [1205, 1211, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che i termini filosofo\" e \"filosofia\" fossero stati usati per la prima volta da Pitagora era dottrina vulgata nel Medioevo: dalle Tusculanae Disputationes di Cicerone (V, 3, 8-9) infatti, era passata in un testo di amplissima diffusione come il De civitate Dei (VIII 2, p. 217. Cfr. Cv III xi 5. Cfr. anche il Commento di Tommaso a Metaph. I, lectio 3, n. 56).", "labels": [[80, 88, "PER"], [114, 122, "WORK_OF_ART"], [130, 154, "WORK_OF_ART"], [158, 166, "PER"], [246, 261, "WORK_OF_ART"], [284, 286, "WORK_OF_ART"], [311, 319, "WORK_OF_ART"], [323, 330, "PER"]]} +{"text": "nonostante (avvegna che\") la forza d'amore indebolisse in Dante la facoltà di soppesare e valutare secondo ragione le azioni da compiere (questo è il significato tecnico del \"consilio\" che il poeta confessa di aver poca capacità, \"poca potestade\" di padroneggiare), tuttavia (\"pure\"), o per intervento diretto di Amore o per piena e personale disponibilità (\"prontezza\"), egli ha discusso con se stesso cosa fare (\"ad esso m' accostai\") più e più volte (\"per più fiate\") finché (\"in tanto ... che\") non ebbe raggiunto una decisione. \"Deliberare\" è l'atto che deriva direttamente dal \"consigliarsi\". Tutta la terminologia è attinta dai capitoli 2 e 3 del terzo libro dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele esamina le componenti dell'azione volontaria e dal commento corrispondente di Tommaso.", "labels": [[58, 63, "PER"], [672, 688, "WORK_OF_ART"], [696, 706, "PER"], [785, 792, "PER"]]} +{"text": "si deve pensare ad una qualche forma di somiglianza'. Che l'amicizia si basi sulla somiglianza e l'uguaglianza è dottrina dell'etica aristotelica (cfr. Eth. Nic. VIII 8, 1159 b 2-3).", "labels": []} +{"text": "Dante fa riferimento ad alcuni elementi della dottrina aristotelica sull'amicizia. Nei capitoli settimo del libro ottavo e primo del libro nono dell' Etica Nicomachea (a quest'ultimo Dante rimanda in modo esplicito) Aristotele aveva concesso che, là dove le differenze non sono insormontabili (caso limite, quelle tra uomini e dei), è possibile anche amicizia tra inferiori e superiori (tra persone dissimili di stato\", diverse cioè per condizione sociale e politica) purché si introduca un correttivo: in questo tipo di amicizia, infatti, non si ha una relazione simmetrica in cui l'amico riceve in pari misura a quanto dà, ma bisogna, perché l'amicizia si conservi (\"a conservazione di quella\") che lo scambio sia proporzionato (\"conviene ... una proporzione essere intra loro\") in modo che chi è superiore riceva più di quanto non dia. Questa proporzione in qualche modo riconduce la differenza iniziale ad una somiglianza (\"che la dissimilitudine a similitudine quasi reduca\". Cfr. Eth. Nic. VIII 7, 1158b 23-28; IX 1, 1163 b 32-33). Nella Lettera a Cangrande Dante fonda su questa dottrina la possibilità di dichiararsi amico del Signore di Verona, inviandogli come dono adeguato la terza cantica della Commedia \"Itaque cum in dogmatibus moralis negotii amicitiam adaequari et salvari analogo doceatur, ad retribuendum pro collatis beneficiis plus quam semel analogiam mihi sequi votivum est \" (cfr. Ep. XIII 10-11, pp. 604-605).", "labels": [[0, 5, "PER"], [150, 166, "WORK_OF_ART"], [183, 188, "PER"], [216, 226, "PER"], [986, 989, "WORK_OF_ART"], [1044, 1063, "WORK_OF_ART"], [1064, 1069, "PER"], [1135, 1142, "PER"], [1208, 1216, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "un accenno alla possibile amicizia tra padrone e servo, non però in quanto servo, ma in quanto uomo, si trova in Eth. Nic. VIII 10, 1161 b 2-8. Precedentemente Aristotele aveva parlato dei possibili rapporti di amicizia tra governanti e governati (cfr. VIII, 7, 1158 b 13-14). Probabilmente Dante, in maniera analoga ad altri autori medievali, trascrive una relazione di tipo politico in termini di rapporti sociali, favorito in questo anche dalla traduzione latina (Altera amicitiae species ... puta ... omni imperanti ad imperatum\").", "labels": [[113, 116, "WORK_OF_ART"], [160, 170, "PER"], [291, 296, "PER"], [467, 491, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. De consolatione philosophiae II, prosa 1, 15, p. 30: Neque enim quod ante oculos situm est, suffecerit intueri\" ripreso dal Trésor di Brunetto Latini (II LX 2, p. 462).", "labels": [[129, 135, "PER"], [139, 154, "PER"]]} +{"text": "che ogni forma di amore sia una 'vis unitiva' è dottrina dello pseudo Dionigi Areopagita (De divinis nominibus 4 amorem sive divinum sive angelicum sive intellectualem sive animalem sive naturalem dicamus, unitivam quandam et concretivam intelligemus virtutem\" PG 3, p. 713 A; Dyonisiaca I, p. 224). I testi attribuiti a questo discepolo ateniese di Paolo (cfr. Cv II v 8), ma in realtà non anteriori al VI secolo dopo Cristo, trasmettevano al Medioevo una teologia sostanziata di elementi neo-platonici mutuati soprattutto da Proclo. La definizione dell' amor come forza di unione tra due cose era da qui passata sia in Alberto Magno che in Tommaso. La precisazione \"spirituale\" vuole operare una distinzione nei confronti della tradizione poetica e della trattatistica medica che, pur differenziandosi per molti aspetti, facevano comunque nascere l'amore dalla sensazione fisica e lo consideravano come una passione corporea.", "labels": [[70, 88, "PER"], [90, 110, "WORK_OF_ART"], [350, 355, "PER"], [362, 364, "WORK_OF_ART"], [419, 425, "PER"], [527, 533, "WORK_OF_ART"], [621, 634, "PER"], [642, 649, "PER"]]} +{"text": "a partire da qui e fino al paragrafo 8 Dante fornisce una complessa ed articolata spiegazione del processo di unione spirituale. L'amore così inteso ha come presupposto una grandiosa struttura metafisica, dal cui vertice, Dio, fluiscono insieme essere e bene. Le singole realtà che li ricevono ne partecipano tutte sia pure secondo gradi diversi e sono dunque buone e desiderabili. L'anima umana, che più riceve della natura divina che alcun'altra\" imita Dio desiderando per natura di permanere nell'essere; così facendo desidera essere unita a Dio per conservare la sua esistenza e poiché, come abbiamo visto, le altre realtà naturali partecipano della bontà divina, l'anima desidera unirsi anche a loro, e più con quelle che più ne partecipano. Il testo portato in campo da Dante è il Liber de causis (\"Libro di cagioni\") un riadattamento della Elementatio Theologica di Proclo, integrata con testi di Plotino, effettuato a Bagdad, nel circolo del primo filosofo arabo, Al-Kindi. L'opuscolo, (costituito da 31 proposizioni seguite da un commento, secondo il modello degli Elementi di Euclide) era stato tradotto in latino da Gerardo da Cremona a Toledo nella seconda metà del XII secolo (l'ipotesi che esso sia stato non solo tradotto, ma anche composto in Spagna è ormai comunemente respinta). Adottato nell'insegnamento filosofico universitario aveva avuto una diffusione larghissima ed era stato commentato dai maggiori rappresentanti del pensiero medievale: Alberto Magno, Sigieri di Brabante, Tommaso, Egidio Romano. Fino a quando Guglielmo di Moerbeke non tradusse nel 1268 l' Elementatio Theologica di Proclo e dette quindi modo a Tommaso di rilevarne la sorprendente parentela con il De causis, lo scritto fu generalmente attribuito ad Aristotele. Poiché in questo paragrafo del Convivio Dante traduce parola per parola parte della proposizione XIX (XX), p. 89 \"Et diversificantur bonitates et dona ex concursu recipientis\": \"E fannosi diverse le bontadi e i doni per lo concorrimento della cosa che riceve\" (stranamente questa citazione non è presa in considerazione dal Nardi nel suo lavoro sulle citazioni dantesche del Liber de causis. Vedi Nardi 1967, pp. 81-102), potremmo pensare ad una sua conoscenza diretta del testo (altra traduzione letterale di un'altra parte della medesima proposizione in Cv III vii 2-3.). Per altro in Cv IV xxi 9 un'altra citazione dal De causis sembra mediata da Alberto Magno.", "labels": [[39, 44, "PER"], [776, 781, "PER"], [787, 802, "WORK_OF_ART"], [847, 869, "WORK_OF_ART"], [904, 911, "PER"], [926, 932, "WORK_OF_ART"], [1074, 1082, "WORK_OF_ART"], [1086, 1093, "PER"], [1127, 1145, "PER"], [1148, 1154, "LOC"], [1259, 1265, "LOC"], [1464, 1477, "PER"], [1479, 1498, "PER"], [1500, 1507, "PER"], [1509, 1522, "PER"], [1538, 1559, "PER"], [1585, 1607, "WORK_OF_ART"], [1640, 1647, "PER"], [1694, 1703, "WORK_OF_ART"], [1746, 1756, "PER"], [1789, 1803, "WORK_OF_ART"], [2082, 2087, "PER"], [2134, 2149, "WORK_OF_ART"], [2156, 2161, "PER"], [2315, 2317, "WORK_OF_ART"], [2346, 2348, "WORK_OF_ART"], [2381, 2390, "WORK_OF_ART"], [2409, 2422, "PER"]]} +{"text": "l'affermazione generale che ogni effetto mantiene in sé (\"ritegna\") un qualcosa della natura della sua causa non è presente alla lettera nel Liber de causis, ma forse è derivabile dalla proposizione XVII (citata dal Vasoli e ripresa dallo Cheneval) in cui si dice che se ogni causa dà qualcosa al suo causato, l'essere primo darà a tutti gli enti l'essere.", "labels": [[141, 156, "WORK_OF_ART"], [239, 247, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "ne deriva la proprietà di essere in qualche modo circolare'. Dante dà alle affermazioni del De motibus di Alpetragio - Al-Bitruji una portata generale che esse non hanno: Alpetragio infatti, quando dice che il movimento circolare del cielo imprime al fuoco nella sua sfera un movimento anch'esso circolare, non sembra volerne fare il caso particolare di una legge universale (il testo del De motibus in Nardi 1967, pp. 161-162).", "labels": [[61, 66, "PER"], [92, 102, "WORK_OF_ART"], [106, 116, "PER"], [171, 181, "PER"], [389, 399, "WORK_OF_ART"], [403, 408, "PER"]]} +{"text": "il modo con cui le forme possiedono l'essere divino è quello della partecipazione\", un concetto genuinamente platonico, ripreso ed elaborato da Tommaso (cfr. il commento a Phys. I, lectio 15, n. 135: \"Omnis forma est quaedam participatio similitudinis divini esse\").", "labels": [[144, 151, "PER"], [172, 176, "PER"]]} +{"text": "quasi nello stesso modo in cui'. Il paragone con il rapporto tra il sole e gli altri astri rimanda ad alcuni testi in cui sia lo pseudo Dionigi Areopagita sia Alberto Magno presentano un parallelo tra il sole come fonte di luce e la causa prima come fonte di bene e di essere (cfr. De divinis nominibus 4 Etenim sicut noster sol ... per ipsum esse illuminat omnia participare lumine ipsius secundum propria rationem valentia, ita quidem et bonum super solem ... per ipsam essentiam omnibus existentibus proportionaliter immittit totius bonitatis radios\", PG 3, p. 693 B; Dionysiaca I, p. 149; De causis et processu universitatis I, tr. 1, cap. 10, p. 24, ll. 3-14 e soprattutto I, tr. 4, cap. 1, p. 43, ll. 14-23). In nessuno di questi, però, si parla di una partecipazione di natura.", "labels": [[136, 154, "PER"], [159, 172, "PER"]]} +{"text": "che Dio, per la sua stessa natura, voglia essere poteva in qualche modo leggersi nel Commento di Tommaso all' Etica Nicomachea IX, lectio 4, n. 1807 Unusquisque vult se esse inquantum conservatur id quod ipse est. Id autem quod maxime conservatur in suo esse, est Deus\".", "labels": [[85, 93, "WORK_OF_ART"], [97, 104, "PER"], [110, 129, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il rimando al già citato (allegato\") Liber de Causis è un esempio di come Dante utilizzi le sue auctoritates decontestualizzandole e in questo caso addirittura modificandole. La frase \"prima cosa è l'essere e anzi a quello nulla è\" traduce la quarta proposizione \"prima rerum creatarum est esse et non est ante ipsum creatum aliud\" (p. 54), ma, eliminando i termini \"creatarum\" e \"creatum\" ne modifica sostanzialmente il significato: l'essere non è più, come nel modello neoplatonico di Proclo, la prima produzione del Primo Principio, ma il primo Principio stesso, cioè Dio, che volendo se stesso, vuole essere (vedi Nardi 1967, pp. 95-97). L'anima umana, partecipando al massimo grado della natura divina, con tutte le sue forze (\"con tutto desiderio\") vuole anch'essa esistere. Ma proprio perché il suo essere dipende da Dio e per mezzo suo si mantiene (\"per quello si conserva\"; tutta la frase è calco, anche stilistico, di un topos diffusissimo nei testi filosofici universitari: 'res a Deo non solum sunt sed etiam conservantur in esse') essa, per potenziare (\"fortificare\") il proprio essere desidera mantenersi unita a Dio.", "labels": [[37, 52, "WORK_OF_ART"], [74, 79, "PER"], [487, 493, "WORK_OF_ART"], [519, 534, "WORK_OF_ART"], [618, 623, "PER"]]} +{"text": "per definire in maniera corretta il termine mente\" Dante riassume in questo paragrafo e nei seguenti la dottrina aristotelica sull'anima e le sue diverse facoltà, utilizzando sia il De anima, sia l' Etica Nicomachea, introducendo però, proprio per quel che riguarda la mente-intelletto, concetti e terminologia di tutt'altra tradizione filosofica . Il primo riferimento (\"lo Filosofo nel secondo dell'anima ... dice\") risulta da una semplificazione dei capp. 2 e 3 del secondo libro del De anima dove Aristotele formulando la definizione di anima, analizza le caratteristiche del vivente riassumendole infine nelle facoltà nutritiva, sensitiva, razionale e motrice (II 2, 413 b 10-13. Cfr. le Auctoritates Aristotelis, p. 178, n. 49) \"Anima est principium quo primo et principaliter vivimus, intelligimus, sentimus et movemur secundum locum\"). La dottrina di una identità sostanziale tra facoltà sensitiva e facoltà motrice (\"questa si può col sentire fare una\") non è presente nel testo aristotelico. Aristotele afferma però che la sensibilità, anche nelle sue forme più semplici (presenza tra tutti i sensi del solo tatto: \"o con alcuno solo\") è la condizione necessaria perché sia presente nel vivente la facoltà desiderativa (II 3, 414 b 1 sgg.) e nel terzo libro sembra riferire proprio a quest'ultima la capacità di muoversi localmente (III 10-11). Dante ha dunque operato un collegamento che, ancora una volta, risulta semplificativo rispetto alla complessità della trattazione aristotelica.", "labels": [[51, 56, "PER"], [182, 190, "WORK_OF_ART"], [199, 215, "WORK_OF_ART"], [375, 383, "PER"], [487, 495, "WORK_OF_ART"], [501, 511, "PER"], [693, 717, "LOC"], [1002, 1012, "PER"], [1355, 1360, "PER"]]} +{"text": "e stando a quello che afferma'. In questi due paragrafi Dante utilizza un lavoro di semplificazione e di schematizzazione già operato dall'insegnamento universitario nei confronti delle dottrine dello Stagirita : le tre facoltà sono ordinate tra loro (sono intra sé\") in modo che la prima e la più semplice (la vegetativa \"per la quale si vive\" che presiede cioè alle operazioni vitali fondamentali: nutrimento, crescita e riproduzione) è la condizione necessaria per l'esistenza (\"fondamento\") delle altre più complesse; presente in tutti i viventi, può esistere anche separata dalle altre (\"puote per sé esser partita\") e funzionare autonomamente come principio organizzatore della vita (è il caso delle piante: \"per sé puote essere anima, sì come vedemo nelle piante tutte\"). Più che al testo del De anima, il riferimento appropriato sembra essere ancora alle Auctoritates Aristotelis, p. 78, n. 50 \"Quattuor sunt potentiae animae principales, scilicet vegetativa, sensitiva et secundum locum motiva et intellectiva. Hae sic se habent adinvicem quod vegetativa potest esse absque sensitiva, sicut patet in plantis, et non e converso ... et tam secundum locum motiva quam sensitiva possunt esse sine intellectiva, ut patet in animalibus brutis et non e converso\".", "labels": [[56, 61, "PER"], [201, 210, "PER"], [800, 808, "WORK_OF_ART"], [863, 887, "LOC"]]} +{"text": "il rapporto di reciproca inclusione delle facoltà dell'anima secondo cui l'esistenza della prima è condizione della presenza della seconda e della terza non vale per le sostanze separate-angeli (che sono immortali): esse sono viventi, ma la loro vita si esaurisce tutta nella pura attività intellettuale che sussiste quindi autonomamente (cfr. Metaph. XII 7, 1072 b 26-30 ) ed è dubbio che in questo caso si possa parlare di anima in senso proprio.", "labels": [[344, 350, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la caratterizzazione dell'anima umana come la più perfetta (perfettissima di tutte l'altre\") in quanto contiene (\"comprende\") tutte e tre le facoltà ha certamente un retroterra aristotelico (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae tr. I, cap. 6, p. 15, ll. 74-81). Che attraverso la sua terza (\"ultima\") facoltà o potenza, cioè la ragione, la più nobile delle tre, essa partecipi della natura divina poteva essere dedotto dai testi di Aristotele (cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 a 15-16, b 30; De gen. anim. II 3, 736 b 27-29) dove peraltro si parla non di \"ragione\" ma di \"intelletto\". Come nota giustamente Alessandro Raffi (Raffi 2004, p. 57) l'espressione \"dinudata da materia\" non è una metafora dantesca, ma ha un carattere tecnicamente filosofico. Piuttosto che in Avicenna, dove il termine è riferito alle forme delle sostanze separate conosciute dall'anima senza bisogno di mediazioni sensibili (dottrina rifiutata da Dante), è proprio in Tommaso che la qualifica di \"dinudatus ab omnibus sensibilibus formis et materiis\" viene attribuita alla natura dell'intelletto possibile. (cfr. Quaestio disputata de anima, art. 2, respondeo). Al di là della terminologia, non è però tomasiana, ma risale ad Avicenna la dottrina per cui la separazione dalla materia rende la mente umana talmente simile a quella degli Angeli da condividerne il modo di conoscenza. (vedi Raffi 2004, pp. 56 sgg.). Nel mondo latino un collegamento tra l'essere incorporea e l'essere capace di cogliere le illuminazioni divine si ha, per esempio, nella definizione dell'anima data dal De motu cordis di Alfredo di Sareshel, e ripresa da Alberto Magno nella Summa de homine I.1.1. 3.1.2.2, p. 18): \"anima est substantia incorporea, illuminationum quae sunt a Primo ... perceptibilis\".", "labels": [[196, 209, "PER"], [211, 241, "WORK_OF_ART"], [443, 453, "PER"], [460, 463, "WORK_OF_ART"], [610, 626, "PER"], [628, 633, "PER"], [773, 781, "PER"], [928, 933, "PER"], [949, 956, "PER"], [1207, 1215, "PER"], [1317, 1323, "WORK_OF_ART"], [1369, 1374, "PER"], [1564, 1578, "WORK_OF_ART"], [1582, 1601, "PER"], [1616, 1629, "PER"], [1636, 1657, "WORK_OF_ART"], [1737, 1760, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Boezio, De consolatione philosophiae II, prosa 5, 25, p. 44.", "labels": [[5, 11, "PER"], [13, 44, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per una piena descrizione della mente\" Dante integra il De anima con l' Etica Nicomachea con particolare riferimento (\"massimamente\") al sesto libro, di fatto al primo capitolo. Qui Aristotele distingue all'interno dell'anima razionale due facoltà, quella con cui contempliamo le realtà i cui principi non possono essere diversamente, l'altra che si rivolge alle realtà contingenti su cui abbiamo la possibilità di intervenire. Il testo dell'Etica, però, non parla a questo proposito di \"virtù\", ma di parti dell'anima", "labels": [[39, 44, "PER"], [56, 64, "WORK_OF_ART"], [72, 88, "WORK_OF_ART"], [182, 192, "PER"], [442, 447, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "gli aggettivi sostantivati che nel testo greco designano le due parti (epistēmonikón e loghistikón) erano stati appunto resi in latino con i termini scientificum e ratiocinativum e sempre nella traduzione latina, immediatamente dopo, il ratiocinari era identificato con il consiliari. (Cfr. Eth. Nic. VI 2, 1139 a 11-13. Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 253, ll. 18-19). Per quanto riguarda però le virtù inventiva e giudicativa\", se per la seconda è ancora possibile rimandare ad Eth. Nic. VI 9-10, 1142 b 34 sgg., per la prima e soprattutto per per una menzione comune delle due bisogna ricorrere al commento di Tommaso, che però le riferisce all'attività speculativa (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VI, lectio 9, n. 1239 \"Ad cuius evidentiam considerandum quod in speculativis in quibus non est actio, est solum duplex opus rationis, scilicet invenire inquirendo et de inventis iudicare\").", "labels": [[332, 343, "PER"], [489, 492, "WORK_OF_ART"], [622, 629, "PER"], [700, 721, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "le indica collettivamente con questo termine'. Nella traduzione latina del secondo capitolo del sesto libro dell' Etica Nicomachea appare effettivamente il termine mens\". Ma nel discorso aristotelico esso (o meglio, il corrispondente greco dianoia) non indica il \"luogo\" di tutte le virtù collettivamente prese, ma esclusivamente le facoltà teoretiche e così lo interpreta Tomnmaso nel suo commento (VI, lectio 2, n. 1130). Per questo significato Dante è debitore piuttosto di Boezio (citato immediatamente dopo) e di Agostino. La identificazione esplicita della \"mens\" con la parte più nobile dell'anima, anch'essa non presente in Aristotele, rimanda al De finibus di Cicerone. V, 13, 3 \"Pars animi quae princeps est ... mens nominatur\".", "labels": [[114, 130, "WORK_OF_ART"], [373, 381, "PER"], [447, 452, "PER"], [477, 483, "PER"], [518, 526, "PER"], [632, 642, "PER"], [655, 665, "WORK_OF_ART"], [669, 677, "PER"]]} +{"text": "cfr. De consolatione philosophiae, I, prosa 4, 8, p. 12 Tu ... et qui te sapientium mentibus inseruit Deus ...\" (Dante adatta il testo alle sue esigenze sostituendo ai sapientes gli uomini in generale).", "labels": [[113, 118, "PER"]]} +{"text": "traduzione, questa volta letterale, di un passo del metro 9 del terzo libro del De consolatione philosophiae (metro conosciutissimo e commentatissimo nel Medioevo), vv. 6-8, p. 80 Tu cuncta superno/ducis ab exemplo, pulchrum pulcherrimus ipse/mundum mente gerens\".", "labels": [[80, 108, "WORK_OF_ART"], [154, 162, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nella lingua latina. Che i termini composti amentia e dementia (solo il secondo è passato nell'uso del volgare) significassero etimologicamente assenza di mens era affermazione già presente in Cicerone (cfr. Tusculanae Disputationes III, 5, 10). Per amens e demens come composti da un nome (mens) e da una particella privativa cfr. Prisciano di Cesarea, Institutiones Grammaticae XVII 152, II, p. 182.", "labels": [[155, 159, "PER"], [193, 201, "PER"], [209, 219, "WORK_OF_ART"], [346, 353, "PER"], [355, 380, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "ancora una volta Dante inserisce il suo amore nel quadro generale di un cosmo finito e gerarchicamente ordinato dal semplice al complesso in cui le varie realtà sono contraddistinte da specifiche inclinazioni (ciascuna cosa ha 'l suo speziale amore\"). Tommaso aveva espresso con sintetica chiarezza questa concezione dell'amor, comune a tutte le realtà e diverso per ognuna di esse: Summa Theologiae, I, q. 60, a. 1, respondeo \"Est autem hoc commune omni naturae ut habeat aliquam inclinationem quae est appetitus naturalis vel amor, quae tamen inclinatio diversimode invenitur in diversis naturis, in unaquaque secundum modum eius\". Dante utilizza la dottrina comunemente accettata dai filosofi naturali e dai medici a lui contemporanei secondo cui cinque sono i piani in cui si dispongono gli esseri: i corpi semplici (gli elementi), i corpi composti e inanimati (i minerali), le piante, gli animali, l'uomo, mentre nell'individuare per ognuna di esse la specifica inclinazione egli sembra esporre una teoria abbastanza personale.", "labels": [[17, 22, "PER"], [252, 259, "PER"], [383, 399, "WORK_OF_ART"], [634, 639, "PER"]]} +{"text": "Dante utilizza la dottrina aristotelica dei 'luoghi naturali' (cfr. De caelo I, 2-3; III, 2; IV, 3 ): in un universo finito esistono un basso ed un alto assoluti che differenziano i movimenti dei corpi: verso il basso si muovono per loro natura i corpi pesanti, verso l'alto i corpi leggeri. Fisicamente il basso coincide con il centro della terra e l'alto con il concavo (la circumferenza di sopra\") della sfera lunare (\"lungo lo cielo della luna\"), dove termina il mondo delle trasformazioni fisiche ed inizia il regno della incorruttibilità celeste. Questi dunque sono i luoghi naturali cui essi tendono, se non impediti, specialmente i corpi semplici (le \"corpora simplici\") come la terra ed il fuoco che sono rispettivamente pesanti e leggeri in assoluto e questa loro tendenza è il loro amore 'speciale' insito nella loro natura (\"naturato in loro\").", "labels": [[0, 5, "PER"], [68, 78, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il secondo dominio in cui si articola la totalità del mondo è quello dei corpi composti, o misti. Anche se per Aristotele e per le teorie mediche medievali tutte le cose risultano in linea generale da una composizione degli elementi, il termine di misto\" o \"composto\" viene riservato ai minerali (\"le minere\") in quanto rappresentano il primo stadio di questa commistione (\"composte prima\"). Anche nel caso dei minerali il loro amore riguarda un luogo e specificamente quello in cui si producono (\"dove la loro generazione è ordinata\") Per Aristotele, infatti, e per Avicenna che ne integrerà e svilupperà la dottrina, i diversi minerali si generano nel ventre della terra attraverso processi di condensazione e coagulazione che possono essere assimilati ad una crescita (\"in quello crescono\"). L'affermazione che dal luogo della loro generazione i minerali ricevono vigore e potenza ha come retroterra la dottrina aristotelica del luogo, non uno spazio neutro, ma una realtà capace di influire sul corpo che contiene (cfr. Phys. IV 1, 208 b 34) e la convinzione, non aristotelica, ma presente nel De mineralibus di Alberto Magno (II, tr. 1, cap. 4, pp. 28-29) secondo cui i singoli minerali, specialmente le gemme, possiedono particolari poteri derivati dall'influsso degli astri sui loro processi di generazione (vedi Nardi 1944, p. 78).", "labels": [[111, 121, "PER"], [540, 550, "PER"], [567, 575, "PER"], [1024, 1028, "WORK_OF_ART"], [1098, 1112, "WORK_OF_ART"], [1116, 1129, "PER"], [1320, 1325, "PER"]]} +{"text": "il caso della calamita (che attira il ferro), insieme a quello del diaspro (che stagna il sangue), è l'esempio standard di poteri dei minerali non spiegabili semplicemente con la loro composizione elementare, ma solo ricorrendo ad un influsso fisico del cielo (cfr. Tommaso, Summa contra Gentiles II, cap. 68, n. 1456 ). Non risulta però chiaro quale sia il luogo (la parte\") della sua produzione (\"della sua generazione\") da cui la calamita continuerebbe a ricevere questo suo potere (\"virtù\"); il testo del De causis proprietatum elementorum di Alberto Magno I, tr. 2, cap. 11, p. 81, ll. 70-83, citato da Cheneval, dice infatti che il magnete attrae il ferro in quanto è il \"locus generationis ferri\", ma non parla di nessun luogo della generazione del magnete stesso. Interpretare la calamita nel senso di ago della bussola e identificare il luogo della sua generazione con il Polo verso cui essa si volge, come fa Busnelli, non risolve ancora in modo soddisfacente il problema. Il potere della calamita di cui normalmente anche i medievali parlano sta infatti nell'attrarre, non nell'essere attratto. Una risposta può forse venire dalla Epistula de magnete di Pietro Peregrino di Maricourt (il primo trattato veramente scientifico sul magnete). Qui, nel cap. 10 della prima parte (Unde magnes virtutem naturalem quam habet recipiat) Pietro polemizza con chi sostiene che il potere della calamita di attrarre il ferro le viene \"a locis mineralibus in qua invenitur\" e che dunque il ferro calamitato si volge verso il Nord perchè queste miniere si trovano concentrate appunto intorno al Polo Nord (ed. Sturlese-Thomson, p. 78): come si vede si tratta della stessa dottrina esposta nel Convivio. Purtroppo gli editori non individuano i debiles inquisitores presi di mira da Pietro. In ogni caso di monti sotto tramontana dove si genera la calamita e che , sia pure in maniera mediata dall'aria, \"dan vertude di trar lo ferro \", aveva parlato Guido Guinizzelli nella canzone Madonna il fino amor (49-55, ed. Contini, II, p. 455).", "labels": [[266, 273, "PER"], [275, 287, "WORK_OF_ART"], [509, 543, "WORK_OF_ART"], [547, 560, "PER"], [608, 616, "PER"], [881, 885, "PER"], [919, 927, "LOC"], [1142, 1161, "WORK_OF_ART"], [1165, 1181, "PER"], [1286, 1316, "WORK_OF_ART"], [1338, 1344, "PER"], [1590, 1599, "LOC"], [1605, 1613, "PER"], [1614, 1621, "PER"], [1688, 1696, "WORK_OF_ART"], [1776, 1782, "PER"], [1944, 1961, "PER"], [1976, 1983, "PER"], [2009, 2016, "PER"]]} +{"text": "le piante sono il primo gradino degli esseri dotati di anima in quanto viventi (sono prima animate\"). Anch'esse hanno amore per un determinato (\"certo\") luogo, in questo caso quello più adatto alla loro struttura o complessione (\"secondo che la complessione richiede\"). Il termine complexio, indica qui la proporzione tra le qualità elementari che costituiscono gli organismi viventi e che non è in tutti la stessa: in alcuni di essi infatti predomina l'umido, in altri il secco e così via (cfr. nota a Cv III viii 17-18). Le piante a complessione umida ameranno dunque i luoghi umidi (quelle appunto che vediamo \"cansarsi\", cioè vivere esclusivamente, lungo l'acqua) mentre altre ne ameranno altri. Per il principio generale vedi le Auctoritates Aristotelis, p. 207, n. 137 \"Unumquodque maxime conservatur loco ... sibi connaturali, at vero in contrario corrumpitur\". Il rapporto stretto tra i diversi tipi di pianta ed i loro luoghi di nascita e di crescita, già riconosciuto dal De consolatione philosophiae (III, prosa 11, 18-19, ed Moreschini, p. 88), era poi stato descritto e spiegato da Alberto Magno (De vegetabilibus, I, tr. 2, cap. 6, pp. 80-83) e ripreso da Ristoro d' Arezzo (La composizione del mondo colle sue cascioni II 6 2.2, pp. 146-147).", "labels": [[503, 505, "WORK_OF_ART"], [982, 1010, "WORK_OF_ART"], [1095, 1108, "PER"], [1110, 1126, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "poiché il corpo semplice, cioè l'elemento che predomina (signoreggia\") nella composizione del suo sostrato materiale (\"subietto\"), cioè del suo corpo, è la terra (dunque è pesante), l'uomo ha una tendenza naturale (\"naturalmente ama\") a cadere in basso (\"andare in giuso\"); questa tendenza corrisponde all'amore degli elementi verso i loro luoghi naturali (i movimenti contrari a questa inclinazione naturale verso il basso sono dunque in qualche modo violenti e per questo affaticano. Cfr. il commento di Tommaso al De caelo II, lectio 1, n. 294 \"Omne quod cum labore movetur, movetur contra motum naturalem sui corporis, propter quod motus animalis sursum est laboriosum\").", "labels": [[506, 513, "PER"], [517, 528, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la lotta con il gigante Anteo, figlio di Nettuno e della Terra, è una delle imprese di Ercole, non facente parte delle canoniche dodici fatiche, che Dante conosce attraverso le Metamorfosi (l' Ovidio Maggiore dei medievali) e soprattutto la Farsaglia di Lucano, dove il combattimento viene a lungo descritto (IV 609-653). Per gli altri poeti\" cfr. la Satira III di Giovenale, v. 89.", "labels": [[24, 29, "PER"], [41, 48, "LOC"], [57, 62, "LOC"], [87, 93, "PER"], [149, 154, "PER"], [177, 188, "WORK_OF_ART"], [193, 208, "WORK_OF_ART"], [241, 260, "WORK_OF_ART"], [351, 361, "WORK_OF_ART"], [365, 374, "PER"]]} +{"text": "Dante dà al racconto mitologico-poetico un contenuto storico letterale. Anteo che trae forza dalla terra da cui era nato è esempio particolare e reale di una legge generale e non la fabula sotto cui si nasconde una qualche verità, come interpreta Fulgenzio che fa di Anteo la personificazione della libido e di Ercole quella della virtus (Mythologiarum libri, II 4, ed. Helm, p. 43. Nel Fulgentius Metaphoralis, del domenicano Giovanni di Ridevall, posteriore al Convivio, tutte le dodici fatiche di Ercole riceveranno una interpretazione morale (ed. Liebeschütz, pp. 124 sgg.). Anche in If XXXI 112-145 Anteo compare come un personaggio reale. Virgilio gli ricorderà, lusingandolo, le imprese compiute, per indurlo a farsi calare insieme con Dante sul lago ghiacciato della Giudecca (vedi Dronke 1990, pp. 76-77).", "labels": [[0, 5, "PER"], [72, 77, "PER"], [247, 256, "PER"], [267, 272, "PER"], [311, 317, "PER"], [339, 358, "WORK_OF_ART"], [387, 410, "WORK_OF_ART"], [427, 447, "PER"], [463, 471, "WORK_OF_ART"], [500, 506, "PER"], [551, 562, "WORK_OF_ART"], [604, 609, "PER"], [645, 653, "PER"], [743, 748, "PER"], [790, 796, "PER"]]} +{"text": "nell'uomo la presenza dell'anima sensitiva propria in senso stretto degli animali produce un amore che si basa sull'immediatezza della sensazione (secondo la sensibile apparenza\"). Questo amore, determinato dal piacere (\"diletto\") naturalmente connesso alla attività (\"operazione\") dei sensi, soprattutto (\"massimamente\") del gusto e del tatto, è capace di vincere (è \"soperchievole\") ogni altra considerazione ed ha quindi bisogno di un freno e di una guida (\"ha mestiere di rettore\"). Che i piaceri del tatto e del gusto (considerato come una forma di tatto) siano i più bestiali tra tutti è dottrina dell' Etica Nicomachea: essi infatti, come precisa Aristotele, ci riguardano non in quanto uomini, ma in quanto animali (cfr. III 10, 1118 a 25-26, b 2-4)", "labels": [[609, 625, "WORK_OF_ART"], [654, 664, "PER"]]} +{"text": "ancora una volta Dante eguaglia l'uomo all'angelo, considerando in sé, disgiunta in qualche modo dalla corporeità, quella razionalità che è la sua natura propria (vera umana\"). Che l'uomo riassumesse in sé le caratteristiche di tutte le specie di enti e che la razionalità fosse ciò che lo accomuna agli angeli era stato detto da Gregorio Magno: \" Habet homo commune esse cum lapidibus, vivere cum arboribus, sentire cum animalibus, intelligere cum angelis\" (Homiliae in Evangelia II, xxix 2, PL 76, p.chiedere il testo era stato ripreso dallo pseudo-agostiniano De spiritu et anima ed utilizzato abbondantemente sia da teologi che da magistri artium nella trattatistica sull'anima anteriore a Tommaso; cfr. Falzone 2010. Che tramite l'intelletto l'uomo in qualche modo partecipi della natura angelica è affermato dallo stesso Tommaso (cfr. De veritate q. 16, a. 1, respondeo \"Anima humana, quantum ad id quod in ipsa supremum est, aliquid attingit de eo quod proprium est naturae angelica\"). Ma anche in un contesto culturalmente diverso, un autore come Mondino de' Liuzzi nel prologo della sua Anatomia, per spiegare come mai l'uomo, tra tutti gli animali, abbia andatura eretta dice che esso \"formam habet perfectissimam, quae cum angelis et intelligentiis quae regunt universum communicat\" (Anothomia, ed. Giorgi-Pasini, p. 100, ll. 33-35). In Dante, però, l'identificazione tra l'uomo, o almeno tra la parte più alta dell'uomo, e l'angelo risulta particolarmente insistita, laddove i teologi medievali tendevano piuttosto a sottolineare le differenze. Su questo e sui diversi approcci del Convivio al tema del rapporto uomo-angelo vedi Raffi 2004", "labels": [[17, 22, "PER"], [330, 344, "PER"], [459, 483, "WORK_OF_ART"], [493, 498, "WORK_OF_ART"], [563, 582, "WORK_OF_ART"], [694, 701, "PER"], [708, 715, "PER"], [827, 834, "PER"], [1055, 1073, "WORK_OF_ART"], [1096, 1104, "WORK_OF_ART"], [1295, 1304, "PER"], [1310, 1316, "PER"], [1348, 1353, "PER"], [1594, 1602, "WORK_OF_ART"], [1641, 1646, "PER"]]} +{"text": "nel capitolo terzo dell' ottavo libro dell' Etica Nicomachea (1156 a 6 sgg.) Aristotele delinea i tratti dell'amicizia perfetta fondata sulla virtù, opponendola a quelle fondate sull'utile e sul piacevole. L'endiade vera e perfetta\" si trova nella parafrasi di Alberto Magno (VIII, tr. 1, cap. 3, p. 522b) insieme al termine \"onesto\"che non è presente nelle traduzioni latine dell'ottavo libro dell' Etica Nicomachea, ma viene mutuato dal linguaggio filosofico ciceroniano. Anche Tommaso lo usa come sinonimo di bonum in assoluto nel commento a questo passo dell' Etica (cfr. VIII, lectio 2, n. 1552). Altrettanto fanno le Auctoritates Aristotelis p. 243, n. 143 \"Tripliciter fit amicitia, scilicet propter bonum utile, delectabile, et propter bonum honestum\".", "labels": [[44, 60, "WORK_OF_ART"], [77, 87, "PER"], [261, 274, "PER"], [400, 416, "WORK_OF_ART"], [480, 487, "PER"], [564, 569, "WORK_OF_ART"], [623, 647, "LOC"]]} +{"text": "costanza nel tempo' (è sempre dottrina aristotelica che la vera amicizia, a differenza delle altre, non muta. Cfr. Eth. Nic. VIII, 3, 1156 b 11-12).", "labels": []} +{"text": "quando ormai la vista resta separata dalla realtà visibile. In questo paragone Dante sembra concepire la vista come un'attività che perde potenza man mano che si allontana dalla sua origine (l'occhio), concezione che sembrerebbe debitrice della teoria platonica, peraltro esplicitamente respinta in Cv III.ix.10 a favore di quella aristotelica. L' indebolimento della visione collegato alla lontananza dell'oggetto veniva spiegato con un modello geometrico che era comunque egualmente valido per entrambe le dottrine: come dice Tommaso nel commento al De anima II, lectio 15, n. 435 omne corpus videtur sub quodam angulo cuiusdam ... pyramidis, cuius basis est in re visa, et angulus in oculo videntis, nec differt quantum ad hoc utrum visus fiat extramittendo, ita quod lineae concludentes ... pyramidem sint lineae visuales progredientes a visu ad rem visam vel e converso\". In questo schema l'occhio costituisce il punto di arrivo della linea retta che parte dal centro della base della piramide e che determina la distanza dall'oggetto visto. Quanto più la linea è lunga tanto minore sarà l'angolo sotto cui avviene la vista; per conseguenza, sempre usando le parole di Tommaso, \"quanto a remotiori videtur, minus videtur, et tanta potest esse distantia quod omnino non videatur\". Vedi anche la parafrasi di Alberto al De anima (II, tr. 3, cap. 14, p. 120, 21-25 \"Quia lineae radiales, quanto plus procedunt a re visa tanto magis coeunt, si contingat quod concludantur antequam perveniant ad oculum, res omnino non videbitur\".", "labels": [[79, 84, "PER"], [299, 301, "WORK_OF_ART"], [528, 535, "PER"], [552, 563, "WORK_OF_ART"], [1175, 1182, "PER"], [1313, 1320, "PER"], [1324, 1332, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nonostante che le cose approvate e condannate appartengano in qualche modo al soggetto stesso'. Il riferimento di Dante è ad Eth. Nic. III 1, 1109 b 30-34 dove la traduzione latina di Roberto Grossatesta usa appunto i termini laus e vituperium.", "labels": [[114, 119, "PER"], [125, 128, "WORK_OF_ART"], [184, 203, "PER"]]} +{"text": "per il fatto che fin dalla nascita sia brutto (laido\") nel corpo'. La precisazione \"da sua nativitade\" vuol dire che si può essere responsabili di una bruttezza fisica causata da una vita viziosa: cfr. Eth. Nic. III, 5, 1114 a 23-27.", "labels": [[202, 205, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "non noi noi stessi'. Come Dante ci dice immediatamente dopo si tratta di un versetto tratto dai Salmi (Saltero\") e più precisamente del versetto 3 del Salmo 99 (\"Scitote quoniam dominus ipse est Deus ; ipse fecit nos et non ipsi nos\") tradotto letteralmente (\"scritte né più né meno come nella risposta del prete\". Per la qualifica di profeta attribuita a David cfr. nota a Cv II i 6). L'aneddoto è raccontato dallo Speculum Historiale di Vincenzo di Beuvais (XXV, cap. 12, p. 1006), ma in una forma assai diversa: l'imperatore Enrico II il Santo non schernisce affatto la bruttezza del povero prete, ma, mentre assiste alla messa da lui celebrata e si meraviglia perché Dio permetta che i suoi misteri siano celebrati da un simile mostro di natura, lo sente pronunciare, nella liturgia del giorno, le parole del salmo. Colpito, cessa di disprezzarlo, anzi lo fa vescovo. E' possibilein linea di pricipio, ma poco probabile, che la storia sia arrivata a Dante da un'altra fonte; ancor meno probabile che si trattasse di un'aneddoto che correndo di bocca in bocca vestisse alla fine la forma presente nel Convivio. Certo è che un exemplum edificante (non a caso si tratta, in Vincenzo, di un imperatore santo) è stato trasformato in un 'fiore di parlare' in una 'bella risposta' che potrebbe trovare collocazione nel Novellino. C'è inoltre da notare che l'aneddoto non corrisponde affatto alla dottrina sostenuta immediatamente prima secondo la quale, per usare il linguaggio tecnico della Monarchia \"peccatum in rebus inferioribus est praeter intentionem Dei naturantis\".", "labels": [[26, 31, "PER"], [151, 159, "WORK_OF_ART"], [356, 361, "PER"], [374, 376, "WORK_OF_ART"], [425, 435, "WORK_OF_ART"], [439, 458, "PER"], [528, 537, "PER"], [954, 959, "PER"], [1104, 1112, "WORK_OF_ART"], [1175, 1183, "PER"], [1316, 1325, "PER"], [1489, 1498, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante dà la motivazione teorica della incapacità non solo del suo, ma in generale dell' intelletto umano (nostro intelletto\") a cogliere perfettamente la natura della donna gentile-filosofia. Esso non può infatti elevarsi (\"salire\") alla conoscenza piena di alcune realtà come le sostanze separate (\"partite\") dalla materia per incapacità (\"difetto\") della facoltà (\"virtù\") che gli fornisce il materiale da cui astrae i suoi concetti (\"quello ch'el vede\"). Si tratta della fantasia, o immaginazione, che è una facoltà (\"virtù\") organica, cioè dotata di un organo, e dunque legata al corpo ed alla materia. Per questo non è in grado di dare all'intelletto alcun supporto nella conoscenza di realtà immateriali; essa infatti non può possederne alcuna immagine (\"nol puote aiutare, che non ha lo di che\"). Anche se qualcosa possiamo conoscerne (\"le quali, etsi alcuna considerazione di quelle avere potemo\"; \"etsi\" è un latinismo piuttosto crudo che sta per 'nonostante che') si tratterà sempre di una conoscenza imperfetta. La dottrina aristotelica della conoscenza, così come espressa nel De anima, ma anche nel De memoria, (cfr. De an. III 7, 431 a 17; 8, 432 a 9; De mem. I, 449 b 31 sgg.) sosteneva che nell'uomo l'atto dell'intelletto presuppone sempre un'immagine sensibile che lo accompagna. La presenza di tale immagine è il risultato dell'azione di una facoltà, la fantasia-immaginazione, appunto, che prolunga le sensazioni anche in assenza dell'oggetto. Pensatori come Avicenna ed Averroè avevano poi individuato ed analizzato in maniera più approfondita i processi di elaborazione del semplice dato sensibile iniziale necessari per orientare gli animali in un ambiente complesso e li avevano collegati ad una serie di facoltà, riassunte sotto il nome di sensi interni e localizzate nelle diverse regioni cerebrali. In particolare Averroè aveva disposto tali facoltà in un ordine ascendente a seconda della sempre minor materialità del dato elaborato. In questa scala l'immaginazione si colloca al livello più alto: nel caso specifico dell'uomo i contenuti da essa costruiti (in linguaggio tecnico i phantasmata) si distaccano dalla particolarità della materia nel grado maggiore possibile per una facoltà corporea; per questo essi contengono in potenza l'universale che l'intelletto incorporeo, e quindi privo di organi, fa passare all' atto (vedi Di Martino 2008). La dipendenza dell'attività intellettiva dai phantasmata viene sottolineata da Tommaso proprio per escludere che in questa vita l'uomo possa giungere alla conoscenza piena delle sostanze separate (alla critica delle posizioni opposte l'Aquinate dedica ben cinque capitoli, i nn. 41-45, del terzo libro della Summa contra Gentiles). Viceversa Alberto Magno, pur non negando il rapporto tra immaginazione-fantasia e attività intellettuale, è convinto che l'intelletto umano sia in grado di comprenderne l'essenza anche prima della morte (cfr. De anima III, tr. 3, capp. 6-11, pp. 214-233). In questo caso, dunque, Dante è tecnicamente tomista. Diverso però è il contesto in cui si iscrivono le due posizioni: nel caso di Tommaso l'impossibilità di cogliere intellettualmente l'essenza delle sostanze separate porta alla affermazione che la speculazione filosofica non può saziare il naturale desiderio di conoscenza e di felicità insito nell' uomo e deve quindi riconoscere la necessità della rivelazione e della grazia. Proprio su questo punto, come vedremo, l'autore del Convivio la pensa in maniera del tutto diversa.", "labels": [[0, 5, "PER"], [1089, 1097, "WORK_OF_ART"], [1112, 1122, "WORK_OF_ART"], [1464, 1473, "PER"], [1479, 1487, "PER"], [1491, 1498, "PER"], [1841, 1848, "PER"], [2362, 2369, "PER"], [2456, 2463, "PER"], [2613, 2621, "LOC"], [2685, 2706, "WORK_OF_ART"], [2719, 2732, "PER"], [2918, 2930, "WORK_OF_ART"], [2989, 2994, "PER"], [3096, 3103, "PER"], [3448, 3456, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sarebbe presunzione cercarne il motivo'. Nel caso della volontà divina bisogna rimanere al quia. Come aveva detto Boezio di Dacia la 'forma voluntatis divinae' sfugge completamente alla ragione umana (cfr. De aeternitate mundi, p. 355, ll. 537-547). Cfr. Cv II v 18.", "labels": [[114, 129, "PER"], [206, 226, "WORK_OF_ART"], [255, 257, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "volle sostenere. Secondo un modello tipico delle parafrasi di Alberto Magno Dante fa precedere alla trattazione di un tema strettamente scientifico una sezione di carattere dossografico. Per la descrizione della dottrina di Pitagora secondo cui la terra è una delle stelle che ruota intorno ad un fuoco centrale ed ha diametralmente opposta un' antiterra (questo è il significato del termine greco antichton. ) esattamente eguale (così fatta\") la fonte diretta è il De caelo di Aristotele, citato da Dante stesso nel paragrafo successivo (cfr. De caelo II 13, 293 a 17-24). Dal medesimo brano di quest'opera Dante trae la motivazione pitagorica per cui il più nobile degli elementi, il fuoco, deve occupare il luogo più nobile tra tutti (\"nobilissimo intra li luoghi delli quattro corpi semplici\"), ovvero il centro (\"lo mezzo\") dell'universo. Il testo aristotelico, peraltro, non dice che, secondo Pitagora, terra ed antiterra (\"ambe\") si sarebbero mosse su di un orbita che va da occidente in oriente (\"una spera che si volvea da occidente in oriente\"); le affermazioni che, per i Pitagorici, la terra si muoverebbe come una stella, e soprattutto che questo movimento causerebbe il giorno e la notte a seconda delle diverse posizioni rispetto al sole implica invece che esso sia da oriente ad occidente. Inoltre il De caelo non dice che, nel modello pitagorico, il movimento circolare del sole attorno alla terra e quindi il suo periodico apparire e scomparire per ogni emisfero (\"ora si vedea e ora non si vedea\") dipende dal movimento congiunto di terra ed antiterra attorno al fuoco centrale. Infine sembra propria di Dante l'osservazione che secondo questa teoria il movimento del fuoco verso il suo luogo naturale solo apparentemente è ascensionale (\"quando parea salire\"), ma nella realtà è discensionale (\"discendea\") perché si indirizza verso il centro (\"mezzo\") dell'universo occupato appunto dal fuoco centrale. Il ricorso ad Alberto Magno da parte di non pochi commentatori, si rivela ingannevole. Nella sua parafrasi del De caelo, infatti, il domenicano tedesco non aggiunge niente di sostanzialmente nuovo al testo di Aristotele ed interpreta correttamente il movimento della terra come un movimento diurno, così come fa Tommaso. Inoltre Alberto per indicare la seconda terra usa il termine antigyon (cfr. De caelo et mundo II, tr. 4, cap. 1, ed Hossfeld, p. 179, ll. 18-40) mentre Dante ha presente, usando antichtona, la traduzione dal greco di Guglielmo di Moerbeke su cui si basa il commento di Tommaso (cfr. In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio II, lectio 20, n. 481). Si è dunque ipotizzato la conoscenza da parte di Dante di un qualche altro commento (peraltro finora non identificato) al testo di Aristotele (vedi G. Stabile, alla voce Pitagora della ED chiedere e la nota a Cv II xiv 7)", "labels": [[62, 81, "PER"], [224, 232, "PER"], [466, 474, "WORK_OF_ART"], [478, 488, "PER"], [500, 505, "PER"], [544, 555, "WORK_OF_ART"], [608, 613, "PER"], [899, 907, "PER"], [1083, 1093, "WORK_OF_ART"], [1317, 1325, "WORK_OF_ART"], [1623, 1628, "PER"], [1938, 1951, "PER"], [2035, 2043, "WORK_OF_ART"], [2133, 2143, "PER"], [2236, 2243, "PER"], [2253, 2260, "PER"], [2321, 2341, "WORK_OF_ART"], [2397, 2402, "PER"], [2462, 2483, "PER"], [2514, 2521, "PER"], [2538, 2549, "WORK_OF_ART"], [2550, 2580, "WORK_OF_ART"], [2651, 2656, "PER"], [2733, 2743, "PER"], [2750, 2760, "WORK_OF_ART"], [2772, 2780, "PER"], [2787, 2798, "WORK_OF_ART"], [2811, 2813, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nonostante il riferimento esplicito al Timeo, la esposizione delle dottrine platoniche dipende da quanto ne dice Aristotele sempre nel tredicesimo capitolo del secondo libro del De caelo (293b 30-32) con alcune differenze: dopo aver detto che, per Platone l'orbe terracqueo (la terra col mare\") era effettivamente (\"bene\") il centro dell'universo (\"lo mezzo di tutto\") Dante parla di un movimento di rotazione della sfera terrestre attorno al proprio centro (\" 'l suo tondo tutto si girava a torno al suo centro\"); nel testo aristotelico questo movimento si svolgerebbe piuttosto intorno all'asse dell'universo, un termine che nelle due traduzioni latine, (quella quella dall'arabo di Gerardo da Cremona e quella dal greco di Guglielmo di Moerbeke) viene reso rispettivamente con \"orbe\" e \"polo\". Inoltre, come nel caso dei Pitagorici, anche qui vengono introdotte precisazioni non presenti nel De caelo e neppure nei commenti di Alberto Magno e di Tommaso, e cioè che questo movimento ha la medesima direzione di quello del primo cielo (\"seguendo lo primo movimento del cielo\"), quindi da oriente ad occidente, ma che la terra si muove assai più lentamente (\"tardi molto\") a causa sia della sua pesantezza (\"per la sua grossa matera\"), sia della sua distanza dal primo mobile (\"quello\") che è la più alta rispetto a tutti gli altri corpi celesti. Come per la discussione della natura della Galassia (cfr. Cv II xiv 5-7) potremmo ipotizzare che Dante abbia avuto a disposizione un qualche altro commento presente nelle librerie dei conventi fiorentini.", "labels": [[39, 44, "PER"], [113, 123, "PER"], [178, 186, "WORK_OF_ART"], [248, 255, "PER"], [369, 374, "PER"], [685, 703, "PER"], [726, 747, "PER"], [824, 834, "WORK_OF_ART"], [895, 913, "WORK_OF_ART"], [930, 943, "PER"], [949, 956, "PER"], [1406, 1408, "WORK_OF_ART"], [1445, 1450, "PER"]]} +{"text": "il riferimento è a De caelo II 13, 293 b 6-15; 14, 296 a 24 sgg .", "labels": [[19, 30, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la dimostrazione aristoteliche della centralità e della immobilità della terra si trova sempre in De caelo II, al capitolo 14.", "labels": [[98, 109, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sommate alle duemila settecento che dividono Roma dal Polo nord danno la cifra di 10.200 miglia che è quella appunto di un semimeridiano, ovvero la metà delle 20.400 miglia calcolate da Alfragano per la circonferenza terrestre nel cap. ottavo del Liber aggregationis, p. 89. Cfr. Toynbee, p. 73). Ovviamente nell'astronomo arabo non si trovano espresse le distanze di Roma dai due poli. La loro determinazione presuppone la conoscenza della latitudine della città (la corrispondenza tra gradi e miglia poteva invece essere ricavata a partire dal testo di Alfragano).", "labels": [[45, 49, "LOC"], [54, 58, "PER"], [186, 195, "PER"], [247, 266, "WORK_OF_ART"], [555, 564, "PER"]]} +{"text": "avere le piante dei piedi opposte le une alle altre è il significato primario del termine antipodi\", ed in questo senso era stato usato da Agostino nel De civitate Dei (XVI 9, p. 510): coloro che \"calcant adversa pedibus nostris vestigia\" sono appunto gli antipodes. Il passo del De civitate era stato poi ripreso quasi alla lettera dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, uno dei testi di consultazione più diffuso tra i medievali (\"ii qui Antipodae dicuntur eo quod contrarii esse vestigiis nostris putantur, ut qui sub terris positi adversa pedibus nostris calcent vestigia\" IX ii 133, vol. I, s.p.). Bisogna però ricordare che sia i cittadini di Maria che quelli di Lucia sono immaginari come le loro città. Dante, dunque non prende posizione sulla controversa questione dell'esistenza reale degli antipodi, negata da Agostino e dalla tradizione teologica successiva, ma ammessa da Alberto Magno.", "labels": [[139, 147, "PER"], [152, 167, "WORK_OF_ART"], [280, 291, "WORK_OF_ART"], [339, 350, "WORK_OF_ART"], [354, 373, "PER"], [652, 657, "PER"], [714, 719, "PER"], [824, 832, "PER"], [888, 901, "PER"]]} +{"text": "nella tradizione manoscritta le due opere di Alberto (il De natura loci e il De causis proprietatum elementorum) sono quasi sempre associate (e quindi non è necessario integrare il testo con in quello\" prima di \"delle propietadi\" come fa l'edizione Brambilla Ageno). In esse Dante poteva trovare la definizione del 'circulus aequinoctialis' (cioè dell'equatore) come linea che divide il globo terrestre in due parti eguali (lo stesso avevano già detto gli astronomi-astrologi Alfragano nel Liber aggregationis e Giovanni di Sacrobosco nel Tractatus de sphera) e la descrizione della prima zona climatica come una fascia che si estende fino al sedicesimo grado a nord dell'equatore il quale funge quindi in gran parte da suo limite estremo meridionale (\"là nel mezzo die quasi per tutta l'estremità del primo climate\") e divide le terre emerse (\"questa terra discoperta\") dalle acque dell'Oceano che coprono l'emisfero australe. (cfr. De natura loci tr.1, capp. 9 e 12, p. 16, ll. 50-2, 93-6; pp. 20-21; De causis proprietatum elementorum tr. 1, cap. 5, p. 57, ll. 23-5. In realtà che l'emisfero australe sia occupato dall'Oceano è opinione riportata, ma non condivisa, da Alberto). Infine Lucano dice nel nono libro della Farsaglia che ad un certo momento, nella ritirata attraverso il deserto libico per sfuggire al potere assoluto di Cesare (\"la signoria di Cesare fuggendo\") Catone e le sue legioni repubblicane (indicate con metonimia come \"il popolo romano\") si sono imbattuti nei Garamanti che abitano là dove \"circulus alti / solstitii medium signorum percutit orbem\" (IX 531-2; 511-3), quindi alla estremità meridionale del primo clima. Né in Lucano, però, né comunque nella tradizione classica i Garamanti sono associati alla nudità (lo è invece la popolazione contermine dei Nasamoni), mentre Dante ripeterà la medesima caratterizzazione in Mn I i 6 (\"Garamantes qui ... ob estus aeris nimietatem vestimentis operiri non possunt\").", "labels": [[45, 52, "PER"], [57, 71, "WORK_OF_ART"], [77, 111, "WORK_OF_ART"], [249, 264, "PER"], [275, 280, "PER"], [476, 485, "WORK_OF_ART"], [490, 509, "WORK_OF_ART"], [512, 534, "PER"], [539, 558, "WORK_OF_ART"], [1172, 1179, "PER"], [1189, 1195, "PER"], [1222, 1231, "WORK_OF_ART"], [1336, 1342, "PER"], [1360, 1366, "PER"], [1378, 1384, "PER"], [1486, 1495, "WORK_OF_ART"], [1651, 1657, "WORK_OF_ART"], [1705, 1714, "WORK_OF_ART"], [1803, 1808, "PER"]]} +{"text": "per un singolo verso della canzone, che inoltre sembrerebbe di comprensione immediata (il sole che gira intorno al mondo), Dante ha costruito una spiegazione che si protrae per un intero capitolo facendo ricorso a nozioni di astronomia, di geografia fisica ed umana (i Garamanti ignudi\") ed anche di storia antica (Catone e la marcia nel deserto delle legioni repubblicane) arricchite da un uso affascinante, ma sempre controllato, dell'immaginazione (le due città poste sui due poli, i loro abitanti che hanno lo sguardo rivolto verso il sole). Non si tratta, come potrebbe sembrare a prima vista, di uno sfoggio piuttosto ridondante di competenze di seconda mano. Piuttosto si vuole mostrare al pubblico del Convivio (quelli \"a cui utilitade e diletto io scrivo\") come una esperienza comune ed irriflessa possa e debba essere inquadrata in un orizzonte dove le distanze immense, ma pur sempre misurabili, dei luoghi e l'ampiezza dei ritmi cosmici rimandano alla grandezza indicibile della mente divina che ha ordinato con sapienza i rapporti tra i tempi e gli spazi. Così l'apparentemente ovvio diventa motivo per rendersi conto di come debole (\"povera\") sia la mente umana nella comprensione del disegno divino. Questa consapevolezza deve allora trasformarsi nel bisogno di levare lo sguardo, dalla ristrettezza cieca dei bisogni e degli interessi immediati (la \"cechitade\", il \"fango della vostra stoltezza\") all'ordine complessivo dell'universo, modello di ogni corretto ordine della vita umana, sia singola che associata. (cfr. Pg XIV 148-150 \"Chiamavi il cielo e 'ntorno vi si gira / mostrandovi le sue bellezze etterne / e l'occhio vostro pur a terra mira\"; cfr. anche Pd X 7-25). L'appello all'ineffabile sapienza divina riecheggia quello di Paolo nella Lettera ai Romani (cfr. Rm 11, 33 \"O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei, quam incomprehensibilia sunt iudicia eius ... \") che peraltro lo applica a tutt'altra materia. Cfr. Cv IV v 9; xxi 6.", "labels": [[123, 128, "PER"], [315, 321, "PER"], [710, 718, "WORK_OF_ART"], [1534, 1536, "WORK_OF_ART"], [1678, 1680, "WORK_OF_ART"], [1752, 1757, "PER"], [1764, 1781, "WORK_OF_ART"], [1950, 1952, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "gli astronomi danno un doppio significato al termine ora\". Il testo di riferimento per le due definizioni è ancora una volta il Liber aggregationis di Alfragano (cap. XI De quantitate temporis noctis et diei et diversitate horarum aequalium et temporalium, pp. 106-7. Cfr. Toynbee, pp. 74-5).", "labels": [[128, 147, "WORK_OF_ART"], [151, 160, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante per spiegare come le Intelligenze angeliche (di sopra\" in contrapposizione alla gente di qua giù) conoscono la donna gentile ricorre alla dottrina del Liber De causis e più precisamente alla proposizione VII (VIII), p. 64, che afferma \"omnis Intelligentia scit quod est supra se et quod est sub se \": conosce ciò che le è inferiore in quanto ne è la causa (\"conosce quello che è sotto di lei sì come suo effetto\"; \"scit quod est sub se, quoniam est causa ei\"); conosce ciò che le è superiore in quanto ne è causata (\"e sa che ciò che le è superiore è la sua causa\"; \"et scit quod illud quod est supra eam, est causa ei\"). Ma mentre le affermazioni del De causis presuppongono una gerarchia di Intelligenze in cui ognuna è in contatto immediato solo con quella superiore, di cui è effetto, e con quella inferiore di cui è causa, Dante le mette tutte direttamente in relazione con Dio facendo di Lui la loro causa (\"cagione\") immediata (la tesi di Bruno Nardi relativa ad una piena adesione di Dante al modello emanatistico di Avicenna dovrebbe dunque essere soggetta a cautele). In questo modo scatta il riferimento ad un meccanismo conoscitivo non presente nel Liber: poiché (\"però che\") Dio è causa di tutto (\"universalissima cagione di tutte le cose\"), le Intelligenze, conoscendolo conoscono tutte le cose, ma le conoscono \"dentro di sé\" cioè secondo una modalità esclusivamente intellettuale (\"secondo lo modo della Intelligenza\"). Questo significa che oggetto della loro conoscenza non sono in primo luogo gli individui, ma le strutture formali (nel caso che interessa a Dante la \"forma umana\") presenti nella mente divina come regole della produzione delle cose (\"in quanto per intenzione regolata\"). Utilizzando la distinzione tra Angeli che esclusivamente contemplano Dio ed Angeli deputati invece al movimento dei cieli tracciata in Cv II iv (posizione anch'essa del tutto estranea alle dottrine del De causis) Dante afferma che questi ultimi (\"le Intelligenze motrici\") hanno una conoscenza ancora più piena (\"massimamente conoscono\") della forma dell'uomo: essi infatti, proprio attraverso il moto dei cieli da loro retti, sono causa della sua specificazione nei singoli individui che si generano nella realtà, e questo per quella come per ogni altra forma (\"sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generata\"). La conoscenza della forma umana in Dio, che ha tutte le perfezioni possibili (\"perfettissima tanto quanto essere puote\"), diventa per loro la regola e il modello (\"essemplo\") in base a cui riprodurla in natura. Sembra dunque che soltanto le Intelligenze deputate al governo dei cieli producano in senso stretto effetti da loro pienamente conoscibili e che questi effetti si identifichino con le realtà del mondo sublunare: un altro elemento di distanza dal modello del Liber de Causis. La dottrina per cui, usando del movimento dei cieli come di uno strumento, le Intelligenze celesti, simili ad artigiani divini, riproducono nel mondo del divenire i modelli ideali (cioè le specie delle cose) è continuamente presente nelle parafrasi aristoteliche di Alberto Magno (basti per tutte Metaphysica XI = XII, tr. 3, cap. 2, vol. II, p. 537, ll. 5-34).", "labels": [[0, 5, "PER"], [157, 172, "WORK_OF_ART"], [658, 667, "WORK_OF_ART"], [834, 839, "PER"], [952, 963, "PER"], [998, 1003, "PER"], [1031, 1039, "PER"], [1167, 1172, "WORK_OF_ART"], [1426, 1438, "WORK_OF_ART"], [1582, 1587, "PER"], [1848, 1850, "WORK_OF_ART"], [1915, 1924, "WORK_OF_ART"], [1926, 1931, "PER"], [2809, 2824, "WORK_OF_ART"], [3092, 3105, "PER"], [3123, 3137, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "rimanga'. Che ogni realtà tenda alla sua perfezione, come fine ultimo cui tutti gli altri sono subordinati, è dottrina di origine aristotelica riassunta da Tommaso negli stessi termini di Dante (cfr. Summa contra Gentiles I, cap. 37, n. 304 Ex hoc ...unumquodque bonum est quod perfectum est. Et inde est quod unumquodque suam perfectionem appetit sicut proprium bonum\") e comunque già utilizzata proprio all'inizio del Convivio. Nonostante la metafora della sete che sembra alludere all'episodio della Samaritana nel Vangelo di Giovanni (cfr. Cv I i 9) ed anticipare Pg XXI 1-3 non mi sembra che qui il raggiungimento della perfezione sia rinviato a dopo la morte. Il principio, infatti, riguarda tutti gli esseri e se anche il testo passa poi bruscamente a parlare dell'uomo (\"l'anima nostra\") l'incapacità di ogni altra gioia a quietare il desiderio di raggiungere la perfezione non significa che esso non possa essere soddisfatto in questa vita. Come avevano detto i magistri artium parigini, riferendosi ad un testo di Averroè (Metaph. XI= XII, c.51, f. 335D) \"numquam satiatur appetitus sciendi donec sciatur ens increatum\": quello che appunto fa il filosofo, raggiungendo il grado ultimo della perfezione specificamente umana (cfr. Boezio di Dacia, De summo bono, p. 375, ll. 170-171). D'altra parte proprio nel paragrafo seguente Dante afferma chiaramente la possibilità di \"provare pace\" anche \"qua giù\", nella contemplazione della \"donna gentile\": essa, pur se non si identifica con la perfezione assoluta, è perfetta quanto può esserlo l'essenza umana e questo, come vedremo, basta a saziare la \"natural sete\" di perfezione.", "labels": [[156, 163, "PER"], [188, 193, "PER"], [200, 212, "WORK_OF_ART"], [421, 429, "WORK_OF_ART"], [504, 514, "PER"], [519, 538, "WORK_OF_ART"], [545, 547, "WORK_OF_ART"], [569, 571, "WORK_OF_ART"], [1025, 1032, "PER"], [1034, 1040, "WORK_OF_ART"], [1240, 1255, "PER"], [1257, 1270, "WORK_OF_ART"], [1339, 1344, "PER"]]} +{"text": "che ogni produttore ami in generale il suo prodotto è detto nell' Etica Nicomachea (IX 7, 1167 b 34 - 1168 a 3) dove il termine technites viene tradotto con artifex, l'equivalente appunto di maestro\". Che ogni artigiano ami di più il suo 'capo d'opera' (\"opera ottima\") è ovvia deduzione di Dante.", "labels": [[66, 82, "WORK_OF_ART"], [291, 296, "PER"]]} +{"text": "la prova di quanto affermato viene condotta attraverso una catena di inferenze che partono dalla classica definizione aristotelica dell'anima (De an. II 1, 412 a 27-28 anima est actus primus corporis physici potentia vitam habentis\"). Che dall'esser atto del corpo derivi all'anima l'essere la sua causa è pure dottrina esplicita del De anima (cfr. De an. II 4, 415 b 7 \"Est autem anima viventis corporis causa et principium\"). Il termine \"conduce\" sembra rimandare ad un testo di Alberto Magno (Summa de creaturis, II, De homine I.1.1.3.1.1.2, ad primum, p.14, ll. 28-32) in cui si afferma che l'anima \"conducit corpus ad esse ... et ad operationes\". Vedi Gentili 2002, p. 23. Che ogni ogni causa trasmetta al proprio effetto le qualità (\"infonde ... della bontade\") che essa stessa ha ricevuto dalla sua causa, invece, non è dottrina rintracciabile alla lettera nel già citato (\"allegato\") Liber de causis (\"Libro delle Cagioni\"). Probabilmente Dante ha connesso ciò che vien detto nella proposizione prima, dove compare appunto il termine \"causa\" (\"non figitur causatum causae secundae nisi per virtutem causae primae. Quod est quia causa secunda quando facit rem, influit causa prima quae est super eam super illam rem de virtute sua\") con un' affermazione della proposizione quarta dove si parla appunto di trasmissione di \"bontadi\" (\"intelligentiae primae influunt super intelligentias secundas bonitates quas recipiunt a causa prima\", pp. 49, 56). Anche in questo caso, però, Dante, ignorando la catena gerarchica presentata dal De causis, mette l'anima direttamente in relazione con Dio (\"la cagione sua, ch'è Dio\"): l'anima trasmette al corpo tutte le perfezioni che da Dio ha ricevuto. Poiché dunque, per quanto riguarda il corpo, si vedono (\"veggiono\") nella donna gentile bellezze stupende, che rendono chiunque la guarda (\"ogni guardatore\") desideroso di contemplarle ulteriormente (\"disioso di quelle vedere\") risulta evidente che la sua anima, che regge (\"conduce\") il corpo come sua specifica causa (\"come cagione propia\") accoglie miracolosamente (cioè, al di sopra delle perfezioni puramente naturali) il dono gratuito (\"grazioso\") di Dio.", "labels": [[143, 148, "WORK_OF_ART"], [334, 342, "WORK_OF_ART"], [481, 494, "PER"], [496, 514, "WORK_OF_ART"], [520, 543, "WORK_OF_ART"], [657, 664, "PER"], [892, 907, "WORK_OF_ART"], [910, 929, "WORK_OF_ART"], [947, 952, "PER"], [1483, 1488, "PER"], [1536, 1545, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che è esclusivamente intelletto puro'. Il modo diverso con cui il flusso unico e semplice della bontà divina viene accolto dagli enti dipende dunque dal grado di purezza ed immaterialità della loro forma. Lo schema utilizzato da Dante è sicuramente presente in Alberto Magno, ma, come abbiamo già detto, nel capitolo del De intellectu parafrasato dal Convivio l'esempio della luce e dei corpi serve ad un altro scopo: quello di spiegare i diversi gradi di intelligibilità degli oggetti. L'immagine di un cosmo organizzato gerarchicamente a partire dalla nuda materia fino alla pura forma attraverso una serie continua di gradi intermedi si trova invece in un capitolo precedente (I, tr. 1, cap. 5 ) e soprattutto nel De natura et origine animae (tr. I, cap. 3, pp. 6 sgg.) dove si ripercorre la scala degli esseri, partendo dai minerali, le cui forme sono cosi immerse nella materia da non poter ricevere che quasi poco\" dello splendore divino (vedi Fioravanti 2001, p. 99). Ancora una volta Dante sembra utilizzare le sue fonti con una tecnica a bricolage.", "labels": [[229, 234, "PER"], [261, 274, "PER"], [321, 346, "WORK_OF_ART"], [351, 359, "WORK_OF_ART"], [717, 744, "WORK_OF_ART"], [950, 960, "PER"], [992, 997, "PER"]]} +{"text": "la scala ordinata delle realtà intellettuali, in maniera analoga a ciò che riscontriamo nelle realtà sensibili (sì come vedemo nell'ordine sensibile\") si estende quasi senza soluzioni di continuità (\"per gradi quasi continui\") tra una forma più bassa ed una più alta in assoluto (\"infima\" \"altissima\"). In questa scala non ci sono intermediari (\"non sia grado alcuno\" \"ancor mezzo alcuno non sia\") tra l' anima umana e l'angelo (\"l'angelica natura\") né tra l'anima degli animali più perfetti (\"l'anima più perfetta delli bruti animali\") e l'anima umana: esse si dispongono appunto in continuità graduale (\"quasi l'uno all'altro continuo per li ordini di gradi\"). Ma che ci siano uomini assai vicini, per indole e comportamento alle bestie è attestato dall'esperienza quotidiana (lo \"veggiamo\"). Bisogna dunque ipotizzare (\"porre\") e credere fermamente che anche l'altro estremo sia realizzato e che esista qualche essere umano quasi identico ad un Angelo. Diversamente verrebbe meno la continuità dell'uomo con gli esseri a lui superiori ed inferiori (\"altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie da ogni parte\") e questo non è possibile (\"che esser non può\"). Dante afferma, a conclusione del suo ragionamento, che questo è il caso della donna gentile (\"cotale dico io che è questa donna\"). Per questo la potenza divina (\"la divina virtude\") viene infusa in lei nello stesso modo in cui viene infuso nell'angelo (\"a guisa che discende nell'angelo\"). A tali esseri umani Dante riserva l'aggettivo \"divino\" che Aristotele (Eth. Nic. VII 1, 1145 a 13-30) attribuiva a coloro che sono in possesso di un grado di virtù superiore al normale, la virtù eroica. Il lemma specifico 'homines divini' è usato nello stesso contesto dalla Summa Alexandrinorum, e di lì passa nel Trésor. La Summa, però, ha in più un termine, angelici, (\"tales homines angelici dicuntur et quasi divini\", p. LXVIII). Il fatto che Dante non lo usi, proprio in un contesto in cui sarebbe giunto del tutto a proposito, testimonia che, almeno in questo caso, il testo di riferimento non può essere il compendio arabo. Commentando il passo dell' Etica Nicomachea in cui all'estremo della 'virtus heroica et divina' era contrapposto l'altro estremo della bestialitas (loc. cit.) Tommaso aveva fondato la possibilità, per alcuni, di elevarsi \"quasi in similitudinem substantiarum separatarum\", per altri di abbassarsi \"usque ad similitudinem bestiarum\" proprio sul principio generale utilizzato da Dante per cui \"ordo rerum se habet ut medium ex diversis partibus attingat utrumque extremum\". Applicato al caso della natura umana, che è media tra le sostanze divine ed i bruti, esso spiega come in essa esista \"aliquid quod attingit ad id quod est superius, aliquid quod coniungitur inferiori, aliquid vero quod medio modo se habet\"o (VII, lectio 1, n. 1299). Ma per l'Aquinate si trattava appunto di una possibilità della cui realizzazione erano artefici gli uomini stessi, corrompendo o perfezionando le proprie facoltà. In Dante, per un principio di pienezza, queste possibilità sono comunque realizzate, indipendentemente, a quanto sembra, da ogni intenzionalità umana. Che anche all'interno di un'unica specie, ad esempio quella umana, i singoli individui si distribuiscano su una scala di maggiore o minore partecipazione alla forma specifica è piuttosto dottrina di teologi francescani come Matteo d'Aquasparta o Vitale Du Four (cfr. del primo le Quaestiones disputatae de anima XIII, q. 12, ed. Gondras, pp. 195 sgg. e del secondo il testo delle Quaestiones disputatae de rerum principio citato in Nardi 1985, p. 151). Sulla contrapposizione degli autori francescani alla posizione di Tommaso per cui le diverse capacità morali ed intellettuali registrabili tra gli uomini dovevano essere imputate ad una diversità dei corpi e non delle anime cfr.. Falzone 2010.", "labels": [[948, 954, "PER"], [1164, 1169, "PER"], [1474, 1479, "PER"], [1513, 1523, "PER"], [1525, 1528, "WORK_OF_ART"], [1729, 1749, "WORK_OF_ART"], [1769, 1775, "PER"], [1902, 1907, "PER"], [2113, 2129, "WORK_OF_ART"], [2245, 2252, "PER"], [2463, 2468, "PER"], [2834, 2842, "PER"], [2991, 2996, "PER"], [3363, 3382, "PER"], [3385, 3399, "WORK_OF_ART"], [3419, 3455, "WORK_OF_ART"], [3468, 3475, "PER"], [3519, 3567, "WORK_OF_ART"], [3571, 3576, "PER"], [3658, 3665, "PER"], [3822, 3829, "PER"]]} +{"text": "non vogliono, attraverso quelle parole e quegli atteggiamenti (per quello\"), trasmettere alcun messaggio intenzionale (\"alcuna cosa significare\"), ma solo ripetere imitando (\"ripresentare\") quel che vedono e sentono. Notazioni sulla capacità del pappagallo e della gazza di imitare il linguaggio umano si trovano nel dizionario di Uguccione da Pisa (Derivationes, s.v. Poyo , P 100, 10, 11, pp. 948-9). La causa per cui alcuni uccelli (tra cui appunto la gazza e il pappagallo) sono capaci di emettere voci articolate imitanti il linguaggio umano era stata data da Alberto Magno, che prende in considerazione anche l'imitazione dei comportamenti umani propria delle scimmie (cfr. De animalibus XXI, tr. 1, capp. 5 e 3, pp. 1335-7; 1329-1332). Non è dunque necessario ipotizzare una diretta conoscenza di pappagalli o di scimmie da parte di Dante. Una trattazione del tutto analoga del problema è presente in VE I ii 7.", "labels": [[331, 340, "PER"], [350, 362, "WORK_OF_ART"], [376, 377, "WORK_OF_ART"], [565, 578, "PER"], [840, 845, "PER"], [908, 910, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel fatto miracoloso il potere divino dimostra di essere più ampio delle categorie della ragione che pure egli stesso ha creato. I miracoli, infatti, per dirla con le parole di Tommaso, Summa contra Gentiles III, cap. 101, n. 2763, divinitus fiunt praeter ordinem communiter observatum in rebus\" (il testo di Tommaso è esplicitamente citato in Mn II iv 1-2 \"Sicut dici Thomas in tertio suo contra Gentiles, miraculum est quod preter ordinem in rebus communiter institutum divinitus fit\"). Sempre nella Summa contra Gentiles III, cap. 154, n. 3262 si trova la affermazione che i miracoli operati dagli Apostoli servirono come conferma della veridicità della loro predicazione (\"Sed quia sermo propositus confirmatione indiget ad hoc quod recipiatur, nisi sit per se manifestus, ea autem quae sunt fidei sunt humanae rationi immanifesta, necessarium fuit aliquid adhiberi quo confirmaretur sermo praedicantium fidem. Non autem confirmari poterat per aliqua principia rationis per modum demonstrationis, cum ea quae sunt fidei rationem excedant. Oportuit igitur aliquibus indiciis confirmari praedicantium sermonem quibus manifeste ostenderetur huiusmodi sermonem processisse a Deo, dum praedicantes talia operarentur, sanando infirmos et alias virtutes operando quae non posset facere nisi Deus\"). Che essi siano \"il principalissimo fondamento della nostra fede\" sembra però una esagerazione dantesca.", "labels": [[177, 184, "PER"], [186, 198, "WORK_OF_ART"], [309, 316, "PER"], [344, 346, "WORK_OF_ART"], [502, 514, "WORK_OF_ART"], [601, 609, "WORK_OF_ART"], [1175, 1178, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel racconto degli Atti degli apostoli il primo miracolo della storia cristiana, la guarigione del mendicante storpio alla porta del Tempio, viene operato da Pietro nel nome del Cristo crocifisso e risorto (cfr. Act 4, 10) e questa cornice fungerà da modello per tutti i successivi resoconti di miracoli.", "labels": [[19, 38, "WORK_OF_ART"], [158, 164, "PER"], [178, 184, "PER"]]} +{"text": "più che un rimando alla incredulità dell'apostolo Tommaso che chiese di constatare con i suoi sensi (fare sensibile esperienza\") la realtà del corpo glorioso di Cristo risorto (cfr. Io 20, 25), credo si trovi qui la constatazione, comune per altro a non pochi scrittori ecclesiastici precedenti, che nella storia della Chiesa il tempo dei miracoli si è in qualche modo concluso e che si tratta ora di credere al racconto dei miracoli avvenuti; come verrà detto subito dopo la donna gentile deve aiutare la fede dei contemporanei. Che qualcuno dubiti dei prodigi del passato e, come Tommaso, creda solo a miracoli effettivamente sperimentabili sembra descrivere una situazione reale e non solo letteraria.", "labels": [[50, 57, "PER"], [161, 167, "PER"], [182, 184, "WORK_OF_ART"], [319, 325, "ORG"], [582, 589, "PER"]]} +{"text": "con questa citazione dal libro dei Proverbi (cfr. Prv 8, 23 ab aeterno ordinata sum\") la donna gentile di fatto diventa, anche prima della esegesi allegorica; la Filosofia. Proprio come donna, infatti, può essere esplicitamente identificata con la Sapienza divina secondo un modello che, come abbiamo visto (cfr. Cv II xii 9) risale ai commenti altomedievali al De consolatione di Boezio (vedi ad esempio il testo di Adalboldo di Utrecht citato in Courcelle1939, p. 74 \"Philosophia hic introducitur ad loquendum que cum creatore aderat quando formata sunt omnia\"). Abbiamo già notato come questa personificazione permanga, sia pure a modo di topos retorico, anche nella cultura universitaria del XIII e XIV secolo.", "labels": [[25, 43, "WORK_OF_ART"], [50, 53, "WORK_OF_ART"], [313, 315, "WORK_OF_ART"], [362, 377, "WORK_OF_ART"], [381, 387, "PER"], [417, 437, "PER"]]} +{"text": "con un procedimento abituale Dante inserice l'elogio della bellezza corporea della donna gentile in coordinate più generali. L'uomo è la cosa più bella prodotta dalla sapienza divina (mirabilissimo effetto\") se si riflette (\"considerando\") come essa abbia unito in un'unica (\"una\") forma, cioè nell'anima dell'uomo, e solo in quella, tre realtà (\"nature\"), cioè le facoltà vegetativa, sensitiva ed intellettiva (cfr. Cv III iii 5) e come dunque il corpo umano debba esser armoniosamente composto (\"armoniato\"), visto che mediante quasi tutte le sue facoltà (\"per tutte quasi sue virtudi\") è strutturato (\"organizzato\") in funzione di questa forma complessa (la limitazione espressa dal \"quasi\" si riferisce al fatto che la facoltà intellettiva non è organica, non si avvale cioè di organi corporei). Che l'uomo possedesse una complessione corporea più equilibrata di quella degli altri animali era dottrina comune: basterà anche in questo caso ricorrere ad un testo così diffuso come il De regimine principum (II i 1, p. 216) \"Homo inter cetera animalia habet ... meliorem complexionem ... puram et redactam ad medium\". Dal canto suo Tommaso, per il corpo umano, aveva parlato (che è lo stesso) di una \"complexio maxime aequalis\" (cfr. Summa Contra Gentiles II, cap. 90 n. 1760). Per Dante, però, questo è vero solo in linea di principio; proprio per l'alto grado di armonia (\"per la molta concordia\") necessario (\"che conviene\") ad una armoniosa corrispondenza (\"a bene rispondersi\") di tanti organi, tra tutti gli uomini (\"in tanto numero\") pochi sono gli individui che raggiungono la perfezione.", "labels": [[29, 34, "PER"], [417, 419, "WORK_OF_ART"], [987, 1008, "WORK_OF_ART"], [1134, 1141, "PER"], [1236, 1248, "WORK_OF_ART"], [1284, 1289, "PER"]]} +{"text": "cfr. Eccli 1, 3 Sapientiam Dei praecedentem omnia quis investigavit?\".", "labels": []} +{"text": "a differenza del piacere del Paradiso che è senza fine e senza interruzione (perpetuo\"), quello offerto dalla contemplazione della donna gentile non può esser tale per nessun uomo (\"non può ad alcuno esser questo\"). Che la contemplazione filosofica avesse come limite l' esser soggetta ad interruzioni era stato detto da Aristotele e da Averroè, quando avevano sottolineato la differenza fra l'uomo e Dio per il quale l'attività di pensiero, identica con la sua stessa natura, è invece ininterrotta ed eterna (cfr. Eth. Nic. X 8, 1178 b 25-26; Metaph. XII 7, 1072 b 24-25; In libros Metaphysicorum Aristotelis, XI = XII, c. 38, f. 321 E-F). Ovviamente nessuno dei due ipotizzava un Paradiso in cui tutti avrebbero potuto fruire di una felicità simile a quella di Dio. Tommaso invece aveva fatto leva proprio su questa limitazione intrinseca al \"contentarsi\" per sostenere che il desiderio di beatitudine dell'uomo trovava il suo compimento solo in una vita futura attingibile non per natura, ma per grazia (il Paradiso, appunto). In Dante, come vedremo, limite della felicità filosofica ed esistenza di una piena felicità sovrannaturale rimarranno volutamente irrelati.", "labels": [[29, 37, "WORK_OF_ART"], [321, 331, "PER"], [337, 344, "PER"], [515, 518, "WORK_OF_ART"], [544, 550, "WORK_OF_ART"], [583, 609, "WORK_OF_ART"], [682, 690, "WORK_OF_ART"], [768, 775, "PER"], [1010, 1018, "WORK_OF_ART"], [1033, 1038, "PER"]]} +{"text": "in modo così evidente'. Che gli occhi fossero lo specchio dell'anima era dottrina comune; cfr. lo Speculum Naturale di Vincenzo di Beauvais: Oculi inter omnes sensus animae viciniores existunt; in oculis enim omne mentis indicium est. Unde et animi perturbatio vel hilaritas in oculis apparet\" (XXVIII, cap. 47., p. 2023) e il De animalibus di Alberto Magno \"Dixit ... Palemon oculos esse tamquam fores animae et animam emicare per oculos, et solum oculorum dispositionem esse aditum per quem animus introspici possit\" (I, tr. 2, cap. 3, p. 51)", "labels": [[119, 139, "PER"], [327, 340, "WORK_OF_ART"], [344, 357, "PER"], [359, 376, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel secondo libro della Retorica, dedicato appunto all'analisi delle passioni, Aristotele parla effettivamente della gratia (c. 7), dello zelus (c.11), della misericordia (c.8), dello sdegno (nemesis, c. 9), della invidia (c. 10), dell'amore, o più precisamente dell'amare e della amicizia (c.4) e della vergogna (c. 6.; ma la traduzione latina ha erubescentia), insieme però a molte altre affezioni dell'animo, e non nello stesso ordine seguito da Dante. Il Convivio dipende qui direttamente dalla schematizzazione operata da Egidio Romano sul contenuto della Retorica aristotelica: cfr. De regimine principum I iii 10, p. 181, Sed praeter omnes has passiones Philosophus 2 Rhetoricorum sex alias passiones enumerare videtur, videlicet zelum, gratiam, nemesim (quod idem est quod indignatio de prosperitatibus malorum), misericordiam, invidiam et erubescentiam sive verecundiam\" . Si noterà che nel testo tradito del Convivio le passioni sono cinque: manca la nemesis, un termine che, semplicemente traslitterato nella traduzione latina, era stato chiarito con una parafrasi da Egidio e dal suo traduttore in volgare che parla di \"disdegno e corruccio del bene e dell'allegreza de' malvagi\" (Egidio Romano, Del reggimento dei Principi. Volgarizzamento del 1288, p.103). L'integrazione \"amore\" proposta dall'edizione Brambilla Ageno per raggiungere il numero di sei è dunque soggetta a cauzione.", "labels": [[24, 32, "WORK_OF_ART"], [79, 89, "PER"], [449, 454, "PER"], [459, 467, "WORK_OF_ART"], [527, 540, "PER"], [561, 582, "WORK_OF_ART"], [918, 926, "WORK_OF_ART"], [1079, 1085, "PER"], [1193, 1206, "PER"], [1227, 1235, "WORK_OF_ART"], [1317, 1326, "PER"]]} +{"text": "cfr. Tebaide I 47-8 merserat aeterna damnatum nocte pudorem / Oedipodes\" (il \"solvette\" della traduzione dantesca non corrisponde al \"merserat\" del testo e sembra piuttosto presupporre un \"solverat\" che per altro non è attestato come variante dalle moderne edizioni critiche). Publio Papinio Stazio, nato a Napoli verso il 50 d.C. e sempre a Napoli morto intorno al 96 d.C. è l'autore di due poemi epici, la Tebaide (la \"Tebana Istoria\") e l' Achilleide, ampiamente conosciuti e commentati nel tardo Medioevo.", "labels": [[5, 12, "WORK_OF_ART"], [62, 71, "WORK_OF_ART"], [277, 298, "PER"], [307, 313, "LOC"], [342, 348, "LOC"], [408, 415, "WORK_OF_ART"], [421, 435, "WORK_OF_ART"], [443, 453, "WORK_OF_ART"], [500, 508, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta del Liber de quattuor virtutibus (il titolo originale è Formula honestae vitae), testo di larga diffusione, opera di Martino arcivescovo di Braga ma attribuito dal Medioevo, e da Dante stesso (cfr Mn II v 3), a Seneca: Sales tui sine dente sint ... risus sine cachinno\". Questo medesimo brano era stato ripreso e volgarizzato sia dalla seconda redazione del Trésor (II LXXX 4, ed. Carmody, p. 258) che dal Liber veterum preceptorum, una raccolta di auctoritates compilata verso la fine del '200 dal domenicano pisano Bartolomeo da San Concordio, e da lui stesso tradotta in volgare sotto il titolo Ammaestramenti degli antichi (dist. vi, cap. 2 De modificatione risus, pp. 144-45. Il testo era dedicato a Geri Spini, personaggio che ha avuto qualche parte nelle vicende politiche di Dante); in nessun, però, appare il termine \"cachinno\" (riso sguaiato) che risulta un calco dantesco dal testo originale .", "labels": [[14, 42, "WORK_OF_ART"], [66, 88, "WORK_OF_ART"], [127, 134, "PER"], [150, 155, "PER"], [174, 182, "PER"], [189, 194, "PER"], [207, 212, "WORK_OF_ART"], [221, 227, "PER"], [368, 374, "WORK_OF_ART"], [391, 398, "PER"], [416, 441, "WORK_OF_ART"], [527, 537, "PER"], [541, 554, "WORK_OF_ART"], [608, 636, "WORK_OF_ART"], [655, 677, "WORK_OF_ART"], [715, 725, "PER"], [793, 798, "PER"]]} +{"text": "non solo (non pur\") nel modo in cui il sole vince una vista forte e sana, ma in quello (molto più potente) in cui ne vince una debole'. Compare nuovamente un' eco della affermazione di Aristotele nel secondo libro della Metafisica (1, 993 b 7-9) per cui rispetto alle realtà divine il nostro intelletto è nella medesima situazione degli occhi del pipistrello (o della civetta, a seconda delle diverse trasposizioni in latino del termine nykteris. Cfr. Cv II iv 17) nei confronti della luce del sole.", "labels": [[185, 195, "PER"], [220, 230, "WORK_OF_ART"], [452, 454, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "possiamo'. Che le sostanze separate siano conoscibili solo a partire dagli effetti era già stato detto in Cv II iv 16 . A maggior ragione questo vale per Dio, la cui essenza rimane inaccessibile all'intelletto umano non aiutato dalla grazia divina (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 12, a. 4, respondeo). Anche la materia prima, aristotelicamente parlando, è in sé inconoscibile, in quanto pura privazione e pura potenza (cfr. Metaph. VII 10, 1036 a 8-9) ma, ad essere rigorosi, neppure produce alcun effetto (anche se è necessaria per spiegare tutti i mutamenti riscontrabili nel mondo fisico). Semmai, nella dottrina comune, essa è conoscibile per analogia alla forma (cfr. Alberto Magno, Metaphysica VII, tr. 3, cap. 5, vol. II, p. 361, ll. 70-73; Tommaso, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1496). La sua inconoscibilità dipende infatti non da un eccesso, ma da una mancanza di essere (cfr. Alberto Magno, De intellectu et intelligibili tr. III, cap. 2, p. 500. Vedi anche la nota a Cv III xv 6).", "labels": [[106, 108, "WORK_OF_ART"], [254, 261, "PER"], [263, 281, "WORK_OF_ART"], [430, 436, "WORK_OF_ART"], [680, 693, "PER"], [695, 710, "WORK_OF_ART"], [755, 762, "PER"], [939, 952, "PER"], [954, 992, "WORK_OF_ART"], [1032, 1034, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "non ha lo stesso peso della natura'. Cfr. Alberto Magno, Super Ethica commentum et quaestiones, VII, lectio 11, vol. II, p. 570 ll. 78-80 Consuetudo, quamvis imitetur naturam, non tamen pervenit ad firmitatem ipsius\". La terminologia usata in questi due paragrafi è certamente riconducibile all'etica aristotelica: aristotelici sono infatti i concetti di virtù e di vizio come 'qualità abituali' generate dalla consuetudine (cioè dalla ripetizione di azioni virtuose o viziose), e questo è il senso del rimando piuttosto generico al secondo libro dell' Etica Nicomachea. Non è però pienamente aristotelica la distinzione tra vizi connaturati e vizi abitudinari. La stessa nozione di vizio innato sembra estranea al pensiero dello Stagirita: il testo di Eth. Nic. VII 5, 1148 b 15 sgg., citato dai commentatori, si riferisce alle depravazioni morbose (la bestialitas) alcune delle quali possono avere la loro origine in una degenerazione della natura umana, ma che comunque Aristotele distingue nettamente dai vizi normali. Allo stesso modo, all'osservazione per cui alcune inclinazioni, anche virtuose ci sono presenti per natura, segue un netto rifiuto di un loro carattere di virtù (cfr .Eth. Nic. VI 13, 1144 b4-10). L'unico accenno ad una possibile origine naturale dei vizi è presente in Eth. Nic. VII 10, 1152 a 27-30 dove Aristotele distingue tra incontinenza per natura e incontinenza per abitudine, collegando la prima alla melancholia ed affermando che l'abitudine è più correggibile della natura Proprio questo testo periferico darà modo ad Alberto Magno e a Tommaso di introdurre il tema delle complexiones \"Natura potest inclinari ad aliqua vitia secundum diversas complexiones\" (Alberto, Super Ethica commentum et quaestiones VII, lectio 11, vol. II, p. 570, ll. 59-62) \"Illi qui sunt incontinentes per consuetudinem sunt sanabiliores illis qui sunt incontinentes per naturam, scilicet corporalis complexionis ad id inclinantis\" (Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio VII, lectio 10, n. 1467). Si tratta di una teoria medica presentata esaurientemente nel Canon di Avicenna, testo ufficiale di medicina nelle Università del Medioevo e del Rinascimento; riducendola alle sue linee fondamentali essa dice il corpo dell'uomo è costituito da una mescolanza dei quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile rossa, o collera, e bile nera o melancholia) il cui equilibrio non è mai così assoluto che uno dei quattro in qualche misura non sopravanzi gli altri, o a causa dell'età, o a causa del clima, o a causa della struttura individuale. Così si avranno, con gradazioni diverse per ogni individuo, quattro tipi psicosomatici (\"caratteri\") il sanguigno, il flemmatico, il collerico, il melanconico (cfr. Canon I, doctr. 3, c. 1 De complexionibus, ff. 2ra-3rb). Che queste distemperantie producano inclinazione al vizio, come dice Alberto (ma come non aveva detto Avicenna) deriva da un assioma condiviso dalla cultura medievale: \"mores animi sequuntur complexionem corporis\" (cfr. Cv I i 2-5; IV ii 7). Sulle dottrine medico filosofiche relative alla complexio vedi Bertini Malgarini 1989, pp. 35-54.", "labels": [[42, 55, "PER"], [57, 94, "WORK_OF_ART"], [553, 569, "WORK_OF_ART"], [730, 739, "PER"], [753, 756, "WORK_OF_ART"], [763, 766, "WORK_OF_ART"], [973, 983, "PER"], [1293, 1296, "WORK_OF_ART"], [1303, 1306, "WORK_OF_ART"], [1329, 1339, "PER"], [1552, 1565, "PER"], [1570, 1577, "PER"], [1693, 1700, "PER"], [1702, 1743, "WORK_OF_ART"], [1944, 1951, "PER"], [1969, 1990, "WORK_OF_ART"], [2089, 2094, "WORK_OF_ART"], [2098, 2106, "PER"], [2142, 2165, "LOC"], [2759, 2776, "WORK_OF_ART"], [2861, 2868, "PER"], [2894, 2902, "PER"], [3012, 3014, "WORK_OF_ART"], [3097, 3104, "WORK_OF_ART"], [3105, 3114, "PER"]]} +{"text": "definizioni analoghe a quella di Dante si trovano nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (II xiii,controllare vol. I, s. p.) e nelle Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Poyo, P 100, 13, p. 949).", "labels": [[33, 38, "PER"], [56, 67, "WORK_OF_ART"], [71, 90, "PER"], [135, 160, "WORK_OF_ART"], [182, 183, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "e qui bisogna sapere'. Calco dal latino universitario: 'ubi est sciendum'. L'esempio promesso all'inizio si sviluppa per tutto quanto il capitolo, formando, come dirà Dante stesso all'inizio del capitolo seguente, una digressione sulla fisiologia e sulle cause di perturbazioni dell'atto visivo. Come sostiene Aristotele (come Aristotele vuole\": calco dal latino universitario: 'ut vult Aristotiles') oggetti propri della vista (\"propiamente... visibili\") sono il colore e la luce in quanto costitutiva dei colori (i rimandi aristotelici sono a De an. II 7, 418 a 29- b3, De sensu et sensato I 437 a 5-9). Luce e colori possono essere percepiti solo dalla vista (\"solo col viso comprendiamo ciò e non con altro senso\"). Certamente anche altre realtà sono visibili (\"Ben è altra cosa visibile\"), ma non in senso proprio (\"non propiamente\") poiché vengono colte anche da un altro senso (\"però che altro senso sente quello\"): si tratta dei sensibili chiamati comuni proprio perché percepiti con più sensi. Anche in questo caso si tratta di dottrina aristotelica e gli esempi portati: forma (\"figura\") grandezza, numero, movimento e quiete (\"lo stare fermo\") sono gli stessi di De an. III 1, 425 a 14-16. Nel testo del De anima non appare alcun riferimento diretto al tatto, ma quando si dice che un sensibile comune come la grandezza inerisce, oltre che ad un oggetto, visibile anche ad un oggetto percepito da un altro senso (ivi, 425 b 9-10) questo senso viene normalmente identificato dai commentatori proprio con il tatto (cfr. ad esempio Alberto Magno, De anima II, tr. 2, cap. 6, p. 154, ll. 25-32). Questo spiega perché Dante parli di sensibile comune \"né propiamente visibile né propiamente tangibile \".", "labels": [[167, 172, "PER"], [310, 320, "PER"], [327, 337, "PER"], [545, 550, "WORK_OF_ART"], [572, 591, "WORK_OF_ART"], [1174, 1179, "WORK_OF_ART"], [1215, 1223, "WORK_OF_ART"], [1540, 1553, "PER"], [1555, 1566, "WORK_OF_ART"], [1624, 1629, "PER"]]} +{"text": "secondo la teoria aristotelica nell'atto della vista gli oggetti visibili (quelli propri e quelli comuni, in quanto visibili) non imprimono nell'organo (vengono dentro l'occhio\") direttamente se stessi (\"non le cose loro\"), ma la propria forma (cfr. De an. III 8, 431 b 29 \"non lapis in anima est, sed species lapidis\"). Il De anima però non diceva molto su come le immagini (species) dei corpi colorati passassero dagli oggetti all'organo di senso. Secondo il modello elaborato dai teorici arabi e latini dell'ottica, ma utilizzato anche da commentatori di Aristotele come Alberto Magno (cfr. De sensu et sensato tr. I, cap. 10, p. 26) e qui presupposto da Dante, la species, si moltiplica in linea retta attraverso un mezzo trasparente (\"diafano\"), sia esso aria o acqua, fino a raggiungere l'organo della vista e nel mezzo acquisisce uno status intermedio tra la determinazione materiale posseduta nell'oggetto e l' immaterialità che riceverà nell'atto della percezione, un esse incompletum chiamato esse spirituale o intentionale. Ora il nome \"intentio\" e l'aggettivo \"intentionale\" sono la traduzione del vocabolo arabo \"ma'na\", usato da Avicenna e da Averroè, che ha il valore generale di \"significare\", \"significato\". Dunque nel processo della vista (che è il modello di ogni altro processo sensoriale) la forma del colore ha una valenza rappresentativa, non è l'oggetto, ma sta per l'oggetto reale, è un suo signum, ne fornisce la notitia (cfr. Alberto Magno, De anima II, tr. 3, c. 4, p.102, ll. 28-51). Per questo Dante dice \"non realmente, ma intenzionalmente\". Il processo ha certamente basi organiche e fisiologiche: poiché però il punto terminale del percorso della forma attraverso il mezzo, cioè la pupilla, è di natura acquea (cfr. De an. III, 1, 425 a 4) e quindi della stessa natura del mezzo, le forme possono mantenere anche nell'occhio un esse intentionale. Proprio nell'acqua della pupilla il percorso (\"discorso\") della forma visibile nel mezzo diafano si conclude (\"si compie\"); questo umore, infatti, (l' humor glacialis o cristallino della fisiologia medievale dell'occhio) non è esso stesso trasparente, bensì \"terminato\" cioè delimitato nella superficie posteriore da un corpo opaco, come in uno specchio il vetro lo è da una lamina di piombo. Così la forma non può passare oltre ma si ferma come una palla in movimento dopo aver rimbalzato contro un'ostacolo (\"percossa\"). Non visibile nel diafano trasparente, essa lo diventa sulla superficie tersa (\"lucida\"), ma non trasparente (\"terminata\") della pupilla, proprio come un'immagine appare solo su di un vetro piombato e non su uno trasparente (\"in altro\"). Come nota Vasoli l'intera spiegazione del processo visivo, con la sua assimilazione al comportamento degli specchi, assente in Aristotele, si ritrova in Tommaso (cfr. De sensu et sensato, lectio 4, nn. 48-49); ma già prima Alberto Magno aveva sostenuto che la pupilla si comporta esattamente come uno specchio (cfr. De anima II, tr. 3, c. 15, p. 122, l. 4 sgg. ) ricorrendo appunto all'esempio della palla: l'arresto del percorso delle forme, infatti, è una \"repercussio\", una \"reflexio ad similitudinem pilae quae repercutitur proiecta ad parietem\". (l'esempio della palla che \"cum parietem percutit ... resilit retro\" era già presente in Avicenna, De anima sive liber sextus de naturalibus, II, 5, vol. I, p. 165, ma riferito al fenomeno dell'eco). In ogni modo la descrizione dell'atto visivo risulta qui molto semplificata rispetto alle trattazioni tecniche dei commentatori del De anima o degli autori di trattati di ottica (cfr. Lindberg 1983).", "labels": [[250, 255, "WORK_OF_ART"], [324, 332, "WORK_OF_ART"], [558, 568, "PER"], [574, 587, "PER"], [658, 663, "PER"], [1143, 1151, "PER"], [1157, 1164, "PER"], [1453, 1466, "PER"], [1468, 1479, "WORK_OF_ART"], [1524, 1529, "PER"], [1749, 1759, "WORK_OF_ART"], [2767, 2777, "PER"], [2793, 2800, "PER"], [2863, 2876, "PER"], [2956, 2967, "WORK_OF_ART"], [3280, 3288, "PER"], [3290, 3331, "WORK_OF_ART"], [3523, 3531, "WORK_OF_ART"], [3575, 3583, "PER"]]} +{"text": "da questa pupilla'. Dante spiega ora come il processo fisico della vista si muti in vera e propria pecezione sensibile: lo spirito che presiede alla facoltà del vedere (lo spirito visivo\") istantaneamente (\"subitamente e sanza tempo\") trasferisce e rappresenta (\"ripresenta\") la forma del colore alla parte anteriore del cervello (\"la parte del cerebro dinanzi\") da dove come dal suo principio originario deriva ogni capacità sensitiva (\"dove è la sensibile virtute sì come in principio fontale\") e con cui è direttamente collegato (\"si continua\"): solo a questo punto si ha la percezione visiva vera e propria (\"e così vedemo\"). Mentre risale ad Aristotele l'idea che, nel caso della vista, la trasmissione della species all'organo di senso è istantanea, esattamente come la propagazione della luce, le componenti fisiologiche di questa descrizione rimandano piuttosto a Galeno. Se infatti nella fisiologia dello Stagirita il cervello non riveste un ruolo di rilievo, alle ricerche anatomiche di Galeno si deve la scoperta della sua funzione fondamentale nella percezione sensoriale, come il terminale cui, a partire dai cinque organi di senso, i nervi trasmettono le sensazioni. Questa trasmissione avviene attraverso un corpo sottile, lo pneuma, diversificato a secondo dei sensi (è lo \"spirito visivo\" di Dante; ciò che \"si continua\" dalla pupilla al cervello è più propriamente il nervo ottico). Da Avicenna viene la localizzazione cerebrale delle varie facoltà sensoriali interne (cfr. De anima sive liber sextus de naturalibus, I, 5, vol. I, pp. 87-90); il senso comune viene appunto situato \"in prima concavitate cerebri\", l' \"alta camera nella quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni\" (Vn 1, 6). L'immagine del \"fonte\" applicata al senso comune si ritrova in Alberto Magno, De anima II, tr. 4, cap. 7, p. 156, ll. 87-90", "labels": [[20, 25, "PER"], [647, 657, "PER"], [872, 878, "PER"], [914, 923, "PER"], [997, 1003, "PER"], [1309, 1314, "PER"], [1404, 1412, "PER"], [1492, 1533, "WORK_OF_ART"], [1715, 1717, "WORK_OF_ART"], [1788, 1801, "PER"], [1803, 1814, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si macchierebbe. A proposito della convinzione secondo cui il mezzo attraverso cui si propagano i colori, così come quello attraverso cui si propagano i suoni, debba esserne privo se si vuole che la sensazione rispecchi fedelmente le cose vedi Alberto Magno (De anima II tr. 3, cap. 17, p 123, ll. 37 sgg)., il quale osserva che quando il mezzo\" è colorato \"tunc non videtur aliquid in ipso nisi quasi tectum illo colore\" e fa l'esempio della luce che passa attraverso un vetro colorato.", "labels": [[244, 257, "PER"], [259, 273, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante inserisce nella sua digressione una ulteriore digressione dossografica relativa alla teoria della visione come extramissione di raggi luminosi (la virtù visiva\") che dall'occhio raggiungono l'oggetto visibile (\"andava fuori al visibile\") Presente nel Timeo essa era stata comunemente accettata dal medioevo latino fino a quando fu soppiantata, a partire dal XIII secolo, dal modello aristotelico in cui è l'oggetto visibile che attua la potenza visiva (\"perché lo visibile venisse all'occhio\"). Dante cita il testo di Platone in maniera indiretta, attraverso il riassunto (e la critica) che ne fa Aristotele, appunto nel De sensu et sensato (2, 437 b 10 sgg) , dove la medesima posizione viene attribuita anche ad Empedocle (\"altri filosofi\").", "labels": [[0, 5, "PER"], [257, 262, "WORK_OF_ART"], [501, 506, "PER"], [524, 531, "PER"], [603, 613, "PER"], [627, 646, "WORK_OF_ART"], [720, 729, "PER"]]} +{"text": "nella teoria aristotelica i cieli sono esenti da ogni cambiamento (mutazione\") tranne quello che consiste nel loro movimento circolare (\"movimento locale\" cioè da luogo a luogo). Il riferimento possibile è a due passi del De caelo: I 3, 270 a 23-35 e II 7, 289 a 13-16. Il termine \"ricevere\" sembra peraltro rimandare alle Auctoritates Aristotelis, p. 160, n. 17 \"Caelum non potest suscipere peregrinas impressiones\".", "labels": [[222, 230, "WORK_OF_ART"], [323, 347, "LOC"]]} +{"text": "una prima causa per cui può capitarci di vedere opaco un astro, nonostante sia in sè luminoso, consiste nelle continue alterazioni qualitative del mezzo (continuamente si trasmuta\") Esso si altera in due modi: il primo riguarda la sua luminosità, ad esempio (\"sì come\") alla presenza o all'assenza del sole il diafano si muta da molto a poco luminoso (\"di molta luce in poca luce\"); quando il sole è presente il mezzo trasparente (\"diafano\") ne è così irradiato che supera (\"è vincente\") la luminosità della stella e sembra più luminoso di lei (\"e però pare più lucente\"). Il secondo tipo di alterazione riguarda la sua densità. Infatti per l'azione dei vapori che salgono dalla superficie terrestre (\"per li vapori della terra\") l'aria da rarefatta (\"sottile\") si muta in densa (\"grosso\") e da secca in umida. Queste alterazioni del diafano (\"il mezzo così trasmutato\") alterano a loro volta (\"trasmuta\") l'immagine dell'astro che attraverso di esso (\"per esso\") giunge fino a noi: a motivo della densità (\"per la grossezza\") muterà la sua lucentezza in opacità (\"oscuritade\"), a motivo dell'umidità varierà il suo colore. La teoria delle esalazioni come principio di tutti i fenomeni atmosferici è esposta da Aristotele nel quarto capitolo del primo libro dei Meteorologica. Essa postula l'esistenza due tipi di vapori: uno secco e uno umido, entrambi causati dal riscaldamento operato dal sole sulla superficie terrestre. Evidentemente è l'esalazione umida che \"ingrossa\" il diafano e attenua la luminosità di un oggetto (cfr. Pg XXX 25-27). Lo stesso tipo di esalazione, mutando il diafano da secco in umido, dovrebbe spiegare i mutamenti di colore. Tra tutti i testi di riferimento portati dai commentatori l'unico realmente significativo è quello del De anima di Alberto Magno (II, tr. 3, cap. 5, p. 103, ll. 46-53) indicato recentemente da S. A. Gilson: \"Et multae variationes possunt fieri circa sensatum, tam in medio quam in organo, quoniam si contingat aerem qui est medium in visu esse humidum multum, forte videbitur album esse perfusum rubore vel croceitate et si forte pupilla sit infirma ex humore ex oculo defluente, alterabit esse coloris\" (Gilson² 2000, p. 71)", "labels": [[1211, 1221, "PER"], [1262, 1275, "WORK_OF_ART"], [1530, 1532, "WORK_OF_ART"], [1757, 1765, "WORK_OF_ART"], [1769, 1782, "PER"], [1847, 1859, "PER"], [2159, 2166, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la seconda causa per cui un oggetto può apparire diverso da come è (puote parere così\") è una qualche modifica dell'organo di senso: o per malattia (\"per infertade\") o per un eccessivo affaticamento (\"per fatica\"). Nel primo caso l'occhio presenta una alterazione del colore dei tessuti che lo compongono (\"si trasmuta nel coloramento\"), nel secondo è soggetto ad un indebolimento (\"debilitade\"). Ad esempio (\"sì come\") spesso avviene che per un sanguinamento della membrana che circonda la pupilla (\"per essere la tunica della pupilla sanguinosa molto\") causato da una alterazione morbosa del tessuto (\"per corruzione d'infertade\") gli oggetti sembrino tutti colorati di rosso (\"rubicondi\"), e dunque (\"però\") anche l'astro appaia rosso. Nel caso invece di un indebolimento della vista (\"per essere lo viso debilitato\") in essa si verifica (\"incontra\") una qualche dispersione (\"alcuna disgregazione\") dello spirito visivo per cui le cose non appaiono più nitide (\"unite\") ma confuse (\"disgregate\"), quasi come si comporta la nostra scrittura (\"quasi come fa la nostra lettera\") su di un foglio bagnato (\"carta umida\"). Questo è il motivo per cui (\"e questo è quello per che\") molti lettori (evidentemente i presbiti), allontanano i testi (\"si dilungano le scritture\") dagli occhi, affinchè (\"perché\") le immagini delle parole scritte entrino nell'occhio (\"vegna dentro\") con meno forza (\"più lievemente\") e più distintamente (\"più sottile\"). Facendo questo (\"in ciò\") i caratteri dello scritto (\"la lettera\") rimangono più distinti (\"più ... discreta\"). Per tutti questi motivi (\"e però\") anche l'immagine di un astro può apparire perturbata. Di una \"dispersione\" della vista parla Alberto Magno proprio riguardo a coloro che vedono male da vicino; nel loro caso \"color ... quando prope est vincit oculum debilem et nimis dispergit ipsum, et tunc oculus non videt nisi confuse\" (De anima II, tr. 3, cap. 14, p. 121, ll. 12 sgg .). Sempre Alberto, nel descrivere alcune affezioni morbose della vista, accenna ad un \"humor turbidus defluens in pupillam oculi\" tale da alterare il colore dell'oggetto percepito (oltre al testo del De anima già citato vedi Meteora III, tr. 4, cap. 12, p. 188, ll. 28-30), ma l' esempio specifico di un versamento sanguigno in una delle membrane dell'occhio è proprio di Dante.", "labels": [[1684, 1697, "PER"], [1881, 1892, "WORK_OF_ART"], [1940, 1947, "PER"], [2130, 2138, "WORK_OF_ART"], [2302, 2307, "PER"]]} +{"text": "'a causa dell'aver affaticato eccessivamente la vista con il continuo leggere'. Cfr. Cv III i 3. La testimonianza di una particolare venerazione di Dante verso Santa Lucia fornita da If II 97-99 (e in qualche modo anticipata nel nome della città immaginaria posta sul polo antartico) è stata collegata a questa malattia degli occhi. Il testo del Convivio, però, attribuisce la guarigione a rimedi puramente naturali, indicati tra l'altro dal testo base dell'insegnamento universitario di medicina, il Canon di Avicenna, opportunamente richiamato nel commento Busnelli", "labels": [[85, 87, "WORK_OF_ART"], [148, 153, "PER"], [160, 171, "WORK_OF_ART"], [183, 185, "WORK_OF_ART"], [346, 354, "WORK_OF_ART"], [501, 506, "WORK_OF_ART"], [510, 518, "PER"], [559, 567, "PER"]]} +{"text": "agente e paziente sono i termini tecnici che nella fisica aristotelica identificano, per ogni forma di mutamento, il motore ed il mosso (cfr. Phys. III 3, 202 a 22 sgg.) ed è vero che ogni mutamento può avvenire solo se i due termini si accostano l'uno all'altro fino a toccarsi (per Aristotele non esiste azione a distanza). In questo senso è giusto rimandare, come fanno i diversi commentatori, a De generatione I 6 ,322 b 22-24, integrato con il commento di Tommaso (I, lectio 23, n. 162) dove il termine latino usato è proprio appropinquare. L' affermazione secondo cui quanto più l'agente si avvicina al paziente, tanto più intensa (forte\") è per questo (\"però\") la trasformazione che il paziente subisce (la \"passione\"), sconosciuta alla fisica aristotelica, può avere un qualche fondamento nella trascrizione che Dante opera del rapporto tra movente e mosso nei termini di desiderato e desiderante. Egli attribuisce così alla donna gentile quella particolare capacità di muovere in quanto oggetto di desiderio che il XII libro della Metafisica sembra aver riservato a Dio. Entro questo schema (in cui però è il desiderante che si avvicina al desiderato) la maggior velocità dei corpi celesti era stata collegata dai commentatori di Aristotele alla loro maggiore vicinanza al Primo Principio e quindi ad un maggior desiderio di unirsi ad esso (vedi il commento a Cv III 8-10). Con tutta evidenza Dante, però vuole parlare di un altro desiderio, del desiderio-passione e della sua forza dirompente per cui l'anima che ne è presa (\"passionata\") in vicinanza dell'oggetto desiderato abbandona la razionalità e quasi si identifica (\"si unisce\") con la sua parte puramente appetitiva (\"la parte concupiscibile\"). In questo caso valuta la persona desiderata non come dovrebbe fare un essere razionale (\"come uomo\"), ma come farebbe ogni altro animale irrazionale, cioè solo in base a ciò che appare (\"pur secondo l'apparenza\"). Anche Tommaso aveva affermato che le passioni possono totalmente oscurare il giudizio della ragione e ridurre l'uomo a livello animale, ma aveva limitato questo caso alla pazzia, sia tranquilla che furiosa: \"Immutatio hominis per passionem duobus modis contingit. Uno modo sic quod totaliter ratio ligatur ita quod homo usum rationis non habet, sicut contingit in his qui propter vehementem iram vel concupiscentiam furiosi vel amentes fiunt, sicut et propter aliquam aliam perturbationem corporalem; huiusmodi enim passiones non sine corporali transmutatione accidunt. Et de talibus eadem ratio est sicut et de animalibus, quae ex necessitate sequuntur impetum passionis\" (cfr. Summa Theologiae Ia-IIae, q. 10, a. 3). In ogni caso il tipo di passione di cui qui si parla non ha molto a che fare con il modello aristotelico di agente e paziente. Ancora una volta la cultura delle \"scuole\" ha fornito a Dante una cornice entro cui strutturare un contenuto che non le appartiene.", "labels": [[142, 146, "WORK_OF_ART"], [284, 294, "PER"], [399, 413, "WORK_OF_ART"], [461, 468, "PER"], [820, 825, "PER"], [1040, 1050, "WORK_OF_ART"], [1239, 1249, "PER"], [1282, 1297, "WORK_OF_ART"], [1402, 1407, "PER"], [1934, 1941, "PER"], [2607, 2623, "WORK_OF_ART"], [2830, 2835, "PER"]]} +{"text": "dopo le digressioni astronomiche e fisiologiche collegate alla spiegazione letterale della canzone, nell'esegesi allegorica, in cui fin dall'inizio la donna gentile si rivela essere la Filosofia, Dante esordisce con un'argomentazione in forma le cui premesse si fondano su altrettanti testi autorevoli del Filosofo per eccellenza: è naturale che gli elogi inducano il desiderio di conoscere chi viene elogiato; ora conoscere qualcosa significa sapere la sua essenza (quello che ella è\": calco dal latino 'quod quid est') presa in se stessa (\"in sé considerata\") e attraverso le cause che la producono (\"per tutte le sue cause\"); ma il nome di una cosa non ci fa vedere (\"dimostra\") tutto questo, nonostante ne sia segno (\"avegna che ciò significhi\"); dunque è necessario prima di andare avanti (\"convienesi prima che più oltre si proceda\") nel tessere l'elogio della Filosofia (\"per le sue laude mostrare\"), dire cos'è ciò cui vien dato il nome di Filosofia (\"dire che è questo che si chiama Filosofia\"), esplicitare cioè il referente reale significato dal nome (\"quello che questo nome significa\"). Le citazioni aristoteliche rimandano a Phys I 1, 184 a 12-13 (in realtà il testo non parla di tutte le cause, ma delle cause prime: \"tunc enim opinamur cognoscere unumquodque cum causas cognoscamus primas\" Translatio Vetus, p. 7, ll. 5-6) e Metaph. IV 7, 1012 a 23-24 , visto però attraverso il commento di Tommaso (cfr. In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 17, n. 733 \"ratio quam nomen significat est definitio rei\" ripreso da Dante alla lettera: \"la diffinizione è quella ragione che ' l nome significa\").", "labels": [[196, 201, "PER"], [306, 314, "PER"], [867, 876, "WORK_OF_ART"], [948, 957, "PER"], [1139, 1143, "WORK_OF_ART"], [1341, 1347, "WORK_OF_ART"], [1407, 1414, "PER"], [1558, 1563, "PER"]]} +{"text": "incidentalmente'. In realtà Tito Livio aveva accostato Pitagora e Numa Pompilio solo per negare, su basi cronologiche, la loro contemporaneità e soprattutto la dipendenza dottrinale del primo dal secondo (cfr. Ab urbe condita I 18, 1-3). Il brano di Cicerone portato in campo dal commento di Vasoli come una possibile altra fonte che giustificherebbe questa svista di Dante nega anch'esso la contemporaneità tra i due personaggi, pur se intende giustificare l'errore di chi ha creduto Numa discepolo di Pitagora (cfr. Tusculanae Disputationes IV 1 3). In ogni modo, come ha giustamente notato Paul Renucci negli scritti di Dante i riferimenti allo storico romano risultano quasi sempre di seconda mano (Renucci 1954, p. 73). Per una analisi completa dei riferimenti danteschi allo storico patavino vedi la voce Livio, Tito, curata da Antonio Martina in ED, III, pp. 673-677.", "labels": [[28, 38, "PER"], [55, 63, "PER"], [66, 79, "PER"], [250, 258, "PER"], [368, 373, "PER"], [485, 489, "PER"], [503, 511, "PER"], [518, 528, "WORK_OF_ART"], [593, 605, "PER"], [623, 628, "PER"], [703, 710, "PER"], [811, 816, "PER"], [818, 822, "PER"], [834, 849, "PER"], [853, 855, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "i sette sapienti formano un gruppo i cui nomi erano assai conosciuti nel Medioevo. Sorprende dunque che Dante commetta l'errore di non elencarne due (Talete e Pittaco) e di introdurne altri due non esistenti (Lindio e Prieneo). In realtà i termini Lindio e Prieneo non sono invenzione di Dante, ma indicano, negli elenchi corretti, il luogo di origine di Cleobulo (di Lindo) e di Biante (di Priene). La spiegazione più plausibile è dunque che Dante abbia inteso gli aggettivi Lindio e Prieneo come nomi propri. Ora la lista che contiene Cleobulo Lindio e Biante Prieneo come ultimi due, l'uno immediatamente dopo l'altro, è quella di Agostino (De civitate Dei XVIII 25, p. 616) dove tra l'altro Solone, Chilone, Periandro, Cleobulo e Biante vengono elencati separatamente da Talete e Pittaco (l'ordine seguito dallo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais III, cap. 119, p. 85, è invece diverso: Thales Milesius, Solon Atheniensis, Pyttacus Mityleneus, Chilon Lacedemonius, Cleobulus Lindius, Periander Corinthius). Ma nella lista di Agostino come nelle altre il luogo di origine viene indicato anche per gli altri tre (Solon Atheniensis, Chilon Lacaedemonius, Periandrus Corinthius\"). Al di là di queste difficoltà il testo di Dante postula comunque, più che un lapsus di memoria, un effettivo errore di lettura.", "labels": [[73, 81, "WORK_OF_ART"], [104, 109, "PER"], [150, 156, "PER"], [159, 166, "PER"], [209, 215, "PER"], [218, 225, "PER"], [257, 264, "PER"], [288, 293, "PER"], [355, 363, "PER"], [368, 373, "PER"], [443, 448, "PER"], [476, 482, "PER"], [485, 492, "PER"], [537, 552, "WORK_OF_ART"], [555, 569, "PER"], [634, 642, "PER"], [644, 665, "WORK_OF_ART"], [695, 701, "PER"], [703, 721, "WORK_OF_ART"], [775, 781, "PER"], [784, 791, "PER"], [816, 835, "WORK_OF_ART"], [839, 863, "PER"], [900, 915, "WORK_OF_ART"], [917, 934, "WORK_OF_ART"], [936, 955, "WORK_OF_ART"], [957, 976, "WORK_OF_ART"], [978, 995, "WORK_OF_ART"], [997, 1017, "WORK_OF_ART"], [1038, 1046, "PER"], [1124, 1141, "WORK_OF_ART"], [1143, 1163, "WORK_OF_ART"], [1165, 1186, "WORK_OF_ART"], [1232, 1237, "PER"]]} +{"text": "il termine philos ha lo stesso significato del termine amor in latino'. L'errore per cui, scambiando aggettivo per sostantivo, si dava a philos il significato di amor invece che amicus era presente in un testo autorevole come le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, ed. Cecchini, F 36, 1, 8, p. 437).", "labels": [[162, 166, "PER"], [229, 254, "WORK_OF_ART"], [290, 291, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "è un termine che denota non arroganza ma modestia'. Il racconto relativo a Pitagora ed all'origine del nome filosofia\", risale ad Agostino (De civitate Dei VIII 2, p. 217), ripreso quasi alla lettera da Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vi 1-3, vol. I, s.p.) cui a loro volta si rifanno le Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Filos, F 36 10, p. 437). Nella sua definizione Dante sembra dipendere letteralmente dalla Rettorica di Brunetto Latini (17, 6, p. 29) \"il primo nome si è 'phylos', e vale tanto a dire quanto 'amore'; il secondo nome è 'sophya'e vale tanto a dire quanto 'sapienzia'. Onde 'filosofia' tanto vale a dire come 'amore della sapienza\". Cfr. Migliorini Fissi 1985-86. Non è invece presente in Brunetto il tema dell'arroganza e della umilitade, e qui è più difficile determinare quale sia stata la fonte diretta di Dante: la contrapposizione tra l'arrogantia del termine \"sapiente\" e la verecundia del termine \"filosofo\" si trova in maniera più esplicita in Isidoro e in Uguccione che non in Agostino. In tutti è peraltro è assente il richiamo ai sette sapienti, presente nei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo (VIII vii, 2) \"Pythagoras ... quo cognomine censeretur interrogatus, non se sapientem, iam enim illud septem excellentes viri occupaverant, sed amatorem sapientiae, id est graece philosophon, edidit\", testo ripreso anche da un contemporaneo di Dante, Tolomeo di Lucca, nella sua continuazione del De regno di Tommaso (IV, 21). Che questa definizione etimologica compaia anche in molte delle Introduzioni alla filosofia della Facoltà delle Arti parigina (vedi i numerosi testi citati nel commento di Cheneval) non mi sembra particolarmente significativo. In questo caso, a mio avviso, Dante non è debitore della tradizione universitaria.", "labels": [[75, 83, "PER"], [130, 138, "PER"], [140, 160, "WORK_OF_ART"], [203, 222, "PER"], [229, 245, "WORK_OF_ART"], [299, 311, "WORK_OF_ART"], [315, 324, "PER"], [339, 344, "WORK_OF_ART"], [386, 391, "PER"], [429, 438, "WORK_OF_ART"], [442, 457, "PER"], [685, 690, "PER"], [725, 733, "PER"], [846, 851, "PER"], [989, 996, "PER"], [1002, 1011, "PER"], [1023, 1031, "PER"], [1107, 1112, "PER"], [1137, 1152, "PER"], [1168, 1178, "WORK_OF_ART"], [1397, 1402, "PER"], [1404, 1411, "PER"], [1415, 1420, "LOC"], [1450, 1458, "WORK_OF_ART"], [1462, 1469, "PER"], [1578, 1605, "WORK_OF_ART"], [1652, 1660, "PER"], [1737, 1742, "PER"]]} +{"text": "in numerosi passi precedenti Dante aveva utilizzato incidentalmente l' ottavo libro dell' Etica Nicomachea, dedicato all'amicizia. Qui abbiamo un riassunto di alcuni suoi capisaldi inteso a chiarire senza ombra di dubbio quale sia il vero amico del sapere, il vero filosofo. Con più precisione Dante riassume il capitolo 2 dell'ottavo libro dell' Etica, dando però una disposizione diversa alle sue parti: la definizione di amico (quelli si dice amico\") che nel testo aristotelico conclude il capitolo (cfr. 1155 b 33-1156 a 5) viene messa all'inizio e la distinzione dei tre tipi di amicizia che lo apre (cfr. 1155 b 13-27) viene invece posposta, con lo scopo evidente di costruire una sequenza più organica. Questo tipo di riorganizzazione del testo aristotelico risulta abbastanza frequente nei commenti alle opere etico-politiche dello Stagirita provenienti dagli Studi degli ordini mendicanti.", "labels": [[29, 34, "PER"], [90, 106, "WORK_OF_ART"], [294, 299, "PER"], [347, 352, "WORK_OF_ART"], [840, 849, "PER"], [868, 873, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "avendo come fine o l'utile, o il piacere o il bene' (cfr. Eth. Nic. VIII 2, 1155 b 18-19 hoc autem esse bonum aliquid vel delectabile vel utile\".Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 300, ll. 6-7). Sulla sinonimia bonum-honestum cfr. Cv III iii 11 ).", "labels": [[156, 167, "PER"], [237, 239, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eth. Nic. VIII 3, 1156 a 16-17.", "labels": []} +{"text": "in questi due paragrafi Dante prosegue il parallelo tra le caratteristiche dell'amicizia in generale e quelle della particolare specie di amicizia che è la filosofia. Le proprietà dell'amicizia basata sul bene (l'amistà per onestade fatta\"), cioè l'esser vera, perfetta e durevole (\"perpetua\") valgono anche per quella filosofia che nasce esclusivamente dal bene (\"che è generata per onestade solamente\"), senza alcuna relazione con altro (\"senza altro respetto\": respectus è un termine tecnico usato nelle analisi filosofiche della categoria di relazione) che non sia il valore (\"bontade\") dell'animo che ama il sapere (\"l'anima amica\") e amandolo secondo un desiderio giusto e una ragione retta (\"che è per diritto appetito e per diritta ragione\"). E così si può affermare che come l'amicizia che gli uomini hanno tra di loro (\"intra sé\") è vera quando ogni amico ama l'altro nella sua interezza (\"che ciascuno ami tutto ciascuno\") così il vero filosofo è colui che ama la sapienza in tutte le sue articolazioni (\"ciascuna parte della sapienza ama\") e che viene amato nella sua interezza dalla sapienza (\"e la sapienza ciascuna parte del filosofo\"). In questo caso però, a differenza dell'amicizia in generale, la sapienza ama il suo amico assimilandolo completamente a sé (\"in quanto tutto a sé lo reduce\") e impedendogli così di volgere il suo pensiero ad altro che lei (\"e nullo suo pensiero ad altre cose lascia distendere\"). Che l' amore per la Sapienza dovesse essere totale era già stato affermato da Brunetto Latini: \"neuno puote essere filosofo se non ama la sapienza tanto ch'elli intralasci tutte altre cose e dia ogne studio et opera ad avere intera sapienza\" (Rettorica 17, 6, p. 29).", "labels": [[24, 29, "PER"], [1510, 1525, "PER"], [1675, 1684, "PER"]]} +{"text": "in questi due paragrafi Dante, dopo aver dato la definizione della filosofia secondo quanto proposto nel primo paragrafo del capitolo, ne indaga le cause seguendo il modello quaternario di Aristotele (causa materiale, formale, efficiente e finale) e continuando il parallelismo con l'amicizia in generale. La vera amicizia (amistade\") considerata in sé stessa (\"solo in sé\") astraendo dai particolari individui che la esercitano (\"astratta dell'animo\"), ha come causa materiale (\"subietto\", sostrato) e formale (\"forma\") rispettivamente la conoscenza delle azioni virtuose (\"dell'operazione buona\") e la volontà (\"appetito\") di compierle, come causa efficiente la virtù (\"virtude\"), come causa finale il piacere (\"dilettazione\") che deriva (\"procede\") da una convivenza pienamente umana (\"dal convivere secondo l'umanitade propiamente\"); la filosofia, considerata sotto il medesimo punto di vista, ha come causa materiale l'attività del conoscere (\"lo 'ntendere\"), come causa formale un amore per il suo principio (\"lo 'ntelletto\"). (un tale amore viene definito quasi divino proprio perché, aristotelicamente, l'intelletto è la particella di divino presente nell'uomo; cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 b 19), come causa efficiente la verità (\"veritade\"), come causa finale il piacere della contemplazione. *", "labels": [[24, 29, "PER"], [189, 199, "PER"], [1175, 1178, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eth. Nic. IX 9, 1170 b 5.", "labels": []} +{"text": "che non subisce alcuna interruzione o incompletezza'. Che la contemplazione della verità, e quindi la felicità che ne deriva, possano avere una continuità superiore ad ogni altra attività dell'uomo e possano estendersi per un'intera vita è detto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 a 21-22; b 24-26): ma, come abbiamo già visto nello stesso libro decimo dell' Etica e nel dodicesimo libro della Metafisica, lo Stagirita aveva notato come solo per Dio vita e conoscenza si identifichino senza interruzioni. (cfr. nota a Cv III viii 5). Così nel capitolo XIII Dante osserverà che la natura umana, a differenza di quella angelica, non è in grado di esercitare in questa vita l'atto del conoscere in maniera ininterrotta. E in effetti vedremo che per Dante la Filosofia è in sé pienamente realizzata solo in Dio, nel suo perfetto Amore intratrinitario per la sua stessa Sapienza (cfr. Cv III xii 12).", "labels": [[249, 259, "PER"], [266, 269, "WORK_OF_ART"], [364, 369, "WORK_OF_ART"], [399, 409, "WORK_OF_ART"], [414, 423, "PER"], [523, 525, "WORK_OF_ART"], [562, 567, "PER"], [751, 756, "PER"], [885, 887, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eneide II 281 O lux Dardaniae, spes o fidissima Teucrum\". Come nel caso di \"Metamofoseos\" (cfr. Cv e di \"Thebaidos", "labels": [[5, 11, "WORK_OF_ART"], [81, 93, "WORK_OF_ART"], [101, 103, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Tebaide V 609-10 Archemore, o rerum et patriae solamen ademptae/servitiique decus\" (parla la nutrice Ipsipile).", "labels": [[5, 12, "WORK_OF_ART"], [106, 114, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che quando questo possesso è stato raggiunto, agisce (adopera\" con valore assoluto ed intransitivo) ponendolo in atto'. La distinzione tra un possesso \"abituale\" ed uno \"attuale\" della scienza è presente in Eth Nic. VII 5, 1146 b 31-33 e, in termini assai vicini a quelli usati da Dante, nel corrispondente commento di Tommaso (\"Uno modo dicitur scire ille qui habet habitum sed non utitur eo ... alio modo dicitur scire qui utitur sua scientia, VII lectio 3, n. 1338).", "labels": [[207, 214, "WORK_OF_ART"], [281, 286, "PER"], [319, 326, "PER"]]} +{"text": "ma bisogna (conviene\") che il male (\"quello\") sia puramente accidentale nella produzione intenzionale dell'effetto da parte di Dio (\"nello processo dell'inteso effetto\"). L'analogia tra Dio ed il sole, già presente nella Repubblica di Platone e poi in tutta la tradizione platonica, viene trasmessa dallo pseudo-Dionigi Areopagita alla teologia medievale (cfr. De divinis nominibus c. 4 \"Sicut enim super omnia existentis deitatis bonitas ... a supremis substantiis usque ad ultimas transit ... et illuminat illuminari valentia omnia ... ita quidem et divinae bonitatis manifesta imago, magnus iste et semper resplendens sol ... omnia quae participare ipso possunt illuminat\" PG 3, p. 367 C; Dionysiaca I, p.162) La distinzione tra due azioni del sole (illuminare e riscaldare) e la loro corrispondenza con altrettante azioni divine (diffondere intelligibilità e bene) sembra però originale di Dante.", "labels": [[221, 234, "LOC"], [235, 242, "PER"], [312, 330, "PER"], [894, 899, "PER"]]} +{"text": "l' analogia tra il conoscere divino ed il girare\" si basa probabilmente su Ps. 147, 14-15 \"qui emittit eloquium suum terrae / velociter currit sermo eius\", già interpretato in questo senso da Giovanni Eriugena. Cfr. Periphyseon, I (ed. Sheldon - Williams I, p. 60, 22-31) \"cum a verbo theo, id est 'curro' theos (cioè \"dio\" in greco) deducitur, currens recte intelligitur ... non enim aliud est Deo currere per omnia quam videre omnia ... sicut scriptum est: velociter currit sermo eius\". Un' espressione assai simile al 'girare' è riferita alla Sapienza divina in Eccli 24, 8: \"Gyrum caeli circuivi sola\"). Il commento Busnelli rimanda alla dottrina della reditio, cioè della capacità di un soggetto di tornare su stesso, passando dalla propria operazione alla propria essenza, capacità affermata dal Liber de causis e definita da Tommaso nel suo commento come una circulatio. Essa non è però esclusiva di Dio, ma caratterizza sia pure con modalità diverse, tutte le creature intellettuali. Cfr. nota a Cv IV ii 18.", "labels": [[75, 77, "WORK_OF_ART"], [192, 209, "PER"], [216, 227, "PER"], [236, 243, "PER"], [246, 256, "WORK_OF_ART"], [565, 570, "WORK_OF_ART"], [802, 817, "WORK_OF_ART"], [832, 839, "PER"], [1004, 1006, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "poiché, anche se (avvegna che\") Dio conosce le cose contemplando se stesso (\"esso medesimo mirando\") e in questo modo le vede tutte contemporaneamente (\"veggia insiememente tutto\"), ciò non toglie che abbia una conoscenza distinta di ognuna di esse (\"vede quelle distinte\"): infatti la stessa distinzione delle cose è presente in lui come una molteplicità di effetti rimane nella causa che li produce (\"è in lui per lo modo che lo effetto è nella cagione\"). La dottrina secondo cui Dio conosce distintamente le singole cose in quanto effetti particolari della sua causalità universale accomuna pensatori diversi, ma egualmente presenti nell'universo mentale di Dante, lo Pseudo Dionigi (cfr. De divinis nominibus 7, PG 3, p. 868C, Dionysiaca I, p. 393 \"Quare divina mens omnia continet ... secundum omnium causam in seipso omnium scientiam praeaccipiens ...non enim ex existentibus existentia discens novit divina mens, sed ex ipsa et in seipsa, secundum causam, omnium scientiam et cognitionem praaehabet et praeaccipit, non secundum visionem singulis se immittens, sed secundum unam causae continentiam omnia sciens et continens\") ed Averroè (cfr. In libros Metaphysicorum XI = XII, c. 51, f. 337 A \"Et veritas est quod Primum scit omnia secundum quod scit se tantum, scientia in esse quod est causa eorum esse\"). In maniera più articolata Tommaso, commentando Metaph. XII, 9, 1074 b 22-27, adotterà, precisandolo, il medesimo schema: \"Nec tamen sequitur quod omnia alia a se sint ei ignota. Nam intelligendo se intelligit omnia alia. Quod sic patet. Cum enim ipse sit suum intelligere, ipsum autem est dignissimum et potentissimum, necesse est quod suum intelligere sit perfectissimum: perfectissime igitur intelligit seipsum. Quanto autem aliquod principium perfectius intelligitur, tanto magis intelligitur in eo effectus eius; nam principiata continentur in virtute principii. Cum igitur a primo principio quod est Deus dependeat caelum et tota natura ... patet quod Deus cognoscendo seipsum omnia cognoscit\" (lectio 11 ,nn. 2614-2615).", "labels": [[661, 666, "PER"], [671, 685, "WORK_OF_ART"], [1136, 1143, "PER"], [1160, 1177, "WORK_OF_ART"], [1342, 1349, "PER"], [1363, 1369, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "un atto di fruizione della sapienza da parte di chi la ama'. Il termine uso\" rimanda a Cv III xii 2 dove Dante aveva distinto tra un abito ed un uso attuale della scienza. Esso si trova al grado sommo (\"massimamente\") in Dio: infatti sapienza, amore ed attualità (le tre componenti della definizione di filosofia) costituiscono la sua stessa essenza: sapienza corrisponde al Figlio, amore allo Spirito Santo, quanto al \"sommo atto\" in esso vengono a coincidere il Dio - Atto puro di Aristotele e la prima persona della Trinità, Dio Padre, più comunemente indicato come Potenza (vedi If III, 5-6 \"Fecemi la divina potestate / la somma sapienza e'l primo amore\"). Questo \"amoroso uso\" si può rinvenire nelle altre creature (\"altrove\") solo in quanto derivano (\"procede\") da Dio. Il verbo \"procedere\" è tipico del lessico neoplatonico che indica la derivazione del molteplice (il mondo) dall'Uno (Dio). Che la conoscenza delle cause prime fosse in primo luogo un possesso divino e solo secondariamente umano era stato detto da Aristotele (cfr. Metaph. I, 2, 982 b 28-983 a 10). Vedi Nardi 1992, pp.50-51.", "labels": [[87, 89, "WORK_OF_ART"], [105, 110, "PER"], [375, 381, "PER"], [394, 407, "WORK_OF_ART"], [483, 493, "PER"], [519, 526, "WORK_OF_ART"], [569, 576, "WORK_OF_ART"], [1024, 1034, "PER"], [1041, 1047, "WORK_OF_ART"], [1080, 1085, "PER"]]} +{"text": "non come una sposa, ma come una donna amata (druda\") con cui l'innamorato (\"amadore\") non si unisce pienamente (\"prende compiuta gioia\") dato che il desiderio (\"vaghezza\") si appaga (\"contentasene\") anche solo della sua vista e della sua presenza (\"aspetto\"). Questo breve e densissimo passo, a mio avviso centrale per comprendere tutto il complesso discorso sulla filosofia sotteso al Convivio, è anche un esempio di come Dante utilizzi linguaggi correnti e magari un po' usurati trasformandoli e volgendoli ad esprimere in maniera potente un contenuto del tutto nuovo. Situazioni ed espressioni tipiche della poesia erotica cortese (l'amante che \"vagheggia la sua druda contentandosi del suo aspetto\") si fondono qui con il linguaggio trinitario dell'eterna unione tra Dio e la sua Sapienza: l'espressione \"compiuta gioia\", che, nel linguaggio cortese nella lirica provenzale indica il grado ultimo del rapporto tra il poeta e la donna-domina, il congiungimento fisico cui si può accennare solo con una perifrasi e che è sempre un rapporto extraconiugale, viene risemantizzata nei termini della mistica nuziale già ampiamente presente nell'esegesi medievale del Cantico dei Cantici.", "labels": [[386, 394, "WORK_OF_ART"], [423, 428, "PER"], [1164, 1183, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sorella. Gli epiteti di figlia, sposa e sorella dati alla filosofia derivano dall' Ecclesiastico (cfr. Eccli 24, 5) dove la Sapienza divina dice di sé Ego ex ore Altissimi prodivi, primogenita ante omnem creaturam\" e dal Cantico Cantici (cfr. Ct 4, 9) dove l'amata viene detta \"soror mea, sponsa mea\". Come abbiamo visto Dante, riportando l'episodio di Pitagora, aveva presentato la filosofia come abito ed atto di amore e di amicizia che ha per termini da una parte l'intelletto, dall'altra la Sapienza, appunto \"un amoroso uso di sapienza\". Proprio partendo da questa definizione Dante distingue tra una filosofia divina, una angelica e, come vedremo nel cap. XIII, una umana: nel primo caso il rapporto tra l' intelletto amante e la Sapienza è assoluto e perfetto: si identifica con l'essenza stessa di Dio. Nel secondo è continuo, ma non implica una fusione assoluta tra amore e sapienza (gli angeli infatti, a differenza di Dio, non contemplano se stessi, ma chi li ha creati). Nel terzo questo rapporto non solo non è assoluto, ma è anche discontinuo. L'archetipo di ogni filosofare rimane comunque quello divino, di cui gli altri sono solo derivati. Solo in Dio la filosofia si trova nella sua assolutezza e solo in questo caso la 'donna gentile' è identica alla Sapienza eterna. Non tener conto di questi tre livelli ed attribuire alla 'nostra' filosofia le caratteristiche di quella divina può dar luogo a fraintendimenti. Vedi in proposito le illuminanti precisazioni di Bruno Nardi (Nardi 1966, pp. 39-43.)", "labels": [[83, 96, "WORK_OF_ART"], [221, 236, "WORK_OF_ART"], [243, 245, "WORK_OF_ART"], [321, 326, "PER"], [353, 361, "PER"], [492, 503, "WORK_OF_ART"], [582, 587, "PER"], [733, 744, "WORK_OF_ART"], [1481, 1492, "PER"], [1494, 1499, "PER"]]} +{"text": "come abbiamo già avuto modo di notare, il limite del filosofare umano è la sua discontinuità. Anche quando l'uomo è giunto ad amare la sapienza nell'attività contemplativa quest'ultima non può durare indefinitamente: l'intelletto e la ragione vi trovano il loro appagamento, ma la natura umana, che non è pura razionalità, ha altri bisogni che è necessario soddisfare per continuare ad esistere (per suo sostentamento\"); dunque in alcuni momenti (\"talvolta\") la conoscenza umana non è effettivamente esercitata (\"non è attuale\"), ma solo posseduta in potenza (in modo abituale). Questo non succede (\"non incontra\") nelle Intelligenze separate: la perfezione della loro natura consiste infatti nell'essere sostanze esclusivamente intellettuali (\"solo di natura intellettiva sono perfette\"). Della necessità di soddisfare le necessità primarie per potersi dedicare alla vita di conoscenza aveva parlato Aristotele sia nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (9, 1178 b 33-35) che nel primo libro della Metafisica (1, 981 b 20-25), senza però collegarla esplicitamente al tema della discontinuità. Esso, invece, era stato sfiorato, come abbiamo visto, sempre nel libro decimo dell' Etica Nicomachea, ma nell'ambito di un confronto tra conoscenza divina e conoscenza umana. Un accenno più preciso è invece presente nel commento di Tommaso che, nel sottolineare la distanza tra le sostanze separate per cui è possibile una contemplazione continua e l'uomo soggetto invece agli impedimenti della malattia e della ricerca del cibo, usa termini assai vicini a quelli di Dante (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio X, lectio 13, nn. 2126-27 \"humana natura ... ad sui sustentationem indiget exterioribus rebus\").", "labels": [[901, 911, "PER"], [939, 955, "WORK_OF_ART"], [1000, 1010, "WORK_OF_ART"], [1179, 1195, "WORK_OF_ART"], [1327, 1334, "PER"], [1562, 1567, "PER"], [1590, 1611, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per quanto è possibile per loro essere assimilate'. Che nelle trasformazioni naturali l'agente tenda ad assimilare a sé il paziente è un principio ricavato dal De generatione di Aristotele (I, 7, 324 a 10-17 ).", "labels": [[160, 174, "WORK_OF_ART"], [178, 188, "PER"]]} +{"text": "che Dio elargisca alle cose, per quanto possibile, una sua somiglianza è dottrina presente nel De divinis nominibus dello pseudo-Dionigi Theologi autem existentem super omnia Deum secundum quod ipse est nulli dicunt esse similem, ipsum autem divinam similitudinem dare iis qui ad ipsum existentem super omnem det diffinitionem et rationem convertuntur secundum virtutem imitatione \" cap. 9, PG 3, p. 913 C, Dionysiaca I, p. 466). Ma ancora una volta Dante ne sposta il significato in funzione della sua personale argomentazione: più che su una similitudo diversamente partecipata da tutte le cose a seconda del loro statuto ontologico, l'accento viene messo su di un dinamico e particolare processo di assimilazione in cui l'attività sta tutta dalla parte di Dio.", "labels": [[95, 115, "WORK_OF_ART"], [129, 136, "PER"], [407, 419, "WORK_OF_ART"], [450, 455, "PER"]]} +{"text": "le altre intelligenze sono illuminate dalla luce divina non direttamente ma in quanto essa si riflette su di loro (si ripercuote\") dalle Intelligenze che sono state illuminate anteriormente. I passi del Liber de Causis citati nel commento Vasoli non sono perfettamente attinenti. Essi infatti parlano di Intelligenze che accolgono l'illuminazione da quelle superiori e la riverberano su quelle inferiori, mentre per Dante (coerente in questo con Cv III vi 4-5), tutte le Intelligenze-Angeli sono direttamente illuminate da Dio. Più convincente il riferimento allo pseudo-Dionigi che definisce gli angeli, specchi puri e lucentissimi (\"Imago est Dei angelus ... speculum purum, clarissimum ... suscipiens totam ... pulchritudinem boniformis deiformitatis et munde resplendere faciens in seipso\" De divinis nominibus 4, PG 3, p. 724 B; Dionysiaca I, p. 268) E' ciò che d'altra parte fa Dante stesso in Pd IX, 61: \" Su sono specchi / voi dicete Troni\", specchi che ricevono la luce da Dio e la riflettono addirittura sui beati. Che Dio parli agli uomini tramite gli Angeli era dottrina teologica comune, basata ovviamente su episodi biblici (cfr. ad esempio la Summa de Creaturis di Alberto Magno, I De quattuor coaequevis, tr. IV, q. 34, artt. 1-2, pp. 522-525), ma pensare che essi siano i tramiti esclusivi e necessari perché le illuminazioni divine raggiungano gli altri esseri riflette sicuramente, sia pure modificato, lo schema neoplatonico della mediazione indispensabile tra l'Uno e i molti. C'è peraltro da notare che questa affermazione sembra contrastare con quella di Cv III.ii.12 secondo cui \"la divina luce\" raggia direttamente nell'anima intellettiva proprio \"come in angelo\".", "labels": [[203, 218, "WORK_OF_ART"], [416, 421, "PER"], [446, 452, "WORK_OF_ART"], [571, 578, "PER"], [884, 889, "PER"], [900, 902, "WORK_OF_ART"], [1158, 1176, "WORK_OF_ART"], [1180, 1193, "PER"], [1197, 1219, "WORK_OF_ART"], [1578, 1580, "PER"]]} +{"text": "in quanto viene riflesso (ripercusso\") da un altro oggetto già illuminato'. In Avicenna è effettivamente presente la distinzione tra lux, radius e splendor, ma il significato dei termini solo in parte corrisponde a quello fornito da Dante (cfr. Liber de anima seu sextus de naturalibus III, 1, p. 171). Un' enciclpedia assai diffusa come Speculum Naturale di Vincenzo di Beauvais contiene la medesima distinzione espressa in termini più vicini a quelli del Convivio (\"Lux est in propria natura.... Radius exitus luminis secundum lineam rectam ... splendor est ipsa luminis reflexio a reflexione radiorum procedens\". Cit. in Gilson² 2000, p. 57, n. 34). Ma la fonte diretta di Dante, anche per quanto riguarda il riferimento ad Avicenna, sembra poter essere il Tractatus de luce del francescano Bartolomeo da Bologna. : \"Notandum quod sicut ... traditur ... ab Avicenna in 6 De Naturalibus, refert inter lucem, radium et splendorem. Lux enim nominat naturam lucis consideratam ut existentem in fonte suo, id est in ipso corpore lucidi. Radius autem dicit generationem similitudinis ... illius fontalis lucis... secundum diametralem processum factam in medio ... Splendor autem dicitur secundum quod radii procedentes a corpore lucido perveniunt ad aliud corpus tersum et politum et lucidum ... et repercutiuntur a corpore illo retrorsum \" (I, 1, ed. Squadrani, pp. 231-2). A cominciare all'uso dell'aggettivo \"fontale\", le corrispondenze sono effettivamente notevoli. Bartolomeo, maestro di teologia a Parigi negli anni settanta del XIII secolo, dal 1282 era tornato a Bologna per restarvi almeno fino al 1294 (Squadrati, pp. 202-205), in un periodo cioè coincidente con uno dei soggiorni danteschi nella città della Garisenda.", "labels": [[79, 87, "PER"], [233, 238, "PER"], [245, 289, "WORK_OF_ART"], [359, 379, "PER"], [457, 465, "WORK_OF_ART"], [624, 631, "WORK_OF_ART"], [676, 681, "PER"], [727, 735, "PER"], [760, 769, "WORK_OF_ART"], [794, 804, "PER"], [808, 815, "LOC"], [860, 868, "PER"], [874, 888, "WORK_OF_ART"], [1161, 1169, "PER"], [1467, 1477, "PER"], [1501, 1507, "LOC"], [1568, 1575, "LOC"], [1716, 1725, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eccli 24, 14 Ab initio et ante saecula creata sum et usque in futurum saeculum non desinam\".", "labels": []} +{"text": "cfr. Prv 8, 23 Ab aeterno ordinata sum\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante si riferisce al prologo del Vangelo di Giovanni, da sempre considerato il testo speculativo per eccellenza della Scrittura, ed alla sua affermazione di un Verbo eterno, esistente da sempre presso Dio (cfr. Io 1, 1). L' identificazione del Verbo con la Sapienza dell'Antico Testamento era comune nell'esegesi cristiana.", "labels": [[0, 5, "PER"], [34, 53, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sia Zenone di Elea (il discepolo di Parmenide) che Zenone di Cizico (il padre dello stoicismo) erano visti dalla dossografia antica come modelli di disprezzo della vita e di amore della sapienza. Nell'elenco dei pensatori perseguitati che la Filosofia presenta a Boezio e che comprende anche Socrate e Seneca, Zenone è senza alcun dubbio Zenone di Elea (cfr. De consolatione philosophiae I, prosa 3, 9, p. 10), ma la tradizione medievale aveva spesso confuso i due personaggi. Per quanto riguarda Aristotele e il suo rapporto con Platone Dante ha sicuramente presente il testo di Eth. Nic. I 6, 1096 a 14-17 (Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem\" Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16) un brano che non fa espressamente il nome di Platone, ma comunque prelude alla critica della dottrina platonica del bene (il testo verrà citato esplicitamente in Cv IV viii 15). Che Platone fosse discendente per parte di padre del mitico re di Atene Codro era notizia presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I 1, p. 82), una fonte da cui i medievali traevano buona parte della loro conoscenza di Platone. Il testo del Convivio sembra presupporre che Platone abbia abdicato ad un diritto politicamente ancora esigibile; per questo si è pensato ad un rapporto con il Liber philosophorum moralium antiquorum, testo dossografico di origine araba tradotto in latino alla fine del XIII secolo da una precedente traduzione spagnola, dove si narra come Platone abbia rifiutato la direzione politica (dominatio) della città offertagli dagli Ateniesi (vedi Nardi 1944 pp. 79-80). Ma, come ha giustamente notato Paul Renucci (vedi Renucci 1954, p. 166, nota 460) nella versione latina del Liber non solo non si parla di regnum né di diritti regali di Platone, ma il rifiuto stesso ha motivi politici e non filosofici (\"Atheniensibus ipsum invitantibus ad dominationem sui, dominari noluit quia reperit mores eorum male ordinatos\". Cfr. Franceschini 1932, p. 462). Quanto a Democrito, la notizia relativa alla sua trascuratezza potrebbe derivare da una cattiva interpretazione dei vv. 295-8 dell' Ars poetica di Orazio (\"Ingenium misera quia fortunatius arte / credit et excludit sanos Helicone poetas / Democritus, bona pars non unguis ponere curat / non barbam ...\"). Sarebbe stato messo sul conto di Democrito il comportamento di alcuni poeti contemporanei di Orazio che, volendo recitare la parte del vate ispirato da una divina follia (teoria effettivamente democritea), derogavano anche alle più elementari regole igieniche.", "labels": [[4, 18, "PER"], [36, 45, "PER"], [51, 57, "PER"], [61, 67, "PER"], [263, 269, "PER"], [292, 299, "PER"], [302, 308, "PER"], [310, 316, "PER"], [338, 352, "PER"], [498, 508, "PER"], [531, 538, "PER"], [581, 584, "WORK_OF_ART"], [611, 715, "WORK_OF_ART"], [772, 784, "WORK_OF_ART"], [850, 857, "PER"], [967, 969, "WORK_OF_ART"], [987, 994, "PER"], [1055, 1060, "PER"], [1086, 1106, "WORK_OF_ART"], [1110, 1117, "PER"], [1207, 1214, "PER"], [1229, 1237, "WORK_OF_ART"], [1261, 1268, "PER"], [1376, 1415, "WORK_OF_ART"], [1557, 1564, "PER"], [1644, 1652, "LOC"], [1659, 1664, "PER"], [1713, 1725, "PER"], [1732, 1739, "PER"], [1790, 1795, "WORK_OF_ART"], [1852, 1859, "PER"], [2037, 2049, "PER"], [2074, 2083, "PER"], [2197, 2208, "WORK_OF_ART"], [2212, 2218, "PER"], [2286, 2301, "WORK_OF_ART"], [2403, 2412, "PER"], [2463, 2469, "PER"]]} +{"text": "in realtà la definizione di libero come ciò che è fine a se stesso e non in funzione di altro si trova in Metaph. I 2, 982 b 25-26: per sua cagione è, non per altrui\" è infatti un calco della traduzione latina \"qui suimet et non alterius causa est\" (lo stesso testo verrà citato in Mn I xii 8. Nel linguaggio giuridico dei tempi di Dante, chi non è libero è appunto \"homo alterius\"). Si è discusso tra i commentatori su quali siano le altre anime: esse non possono comunque essere quelle delle piante e degli animali. L'anima vegetativa nelle piante e l'anima sensitiva negli animali, infatti, non sono serve di niente. Se invece le si intende come facoltà vegetativa e sensitiva umane il passo del Convivio può essere messo in relazione con un'interpretazione di Aristotele che le vede esistere solo in funzione d'altro, cioè della facoltà razionale (cfr. Boezio di Dacia, De summo bono, p. 373, 120-22 \"Omnes virtutes inferiores quae sunt in homine naturaliter sunt propter virtutem supremam ... quae est intellectus\"). Questo è proprio ciò che verrà detto in Cv III xv 4; \"la nobile anima d'ingegno\" indicherebbe dunque l'uomo che vive secondo ragione (e per questo è libero); nel richiamo alla ancillarità delle altre facoltà (fatto in sé naturale) potrebbe nascondersi un accenno alla servitù innaturale dell'uomo che ad esse subordina l'attività razionale. Ma è possibile anche una interpretazione molto più semplice per cui le \"altre anime\" sarebbero le anime umane non nobili.", "labels": [[106, 112, "WORK_OF_ART"], [282, 284, "WORK_OF_ART"], [332, 337, "PER"], [699, 707, "WORK_OF_ART"], [764, 774, "PER"], [857, 872, "PER"], [874, 887, "WORK_OF_ART"], [1062, 1064, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nell'ambito della filosofia vedere mediante una spiegazione razionale (per ragione\") significa, nel caso di molte realtà naturali (\"molto di quello\") che per i non filosofi sembrano inspiegabili e miracolose (\"che sanza lei par maraviglia\"), sostituire alla meraviglia che inizialmente suscitano (e che è proprio lo stimolo iniziale al filosofare) una considerazione delle cause che le producono e che quindi (\"per consequente\": calco dal latino filosofico universitario 'per consequens') le rendono possibili Proprio per questo la filosofia ci porta anche a credere che ciò che sfugge alla ragione umana (\"ogni miracolo\") non è impossibile in assoluto, ma può trovare la sua causa (\"ragione\") in una mente più alta della nostra; in questo modo essa fonda la possibilità e la ragionevolezza delle virtù soprannaturali. In primo luogo della fede dalla quale deriva (\"segue\") la speranza, che è appunto il desiderare di possedere ciò che la fede ha antiveduto (\"il proveduto\"), mentre dal desiderio della speranza ha origine un'agire ispirato dall'amore per ciò in cui si crede e in cui si spera (\"l'operazione della carità\"). Il pensiero di Dante risulta in questi paragrafi particolarmente complesso: una Filosofia che sembra coincidere con la totalità della conoscenza, ce ne manifesta solo una parte e ci spinge a desiderare e a possedere ciò che contemporaneamente ci nasconde. I termini di questa evidente tensione possono in parte esser chiariti ricordando ancora una volta che esistono per il Dante del Convivio una filosofia divina, che coincide con la Sapienza e con il Verbo-verità, ed una filosofia umana che a questa Sapienza aspira senza poterla raggiungere compiutamente. Essa però può fondare la possibilità dell'esistenza di ciò che la trascende e far sì che 'ubi deficit ratio, ibi suppleat fides', e questo ragionevolmente. Ma a loro volta le virtù teologali non sono fine a se stesse, ma mezzo per ascendere alla città celeste (\"per le quali virtudi si sale a quelle Atene celestiali\") dove si filosoferà sì, ma di una filosofia finalmente divina. In patria le diverse scuole filosofiche (Stoici, Peripatetici ed Epicurei) illuminate dalla verità eterna del Verbo, nel possesso della Sapienza trovano la concordia (\"in uno volere concordemente concorrono\") abbandonate le differenze terrene (vale la pena ricordare che, proprio all'inizio del De consolatione di Boezio la veste lacerata indossata da Filosofia è simbolo delle controversie, qui sulla terra, tra le varie scuole. Cfr. I, prosa 3, 7-8, p. 10). Nel sostenere che attraverso la filosofia si pensa la possibilità di ciò che trascende le nostre capacità conoscitive, e quindi si apre uno spazio alla fede, Dante è vicino alle posizioni di alcuni maestri parigini, come Boezio di Dacia: nel De aeternitate mundi (p. 353, ll. 478-80) a proposito della creazione nel tempo, infatti egli sostiene che la filosofia non può dimostrarla, ma solo affermare che essa \"possibile est per causam cuius virtus est maior quam sit virtus causae naturalis\" (\"per lei si crede ogni miracolo in più alto intelletto poter avere ragione\") Ancora in Boezio di Dacia, questa volta nel De summo bono (p. 372) si trova un accenno ad una possibile relazione tra la felicità che si acquista in questa vita attraverso la speculazione e la felicità che si spera possedere in patria nella visione di Dio \"qui enim perfectior est in beatitudine quam in hac vita homini possibilem esse per rationem scimus, ipse propinquior est beatitudini quam in vita futura per fidem expectamus\". Del resto già un testo autorevole come la Metaphysica di Al-Ghazzali dopo aver definito il risultato della contemplazione filosofica come \"descripcio universi esse in animabus nostris\" aveva detto che essa \"est summa nobilitas in presenti, et causa felicitatis in futuro\". (Ed. Muckle, p. 2). Mi pare particolarmente interessante che alcuni maestri parigini della prima metà del 200 avessero interpretato la 'felicitas in futuro' come 'felicitas vitae aeternae' ed avessero sostituto al termine \"causa\" quello più cristiano di \"spes\". Peraltro l'intreccio e la tensione tra filosofia in terra e filosofia in cielo, con la loro composizione in una città celeste che non è più Gerusalemme, ma Atene sono una novità assoluta di Dante. Per la cultura medievale, infatti, Atene incarna sì la città filosofica per eccellenza, ma essa è vista non come una meta futura, bensì come un mito del passato (vedi ad esempio le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, XIV iv 10, vol. II, p. 123 \"Graecia, ubi fuit Athenae civitas ... philosophorum nutrix, qua nihil habuit Graecia clarius atque nobilius\"). Improbabile mi sembra l'identificazione dell'Atene celeste con il 'nobile castello' del Limbo sostenuta da Cheneval nel suo commento. I filosofi che vi sono ospitati (ma che non ne sono gli esclusivi abitanti) non sono affatto giunti a cogliere quella verità eterna che li renderebbe concordi. Come ha giustamente notato Stephen Bemrose (Bemrose 1980, p. 13) sia Aristotele che Platone che molti altri filosofi non cristiani continueranno invano a desiderarla con quel desiderio che \"etternalmente è dato lor per lutto\" (cfr. Pg III 42 e Forster 1977, p. 190 sgg.). E del resto tutti gli abitanti del Limbo \"sanza speme vivono in disio\" (cfr. If. IV 41). Neppure mi sembra che fare dell'Atene celestiale un \"segno\" del Paradiso implichi che i grandi filosofi del passato possano così fruire della visione beatifica (il che andrebbe effettivamente contro tutto quello che Dante dice in proposito altrove, non solo nella Commedia, ma anche nel Monarchia): si parla qui di dottrine e del loro inveramento, non di uomini. Certo, queste \"Atene celestiali\" sono un paradiso così come creduto, sperato ed amato dalla filosofia giunta ad un punto di tensione che è anche il massimo delle sue possibilità. Egualmente fede, speranza e carità sono viste non nel loro contenuto specificamente teologico, ma dall'angolatura della loro possibilità filosofica. Di qui però a negar loro ogni caratterizzazione cristiana, come fa il commento Cheneval, il passo è davvero troppo lungo: in fondo anche Agostino, nei Soliloquia aveva parlato di queste virtù per quanto sono strumenti di cui la stessa ricerca razionale non può fare a meno. Vedi Fioravanti 2007.", "labels": [[1140, 1145, "PER"], [1499, 1504, "WORK_OF_ART"], [1557, 1568, "WORK_OF_ART"], [1578, 1583, "PER"], [1985, 1990, "LOC"], [2176, 2181, "LOC"], [2361, 2376, "WORK_OF_ART"], [2380, 2386, "PER"], [2418, 2427, "PER"], [2684, 2689, "PER"], [2747, 2762, "PER"], [2768, 2788, "WORK_OF_ART"], [3107, 3122, "PER"], [3141, 3154, "WORK_OF_ART"], [3572, 3583, "WORK_OF_ART"], [3587, 3598, "WORK_OF_ART"], [3804, 3814, "WORK_OF_ART"], [4255, 4260, "PER"], [4297, 4302, "LOC"], [4443, 4454, "WORK_OF_ART"], [4458, 4477, "PER"], [4663, 4668, "LOC"], [4725, 4733, "PER"], [4939, 4954, "PER"], [4956, 4963, "PER"], [4981, 4991, "PER"], [4996, 5003, "PER"], [5144, 5146, "WORK_OF_ART"], [5156, 5163, "PER"], [5219, 5224, "PER"], [5305, 5310, "LOC"], [5337, 5354, "WORK_OF_ART"], [5489, 5494, "PER"], [5537, 5545, "WORK_OF_ART"], [5560, 5569, "WORK_OF_ART"], [6043, 6051, "PER"], [6101, 6109, "PER"], [6243, 6253, "PER"]]} +{"text": "Stoici, Epicurei e Peripatetici erano già per Alberto Magno, le tre grandi sette\" in cui si è storicamente articolata la ricerca filosofica. Ma la dossografia del domenicano tedesco è, almeno per i nostri standards, piuttosto curiosa: gli Epicurei non si identificano esclusivamente con i seguaci di Epicuro, ma incarnano la linea materialista della filosofia che comprende anche il monismo degli Eleati; gli Stoici, poi, non hanno niente a che vedere con Zenone di Cizico ed i suoi seguaci, ma comprendono Socrate, Platone e gli altri platonici; infine i Peripatetici indicano, oltre naturalmente ad Aristotele, i \"moderni\" filosofi arabi (Al Ghazzali, Avicenna, Averroè). Cfr. Santinello 1990. Nel quarto trattato del Convivio (IV vi 10 sgg.) Dante seguirà piuttosto la dossografia fornitagli dai dialoghi di Cicerone, che è anche alla base della storiografia filosofica moderna. Mi sembra però che in Dante i due modelli abbiano in qualche modo interagito (vedi il commento a Cv II viii 9 )", "labels": [[0, 6, "WORK_OF_ART"], [8, 16, "WORK_OF_ART"], [46, 59, "PER"], [239, 247, "WORK_OF_ART"], [300, 307, "PER"], [456, 462, "PER"], [466, 472, "PER"], [507, 514, "PER"], [516, 523, "PER"], [556, 568, "WORK_OF_ART"], [601, 611, "PER"], [644, 652, "PER"], [654, 662, "PER"], [664, 671, "PER"], [679, 689, "PER"], [707, 728, "WORK_OF_ART"], [745, 750, "PER"], [811, 819, "PER"], [904, 909, "PER"], [979, 981, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante distingue nella Sapienza due aspetti che sono poi i due modi argomentativi della filosofia: uno in cui ci viene mostrata la verità direttamente e con assoluta certezza, l'altro che solo indirettamente la fa trasparire come luce dietro una qualche nube o un qualche velo (sotto alcuno velamento\"). Nell'interpretazione allegorica il primo corrisponde agli occhi, l'organo di senso maggiormente capace di cogliere oggettivamente la realtà (cfr. Metaph. I 1, 980 a 21-27), il secondo al riso che, come era già stato detto in Cv III viii 11, è come \"uno lume apparente di fuori secondo sta dentro\", un lume che appare \"quasi come colore dietro vetro\". Il primo modo corrisponde alla dimostrazione in senso stretto, fondamento della scientia, che da premesse vere inferisce conclusioni necessariamente vere (cfr. Aristotele, An. Post. I, 2, 71 b 10). Un collegamento tra occhi della Filosofia descritti nel De consolatione come \"ardentes et ultra communem hominum valentiam perspicacibus\" (I, prosa 1, 1, pp. 4-5) e la conoscenza dimostrativa della verità propria dei filosofi viene fatto da una anonima Laus Philosophiae di ambiente universitario bolognese, peraltro posteriore a Dante. (Fioravanti 1993 p. 173). Più complesso il caso delle \"persuasioni\". Interpretarlo nel senso delle 'rationes probabiles tantum' proprie della dialettica (con riferimento ai Topici aristotelici ed alle Summulae logicales di Pietro Ispano) suscita difficoltà: non sembra infatti che nel volto della Sapienza il riso sia inferiore allo sguardo così come, nella valutazione comune, gli argomenti dialettici sono inferiori a quelli dimostrativi. Come giustamente nota il commento di Cheneval il termine rimanda piuttosto ai procedimenti retorici. Essi nella teorizzazione tardo medievale, a differenza di quelli dialettici, non producono una opinione su oggetti non suscettibili di dimostrazione, ma piuttosto \"fidem aggenerant sive credulitatem\". Il testo di Egidio Romano riportato dallo Cheneval nel suo commento dice chiaramente che essi non sono neutrali, ma rivolti al desiderio di chi li ascolta. Dunque, nella interpretazione allegorica del testo della canzone esiste una asimmetria tra il referente degli occhi e quello del riso. Mentre nel primo caso si tratta di quelle verità che la ragione umana può pienamente comprendere attraverso rigorose dimostrazioni, nel secondo si parla della 'luce interiore' della Sapienza, cioè della sua natura più intima, che non può essere posseduta dimostrativamente. Essa si manifesta attraverso segni (\"sotto alcuno velamento\") che non dimostrano, ma persuadono relativamente alla esistenza di realtà intelligibili non inferiori, bensì superiori ad ogni umana dimostrazione.", "labels": [[0, 5, "PER"], [449, 455, "WORK_OF_ART"], [528, 530, "WORK_OF_ART"], [814, 824, "PER"], [826, 828, "WORK_OF_ART"], [830, 834, "WORK_OF_ART"], [908, 923, "WORK_OF_ART"], [1105, 1122, "WORK_OF_ART"], [1182, 1187, "PER"], [1190, 1200, "PER"], [1362, 1368, "WORK_OF_ART"], [1412, 1425, "PER"], [1667, 1675, "PER"], [1944, 1957, "PER"], [1974, 1982, "WORK_OF_ART"], [2399, 2413, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "vede condotto a termine, realizzato'. La dottrina aristotelica del desiderio naturale di perfezione, che nell'uomo si specifica come desiderio di sapere, era già stata utilizzata nelle righe iniziali del Convivio ed esposta, con parole quasi identiche a queste, in Cv III vi 7. Qui si sostiene in maniera più esplicita che l'uomo in questa vita può soddifare pienamente (terminare\") tale desiderio e raggiungere così la sua perfezione, precisando però: in quanto uomo (già in Cv III vi 8 si era detto che l'essenza umana diventava perfetta \"quanto sommamente esser puote l'umana essenzia\"). Si tratta di una limitazione che ricalca in pieno il testo dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele, dopo aver trattato della natura e delle condizioni della felicità ed aver definito \"beati\" coloro che le posseggono, aggiunge appunto: \"beati s'intende come possono esserlo gli uomini\" e questo proprio per distinguere la felicità umana da quella divina (I 10, 1101 a 19-21). Per Dante dunque la perfezione puramente umana è raggiungibile in questa vita esclusivamente attraverso l'uso della ragione: ciò non toglie che la nostra contemplazione sia sulla terra limitata sia nei contenuti che nella durata e che esistano realtà attingibili solo attraverso un dono divino che va \"oltre il debito della natura umana\" (cfr. Cv III vi 10 ).", "labels": [[204, 212, "WORK_OF_ART"], [265, 271, "WORK_OF_ART"], [476, 478, "WORK_OF_ART"], [656, 672, "WORK_OF_ART"], [680, 690, "PER"], [971, 976, "PER"], [1311, 1313, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Sap. 3, 11 Sapientiam enim et disciplinam qui abicit infelix est\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel libro della Sapienza già citato. Cfr. Sap. 7, 26 Candor est ... lucis aeternae et speculum sine macula Dei maiestatis\" (questa citazione apre il primo libro delle Sentenze di Pier Lombardo, il testo base per l'insegnamento della teologia al tempo di Dante ed è spesso usato come tema iniziale dei sermones che i baccellieri pronunciavano negli Studi degli ordini mendicanti inaugurando il loro insegnamento).", "labels": [[4, 24, "WORK_OF_ART"], [179, 192, "PER"], [254, 259, "PER"]]} +{"text": "le cose che appaiono negli occhi e nel riso della Sapienza, cioè le dimostrazioni e le persuasioni di Cv III xv 2, ci fanno conoscere l'esistenza (affermano essere\") di realtà la cui natura sfugge allo sguardo del nostro intelletto (\"che lo 'ntelletto nostro guardare non può\") e facendo così ci aprono come uno spiraglio su una luce che in sé abbaglia (come il riso accenna allo splendore interno dell'anima). Queste realtà, come già in Cv III viii 15, sono identificate con Dio, l'eternità (\"la etternitate\") e la materia prima. Che esse esistano lo si può sapere con la certezza assoluta della scienza (\"certissimamente si veggiono\") e lo si può credere con fede salda (\"con tutta fede si credono essere\"), e tuttavia (\"pur\") non possiamo capire a fondo (\"intendere non potemo\") la loro essenza (\"quello che sono\"). Ci si può avvicinare (\"si può appressare\": con valore impersonale) alla loro conoscenza solo per via negativa (\"se non cose negando\") e non in altro modo (\"e non altrimenti\"). Come è stato giustamente notato dal Nardi queste tre realtà \"soverchiano\" il nostro intelletto in maniera diversa: Dio e l'eternità sono oggetti troppo potenti per l'intelletto umano (almeno per quello 'in via'); al contrario, la materia prima, in quanto pura potenzialità, priva di qualsiasi determinazione, sfugge alla comprensione proprio per il suo bassissimo grado di entità, e quindi di intelligibilità: come aveva affermato Alberto Magno \"Quae intelliguntur intellectu incomplete, sic intelliguntur duabus de causis, scilicet propter elevationem sui esse supra nostrum intellectum, et hoc modo intelligitur Deus incomplete ..., aut propter debilitatem sui esse, ut materia, tempus et motus\" (Summa de creaturis. II De homine, I.1.2.2, ad primum, p. 66, ll. 8-13). Un'altra possibile causa della inconoscibilità di Dio e della materia potrebbe essere la loro infinità, anche qui ben diversa nei due casi (cfr. Bonaventura da Bagnoregio, In secundum librum Sententiarum, dist. 3, pars. I, a. 1, q. 3, p. 100). L'appello alla via negativa era tradizionale per quanto riguarda la conoscenza di Dio (numerosi testi di Tommaso sono citati nel commento Busnelli) ma lo stesso vale anche per le altre due realtà: ci si avvicina infatti ad una conoscenza sia pur imperfetta della materia eliminando mentalmente tutte le determinazioni formali di un oggetto (cfr.. Rodolfi 2004, pp. 9-11) e nel caso dell'eternità negando le caratteristiche del tempo (successione, continuità etc.).", "labels": [[438, 440, "WORK_OF_ART"], [1031, 1036, "PER"], [1426, 1439, "PER"], [1694, 1712, "WORK_OF_ART"], [1911, 1936, "PER"], [2115, 2122, "PER"], [2148, 2156, "PER"], [2357, 2364, "PER"]]} +{"text": "la natura l'avrebbe prodotta invano'. Dante si appella qui ad un principio generale, valido per tutti gli enti e quindi, come vedremo immediatamente dopo, anche per l'uomo. Lo stesso aveva fatto Alberto Magno nella sua parafrasi dell' Etica Nicomachea Nihil appetitur ab aliquo naturali appetitu et ordinato nisi possibile obtineri, et quod proportionatum est principiis naturalibus quibus appetitus nititur obtinere illud\" (Ethica I, tr, 3, cap. 6, pp. 37-38).", "labels": [[38, 43, "PER"], [195, 208, "PER"], [235, 251, "WORK_OF_ART"], [425, 433, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "della felicità che viene immediatamente dopo quella della contemplazione. Che Aristotele avesse individuato due felicità possibili per l'uomo, la prima posta nella vita contemplativa, la seconda nella vita secondo virtù, era dottrina comune tra gli aristotelici del XIII secolo. Basterà citare ancora una volta il De summo bono di Boezio di Dacia: Summum bonum quod est homini possibile secundum potentiam intellectus speculativam est cognitio veri et delectatio in eodem ... Item, summum bonum quod est homini possibile secundum intellectum practicum est operatio boni et delectatio in eodem\" (pp. 370-71). A questa dottrina Dante si era già richiamato in Cv I v 11. Il termine \"secondaria\" indica anche un giudizio di valore: sia per Alberto Magno che per Tommaso d'Aquino, infatti, la felicità che consiste nell'esercizio delle virtù è inferiore alla felicità della speculazione teoretica ed è in qualche modo ad essa subordinata (cfr Alberto, Ethica, I, tr. 6, c. 4, pp. 88-89; Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, X, lectio 12, n. 2111 che usa proprio il termine \"secundarius\"). In ogni caso, a differenza di Kant, per Aristotele e così per Alberto, Tommaso, Boezio di Dacia e Dante esercizio delle virtù e felicità coincidono senza residui.", "labels": [[78, 88, "PER"], [314, 327, "WORK_OF_ART"], [331, 346, "PER"], [626, 631, "PER"], [657, 659, "WORK_OF_ART"], [736, 749, "PER"], [758, 774, "PER"], [982, 989, "PER"], [1007, 1028, "WORK_OF_ART"], [1135, 1139, "PER"], [1145, 1155, "PER"], [1167, 1174, "PER"], [1176, 1183, "PER"], [1185, 1200, "PER"], [1203, 1208, "PER"]]} +{"text": "che la rendono fonte di piacere attraverso le azioni virtuose che sono percepibili attraverso i sensi'. Che le azioni secondo virtù fossero belle e piacevoli per gli amanti del bello era stato detto da Aristotele, Eth. Nic. I 8, 1099 a 11-15, e nel suo commento Tommaso aveva fatto ricorso alla definizione della bellezza come debita commensuratio partium\" (I, lectio 13, n. 159). Peraltro l'Aquinate individua questo ordine armonioso nell'insieme delle circumstantiae costitutive dell'azione virtuosa (tempo debito, persona giusta, motivazione corretta etc.), mentre Dante lo identifica proprio con il sistema delle virtù morali.", "labels": [[202, 212, "PER"], [214, 217, "WORK_OF_ART"], [262, 269, "PER"], [392, 400, "PER"], [568, 573, "PER"]]} +{"text": "desiderio retto, che segue ciò che è dettato dalla ragioneì (cfr. Eth. Nic. VI 2, 1139 a 22-27 ed il commento di Tommaso, lectio 2, n. 1129).", "labels": [[113, 120, "PER"]]} +{"text": "la definizione si trova piuttosto nel Commento di Tommaso che alla fine della lectio 10 del primo libro così riassume Eth. Nic. I 8, 1097 b 22- 1098 a 20: Sic ergo patet quod felicitas est operatio propria hominis secundum virtutem in vita perfecta\" (n. 130). In realtà Aristotele non ha di mira in modo specifico la virtù morale, ma parla in modo ancora generico di una \"virtù\" propria dell'uomo che si rivelerà poi essere il suo intelletto: con la sua doppia natura, teoretica e pratica, esso fonda l'esistenza di virtù sia contemplative che morali in senso stretto (cfr. Eth. Nic. I 13, 1102 a 5 sgg.)", "labels": [[38, 46, "WORK_OF_ART"], [50, 57, "PER"], [118, 121, "WORK_OF_ART"], [270, 280, "PER"], [574, 577, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "perché la partizione (parte\") della filosofia che corrisponde all'etica sia un modello di umiltà non è immediatamente chiaro. La spiegazione offerta da alcuni commentatori, secondo cui Dante si riferirebbe alla inferiorità e subordinazione della vita morale a quella teoretica, non mi sembra particolarmente centrata. Il difetto cui il \"virtuoso\" deve tenersi lontano è, come abbiamo visto, quello di gloriarsi delle proprie doti: il correttivo dovrebbe allora essere l'esercizio di una virtù speciale, l'umiltà, insegnata appunto dalla filosofia morale (e potremmo congetturare che l'ultimo trattato proprio all'umiltà fosse, almeno in parte, dedicato). Ma dal punto di vista di Aristotele l'umiltà è tutt'altro che una virtù: nel cap. 3 del IV libro dell' Etica Nicomachea (1123 b 9 sgg.) dedicato alla magnanimità, lo Stagirita tratta in modo sprezzante coloro che si ritengono inferiori a quanto meritano: la vanità è un vizio solo quando ci si stima degni di grandi cose senza esserlo; chi possiede effettivamente la virtù può trarne legittimo vanto. Questo aspetto dell'etica aristotelica aveva suscitato notevole imbarazzo tra i lettori cristiani dello Stagirita (vedi Gauthier 1951, pp. 443 sgg. e la nota a Cv I xi 20).", "labels": [[185, 190, "PER"], [680, 690, "PER"], [758, 774, "WORK_OF_ART"], [821, 830, "PER"], [1160, 1169, "PER"], [1176, 1184, "PER"], [1216, 1218, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'inizio del mondo coincide con l'inizio del movimento del cielo, e con più precisione (spezialmente\") con quello del primo mobile: da esso ha origine (\"è principiato\") e dipende (\"e mosso\") ogni altro movimento e mutamento; mediante questi movimenti \"secondi\" il movimento primo produce (\"genera\") tutte le realtà del mondo sublunare. Che Dio abbia prodotto e produca le cose composte mediante il movimento dei cieli, riservando a se stesso la creazione iniziale delle forme pure (gli angeli), della materia prima e dei cieli stessi, in cui materia e forma sono indissolubilmente legate, viene detto in Pd VII 124 sgg. e XXIX 22 sgg.). Già Alberto Magno aveva ripetutamente affermato la funzione insostituibile dei cieli nel ciclo delle generazioni e delle distruzioni che caratterizza le realtà presenti nel mondo sublunare (cfr. Physica II, tr. 2, cap. 20, vol. I, p. 124, ll. 45-50; De generatione II, tr.1. cap. 5, p. 180, ll. 27-30 ). Questo modello cosmologico, insieme fisico e metafisico, peraltro, sembrava presupporre l'eternità delle sue componenti: da sempre Dio, come oggetto di desiderio, imprimeva al primo mobile il suo movimento, e mediante questo movimento eterno regolava sulla terra l'alternarsi delle nascite e delle morti. Qui Dante parla invece, molto chiaramente, di \"cominciamento\" dimostrando di accettare, anche filosoficamente, la tesi dell'inizio del mondo nel tempo.", "labels": [[604, 606, "WORK_OF_ART"], [641, 654, "PER"], [832, 842, "WORK_OF_ART"], [887, 904, "WORK_OF_ART"], [1250, 1255, "PER"]]} +{"text": "traduzione letterale di Prv. 8, 27-30 Quando praeparabat caelos, aderam; quando certa lege et gyro vallabat abyssos; quando aethera firmabat sursum et librabat fontes aquarum; quando circumdabat mari terminum suum, et legem ponebat aquis ne transirent fines suos; quando appendebat fundamenta terrae, cum eo eram cuncta componens, et delectabar per singulos dies\" (probabilmente Dante legge \"circuibat\" al posto di \"circumdabat\").", "labels": [[24, 27, "WORK_OF_ART"], [379, 384, "PER"]]} +{"text": "venne tra di voi diventando a voi simile'. Tutto il paragrafo presuppone un'identificazione tra la Sapienza dei Proverbi ed il Verbo del Vangelo di Giovanni già presente nella tradizione esegetica cristiana: per mezzo del Verbo, infatti, sono state prodotte tutte le cose (cfr. Io. 1, 3). Anche l' innanzi che voi foste, ella fu amatrice di voi\" riecheggia contemporaneamente Io 15, 16: \"Non vos me elegisti, sed ego elegi vos\" e 8, 58 in cui Gesù dice di sé \"antequam Abraham esset, ego eram\", mentre per parlare della venuta della Sapienza tra gli uomini, Dante usa termini vicini a quelli del brano della lettera ai Filippesi in cui Paolo parla della discesa del Figlio: \"semetipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus\" (Phip 2, 7).", "labels": [[127, 132, "WORK_OF_ART"], [137, 156, "WORK_OF_ART"], [376, 378, "WORK_OF_ART"], [443, 447, "PER"], [469, 482, "WORK_OF_ART"], [558, 563, "PER"], [608, 628, "WORK_OF_ART"], [636, 641, "PER"], [666, 672, "PER"], [756, 760, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'esortazione, in sé generica, sembra però destinata in particolare al pubblico già individuato da Dante nel trattato introduttivo: coloro che per giustificati motivi non possono fare filosofia in prima persona (non possono venire al suo cospetto\") possono però incontrarla in chi la esercita realmente (i suoi \"amici\"): onorandoli e seguendo le loro esortazioni (\"comandamenti\") che proclamano (\"nunziano\") ciò che la filosofia vuole, la onoreranno almeno in via indiretta. Come abbiamo visto (Cv II.xii.9) il titolo di imperatrice ('imperialis domina') era già stato conferito alla filosofia da un testo diffusissimo nel Medioevo, il De disciplina scolarium, attribuito a Boezio (ed. Weijers, p. 97, 3-4).", "labels": [[99, 104, "PER"], [495, 506, "WORK_OF_ART"], [623, 631, "WORK_OF_ART"], [636, 659, "WORK_OF_ART"], [674, 680, "PER"]]} +{"text": "cfr. Prv 4, 8 iustorum ... semita quasi lux splendens procedit et crescit usque ad perfectam diem\". Nella sua traduzione Dante ha volutamente modificato le parole finali, interpretando il 'giorno perfetto' come il raggiungimento della felicità collegata al filosofare.", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"], [121, 126, "PER"]]} +{"text": "nell' amicizia, di più persone se ne fa una'. La frase è messa sulla bocca di Pitagora da Cicerone nel De officiis I, 17, 56: efficitur id quod Pythagoras vult in amicitia, ut unus fiat ex pluribus\". La sententia pitagorica anche nello Speculum Historiale III, cap. 26, p. 95.", "labels": [[78, 86, "PER"], [90, 98, "PER"], [103, 116, "WORK_OF_ART"], [144, 154, "PER"], [245, 259, "PER"]]} +{"text": "la forma della citazione rimanda, più che all' Etica Nicomachea, di nuovo al De officiis di Cicerone (I, 16 51) dove quel che nel testo aristotelico veniva indicato solo come proverbio (VIII 9, 1159 b 31-32) riceve appunto la specificazione di origine: ut in graecorum proverbio est, amicorum esse communia omnia\". Ancora una volta Dante inserisce uno scambio di affetti e di passioni umane nelle coordinate più ampie di un processo naturale, quello della alterazione qualitativa in cui i termini sono a contatto l'uno con l'altro (le \"cose congiunte\") e l'agente tende ad imprimere nel paziente le proprie caratteristiche (cfr. Phys. VII 2, 244 b 2-5).", "labels": [[47, 63, "WORK_OF_ART"], [77, 88, "WORK_OF_ART"], [92, 100, "PER"], [332, 337, "PER"], [629, 633, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sto attualmente per dedicarmi'. La dichiarazione di un allontanamento dalla Filosofia, che tanto ha colpito chi ha voluto vedervi il segno di uno scarto cronologico nella composizione del Convivio e di una frattura dottrinale nella vita spirituale di Dante (vedi Corti 1983) va del tutto ridimensionata: nei due trattati precedenti, infatti, a rigor di termini Dante non fa filosofia, ma piuttosto parla della Filosofia, in un contesto autobiografico nel secondo, tessendone le lodi nel terzo con uno schema che almeno in parte ricalca quello universitario degli elogi, dove, anche tra i maestri di Parigi e di Bologna, l'allegoria era ammessa. I contenuti scientifico-filosofici funzionano qui come digressioni, volte essenzialmente a dimostrare lo spessore culturale dell'autore. Con il quarto trattato, invece, cessa l'autobiografia e viene affrontato ex professo il tema della nobiltà: un problema di vasto impatto socio-culturale, non appannaggio esclusivo delle aule universitarie, ma che Dante vuole consapevolmente trattare, a differenza di altri, con metodo rigorosamente filosofico. Lo stesso abbandono dell'allegoria di cui ci parlerà il paragrafo seguente avvicina ancora di più il trattato al modello di lingua e di scrittura proprio della filosofia universitaria. Come ha detto Bruno Nardi, riconoscendo che la struttura propria del quarto trattato corrisponde tecnicamente a quella di una quaestio disputata: La Filosofia cui ormai è rivolto l'animo di Dante, più che la Sapienza eterna che è solo in Dio, è quella delle scuole in terra\" (Nardi 1966, p. 50). .", "labels": [[76, 85, "WORK_OF_ART"], [188, 196, "WORK_OF_ART"], [251, 256, "PER"], [263, 268, "PER"], [361, 366, "PER"], [599, 605, "LOC"], [995, 1000, "PER"], [1292, 1303, "PER"], [1468, 1473, "PER"], [1554, 1559, "PER"]]} +{"text": "si tratta della traduzione letterale del testo latino di Phys. IV 11, 219 b 1-2 hoc ... est tempus: numerus motus secundum prius et posterius\" (Translatio Vetus, p. 175, ll. 16-17). La stessa definizione è peraltro presente nelle Auctoritates Aristotelis, p. 151, n. 137).", "labels": [[57, 61, "PER"], [144, 160, "WORK_OF_ART"], [230, 254, "LOC"]]} +{"text": "che il movimento misurato dal tempo sia in primo luogo quello della sfera celeste (movimento celestiale\"), l'unico ad essere continuo, è effettivamente detto da Aristotele nella Fisica, anche se non con le stesse parole di Dante (cfr. Phys. IV 14, 223 b 22-23 \"unde et videtur tempus esse sphere motus\". Translatio Vetus, p. 190, ll. 8-9); il richiamo all'azione del cielo che, con i suoi diversi movimenti, ed in particolare con quello del sole lungo l'eclittica, prepara (\"dispone\") le realtà terrestri (\"le cose di qua giù\") ad accogliere in stagioni diverse forme diverse (\"diversamente a ricevere alcuna informazione\") non si trova invece nella Fisica, ma piuttosto nel De generatione (II 10).", "labels": [[161, 171, "PER"], [178, 184, "WORK_OF_ART"], [223, 228, "PER"], [235, 239, "WORK_OF_ART"], [650, 656, "WORK_OF_ART"], [675, 689, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Ecl 3, 7 tempus tacendi et tempus loquendi\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Epistola. Cfr. Iac 5, 7 Ecce agricola expectat pretiosum fructum terre patienter ferens donec accipiat temporaneum et serotinum\". Dante traduce alla lettera. \"Temporaneum\" sta per messe precoce, \"serotinum\" per messe tardiva.", "labels": [[130, 135, "PER"]]} +{"text": "già Averroè aveva esaltato Aristotele come punto massimo e regola della razionalità umana (cfr. il prologo del Commento alla Fisica, f. 5 A-B . Cfr. anche Cv I vi 8, 15 ).", "labels": [[4, 11, "PER"], [27, 37, "PER"], [111, 119, "WORK_OF_ART"], [125, 131, "WORK_OF_ART"], [155, 157, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "mostrò, fece vedere'. Arrivare alla verità esaminando preliminarmente le soluzioni erronee o insoddisfacenti date al problema è un procedimento correttamente attribuito ad Aristotele (cfr. ad esempio, nel primo libro del De anima e nel primo libro della Metafisica la discussione delle dottrine dei pensatori precedenti relative alla natura dell'anima ed al numero dei principi delle cose) ma soprattutto comunemente usato nel modo universitario di far filosofia: qui accanto alla lettura dei testi (lectio) regnava la discussione formalizzata dei problemi (quaestio) dove i partecipanti, prima che il maestro fornisse la sua risposta, presentavano una nutrita serie di argomenti in favore dell'opinione opposta, tutti da risolvere 'ut magis veritas elucesceret'.", "labels": [[172, 182, "PER"], [221, 229, "WORK_OF_ART"], [254, 264, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "quando l'anima le è unita'. (lei\" si riferisce a \"Filosofia\"). La metafora nuziale era già stata usata in Cv II xii 13 a proposito del rapporto tra la Filosofia e Dio. L'anima-sposa era comunque una protagonista dell'esegesi allegorica del Cantico dei Cantici (cfr. i Sermones in Cantica Canticorum di Bernardo da Chiaravalle, PL 183, p. 865 sgg. e la Explicatio in Cantica Canticorum di Riccardo da San Vittore, PL 196, p. 406 sgg.).", "labels": [[106, 108, "WORK_OF_ART"], [240, 259, "WORK_OF_ART"], [280, 298, "WORK_OF_ART"], [302, 325, "PER"], [327, 329, "WORK_OF_ART"], [352, 384, "WORK_OF_ART"], [388, 411, "PER"], [413, 419, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "secondo la prop. XIV (XV) del Liber De causis, gli esseri dotati di razionalità, in ogni atto di pensiero sono capaci, oltre che di conoscere le cose, di ritornare (redire\") su se stessi possedendosi completamente (p. 79). La 'reditio completa' verrà considerata sia da Avicenna che da Tommaso come ciò che distingue l'attività intellettuale da quella sensoriale (cfr. di Avicenna il Liber de anima seu sextus de naturalibus, V, 2, vol. II, pp. 93-97, e di Tommaso, il commento al De causis, lectio 15, ed. Saffrey, pp. 88-92). Nel discorso di Dante l'anima filosofante è in qualche modo simile al Dio della Metafisica aristotelica: pensiero di pensiero. Suggestivo, ma meno convincente mi sembra il rinvio al Timeo ed alla sua concezione del pensiero dell'anima del mondo come movimento circolare che torna su se stesso. (vedi Bonfils Templer 1987 che peraltro rimanda giustamente a Pg XXV 74-75 \" ... e fassi un'alma sola / che vive e sente e sé in sé rigira\")", "labels": [[30, 45, "WORK_OF_ART"], [270, 278, "PER"], [286, 293, "PER"], [372, 380, "PER"], [384, 424, "WORK_OF_ART"], [457, 464, "PER"], [481, 490, "WORK_OF_ART"], [544, 549, "PER"], [608, 631, "WORK_OF_ART"], [710, 715, "PER"], [828, 843, "PER"], [884, 886, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per chiarire esaustivamente il testo cogliendone il preciso significato'. Con queste parole Dante giustifica l'uso a tutto campo di una tecnica espositiva particolarmente complessa: proprio il fatto che una materia così alta non ha ancora avuto una trattazione autorevole richiede, senza sconti, la strumentazione propria della cultura alta ed universitaria. E' stato giustamente notato che il tema della vera nobiltà di cuore opposta alla nobiltà di lignaggio aveva già appassionato nel tardo Medioevo ampie fasce di intellettuali ed era stato trattato in opere e contesti diversissimi, dai trattati d'amore agli 'specula principum', dalle Summae morali alla lirica guittoniana fino allo stesso Trésor di Brunetto (cfr. Corti 1959). Ma evidentemente gli autori\" per Dante erano altri, quelli della cultura universitaria dove il tema della nobiltà era stato affrontato solo saltuariamente, in relazione a testi aristotelici non centrali come la Politica e la Retorica, oppure nelle disputazioni de quolibet (ai testi di Pietro d' Alvernia e Giovanni Vate citati da Marco Toste - cfr. Toste 2005- sono da aggiungere quelli di Enrico di Gand e di Nicolas de Vaudemont. Vedi Introduzione ). Basterà notare lo spazio assai limitato, in confronto con la trattazione del Convivio, riservato da Egidio Romano alla nozione di vera nobilitas e per di più in un contesto parenetico e non argomentativo (cfr. De regimine principum II iii 18, pp. 391-4). Il quarto trattato del Convivio aspira dunque a raggiungere il livello di questa cultura sia per la 'forma tractatus' (il contenuto), che per la 'forma tractandi' (il metodo) e contemporaneamente a colmarne una lacuna. Ancora verso la metà del XIV secolo uno dei più insigni rappresentanti della cultura giuridica universitaria, Bartolo da Sassoferrato, che aveva letto sì e criticato la posizione di Dante, ma che conosceva solo la canzone e non il Convivio, affermerà che \"sub nomine nobilitatis non habemus aliquem specialem tractatum\" (cfr. Borsa 2007, p. 86)", "labels": [[92, 97, "PER"], [696, 702, "PER"], [706, 714, "PER"], [721, 726, "PER"], [767, 772, "PER"], [945, 953, "WORK_OF_ART"], [1020, 1026, "PER"], [1041, 1054, "WORK_OF_ART"], [1065, 1076, "PER"], [1084, 1089, "PER"], [1125, 1139, "PER"], [1145, 1165, "PER"], [1265, 1273, "WORK_OF_ART"], [1288, 1301, "PER"], [1398, 1422, "WORK_OF_ART"], [1453, 1474, "WORK_OF_ART"], [1772, 1795, "PER"], [1844, 1849, "PER"], [1893, 1901, "WORK_OF_ART"], [1988, 1993, "PER"]]} +{"text": "ricchezze da lungo tempo possedute unite a comportamenti cortesi'. Per questa presunta risposta di Federico non è stata individuata alcuna fonte soddisfacente: nell'ambiente della Curia federiciana, così come in un componimento dello stesso Federico, sembra semmai aver avuto corso proprio l'identificazione della nobiltà con la virtù\" personale (cfr. Delle Donne 1999, Peirone 2005). Anche l'affermazione secondo cui la definizione coincide con quella data da Aristotele nel quarto libro della Politica (8, 1294 a 20-22) è vera solo in parte: lo Stagirita infatti parla di 'antica ricchezza', ma non di 'belli costumi', bensì proprio di \"virtù\" (\"quod vocant ingenuitatem assequitur duobus: ingenuitas enim est virtus et divitiae antiquae\"), anche se, nel libro quinto (1, 1302 a 1) essa verrà specificata come 'virtus generis', dunque non personale, ma tramandata di padre in figlio (\"Nobiles esse videntur quibus existunt progenitorum virtus et divitiae\").", "labels": [[99, 107, "PER"], [180, 197, "WORK_OF_ART"], [241, 249, "PER"], [358, 363, "WORK_OF_ART"], [370, 377, "PER"], [461, 471, "PER"], [495, 503, "WORK_OF_ART"], [547, 556, "PER"]]} +{"text": "abbaiano rabbiosamente' L'immagine del latrare\" sottolinea la violenta irrazionalità con cui l'opinione condannata da Dante viene sostenuta. Cfr. If VI 12-13 \"Cerbero, fiera crudele e diversa / con tre gole caninamente latra\". Che la concezione della nobiltà come 'antiquae divitiae' sia propria della massa è detto dal De regimine principum di Egidio Romano: \" nobilitas secundum communem acceptionem hominum nihil est aliud quam antiquatae divitiae\" (I iv 5, p. 204).", "labels": [[24, 46, "WORK_OF_ART"], [118, 123, "PER"], [320, 341, "WORK_OF_ART"], [345, 358, "PER"]]} +{"text": "è impossibile che sia'. L'affermazione per cui ciò che i più ritengono vero non può essere del tutto falso non si trova alla lettera in Aristotele (ancora una volta il Filosofo per eccellenza). Tuttavia alcuni luoghi aristotelici erano già stati interpretati in questo senso dai commentatori medievale. Per esempio, relativamente alla notazione presente nel De somno et vigilia secondo cui è difficile rifiutare in assoluto l'esistenza di una previsione del futuro mediante i sogni, dato che quasi tutti ne hanno fatto esperienza, Averroè così glossava: ea que sunt famosa apud omnes, aut sunt necessaria secundum totum aut secundum partem; impossibile enim est ut famosum sit falsum secundum totum\" (Compendium de somno et vigilia, p. 95, ll. 31-33 ) e commentando un passo del settimo libro dell' Etica Nicomachea in cui Aristotele dice che se tutti cercano il piacere, questo è un segno che esso è veramente il bene sommo (VII 13, 1153 b 25-26) Tommaso afferma: \"Illud ... in quod omnes vel plures consentiunt, non potest esse omnino falsum\" (lectio 13, n. 1509).", "labels": [[136, 146, "PER"], [168, 176, "PER"], [358, 377, "WORK_OF_ART"], [531, 538, "PER"], [701, 731, "WORK_OF_ART"], [799, 815, "WORK_OF_ART"], [823, 833, "PER"], [948, 955, "PER"]]} +{"text": "si basa sulla necessità che esista una comunità politica'. Il lemma umana civilitade\" è ripreso alla lettera in Mn I iii 1: \"Nunc autem videndum est quid sit finis totius humane civilitatis\". Il termine civilitas come equivalente al greco politeia, ha poche occorrenze nel lessico dei traduttori latini di Aristotele: cfr. Eth. Nic. II 1, 1103 b 6, sia nella traduzione di Burgundio da Pisa della cosiddetta Ethica Vetus che in quella, posteriore, di Roberto Grossatesta; III 9, 1113 a 8, solo nella traduzione di Burgundio (Roberto utilizza qui il termine urbanitas, ma nel suo commento Tommaso glossa: \"id est civilitas\"). Con questo unico termine viene indicato dai commentatori medievali (Alberto, Tommaso, Tolomeo da Lucca) ciò che il pensiero moderno ha distinto: le strutture politiche (lo Stato, la costituzione) e le relazioni interne alla società civile che, nel loro rapporto inscindibile caratterizzano la vita umana rispetto a quella degli animali. Il termine \"civilitade\" era già stato usato in Cv II iv 13 a proposito dell'ordine interno all'universo. Cfr. Minio-Paluello 1993, Rosier-Catach 2011a", "labels": [[112, 114, "WORK_OF_ART"], [306, 316, "PER"], [323, 326, "WORK_OF_ART"], [373, 382, "PER"], [386, 390, "LOC"], [408, 420, "WORK_OF_ART"], [451, 470, "PER"], [514, 523, "PER"], [525, 532, "PER"], [588, 595, "PER"], [693, 700, "PER"], [702, 709, "PER"], [711, 718, "PER"], [722, 727, "LOC"], [797, 802, "LOC"], [1009, 1011, "WORK_OF_ART"], [1078, 1086, "PER"], [1093, 1106, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Pol I 1, 1253b 30 Facta quidem igitur civitas vivendi gratia, existens autem gratia bene vivendi\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"], [23, 28, "PER"]]} +{"text": "soddisfare'. La concezione dell'uomo come essere dotato di bisogni che la natura non soddisfa immediatamente come avviene per gli altri animali, ma cui si deve ovviare attraverso una collaborazione tra individui, e l'idea che questa sia la radice e l'origine delle varie realtà civili e politiche, non è di stretta ascendenza aristotelica. Essa si trova piuttosto in Tommaso d'Aquino di cui Dante sembra proprio seguire da vicino le espressioni presenti nel Commento all' Etica Nicomachea (I, lectio 1, n. 4) homo naturaliter est animal sociale, utpote qui indiget ad suam vitam multis quae sibi ipse solus praeparare non potest\".", "labels": [[367, 383, "PER"], [391, 396, "PER"], [458, 466, "WORK_OF_ART"], [472, 488, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il termine compagnevole\" non corrisponde del tutto né a civile né a politicum usati alternativamente nelle traduzioni latine dei testi aristotelici là dove parlano dell'uomo come zóon politikón (cfr. ad esempio Pol. I 2, 1253 a 1-3; III 6, 1278 b 19; Eth. Nic. I 7, 1097 b 11; IX 9, 1169 b 18). Il lemma 'animal sociale' che potrebbe aver dato luogo al \"compagnevole\" è presente, come abbiamo appena visto, in un testo di Tommaso che Dante ha avuto sicuramente presente. L'aggettivo \"compagnevole\" viene comunque usato nel volgarizzamento italiano del De regimine principum: \"l'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura\" (p. 127).", "labels": [[211, 214, "PER"], [251, 254, "WORK_OF_ART"], [422, 429, "PER"], [434, 439, "PER"], [552, 573, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "circonvicine'. In questo paragrafo Dante riassume brevemente il primo capitolo del primo libro della Politica, (1252 a 1 sgg ) in cui Aristotele presenta l'evoluzione naturale dei rapporti politico-sociali, dalla famiglia al villaggio (vicinanza\"), che raggiunge nella polis-civitas la pienezza di autosufficienza solo parzialmente realizzata dalle tappe intermedie. Il regno, che per Aristotele è solo una delle forme costituzionali possibili della polis, viene invece introdotto come ultima e più perfetta struttura statuale dalle teorie politiche di molti pensatori tardo medievali che insieme ne registrano l'esistenza, ne fondano filosoficamente la necessità e ne esaltano la funzione, particolarmente per quel che riguarda la monarchia francese (cfr. Renna 1978). Il testo più significativo e il più diffuso, anche in ambienti non universitari è il De regimine principum di Egidio Romano, dedicato a Filippo, erede del trono di Francia, il futuro Filippo il Bello (cfr. III i 5 \"Quod praeter communitatem civitatis, utile fuit in vita humana esse communitatem regni\", pp. 411-2). L' opera di Egidio, certamente nota a Dante, contiene una teoria della formazione del regnum come federazione di civitates in funzione sia della difesa comune che dello scambio di beni cui il Convivio avrebbe potuto ispirarsi.", "labels": [[35, 40, "PER"], [101, 109, "WORK_OF_ART"], [134, 144, "PER"], [385, 395, "PER"], [757, 762, "PER"], [855, 876, "WORK_OF_ART"], [880, 893, "PER"], [906, 913, "PER"], [953, 969, "PER"], [1098, 1104, "PER"], [1124, 1129, "PER"], [1278, 1286, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nell'uso attuale il termine si riferisce ad una particolare forma di governo che si specifica in una pluralità di istanze compresenti geograficamente e storicamente (quindi può essere usato anche al plurale: le 'monarchie'europee sono quella inglese, quella olandese etc.). Ed è questo il senso che la tradizione lessicografica, prima con le Etymologiae di Isidoro di Siviglia e poi con le Derivationes di Uguccione, dà al vocabolo latino, di cui quello volgare è un semplice calco (Monarchae sunt qui singularem possident principatum ... Hinc et monarchia dicitur\" IX iii 23, vol. I, s. p. \"Monarcha-e, princeps unius civitatis ... vel unicus princeps in aliquo regno, et inde hec monarchia-chie, eius potestas \" s.v. Archos, A, 312, 5, p. 86 ). Nel linguaggio politico aristotelico monarchia indica un genere di costituzione (il comando di uno solo) che può dare luogo a diverse specie (\"regnum, tyrannis, monarchia temperata\") come sottolineeranno ad esempio Pietro d'Alvernia nella continuazione del commento di Tommaso alla Politica e Marsilio da Padova nel Defensor Pacis. Dante gli dà invece il significato di dominio universale (\"tutta la terra\"). Un precedente potrebbe essere individuato nel Trésor , dove, a proposito dei grandi imperi mondiali (Assiri e Romani) si dice che ciascuno di essi tenne \"la monarchie de tout le monde\" (I XIX 1, p. 36). Occorrenze volgari del termine in questo senso, anteriori o contemporanee di Dante, sono pressoché inesistenti.", "labels": [[342, 353, "WORK_OF_ART"], [357, 376, "PER"], [390, 415, "WORK_OF_ART"], [483, 564, "WORK_OF_ART"], [962, 979, "PER"], [1016, 1023, "PER"], [1029, 1037, "WORK_OF_ART"], [1040, 1058, "PER"], [1063, 1077, "WORK_OF_ART"], [1079, 1084, "PER"], [1202, 1208, "WORK_OF_ART"], [1257, 1263, "LOC"], [1436, 1441, "PER"]]} +{"text": "soddisfino ogni loro necessità'. Se nell'assenza di una autorità superiore che tenga a freno i re, la discordia tra regno e regno esercita la sua nefasta influenza su tutte le entità politiche e sociali inferiori fino a render impossibile per l' individuo una vita buona, l'esistenza di un arbitro unico (e quindi privo di ogni stimolo competitivo) è fonte di una pace che pervade tutte le strutture della vita associata ed è così capace di assicurare ai singoli le condizioni necessarie per raggiungere e godere della felicità. Dante sembra qui anticipare l'ideale di un Buon Governo i cui benefici effetti, come negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, si riverberano su ogni aspetto dell'esistenza, solo che si tratta di un governo che riguarda non una singola città, ma l'intero genere umano. Anche i magistri parigini avevano sostenuto che compito della della autorità politica è garantire ai cittadini la possibilità di dedicarsi in pace alla attività intellettuale e all'esercizio delle virtù morali, ma il loro orizzonte era rimasto quello dei conflitti tra le diverse civitates (Propter hoc enim ars militaris ordinata est in civitate a legislatore, ut expulsis hostibus, cives possint vacare virtutibus intellectualibus contemplantes verum et virtutibus moralibus operantes bonum et vivant vitam beatam\" Boezio di Dacia, De summo bono, p. 371, ll. 67-71).", "labels": [[529, 534, "PER"], [633, 652, "PER"], [1313, 1328, "PER"], [1330, 1343, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "anche se il concetto è effettivamente presente in Pol. I, 5, 1254 a 28-31 (Quandocumque ... ex pluribus constituta sunt ... in omnibus videtur principans et subiectum\"), il testo di riferimento è sicuramente il proemio del commento di Tommaso alla Metafisica: \"Sicut docet Philosophus in Politicis suis, quando aliqua plura ordinantur ad unum, oportet unum eorum esse regulans, sive regens, et alia regulata sive recta\" (Dante leggeva \"dicit\" al posto di \"docet\"?).", "labels": [[50, 53, "PER"], [75, 166, "WORK_OF_ART"], [235, 242, "PER"], [248, 258, "WORK_OF_ART"], [273, 284, "PER"], [288, 297, "LOC"], [421, 426, "PER"]]} +{"text": "cfr. Metaph. XII 10, 1075 a 11-15; 1076 a 3", "labels": [[5, 11, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "qui \"gente latina\" vale per gli abitanti dell Italia in generale; il popolo santo che aveva mescolato (\"mischiato\") il suo sangue con il sangue nobilissimo (\"alto\") dei Troiani sono invece i Latini in senso stretto, che secondo il racconto dell'Eneide, si erano uniti attraverso matrimoni ad Enea ed ai suoi compagni dando origine al popolo romano. Almeno in questo caso, dunque, Dante dà credito alla nobiltà non individuale, ma di stirpe. Sulla nobiltà del sangue di Enea Dante si diffonderà ampiamente in Mn II iii.", "labels": [[46, 52, "LOC"], [169, 176, "WORK_OF_ART"], [191, 197, "WORK_OF_ART"], [245, 251, "WORK_OF_ART"], [292, 296, "PER"], [380, 385, "PER"], [469, 479, "PER"], [508, 510, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "della mitezza e della eccezionale umana benevolenza (umanissima benignitade\") dimostrata dai Romani verso i popoli soggetti aveva già parlato Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regno di Tommaso, III 6 (\"Quomodo Romanis concessum est dominium propter ipsorum civilem benevolentiam\").", "labels": [[93, 99, "WORK_OF_ART"], [142, 149, "PER"], [183, 191, "WORK_OF_ART"], [195, 202, "PER"]]} +{"text": "predisposto, adatto per natura'. Cfr. Mn II vi 7 Propter quod videmus quod quidam ... populi apti sunt nati principari\"; 11 \"Satis persuasum est quod romanus populus a natura ordinatus fuit ad imperandum\". Che alcune razze o popoli fossero per natura disposti al comando era stato già sostenuto da Aristotele nel settimo libro della Politica, ma si trattava in questo caso non dei Romani, ma dei Greci (cfr. Pol. VII 7, 1327 b20 sgg).", "labels": [[299, 309, "PER"], [334, 342, "WORK_OF_ART"], [397, 402, "WORK_OF_ART"], [409, 412, "PER"]]} +{"text": "Dante traduce Eneide I 278-279 His ergo nec metas rerum nec tempora pono / Imperium sine fine dedi\". Chi parla è Giove, quel 'sommo Giove' che la Commedia identifica appunto con il Dio cristiano (cfr. If XXXI 91-93 e soprattutto Pg VI 118-119 \"E se licito m'è o sommo Giove / che fosti in terra per noi crucifisso ... \").", "labels": [[0, 5, "PER"], [14, 20, "WORK_OF_ART"], [113, 118, "PER"], [132, 137, "PER"], [146, 165, "WORK_OF_ART"], [229, 231, "WORK_OF_ART"], [268, 273, "PER"]]} +{"text": "causa strumentale'. Nel modello aristotelico (cfr. Phys. II 3, 194 b 29-31) la causa efficiente è ciò che dà inizio al movimento di generazione di un ente naturale (il padre che genera il figlio) o di produzione di un ente artificiale (lo scultore che scolpisce la statua o, appunto, il fabbro che produce il coltello). In questo secondo caso la causa efficiente si identifica con il progetto consapevole dell'artefice, cioè con il suo pensiero e quindi con la sua anima. Anche se si serve di uno strumento come il martello, il fabbro rimane la vera causa efficiente del coltello. Allo stesso modo un progetto razionale (ragione\") e per di più (\"ancora\") divino, è stata la causa primaria dell'impero romano universale, e la forza delle armi è stata solo lo strumento di cui la provvidenza si è servita per raggiungere questo fine. L'esempio del fabbro, del coltello e del martello era già stato usato in Cv I xiii 4.", "labels": [[51, 55, "PER"], [905, 907, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "mettendo queste parole in bocca alla Sapienza'. Cfr. Prv 8, 6 Audite quoniam de rebus magnis locutura sum\".", "labels": [[53, 56, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cioè l'unificazione del mondo sotto un unico comando. Che l'impero di Cesare Augusto, la pace da lui imposta all'orbe ed il censimento universale fossero stati preordinati da Dio in funzione della nascita del Salvatore era stato sostenuto dallo storico cristiano Orosio (cfr. nota a Cv IV v 8).", "labels": [[70, 84, "PER"], [209, 218, "PER"], [263, 269, "PER"], [283, 285, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "privo di ogni macchia'. La metafora di casa, albergo, dimora che Dante userà di nuovo in Pd XXIII, 103-105 (Io sono amore angelico, che giro / l'alta letizia che spira dal ventre / che fu albergo del nostro disiro\") per indicare la gestazione del Verbo incarnato nel seno di Maria era comune anche nella letteratura volgare del tempo. Già Rabano Mauro aveva detto che i termini thalamus, tabernaculum usati dalla Scrittura potevano essere applicati alla madre di Cristo (Allegoriae in Sacram Scripturam, PL 112, pp. 1062-63).", "labels": [[65, 70, "PER"], [89, 91, "WORK_OF_ART"], [247, 252, "WORK_OF_ART"], [275, 280, "PER"], [339, 351, "PER"], [413, 422, "WORK_OF_ART"], [463, 469, "PER"], [471, 502, "WORK_OF_ART"], [504, 510, "MISC"]]} +{"text": "probabilmente Dante si riferisce ai meriti degli antenati di Maria, i santi padri dui cui Tommaso dice che ex congruo meruerunt incarnationem desiderando et petendo\" (Summa Theologiae III, q. 2, a. 11).", "labels": [[14, 19, "PER"], [61, 66, "PER"], [90, 97, "PER"], [167, 187, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "gioiosa fiducia, allegrezza del genere umano. L'elogio ricalca quello rivolto nella Bibbia a Giuditta Tu gloria Jerusalem, tu laetitia Israel, tu honorificentia populi nostri\" (Idt 15, 10) applicato dalla liturgia alla Vergine'.", "labels": [[84, 90, "WORK_OF_ART"], [177, 180, "WORK_OF_ART"], [219, 226, "PER"]]} +{"text": "cfr: Is. 11.1 Et egredietur virga de radice Jesse, et flos de radice eius ascendet\".", "labels": []} +{"text": "Dante segue le genealogie di Gesù presenti sia in Matteo (1,1-17) che in Luca (3, 23-38). In realtà in entrambi chi discende da David non è Maria, bensì Giuseppe. Ma nell'esegesi cristiana del testo di Isaia, almeno a partire da San Girolamo, il virgulto che uscirà dalla radice di Jesse è sempre stata identificato con Maria (mentre il fiore indica il Cristo): Nos virgam de radice Jesse sanctam Mariam virginem intelligimus ... et florem dominum Salvatorem\" (PL 24, 144). Aimone di Halberstadt ne dedurrà che Maria stessa è della stirpe di David (\"Virga de radice Jesse egressa est, quia virgo Maria ex propagine David orta est\" Commentariorum in Isaiam libri tres II, 11, PL 116, p. 779).", "labels": [[0, 5, "PER"], [29, 33, "PER"], [50, 56, "WORK_OF_ART"], [73, 77, "WORK_OF_ART"], [128, 133, "PER"], [140, 145, "PER"], [153, 161, "PER"], [202, 207, "PER"], [229, 241, "PER"], [282, 287, "PER"], [320, 325, "PER"], [353, 359, "PER"], [383, 388, "PER"], [448, 458, "PER"], [461, 466, "WORK_OF_ART"], [511, 516, "PER"], [542, 547, "PER"], [596, 601, "PER"]]} +{"text": "gli scritti degli storici'. La ricerca di corrispondenze tra la storia sacra biblica e quella profana dei regni terreni, messe per così dire in parallelo, risale almeno al Chronicon di Eusebio di Cesarea tradotto in latino da San Girolamo. Il modello, anche se a volte con variazioni dei calcoli, era stato utilizzato sia da Agostino nel De civitate Dei, sia da Orosio nelle Historiae adversum paganos ed era passato in compilazioni medievali come lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais.", "labels": [[172, 181, "WORK_OF_ART"], [185, 203, "PER"], [226, 238, "PER"], [325, 333, "PER"], [338, 353, "WORK_OF_ART"], [362, 368, "PER"], [375, 401, "WORK_OF_ART"], [451, 470, "WORK_OF_ART"], [474, 494, "PER"]]} +{"text": "per la qual cosa, cioè per il fatto che la nascita di Roma (denominata città santa\", come Gerusalemme) ha coinciso temporalmente con la nascita di Davide, antenato di Cristo, risulta evidente (\"manifesto\") che l'esistenza dell'impero romano deriva da scelta divina In realtà i dati cronologici offerti dalle possibili fonti (Orosio, Vincenzo di Beauvais) danno un certo scarto tra i due avvenimenti Ma nel Trésor (I XL 4-5, pp. 74-76) Dante poteva leggere che lo sbarco di Enea aveva di poco preceduto il regno di David, tra la fine della terza e l'inzio della quarta era del mondo: dunque era ben possibile che la conquista del Lazio e la nascita del futuro re di Israele fossero cronologicamente contigue (vedi Scott 1972).", "labels": [[147, 153, "PER"], [167, 173, "PER"], [325, 331, "PER"], [333, 353, "PER"], [406, 412, "WORK_OF_ART"], [435, 440, "PER"], [473, 477, "PER"], [514, 519, "PER"], [629, 634, "LOC"], [659, 672, "WORK_OF_ART"], [713, 718, "PER"]]} +{"text": "come anche oggi attraverso i metodi esatti della loro scienza gli astrologi possono riscontrare'. Il termine mathematici indicava comunemente, fin da Agostino e da Isidoro di Siviglia, gli astrologi, all'inizio con un' accentuazione decisamente negativa . I mathematici sono quegli astrologi che seguono una scienza superstitiosa\", \" in stellis auguriantur ... siderumque cursu nativitates hominum et mores praedicare (praedicere?) conantur\" (Etymologiae III xxvii 2, vol. I, s.p.). Non è affatto detto che con questo inciso Dante voglia collegare la situazione del cielo al concepimento di Cristo e riportare in qualche modo agli astri quella singolare eccellenza della sua natura umana cui si allude in Cv IV xxiii 10, come afferma il commento di Vasoli, attingendo a Nardi 1967, pp. 52-54.", "labels": [[150, 158, "PER"], [164, 183, "PER"], [443, 466, "WORK_OF_ART"], [525, 530, "PER"], [591, 597, "PER"], [705, 707, "WORK_OF_ART"], [770, 775, "PER"]]} +{"text": "cfr. Lc 2,1 Exiit edictum a Caesare Augusto ut describeretur universus orbis\". Nelle parole di Luca è centrale, per Dante, la specificazione che il censimento riguardava tutto il mondo abitato ('universus orbis'): esse diventano dunque la testimonianza della universalità dell'Impero romano. Cfr. Mn II viii 14.", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"], [28, 43, "PER"], [95, 99, "WORK_OF_ART"], [116, 121, "PER"]]} +{"text": "sarà'. In quanto universale la pax Augusti potrà esser restaurata ma mai accresciuta. Il collegamento tra la pace per cui fu serrato a Giano il suo delubro\" (Pd VI 81) e la nascita di Cristo, profetizzato da Isaia come principe della pace (cfr. Is 9, 6) era già stato effettuato da Orosio (Historiae adversum paganos VI 22 1, dove leggiamo appunto che Augusto \"cunctis gentibus una pace conpositis, Iani portas ... ipse tunc clausit\")", "labels": [[35, 65, "WORK_OF_ART"], [135, 140, "PER"], [158, 160, "WORK_OF_ART"], [184, 190, "PER"], [208, 213, "PER"], [245, 247, "WORK_OF_ART"], [283, 289, "PER"], [291, 317, "WORK_OF_ART"], [353, 360, "PER"], [400, 411, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'appello alla incomprensibilità della sapienza divina con cui Paolo chiudeva il cap. 11 della Lettera ai Romani parlando del mistero della vocazione dei Gentili, viene da Dante audacemente usato per parlare del disegno con cui di Dio avrebbe preparato, attraverso i fatti e i personaggi dei Romani, la venuta di suo Figlio sulla terra. Il testo verrà di nuovo citato in Cv IV xxi 6 a proposito dell'infusione nell'uomo dell'anima intellettuale al termine di un lungo processo di formazione ed animazione dell'embrione", "labels": [[63, 68, "PER"], [95, 112, "WORK_OF_ART"], [172, 177, "PER"], [292, 298, "WORK_OF_ART"], [317, 323, "PER"], [371, 373, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nell'accezione antica ed anche medievale la regione della Siria comprendeva tutto il Medio Oriente, dall'Eufrate ai confini con l'Egitto e inglobava quindi la Palestina. Bisogna poi ricordare che nel Vangelo di Luca si dice che il censimento si svolse mentre Quirino era proconsole (praeses, hegemón in greco) appunto della Siria. Quanto al suso\" riferito alla Siria rispetto al \"qua\" dell'Italia Dante quasi sicuramente aveva presente una delle rappresentazioni cartografiche del mondo detta a T-O con l' Est, e quindi l'Asia e la Siria, nella parte alta della mappa. Cfr. Harley -Woodward 1987, pp. 295 sgg.", "labels": [[130, 136, "LOC"], [159, 168, "LOC"], [200, 215, "WORK_OF_ART"], [259, 266, "PER"], [324, 329, "WORK_OF_ART"], [361, 366, "LOC"], [390, 396, "WORK_OF_ART"], [397, 402, "PER"], [522, 526, "LOC"], [532, 537, "LOC"], [574, 580, "PER"]]} +{"text": "alla piena maturità' (il predetto imperatore\" è ovviamente Cesare Augusto). Dante applica allo sviluppo di Roma il modello delle quattro età della vita umana così come aveva fatto lo storico Floro, vissuto sotto il principato di Adriano (o secondo un'altra ipotesi, sotto quello di Marco Aurelio) nella introduzione alle sue Epitomae delle Storie di Tito Livio: delle quattro suddivisioni (infantia, adolescentia, juventus, senectus) vengono qui usate solo le prime due, e se l'arco cronologico della prima (l'età dei re) coincide con quello offerto dal suo modello, nel caso della seconda (la adolescentia), mentre Floro la fa terminare con il consolato di Appio Claudio (corrispondente alla piena conquista dell'Italia), Dante la protrae fino al termine dell'età repubblicana, che coincide con il governo non di Ottaviano, ma di Giulio Cesare (vedi al § 12). Bisogna notare che nell' ampia trattazione delle quattro età dell'uomo presente in Cv IV xxiv sgg. Dante non menziona l'infanzia, assorbita nella adolescentia.", "labels": [[59, 73, "PER"], [76, 81, "PER"], [191, 196, "PER"], [229, 236, "PER"], [282, 295, "PER"], [325, 346, "WORK_OF_ART"], [350, 360, "PER"], [658, 671, "PER"], [714, 720, "LOC"], [723, 728, "PER"], [814, 823, "PER"], [831, 844, "PER"], [944, 946, "WORK_OF_ART"], [960, 965, "PER"]]} +{"text": "rispondendo ai bisogni dei diversi momenti dello sviluppo di Roma'. Nonostante il rimando a Tito Livio Dante dipende direttamente da Floro Epitomae I ii: Haec est prima aetas populi romani et quasi infantia, quam habuit sub regibus septem, quadam fatorum industria tam variis ingenio ut rei publicae ratio et utilitas postulabat\".", "labels": [[92, 108, "PER"], [133, 147, "PER"]]} +{"text": "ci renderemo conto che Roma è stata innalzata dall'azione di cittadini che superavano le comuni capacità umane'. Il termine divini\" echeggia con tutta probabilità il brano dell' Etica Nicomachea (VII, 1, 1145 a 18-25) in cui Aristotele parla della possibilità che alcuni uomini siano dotati di virtù tanto superiori al normale da potere esser detti divini e che le Auctoritates Aristotelis (p. 241, n.122) così sintetizzano: \"Homines dicuntur fieri dei propter virtutum excellentias\"; cfr. nota a Cv III vii 6-7 e IV xx 10.", "labels": [[23, 27, "LOC"], [178, 194, "WORK_OF_ART"], [225, 235, "PER"], [365, 389, "WORK_OF_ART"], [497, 499, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "lasciare'. Si tratta di Caio Fabrizio Luscinio, a proposito del quale Dante sembra aver contaminato diverse fonti: Valerio Massimo, che parla di un tentativo di corruzione da parte dei Sanniti (cfr. Facta et Dicta Memorabilia IV iii 6) e Agostino che aggiunge la proposta fattagli da Pirro di passare dalla sua parte abbandonando Roma (cfr. De civitate Dei V 18, p. 153).", "labels": [[24, 46, "PER"], [70, 75, "PER"], [115, 130, "PER"], [185, 192, "WORK_OF_ART"], [199, 204, "PER"], [238, 246, "PER"], [284, 289, "PER"], [330, 334, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la fonte è il De senectute di Cicerone (xvi 55) Curio ad focum sedenti magnum auri pondus Samnites cum attulissent, repudiati sunt; non enim aurum habere praeclarum sibi videri dixit, sed eis qui haberent aurum imperare\". A differenza del testo latino Dante, mette come soggetto della oggettiva i cittadini romani e non Curio stesso. Questo ha fatto pensare che egli abbia contaminato Cicerone con Servio che attribuisce non a Curio, ma a Fabrizio, anche in questo caso in risposta agli ambasciatori dei Sanniti, la frase \" Romanos non aurum habere velle, sed aurum habentibus imperare\" (cfr. Silverstein 1938, pp. 337-8).", "labels": [[14, 38, "WORK_OF_ART"], [90, 114, "WORK_OF_ART"], [252, 257, "PER"], [385, 393, "PER"], [398, 404, "PER"], [427, 432, "PER"], [439, 447, "PER"], [593, 604, "PER"]]} +{"text": "aveva fallito il colpo' (nell'attentato alla vita di Porsenna. Cfr. Floro, Epitomae I iv).", "labels": [[53, 61, "PER"], [68, 73, "WORK_OF_ART"], [75, 83, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "e lo stesso si dica di quel Bruto di cui abbiamo parlato prima'. Tito Manlio Torquato e Bruto, il primo consolo\", avevano condannato a morte i propri figli, Torquato perché, nonostante avesse poi vinto, aveva trasgredito l'ordine paterno di non attaccare battaglia contro i Latini (cfr. Floro, Epitomae I ix ; Agostino, De civitate Dei V 18, p. 151), Bruto perché avevano cospirato contro la Repubblica appena nata (cfr. Floro, Epitomae I iii; Agostino, loc. cit.) ).", "labels": [[28, 33, "PER"], [65, 85, "PER"], [88, 93, "PER"], [157, 165, "PER"], [274, 280, "WORK_OF_ART"], [287, 292, "PER"], [310, 318, "PER"], [320, 335, "WORK_OF_ART"], [351, 356, "PER"], [392, 402, "LOC"], [421, 426, "PER"], [428, 436, "WORK_OF_ART"], [444, 452, "PER"]]} +{"text": "membri della stessa famiglia romana che, in diverse circostanze, votarono se stessi alla morte per impetrare dagli Dei la sconfitta dei nemici di Roma. Cfr. Cicerone, De finibus bonorum et malorum II, 19, 61 citato in Mn II v 16. In realtà la dipendenza sembra essere piuttosto da De civitate Dei V 18, p. 152, che parla di 'Decii' al plurale (Se occidendos certis verbis quodam modo consecrantes Decii se devoverunt ut, illis cadentibus ... romanus liberaretur exercitus ...\") mentre Cicerone parla dei singoli membri della famiglia.", "labels": [[157, 165, "PER"], [167, 199, "WORK_OF_ART"], [219, 224, "MISC"], [282, 293, "WORK_OF_ART"], [486, 494, "PER"]]} +{"text": "è stato notato come le fonti storiche romane non parlino di nessun membro di questa famiglia come di chi si sia sacrificato per la patria. Nell' Eneide, però, la profezia di Anchise accomuna i Drusi ai Deci (VI 824- 5).", "labels": [[145, 151, "WORK_OF_ART"], [174, 181, "WORK_OF_ART"], [193, 198, "WORK_OF_ART"], [202, 206, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "se diamo a ritrarre\" il senso di \"esporre\" il senso è che Regolo, dopo aver riferito le proposte cartaginesi (\"legazione\" nel senso del contenuto dell'ambasceria) sconsigliò i Romani dall'accettarle. Se invece intendiamo \"ritrarre\" come \"ritirarsi\", si alluderebbe al fatto che Regolo formulò il suo parere dopo che gli ambasciatori (\"legazione\" nel senso dei componenti dell'ambasceria) si erano ritirati. La fonte è qui sicuramente Valerio Massimo (Facta et dicta memorabilia I 14)controllare: Floro (Epitomae I, xviii) non parla dell'oggetto dell'ambasciata e la trattazione di Agostino (De civitate Dei V 18, p. 153) è completamente diversa.", "labels": [[278, 284, "LOC"], [434, 449, "PER"], [451, 456, "PER"], [496, 501, "WORK_OF_ART"], [581, 589, "PER"], [591, 606, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "chi dirà che sia tornato ad arare' (è sottinteso ciò che viene detto dopo per Camillo: sanza divina istigazione\", senza un fortissimo suggerimento divino). La fonte è Floro (cfr. Epitomae, I v \"Redit ad boves rursus triumphalis agricola\").", "labels": [[78, 85, "PER"], [167, 172, "PER"], [194, 208, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "contro i Galli, che avevano conquistato Roma (cfr. Floro, Epitomae I xvii).", "labels": [[9, 14, "WORK_OF_ART"], [51, 56, "PER"]]} +{"text": "autorità del Senato'. Di un secondo esilio di Furio Camillo non parlano né Livio né il suo epitomatore. La fonte sembra essere il Commento di Servio all' Eneide (vedi Renucci 1954, p.16).", "labels": [[13, 19, "PER"], [46, 59, "PER"], [75, 80, "PER"], [130, 138, "WORK_OF_ART"], [142, 148, "PER"], [154, 160, "WORK_OF_ART"], [167, 174, "PER"]]} +{"text": "del 'sacro petto' di Catone Uticense aveva parlato Lucano nella Farsaglia (IX 255 erupere ducis sacro de pectore voces\").", "labels": [[21, 36, "PER"], [51, 57, "PER"], [64, 73, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nella prefazione alla sua traduzione della Bibbia'. Si tratta della lettera a Paolino, De studio scripturarum (PL 22, pp. 540-49) che nel Medioevo (ma non nelle edizioni a stampa posteriori alla revisione cinquecentesca della Vulgata) fungeva appunto da prologo all'intera Bibbia tradotta da Girolamo.", "labels": [[43, 49, "WORK_OF_ART"], [78, 85, "PER"], [87, 109, "WORK_OF_ART"], [111, 116, "MISC"], [226, 233, "WORK_OF_ART"], [273, 279, "WORK_OF_ART"], [292, 300, "PER"]]} +{"text": "troppo poco' (cfr. De studio scripturarum, 548: Paulus apostolus ... super quo tacere melius puto quam pauca scribere\").", "labels": [[19, 41, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il braccio stesso' (lat. ipsa). Il 'braccio di Dio' è un'immagine assai frequente nel linguaggio biblico per indicare un potente intervento divino. Cfr. ad esempio, Is 40, 10 Dominus in fortitudine veniet et brachium eius dominabitur\"; Ps 76, 16 \"Redemisti in brachio tuo populum tuum\" e, soprattutto, nel nuovo Testamento, il Magnificat (Lc, 1 51) \"Fecit potentiam in brachio suo\".", "labels": [[236, 238, "WORK_OF_ART"], [327, 337, "WORK_OF_ART"], [339, 341, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "non intervenne Dio direttamente'. Anche la 'mano di Dio' è un'espressione biblica, spesso associata alla metafora del braccio. Cfr. Ps 135, 12 Eduxisti Israel de Aegypto in manu potenti et brachio excelso\".", "labels": [[132, 134, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si allude all'episodio del duello tra Orazi e Curiazi (cfr. Floro Epitomae I i).", "labels": [[38, 43, "WORK_OF_ART"], [46, 53, "WORK_OF_ART"], [60, 65, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "fece sì che ci se ne accorgesse'. In questo caso le fonti possono essere sia Floro (cfr. Epitomae I vii) che Virgilio (Eneide VIII 655, citato in Mn II iv 8): entrambi infatti, a differenza di Livio, cui pure Dante si riferirà nel luogo già citato del Monarchia, parlano non delle oche, ma dell'oca del Campidoglio (cfr. Moore, p. 275).", "labels": [[109, 117, "PER"], [119, 125, "WORK_OF_ART"], [146, 148, "WORK_OF_ART"], [193, 198, "PER"], [209, 214, "PER"], [252, 261, "WORK_OF_ART"], [303, 314, "WORK_OF_ART"], [321, 326, "PER"]]} +{"text": "tre moggi di anelli, tolti dalle dita dei cavalieri e dei senatori caduti appunto a Canne. Il moggio era ancora ai tempi di Dante una unità di misura di capacità usata per le granaglie, come il latino modius. La fonte è con tutta probabilità Orosio (Historiae adversum paganos IV 16 5).", "labels": [[84, 89, "LOC"], [124, 129, "PER"], [242, 248, "PER"], [250, 276, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per la liberazione di Roma': Anche qui fonte diretta di Dante sembra essere stato Orosio (Historiae adversum paganos IV 16 6).", "labels": [[56, 61, "PER"], [82, 88, "PER"], [90, 116, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Lucio Sergio Catilina. Si allude alla congiura di Catilina, scoperta e sventata da Cicerone che in quel momento ricopriva la carica di console. L'episodio è ampiamente narrato nel De coniuratione Catilinae di Sallustio e riassunto nei suoi dati essenziali dall' Epitome di Floro (cfr. Epitomae II xii). Né bisogna dimenticare che la storia di Catilina, della sua fuga in Etruria e dell'ultima battaglia sui monti di Pistoia faceva parte di quel complesso di storie e miti di fondazione delle città toscane ben presenti anche agli 'illitterati'.", "labels": [[0, 21, "PER"], [50, 58, "PER"], [83, 91, "PER"], [180, 205, "WORK_OF_ART"], [209, 218, "PER"], [262, 269, "WORK_OF_ART"], [343, 351, "PER"]]} +{"text": "al di là di quanto è già comunemente detto ed accettato'. Roma riceve da Dante l'appellativo che per tutti richiamava Gerusalemme: quello di città santa (santa cittade\"), non per esser stata il luogo del martirio di Pietro (e Paolo) ed essere ora la sede del suo successore, bensì perché culla e base dell'autorità politica più alta, direttamente voluta da Dio. Il discorso, costruito sapientemente su di una serie di anafore (\"Chi dirà ... e chi dirà?\" \"E non puose Iddio le mani proprie ... E non puose Iddio le mani?\") ha volutamente una struttura non logico-argomentativa, bensì retorico-persuasiva: come verrà detto nella Monarchia, l'argomento trattato, per sua natura, non permette l'uso di prove rigorose, ma deve fondarsi su 'signa' e 'auctoritates sapientum' (II ii 7). E infatti anche il trattatto latino procede per anafore interrogative (\"Nonne Cincinnatus ... nonne Fabricius ... Nonne Brutus ...?\" III v 9, 11,13 ). Tranne Regolo, Curio e i misteriosi Drusi, tutti gli esempi di cittadini \"divini\" presenti nel Convivio passeranno nella Monarchia. Il trattato latino rimaneggerà invece la distinzione operata dal Convivio tra episodi dove Dio si è servito strumentalmente delle virtù degli uomini e avvenimenti in cui è intervenuto direttamente con il suo braccio: porrà i primi come segni indubitabili che nelle sue conquiste il popolo romano ha sempre avuto di mira il bene comune (II v 6 sgg.) mentre definirà apertamente miracoli i secondi (farà così ricorso alla misteriosa caduta dal cielo degli scudi ancili ed alla tempesta di grandine che impedì ad Annibale di impadronirsi di Roma, non presenti nel Convivio. Cfr. Mn II.iv). Come abbiamo visto, Dante attinge le sue notizie essenzialmente da Floro e, in parte, da Valerio Massimo. L'uso di Agostino (e anche di Orosio) merita un discorso particolare: nel cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei il vescovo di Ippona aveva presentato la stessa galleria di personaggi e di gesta che troviamo esaltati nel Convivio: Bruto, Torquato, Camillo, Muzio Scevola, Attilio Regolo, Cincinnato, i Deci ... Per Agostino essi avevano sì un valore paradigmatico, ma solo nel senso che, legati all' ottica puramente umana della città terrena, incitavano i cristiani a riflettere su \"quanta dilectio debeatur supernae patriae propter vitam aeternam, si tantum a suis civibus terrena dilecta est propter hominum gloria\" (De civitate Dei V 16 , p. 149) Si trattava, insomma, di ombre di virtù, e se l'impero romano era stato voluto da Dio, questo non comportava nessun privilegio rispetto agli altri che l'avevano preceduto; non solo quindi \"quando voluit\", ma anche \"quantum voluit\", il che nell'ottica di Agostino indica un periodo limitato, in cui il potere conferito ad un individuo o a un popolo non ha alcuna relazione con i suoi meriti, ma solo con l'imperscrutabile volontà divina (cfr. De civitate Dei V 2, p. 157). Per Dante, invece, fin dal Convivio,questi episodi diventano segni, doni e strumenti di una Provvidenza divina, che parla attraverso la bocca di Virgilio quando promette ai Romani, a differenza degli altri popoli, un dominio senza limiti spaziali e temporali. Peraltro, qualche anno prima di Dante, Tolomeo da Lucca nella sua continuazione del De regno di Tommaso aveva messo una analoga esaltazione delle virtù romane proprio sotto l'egida del cap. 18 del quinto libro del De civitate Dei (cfr. Silverstein 1938, pp. 326-30). Per il domenicano lucchese il vescovo di Ippona, narrando con approvazione quegli episodi , riconosceva una divina legittimità dell'Impero romano (\"multa similia ibidem dicit, per quae definire videtur eorum dominium fuisse legitimum et eis a Deo collatum\") Questo poteva avvenire solo attraverso un completo stravolgimento della posizione di Agostino, facendo dell' amor patriae dei Romani non un aspetto del vano amore di gloria proprio dei migliori cittadini della città terrena, ma addirittura la più alta manifestazione della charitas, meritevole di ricevere in premio il più alto grado di onore, e cioè il dominio universale (De regno III, 4)", "labels": [[73, 78, "PER"], [216, 222, "PER"], [226, 231, "PER"], [628, 637, "WORK_OF_ART"], [881, 890, "PER"], [901, 912, "WORK_OF_ART"], [939, 945, "LOC"], [1027, 1035, "WORK_OF_ART"], [1053, 1062, "WORK_OF_ART"], [1129, 1137, "WORK_OF_ART"], [1574, 1582, "PER"], [1625, 1633, "WORK_OF_ART"], [1671, 1676, "PER"], [1718, 1723, "PER"], [1740, 1755, "PER"], [1766, 1774, "PER"], [1787, 1793, "PER"], [1860, 1875, "WORK_OF_ART"], [1879, 1896, "WORK_OF_ART"], [1984, 1992, "WORK_OF_ART"], [1994, 1999, "PER"], [2001, 2009, "LOC"], [2011, 2018, "LOC"], [2020, 2033, "PER"], [2035, 2049, "PER"], [2051, 2061, "PER"], [2065, 2069, "WORK_OF_ART"], [2078, 2086, "PER"], [2383, 2398, "WORK_OF_ART"], [2669, 2677, "PER"], [2857, 2868, "WORK_OF_ART"], [2891, 2896, "PER"], [2914, 2922, "WORK_OF_ART"], [3032, 3040, "PER"], [3060, 3066, "WORK_OF_ART"], [3179, 3184, "PER"], [3186, 3193, "PER"], [3231, 3239, "WORK_OF_ART"], [3243, 3250, "PER"], [3361, 3376, "WORK_OF_ART"], [3383, 3394, "PER"], [3757, 3765, "PER"], [4046, 4058, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "del verbo viere (presente anche nella forma aviere) abbiamo testimonianza solo negli eruditi e nei grammatici latini (in Varrone, che cita un verso perduto di Ennio, in Festo e Nonio). Da qui, tramite Isidoro di Siviglia (cfr. Etymologiae VIII vii 3, vol. I, s.p.) passa nei lessici medievali più usati: il Catholicon di Pietro Balbi e soprattutto le Derivationes Magnae di Uguccione da Pisa. Proprio dalle Derivationes, come è esplicitamente detto nel paragrafo 5 di questo stesso capitolo, Dante ricava le sue conoscenze in materia. Il termine avientes\" per indicare gli autori di composizioni in versi, contrapposti ai \"prosaycantes\", è usato nel De vulgari eloquentia II i 2.", "labels": [[121, 128, "PER"], [159, 164, "PER"], [169, 174, "PER"], [177, 182, "PER"], [201, 220, "PER"], [227, 238, "WORK_OF_ART"], [307, 317, "WORK_OF_ART"], [321, 333, "PER"], [351, 370, "WORK_OF_ART"], [374, 383, "PER"], [387, 391, "LOC"], [407, 419, "PER"], [492, 497, "PER"], [650, 674, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in realtà il verbo di per sé significherebbe semplicemente legare\", ma già in Varrone e poi in Uguccione esso specifica quel particolare legame che i poeti operano mediante il metro e la rima (cfr. Derivationes, s.v. Vieo, U 25, 2, p. 1272).", "labels": [[78, 85, "PER"], [95, 104, "PER"], [198, 210, "PER"]]} +{"text": "si tratta, come abbiamo già avuto modo di accennare, delle Derivationes magnae, una monumentale opera lessicografica composta verso la fine del XII secolo dal canonista pisano Uguccione. Diventata il dizionario più utilizzato nel tardo Medioevo. Essa, come dice il titolo stesso, tratta il significato delle parole derivandolo da radici comuni (spesso fantasiose). Nel testo che, come i vocabolari moderni, segue l'ordine alfabetico la voce Augeo, da cui derivano auctor e autor, è effettivamente la prima (A 1, 1, p. 5).", "labels": [[59, 78, "WORK_OF_ART"], [176, 185, "PER"], [236, 244, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta della traslitterazione del termine greco authentes, che tra i vari significati, indica anche chi agisce da sé, come padrone assoluto e che Uguccione interpreta come la radice da cui derivano non solo autor, ma anche autenticus, autorizo etc.", "labels": [[149, 158, "PER"]]} +{"text": "cfr. la versione latina di Eth. Nic. I 1, 1094 a 6-8 multis autem autem operacionibus entibus et artibus\". (Translatio Grosseteste.Textus purus, p. 141, l. 12) dove operacio (\"operazioni\", \"operarii\") sta per azione etico-politica (in greco praxis) e ars (\"artefici\" \"arti\") sta per attività produttiva (in greco techne). Il concetto di una molteplicità di attività o di produzioni ordinate ad una attività o ad una produzione che funge da fine, su cui Aristotele fonda l' idea di un fine ultimo cui tutte le operazioni umane siano subordinate (cfr. Eth. Nic. I 1-2) viene usato da Dante per dimostrare la superiorità e l'eccellenza di chi esercita questa attività \"finale\": esso deve essere assolutamente (\"massimamente\") obbedito e creduto in quanto è l'unico (\"solo\") che ha presente (\"considera\") lo scopo ultimo cui gli scopi delle altre attività sono subordinati (\"l'ultimo fine di tutti li altri fini\"). L'esempio del cavaliere deriva anch'esso dallo scritto aristotelico (cfr. Eth Nic. I 1, 1094 a 10-11), ma in Dante la semplice equitazione greca (ippiké, ars equestris) diventa la medievale cavalleria e a chi l'esercita, il cavaliere, deve obbedire (\"credere\") non solo chi fabbrica morsi e briglie (\"lo frenaio\", cioè chi esercita l' ars frenefactiva della traduzione latina dell' Etica), ma anche chi fabbrica selle (\"sellaio\"), spade (\"spadaio\") e scudi (\"scudaio\"), arnesi del tutto assenti dal testo aristotelico: il commento di Tommaso, dal canto suo, introduce sì le selle, inesistenti per l'ippica greca, ma non gli scudi né le spade. Queste ultime sono invece presenti nella traduzione di Taddeo Alderotti della Summa Alexandrinorum (vedi Gentili 2006, p. 262). L'obbedienza dei produttori di briglie, selle etc. al cavaliere presuppone ovviamente una forma di produzione artigianale regolata dalle esigenze dei committenti.", "labels": [[27, 30, "WORK_OF_ART"], [108, 130, "WORK_OF_ART"], [453, 463, "PER"], [550, 553, "WORK_OF_ART"], [582, 587, "PER"], [985, 992, "WORK_OF_ART"], [1020, 1025, "PER"], [1293, 1298, "WORK_OF_ART"], [1445, 1452, "PER"], [1609, 1615, "WORK_OF_ART"], [1632, 1652, "WORK_OF_ART"], [1659, 1666, "PER"]]} +{"text": "nel primo libro del De finibus bonorum et malorum: I, 9, 29 (per quanto riguarda l'identificazione del sommo bene con la voluptas) e I, 11, 38 (per quanto riguarda la definizione della voluptas come 'non dolore'). I riferimenti di Dante sono piuttosto precisi (e però che tra'l diletto e lo dolore non ponea mezzo alcuno\" : \"non placuit Epicuro medium esse quiddam inter dolorem et voluptatem\"). Dal primo libro del De finibus Dante prende anche l'argomento usato poche righe prima, cioè che, istintivamente, ogni essere capace di sentire fin dalla nascita fugge il dolore e cerca il piacere (\"Omne animal, simul atque natum est, voluptatem appetit ... dolorem aspernit\" I, 9, 30). Cfr. Cv IV xxii 5.", "labels": [[20, 49, "WORK_OF_ART"], [231, 236, "PER"], [337, 344, "PER"], [416, 432, "WORK_OF_ART"], [687, 689, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "a Lucio Manlio Torquato, cui nel dialogo spetta la parte di espositore e difensore delle dottrine epicuree, Cicerone ricorda appunto l'episodio che aveva visto il suo antenato condannare a morte il figlio (cfr. De finibus I, 7, 23).", "labels": [[2, 23, "PER"], [108, 116, "PER"], [211, 223, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che attua una medietà derivata da una scelta razionale, ed in cui consiste la virtù; per Aristotele ciò che fonda la correttezza morale delle azioni non è una semplice ed astratta medietà aritmetica, ma una medietà razionalmente scelta volta per volta rispetto alle circostanze. Cfr. la traduzione di Grossatesta di Eth. Nic. II 6, 1106 b 36 - 1107 a 2: Est ergo virtus habitus electivus in medietate existens que ad nos determinata racione\" (Textus purus, p. 171, ll. 7-8", "labels": [[89, 99, "PER"], [301, 312, "WORK_OF_ART"], [316, 319, "WORK_OF_ART"], [443, 455, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in realtà questa definizione è totalmente aristotelica (cfr. Eth. Nic. I 7, 1098 a 16). Dante fa qui combaciare le definizioni aristoteliche della virtù morale (il giusto mezzo\") e della felicità (\"attività dell'anima secondo la sua propria e peculiare capacità\") che in Aristotele sono distinte.", "labels": [[61, 64, "WORK_OF_ART"], [88, 93, "PER"], [271, 281, "PER"]]} +{"text": "perché la sua filosofia non sostenne alcuna tesi determinata'. Che a Platone fosse succeduto Speusippo, che i suoi seguaci avessero preso il nome dal luogo in cui studiavano (l'Academia), che Socrate si fosse limitato a porre in dubbio le posizioni altrui senza affermare niente in positivo Dante poteva trovarlo negli Academica di Cicerone (I, 4, 17). Suo è invece il collegamento tra quest'ultima cosa e la mancata denominazione della scuola come socratica (quando invece Agostino parla espressamente di socratici\", cfr. De civitate Dei VIII 3, p. 219).", "labels": [[69, 76, "PER"], [93, 102, "PER"], [192, 199, "PER"], [291, 296, "PER"], [319, 328, "WORK_OF_ART"], [332, 340, "PER"], [474, 482, "PER"]]} +{"text": "Senocrate di Calcedonia, successore di Speusippo nella direzione dell' Academia dal 339 al 314 a.C., fu effettivamente condiscepolo (compagnone\") di Aristotele. Lo stretto collegamento operato da Dante tra Senocrate ed Aristotele (non presente a mia conoscenza in nessun testo dossografico medievale) deriva da Cicerone, sia dagli Academica (I.4 17-18) sia dal De finibus (IV, 7, 15 sgg.) dove viene attribuita ad entrambi la giusta determinazione di quale sia il sommo bene", "labels": [[39, 48, "PER"], [71, 79, "WORK_OF_ART"], [149, 159, "PER"], [196, 201, "PER"], [206, 215, "PER"], [219, 229, "PER"], [311, 319, "PER"], [331, 340, "WORK_OF_ART"], [361, 371, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "di Aristotele come vir singulari ingenio et paene divino\" parla sempre Cicerone nel De divinatione I, 25, 53. L'accenno alla \"natura\" è invece in Alberto Magno, De anima III, tr. 2, c. 3 \"Natura hunc hominem posuit quasi regulam veritatis\" (p. 182, ll. 10-11).", "labels": [[3, 13, "PER"], [71, 79, "PER"], [84, 100, "WORK_OF_ART"], [146, 159, "PER"], [161, 173, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "limarono (cioè rividero accuratamente) e portarono al grado massimo di perfezione'. Sempre negli Academica (I, 4, 18) è presente l'affermazione di una sostanziale continuità tra le dottrine etiche di Aristotele e quelle di Socrate, di Platone e degli Accademici : Nihil ... inter Peripateticos et illam veterem Academiam differebat\".", "labels": [[97, 106, "WORK_OF_ART"], [200, 210, "PER"], [223, 230, "PER"], [235, 242, "PER"], [251, 261, "WORK_OF_ART"], [264, 293, "WORK_OF_ART"], [311, 320, "PER"]]} +{"text": "camminatori'. Sulla base delle Derivationes Magnae di Uguccione Dante assimila Aristotele ed i suoi seguaci a quei maestri del XII secolo qui perambulabant de scola ad scolam, disputantes ... quid melius sue sententie possent adiungere\" (s. v. Peri, P 68, 6, p. 930).", "labels": [[31, 50, "WORK_OF_ART"], [54, 69, "PER"], [79, 89, "PER"], [251, 252, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che Aristotele è colui che indica questo fine e conduce al suo raggiungimento'. Lo stretto collegamento tra Socrate, Platone ed Aristotele, presente in questo paragrafo e nei precedenti, dipende dall'uso di fonti ciceroniane e si distacca dalla comune opinione dossografica che nel Medioevo considerava Platone ed Aristotele capi di due scuole, magari non opposte, ma certo diverse. Il breve accenno di storia della filosofia secondo cui gli Accademici sarebbero stati completamente assorbiti dalla scuola dei Peripatetici deriva dalla lettura del De finibus di Cicerone in cui le due correnti filosofiche sono teoreticamente accomunate, in opposizione agli Stoici (cfr. ad esempio IV, 2, 4). Infine, la constatazione della universale egemonia culturale dell'aristotelismo, dominante non solo nelle Università, ma anche negli Studia cittadini degli ordini mendicanti, dimostra in Dante una coscienza del fenomeno davvero precoce. Osservazioni analoghe non si avranno prima del XVI secolo.", "labels": [[4, 14, "PER"], [108, 115, "PER"], [117, 124, "PER"], [128, 138, "PER"], [282, 310, "WORK_OF_ART"], [314, 324, "PER"], [442, 492, "WORK_OF_ART"], [510, 522, "WORK_OF_ART"], [548, 558, "WORK_OF_ART"], [562, 570, "PER"], [658, 664, "WORK_OF_ART"], [799, 809, "WORK_OF_ART"], [880, 885, "PER"]]} +{"text": "nel libro della Sapienza'. Calco dal latino: 'in illo Sapientiae'. Cfr. Sap 6, 23 Diligite lumen sapientiae, omnes qui praeestis populis\".\" (con \"state innanzi\" Dante traduce letteralmente il 'praeestis' che in realtà significa 'comandate'). Lo stesso versetto verrà di nuovo utilizzato da Dante in Cv IV xvi 1", "labels": [[4, 24, "WORK_OF_ART"], [54, 64, "WORK_OF_ART"], [72, 75, "WORK_OF_ART"], [162, 167, "PER"], [291, 296, "PER"], [300, 302, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Ecl 10, 16 Vae tibi, terra, cuius rex puer est, et cuius principes mane comedunt\" (stranamente Dante traduce in modo non corretto \"mane\", cioè, dal mattino, con \"domane\" e perde in qualche modo il senso dell'invettiva volta contro i governanti che gozzovigliano fin dall'inizio del giorno. Risulta così suggestiva, anche se non accolta dai vari editori, la proposta avanzata da Moore di sostituire \"la domane\" con \"da mane\"). Le prime parole di questo versetto verranno di nuovo citate in Cv IV xvi 5", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"], [100, 105, "PER"], [383, 388, "PER"], [494, 496, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "più di ogni altra persona ignobile'. Espressioni simili ha il Liber de nobilitate animi di Guglielmo di Aragona, un testo composto verso la fine del XIII secolo probabilmente in zona italiana: Si filii nobilium non assimilentur parentibus in nobilitate non solum erunt viles sed vilitatis principium et corruptores nobilitatis ...Unde in hoc casu valde mirabilis, immo miserabilis est\" (p. 58, ll. 29-33). Dante però traduce questa convinzione in una struttura narrativa e stilistica che nel suo domandare e rispondere ha come modello i Vangeli. In Mt 21, 28 sgg., infatti, Gesù presenta ai Farisei una situazione fittizia, ma possibile (il padre di famiglia che dice ai due figli di andare nel campo; i contadini che uccidono il figlio del padrone della vigna a loro inviato) che genera un interrogativo (quale dei due figli ha fatto la volontà del padre? Cosa farà il padrone ai contadini omicidi?): la risposta, praticamente obbligata, viene per analogia applicata alla situazione reale di cui si sta discutendo.", "labels": [[62, 87, "WORK_OF_ART"], [91, 111, "PER"], [406, 411, "PER"], [537, 544, "WORK_OF_ART"], [549, 551, "WORK_OF_ART"], [574, 578, "PER"], [591, 598, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Prv 22, 28 Ne transgrediaris terminos antiquos, quos posuerunt patres tui\". E' interessante notare come Dante, utilizzandolo per il suo scopo, modifichi profondamente l'interpretazione corrente di questo testo biblico, in genere invocato contro l'introduzione di innovazioni, viste per lo più come pericolose.", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"], [109, 114, "PER"]]} +{"text": "cfr. Prv 4 , 18-19 Iustorum autem semita quasi lux splendens procedit ... Via impiorum tenebrosa. Nesciunt ubi corruant\". Anche in questo caso il testo subisce uno slittamento semantico attraverso l'identificazione dei \"giusti\" biblici con i veri nobili (i \"valenti\").", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. De an. II 4, 415 b 13 Vivere autem viventibus est esse\".", "labels": []} +{"text": "vivere ha una pluralità di significati'. Cfr. De an. II 2, 413 a 22 Multipliciter autem ipso vivere dicto\".", "labels": []} +{"text": "avere sensazioni e muoversi'. In realtà, per Aristotele, il movimento locale non è elemento definitorio dell'animale; esistono infatti animali, come le ostriche, che possiedono la sensibilità senza possedere la motilità (cfr. De an. II 2, 413 b 1-5).", "labels": [[45, 55, "PER"], [226, 231, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. il commento di Tommaso all' Etica Nicomachea X, lectio 11, n. 2109 Dum homo vivit secundum operationem intellectus, vivit secundum vitam maxime sibi propriam\".", "labels": [[20, 27, "PER"], [33, 49, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Prv 5, 23 Ipse morietur quia non habuit disciplinam et multitudine stultitiae suae decipietur\" (probabilmente Dante leggeva, o ricordava un \"qui\" al posto del \"quia\").", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"], [115, 120, "PER"]]} +{"text": "Dante si riferisce ad un testo assai conosciuto in cui Aristotele paragona il rapporto tra i vari tipi di anima a quello tra le diverse figure piane (cfr. De an. II 3, 414 b 28-32), ma lo interpreta in modo del tutto singolare. Per lo Stagirita, infatti, come un quadrilatero contiene in sé potenzialmente il triangolo, così l'anima sensitiva contiene in potenza anche quella vegetativa e come commenterà Alberto Magno, ne esercita pienamente le funzioni in quanto ontologicamente superiore (quia est potestas superior ... ex se potest in potestatem inferioris potentiae\" De anima II tr. 1, cap.11, p. 81, ll. 77-79). Seguendo Tommaso (ma anche Bonaventura) Dante introduce accanto alle figure del triangolo e del quadrilatero (\"quadrangulo\") anche quella del pentagono (\"pentangulo\") corrispondente all'anima intellettiva che sembra concepire in perfetta sequenza con le altre (Aristotele, invece, per cui l'intelletto necessita di una discussione a parte, aveva parlato solo di due figure, il triangolo ed il quadrilatero e di due facoltà, quella vegetativa e quella sensitiva). Ma, con l'immagine per cui la figura che ha più lati (\"canti\") sta sopra a quella che ne ha meno, e soprattutto con l'idea per cui togliendo un lato al pentagono si torna al quadrilatero, Dante sembra concepire il rapporto tra i diversi tipi di anima come un processo per addizione, ed in più reversibile, andando così contro le interpretazioni più autorevoli (e in questo caso più aderenti) del testo aristotelico. Cfr. ancora una volta Alberto Magno \"Propter quod etiam solvitur dubium quorundam, utrum scilicet sensitivum sit compositum ex vegetativo et quodam alio; constat enim quod non, sed sensitivum est unum simplex amplioris potestatis ... Neque enim in figuris figura tetragoni est composita, sed simplex\" (De anima II tr. 1, cap. 11, p. 81, ll. 81-4, 89-90). Ancora una volta Dante tratta con molta libertà le sue auctoritates utilizzandole in funzione delle proprie necessità espressive.", "labels": [[0, 5, "PER"], [55, 65, "PER"], [155, 160, "WORK_OF_ART"], [235, 244, "PER"], [405, 418, "PER"], [572, 586, "WORK_OF_ART"], [627, 634, "PER"], [645, 656, "PER"], [658, 663, "PER"], [879, 889, "PER"], [1269, 1274, "PER"], [1519, 1532, "PER"], [1799, 1813, "WORK_OF_ART"], [1869, 1874, "PER"]]} +{"text": "commentando il prologo dell' Etica'. Calco dal latino universitario 'ut dicit X super librum, prologum Ethicorum'. Cfr. Tommaso, In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio I, lectio 1, n. 1 ordinem unius rei ad aliam cognoscere est solius intellectus aut rationis\". In realtà il testo aristotelico non ha alcun prologo da commentare, e l'introduzione al commento vero e proprio, di cui il testo citato da Dante fa parte, è da attribuire completamente a Tommaso.", "labels": [[29, 34, "WORK_OF_ART"], [120, 127, "PER"], [145, 166, "WORK_OF_ART"], [410, 415, "PER"], [458, 465, "PER"]]} +{"text": "chi ha meno autorità a chi ne ha di più'. Avere reverenza\" è quindi un atteggiameno che deriva dalla capacità razionale di vedere le cose nel loro giusto ordine. L'immagine della radice e dei rami, applicata ai fondamenti ed alle applicazioni della scienza, è presente in Avicenna (cfr. De animalibus IX 1, Venetiis 1508, f. 41 r).", "labels": [[272, 280, "PER"], [307, 315, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Cicerone, nel primo libro del De officiis", "labels": [[0, 8, "PER"], [30, 41, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "bellezza che si irradia intorno all'integrità morale' (cfr. De officiis I, 27, 95 Pertinet quidem ad omnem honestatem hoc quod dico decorum\").", "labels": []} +{"text": "afferma che l'atteggiamento di rispetto ne è una parte'. Cfr. De officiis I, 28, 98, un testo dove la reverentia viene nominata subito dopo la bellezza, il decorum, senza però dire che ne sia una parte Ut enim pulchritudo corporis movet oculos et delectat ... sic hoc decorum quod elucet in vita movet adprobationem eorum quibuscum vivitur ...Adhibenda est igitur quaedam reverentia adversus homines, et optimi cuiusque et reliquorum\").", "labels": []} +{"text": "come per tutta la frase, anche nel caso di questo termine Dante traduce letteralmente il latino di Cicerone (neglegere quid de se quisque sentiat, non solum arrogantis est, sed etiam omnino dissoluti\" De officiis I, 28, 99). Probabilmente, usando la parola dissolutus, l'autore latino non voleva dire niente di diverso da \"negligente\", mentre nel volgare italiano il termine ha finito per significare in maniera esclusiva colui che è irrimediabilmente vizioso.", "labels": [[58, 63, "PER"], [99, 107, "PER"]]} +{"text": "i 'sensibili comuni' sono quelli già elencati in Cv III ix 6. Che nel caso dei sensibili comuni il senso possa essere ingannato è detto da Aristotele nel De anima (III 3, 428 b 22-25).", "labels": [[49, 51, "WORK_OF_ART"], [139, 149, "PER"], [154, 162, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "della misura di un piede'. L'esempio, usato frequentemente dai filosofi e dai teologi scolastici, è tratto dal De anima III 3, 428 b 5 ed è utilizzato da Dante anche nella lettera a Cangrande (cfr. Ep. XIII 7, p. 602).", "labels": [[111, 123, "WORK_OF_ART"], [154, 159, "PER"], [182, 191, "PER"]]} +{"text": "il testo tradito ed accettato da ll'edizione Ageno recita:la umana ragione coll'altre sue arti\". Ma il termine generico \"altre\" sembra rimandare ad un'arte specifica e nominalmente indicata (con tutta probabilità l'astronomia, mentre le altre potrebbero ben essere la geometria e l'ottica). Propongo quindi di ipotizzare una lacuna per omoteleuto. Che le varie \"arti\" siano strumenti generati dalla ragione umana è concetto del primo Agostino (cfr. De ordine II 36 sgg.).", "labels": [[434, 442, "PER"]]} +{"text": "nel cap. XXII del Liber aggregationis la misura del sole non è data in valori assoluti, ma relativi: diameter solis est aequalis diametro terrae quinquies et semis\" (p. 148). La moltiplicazione è opera di Dante.", "labels": [[18, 37, "WORK_OF_ART"], [205, 210, "PER"]]} +{"text": "si tratta di termini tratti dalla filosofia aristotelica. Privazione indica l'assenza di una qualità in un soggetto che per sua natura dovrebbe possederla: ad esempio, la cecità come privazione di vista, può essere predicata correttamente solo di esseri capaci di vedere (cfr. il commento di Tommaso: In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio IV, lectio 3, n. 565 Non ... omne non videns potest dici caecum, sed solum quod natum est habere eam\"). Dante stesso immediatamente sotto dirà che la morte come privazione di vita si può attribuire solo ai soggetti capaci di vivere. Essa funziona da principio di spiegazione del divenire ed ha con la qualità potenzialmente posseduta un rapporto di contrarietà (cfr. Phys. I 7, 190 b 11-16 e il commento di Tommaso, I, lectio 12, n. 102). La negazione ha invece una valenza puramente logica e si pone con la qualità negata in un rapporto di contraddittorietà (rimanendo entro il medesimo esempio, mentre il contrario di vedente è cieco, il suo contraddittorio è semplicemente 'non vedente' nel senso di 'non dotato della possibilità di vedere'). Applicando questo modello alla situazione descritta da Dante, \"irreverenza\" sarà il rifiuto pubblicamente manifestato (il \"disconfessare per manifesto segno\") di prestare il dovuto ossequio, mentre la \"non reverenza\" sarà semplicemente negare che ci sia un ossequio dovuto (\"negare la debita subiezione\").", "labels": [[292, 299, "PER"], [461, 466, "PER"], [724, 728, "WORK_OF_ART"], [764, 771, "PER"], [1158, 1163, "PER"]]} +{"text": "Dante non cita alla lettera, ma parafrasa il testo latino di Eth. Nic. I, 6, 1096 a 14-17 Videbitur ... oportere et pro salute veritatis et familiaria destruere. Ambobus enim existentibus amicis, sanctum prehonorare veritatem\" (Translatio Grosseteste. Textus Purus, p. 146, ll. 14-16).", "labels": [[0, 5, "PER"], [61, 64, "WORK_OF_ART"], [90, 194, "WORK_OF_ART"], [228, 250, "WORK_OF_ART"], [252, 264, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": ": noi infatti vediamo (vedemo\") che tutte le attività (\"operazioni\") della natura hanno un loro limite (sono \"finite\"); se infatti consideriamo (\"ché se prendere volemo\") la forza universale che regola la totalità delle trasformazioni (\"la natura universale di tutto\", per cui vedi Cv I vii 9) ed estende il suo potere per quanto si estende l'universo (\"tanto ha di giurisdizione quanto tutto lo mondo ... si stende\") essa ha un limite preciso (\"questo è a certo termine\") e di ciò si ha la prova attraverso (\"per\") il terzo libro della Fisica ed il primo del De coelo (dove appunto Aristotele, rispettivamente al cap. 5 ed ai capp. 5-7 dimostra che l'universo non è infinito).", "labels": [[282, 284, "WORK_OF_ART"], [537, 543, "WORK_OF_ART"], [560, 568, "WORK_OF_ART"], [583, 593, "PER"]]} +{"text": "se la finitezza del mondo è tesi caratteristica di Aristotele, non lo è sicuramente quella di un Dio limitatore illimitato, potenza infinita in grado di comprendere l'infinito, dottrina che che Dante condivide con i teologi cristiani (cfr. Tommaso, Summa Theologiae I, q. 14, a. 12; Summa contra Gentiles I, cap. 69).", "labels": [[51, 61, "PER"], [194, 199, "PER"], [240, 247, "PER"], [249, 267, "WORK_OF_ART"], [283, 304, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che possiamo dire nostre solo quelle attività che sono soggette (subiacciono\") alla ragione ed alla volontà'. Un'attività del tutto irriflessa come la digestione (\"l'operazione digestiva\") anche se si compie nell'uomo (\"se è in noi\") non può dirsi umana, ma genericamente naturale. Dante segue qui da vicino il pensiero di Tommaso, anzi, sembra proprio aver parafrasato un brano del suo commento all' Etica Nicomachea \"Dico autem operationes humanas quae procedunt a voluntate hominis secundum ordinem rationis. Nam si quae operationes in homine inveniuntur quae non subiacent voluntati et rationi, non dicuntur proprie humanae, sed naturales, sicut patet de operationibus animae vegetativae\" (I, lectio 1, n. 3)", "labels": [[282, 287, "PER"], [323, 330, "PER"], [401, 417, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nella classificazione medievale le artes mechanicae, necessarie per il soddifacimento dei bisogni materiali e caratterizzate dalla manualità, si oppongono alle artes liberales. Il loro numero e le loro caratteristiche, codificati nel Didascalicon di Ugo di San Vittore (II, 21-28, PL 176, pp. 760-3) erano però rimasti piuttosto fluttuanti (cfr. Weisheipl 1965). Un esempio di classificazione abbastanza complessa è rintracciabile proprio in Remigio de' Girolami. Il domenicano fiorentino inserisce nell'elenco arti come la tonsiva, la filativa, la textoria che sembrano riprodurre in pieno la filiera della produzione fiorentina di tessuti di lana (cfr. Panella, 1981, pp. 102-106).", "labels": [[234, 246, "WORK_OF_ART"], [250, 268, "PER"], [281, 287, "WORK_OF_ART"], [346, 355, "WORK_OF_ART"], [442, 462, "LOC"], [655, 662, "PER"]]} +{"text": "ci sono anche delle attività. Il quarto tipo di operazioni\", a differenza dei primi tre, non solo cade sotto la considerazione della ragione, ma è costituito da atti della volontà (\"operazioni che la nostra ragione considera nell'atto della volontade\"). Queste attività sono completamente dipendenti (\"del tutto subiacciono\") dalla volontà stessa. Per questo (\"e però\") dalla loro natura (\"da loro\") siamo giudicati buoni o cattivi moralmente (\"semo detti buoni e rei\"), proprio perché sono le sole ad esser nostre in senso assoluto (\"perch'elle sono propie nostre del tutto\"); dunque in questo caso le nostre attività hanno la stessa estensione (\"si stendono\") di quanto la nostra volontà può efficacemente operare (\"quanto la nostra volontade ottenere puote\"). In questi tre paragrafi, per individuare quali siano le \"operazioni nostre\" su cui la maestà imperiale ha potere, e quindi diritto alla 'reverenza', Dante utilizza una quadripartizione presente all'inizio del Commento di Tommaso all' Etica Nicomachea (I, lectio 1, n. 1-2). Le corrispondenze testuali sono evidenti \"ordo quem ratio non facit, sed solum considerat\" \"operazioni ... ch'ella solo considera e non fa\"; \"ordo quem ratio considerando facit in proprio actu\" \"operazioni che essa considera e fa nel propio atto suo\"; \"ordo quem ratio facit considerando in exterioribus rebus ... pertinet ad artes mechanicas\" \"operazioni ch'ella considera e fa in materia fuori di sé, come sono arti meccanice\"; \"ordo quem ratio considerando facit in operationibus voluntatis\" \"operazioni che la nostra ragione considera nell'atto della volontà\". Dove però Tommaso parlava di quattro tipi di ordine che fondano quattro tipi di scienze e di arti, Dante parla di quattro tipi di operazioni della ragione, confondendole con le cose o gli atti verso cui in maniera diversa essa rivolge la sua considerazione. Quello che a lui interessa non è una classificazione delle scienze, ma l'individuazione, per contrasto con tutte le altre, di quella operazione \"che la nostra ragione considera nell'atto della volontà\". Non per niente nel testo di Tommaso essa costituiva il terzo ordo e non, come qui, l'ultimo.", "labels": [[912, 917, "PER"], [972, 980, "WORK_OF_ART"], [984, 991, "PER"], [997, 1013, "WORK_OF_ART"], [1612, 1619, "PER"], [1701, 1706, "PER"], [2091, 2098, "PER"]]} +{"text": "la frase seguente non corrisponde a nessun testo agostiniano preciso (i passi del De libero arbitrio e delle Enarrationes in Psalmos citati dal Commento Busnelli tematizzano il contrasto tra legge eterna, presente alla mente, e legge temporale, scritta nei codici, affermando che chi aderisce alla prima non ha bisogno della seconda). Ho quindi seguito il suggerimento di Bruno Nardi eliminando i due punti e le virgolette", "labels": [[82, 100, "WORK_OF_ART"], [372, 383, "PER"]]} +{"text": "cfr. Digestum I, 1, 1 De iustitia et iure: ut eleganter Celsus definit, ius est ars boni et equi\". Con la denominazione di Digestum Vetus si indicavano i primi 24 libri dei 50 del Digestum (i libri 24-28 venivano indicati come Inforziato e i rimanenti come Digestum Novum). Tutto il Digestum è a sua volta una parte del Corpus iuris civilis, quella che contiene le dottrine e i responsi degli autori romani di diritto dall'età repubblicana fino a Giustiniano. Le altre parti del Corpus sono costituite dalle Institutiones (regole e metodi per lo studio del diritto), dal Codex (le costituzioni imperiali promulgate fino a Giustiniano) e dalle Novellae (costituzioni promulgate dopo l'entrata in vigore del Codex, anche da parte di imperatori successivi a Giustiniano). Entrato in vigore per la parte occidentale dell'Impero nel 554, il Corpus, dopo lunghi secoli di oblio quasi totale, tornò ad essere letto, commentato ed usato a partire dal XII secolo, per merito soprattutto della scuola giuridica bolognese. Proprio sul Corpus da poco riscoperto Federico Barbarossa fondò la riaffermazione delle prerogative imperiali nei confronti sia delle autonomie locali (i Comuni) che del papato.", "labels": [[5, 15, "WORK_OF_ART"], [22, 41, "WORK_OF_ART"], [123, 137, "WORK_OF_ART"], [180, 188, "WORK_OF_ART"], [257, 271, "WORK_OF_ART"], [283, 291, "WORK_OF_ART"], [320, 340, "WORK_OF_ART"], [447, 458, "PER"], [479, 485, "WORK_OF_ART"], [571, 576, "WORK_OF_ART"], [622, 633, "PER"], [706, 711, "WORK_OF_ART"], [755, 766, "PER"], [817, 823, "WORK_OF_ART"], [836, 842, "WORK_OF_ART"], [1024, 1030, "WORK_OF_ART"], [1050, 1069, "PER"]]} +{"text": "Dante individua quelli che per lui ed i suoi contemporanei (vedi ad esempio il De regimine principum di Egidio Romano, III ii 27 Quod non cuiuslibet est ferre leges et quod ut leges vim obligandi habeant oportet eas promulgatas esse, pp. 526-8) sono i tre momenti fondamentali dell'attività legislativa: formulare le leggi, farle conoscere ai sudditi promulgandole (mostrare\") e dando loro valore coattivo (\"comandare\"). A tutti questi atti è preposto (\"posto\") l'Imperatore che esercitando in questo la più alta funzione pubblica è anch'egli un \"officiale\" e non un autocrate.", "labels": [[0, 5, "PER"], [79, 100, "WORK_OF_ART"], [104, 117, "PER"], [464, 474, "PER"]]} +{"text": "In Phys. VII, 2, 241 a 24 la pulsio, insieme alla tractio (la trazione), alla vectio (il trasporto) ed alla vertigo (la rotazione) fa parte dei quattro movimenti possibili nelle cose mosse da altro (quindi in senso stretto non si tratta di moto naturale, ma violento).", "labels": [[3, 7, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "e ci sono attività in cui avviene il contrario: l'arte cioè è al servizio della natura'. Esse hanno un grado inferiore di artificialità regolata (e queste sono meno arti\"), quindi un grado maggiore di incertezza: ad esempio nel seminare (\"dare lo seme alla terra\"), che appartiene all'arte della agricoltura, bisogna porre attenzione (\"si vuole attendere\") alle condizioni naturali più o meno favorevoli (\"alla volontà della natura\"), nel salpare (\"uscire di porto\"), che fa parte dell'arte della navigazione, occorre stare attenti alle condizioni atmosferiche (\"la naturale disposizione del tempo\") non determinabili in modo certo. Per questo (\"E però\") si può vedere (\"vedemo\") che in tali attività spesso c'è discussione tra gli esperti (\"contenzione tra gli artefici\") e anche chi è più esperto (\"lo maggiore\") chiede un parere (\"consiglio\") a chi lo è meno (\"minore\"). Il commento di Tommaso all' Etica, esemplificando le arti in cui c'è necessità di una valutazione ponderata dei fattori che intervengono nel loro esercizio, fa proprio l'esempio dell'arte del navigare: \"ars gubernativa in qua oportet attendere ad flatus ventorum\" (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio III, lectio 7, n. 468).", "labels": [[889, 896, "PER"], [1160, 1181, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "di una disciplina più alta della medicina' (cioè la fisica, cui la scientia de plantis è subordinata. Cfr. Tommaso, Super Boethium De Trinitate, q. 5, art. 1 ad 5m ).", "labels": [[107, 114, "PER"], [116, 143, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "e in questo caso, definendola in maniera corretta, sarebbe filososofo'. Cfr. Boncompagno da Signa, Rhetorica Novissima: omnes qui naturaliter definiunt ... possunt et debent philosophi appellari, quia nihil est quod magis ad philosophiam pertineat quam habere habere scientiam definiendi\" (ed. Gaudenzi, p. 257a).", "labels": [[77, 97, "PER"], [99, 118, "WORK_OF_ART"], [294, 302, "PER"]]} +{"text": "grande esperto di logica e grande intellettuale'. Nella versione ampia del Trésor, in una redazione cioè posteriore a Brunetto (I XCV, ed. Carmody, p. 75), Federico è presentato come mervilleusement sages et artilleus et trop bien letrés\". Quasi negli stessi anni della composizione del Convivio, a Bologna, in una prolusione ad un corso di logica, Gentile da Cingoli aveva definito l'imperatore come 'magnus philosophus' (ms Palermo, Bibl. Com. 2. Qq. D. 142, f. 81r. Vedi Fioravanti 1998b).", "labels": [[75, 81, "PER"], [118, 126, "PER"], [139, 146, "PER"], [156, 164, "PER"], [287, 295, "WORK_OF_ART"], [299, 306, "LOC"], [349, 367, "PER"], [426, 433, "WORK_OF_ART"], [435, 439, "WORK_OF_ART"], [441, 444, "WORK_OF_ART"], [453, 455, "WORK_OF_ART"], [474, 484, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "poiché la nobiltà sembra avere la natura di un principio non riconducibile ad altri principi (con ciò sia cosa che essa paia avere ragione di principio\"), la sua definizione avrebbe dovuto esser fatta più correttamente (\"la sua diffinizione più degnamente si faria\") partendo dai suoi effetti. Un principio, infatti, non può esser reso noto (\"non si può notificare\") mediante qualcosa che lo precede (\"per cose prime\") bensì mediante ciò che ne deriva (\"per posteriori\"). Il commento Vasoli rimanda ad Analitici Posteriori II, 9, 93 b 21-28 dove però Aristotele si limita ad affermare che le essenze che sono anche principi non sono passibili di dimostrazione in senso stretto. Il testo del Convivio ci fa piuttosto ipotizzare che Dante, considerando il principio come causa, abbia avuto presente il cap. 13 del primo libro degli Analitici Posteriori (78 a 22 sgg.), con la trattazione della dimostrazione quia, l'unica che partendo dagli effetti ci fa conoscere qualcosa di una causa non riconducibile ad altra causa superiore..", "labels": [[551, 561, "PER"], [691, 699, "WORK_OF_ART"], [731, 736, "PER"]]} +{"text": "per tutte le cose che ne producono (fanno\") altre, è necessario (\"conviene\") che anteriormente alla produzione (\"prima\") possiedano pienamente l'essere di ciò che producono (\"essere perfettamente in quello essere\"). Si tratta di una dottrina aristotelica effettivamente presente nel settimo libro della Metafisica (cfr. VII 8, 1033 b 29-32 \"In quibusdam vero... generans tale quidem est quale generatum\"), ma la frase che segue immediatamente e che ha tutte le caratteristiche, anche stilistiche, di una citazione diretta, non trova riscontro letterale nel testo aristotelico. Il brano di Metaph. VII 8, 1033 b 22-24 cui in genere rimandano i commentatori (\"facit et generat ex hoc tale. Et quando generatum est est hoc tale\". Recensio Guillelmi, p. 146, ll. 399-400) oltre a non corrispondere alle parole del Convivio, ha nel contesto un significato del tutto diverso (Aristotele, contro la teoria delle idee di Platone sostiene che ogni generante ed ogni generato sono un 'hoc tale', un qualcosa di determinato). E se, come nota Busnelli, il commento di Tommaso alla Metafisica afferma che nella generazione univoca \"forma generati praecedit in generante secundum eumdem modum essendi\" (VII lectio 8, n. 1444) questo avviene in relazione ad un luogo diverso del testo aristotelico.", "labels": [[303, 313, "ORG"], [320, 325, "LOC"], [589, 595, "WORK_OF_ART"], [597, 600, "WORK_OF_ART"], [727, 745, "PER"], [810, 818, "WORK_OF_ART"], [870, 880, "PER"], [913, 920, "PER"], [1031, 1039, "WORK_OF_ART"], [1056, 1063, "PER"], [1069, 1079, "LOC"]]} +{"text": "cfr. Phys. VII 2, 244 b 2-3, De gen. I 6, 322 b 22-24 e soprattutto le corrispondenti auctoritates Aristotelis Movens et motum simul sunt\" (p. 155, n. 185); \"Agens et patiens non agunt nisi approximata\" (p. 165, n.14). Cfr. Cv III x 2.", "labels": [[5, 9, "PER"], [29, 35, "WORK_OF_ART"], [99, 117, "WORK_OF_ART"], [158, 174, "WORK_OF_ART"], [224, 226, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "un contrario non produce né può produrre l'altro contrario'. In realtà, nel pensiero aristotelico, questa proposizione si verifica solo per i contrari che sono anche principi. Il testo di Metaph. I 8, 989 a 27-30 citato dal commento Vasoli dice che da un contrario non può generarsi immediatamente un altro contrario, ma nell'esempio portato (non enim ex frigido fiet calidum\") la preposizione ex non ha valore causale, bensì di origine. Vedi piuttosto Phys. I 6, 189 a 21-26, dove Aristotele afferma che i contrari con cui si identificano i principi del cambiamento devono essere più di due: altrimenti uno di essi produrrebbe l'altro e questo è impossibile. Cfr. anche il Commento di Tommaso a Metaph. X 3, 1054 a 20-21 dove alla affermazione di Aristotele che l'uno e i molti sono contrari si obietta che ciò è impossibile, perché l'uno genera i molti, mentre \"unum ... contrariorum non constituit aliud, sed magis destruit\" (lectio 4, n. 1992).", "labels": [[188, 194, "PER"], [453, 457, "WORK_OF_ART"], [482, 492, "PER"], [674, 682, "WORK_OF_ART"], [686, 693, "PER"], [696, 702, "WORK_OF_ART"], [748, 758, "PER"]]} +{"text": "Dante traduce, con lievi modifiche, i vv. 119-121 del terzo libro della Farsaglia di Lucano (... pereunt discrimine nullo / amissae leges; sed, pars vilissima rerum, certamen movistis, opes\").", "labels": [[0, 5, "PER"], [72, 91, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in quali modi il possesso delle ricchezze sia dannoso verrà detto nel capitolo XIII di questo trattato, a partire dal paragrafo 10. La partizione trimembre dell'imperfezione delle ricchezze ricorda, anche nello stile e nelle clausole (indiscreto loro ... pericoloso loro ... dannosa loro\" \"avvenimento ...accrescimento ... possessione\") gli schemi di distribuzione della materia usati nella predica tipica degli ordini mendicanti (il sermo modernus). Su alcuni aspetti del rapporto tra lo stile di Dante e quello della predicazione a lui coeva cfr. Delcorno 1993.", "labels": [[499, 504, "PER"], [550, 558, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nell' Etica aristotelica l'aspetto distributivo della giustizia è quello per cui i beni materiali (ricchezze) e quelli immateriali (onori) dovrebbero essere ripartiti in proporzione ai meriti degli individui (cfr. Eth. Nic. V 2, 1130 b 30 sgg.) Si tratta di una virtù politica, che riguarda i rapporti tra cittadini ed ha come oggetto i beni comuni. Qui invece si parla di acquisizione di ricchezze private e la giustizia distributiva si trasforma da regola applicabile a un modello ideale irraggiungibile: generalmente la distribuzione delle ricchezze non segue la regola, ma avviene con assoluta ingiustizia (con tutta iniquitade\" ), e l'ingiustizia è l'effetto più caratteristico (\"propio\") della imperfezione.", "labels": [[6, 24, "WORK_OF_ART"], [214, 217, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta in realtà del Commento di Tommaso al passo del secondo libro della Fisica aristotelica (II 5, 197 a 5-9) che tratta del caso e della fortuna Quanto aliquid magis subiacet intellectui, tanto minus subiacet fortunae\" (II, lectio 8, n. 216). La dipendenza letterale è tanto più evidente in quanto dal contesto ci aspetteremmo piuttosto un 'meno è sottoposto all'intelletto, più è sottoposto alla fortuna'. Ma vedi anche le Auctoritates Aristotelis libri de bona fortuna (p. 249, n.2) \"Ubi plurimus intellectus et ratio, ibi quandoque minima est fortuna\".", "labels": [[24, 32, "WORK_OF_ART"], [36, 43, "PER"], [77, 96, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "i commentatori rimandano sia Guirault de Borneil (E si 'l paire fo lausatz / e'l filhs se fai malvatz /sembla m tort e pechatz / c'aia las eretatz\": se il padre fu degno di lode e il figlio è diventato malvagio, mi sembra torto e peccato che egli abbia l'eredità) che al meno conosciuto Cadenet, che però presenta un testo più vicino alla citazione dantesca (\" Qui non ereita lo sen e 'l saber / tenh que neys eretar degra l'aver\": chi non eredita il senno e il sapere, credo che non debba ereditare nemmeno gli averi).", "labels": [[29, 48, "WORK_OF_ART"], [287, 294, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "procuratevi degli amici attraverso il denaro ingiustamente accumulato' (Dante traduce alla lettera Lc 16, 9 Facite vobis amicos de mammona iniquitatis\").", "labels": [[72, 77, "PER"], [99, 101, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "tutti quelli che saranno raggiunti dalla fama del dono'. Le ricchezze possono dunque riscattare il peccato originale insito nei modi della loro accumulazione solo se sono liberalmente distribuite. E solamente Dante poteva trovare un pressante invito alla virtù della liberalità nella parabola del fattore disonesto che froda due volte il padrone, prima arricchendosi illecitamente sulla gestione e poi condonando ai debitori parte del dovuto perché lo aiutino dopo l'inevitabile licenziamento (cfr. Lc 16, 1-9)", "labels": [[209, 214, "PER"], [499, 501, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Alessandro Magno. La liberalità di Alessandro Magno era un topos diffuso nella cultura medievale che, oltre ai testi di Guittone e di Rambaut de Vaqueiras citati dall'Ortis (cfr. Ortis 1925) si riflette, ad esempio, nella dedica del Tesoretto di Brunetto Latini Che tutta la sembianza d'Alessandro tenete, / ché per neente avete / terra, oro ed argento\" vv. 28-31, p. 176. Cfr. Toynbee, pp. 144-5.", "labels": [[0, 16, "PER"], [35, 51, "PER"], [120, 128, "PER"], [134, 154, "PER"], [179, 184, "WORK_OF_ART"], [233, 242, "WORK_OF_ART"], [246, 261, "PER"], [287, 297, "PER"]]} +{"text": "il valoroso re di Castiglia. L'attributo buono\" ha indotto i commentatori ad identificare questo re con Alfonso VIII (1155-1214) che in molti testi trobadorici viene appunto presentato come 'lo bon rei Amfos'. Questo vale anche per il conte di Tolosa. Bisogna però osservare che nel testo dantesco il termine non sempre ha un valore distintivo poiché è usato anche per un Marchese di Monferrato che non ebbe mai questo appellativo (cfr. Toynbee, p. 147).", "labels": [[104, 116, "PER"], [372, 394, "WORK_OF_ART"], [437, 444, "PER"]]} +{"text": "si tratta di Bonifacio II (1150-1207) che fu uno dei capi della IV Crociata conclusasi con la presa di Costantinopoli (1204) e la creazione dell'Impero latino di Oriente (Bonifacio ebbe il regno di Tessalonica). I trovatori provenzali a lui contemporanei esaltarono l'ospitalità generosa della sua corte (Rambaut de Vaqueiras lo elogia paragonandolo proprio ad Alessandro Magno).", "labels": [[13, 25, "PER"], [64, 75, "WORK_OF_ART"], [94, 117, "WORK_OF_ART"], [145, 158, "WORK_OF_ART"], [171, 180, "PER"], [305, 325, "PER"], [361, 377, "PER"]]} +{"text": "Dante traduce alla lettera i vv. 27- 30 del quinto metro del secondo libro: \"Heu, primus qui fuit ille / auri qui pondera tecti / gemmasque latere volentes / pretiosa pericula fodit?\" (p. 46).", "labels": [[0, 5, "PER"]]} +{"text": "Marco Tullio Cicerone nei Paradoxa Stoicorum.", "labels": [[0, 21, "PER"], [26, 44, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante traduce anche qui alla lettera il testo latino di Cicerone (cfr. Paradoxa 6: Numquam mehercule ego neque pecunias istorum neque tecta magnifica neque opes neque imperia neque eas quibus maxime adstricti sunt voluptates, in bonis rebus aut expetendis esse duxi, quippe cum viderem rebus his circumfluentes, eas tamen desiderare maxime quibus abundarent. Neque enim unquam expletur nec satiatur cupiditas sitis, neque solum ea qui habent libidine augendi cruciantur, sed etiam amittendi metu\". Nel testo da lui usato Dante leggeva \"dixi\" al posto di \"duxi\" e \"quae habent\" al posto di \"qui habent\").", "labels": [[0, 5, "PER"], [56, 64, "PER"], [71, 79, "PER"], [521, 526, "PER"]]} +{"text": "in questo caso si tratta non di una traduzione letterale, ma di una abbreviazione dei vv. 1-8 del metro II del secondo libro del De consolatione philosophiae Si quantas rapidis flatibus incitus / pontus versat harenas / aut quot stelliferis edita noctibus / caelo sidera fulgent / tantas fundat opes, nec retrahat manum / pleno Copia cornu / humanum miseras haud ideo genus / cesset flere querelas\" (ed. Moreschini, p. 33) Il genitivo \"della ricchezza\" deve essere letto come un genitivo partitivo riferito a \"ricchezze\" (elargisca di ricchezze) e non di specificazione riferito a \"dea\", altrimenti verrebbe meno il paragone presente nel testo di Boezio: la dea (con questo termine generico Dante traduce il nome specifico della divinità: Copia) non elargisce né sabbie né stelle (la cosa non avrebbe senso), ma ricchezze quante sono le sabbie e le stelle. E' dunque meglio aggiungere una virgola dopo \"la dea\".", "labels": [[98, 106, "WORK_OF_ART"], [129, 157, "WORK_OF_ART"], [328, 339, "PER"], [647, 653, "PER"], [691, 696, "PER"], [739, 744, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per la condanna della ricchezza nei libri biblici comunemente attribuiti a Salomone cfr. ad esempio Prv 11, 4, 28; Eccli 5, 10; Sap 5, 8 sgg. Il padre di Salomone è ovviamente David ed il riferimento può essere a Ps. 36, 16; 51, 7; 61, 10", "labels": [[75, 83, "WORK_OF_ART"], [100, 103, "WORK_OF_ART"], [154, 162, "WORK_OF_ART"], [176, 181, "PER"], [213, 215, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "soprattutto nelle lettere a Lucilio (Lucillus è la forma comune al latino medievale). Le Epistulae ad Lucilium conobbero, nel Tardo Medioevo, un'ampia diffusione e, come abbiamo visto, furono spesso utilizzate nell'ambiente della Facoltà delle Arti per esaltare la vita filosofica. Il rimando di Dante alle Lettere è generico (sono stati proposti diversi passi di riferimento), ed ancor più generico è l'accenno ad altre opere di Seneca diverse dalle Epistulae in cui si condannerebbero le ricchezze.", "labels": [[28, 35, "WORK_OF_ART"], [37, 45, "WORK_OF_ART"], [126, 140, "WORK_OF_ART"], [230, 248, "WORK_OF_ART"], [296, 301, "PER"], [307, 325, "WORK_OF_ART"], [430, 436, "PER"], [451, 460, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nuovo accenno generico. Con tutta probabilità Dante si serve del Trésor, che riporta i giudizi di Orazio e di Giovenale sulle ricchezze (II CXVIII 3 sgg., pp. 600-602).", "labels": [[46, 51, "PER"], [65, 71, "PER"], [98, 104, "PER"], [110, 119, "PER"]]} +{"text": "la Sacra Scrittura la quale, ispirata da Dio, non può che affermare la verità'. A testi della Scrittura (Salmi, Proverbi etc.) Dante era già ricorso poche righe prima. Altre condanne della ricchezza possono essere comunque trovate nel Nuovo Testamento: cfr. Lc 6, 24; Jac 5, 1 sgg.", "labels": [[3, 18, "WORK_OF_ART"], [127, 132, "PER"], [235, 251, "WORK_OF_ART"], [258, 260, "WORK_OF_ART"], [268, 271, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come viene spiegato immediatamente dopo si tratta del Diritto Canonico e del Diritto Civile che, come abbiamo visto comprendeva i volumi delle Istitutiones, del Digestum, del Codex e delle Novellae", "labels": [[54, 70, "WORK_OF_ART"], [77, 91, "WORK_OF_ART"], [143, 155, "WORK_OF_ART"], [161, 169, "WORK_OF_ART"], [175, 180, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'se si leggono i proemi, in cui viene esposto in qualche modo lo scopo dell'opera'. Il Corpus iuris canonici, al tempo di Dante, era costituito dal Decretum, o Concordantia discordantium canonum, opera in cui il monaco bolognese Graziano (ca. 1140) aveva riunito gran parte della giurisprudenza anteriore, e dalle Decretales, pubblicate da Gregorio IX nel 1234 che raccoglievano i pronunciamenti papali posteriori. Dante si riferisce al prologo di queste ultime dove si parla appunto della effrenata cupiditas, mater litium\" che deve esser tenuta a freno dalla forza della giustizia, mentre nel prologo al Digestum, solitamente citato dai commentatori, si parla solo del compito, proprio dei giudici e dei giuristi, di distinguere il giusto dall'ingiusto e di prevenire e punire la violenza e i danni inferti alle persone", "labels": [[122, 127, "PER"], [148, 156, "WORK_OF_ART"], [160, 194, "WORK_OF_ART"], [229, 237, "PER"], [314, 324, "PER"], [340, 351, "PER"], [415, 420, "PER"], [606, 614, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "qualcuno che solo per ostinazione cerca di argomentare contro una verità che dovrebbe risultare anche a lui inoppugnabile'. Questo senso della costellazione di termini: calunniatore, calunnia, calunniare è stato fatto risalire al linguaggio giuridico. In realtà esso era anche in uso in quello filosofico universitario (un esempio per tutti nel Commento di Tommaso alla Fisica, VIII, lectio 12, 1076. Vedi Cv IV xiii 6; xv 9; xxiv 16).", "labels": [[345, 353, "WORK_OF_ART"], [357, 376, "PER"], [406, 408, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il detto si trova non in Seneca, ma messo da Pomponio sulle labbra del giurista Giuliano, che a sua volta lo attribuisce ad un anonimo graco, nel Digesto (XL, 5, 20). Esso, però, circolava anche avulso dal suo contesto strettamente giuridico; cfr. Bartolomeo di San Concordio, Ammaestramenti degli antichi (dist. ix, cap. 1, p. 161) Nel Digesto libro quarantesimo dice Pomponio così: io per l'amore di imparare ... tengo in memoria questa sentenzia la quale si conta che disse Giuliano: s'io avessi nel sepolcro già l'uno piè, ancora vorrei imparare\". L'attribuzione del detto a Seneca è peraltro presente in alcune delle introduzioni parigine alla Filosofia (cfr. Lafleur 1995, p. 200).", "labels": [[25, 31, "PER"], [45, 53, "PER"], [80, 88, "PER"], [146, 153, "WORK_OF_ART"], [248, 258, "PER"], [262, 275, "WORK_OF_ART"], [277, 305, "WORK_OF_ART"], [337, 363, "WORK_OF_ART"], [369, 377, "PER"], [477, 485, "PER"], [579, 585, "PER"], [665, 672, "PER"]]} +{"text": "i brani del sesto libro dell' Etica Nicomachea citati a questo proposito dai commentatori hanno solo una parentela dottrinale molto larga con le parole di Dante e nessuna corrispondenza terminologica. Più vicina al testo del Convivio è l'affermazione di Tommaso nel suo commento agli Analitici Posteriori, riportata nella edizione Brambilla Ageno scire aliquid est perfecte cognoscere ipsum\" (I, lectio 4, n. 32).", "labels": [[30, 46, "WORK_OF_ART"], [155, 160, "PER"], [225, 233, "WORK_OF_ART"], [254, 261, "PER"], [284, 304, "WORK_OF_ART"], [331, 340, "PER"]]} +{"text": "che le cose tutte tendano a ricongiungersi col principio che le ha prodotte è un tema neoplatonico presente anche in Tommaso (cfr. In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio I, lectio I, n. 4: Unicuique rei desiderabile est ut suo principio coniungatur\").", "labels": [[117, 124, "PER"]]} +{"text": "cfr. Gn. 1, 26 Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram\". L'identificazione dell'uomo con la sua anima razionale ed immortale per quanto riguarda la somiglianza divina era dottrina divenuta comune almeno a partire da Origene e, in Occidente, da Ambrogio.", "labels": [[15, 31, "WORK_OF_ART"], [230, 237, "PER"], [258, 266, "PER"]]} +{"text": "a Dio. Cfr. la Summa contra Gentiles II, cap. 87, n. 1719 Finis animae humanae et ultima perfectio eius est quod per cognitionem et amorem transcendat totum ordinem creaturarum et pertingat ad primum principium quod Deus est\".", "labels": [[15, 27, "WORK_OF_ART"], [58, 63, "LOC"]]} +{"text": "quanti e quali siano i principi che danno ragione del mutamento, realtà costitutiva delle realtà naturali, è problema cui è dedicato tutto il primo libro della Fisica di Aristotele. Per esemplificare meglio quanto detto prima Dante divide l'indagine in due parti: quella che si limita al chiedersi se vi sono i principi e quanti sono, l'altra che va oltre e si chiede quale sia la loro natura (che cosa e com'è ciascuno di questi principii\"): il desiderio di sapere che motivava la prima questione è pienamemte appagato (\"è compiuto e terminato\") appena (\"incontanente\") l'indagine è terminata; se poi in me nasce il desiderio di sapere il che cosa ed il come, si tratta di un desiderio nuovo; il suo insorgere (\"il suo avenimento\") e la sua soddisfazione non tolgono nulla alla perfezione collegata alla soddisfazione del desiderio precedente (\"non mi si toglie la perfezione alla quale mi condusse l'altro\"), anzi la aumentano. Questo tipo di aumento (\"questo cotale dilatare\") in cui si sommano perfezioni distinte non è causa (\"cagione\") di imperfezione, ma di perfezione maggiore. Viceversa l' aumento del desiderio di ricchezze ad ogni aumento di ricchezza è davvero (\"veramente\") un crescere in senso proprio: rimane uno solo, continuo e costante (\"è sempre pur uno\"), senza che vi si possa vedere una successione di momenti distinti (\"sì che nulla successione quivi si vede\"), senza nessun limite (\"per nullo termine\") e nessun compimento definitivo (\"per nulla perfezione\").", "labels": [[160, 166, "WORK_OF_ART"], [170, 180, "PER"], [226, 231, "PER"]]} +{"text": "sa che Averroè nel commento al De anima vuol dire proprio questo'. I passi cui rimandano i commentatori, e cioè il testo commento 36 del terzo libro (pp. 494-95) usato da Busnelli e da Imbach, ed il testo commento 5 sempre del terzo libro (p. 408) usato dal Nardi (cfr Nardi, 1985, p. 161), non sembrano centrati. Il secondo contiene infatti l'affermazione che la filosofia è sempre stata coltivata in una qualche parte del mondo abitato, e dunque è eterna come il mondo è eterno (una dottrina tipica di Averroè, ma nel nostro caso inafferente) mentre il primo parla sì di limiti nella conoscenza di Dio e delle sostanze separate, ma solo per negare che essi dipendano da una diminutio nostrae naturae naturaliter\" (quindi l'esatto contrario di quel che sostiene Dante). Bisogna semmai notare come Dante più che citare un passo preciso di Averroè, rimandi ad una interpretazione della sua dottrina capace di intenderne il senso più profondo (\"E chi intende ...questo intende\"). Sembra dunque che Busnelli abbia qualche buon motivo quando attira l'attenzione sul Commento di Tommaso al De Trinitate di Boezio: qui l'Aquinate utilizza proprio il brano del testo commento 36 di Averroè per sostenere la limitatezza della conoscenza umana su questa terra e dopo aver concluso che non ci è data la conoscenza dell'essenza delle sostanze separate, ma solo della loro esistenza, termina quasi con la stessa espressione di Dante \"et haec est etiam sententia Commentatoris in III De anima\" (q.6, a.4) Resta da osservare a) che questa interpretazione va contro l'ovvio senso del testo di Averroè. b) che nel pensiero di Tommaso il \"certo limite\" non si collega ad un appagamento naturale e dunque senza residui del desiderio di conoscere, ma, al contrario, è fonte di una insoddisfazione che rimanda alla rivelazione divina: l'opposto, cioè, di quello che sostiene Dante.", "labels": [[7, 14, "PER"], [31, 39, "WORK_OF_ART"], [171, 179, "PER"], [185, 191, "PER"], [258, 263, "PER"], [269, 274, "PER"], [504, 511, "PER"], [763, 768, "PER"], [798, 803, "PER"], [839, 846, "PER"], [996, 1004, "PER"], [1062, 1070, "WORK_OF_ART"], [1074, 1081, "PER"], [1085, 1107, "WORK_OF_ART"], [1115, 1123, "PER"], [1175, 1182, "PER"], [1415, 1420, "PER"], [1471, 1479, "WORK_OF_ART"], [1578, 1585, "PER"], [1610, 1617, "PER"], [1855, 1860, "PER"]]} +{"text": "in realtà ad essere citato non è il testo di Aristotele, ma la Summa contra Gentiles di Tommaso I, cap. 5, n. 35. Qui l'Aquinate, elencando i motivi che rendono utile lo studio della teologia, e citando Eth. Nic. X 7, 1177 b 31-34, individua appunto in Simonide il sostenitore della tesi, respinta da Aristotele, per cui l'uomo, mortale, deve occuparsi di cose mortali, e utilizza espressioni di cui il testo del Convivio risulta un vero e proprio calco Apparet etiam alia utilitas ex dictis Philosophi in decimo Ethicorum. Quum enim Simonides cuidam homini praetermittendam divinam cognitionem persuaderet ... oportere inquiens humana sapere hominem et mortalia mortalem, contra eum Philosophus dicit quod homo debet se ad immortalia et divina trahere quantum potest\" (\"l' uomo si dee trarre alle cose divine quanto può\"). La qualifica di \"poeta\" data a Simonide e non presente nel testo della Summa, implica anche la conoscenza del Commento di Tommaso al passo dell'Etica Nicomachea sopra citato (X, lectio 11, 2107), e tutto l'insieme è un esempio ulteriore di un uso a bricolage delle fonti da parte di Dante (cfr. Moore, p. 105).", "labels": [[45, 55, "PER"], [63, 84, "WORK_OF_ART"], [88, 97, "PER"], [120, 128, "PER"], [203, 206, "WORK_OF_ART"], [253, 287, "WORK_OF_ART"], [301, 311, "PER"], [413, 421, "WORK_OF_ART"], [454, 481, "WORK_OF_ART"], [513, 522, "WORK_OF_ART"], [534, 543, "WORK_OF_ART"], [684, 695, "PER"], [855, 863, "PER"], [895, 900, "PER"], [934, 942, "WORK_OF_ART"], [946, 953, "PER"], [968, 984, "WORK_OF_ART"], [1107, 1112, "PER"], [1119, 1124, "PER"]]} +{"text": "Dante segue qui, con qualche semplificazione, la traduzione latina di Eth Nic. I, 1, 1094 b 23-25 Disciplinati enim est in tantum certitudinem inquirere secundum unumquodque genus in quantum natura rei recipit\" (Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 143, ll. 8-9). Come spiega il commento di Tommaso, il termine \"disciplinatus\" vale \"bene instructus\", cioè intellettualmente preparato.", "labels": [[0, 5, "PER"], [70, 77, "WORK_OF_ART"], [212, 234, "WORK_OF_ART"], [295, 302, "PER"]]} +{"text": "in quel grado di certezza che è possibile ottenere dalla loro natura' (e che è diverso da oggetto a oggetto; come dirà immediatamente dopo il testo di Eth. Nic., I, 1, 1094 b 25-27, la materia morale non può aspirare alla certezza posseduta dagli enti matematici).", "labels": [[151, 154, "PER"]]} +{"text": "cfr. Rm 12, 3 Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem\" dove però l'affermazione si trova in un contesto del tutto differente (Paolo richiama i fedeli della comunità romana ad esercitare con modestia ognuno il proprio particolare carisma senza prevaricare sugli altri).", "labels": [[149, 154, "PER"]]} +{"text": "l'aforisma si trova sia nel De consolatione philosophiae di Boezio (II, prosa 5, 34, p. 54) sia nella fonte di Boezio, cioè nella Satira decima di Giovenale, un autore conosciuto da Dante. Nel confronto testuale se l'uso della terza persona farebbe pensare a Giovenale (cantabit vacuus coram latrones viator\" X, 22) i due condizionali \"entrasse\", \"canterebbe\" e sopratutto la menzione della \"via\" fanno propendere per Boezio (\"Si vitae huius callem vacuus viator intrasses, coram latrones cantares\"). Rimane aperto il problema del perché Dante che pure conosce sia Boezio che Giovenale metta il detto in bocca ad un anonimo Savio. Anche un testo come Gli Ammaestramenti degli Antichi di Bartolomeo da San Concordio lo attribuisce nominativamente ai due autori nel cap. 3 (De' mali de' ricchi temporalmente) della Distinzione xxxviii, p. 539. Cfr. Moore, pp. 257-8. I testi di Boezio e di Giovenale erano già stati citati, in un contesto di critica alle ricchezze, nella Commendatio Philosophie di un anonimo magister parigino della prima metà del '200 (cfr. Lafleur 1995, p. 369).", "labels": [[28, 56, "WORK_OF_ART"], [60, 66, "PER"], [111, 117, "PER"], [130, 143, "WORK_OF_ART"], [147, 156, "PER"], [182, 187, "PER"], [259, 268, "PER"], [418, 424, "PER"], [538, 543, "PER"], [565, 571, "PER"], [576, 585, "PER"], [687, 697, "PER"], [701, 714, "PER"], [772, 805, "WORK_OF_ART"], [813, 832, "WORK_OF_ART"], [847, 852, "PER"], [876, 882, "PER"], [888, 897, "PER"], [970, 993, "WORK_OF_ART"], [1058, 1065, "PER"]]} +{"text": "si tratta del quinto libro della Farsaglia. I versi citati (527-531) fungono da commento all'episodio del povero pescatore, Amiclate, non turbato da Cesare che gli bussa alla porta O vitae tuta facultas / pauperis angustique Lares, o munera nondum / intellecta Deum! Quibus hoc contingere templis / aut potuit muris nullo trepidare tumultu / caesarea pulsante manu\". Nella sua traduzione Dante si prende qualche libertà ampliando Lares in \"abitaculi\" (\"stretti abitaculi\" equivale a angusti tuguri ) e \"masserizie\" (cioè le supellettili di arredo) e interpretando munera non come doni, ma come ricchezza.", "labels": [[33, 42, "WORK_OF_ART"], [149, 155, "PER"], [225, 230, "PER"], [388, 393, "PER"], [430, 435, "PER"]]} +{"text": "cfr. De consolatione Philosophiae II, prosa 5, 4, pp. 41-42 Siquidem avaritia semper odiosos ... facit\".", "labels": []} +{"text": "'splendenti'. Dante torna a citare il testo di Boezio \"claros largitas facit\".", "labels": [[14, 19, "PER"], [47, 53, "PER"]]} +{"text": "cfr. De consolatione Philosophiae p. 42 Tunc est pretiosa pecunia cum translata in alios largiendi usu, desinit possideri\".", "labels": []} +{"text": "trasferita agli altri attraverso l'esercizio della liberalità'. L'equivalenza semantica tra liberalitas e largitas era già stata notata da Tommaso d' Aquino (Summa Theologiae, IIa IIae, q.117, a.2, respondeo).", "labels": [[139, 156, "PER"], [158, 174, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "a loro maggiore vergogna e umiliazione'. Questo senso del verbo confondere\" ha ascendenze bibliche. Vedi ad esempio Ps. 24, 4 \"Confundantur omnes iniqua agentes\".", "labels": [[116, 118, "WORK_OF_ART"], [127, 160, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "per l'applicazione di termini valutativi come nobile e virtuoso a realtà diverse da quella umana cfr. Cv I v 11. Come dice un commentatore della Politica aristotelica, Nicola di Vaudemont, res dicitur nobilis quando bene disposita est ad finem ad quem facta est\", e l'uomo non esaurisce certo l'insieme delle cose. \"Nobili\" saranno dunque quel cavallo e quel falcone che compiono perfettamente ciò a cui la loro natura li destina (correre, cacciare) e vili quelli che ciò non fanno o fanno male (cfr. Cv IV xi 2; xvi 4). Qui Dante rimanda specificamente ad un uso linguistico particolare che applica l'aggettivo ad animali (o a cose) presenti più degli altri nella vita quotidiana degli uomini. Significativo a questo riguardo mi sembra il Liber de nobilitate dove ci si chiede \"utrum nobilitas inveniatur in aliis rebus sicut in avibus, equis et canibus, quia hoc etiam tenere videtur communis opinio\" e si risponde positivamente esaminando entrambi i modi di attribuzione della nobiltà: \"Dicendum ... quod nobilitas in aliis animalibus ab homine notatur dupliciter, scilicet generaliter et absolute, aut particulariter et in relacione ad aliquid. Primo modo dicitur animal nobile vel generosum, ut dicit Philosophus in primo De animalibus, quod perfecte facit quod pertinet ad opus suum. Unde individua alicuius generis animalium que ita operantur quod non dimittunt opus proprium sui generis dicuntur generosa animalia vel nobilia, quecumque fuerint illa ... In relacione ad hominem sicut aves quedam et canes que ordinantur ad aliquam recreationem ... nobilium dominorum\" (pp. 71-2). Quanto alle pietre preziose (\"margherite\") la valutazione si baserà sul grado della loro purezza.", "labels": [[102, 104, "WORK_OF_ART"], [145, 166, "WORK_OF_ART"], [168, 187, "PER"], [501, 503, "WORK_OF_ART"], [525, 530, "PER"], [740, 759, "WORK_OF_ART"], [1206, 1217, "PER"], [1227, 1240, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "perché questa è una favola di cui non ci si deve curare quando si discute secondo i principi e il metodo della filosofia'. Già Aristotele, in un contesto polemico, presentava il discorso della filosofia come profondamente diverso da quello dei mitologi\" (cfr. ad esempio Metaph. III, 4, 1000 a 9-19); molti dei pensatori del Basso Medioevo avrebbero accentuato il contrasto escludendo che, tranne in casi particolari, metafore e racconti potessero essere utilizzati come argomenti nel dibattito filosofico. Assumendo in questo le stesse posizioni di Tommaso d'Aquino o di Sigieri di Brabante Dante sottolinea in modo evidente il carattere strettamente scientifico di questo quarto trattato che, appunto, ha abbandonato del tutto l'allegoria, sia nella scrittura poetica che nella sua esegesi. Nel caso specifico poi, la possibilità stessa di utilizzare il modello teorizzato nel primo capitolo del secondo trattato sembra rifiutata in assoluto: come viene detto immediatamente dopo, quel che la favola \"cuopre\" non è una verità filosofica, ma un fatto storico imbarazzante.", "labels": [[127, 137, "PER"], [271, 277, "WORK_OF_ART"], [550, 566, "PER"], [572, 579, "PER"], [592, 597, "PER"]]} +{"text": "annullando ogni distinzione tra nobiltà e ignobiltà, si annullano i concetti stessi: se tutti sono nobili nessuno è nobile e se tutti sono ignobili nessuno è ignobile. Il testo del Convivio presenta un forte parallelo, segnalato da Maria Corti (Corti 1959, pp. 65-66) con il brano della Summa di Guglielmo Peraldo in cui si confuta appunto la teoria per cui la nobiltà si trasmetterebbe di padre in figlio (... omnes sumus ex eodem patre et eadem matre ... Unde si aliquis ex hoc solo nobilis est quia ex nobili patre aut nobili matre, aut omnes erimus nobiles aut omnes ignobiles, quia aut parentes primi fuerunt nobiles aut ignobiles. Si ipsi fuerunt nobiles, ergo et nos omnes nobiles sumus ... si vero ignobiles fuerunt, ergo et nos omnes ignobiles sumus\").", "labels": [[181, 189, "WORK_OF_ART"], [232, 243, "PER"], [245, 250, "PER"], [287, 292, "WORK_OF_ART"], [296, 313, "PER"]]} +{"text": "la religione ... dei pagani'. Il termine principio\" ha qui un duplice significato: esso indica i due eventuali capostipiti storici dell'umanità, i due possibili Adami (uno nobile e l'altro ignobile) ma anche anche una eventuale dualità di forme specifiche (cioè di principi strutturali). Nel primo caso si va contro quanto detto dalla Scrittura e dalle credenze del paganesimo (che Dante vedrà rappresentate nel racconto della nascita del mondo e dell'uomo che apre le Metamorfosi di Ovidio), nel secondo contro principi basilari della filosofia incarnata dai suoi due massimi rappresentanti: Platone ed Aristotele.", "labels": [[335, 344, "WORK_OF_ART"], [382, 387, "PER"], [484, 490, "PER"], [593, 600, "PER"], [604, 614, "PER"]]} +{"text": "non sostenga che la catena delle generazioni ha avuto inizio da un primo uomo'. Si tratta forse di una interpretazione moderata della dottrina sostenuta da Aristotele, e cioè che le specie viventi sono eterne e da sempre un uomo ha generato un altro uomo (cfr. De an. II, 4, 415 a 26 - b 7). Dante, infatti, sembra dire che nel pensiero dello Stagirita un progenitore iniziale semplicemente non compare, non che la sua esistenza debba essere negata in base ai principi della scienza fisica come avevano affermato alcuni magistri artium parigini della seconda metà del '200 (valga per tutti Boezio di Dacia ed il suo De aeternitate mundi). Molte volte, in settori della cultura medievale, un ovvio silenzio dello Stagirita relativamente a dottrine cristiane oggettivamente in contrasto con la sua filosofia è stato interpretato 'in bonam partem' come una cosciente autolimitazione.", "labels": [[156, 166, "PER"], [261, 266, "WORK_OF_ART"], [292, 297, "PER"], [343, 352, "PER"], [590, 605, "PER"], [616, 636, "WORK_OF_ART"], [712, 721, "PER"]]} +{"text": "che gli uomini sono accomunati da un'unica essenza' (in questo breve aforisma Dante riassume, o probabilmente ha trovato già riassunto, il testo di Metaph. VII, 7, 1032 a 15 sgg.).", "labels": [[78, 83, "PER"], [148, 154, "PER"]]} +{"text": "i testi aristotelici con relativa esposizione di Tommaso citati dai commentatori, e ripresi ed accresciuti nell'edizione Ageno, come fonte per Dante della dottrina platonica non sembrano del tutto afferenti; contengono infatti le critiche dello Stagirita alla teoria delle Idee (cfr. Metaph. I, 9, 990 b 1 sgg; Eth. Nic. I, 4, 1096 a 34 - b 2). Un riassunto della dottrina di Platone in termini più vicini a quelli del Convivio è piuttosto nel De dogmate Platonis di Apuleio (ideas vero, id est formas omnium simplices et aeternas esse nec corporales: esse tamen ... exempla rerum que sunt eruntve nec posse amplius quam singularum specierum singulas imagines in exemplaribus inveniri\" I, 6, p. 87)..", "labels": [[49, 56, "PER"], [143, 148, "PER"], [245, 254, "PER"], [284, 290, "WORK_OF_ART"], [311, 314, "WORK_OF_ART"], [376, 383, "PER"], [419, 427, "WORK_OF_ART"], [444, 463, "WORK_OF_ART"], [467, 474, "PER"]]} +{"text": "cfr. Ecl 3, 21 Quis novit si spiritus filiorum Adam ascendat sursum, et si spiritus iumentorum descendat deorsum?\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Metamorfosi I 78-83 Natus homo est: sive hunc divino semine fecit / ille opifex rerum ... / sive recens tellus seductaque nuper ab alto / aethere cognati retinebat semina caeli: / quam satus Iapeto mixta pluvialibus aquis / finxit in effigiem moderantum cuncta deorum\". Dante traduce abbastanza letteralmente (il \"mista con l'acqua del fiume\" si spiega con il fatto che egli leggeva nel suo testo 'fluvialibus' al posto di 'pluvialibus'); sente però il bisogno di rendere il termine aether con una espressione più tecnica (corpo più nobile degli altri, perché sottile e trasparente) e di spiegare che il figlio (satus) di Giapeto è Prometeo).", "labels": [[5, 16, "WORK_OF_ART"], [275, 280, "PER"], [627, 634, "PER"], [637, 645, "PER"]]} +{"text": "nel terzo libro del De anima, qui probabilmente citato attraverso il commento di Tommaso all' Etica Nicomachea (VI, lectio 5, 1179) In tertio de Anima dicitur quod obiectum proprium intellectus est quod quid est\".", "labels": [[20, 28, "WORK_OF_ART"], [81, 88, "PER"], [94, 110, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel primo libro del De Officiis. Cfr. De officiis I, 6, 18 Omnes ... trahimur ...ad cognitionis et scientiae cupiditatem ... In hoc genere et naturali et honesto duo vitia vitanda sunt: unum ne incognita pro cognitis habeamus iisque temere adsentiamur ...\".", "labels": [[20, 31, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Summa contra Gentiles I, cap. 5, n. 31 Sunt enim quidam tantum de suo ingenio praesumentes ut totam naturam divinam se reputent suo intellectu posse metiri, aestimantes scilicet totum esse verum quod eis videtur et falsum quod eis non videtur\". Per adattare la citazione al suo scopo, nella traduzione Dante ha allargato il riferimento dalla specifica natura divina alla realtà nel suo complesso (\"tutte le cose\") ed ha sostituito ai 'quidam-qualcuno' i \"molti\".", "labels": [[5, 17, "WORK_OF_ART"], [307, 312, "PER"]]} +{"text": "cfr. Prv 29, 20 Vidisti hominem velocem ad loquendum? Stultitia magis speranda est quam illius correptio\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "affermando che sono incapaci di apprendere la filosofia morale'. Cfr. Eth. Nic. I, 4, 1095 b 4 sgg. dove Aristotele, dopo aver detto che chi vuole ascoltare con profitto l'insegnamento morale deve essere stato rettamente educato, così conclude citando Esiodo: Qui autem neque ipsemet intelligit neque alium audiens in animo ponit\" (\"mai per loro non cercano ... mai quello che altri dice non curano\") ... hic inutilis vir\".", "labels": [[105, 115, "PER"], [252, 258, "PER"]]} +{"text": "del tutto incapaci di ricevere ogni tipo di conoscenza'. Nonostante l'identità terminologica, questa pusillanimità naturale non è da identificarsi con il vizio analizzato da Aristotele nel quarto libro dell' Etica Nicomachea in contrapposizione alla virtù della magnanimità (cfr. soprattutto 1125 a 16-35). Il pusillanime aristotelico, infatti è chi si ritiene inferiore a quanto merita, con particolare riferimento agli onori, e se ha un difetto conoscitivo questo riguarda solo la conoscenza delle sue capacità relazionali. Ma nel commento al brano aristotelico in cui si afferma che i pusillanimi si astengono dalle azioni e dalle occupazioni belle (discedunt ab operationibus bonis et adinventionibus, ut indigni\") Tommaso (IV, lectio 11, n. 787) glossa il termine \"adinventio\" nella direzione che poi verrà presa da Dante \"Recedunt ab ... adinventionibus speculabilium veritatum, quasi indigni et insufficientes ad talia\".", "labels": [[174, 184, "PER"], [208, 224, "WORK_OF_ART"], [719, 726, "PER"], [821, 826, "PER"], [828, 883, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel primo libro della Fisica. I passi di Aristotele, di Averroè, di Tommaso e di Alberto citati dai commentatori esprimono sì il concetto (uno scienziato non deve perdere tempo a discutere con chi nega i principi costitutivi della sua scienza) ma sono letterariamente lontani dal testo del Convivio che invece, come ha ben visto Imbach, trova piena corrispondenza nelle Auctoritates Aristotelis (p. 140, n.6) Contra negantem principia non est disputandum\" formulazione ripresa alla lettera nella Quaestio de aqua et terra: \"cum contra negantem principia alicuius scientie non sit disputandum ... ut patet ex primo Physicorum\" (xi 21, p. 750). In ogni caso l'identificazione dei \"lievi di fantasia\" con i negatori dei principi è originale trovata di Dante.", "labels": [[22, 28, "WORK_OF_ART"], [41, 51, "PER"], [56, 63, "PER"], [68, 75, "PER"], [81, 88, "PER"], [290, 298, "WORK_OF_ART"], [329, 335, "LOC"], [370, 394, "LOC"], [496, 521, "WORK_OF_ART"], [614, 624, "WORK_OF_ART"], [749, 754, "PER"]]} +{"text": "cfr. Digesto XXVIII, 1, 2 In eo qui testatur, eius temporis quo testamentum facit, integritas mentis, non corporis sanitas exigenda est\". (Cfr. la nota a Cv IV ix 8 ).", "labels": [[5, 12, "WORK_OF_ART"], [154, 156, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante traduce alla lettera il versetto finale del salmo 62 Rex vero laetabitur in Deo; laudabuntur omnes qui iurant in eo, quia obstructum est os loquentium iniqua\".", "labels": [[0, 5, "PER"]]} +{"text": "cfr. Sap 6, 23 Diligite lumen sapientiae omnes qui praeestis populis\" (il testo era già stato citato in Cv IV vi 18)", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"], [104, 106, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "quale metodo si debba usare per'. Dante ha sicuramente presente la distinzione aristotelica tra definizione nominale, che parte appunto dal significato usuale del nome della cosa da definire (secondo la comune consuetudine di parlare\", come verrà precisato subito dopo) e definizione essenziale, che coglie le proprietà strutturali della cosa stessa (cfr. An Post II, 7, 92 b 26-28). Lo Stagirita considerava del tutto diversi i due tipi di definizione (cfr. ivi, 92 b 28-35); i medievali (e anche Dante) ritennero che la definizione nominale potesse essere un utile punto di partenza per arrivare a quella essenziale. Sulla definizione comunemente data della nobiltà come \"perfezione di propia natura in ciascuna cosa\" vedi . Beltrami 2000.", "labels": [[34, 39, "PER"], [356, 366, "WORK_OF_ART"], [387, 396, "PER"], [498, 503, "PER"]]} +{"text": "cfr. Ecl 10, 17 Beata terra cuius rex nobilis est\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Ecl 10, 16 Vae tibi terra, cuius rex puer est\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eth. Nic. I, 1, 1095 a 6-8 (e la nota a Cv I iv 3).", "labels": [[45, 47, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "questa etimologia (fattualmente errata) è presa dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (cfr. X controllare 184, vol. I, s. p.) .", "labels": [[54, 65, "WORK_OF_ART"], [69, 88, "PER"]]} +{"text": "Dante traduce fedelmente il testo aristotelico (unumquodque ... tum maxime perfectum est cum attingit propriae virtuti, et tunc est maxime secundum naturam\") rendendo con un doppio verbo (\"tocca e aggiugne\", cioè raggiunge) il termine \"attingit\". L' esempio del cerchio (\"circulo\") immediatamente seguente è ripreso dal medesimo passo di Aristotele (\"et circulus tunc maxime secundum naturam est, cum maxime circulus sit\". 266, ll. 13-16 Translatio Vetus, p. 266, ll. 13-16)", "labels": [[0, 5, "PER"], [338, 348, "PER"]]} +{"text": "già in Agostino (cfr. De quantitate animae XI 18-XII 19, pp. 152-154) la natura del cerchio dipende dal centro che è capace di far partecipare in egual misura alla sua potenza tutti i punti della circonferenza (che equalmente sua virtute parte per lo circulo\"). Anche Tommaso, quando vuole illustrare il modo con cui l'eternità è presente ad ogni istante del tempo prende ad esempio il centro del cerchio che coesiste simultaneamente ad ogni punto della circonferenza (cfr. Summa contra Gentiles, I, cap. 56, n. 548). Del resto, già nella Vita Nova, apparendo a Dante, Amore aveva usato il medesimo concetto \"Ego tamquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes; tu autem non sic\" (5,11)", "labels": [[7, 15, "PER"], [268, 275, "PER"], [474, 495, "WORK_OF_ART"], [539, 548, "WORK_OF_ART"], [562, 567, "PER"]]} +{"text": "cfr. Mt 7, 15-16 Attendite a falsis prophetis ... A fructibus eorum cognoscetis eos\".", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la partizione delle virtù in morali ed intellettuali è presente nelle ultime righe del primo libro dell' Etica Nicomachea (I, 13, 1103 a 3-10) al termine di una analisi delle diverse facoltà dell'anima cui esse corrispondono.", "labels": [[105, 121, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "con le parole usate da Aristotele nel secondo libro dell' Etica Nicomachea per definirla' (cfr. Eth. Nic. II, 6, 1106 b 36 Est virtus habitus electivus in medietate existens\" Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 404, l. 1).", "labels": [[23, 33, "PER"], [58, 74, "WORK_OF_ART"], [96, 99, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "le virtù elencate (nomate\") da Aristotele nel capitolo 7 del secondo libro dell' Etica Nicomachea II 7, 1107 a 28-1108 b 10) sono in realtà dieci (il pudore e l'indignazione, infatti, pur presenti alla fine della elencazione, non sono considerati da Aristotele come virtù in senso stretto). Dante aggiunge la giustizia così come aveva già fatto Tommaso nella Summa Theologiae (cfr. Ia- IIae, q. 60, a. 5, respondeo \"Sic igitur patet quod secundum Aristotelem sunt decem virtutes morales ... scilicet fortitudo, temperantia, liberalitas, magnificentia, magnanimitas, philotimia, mansuetudo, amicitia, veritas et eutrapelia ... Si igitur addatur iustitia, quae est circa operationes, erunt omnes undecim\"). La caratterizzazione delle singole virtù, ed anche il loro nome, non sempre corrispondono in pieno a quanto Dante poteva leggere nella traduzione latina del testo aristotelico (che, dopo l'elenco fornito nel secondo libro, presenta una particolareggiata analisi delle singole virtù dal cap. 6 del terzo a tutto il quarto libro, mentre alla giustizia viene riservato per intero il quinto ), ma presuppongono sia il Liber Ethicorum o Summa Alexandrinorum (per cui vedi la nota a Cv I x 10 ) sia il Commento di Tommaso all' Etica Nicomachea.", "labels": [[31, 41, "PER"], [81, 97, "WORK_OF_ART"], [250, 260, "PER"], [291, 296, "PER"], [345, 352, "PER"], [359, 375, "WORK_OF_ART"], [813, 818, "PER"], [1119, 1134, "WORK_OF_ART"], [1137, 1157, "WORK_OF_ART"], [1182, 1184, "WORK_OF_ART"], [1201, 1209, "WORK_OF_ART"], [1213, 1220, "PER"], [1226, 1242, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Liber Ethicorum Fortitudo medium est timiditatis et audacie\" (p. XLIX).", "labels": []} +{"text": "relativamente a ciò che può distruggere la nostra esistenza' (cfr. il Commento di Tommaso al secondo libro dell' Etica Nicomachea, lectio 8, n. 340 Primo loquitur de fortitudine, quae respicit pericula interimentia vitam\"). In effetti il coraggio è per Aristotele la capacità di rimanere saldi davanti al più terribile di tutti i mali: la morte (cfr. Eth. Nic. III, 6, 1115 a 24-35).", "labels": [[70, 78, "WORK_OF_ART"], [82, 89, "PER"], [113, 129, "WORK_OF_ART"], [148, 177, "WORK_OF_ART"], [253, 263, "PER"], [351, 354, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "la definizione della temperanza non corrisponde letteralmente a nessuno dei testi cui abbiamo accennato. Aristotele presenta la temperanza come una medietas tra un eccesso nel godimento dei piaceri del cibo e del sesso ed un eccesso nel loro rifiuto (soperchievole astinenza\"), che peraltro giudica rarissimo se non impossibile (cfr. Eth. Nic. III, 11, 1119 a 5-7). Stranamente Dante parla solo della gola (\"gulositade\") e non della lussuria.", "labels": [[105, 115, "PER"], [334, 337, "WORK_OF_ART"], [378, 383, "PER"]]} +{"text": "la notazione non si trova in Aristotele. Vedi. invece il commento di Tommaso (II, lectio 8, n. 340) Temperantia, quae respicit ea quae sunt utilia ad conservandam vitam\". Il cibo, in effetti, serve a mantenere in vita l'individuo, mentre il sesso perpetua la specie.", "labels": [[29, 39, "PER"], [69, 76, "PER"]]} +{"text": "nel testo aristotelico (II 7, 1107 b 8-10) la liberalità riguarda la 'datio' e la 'acceptio pecuniarum'. Le pecunie diventano più generalmente in Dante le cose temporali\", cioè i beni di questo mondo.", "labels": [[146, 151, "PER"]]} +{"text": "anche la magnificenza è una virtù che riguarda l'uso del denaro, relativa però allo spendere in grande. Cfr. il Commento di Tommaso al quarto libro dell' Etica Nicomachea (lectio 6, n. 708) Magnificentia ... est solum circa magnas expensas", "labels": [[112, 120, "WORK_OF_ART"], [124, 131, "PER"], [154, 170, "WORK_OF_ART"], [190, 203, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eth. Nic. II, 7, 1107 b 26.", "labels": []} +{"text": "per Aristotele, accanto alla virtù che riguarda i grandi onori ne esiste una relativa agli onori mediocri il cui possessore non ha un nome specifico, ma che potrebbe essere chiamato 'giustamente ambizioso'. Il termine greco philotimos nella traduzione latina era stato semplicemente traslitterato (philotimus); nel suo Commento Tommaso lo rende appunto con 'amator honoris' (cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, II, lectio 9, n. 346). La denominazione della philotimia come 'virtus amativa honoris' si trova nella tavola delle virtù del De regimine principum di Egidio Romano; cfr I ii 3 Quot sunt virtutes morales et quomodo eorum numerus est sumendus, p. 51.", "labels": [[4, 14, "PER"], [328, 335, "PER"], [396, 427, "WORK_OF_ART"], [554, 575, "WORK_OF_ART"], [579, 592, "PER"]]} +{"text": "che la mansuetudo sia il giusto mezzo tra un eccesso ed un difetto di ira Dante poteva leggerlo sia nell' Etica Nicomachea (II 7, 1108 a 4-6) che nel Commento di Tommaso (II, lectio 9, n. 349) che nel Trésor di Brunetto (II XXIV 1, p. 394).", "labels": [[74, 79, "PER"], [106, 122, "WORK_OF_ART"], [150, 158, "WORK_OF_ART"], [162, 169, "PER"], [201, 219, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. il Commento di Tommaso (II, lectio 9, n. 349) ponit virtutem quae respicit exteriora mala\" Il male che ci viene da fuori potrebbe essere identificato, in questo caso, con le offese ingiustamente inflitte a noi ed ai nostri consanguinei ed amici, contro cui si deve reagire, come dice Tommaso, \"repellendo iniurias\". Di questo, infatti parla la trattazione specifica della mansuetudo in Eth. Nic. IV 5, 1125 b 26-1126 b 10.", "labels": [[8, 16, "WORK_OF_ART"], [20, 27, "PER"], [289, 296, "PER"], [391, 394, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in realtà nella tavola aristotelica delle virtù si tratta della decima (anche se poi, nella trattazione più ampia del terzo e del quarto libro, risulta effettivamente ottava). Aristotele per definirla aveva usato il termine philia, nel senso di socievolezza (cfr. Eth. Nic. II 7, 1108 a 26-7) e con questo nome essa è presente nell'elenco della Summa Theologiae precedentemente citato. Nel più tardo commento all' Etica (II, lectio 9, n. 354) Tommaso introdurrà il termine affabilitas (ipsa medietas vocatur amicitia vel affabilitas\").", "labels": [[176, 186, "PER"], [264, 267, "WORK_OF_ART"], [345, 361, "WORK_OF_ART"], [414, 419, "WORK_OF_ART"], [443, 450, "PER"]]} +{"text": "si tratta, nella tavola, della ottava virtù, la sincerità, che è media tra la iattanza, cioè il presentarci migliori di quanto siamo (vantare noi oltre che siamo\") ed il suo contrario, l'ironia (\"lo diminuire noi oltre che siamo\"). Cfr. il commento di Tommaso a Eth. Nic. IV, 7, 1127 b 17-26, lectio 13, n. 835 \"Uno modo iactator simulat sibi inesse aliqua gloriosa quae non sunt ... alio modo quia dicit ea esse maiora quam sint\".", "labels": [[252, 259, "PER"], [262, 265, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta della nona virtù della tavola (cfr. Eth. Nic. II, 7, 1108 a 23-24) che riguarda la piacevolezza nei rapporti basati sullo scherzo amichevole e sul gioco. Sia la traduzione latina che il commento di Tommaso (e anche il Trésor) avevano semplicemente traslitterato il termine che quindi, anche in Dante, rimane un puro calco (il greco eutrapelia indica la capacità di essere spiritosi senza essere volgari).", "labels": [[46, 49, "WORK_OF_ART"], [208, 215, "PER"], [228, 234, "WORK_OF_ART"], [304, 309, "PER"]]} +{"text": "nelle attività ludiche' (cfr. il Commento di Tommaso, II, lectio 9, n.353: Exemplificat de virtute quae est circa ludos\").", "labels": [[33, 41, "WORK_OF_ART"], [45, 52, "PER"]]} +{"text": "come abbiamo detto, nella tavola delle virtù non compare elencata la giustizia. Dante, ponendola alla fine e sottolineando che essa ci dispone (ordina noi\") a desiderare e ad attuare ciò che è retto (\"dirittura\") in tutte le cose, la considera come una virtù generale, fedele in questo alla lettera ed allo spirito di Aristotele (cfr. Eth. Nic. V 1, 1130 a 9 \"Hic quidem igitur iustitia non pars virtutis, sed tota virtus est\". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 229, ll. 6-7 ).", "labels": [[80, 85, "PER"], [318, 328, "PER"], [335, 338, "WORK_OF_ART"], [439, 450, "PER"]]} +{"text": "Dante, seguendo la vulgata aristotelica, presenta ogni virtù come il giusto mezzo (sono li mezzi\") tra due vizi, considerati come due nemici che le insidiano da una parte e dall'altra (\"due inimici collaterali\"), cioè per eccesso o per difetto (il \"troppo e il poco\"). Il testo di riferimento è Eth. Nic. II 8, 1108 b 11-15, così riassunto nelle Auctoritates Aristotelis \"Omnis virtus consistit in medio, scilicet inter defectum et excessum\" (p. 235, n. 38). I termini \"troppo\" e \"poco\" erano già stati usati dalla traduzione italiana della sezione etica del Trésor (ad esempio II 13,controllare ed. Gaiter, p. 42). Poiché le virtù consistono in una abitudine (\"abito\") acquisita attraverso il ripetersi di scelte giuste (\"della nostra buona elezione\"), le si può definire in generale (\"generalmente si può dicere di tutte\") come abitudine a scegliere ciò che è medio tra due estremi (\"abito elettivo consistente nel mezzo\", che è la traduzione letterale di Eth. Nic. II 6, 1107 a 1 \"Est autem virtus habitus electivus in medietate existens\". Vedi Cv IV xvii 1).", "labels": [[0, 5, "PER"], [295, 298, "WORK_OF_ART"], [346, 370, "WORK_OF_ART"], [559, 565, "PER"], [958, 961, "WORK_OF_ART"], [1048, 1050, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "attraverso cui si uniscono'. Aristotele aveva introdotto la distinzione tra virtù morali (etiche) ed intellettuali (dianoetiche) alla fine del primo libro dell' Etica Nicomachea (cap. 13, 1103 a 3-7); il libro VI è dedicato appunto alla trattazione di queste ultime e tra esse è compresa la phronesis (che i traduttori latini renderanno con prudentia) cui vengono dedicati l'intero capitolo quinto e parti del sesto e del settimo. Che la prudenza diriga le virtù morali era stato affermato da Tommaso nel suo Commento al decimo libro dell' Etica Nicomachea (lectio 12, n. 2111) mentre l'immagine del mostrare la via si trova nel volgarizzamento italiano della sezione etica del Trésor (ma non nel testo francese): Disse Tullio che la prudenza va dinanzi all'altre virtù e porta la lucerna e mostra alle altre la via\" (VII, 8, ed. Gaiter, III, p. 236.) controllare. Tra i molti che sostengono \"la prudenza essere morale virtute\" potrebbe essere annoverato Egidio Romano che nel De regimine principum, pur ponendola 'in intellectu' la classifica tra le dodici 'virtutes morales' (cfr. De regimine principum I ii 3, pp. 51-2).", "labels": [[29, 39, "PER"], [161, 177, "WORK_OF_ART"], [493, 500, "PER"], [540, 556, "WORK_OF_ART"], [678, 684, "WORK_OF_ART"], [720, 726, "PER"], [830, 836, "WORK_OF_ART"], [955, 968, "PER"], [977, 998, "WORK_OF_ART"], [1083, 1104, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eth. Nic. X, 7, 1177 a 12-17 dove riguardo alla vita teoretica si parla appunto di 'felicitas perfecta'.", "labels": []} +{"text": "l'episodio in cui Gesù è ospite in casa di Marta e Maria, è narrato nel cap. decimo, ai versetti 38-42. Dante traduce alla lettera il testo latino dei versetti 41-42 Martha, Martha, sollicita es et turbaris erga plurima: porro unum est necessarium. Maria optimam partem elegit quae non auferetur ab ea\", ma ne stravolge il significato. Con la glossa \"cioè quello che fai\" egli infatti attribuisce alle molteplici attività di Marta il \"porro unum est necessarium\" che il Vangelo riserva all'ascolto di Maria. Vedi a questo proposito le osservazioni di John A. Scott (Scott 2004, pp. 132-133).", "labels": [[18, 22, "PER"], [43, 48, "PER"], [51, 56, "PER"], [104, 109, "PER"], [425, 430, "PER"], [470, 477, "WORK_OF_ART"], [501, 506, "PER"], [551, 564, "PER"], [566, 571, "PER"]]} +{"text": "l'identificazione di Marta con la vita attiva e di Maria con quella contemplativa operata già a partire da Gregorio Magno (cfr. Moralia in Job, VI 37, 62, PL 75, p. 763) era, al tempo di Dante, di uso corrente tra i teologi (vedi ad esempio, la Summa Theologiae di Tommaso IIa-IIae, q. 179, a. 2, sed contra, che rimanda appunto a Gregorio Magno). Bisogna però osservare che in linea di massima questi due modelli di vita identificavano attività proprie del clero (ad esempio, come abbiamo già avuto modo di dire commentando Cv I v 11, i prelati rappresentavano la vita attiva, i monaci e poi i frati quella contemplativa). Dante invece identificandoli con l'esercizio delle virtù etiche e di quelle dianoetiche, li estende in linea di principio a tutti gli uomini in quanto esseri razionali (in via di fatto, per quel che riguarda la vita attiva, a quel pubblico di nobili, baroni, cavalieri e molt'altra nobile gente di cui si parla in Cv I ix 5).", "labels": [[21, 26, "PER"], [51, 56, "PER"], [107, 121, "PER"], [128, 142, "WORK_OF_ART"], [187, 192, "PER"], [245, 261, "WORK_OF_ART"], [265, 276, "PER"], [331, 345, "PER"], [525, 527, "WORK_OF_ART"], [624, 629, "PER"], [938, 940, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'assioma cui Dante ricorre afferma che quando due realtà hanno in comune una medesima caratteristica (si truovano convenire in una\") devono essere ricondotte in un rapporto di effetto a causa (\"si deono riducere... sì come effetto a cagione\") o una delle due all'altra o entrambe ad una terza (\"ad alcuno terzo\"). Questo perché è impossibile che una medesima qualità sia posseduta, di per sé e in maniera non derivata (\"prima e per sé\", calco del latino filosofico universitario 'primo et per se'), da due enti diversi: proprio in quanto primaria e non derivata essa deve appartenere in modo esclusivo ad unico ente da cui gli altri in qualche modo la ricevono (\"non può essere se non da uno\"). Il principio era stato formulato da Tommaso nella Summa contra Gentiles II cap. 16, n. 941 per dimostrare la creazione ex nihilo.", "labels": [[14, 19, "PER"], [732, 739, "PER"], [746, 758, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come è scritto nel Codex Iuris e come viene applicato nell'esercizio concreto della giustizia'. La regola per cui quae manifesta sunt ... probatione non indigent\" è presente, come rileva il commento di Busnelli, non tanto nel testo giustinianeo quanto nella glossa di Accursio a Digesto II 8, 5, 1.", "labels": [[19, 30, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il pudore (vergogna\") viene considerato da Aristotele non una virtù in senso stretto, ma una passione collegata, come tutte le passioni, ad un fenomeno fisico: nel caso specifico, il rossore (cfr. Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 10 sgg). La compassione (\"misericordia\") non viene presa in considerazione nell' Etica Nicomachea, ma, come abbiamo già visto (cfr. Cv II x 6 e nota) è catalogata tra le passioni nel secondo libro della Retorica. La vergogna (verecundia) e la misericordia vengono presentate come 'passiones laudabiles' nel De regimine principum (I iii 11, p. 184) dove si rimanda ad Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 9, 1128 b 19 \"Laudamus quidem juvenes verecundos\").", "labels": [[43, 53, "PER"], [197, 200, "WORK_OF_ART"], [302, 318, "WORK_OF_ART"], [353, 355, "WORK_OF_ART"], [424, 432, "WORK_OF_ART"], [528, 549, "WORK_OF_ART"], [588, 598, "PER"], [605, 608, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "si tratta dell'inizio del Salmo 8 \"Domine, dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra\".", "labels": [[26, 33, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Ps. 8, 4-6 \"quid est homo, quod memor es eius? Aut filius hominis quoniam visitas eum? Minuisti eum paulo minus ab angelis; gloria et honore coronasti eum et constituisti eum super opera manuum tuarum\".", "labels": []} +{"text": "'paura del disonore'. La caratterizzazione del pudore come 'timor ingloriationis' è presente in Eth. Nic. IV 9, 1128 b 11-12.", "labels": [[96, 99, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'degna di lode'. Cfr. Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 18-19 laudamus quidem iuvenum verecundos\" Il riferimento alle donne, non presente nel testo aristotelico, deriva direttamente dal testo della canzone, e quindi non c'è bisogno di ricorrere ad altre fonti (cfr. Brambilla Ageno 1986, pp. 267-8).", "labels": [[22, 25, "WORK_OF_ART"], [256, 265, "PER"]]} +{"text": "nonostante le varie edizioni del Convivio, compresa quella Brambilla Ageno, mettano la frase tra virgolette non si tratta di una citazione letterale, piuttosto di una parafrasi riassuntiva di Eth. Nic. IV, 9, 1128 b 15-23, dove Aristotele afferma che il pudore è una passione lodevole solo nei giovani che, non avendo ancora raggiunto il controllo razionale delle passioni (cioè la virtù), possono essere frenati appunto dalla vergogna. Essa invece è biasimevole quando si tratta di anziani e comunque di persone che dovrebbero essere virtuose (studiosus è il termine della traduzione latina del termine greco epieikes, interpretato da Tommaso come virtuosus; cfr. In decem libros Ethicorum Aristotelis expositio, IV, lectio 17, n. 874).", "labels": [[33, 41, "WORK_OF_ART"], [59, 74, "WORK_OF_ART"], [192, 195, "PER"], [228, 238, "PER"], [636, 643, "PER"], [681, 702, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "poiché la cosa giusta per loro è tenersi lontano da ciò che potrebbe farli vergognare'. Il testo di Dante sembra in questo caso più vicino alle Auctoritates Aristotelis di quanto non lo sia al testo dello Stagirita Senem verecundum vituperamus, quare senex caveat (\"si guardi\") id de quo verecundabitur\" (p. 238, n. 82).", "labels": [[100, 105, "PER"], [144, 168, "WORK_OF_ART"], [205, 214, "PER"]]} +{"text": "solo Dio, presso il quale non esiste alcuna scelta che privilegi singoli individui in base a loro presunti meriti'. Il richiamo alla Scrittura (sì come le divine Scritture manifestano\") riguarda numerosi testi: i più vicini alla espressione dantesca sono la Lettera ai Romani (2, 11), quella agli Efesini (6, 9) e quella ai Colossesi (3, 25). L'assenza, al momento dell'infusione dell'anima in un corpo perfettamente organizzato, di ogni \"macula di vizio\" sembra mettere tra parentesi l'esistenza del peccato originale e così andare contro quell' auctoritas che Dante stesso aveva citato in Cv I iv 9: \"come dice Agustino, nullo è sanza macula\".", "labels": [[258, 275, "WORK_OF_ART"], [297, 304, "WORK_OF_ART"], [324, 333, "WORK_OF_ART"], [562, 567, "PER"], [591, 593, "WORK_OF_ART"], [613, 621, "PER"]]} +{"text": "per la terza volta Dante fa riferimento al passo del libro settimo dell'Etica Nicomachea (VII 1, 1145 a 18-25) dove la traduzione latina parla di \"homines qui fiunt divini propter virtutis superexcellentiam\" Cfr. Cv III vii 6-7; IV v 2.", "labels": [[19, 24, "PER"], [72, 88, "WORK_OF_ART"], [213, 215, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'attraverso una citazione dal poeta Omero'. La citazione dall'Iliade parla di Ettore, talmente virtuoso da non sembrare figlio di un uomo ma di un Dio (ivi, 1145 a 20-22).", "labels": [[36, 41, "PER"], [62, 68, "WORK_OF_ART"], [78, 84, "PER"]]} +{"text": "cfr. Jac 1, 17: Omne datum optimum et omne donum perfectum desursum est, descendens a Patre luminum\".", "labels": [[86, 91, "PER"]]} +{"text": "nella esegesi comune al tempo di Dante il dato\" veniva identificato con i doni naturali, mentre il \"dono\" indicava specificamente quanto elargito gratuitamente della grazia divina (cfr. il capitolo De donis Spiritus Sancti nel trattato De virtutibus di Alano di Lilla, p. 85).", "labels": [[33, 38, "PER"], [198, 222, "WORK_OF_ART"], [236, 258, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nonostante le edizioni, compresa quella Brambilla Ageno, mettano la frase tra virgolette non si tratta di una citazione diretta. La dottrina è sicuramente rintracciabile nel secondo libro del De anima di Aristotele (cap. 2, 414 a 11-12), ma con parole diverse (Videtur enim in patiente et disposito activorum inesse actio\"). Anche la formulazione delle Auctoritates Aristotelis (p. 179, n. 55), che Dante aveva avuto presente citando il medesimo principio in Cv II ix 7, pur se più vicina al nostro testo in quanto usa actus (\"atti\") al posto di actio, non vi corrisponde. Anche in questo caso il sintagma \"disposito a ricevere\" è riscontrabile in un brano di Gentile da Cingoli, sempre relativamente al rapporto tra l'azione fisica ed il suo oggetto: \"virtus agentis non recipitur in passo nisi secundum quod est dispositum ad recipiendum actionem illius agentis\" (in Longoni 1991, pp. 119-120. Il testo di Gentile, però, non ha alcun riferimento esplicito ad Aristotele).", "labels": [[40, 55, "WORK_OF_ART"], [192, 200, "WORK_OF_ART"], [204, 214, "PER"], [399, 404, "PER"], [459, 461, "WORK_OF_ART"], [660, 678, "PER"], [869, 876, "PER"], [908, 915, "PER"], [961, 971, "PER"]]} +{"text": "cfr. Al cor gentile ripara sempre amore: Foco d'amore in gentil cor s'aprende /come vertute in pietra preziosa, / che da la stella valor no i discende / anti che 'l sol la faccia gentil cosa; / poi che n'ha tratto fore / per sua forza lo sol che li è vile /stella li dà valore\" (11-17, II, Contini, p. 461).", "labels": []} +{"text": "tutte e quattro le cause'. Dante affermando che la definizione di nobiltà, finalmente raggiunta, comprende le quattro specie di cause elencate da Aristotele, vuole sottolineare che si tratta di una definizione che ci fa finalmente cogliere con assoluta certezza l'oggetto cercato. Infatti, come dice il Filosofo all'inizio della Fisica tunc... opinamur cognoscere unumquodque, cum causas cognoscamus\" (I, 1, 184 a 12-13. Translatio Vetus, p. 7, ll 5-6. Il testo era stato esplicitamente citato in Cv III xi 1).", "labels": [[27, 32, "PER"], [146, 156, "PER"], [303, 311, "PER"], [329, 375, "WORK_OF_ART"], [432, 437, "WORK_OF_ART"], [497, 499, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "ancora una volta la rassegna di opinioni filosofiche dipende da Alberto Magno e ancora una volta, come già in Cv II xiii 5, Dante ricorre, per Avicenna, Algazel e Platone al terzo libro del De somno et vigilia, dedicato ai sogni. La dottrina dei due filosofi arabi, come esposta da Alberto, collega i diversi gradi delle anime alla loro maggiore o minore capacità intellettiva (Avicenna et Algazel ... dicunt ... gradus esse in anima intellectuali, quia quidam sortiuntur animas altiores et quidam inferiores\" De somno et vigilia III, tr. 1, cap. 6, p. 185a). Quanto a Platone Dante, sempre basandosi sul testo di Alberto, precisa quanto già detto in Cv II 13 5: non solo le anime provengono dagli astri, ma dalla maggiore o minore nobiltà dell'astro derivano la loro maggiore o minore nobiltà (\"Plato autem ... dicit ...omnes a comparibus stellis animas descendisse et in se habere differentias nobilitatis et ignobilitatis secundum differentiam istarum stellarum\" op. cit., ed. cit., p. 187 b). Per quel che riguarda Pitagora la fonte è un altro testo di Alberto: il De intellectu et intelligibili I, tr. 1, cap. 5, p. 483b: \"Nec est verum quod dicit Pythagoras, omnes animas esse intellectuales ... nec motus sensus vel intellectus posse exequi ... animam in quibusdam corporibus ob materiae gravitatem. Lapis enim, ut ait, animatus est, sed propter terrestreitatem est in ea oppressa anima ne ostendat motus vegetationis, vel sensus vel intellectus. In plantis autem propter minorem terrestreitatem ostendit ... anima vegetationem ... sed non sensum. In brutis autem minus terrestribus operatur unum vel duos vel omnes sensus, sed non intellectum\" cfr. per tutto questo Nardi 1967, pp. 63-80.", "labels": [[64, 77, "PER"], [110, 112, "WORK_OF_ART"], [124, 129, "PER"], [143, 151, "PER"], [153, 160, "PER"], [163, 170, "PER"], [190, 209, "WORK_OF_ART"], [282, 289, "PER"], [378, 397, "WORK_OF_ART"], [569, 582, "PER"], [614, 621, "PER"], [651, 653, "WORK_OF_ART"], [1019, 1027, "PER"], [1057, 1064, "PER"], [1069, 1101, "WORK_OF_ART"], [1153, 1163, "PER"], [1307, 1317, "WORK_OF_ART"], [1674, 1679, "PER"]]} +{"text": "nella prima parte della sua trattazione Dante espone la dottrina peripatetica riguardante la generazione degli animali, con particolare riguardo all'uomo. Per la biologia aristotelica nel processo di formazione ed animazione del feto chi agisce è esclusivamente il seme maschile: l'elemento femminile, rappresentato dal sangue mestruale contenuto nell'utero (matrice\") come in un recipiente (\"recettaculo\"), funziona da materia totalmente passiva. Le tre forze agenti (\"virtù\") veicolate dal liquido seminale hanno come origine rispettivamente l' anima del padre dal cui corpo è stato prodotto, dopo un lungo processo di elaborazione del cibo, il seme stesso (\"vertù dell'anima generativa\", identica alla \"vertù formativa che diede l'anima del generante\"); la seconda dai cieli (\"la virtù celeste\"); la terza dal tipo di mescolanza dei quattro elementi di cui, come ogni altro corpo, il seme è composto (\"la vertù delli elementi legati, cioè la complessione\". Si tratta di quella che i medici chiamavano 'complexio innata seu radicalis', attribuibile non solo al seme ma anche al sangue mestruale). Nella descrizione del Convivio il seme agisce sulla materia mestruale allo stesso modo con cui il sole matura un frutto, e la prepara (\"dispone\") all'azione della 'virtus formativa' il cui compito è quello di diversificarla producendo i vari organi necessari alle diverse funzioni vitali (\"prepara gli organi\"). Quando la materia è così organizzata, la 'virtù celestiale' interviene dotando l'embrione umano di un autonomo principio vitale, l'anima sensitiva, che nel seme era solo in potenza (\"produce dalla potenza del seme l'anima in vita\". L'anima prodotta dalla potenza del seme, prodotta cioè attraverso un processo di generazione naturale, non può essere, pace Busnelli, quella intellettiva, che come Dante dice esplicitamente subito dopo, viene creata direttamente da Dio). Nella cultura del XIII secolo l'embriologia era una branca della filosofia naturale, oggetto di insegnamento specifico nelle Facoltà di medicina. Essa, però, quando si occupava dei modi con cui si producevano nell'uomo le varie anime, affrontava problemi e usava linguaggi propri della metafisica. Per questo la descrizione dei processi generativi non era esclusiva competenza dei medici, ma veniva presa in considerazione dai filosofi (cfr. Martorelli Vico 2002). Anche i teologi erano interessati alla materia che, ad esempio, è trattata in numerosi scritti di Tommaso, dal Commento alle Sentenze (I, dist. 48, q. 2) fino alla Summa contra Gentiles (II, capp. 86 sgg. ) ed alla Summa Theologiae (I, q. 118, aa. 1 e 2). Che nella parte spumosa del seme fossero presenti la virtus formativa trasmessa dal padre e una 'virtù celestiale' era stato detto sia da Alberto Magno (cfr. De natura et origine animae tr. I, cap. 4, p. 10, ll 11-12 \"virtus animae patris et caelestis intellectus est in spiritu illo\") che dallo stesso Tommaso (cfr. Summa Theologiae, cit., a. 1: \"ista vis activa ...fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute caelestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem\"). Che il compito della 'virtus formativa' fosse quello di differenziare la materia su cui agisce formando gli organi dell'essere vivente era pure dottrina vulgata sia tra i medici che tra i teologi (cfr. Alberto Magno, De natura et origine animae ... cit.: \"gutta maris ... penetrat in guttam feminae, pulsando per eam et distinguendo et formando eam per virtutem formantem quae est in ipso\"). Per quanto riguarda la \"vertù del cielo\" un accenno si trova già in Aristotele: il seme agisce mediante il calore, ma, a differenza del caldo del fuoco che distrugge ciò che brucia, si tratta di un calore intelligente che sa autoregolarsi e quindi ha una qualche parentela con il calore degli astri (cfr De generatione animalium II, 3, 736 b34-737 a 2: \"In spermate inexistit quod facit gonima esse spermata, vocatum calidum. Hoc autem non ignis ... sed interceptus in spermate et spumoso spiritus aliquis et in spiritu natura proportionalis existens astrorum ordinationi\" Translatio Guillelmi, p. 54, ll. 9-13. Vedi le ulteriori precisazioni di Alberto Magno nelle sue Quaestiones super De animalibus, liber XVI, quaestio 6, pp. 277-278). A questa caratteristica del seme Dante aveva già accennato in Cv II.xiii.5 parlando di \"vertude celestiale che è nel calore naturale del seme\" presentandola anche lì come dottrina propria di Aristotele e degli altri Peripatetici. La trattazione di Dante, brevissima in confronto a quelle di Tommaso o di Egidio Romano (che ai problemi embriologici aveva dedicato un' intera opera, il De formatione corporis humani in utero), utilizza insomma concetti assai vulgati, senza alcuna pretesa di originalità dottrinale, ma utilizzandoli in funzione della sua concezione della nascita della nobiltà, questa sì veramente originale", "labels": [[40, 45, "PER"], [1121, 1129, "WORK_OF_ART"], [1767, 1775, "PER"], [1807, 1812, "PER"], [2006, 2025, "WORK_OF_ART"], [2323, 2333, "WORK_OF_ART"], [2334, 2338, "PER"], [2444, 2451, "PER"], [2510, 2531, "WORK_OF_ART"], [2561, 2577, "WORK_OF_ART"], [2740, 2753, "PER"], [2905, 2912, "PER"], [2919, 2935, "WORK_OF_ART"], [3389, 3402, "PER"], [3404, 3439, "WORK_OF_ART"], [3647, 3657, "PER"], [3883, 3910, "WORK_OF_ART"], [4225, 4238, "PER"], [4249, 4280, "WORK_OF_ART"], [4352, 4357, "PER"], [4381, 4393, "WORK_OF_ART"], [4510, 4520, "PER"], [4535, 4547, "WORK_OF_ART"], [4567, 4572, "PER"], [4610, 4617, "PER"], [4623, 4636, "PER"], [4703, 4732, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "fino allo stadio della vita puramente vegetativa e sensitiva il processo di generazione dell'anima umana è stato opera della natura. L'apparire dell'anima intellettiva è dovuto invece ad un agente esterno. Anche in questo caso il punto di partenza è l'affermazione aristotelica secondo cui l'intelletto risulta essere un altro genere di anima che proviene dal di fuori ed è di natura divina (cfr. De generatione animalium II 3, 736 b 27-28). Nell'esegesi medievale questo 'di fuori' era stato rapidamente identificato con Dio. Ed è appunto quello che dice Dante: l'anima sensitiva, nel momento stesso in cui viene prodotta, riceve dalla potenza del Motore del cielo (Lo Motor Primo\" di Pg XXV, 70, cioè Dio come principio di tutta la natura) l'intelletto possibile. Di una parte o funzione dell'intelletto caratterizzata dall'essere in potenza rispetto a tutti i possibili concetti parla Aristotele nel capitolo quarto del terzo libro del De anima Non è invece aristotelica l'affermazione per cui gli intelligibili che l'intelletto porta con sé (\"in sé adduce\") sono, in potenza (\"potenzialmente\"), le stesse forme universali che Dio (visto ora come prima Intelligenza) possiede in atto (\"secondo che sono nel suo produttore\"). Dante può avere preso spunto dal De intellectu et intelligibili di Alberto e più precisamente dal trattato primo del secondo libro: Unde habet forma quod sit in anima intellectuali (pp. 503-504). Anche l'affermazione immediatamente seguente, e cioè che i singoli intelletti possibili hanno in potenza forme sempre meno universali in proporzione al loro grado di allontanamento dall'Intelligenza prima (\"tanto meno quanto più dilungato dalla prima Intelligenza è\" riferendo il \"meno\" non al numero delle forme ma alla loro universalità) non è aristotelica: essa può avere riscontro nella decima proposizione del Liber de causis: \"Omnis intelligentia est plena formis: verumtamen ex intelligentiis sunt quae continent formas plus universales et ex eis sunt quae continent formas minus universales\" (p. 70) interpretata da Alberto nel senso che maggiore o minore universalità dipendono dalla minore o maggiore distanza delle intelligenze celesti dalla Causa Prima. Dante sembra applicare questo principio ontologico e cosmologico di ascendenza neoplatonica ai singoli intelletti umani: la loro maggiore o minore capacità di astrazione dipenderebbe dal grado di differenza (distanza) da Dio determinato dalla loro minore o maggiore purità (cfr. Falzone 2009). Sulla \"torsione\" neoplatonica cui, seguendo Alberto, Dante sottopone le formule aristoteliche cfr. Nardi 1985, pp. 149-154).", "labels": [[556, 561, "PER"], [649, 665, "WORK_OF_ART"], [888, 898, "PER"], [939, 947, "WORK_OF_ART"], [1228, 1233, "PER"], [1261, 1291, "WORK_OF_ART"], [1295, 1302, "PER"], [1839, 1854, "WORK_OF_ART"], [2048, 2055, "PER"], [2177, 2188, "WORK_OF_ART"], [2190, 2195, "PER"], [2469, 2476, "PER"], [2528, 2535, "PER"], [2537, 2542, "PER"], [2583, 2588, "PER"]]} +{"text": "l'apostolo Paolo. Cfr. Rm 11, 33 O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei, quam incomprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius\". Il testo era già stato usato in Cv IV v 9 a proposito del modo con cui Dio, attraverso l'Impero romano, ha preparato la nascita di suo figlio", "labels": [[188, 190, "WORK_OF_ART"], [245, 258, "LOC"]]} +{"text": "il grado di purezza dell'anima sensitiva influisce su quello dell'intelletto possibile. Ora, essendo in sé immateriale, l'intelletto possiede una capacità tanto più pura quanto più è separata (astratta) e sciolta (\"assoluto\") da ogni offuscamento che proviene dal corpo. L'immagine secondo cui il principio intellettuale nella sua discesa dalla Prima Causa verso il corpo, progressivamente si offusca (\"obumbratur\") si ritrova, ancora una volta, nel De intellectu et intelligibili (cfr. I, tr. 1, cap. 5, p. 484). Il discorso di Dante presenta qui elementi contraddittori: il grado di purezza dell'anima sensitiva da cui dipende la maggiore o minore astrazione dell'intelletto possibile è infatti collegato proprio alla azione più o meno perfetta di agenti corporei", "labels": [[345, 356, "WORK_OF_ART"], [450, 480, "WORK_OF_ART"], [529, 534, "PER"]]} +{"text": "cfr De senectute xxi 77 Est enim animus caelestis ex altissimo domicilio depressus et quasi demersus in terram, locum divinae naturae aeternitatique contrarium\". Come si vede la citazione non è letterale (il testo di Cicerone non ha quel \"discese in noi\" che è ciò che a Dante più interessa).", "labels": [[4, 20, "WORK_OF_ART"], [217, 225, "PER"], [271, 276, "PER"]]} +{"text": "la citazione del De causis rimanda alle parole iniziali della terza proposizione Omnis anima nobilis tres habet operationes: nam ex operationibus eius est operatio animalis, et operatio intellectibilis et operatio divina\" (p. 51). Dante, però, ha ancora una volta presente Alberto Magno che ha un testo identico nel De natura et origine animae (tr. 2, cap. 2, p 21, ll. 26-8) \"...tres haec anima nobilis habet operationes, divinam videlicet et intellectualem et animalem\". La presenza, nel testo di Dante, del termine \"intellettuale\", al posto del più difficile intellectibilis, potrebbe essere un segnale di questa dipendenza; e del resto il domenicano tedesco, proprio come farà Dante, applica all'anima intellettiva dell'uomo quello che il Liber de causis riferiva invece alle anime divine che muovono i cieli (cfr. Nardi 1967, pp. 91-4).", "labels": [[17, 26, "WORK_OF_ART"], [231, 236, "PER"], [273, 286, "PER"], [316, 343, "WORK_OF_ART"], [499, 504, "PER"], [681, 686, "PER"], [743, 758, "WORK_OF_ART"], [819, 824, "PER"]]} +{"text": "ancora una volta il testo dipende dal De somno et vigilia di Alberto , (III tr. 1, cap. 6, p. 185) che riporta a sua volta le tesi di Avicenna ed Algazel In tantum exaltant (scil. superiores Intelligentiae) nobilitatem huius intellectus, quod invenitur anima quae scit omnia per seipsam, ut dicunt, et est quoad intellectum quasi Deus incarnatus qui perfectionem habet ad omnia scienda ex seipso\".", "labels": [[38, 57, "WORK_OF_ART"], [61, 68, "PER"], [134, 142, "PER"], [146, 153, "PER"], [180, 205, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il termine appropiato\" ha qui un significato strettamente teologico: nonostante che le tre persone della Trinità siano egualmente Dio, ad ognuna di esse può essere attribuito, nella loro relazione con le cose, uno specifico modo di azione (si tratta di quella che viene chiamata la distinzione 'ad extra'). Cfr. ad esempio Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, IV, cap. 20, n. 3571 \"Ex hoc quod Spiritus Sanctus per modum amoris procedit, amor autem vim quamdam impulsivam et motivam habet, motus qui est a Deo in rebus Spiritui Sancto proprie attribui videtur\".", "labels": [[323, 339, "PER"], [341, 362, "WORK_OF_ART"], [532, 538, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Is 11, 2 Et requiescet super eum Spiritus Domini: spiritus sapientiae et intellectus, spiritus consilii et fortitudinis, spiritus scientiae et pietatis, et replebit eum spiritus timoris Domini\". L'esegesi critiana aveva visto l'avverarsi di questa profezia nella discesa dello Spirito Santo su Gesù al momento del battesimo nel Giordano (cfr. il commento di Girolamo a questo versetto di Isaia in PL 24, p. 14) ed i sette spiriti erano diventati i suoi sette doni (vedi ad esempio il commento ad Isaia di Aimone di Halberstadt, PL 181, 779 ).", "labels": [[282, 295, "WORK_OF_ART"], [299, 303, "PER"], [333, 341, "PER"], [363, 371, "PER"], [393, 398, "PER"], [402, 404, "WORK_OF_ART"], [501, 516, "PER"], [520, 531, "LOC"], [533, 535, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "ancora all'interno della metafora, Dio. Evidente è il richiamo alla parabola evangelica (Mt 13, 3-8; Mc 4, 3-20; Lc 8, 5-10). Per altro anche nella tradizione classica fin da Cicerone e Virgilio sator era uno degli appellativi della divinità somma e con questo nome Boezio si rivolge a Dio nel De consolatione all'inizio del celebre metro nono del terzo libro che Dante ha in parte tradotto (cfr. Cv III ii 17-18 e Dronke 2008, p. 38). Ma lo stesso Aristotele, nel decimo libro dell' Etica Nicomachea (10, 1179 b 24 -26), parlando di una preparazione necessaria alla virtù, e quindi necessariamente ad essa precedente, aveva usato la metafora della terra ben lavorata e capace di accogliere il seme", "labels": [[89, 91, "WORK_OF_ART"], [113, 115, "WORK_OF_ART"], [175, 183, "PER"], [186, 194, "PER"], [266, 272, "PER"], [294, 309, "WORK_OF_ART"], [364, 369, "PER"], [397, 399, "WORK_OF_ART"], [415, 421, "PER"], [449, 459, "PER"], [484, 500, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in realtà hormén è il caso accusativo del termine horme, ma proprio in accusativo Dante lo leggeva nella sua fonte, il De finibus di Cicerone (cfr. V, 6, 17: appetitus animi quem hormē Graeci vocant\". Evidentemente il codice a sua disposizione conteneva una traslitterazione dei caratteri greci. Cfr. Moore, p. 267). Dante parlerà diffusamente nel capitolo seguente di questo impulso presente nell'anima umana (e non solo umana) fin dall'inizio.", "labels": [[82, 87, "PER"], [119, 129, "WORK_OF_ART"], [133, 141, "PER"], [301, 306, "PER"], [317, 322, "PER"]]} +{"text": "nel primo capitolo del secondo libro dell'Etica Nicomachea (1103 a 14 - b 25) Aristotele parla effettivamente della abitudine come condizione necessaria per la nascita delle virtù. Più difficile si è rivelata per i commentatori la ricerca di una corrispondenza precisa nel mare magnum degli scritti di Agostino. Maria Corti (Corti 1983, p. 112) ha suggerito ancora una volta come fonte Alberto Magno che nel suo Super Ethica mette in bocca ad Agostino, proprio sul tema della educazione morale, la metafora del legno diritto e di quello storto (una metafora che ha avuto lunga fortuna visto che ancora oggi è presente nell'uso comune). Bisogna però osservare che il termine presente nei due testi ('rectitudo ligni', rettitudine del tallo\") è usato in contesti diversi. Alberto parla infatti non delle buone abitudini, ma dell'intervento correttivo di una pena che agisce sul colpevole come coloro che, per raddrizzare un legno curvo (un legno si badi bene, non un germoglio), lo piegano nella direzione opposta (\"per poenam tollitur vitium per inclinationem ad contrarium ... sicut dirigentes ligna curva plicant ea ad oppositum ... utraque curvitas est opposita rectitudini ligni, sed per unam inducitur rectitudo, dum per eam alia curvitas expellitur\" cfr. Super Ethica commentum et quaestiones II, lectio 2, vol. I, p. 99, ll. 59-65; cfr. anche lectio 8, vol. II, p.136, ll. 14-16).", "labels": [[42, 58, "WORK_OF_ART"], [78, 88, "PER"], [302, 310, "PER"], [312, 323, "PER"], [325, 330, "PER"], [386, 399, "PER"], [412, 424, "WORK_OF_ART"], [443, 451, "PER"], [770, 777, "PER"], [1260, 1300, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Aristotele, sempre a proposito del fine ultimo delle azioni umane, usa l'esempio dell'arciere e del bersaglio al positivo; cfr. Eth. Nic. I 1, 1094 a 22-24: Ad vitam cognicio eius magnum habet incrementum et, quemadmodum sagittatores signum habentes, magis utique adipiscemur quod oportet\". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 142, ll. 8-9", "labels": [[0, 10, "PER"], [128, 131, "WORK_OF_ART"], [302, 313, "PER"]]} +{"text": "Il brano in cui Cicerone usa la metafora della freccia e dell'arciere in relazione al perseguimento del sommo bene si trova specificamente in De finibus bonorum et malorum III, 9, 22 .", "labels": [[16, 24, "PER"], [142, 175, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "facciamo'. Che la felicità sia il termine cui tutto il nostro agire tende per trovarvi infine quiete viene detto da Tommaso, commentando Eth. Nic. X, 7, 1177 b 4 (Videturque felicitas in vacacione esse\"): \"Vacare dicitur aliquis quando non restat ei aliquid agendum, quod contingit cum aliquis ad finem pervenerit ... et sic felicitati, quae est ultimus finis, maxime competit vacatio\" (lectio 11, nn. 2098-2099).", "labels": [[116, 123, "PER"], [137, 140, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Cfr. De finibus V, 9, 24: Omne animal seipsum diligit ac, simul et ortum est, id agit ut se conservet. Cfr. Cv IV vi 11-12", "labels": [[5, 17, "WORK_OF_ART"], [108, 110, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "molti corrono per ottenere il premio. Dante traduce con qualche variante la prima Lettera ai Corinzi di Paolo 9, 24 Nescitis quod ii qui in stadio currunt, omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium?\". Il termine bravium che indicava genericamente il premio di una gara atletica (corsa, ma anche pugilato), viene modernizzato in \"palio\" (il \"drappo verde\" di If XV 122), mentre il termine stadium viene omesso: nel Medioevo, infatti, non esistevano stadi, e i corridori saranno piuttosto simili ai podisti ricordati nel medesimo contesto del canto quindicesimo dell' Inferno (\" ... coloro / che corrono a Verona il drappo verde / per la campagna ...\").", "labels": [[38, 43, "PER"], [82, 100, "WORK_OF_ART"], [104, 109, "PER"], [571, 578, "WORK_OF_ART"], [609, 615, "LOC"]]} +{"text": "seguire da vicino'. Ad una diversificazione delle scelte e dei modi di vita per il raggiungimento della felicità, ed alla necessità di individuarne l'unico giusto, Dante aveva già accennato in Cv IV vi 8. L'uso del termine calle\" rimanda al De consolatione philosophiae III, prosa 2, 2, pp. 59-60: \"Omnis mortalium cura ... diverso calle procedit, sed ad unum tamen beatitudinis finis nititur pervenire", "labels": [[164, 169, "PER"], [193, 195, "WORK_OF_ART"], [241, 273, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "deve. Nella descrizione del processo per cui, partendo da un indistinto amore per se stessi, l'appetito naturale diversifica i suoi oggetti mediante l'intervento della riflessione, Dante, più che usare Aristotele e i Peripatetici, ha avuto presente il De finibus di Cicerone; cfr. ad esempio V, 9, 24 :Omne animal seipsum diligit ... Hanc initio institutionem confusam habet et incertam, ut tantum se tueatur, qualecumque sit ... Cum autem processit paululum ... tum sensim incipit progredi seseque agnoscere et intelligere quam ob causam habeat eum quem diximus animi appetitum\". Ancora più evidente il rapporto quando Dante parla della scoperta che l'uomo fa di essere un composto di anima e corpo e del maggior amore che egli comprende doversi portare all'anima: cfr. V 37-38: \"Nam cui proposita sit conservatio sui, necesse est huic partes quoque sui caras esse, carioresque quo perfectiores sint ... quibus expositis, facilis est coniectura ea maxime esse expetenda ex nostris quae plurimum habent dignitatis ... ita fiet ut animi virtus corporis virtuti anteponatur\".", "labels": [[181, 186, "PER"], [202, 212, "PER"], [217, 229, "WORK_OF_ART"], [252, 262, "WORK_OF_ART"], [266, 274, "PER"], [620, 625, "PER"]]} +{"text": "l'esercizio delle facoltà della nostra anima razionale e la loro fruizione' . Un' identica struttura argomentativa è presente nel De summo bono di Boezio di Dacia, ed esattamente nella medesima posizione, cioè a conclusione di un segmento importante della argomentazione: Et quia quilibet delectatur in illo quod amat, et maxime delectatur in illo quod maxime amat ...\" (p. 377, 234-235). Solo che nel De summo bono l'amore non è quello dell'uomo per il proprio animo, ma del filosofo per l' Ente Primo.", "labels": [[130, 143, "WORK_OF_ART"], [147, 162, "PER"], [402, 410, "WORK_OF_ART"], [492, 502, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "ed è come innestare una natura diversa su di un tronco che non è il suo'. La metafora dell'innesto era già stata usata da Paolo nella Lettera ai Romani (ma in questo caso era la natura deteriore, l'oleastro simbolo dei Gentili, ad essere innestato sul tronco buono, l'olivo simbolo degli Ebrei. Cfr. Rm 11, 17 sgg.).", "labels": [[122, 127, "PER"], [134, 151, "WORK_OF_ART"], [219, 226, "WORK_OF_ART"], [288, 293, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che l'attività speculativa fosse superiore all' esercizio delle virtù etiche era stato decisamente sostenuto da Aristotele nei capp. 7-8 del decimo libro dell' Etica Nicomachea e comunque già detto da Dante stesso in Cv IV xvii 9-12.", "labels": [[112, 122, "PER"], [160, 176, "WORK_OF_ART"], [201, 206, "PER"], [217, 219, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "senza alcuna mescolanza esterna, in purezza assoluta'. In un brano dell' Etica Nicomachea assai usato dai maestri universitari che spesso ne facevano il tema dei loro discorsi in lode della filosofia, Aristotele aveva detto che essa possedeva admirabiles delectaciones puritate et firmitate\" (X 7, 1177 a 25-26); l'esercizio del pensiero, a differenza di tutte la altre attività umane, non ha bisogno che di se stesso.", "labels": [[73, 89, "WORK_OF_ART"], [201, 211, "PER"]]} +{"text": "Dante cita, riassumendo, Mc 16, 1-7.", "labels": [[0, 5, "PER"], [25, 27, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "andarono al sepolcro a cercare il Salvatore' (cfr. Mc 16, 1-2: ... Maria Magdalene et Maria Jacobi et Salome emerunt aromata ut venientes ungerent Jesum. Et valde mane ... veniunt ad monumentum ...\").", "labels": [[34, 43, "PER"], [51, 53, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Mc 16, 5-7 viderunt iuvenem ...coopertum stola candida ... qui dicit illis: Nolite expavescere: Jesum quaeritis ... non est hic ... sed ite, dicite discipulis eius et Petro quia praecedit vos in Galilaeam; ibi eum videbitis, sicut dixit vobis\".", "labels": []} +{"text": "a queste tre scuole (e alla loro concordia filosofica nella Atene celeste) Dante aveva già fatto riferimento in Cv III xiv 15. La loro caratterizzazione come filosofie che identificano il sommo bene con la vita attiva rimanda a Cv IV vi 9-15 dove anche di Aristotele si dice che, in continuità con il maestro Platone, pose il fine dell'uomo nella 'operazione con virtù'. Questa interpretazione dipende, come si è già avuto modo di osservare, dal fatto che per la diversa identificazione del sommo bene da parte delle diverse scuole filosofiche Dante si basa sul De finibus di Cicerone. In quest'opera, infatti, si fa riferimento ad un' etica del peripatetismo che sembra prescindere proprio dall' ultimo libro dell' Etica Nicomachea. In altri contesti Dante ha detto e dirà correttamente di Aristotele che ha posto l'esercizio della vita contemplativa al di sopra di ogni altra attività.", "labels": [[60, 65, "LOC"], [75, 80, "PER"], [112, 114, "WORK_OF_ART"], [228, 230, "WORK_OF_ART"], [256, 266, "PER"], [309, 316, "PER"], [544, 549, "PER"], [562, 572, "WORK_OF_ART"], [576, 584, "PER"], [716, 732, "WORK_OF_ART"], [752, 757, "PER"], [791, 801, "PER"]]} +{"text": "mentre l'identificazione delle tre Marie con le tre sette\" è del tutto arbitraria, l'interpretazione del sepolcro (\"monimento\") come allegoria del mondo terreno (\"presente\", in contrapposizione al mondo futuro) si basa su di una analogia: come le tombe, questo mondo è luogo di raccolta (\"ricettacolo\") di cose che si corrompono (cfr. Mt 23, 27: \"Vae vobis Pharisaei ypocritae, quia similes estis sepulchris dealbatis ... quae intus sunt plena ossibus mortuorum et omni spurcitia\")", "labels": [[335, 337, "WORK_OF_ART"], [357, 376, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Matteo verrà citato immediatamente dopo. Quanto agli altri Giovanni parla esplicitamente di due angeli che appaiono a Maria Maddalena (cfr. Io 20, 12), e se Luca, che mantiene il numero di due, parla più genericamente di persone in vesti splendenti (cfr. Lc 24, 4) la loro identificazione con gli Angeli era più che ovvia.", "labels": [[0, 6, "PER"], [59, 67, "PER"], [118, 133, "PER"], [140, 142, "WORK_OF_ART"], [157, 161, "WORK_OF_ART"], [255, 257, "WORK_OF_ART"], [297, 303, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Mt 28, 5-7 (questa volta la citazione e la traduzione sono letterali): Angelus ...Domini descendit de caelo, et accedens revolvit lapidem et sedebat super eum; erat autem aspectus eius sicut fulgur et vestimentum eius sicut nix\".", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che l'aveva rinnegato' (cfr. Mt 26, 69-75; Mc 14, 66-72; Lc 22, 55-62).", "labels": [[29, 31, "WORK_OF_ART"], [43, 45, "WORK_OF_ART"], [57, 59, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "dire Galilea è come dire bianchezza'. Per la costruzione dell'allegoria Dante ricorre ad un artificio assai usato in questo genere di approccio al testo: trovare nell' etimologia (molto spesso fantasiosa) dei nomi propri di persone o di luoghi il riferimento ad un insieme di proprietà reali esse stesse interpretabili allegoricamente (cfr. G. Dahan 2000). Nel caso specifico il rapporto tra Galilea e bianchezza, che Dante trovava sia nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, sia nelle Derivationes di Uguccione da Pisa si basa sulla presunzione (falsa) che nel nome Galilea fosse presente come radice il termine greco gala, latte e quindi bianco. Dove però i due etimologisti sostenevano che la Galilea si chiama così perché in essa nascono gli uomini di pelle più chiara (candidiores) di tutta la Palestina (cfr. Etymologiae XIV iii. 3, vol. II, p. 117; Derivationes, s.v. Gala, G 14, 3, p. 505) Dante parla invece di una perfetta equivalenza di significato. Galilea, dunque, è uguale a bianchezza. Ora il bianco, nella teoria aristotelica è uno degli estremi della scala dei colori, quello in cui la luce è presente al massimo nella parte perspicua di un corpo (è un colore pieno di luce corporale più che ogni altro\". Cfr. De sensu et sensato 3, 439 b 14-18 e la parafrasi di Alberto Magno, tr. 2, cap. 2, p. 42); esso dunque, per analogia, può significare la contemplazione che è la realtà più luminosa dal punto di vista spirituale (\"più piena di luce spirituale\").", "labels": [[72, 77, "PER"], [341, 349, "PER"], [392, 399, "LOC"], [418, 423, "PER"], [442, 453, "WORK_OF_ART"], [457, 476, "PER"], [488, 513, "WORK_OF_ART"], [569, 576, "LOC"], [698, 705, "LOC"], [801, 810, "LOC"], [817, 828, "WORK_OF_ART"], [858, 870, "WORK_OF_ART"], [883, 884, "WORK_OF_ART"], [900, 905, "PER"], [963, 970, "LOC"], [1282, 1295, "PER"]]} +{"text": "Dante utilizza uno schema diffusissimo nella cultura medievale, quello delle quattro età della vita. Se tutti gli autori conosciuti o conoscibili da parte di Dante sono d'accordo sul numero, non altrettanto lo sono sulle denominazioni: la traduzione latina del Canon di Avicenna e Alberto Magno convergono nel dire che le ultime due sono vecchiaia (senettute\" dal lat. senectus) e decrepitezza (\"senio\", dal lat. senium), divergono invece tra loro e da Dante riguardo alla prima che in Alberto è non l'adolescenza, ma la pueritia, e alla seconda, definita da Avicenna come 'aetas pulchritudinis' (cfr. Canon I, 1, 3, 3, f. 3va) e che Alberto preferisce chiamare 'aetas virilis' (De iuventute et senectute, tr. 1. cap. 2, p. 307 a \"rectius ... vocatur virilis quam iuventus, quia iuventus ad pueritiam videtur pertinere\"). Bisogna notare che i termini senectus e senium (come decrepitezza), presenti nella Vulgata (cfr. Ps. 70, 18: \"usque in senectam et senium ne derelinquas me\") erano già ampiamente in uso prima di Alberto (vedi già nel titolo il De malo senectutis et senii di Boncompagno da Signa)", "labels": [[0, 5, "PER"], [158, 163, "PER"], [261, 266, "WORK_OF_ART"], [270, 278, "PER"], [281, 294, "PER"], [453, 458, "PER"], [486, 493, "PER"], [559, 567, "PER"], [602, 609, "WORK_OF_ART"], [634, 641, "PER"], [679, 704, "WORK_OF_ART"], [905, 912, "WORK_OF_ART"], [1017, 1024, "PER"], [1049, 1076, "WORK_OF_ART"], [1080, 1100, "PER"]]} +{"text": "Dante vuol sottolineare che il modello dell'arco della vita, con tutte le sue variazioni interne, non tiene conto dei casi di morte violenta o anticipata (affrettata\") a causa di malattia (\"infertade\") accidentale, cioè sopravveniente dall'esterno, come nel caso di una epidemia (cfr. Aristotele, De iuventute et senectute, 17 478 b 22: \"Mors est hec quidem violenta, hec autem secundum naturam ... quando in ipso ... sed non adventitia aliqua passio\"); solo quella morte che comunemente viene chiamata naturale (\"naturale è chiamata dal vulgo\") e che effettivamente lo è, può essere ritenuta il punto finale (\"termine\") dell'arco. Per confermare con una autorità l'invalicabilità di questo limite Dante cita il Salmo 103, che però si riferisce al limite che Dio pose alle acque del mare (cfr. Ps 103, 9 \"terminum posuisti quem non transgredientur\") contaminandolo con il libro di Giobbe dove i termini riguardano effettivamente la vita dell'uomo (Cfr. Job 14, 5 \"Breves dies hominis sunt ... constituisti terminos eius qui praeteriri non poterunt\").", "labels": [[0, 5, "PER"], [285, 295, "PER"], [297, 322, "WORK_OF_ART"], [698, 703, "PER"], [712, 717, "WORK_OF_ART"], [794, 796, "WORK_OF_ART"], [872, 887, "WORK_OF_ART"], [953, 956, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel suo libro sulla giovinezza e la vecchiaia'. E' il piccolo trattato De iuventute et senectute che comprende anche un De respiratione. Proprio nel trattare della respirazione Aristotele usa relativamente alla iuventus e alla senectus i termini auctio e decretio, non però per la vita in generale, come interpreta Dante (acrescimento di quella\"), ma per un particolare organo, i polmoni, concepito come sistema di raffreddamento del calore interno necessario per ritardare la consunzione e dunque la morte dell'essere vivente (\"iuventa primae refrigerabilis particulae auctio; senecta autem eiusdem decretio\", 17, 479 a 30-32).", "labels": [[71, 96, "WORK_OF_ART"], [120, 135, "WORK_OF_ART"], [177, 187, "PER"], [315, 320, "PER"]]} +{"text": "che la durata della vita umana fosse tra i settanta e gli ottanta anni (ed che quindi il suo culmine fosse tra i trentacinque ed i quaranta) era dottrina comune (la troviamo anche nella Composizione del mondo colle sue cascioni di Ristoro d'Arezzo, I.22, p. 36). Dante poteva leggerla sia in Averroè che in Alberto Magno (entrambi poi attribuivano questa opinione ai medici).", "labels": [[186, 247, "WORK_OF_ART"], [263, 268, "PER"], [292, 299, "PER"], [307, 320, "PER"]]} +{"text": "'non era degno di Dio rimanere in una situazione di deperimento, di decadenza fisica'. Cfr. Tommaso, Summa Theologiae III, q. 46, a. 9, ad quartum: \"Christus in iuvenili aetate pati voluit ... quando erat in perfectissimo statu ... quia non conveniebat ut in eo appareret naturae diminutio\".", "labels": [[92, 99, "PER"], [101, 121, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "gli altri vangeli sinottici danno come ora di morte di Cristo l'ora nona, cioè circa le tre pomeridiane (cfr. Mt 27, 46; Mc 15, 34). Luca è meno preciso: anch'egli parla di tenebre che coprirono la terra dall'ora sesta all'ora nona, ma non dice esplicitamente che Cristo sia spirato al termine di questo fenomeno miracoloso (cfr. Lc 23, 44 -46 : Erat autem fere hora sexta et tenebrae factae sunt in universam terram usque in horam nonam ... et clamans voce magna Iesus ait: Pater in manus tuas commendo spiritum meum. Et haec dicens expiravit\"). Il testo poteva essere interpretato da Dante a favore della sua tesi: che cioè il Salvatore, come era morto nel culmine del giorno (l'ora sesta corrisponde infatti circa a mezzogiorno) così era vissuto fino al culmine della vita.", "labels": [[55, 61, "PER"], [110, 112, "WORK_OF_ART"], [121, 123, "WORK_OF_ART"], [264, 270, "PER"], [330, 332, "WORK_OF_ART"], [464, 469, "WORK_OF_ART"], [586, 591, "PER"], [629, 638, "PER"]]} +{"text": "che le quattro qualità contrarie, caldo, freddo, umido e secco possono dar luogo a quattro combinazioni possibili (caldo umido, caldo secco, freddo umido, freddo secco) era stato detto da Aristotele nel terzo capitolo del secondo libro del De generatione et corruptione (330 a 33 - b 2) : manifestum quoniam quattuor erunt elementorum coniugationes: calidi et sicci, calidi et humidi et rursus frigidi et humidi et sicci et frigidi\". Translatio Vetus, p. 56, ll. 19-21", "labels": [[188, 198, "PER"], [240, 269, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nella parafrasi del quarto libro dei Meteorologici' (sul termine Metaura vedi la nota a Cv II xiii 21-22). Cfr. Meteora IV tr. 1, cap. 13 (in senectute abundat frigiditas cum sicco, et in ultima aetate abundat frigiditas cum humido frigido\" p. 227, ll. 17-19) e Nardi, 1967, p. 125, nota 55).", "labels": [[88, 90, "WORK_OF_ART"], [112, 119, "WORK_OF_ART"], [262, 267, "PER"]]} +{"text": "nel secondo libro delle Metamorfosi'. In realtà il testo non trova una corrispondenza precisa in Ovidio, né per quanto riguarda i nomi (in luogo di Filogeo Ovidio ha Phlegon) né per quanto riguarda il loro ordine (Pyrois in Ovidio viene prima di Eous. Cfr. Metamorfosi II 153-155) Il collegamento tra i quattro cavalli e le quattro parti del giorno, assente nelle Metamorfosi, è stato operato dai più tardi mitografi, p.e. da Fulgenzio (cfr. Mythologiarum libri I 12, p. 23) dove peraltro i nomi dei cavalli, Erythraeus, Acteon, Lampus, Filogeus e il loro ordine non corrispondono pienamente né a Ovidio né al testo del Convivio. Un dizionario sicuramente conosciuto da Dante, le Derivationes di Uguccione, presenta maggiori corrispondenze: Primus dicitur Acteus vel Eous, idest rubens; eos enim est aurora vel oriens; secundus dicitur Ericteus vel Pirous, id est splendens, a pir quod est ignis; tertius Lampus vel Phlegon, id est fervens a fos quod est ignis; quartus Ethon, id est tepens, vel Philogeus, idest amans terram, a philos quod est amor, et ge quod est terra, quia tunc tendit ad occasum\" (s. v. Bis, B 65, 7, p. 127). Ma è probabile che Dante usasse un testo di Ovidio corredato di glosse, come quelle citate da Fausto Ghisalberti (Ghisalberti¹ 1934).", "labels": [[97, 103, "PER"], [149, 163, "PER"], [167, 174, "PER"], [215, 231, "WORK_OF_ART"], [247, 251, "WORK_OF_ART"], [258, 269, "WORK_OF_ART"], [365, 376, "LOC"], [427, 436, "PER"], [510, 520, "PER"], [522, 528, "PER"], [530, 536, "LOC"], [538, 546, "PER"], [598, 604, "PER"], [621, 629, "WORK_OF_ART"], [671, 676, "PER"], [681, 706, "WORK_OF_ART"], [742, 772, "WORK_OF_ART"], [971, 976, "WORK_OF_ART"], [993, 1006, "WORK_OF_ART"], [1152, 1157, "PER"], [1177, 1183, "PER"], [1227, 1245, "PER"], [1247, 1259, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "le due etimologie, di adolescentia da adolere (\"id est crescere\"), iuvenis da iuvare (\"quia adiuvare posse incipit\") si trovano nelle Derivationes di Uguccione da Pisa (s.v. Oleo, Iuvo, O 18, 11; I 120, 6, pp. 866, 631).", "labels": [[134, 159, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "il Corpus Juris Civilis (e precisamente Institutiones I, 23).", "labels": [[3, 23, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come abbiamo già sottolineato la scienza medievale considera la vita come un processo in cui il calore naturale si alimenta dell'umido radicale: nel corso degli anni quest'ultimo, man mano che si consuma, viene rimpiazzato dall'umido nutrimentale, derivante cioè dai processi di digestione del cibo; nella terza età, dunque, l'umido ha cambiato natura ingrossando non quantitativamente, ma solo (pur\") qualitativamente, diventando cioè più viscoso e meno ricco d'aria, dunque meno soggetto ad evaporazione sotto l'azione consumatrice del calore naturale (\"meno vaporabile e consumabile\"). Tale calore, a sua volta, ha perso parte della sua capacità di agire (\"è menomato e puote poco\"), quindi consuma meno. Per la concomitanza di questi due fenomeni accade (\"avviene\") che la nostra vita possa durare oltre i settanta anni della vecchiaia (la diversa velocità tra il crescere e il decrescere spiega anche la dissimetria tra gli otto mesi e i dieci anni). Se i materiali di questa spiegazione sono tutti presenti, p. e. nel De morte et vita o nel De juventute et senectute di Alberto Magno, e ampiamente citati, ad esempio, dal commento Vasoli, in realtà il loro assemblaggio è operazione originale di Dante: egli infatti non vuole descrivere quest'ultima parte della vita umana, ma dimostrare come e perché sia possibile.", "labels": [[1024, 1040, "WORK_OF_ART"], [1047, 1072, "WORK_OF_ART"], [1076, 1089, "PER"], [1202, 1207, "PER"]]} +{"text": "per la prima volta'. Dante cita, attraverso il De somno et vigilia di Alberto Magno (III, tr. 1, cap. 1, p. 178 ) un episodio presente nel De dogmate Platonis di Apuleio (I, 1, p. 83):: Socrate avrebbe sognato un giovane cigno che dall'altare di Cupido gli volava in grembo per poi innalzarsi verso il cielo cantando dolcemente. Mentre raccontava il sogno agli amici il padre di Platone gli avrebbe presentato il figlio quem ubi Socrates aspexit, ingenium intimum de exteriore conspicatus est faciem\" I, 1-2). Citando la frase di Apuleio Alberto vi inserisce proprio un 'per physionomiam' (\"ingenium intimum per physionomiam de exteriore conspicatus est facie\").", "labels": [[21, 26, "PER"], [47, 66, "WORK_OF_ART"], [70, 83, "PER"], [139, 158, "WORK_OF_ART"], [162, 169, "PER"], [186, 193, "PER"], [246, 252, "PER"], [379, 386, "PER"], [530, 545, "PER"]]} +{"text": "cfr. De senectute v 13.", "labels": []} +{"text": "l'età attribuibile all'umanità di Cristo, se la sua vita naturale non fosse finita prima, è prefigurata da quella di Platone. Probabilmente Dante conosceva anche l' episodio narrato da Seneca e ripreso dallo Speculum Historiale: alcuni magi, presenti ad Atene al momento della morte del filosofo, avendo conosciuto la sua età, lo avevano ritenuto più che un uomo: ottantuno, nove volte nove, è infatti il numero più perfetto (cfr. Epistulae ad Lucilium 58, 30-31, Speculum Historiale IV cap. 6, De obitu Platonis et de discipulis eius, p. 118).", "labels": [[23, 40, "WORK_OF_ART"], [117, 124, "PER"], [140, 145, "PER"], [185, 191, "PER"], [208, 227, "WORK_OF_ART"], [473, 483, "WORK_OF_ART"], [495, 534, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "e ciò che dice Cicerone nel De senectute concorda con questo'. In realtà nel testo proposto dai commentatori (De senectute ii 5) si usa sì la metafora della bacca e del frutto maturo, ma essa serve a far accettare il fatto che la vita abbia inevitabilmente un suo termine quod ferendum est molliter sapienti\". Vedi piuttosto il testo del De senectute x 33 che sarà citato letteralmente in Cv IV xxvii 2: \"Cursus est certus etatis et una via naturae, eaque simplex, suaque cuique parti aetatis tempestivitas est data\".", "labels": [[15, 23, "PER"], [28, 49, "WORK_OF_ART"], [110, 125, "WORK_OF_ART"], [338, 352, "WORK_OF_ART"], [389, 391, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Nella sua Expositio vergilianae continentiae secundum philosophos morales, Fulgenzio mette in effetti in scena Virgilio stesso che spiega il significato morale dell'Eneide : ergo sub figuralitate historiae plenum hominis monstravimus statum\" (pp. 89-90). Il poema doveva essere visto come una figura dell'arco della vita umana, scandito in tre tappe: pueritia-natura- libri I-III; juventus-doctrina- III-VII libro; perfectio virilis - felicitas- VIII-XII libro. Questo modello era stato sostanzialmente accolto dai commentatori del XII secolo (vedi Dronke 1992). Anche Dante in Cv IV xxvi ricorrerà ad una interpretazione dell'Eneide come figura della vita umana, ma solo per la juventus ed in modo sostanzialmente autonomo da Fulgenzio, sia nei contenuti, che nello schema generale. Egli dunque effettivamente \"tralascia ... lo figurato che tiene Virgilio\". In ogni caso qui come in Fulgenzio la \"figura\" ha un effettiva consistenza storica, dato che anche per Dante, le peripezie di Enea non sono una semplice invenzione poetica.", "labels": [[10, 19, "WORK_OF_ART"], [75, 84, "PER"], [111, 119, "PER"], [165, 171, "WORK_OF_ART"], [549, 555, "PER"], [569, 574, "PER"], [578, 580, "WORK_OF_ART"], [627, 633, "WORK_OF_ART"], [727, 736, "PER"], [848, 856, "PER"], [884, 893, "PER"], [962, 967, "PER"], [985, 989, "PER"]]} +{"text": "si tratta di Egidio Romano, chiamato eremita\" perché membro dell'ordine agostiniano, detto anche degli eremiti di Sant'Agostino. Abbiamo già avuto modo di citare il suo De regimine principum, non solo diffusissimo anche in ambienti non universitari, ma già tradotto in volgare nel 1288. Nella quarta parte del primo libro il trattato si occupa dei costumi e dei comportamenti propri dell'adolescenza, della vecchiaia e dell'età matura.", "labels": [[13, 26, "PER"], [114, 127, "PER"], [169, 190, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "che non fallisce nel raggiungimento di ciò che è necessario'. Dante ripete qui un adagio comunissimo nella cultura filosofica del suo tempo, che ha la sua origine nel De anima (cfr. III 9, 432 b 21-23 natura nihil facit frustra, neque deficit in necessariis\").", "labels": [[62, 67, "PER"], [167, 175, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in modo da sostenere'. Un richiamo alla vite che con i suoi viticci adminicula tamquam manibus adprehendunt atque ita se erigunt ut animantes\" si ha in Cicerone, De natura deorum II, 47,120. Lo stesso esempio, ma in un contesto completamente diverso (si tratta della necessità di potare per ridurre l'eccessivo rigoglio della pianta) in De senectute xv. 52. In nessuno dei due si parla del frutto.", "labels": [[152, 160, "PER"], [162, 181, "WORK_OF_ART"], [337, 352, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Prv 1, 8 Audi, fili mi, disciplinam patris tui\" (si tratta, in effetti, della prima esortazione rivolta al lettore).", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "i peccatori non riescano mai a indurti a fare questo, né con promesse né con piacevolezze, cioè che tu vada loro dietro' (intendendo quello\" come prolettico e il \"che\" come dichiarativo). Si tratta di una parafrasi di Prv 1, 10 e 15: \"Fili mi, si te lactaverint peccatores, ne acquiescas eis ... Fili mi, ne ambules cum eis\".", "labels": [[218, 221, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Digestum, XXXVII, 15, 9 Liberto et filio semper honesta et sancta persona patris et patroni videri debet\".", "labels": [[5, 13, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sarà oggetto di glorificazione' (cfr. Prv 13, 18 Qui ... acquiescit arguenti glorificabitur').", "labels": [[38, 41, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr Col 3, 20 Filii, obedite parentibus per omnia; hoc enim placitum est in Domino\".", "labels": [[76, 82, "PER"]]} +{"text": "cfr. Eth. Nic. VIII 1, 1155 a 1-6 Post haec autem de amicitia sequitur utique pertransire. Est enim ... maxime necessarium in vitam. Sine amicis enim nullus utique eligeret vivere, habens reliqua bona omnia\". Translatio Grosseteste. Textus purus, p. 298, ll. 5-8.", "labels": [[220, 231, "PER"]]} +{"text": "servire\" ha qui il senso di mettere spontaneamente e gratuitamente se stesso e le proprie cose a disposizione di altri, anche se sconosciuti; questo servizio è parte integrante della cortesia. Come aveva detto Salimbene de Adam, mettendo queste parole sulla bocca di un padre guardiano francescano che chiede aiuto per due prelati in fuga: \"Amore Dei ostendite caritatem et curialitatem et faciatis eis servitium et vobis honorem. Nam honos non est eius tantum cui impenditur, sed potius impendentis, et ille vere censendus est curialis, qui libenter et yllariter sine spe retributionis suum servitium incognitis elargitur\". (Chronica, vol. I, p. 575).", "labels": [[210, 227, "PER"], [626, 634, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Prv 3, 34 \"Ipse dominus deludet illusores et mansuetis dabit gratiam\".", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Prv 4, 24 \"Remove a te os pravum et detrahentia labia sint procul a te\". Dante, nella traduzione, modifica il testo in funzione delle sue esigenze, sostituendo alle labbra maldicenti (\"detrahentia labia\") gli atteggiamenti scortesi (\"atti villani\").", "labels": [[5, 8, "WORK_OF_ART"], [78, 83, "PER"]]} +{"text": "come già in Cv II xv 11 il riferimento è alla Metafisica aristotelica dove la meraviglia (admiratio) è lo stimolo iniziale al filosofare. Come fa peraltro notare Busnelli nel suo commento Tommaso aveva nettamente distinto tra admiratio e stupor, osservando che mentre chi si meraviglia è spinto ad indagare, chi rimane stupefatto vi rinuncia. Dunque lo stupore risulta piuttosto un philosophicae considerationis impedimentum\" (cfr. Summa Theologiae, Ia- IIae, q. 41, a. 4, ad 5m).", "labels": [[12, 14, "WORK_OF_ART"], [46, 69, "WORK_OF_ART"], [162, 170, "PER"], [188, 195, "PER"], [432, 448, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "artisticamente elaborati'. Il commento Busnelli rimanda ad Eneide I 494-5 dove Enea a Cartagine, prima di incontrare Didone, ammira stupefatto, nel tempio di Giunone, le pitture riproducenti episodi della guerra di Troia. Più calzante mi sembra un richiamo al passo delLa composizione del mondo colle sue cascioni dove Ristoro parla de li savi artefici che fano la nobilissima operazione musaica, a adornare e a storiare le pareti e li pavimenti de li grandi imperatori e de li re\" con \"pezzoli de vetro endeorati\" e nota come \"gli altissimi maiestri entalliatori antichi ... per sutilità e per gli atti facieno smarrire e quasi uscire di sé li conoscitori\" (I vii 9; II i 1, pp. 11, 49). Una disposizione degli interni particolarmente fastosa, ricca di ornamenti preziosi e automi meccanici era stata effettivamente utilizzata dagli imperatori bizantini per stupire diplomatici ed invitati stranieri, come nel caso di Liutprando da Cremona (cfr. Liudprandi Cremonensis, Antapodosis VI 5, ed. Chiesa, p. 147).", "labels": [[59, 65, "WORK_OF_ART"], [79, 83, "PER"], [86, 95, "LOC"], [117, 123, "PER"], [158, 165, "PER"], [205, 220, "WORK_OF_ART"], [919, 940, "PER"], [947, 969, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sulla dolcezza dei versi di Stazio cfr. Pg XXI 88-9 Tanto fu dolce mio vocale spirto / che, tolosano, a sé mi trasse Roma\". Della dolcezza della poesia di Stazio, proprio in relazione alla Tebaide, aveva parlato Giovenale nella settima Satira, ai versi 82-5.", "labels": [[28, 34, "PER"], [40, 42, "WORK_OF_ART"], [155, 161, "PER"], [189, 196, "LOC"], [212, 221, "PER"], [236, 242, "PER"]]} +{"text": "'si mantennero fissi, come per mantenersi al sicuro'. Cfr. Tebaide I 536-9.", "labels": [[59, 66, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "nel caso di qualsiasi azione turpe è turpe anche il solo parlarne. Come convincentemente dimostra Marchesi contro l'opinione comune dei commentatori il testo di riferimento non è il Trésor, ma proprio il De officiis di Cicerone I, 35, 127, quodque facere non turpe est, modo occulte, id dicere obscaenum est\" (Marchesi 2001, pp. 98-99).", "labels": [[182, 188, "WORK_OF_ART"], [204, 215, "WORK_OF_ART"], [219, 229, "PER"], [310, 318, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sempre nello stesso episodio della Tebaide' (cfr. I, 671 sgg.).", "labels": [[35, 42, "PER"]]} +{"text": "inizialmente esitò a rispondere' (cfr. Tebaide I, 671-678 Tu pande quis Argos advenias ... / Deiecit maestos extemplo Ismenius heros / in terram vultus ... / Tum longa silentia movit... / unde genus, quae terra mihi, quis defluat ordo / sanguinis antiqui piget inter sacra fateri\".", "labels": [[39, 48, "PER"], [72, 77, "WORK_OF_ART"], [118, 132, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'Giocasta' (cfr. Tebaide I 679-681 Sed si praecipitant miserum cognoscere curae / Cadmus origo patrum, tellus Mavortia Thebae / et genetrix Jocasta mihi\").", "labels": [[17, 24, "PER"]]} +{"text": "sul ruolo del colore\" nella valutazione della bellezza cfr. il De civitate Dei di Agostino (XXII 19, p. 838) \"Omnis ... corporis pulchritudo est partium congruentia cum quadam coloris suavitate\", ripreso da Tommaso nella Summa Theologiae (IIa IIae, q. 145, a. 2) \"pulchritudo corporis in hoc consistit, quod homo habeat membra corporis bene proportionata cum quadam debiti coloris claritate\" (cfr. Cv I v 13).", "labels": [[63, 78, "WORK_OF_ART"], [82, 90, "PER"], [207, 214, "PER"], [221, 237, "WORK_OF_ART"], [398, 400, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cercare (ciò che appare bene) ed evitare (ciò che appare male)'. I termini prosecutio e fuga erano presenti nella traduzione latina dell' Etica Nicomachea proprio per indicare i due atteggiamenti fondamentali del desiderio. (VI 2, 1139 a 21-22).", "labels": [[138, 154, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "questa distinzione interna alla facoltà del desiderio non è in sé aristotelica; risalente alla psicologia platonica della Repubblica e pervenuta al medioevo latino tramite fonti secondarie è stata utilizzata dai teologi molto prima della conoscenza dell' Etica Nicomachea. Tommaso la fa propria in questi termini: \"Necesse est quod in parte sensitiva sint duo appetitivae potentiae: una per quam anima simpliciter inclinatur ad prosequendum ea quae sunt convenientia secundum sensum et ad refugiendum nociva, et haec dicitur concupiscibilis; alia vero per quam animal resistit impugnantibus, quae convenientia impugnant et nocumenta inferunt, et haec vocatur irascibilis (Summa Theologiae, I, q. 81, a. 2).", "labels": [[122, 132, "LOC"], [255, 271, "WORK_OF_ART"], [273, 280, "PER"], [672, 688, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'è bene che obbedisca alla ragione'. Aristotele parla del desiderio come di un qualcosa che, a differenza della facoltà nutritiva, è capace di dare ascolto e di obbedire alla ragione (cfr. Eth. Nic. I 13, 1102 a 27 sgg.).", "labels": [[37, 47, "PER"], [189, 192, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'bisogna combattere' (\"pungare\": pugnare). L'idea di combattimento è effettivamente collegata a quella della 'vis irascibilis'. Come dice ancora Tommaso, essa deve vincere tutto ciò che ostacola la ricerca della 'vis concupiscibilis', sia quando questo \"convenientibus impedimentum praebet\", che quando \"nocumenta ingerit\" (cfr. Summa Theologiae, cit.). In questa presentazione delle virtù proprie della giovinezza Dante identifica fortezza con magnanimità, virtù che nell'elenco di Cv IV 17 erano state correttamente distinte.", "labels": [[145, 152, "PER"], [329, 345, "WORK_OF_ART"], [415, 420, "PER"], [483, 485, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'in quella sezione dell'Eneide che sta a significare la juventus'. Anche nell' interpretazione di Fulgenzio i libri quarto, quinto e sesto corrispondono alla juventus, ma il nome è equivoco: nella Vergiliana continentia essa corrisponde piuttosto alla adolescentia dello schema dantesco. In ogni modo qui Dante torna a quel figurato che di questo diverso processo dell'etadi tiene Virgilio nello Eneida\" prima escluso in Cv IV xxiv 9.", "labels": [[24, 30, "WORK_OF_ART"], [98, 107, "PER"], [197, 219, "WORK_OF_ART"], [305, 310, "PER"], [381, 389, "PER"], [396, 402, "WORK_OF_ART"], [421, 423, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eneide VI 98 sgg. Anche questa interpretazione di Dante si discosta da quella di Fulgenzio che nella discesa all'Ade di Enea vede la figura non della Fortezza, ma della iniziazione ai segreti della sapienza.", "labels": [[5, 11, "WORK_OF_ART"], [55, 60, "PER"], [86, 95, "PER"], [118, 121, "WORK_OF_ART"], [125, 129, "PER"], [155, 163, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "aiutato'. Cfr. gli Economici pseudoaristotelici I 2, 1343 b 20-23.", "labels": [[19, 47, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "esercitandosi nelle armi' (il termine è tipico delle giostre e dei tornei). Per l'episodio in cui Enea, dopo l' incendio di gran parte delle navi (provocato su istigazione di Giunone da parte delle stesse donne troiane) decide di lasciare in Sicilia, sotto la protezione di Aceste, le donne e i vecchi, cfr. Eneide V 604 sgg. Per gli armeggiamenti\" dei giovinetti troiani capeggiati da Ascanio a conclusione dei giochi funebri in onore di Anchise, vedi ivi, 545-603. Anche in questi casi l'interpretazione figurale si distacca dal modello di Fulgenzio e sembra creazione originale di Dante.", "labels": [[98, 102, "PER"], [175, 182, "PER"], [242, 249, "LOC"], [274, 280, "PER"], [308, 314, "WORK_OF_ART"], [388, 395, "PER"], [441, 448, "PER"], [544, 553, "PER"], [586, 591, "PER"]]} +{"text": "cfr. Eneide VI 183 sgg.", "labels": [[5, 11, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "l'appellativo di rex viene dato ad Enea nel discorso di Ilioneo a Didone. Cfr. Eneide I 544-5, versi citati anche in Mn II iii 8.", "labels": [[35, 39, "PER"], [56, 63, "PER"], [66, 72, "PER"], [79, 85, "WORK_OF_ART"], [117, 119, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Eneide V 42 sgg.", "labels": [[5, 11, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. De senectute x 33 Cursus est certus etatis et una via naturae, eaque simplex, suaque cuique parti aetatis tempestivitas est data\".", "labels": []} +{"text": "la definizione dell'uomo come 'animal civile' (civile è la traduzione del greco politikón) è presente in Politica I 2, 1253 a 3, ma Dante avrebbe potuta leggerla sia in florilegi come le Auctoritates Aristotilis (p. 252, n. 3) sia soprattutto in un testo a lui sicuramente noto come il commento di Tommaso all'Etica Nicomachea dove l'Aquinate la collegava al dovere di giovare non solo a se stessi, ma anche agli altri (I, lectio 9, n. 112 quia homo est animal civile ... ideo non sufficit suo desiderio quod sibi provideat, sed etiam quod possit aliis providere\" ).", "labels": [[105, 113, "WORK_OF_ART"], [132, 137, "PER"], [187, 211, "WORK_OF_ART"], [298, 305, "PER"], [310, 326, "WORK_OF_ART"], [334, 342, "PER"]]} +{"text": "riteneva di esser nato per il bene di' (Dante riassume qui i versi 380-383 del secondo libro della Farsaglia di Lucano dove Catone impersona in qualche modo i principi morali dello Stoicismo: ... hi mores, haec dura inmota Catonis / secta fuit, servare modum finemque tenere / naturamque sequi patriaeque inpendere vitam / nec sibi sed toti genitum se credere mundo\").", "labels": [[40, 45, "PER"], [99, 118, "WORK_OF_ART"], [124, 130, "PER"], [181, 190, "PER"], [224, 231, "PER"]]} +{"text": "nel terzo libro dei Re' (nell'ordinamento attuale dei libri biblici si tratta del primo) Salomone, appena diventato re, chiede a Dio ed ottiene il dono di saper discernere il bene dal male, cioè la saggezza (cfr. Rg I, 3, 4 sgg.)", "labels": [[20, 22, "PER"], [213, 217, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Mt 10, 8 Gratis accepistis, gratis date\".", "labels": [[5, 7, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "del tutto particolare'. La giustizia, infatti, come dice l' Etica Nicomachea (V 1, 1130 a 8-9), è virtù perfetta che in qualche modo comprende tutte le altre. Cfr. Cv IV xvii 4-6.", "labels": [[60, 76, "WORK_OF_ART"], [164, 166, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "dal latino senex, vecchio (l'etimologia già in Cicerone, De senectute vi 19).", "labels": [[47, 55, "PER"], [57, 69, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "bisogna donare tenendo conto delle circostanze'. Che la virtù della liberalitas consista nel donare non in maniera indiscriminata, ma tenendo conto delle persone a cui si dona, del tempo e del modo in cui si dona era stato detto appunto da Aristotele (cfr. Eth. Nic. IV 2, 1120 a 23-26) e da Cicerone (cfr. De officiis I, 14, 42-44 ).", "labels": [[240, 250, "PER"], [257, 260, "WORK_OF_ART"], [292, 300, "PER"]]} +{"text": "secondo le regole della natura' (regole che in alcuni casi particolari possono anche esser modificate da un intervento divino; ad esempio Gesù è stato sicuramente saggio e giusto anche nella sua adolescenza e nella sua giovinezza). Facendo della liberalitas un segno della nobiltà cosi come si manifesta nella terza età della vita, Dante contrappone la vecchiaia dell'uomo nobile a quella comunemente descritta dalla pubblicistica del suo tempo. Che la vecchiaia fosse caratterizzata dall'avarizia (mentre dei giovani è propria la larghezza\") era infatti convinzione della cultura delle scuole che aveva alle spalle quanto detto da Aristotele nell' Etica Nicomachea (IV, 1, 1121 b 13-14) e nella Retorica (II, 13, 1389 b 27-29): sia Tommaso che Egidio Romano avevano ripetuto ed ampliato queste notazioni (cfr. il commento di Tommaso all' Etica IV, lectio 4, n. 687 e il De regimine principum I iv 3 Qui mores senum sunt vituperabiles, pp. 195-199 ). Per un'analoga caratterizzazione in Boncompagno da Signa vedi nota a Cv IV xxvii 16).", "labels": [[138, 142, "PER"], [332, 337, "PER"], [632, 642, "PER"], [649, 665, "WORK_OF_ART"], [696, 704, "WORK_OF_ART"], [733, 740, "PER"], [745, 758, "PER"], [826, 833, "PER"], [839, 847, "WORK_OF_ART"], [871, 894, "WORK_OF_ART"], [987, 1007, "WORK_OF_ART"], [1020, 1022, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "senza nemmeno aver tolto quei segni (croci o monogrammi ricamati) che la fanno riconoscere come oggetto di chiesa'. Che non è veramente liberale chi dà prendendo non dal proprio patrimonio ma da quello degli altri era stato affermato in Eth. Nic. IV 1, 1120 a 30 - b 5 e nel medesimo contesto Aristotele aveva parlato di tiranni che traggono dal saccheggio delle città e dei templi le ricchezze che serviranno alle loro messioni\". Ma quello che nel filosofo greco è una descrizione tranquillamente oggettiva diventa in Dante una dura condanna. L' invettiva è chiaramente modellata sui 'guai a voi' biblici: cfr. Is, 10, 30 e 31; Am, 6, ma soprattutto Mt 23, 14 sgg. Per i tiranni, poi, non è da escludere che, oltre ai signori cittadini (per cui Cv IV vi 20 e nota al testo) essi comprendano anche membri della aristocrazia feudale, dagli Este ai Pazzi (cfr. If XII 109-111,137). In ogni caso, sono i rappresentanti di una situazione dove i giusti rapporti politici sono sconvolti e chi dovrebbe esercitare il potere entro un sistema gerarchico ed armonioso di regole si comporta ormai come un ladro di strada.", "labels": [[237, 240, "WORK_OF_ART"], [293, 303, "PER"], [519, 524, "PER"], [651, 653, "WORK_OF_ART"], [746, 748, "WORK_OF_ART"], [839, 852, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. De officiis I, 14, 43: Sunt ... multi et quidem cupidi splendoris et gloriae qui eripiunt aliis quod aliis largiantur, iique arbitrantur se beneficos in suos amicos visum iri, si locupletent eos quacumque ratione. Id autem tantum abest ab officio, ut nihil magis officio possit esse contrarium\".", "labels": []} +{"text": "il testo comunemente riportato dai commentatori è De senectute xiv 46 Ego vero propter sermonis delectationem tempestivis quoque conviviis delector ... habeoque senectuti magnam gratiam, quae mihi sermonis aviditatem auxit, potionis et cibi sustulit\". Come ben si vede non si tratta però di una citazione letterale.", "labels": [[50, 66, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Metamorfosi VII 490-664.", "labels": [[5, 16, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "e non ci sarebbero scuse per un rifiuto'. Dante traduce qui i vv. 507-511 del settimo libro delle Metamorfosi (Ne petite auxilium, sed sumite -dixit- Athenae. / Nec dubie vires quas haec habet insula vestras / ducite, et omnia quae rerum status iste mearum. / Robora non desunt; superat mihi miles et hosti/ Gratia Dis, felix et inescusabile tempus\"), ma legge un testo diverso da quello delle moderne edizioni critiche, un testo che probabilmente aveva \"dubias\" al posto di \"dubie\", \"dicite\" al posto di \"ducite\", \"hostis grandis\" al posto di \"hosti gratia dis\" .", "labels": [[42, 47, "PER"], [150, 157, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "sui tre figli di Eaco cfr. Metamorfosi VII 476-479. Che Aiace fosse figlio di Telamone e Achille di Peleo Dante poteva leggerlo invece in Metamorfosi XII 624 e 619; con tutta probabilità, però, egli utilizzava una delle note riassuntive che in molti manoscritti medievali corredavano il testo di Ovidio, se non direttamente quella che conosciamo dal Laurenziano Marciano 238 : Eacus ... concubuit cum Sarmace et inde nati sunt Phocus et Peleus et Telamon. Peleus fuit pater Achillis, Telamon Aiacis\" (cfr. Robson 1980, p. 88)", "labels": [[17, 21, "PER"], [56, 61, "WORK_OF_ART"], [78, 86, "PER"], [89, 96, "PER"], [100, 105, "WORK_OF_ART"], [106, 111, "PER"], [138, 149, "WORK_OF_ART"], [296, 302, "PER"], [350, 370, "WORK_OF_ART"], [485, 499, "PER"], [507, 513, "PER"]]} +{"text": "cfr. De senectute xix.71 \"Quae (scilic. maturitas) quidem mihi tam iucunda est, ut, quo propius ad mortem accedam, quasi terram videre videar, aliquandoque in portum ex longa navigatione esse venturus\".", "labels": []} +{"text": "cfr. De juventute et senectute 17, 479 a 20 -21 Sine dolore est que in senectute mors\". L'immagine del frutto maturo che si stacca senza sforzo dal ramo è presente nello stesso brano del De senectute di Cicerone citato al paragrafo precedente:\"et quasi poma ex arboribus cruda si sunt, vix evelluntur, si matura et cocta, decidunt, sic vitam adolescentibus vis aufert, senibus maturitas", "labels": [[5, 30, "WORK_OF_ART"], [187, 211, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "'mettendo queste parole sulla bocca di Catone il censore'. Cfr. De senectute xxiii. 83 Equidem efferor studio patres vestros, quos colui et dilexi, videndi, neque vero eos solos convenire aveo quos ipse cognovi, sed illos etiam de quibus audivi et legi et ipse conscripsi\" (il \"pare già vedere\" è un'aggiunta dantesca al passo di Cicerone. La lacuna di archetipo qui presente è stata sanata dall'editore sul fondamento del testo latino citato).", "labels": [[39, 45, "PER"], [330, 338, "PER"]]} +{"text": "nella propria dimora stabile, cioè il cielo, opposta alla precarietà dell'albergo, cioè sia il corpo che la terra (cfr. Io 14, 2: in domo Patris mei mansiones sunt multae\").", "labels": [[120, 122, "WORK_OF_ART"], [138, 148, "PER"]]} +{"text": "'deponendo'. Che Lancillotto, alla fine della vita, si sia ritirato in un romitaggio, come dice uno dei romanzi del ciclo, La mort le roi Arthur, è notizia essa stessa romanzesca. L'entrata di Guido da Montefeltro nell'ordine francescano è invece, come abbiamo visto, un dato storico. Ma i due personaggi erano, sia pure per vie diverse, assai noti al pubblico di principi, baroni, cavalieri e molt'altra nobile gente\" cui Dante vuole rivolgersi (cfr. Cv I ix 5) e, sicuramente nel caso di Lancillotto, \"non solamente maschi, ma femmine\" (cfr. le parole di Francesca in If V 127-8 \"Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse\"). Si trattava dunque di due casi esemplari di nobili di stirpe che erano anche nobili di natura (e la dizione \"questi nobili\" a loro applicata mi sembra volutamente ambigua). E' stato ovviamente da tutti sottolineato come Dante abbia poi posto Guido nell'Inferno, tra i consiglieri frodolenti. A lui stesso viene fatta raccontare la scena che rappresenta icasticamente proprio l'inutilità del suo 'essersi reso a religione': San Francesco, di cui era cordigliero, viene a prendere la sua anima al momento della morte, ma si ritira sconfitto da un \"nero cherubino\" che la rivendica giustamente a sé (If XVII 112-120). Interessante è vedere come Dante ponga sulle labbra di Guido dannato la stessa metafora che nel Convivio era stata usata a sua lode: \"Quando mi vidi giunto in quella parte / di mia etade ove ciascun dovrebbe / calar le vele e raccoglier le sarte ...\".", "labels": [[17, 28, "PER"], [123, 144, "WORK_OF_ART"], [193, 213, "PER"], [423, 428, "PER"], [452, 454, "WORK_OF_ART"], [490, 501, "PER"], [557, 566, "PER"], [881, 886, "PER"], [903, 921, "PER"], [1085, 1098, "WORK_OF_ART"], [1305, 1310, "PER"], [1333, 1338, "PER"], [1374, 1382, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "Dante traduce Rm 2, 28-29 Non ... qui in manifesto, Iudaeus est, neque quae manifesto in carne est circumcisio, sed qui in abscondito Iudaeus est, et circumcisio cordis in spiritu, non littera; cuius laus non ex hominibus, sed ex Deo est\". Nonostante i tentativi di Busnelli volti a ricondurre il testo entro una tranquilla ortodossia, l'interpretazione che Dante offre di questo brano della Lettera ai Romani è assolutamente originale: tutti i commentatori medievali, da Ruperto di Deutz a Pier Lombardo, compreso lo stesso Abelardo, lo hanno infatti strettamente mantenuto nel contesto paolino, semmai accentuandone gli aspetti antigiudaici. Non solo: l'originalità della lettura che ne dà il Convivio va in una direzione che rompe con l'intera tradizione: monastica all'origine, ma fatta propria anche dai nuovi ordini mendicanti, la teologia degli 'stati di vita' poneva la professione religiosa, con tutti i suoi voti e le sue manifestazioni esteriori (compreso l'abito), al di sopra della vita matrimoniale dei laici, considerandola la via regia della perfezione e della salvezza. Dire che Dio in noi di religioso ha voluto solo il cuore e che anche sposati si può avere accesso ad una 'buona religione' significa dare ai termini un significato del tutto nuovo e, diciamolo pure, rivoluzionario.", "labels": [[0, 5, "PER"], [14, 16, "WORK_OF_ART"], [52, 63, "WORK_OF_ART"], [134, 145, "WORK_OF_ART"], [266, 274, "WORK_OF_ART"], [358, 363, "PER"], [392, 409, "WORK_OF_ART"], [472, 488, "PER"], [491, 504, "PER"], [525, 533, "PER"], [695, 703, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "questa Marzia significa l'anima nobile. Si tratta, storicamente, di una complicata vicenda matrimoniale dell'alta società romana verso la fine della Repubblica in cui una nobile fanciulla della famiglia Marcia viene prima sposata da Marco Porcio Catone (il futuro Uticense), è poi ceduta, consenziente, all'oratore Quinto Ortensio, e infine torna al primo marito. La trattazione di Lucano nella Farsaglia (II 327 sgg.) già trasfigurava il dato di cronaca in un dramma psicologico, presentando una Marzia fedele al primo matrimonio che il ricordo e il rimpianto spingono, dopo la morte del secondo marito, a chiedere con accenti patetici a Catone di prenderla di nuovo con sé. Infine, in Dante, un fatto, legale sì, ma abbastanza scandaloso anche per i parametri del tempo e della società in cui avveniva diventa un ammaestramento in cui Marzia rappresenta appunto l'anima nobile e Catone addirittura Dio. Ci troviamo, in questo caso, nonostante il testo da interpretare sia quello di un poeta, davanti ad un tipico esempio di allegoria dei teologi dove le peripezie di personaggi reali sono figura\" di realtà più alte.", "labels": [[7, 13, "ORG"], [149, 159, "LOC"], [233, 252, "PER"], [264, 272, "WORK_OF_ART"], [315, 330, "PER"], [382, 388, "PER"], [395, 404, "WORK_OF_ART"], [497, 503, "WORK_OF_ART"], [639, 645, "PER"], [687, 692, "PER"], [837, 843, "PER"], [881, 887, "PER"]]} +{"text": "cfr. Farsaglia, II 338-339 Dum sanguis inerat, dum vis materna, peregi /iussa, Cato ...\".", "labels": [[5, 14, "WORK_OF_ART"], [79, 83, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Farsaglia II, 339 et geminos excepi feta maritos", "labels": [[5, 17, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Farsaglia II 340-341 Visceribus lassis partuque exhausta revertor / iam nulli tradenda viro", "labels": [[5, 14, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Farsaglia II 341-343 Da foedera prisci / inlibata thori; da tantum nomen inane / connubii\".", "labels": [[5, 14, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "non si tratta di una citazione diretta, ma di una parafrasi dei vv. 343-345 sempre del secondo libro della Farsaglia liceat tumulo scripsisse: Catonis / Marcia: nec dubium longo quaeratur in aevo /mutarim primas expulsa an tradita taedas\".", "labels": [[107, 130, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "come abbiamo già avuto modo di notare (cfr. Cv IV ii 17 e nota) la metafora nuziale per indicare il rapporto dell'anima con Dio, basata su un'interpretazione allegorica del Cantico dei Cantici, è comune nella cultura medievale.", "labels": [[44, 46, "WORK_OF_ART"], [173, 192, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "in questo caso Dante, pur tagliando e parafrasando, dimostra una conoscenza piuttosto precisa della ottava satira (specialmente per i vv. 1- 55).", "labels": [[15, 20, "PER"]]} +{"text": "che valore hanno questi onori (cfr. Satira VIII 1 Stemmata quid faciunt? ...\". In realtà il termine stemmata che originariamente indica i serti di foglie che univano i busti di cera degli antenati esposti nelle dimore delle nobili famiglie romane, già nell'uso del latino classico, e anche in Giovenale, sta per 'alberi genealogici'.", "labels": [[36, 42, "WORK_OF_ART"], [293, 302, "PER"]]} +{"text": "'si conduce una vita moralmente cattiva' (Satira VIII 9 \"si coram Lepidis male vivitur ?\".", "labels": [[42, 48, "WORK_OF_ART"]]} +{"text": "cfr. Satira VIII, 30-32 ...quis enim generosum dixerit hunc qui / indignus genere et praeclaro nomine tantum/ insignis? nanum cuiusdam Atlanta vocamus\".", "labels": [[5, 16, "PER"]]} +{"text": "cfr. Satira VIII, vv. 54-55 \"Nullo quippe alio vincis discrimine, quam quod / illi marmoreum caput est, tua vivit imago\".", "labels": [[5, 16, "PER"]]} +{"text": "in un insieme costituito per giustapposizione di parti capaci di esistere separatamente (in questo caso una massa di grano) chi possiede in senso proprio e primario una sua essenza (vera e prima essenza\") sono le singole parti (in questo caso i singoli chicchi); il tutto invece ha un'essenza solo in senso derivato (\"essenza secondaria\"); di un tale tipo di insieme (\"in questo tutto cotale\") le proprietà (\"le qualitadi\") delle singole parti si predicano (\"si dicono essere) nel medesimo senso derivato dell'essenza (\"così secondariamente come l'essere\"). L' esempio di un tutto che vien detto bianco in base al colore del maggior numero delle sue parti è in Phys. VI 9, 240 a 19-26.", "labels": [[661, 665, "PER"]]} +{"text": "e come risposta al secondo problema questo può bastare'. Le due questioni finali non hanno alcun punto di appoggio nel testo della canzone e soprattutto la seconda, con la sua soluzione, dimostra un approccio al tema della nobiltà delle stirpi sicuramente meno radicale di quello espresso dai versi 112-113 di Le dolci rimed'amor ch'io solía. La 'virtus generis' in qualche modo esiste anche se non con la forza di una struttura ontologica, ma nel modo più debole di una tendenza statistica. Come dice Pietro d'Alvernia, commentando Pol. IV, 8, 1294 a 2022: Nobilitas ... est virtus generis, hoc est inclinatio ad virtutem descendens a parentibus in filios, et in parentes ab aliis prioribus\" (in Tommaso d'Aquino, In octo libros Politicorum Aristotelis expositio, IV, lectio 7, n. 612). Anche se una 'inclinatio naturalis' può esser frustrata, per lo più ('ut in pluribus') produrrà i suoi effetti. Nella Monarchia Dante sarà esplicito in questo senso, distinguendo due tipi di nobiltà (\" merito virtutis nobilitantur homines, virtutis videlicet propriae vel maiorum\") e presentando Enea come colui in cui esse si congiungono in maniera perfetta (II, 3).", "labels": [[502, 519, "PER"], [533, 536, "PER"], [697, 713, "PER"], [906, 921, "WORK_OF_ART"], [1084, 1088, "PER"]]} +{"text": "se si interpreta disviano\" come \"si allontanano\" dovremmo pensare che per Dante la Summa contra Gentiles fosse diretta in primo luogo contro gli eretici e gli scismatici. L' intento dell'opera (iniziata nel 1259 alla fine del primo soggiorno parigino, e completata in Italia verso il 1263-64) sembrerebbe piuttosto quello di difendere razionalmente le verità della fede contro tutte le obiezioni provenienti da culture e pensatori non cristiani (ebrei, musulmani, filosofi pagani, le gentes, appunto. Cfr. Torrell 1993, pp. 153-156).", "labels": [[74, 79, "PER"], [83, 104, "WORK_OF_ART"], [268, 274, "LOC"], [506, 513, "PER"]]} +{"text": "nel Vangelo di Matteo 7, 6: \"... neque mittatis margaritas vestras ante porcos\".", "labels": [[4, 14, "MISC"]]} +{"text": "Dante utilizza qui una delle raccolte di favole esopiche che circolavano nel Medioevo, probabilmente quella composta da Gualtiero Anglico in distici elegiaci (e questo spiegherebbe perché Esopo viene considerato poeta).", "labels": [[0, 5, "PER"], [77, 85, "WORK_OF_ART"], [120, 137, "PER"], [188, 193, "PER"]]} diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/std_convivio.json b/commentaries/data_parsed/doccano_data/std_convivio.json new file mode 100644 index 0000000..83dc8ae --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/std_convivio.json @@ -0,0 +1 @@ +{"text": "sono le parole con cui si apre la Metafisica di Aristotele (I 1, 980a 21) il Filosofo per antonomasia in tutta la produzione filosofica e teologica del tardo Medioevo. Il sintagma prima Filosofia" verrà applicato da Dante alla Metafisica in Cv II xiii 8, ma esso è già presente nello stesso Aristotele per distinguere questa scienza dalla Fisica, filosofia seconda (cfr. Metaph. VI 1, 1026 a 27-30). Prima e seconda hanno qui valore assoluto ed indicano il grado di dignità nella gerarchia delle scienze. La Metafisica infatti si occupa sia dell'essere in assoluto che di quel particolare tipo di enti (gli enti divini) che è causa dell'essere per tutti gli altri. Venire dopo la Fisica (questo infatti significa in greco Metafisica) significa allora essere al vertice del sistema del sapere. Dal punto di vista della nostra conoscenza e del nostro apprendimento il rapporto però si inverte e la Metafisica viene dopo la Fisica nel senso che non può essere padroneggiata senza una previa conoscenza del mondo fisico. Con la frase iniziale del Convivio si aprono molti dei commenti aristotelici del XIII secolo (per esempio ben Gianfranco Fioravanti, Sermones in lode della Filosofia e della Logica a Bologna nella prima metà del XIV secolo, in AAVV, L'insegnamento della logica a Bologna nel XIV secolo a cura di Dino Buzzetti, Maurizio Ferriani, Andrea Tabarroni, Presso l' Istituto per la storia dell' Università di Bologna, Bologna 1992. undici dei tredici commenti di Tommaso. Cfr. Cheneval - Imbach 1993). Essa era comunque diventata il vessillo di battaglia dei maestri parigini di filosofia della seconda metà del '200, che la utilizzavano nei loro scritti per fondare e difendere la dignità superiore del filosofare. Usandola Dante dimostra così fin dall'inizio di volersi mantenere al livello della cultura alta ed universitaria.", "labels":[[34, 47, "MISC"], [48, 58, "PER"], [77, 85, "PER"], [158, 166, "LOC"], [186, 195, "PER"], [216, 221, "PER"], [227, 254, "MISC"], [292, 302, "PER"], [340, 346, "ORG"], [373, 379, "MISC"], [402, 407, "MISC"], [510, 520, "ORG"], [682, 688, "ORG"], [725, 735, "MISC"], [900, 910, "ORG"], [925, 931, "ORG"], [1047, 1057, "MISC"], [1132, 1153, "PER"], [1155, 1163, "PER"], [1178, 1187, "ORG"], [1196, 1202, "LOC"], [1205, 1212, "LOC"], [1249, 1253, "ORG"], [1255, 1282, "MISC"], [1285, 1292, "LOC"], [1318, 1331, "PER"], [1333, 1350, "PER"], [1352, 1368, "PER"], [1381, 1408, "MISC"], [1410, 1431, "LOC"], [1433, 1440, "LOC"], [1479, 1486, "PER"], [1493, 1515, "MISC"], [1741, 1746, "PER"]]} \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/doccano_data/testfrom_doccano_hdn1.json b/commentaries/data_parsed/doccano_data/testfrom_doccano_hdn1.json new file mode 100644 index 0000000..8f1e9c8 --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/doccano_data/testfrom_doccano_hdn1.json @@ -0,0 +1 @@ +{"id": 2227, "text": "per Brugnoli il solenne incipit ricalca certamente Sallustio, Catilinae coniuratio, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit; il luogo era noto a Dante probabilmente attraverso monita o forse per un tramite simile a Isidoro, Etymologiae, XI 15 che pure riporta in parte e per lo stesso scopo di D. il prologo di Sallustio (Giorgio Brugnoli, Sallustio Crispo, Caio, in ED, IV, 1973, p. 1077)", "meta": {}, "annotation_approver": "admin", "labels": [[4, 12, "LOC"], [51, 60, "PER"], [307, 312, "PER"], [377, 384, "PER"], [473, 482, "PER"], [484, 500, "PER"], [386, 397, "WORK_OF_ART"], [456, 458, "PER"], [529, 531, "WORK_OF_ART"], [62, 82, "WORK_OF_ART"], [502, 524, "PER"]]}{"id": 2230, "text": "la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. 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NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7"". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di Pg XXV 70 rinvia Kay: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in VE I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",prologo della Metafisica aristotelica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7"". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di Pg XXV 70 rinvia Kay: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in VE I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",si legge tanto in Graziano quanto in Accursio,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7"". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di Pg XXV 70 rinvia Kay: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in VE I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",si legge tanto in Graziano quanto in Accursio,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Psalmorum_libro_exegesis_(Beda_il_Venerabile),De psalmorum libro exegesis,Beda il Venerabile,http://dbpedia.org/resource/Bede,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)",1181 a,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","D 78, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_Evangelia_S._Matthaei_et_S._Joannis_commentaria(Tommaso),In Evangelia S. Matthaei et S. Joannis commentaria,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PUBLICE UTILITATI,"alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di publice in E, come se il suo codice avesse posteritati traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la ratio del ius publicum nella partizione scolastica di pubblico e privato in Inst. 1, 1, § 4 e in Dig. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (Vinay, Ronconi 1966), a pro del viver civile (Nardi), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (Imbach); the benefit of all (Shaw 2006). Pézard non traduce","Inst. 1, 1, § 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PUBLICE UTILITATI,"alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di publice in E, come se il suo codice avesse posteritati traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la ratio del ius publicum nella partizione scolastica di pubblico e privato in Inst. 1, 1, § 4 e in Dig. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (Vinay, Ronconi 1966), a pro del viver civile (Nardi), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (Imbach); the benefit of all (Shaw 2006). Pézard non traduce","Dig. 1, 1, 1 § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","enciclica emanata per l'incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Exultet_in_gloria(Clemente_V),Exultet in gloria (Enciclica),Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","Decretum Gratiani: Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant (c. 15, C. XII, q",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretorum(Rufino),Summa decretorum,Rufino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rufino,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).",attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_christiano(Giacomo_da_Viterbo),De regimine christiano,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +IN HIIS ET SUPER HIIS,"l'Anonimo ha sopra tutti, Ficino in quelle cose. Così tra i moderni anche Nardi, tra quelle cose e su quelle cose, Imbach, in allem und über alles, e Shaw 1996, in those things and over those things. Non vedo ragioni per intendere in ciò e al di sopra di ciò (Marcelli-Martelli 2004), e meno che mai tra quelle istituzioni che si definiscono in un ambito temporale e tuttavia superiore ad esse, come traduce Pizzica 1988, che segue Ricci 1965 rinviando a Cv IV IV 7; l' però Dante, con trasparente allusione al principio romanistico Quod principi placuit, legis habet vigorem (Dig. 1, 4, 1 pr.: Mommsen-Krüger, I, p. 7), si limita a definire l'ufficio della maiestas imperiale come vertice del potere: E questo officio per eccellenza Imperio è chiamato, sanza nulla addizione, però che esso è di tutti li altri comandamenti comandamento. E così chi a questo officio è posto è chiamato Imperadore, però che di tutti li comandatori elli è comandatore, e quello che esso dice a tutti è legge, e per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade. E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade essere altissima nell'umana compagnia. Io penso invece a Cv IV IX 8-9, dove appunto si ricorda che all'imperatore si deve un'obbedienza legittima, cioè limitata alla sua iurisdictio (che non eccede il temporale): questo officiale [...] di cui si parla, cioè lo Imperadore, al quale tanto quanto le nostre operazioni propie, che dette sono, si stendono, siamo subietti; e più oltre no; cfr. più sotto, I XIV 7",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Exultet_in_gloria(Clemente_V),Exultet in gloria (Enciclica),Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +OMNIS VERITAS QUE NON EST PRINCIPIUM,"ogni verità che nonn-è prencipio (Ficino), ongni verità che non è principio (Anonimo). Così con pulizia anche Nardi: ogni verità che non sia un principio. Non si vede la necessità di tradurre ogni verità che non sia assiomatica (Pizzica 1988), troppo distante dalla terminologia dantesca; similmente Ronconi 1966: un postulato; Vinay preferisce parafrasare: Per risolvere tali problemi, la prima cosa da fare mi sembra sia ricercare un principio tale da poter fondare su di esso il seguito del discorso, allegando il commento tomista ai Secondi Analitici di Aristotele (99 b 20), sulla necessità, per ogni scienza dimostrativa, di procedere da proposizioni per sé evidenti: necesse est quod demonstrativa scientia, idest que per demonstrationem acquiritur, procedat ex propositionibus veris primis et immediatis idest que non per aliquod medium demonstrantur sed per seipsas sunt manifeste. Si tratta appunto di ciò che Dante chiama lo fondamento radicale in Cv IV IV 1 (cfr. sopra, I I 5) e intelletto / de le prime notizie in Pg XVIII 55-6. Cfr. la voce Proposizione di Barbara Faes de Mottoni, ED, IV, 1973, pp. 710-1; Kay allega a proposito la voce Principio di Alfonso Maierù, ivi, pp. 673-7 (pp. 675-6 per il luogo in esame); e cfr. del compianto studioso anche la già citata voce Verità, in ED, V, 1976, pp. 962-4",99 b 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_libri_Posteriorum_Analyticorum(Tommaso),Expositio libri Posteriorum Analyticorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRESENS TRACTATUS EST INQUISITIO QUEDAM,"qui tractatus ha il significato non generico di “raccolta ordinata di quaestiones intorno ad un unico soggetto”; stessa specificità ha il termine inquisitio, ""indagine"", ""inchiesta"", ""investigazione"" o solo ""inquisizione"" (Ficino e l’Anonimo, p. 129, conservano ""inquisitione"", ""inquisizione""), termine tecnico che allude al procedere del giudizio per quaestiones, tanto nel dominio della logica quanto in quello della prassi giudiziale (ordo iudiciorum); v. la voce Inquisizione, in ED, III, 1971, p. 458, a proposito del luogo in esame e con rimando a Cicerone, De officiis, I 4 13 (""veri inquisitio atque investigatio""). Vinay intende ""una ricerca sillogistica"", Ronconi 1966 ""una ricerca deduttiva"" e Sanguineti 1985 ""un’indagine sillogistica""; Kay spiega: ""an investigation that follows Aristotle’s scientific method""; eludono il senso tecnico dell’espressione la traduzione ""una qualche ricerca"" (Marcelli-Martelli 2004).",I 4 13,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SPECULARI ... OPERARI,"v. la voce Speculare di Emilio Pasquini, in ED, V, 1976, pp. 369-70. Vinay forza alquanto il testo col tradurre: ""vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico"". Spiega però opportunamente: ""È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica"". Nardi ricorda che ""per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a Conv., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica"". Si veda Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 16, Resp.: ""Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili"".",il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Introduzione_alla_logica(Avicenna),Introduzione alla logica,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SPECULARI ... OPERARI,"v. la voce Speculare di Emilio Pasquini, in ED, V, 1976, pp. 369-70. Vinay forza alquanto il testo col tradurre: ""vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico"". Spiega però opportunamente: ""È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica"". Nardi ricorda che ""per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a Conv., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica"". Si veda Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 16, Resp.: ""Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili"".","I, q. 14, a. 16, Resp.: Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".","Politica, 1279 a 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MOVET ENIM PRIMO AGENTEM,"come quello che per primo muove chi agisce (Nardi, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 674-5 e Imbach, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae","I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MOVET ENIM PRIMO AGENTEM,"come quello che per primo muove chi agisce (Nardi, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 674-5 e Imbach, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae",_EMPTY,CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha ultimus utilis e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; Nardi: ""se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; Imbach: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge ""la fin universelle du genre humain""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche Vinay ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia"".","De regimine principum ad regem Cypri, II 5: quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha ultimus utilis e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; Nardi: ""se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; Imbach: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge ""la fin universelle du genre humain""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche Vinay ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha ultimus utilis e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; Nardi: ""se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; Imbach: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge ""la fin universelle du genre humain""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche Vinay ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TOTUM HOMINEM,"tutto l'uomo (Nardi, che cita Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097 b 24-33), non l'uomo nella sua totalità (Pizzica 1988)",1097 b 24-33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +COMUNITATEM DOMESTICAM ... VICINIAM ... CIVITATEM ... REGNUM,"sull’importanza di questi passi e del ""procedimento astratto di ascesa dal particolare al generale"" v. la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, pp. 1356-7; qui così come in Mn I iii 4 e I v 6, vicinia non è il ""borgo"" (Vinay) o ""la struttura del borgo"" (Pizzica 1988), non la ""contrada"" (Sanguineti 1985) o il ""rione"" (Marcelli-Martelli 2004), e neppure ""il villaggio"" (Nardi; Imbach: ""ein Dorf""), se non come una “struttura sociale-giuridica”; è la vicinanza di Cv IV iv 2: ""E sì come un uomo a sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famiglia, così una casa a sua sufficienza richiede una vicinanza: altrimenti molti difetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. E però che una vicinanza [a] sé non può in tutto satisfare, conviene a satisfacimento di quella essere la cittade. Ancora la cittade richiede alle sue arti e alle sue difensioni vicenda avere e fratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto lo regno"". La matrice aristotelica ovviamente risalta (cfr. Aristotele, Politica, 1252 a 24 – 1253 b 37, e v. in proposito la voce Politica di Enrico Berti, ED, I, 1970, p. 585, che nota la stretta aderenza alla fonte, la cui diretta conoscenza è invece contestata da Gilbert 1928). Qui è tracciata una ""interessante gradatio"" (Bruno Basile, Vicinanza, in ED, V, 1976, p. 10002), una gradazione ascendente che implica una scala delle potestà: da quella esercitata nella domus e nella vicinia, fino alla civitas e al regnum. Sia pure rovesciandone la sequenza, la ricalca con evidenza Bartolo, a poco più di una generazione dalla morte di Dante, nel suo De tyranno (ed. Quaglioni 1983, pp. 175-213).",1252 a 24 § 1253 b 37,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +GENUS HUMANUM,"Vinay, pp. 16-7 nota 2, ricordando che su questo luogo, a pochissimi anni dalla morte di Dante, cominciò ad appuntarsi la polemica del Vernani (ed. Matteini 1958, pp. 10-6), avverte: Il passo va considerato attentamente perché essenziale ad una esatta interpretazione della Mon. D. dice che, come ogni membro del corpo umano risponde ad un fine diverso da quello delle sue parti, così la umanità risponde ad un fine diverso da quello dei singoli uomini e dei singoli raggruppamenti politico-sociali. Non so se tutto il ragionamento dantesco rientri, secondo parve al Vinay, come costruzione logica (non nei risultati a cui porta) nell'ortodossia tomistica, ma certo è utile il raffronto con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem","I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNIVERSALITER,"cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828. ARTE SUA, QUE NATURA EST: cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137","I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNIVERSALITER,"cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828.",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"ARTE SUA, QUE NATURA EST","cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137","Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +DEUS ET NATURA NIL OTIOSUM FACIT,"Aristotele, De caelo, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma cum Deus et natura in necessariis non deficiat. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso otiosum è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. Mn III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a ""indarno"", come in Cv III xv 8-9: ""A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato"". Pézard rimanda a Pd VIII 113-4: ""E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”""; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: ""La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati"". Cassell nota che ""Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, otiosum, instead of William of Moerbeke’s rendering, “frustra”, in the De cælo et mundo"".",271 a 33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DEUS ET NATURA NIL OTIOSUM FACIT,"Aristotele, De caelo, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma cum Deus et natura in necessariis non deficiat. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso otiosum è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. Mn III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a ""indarno"", come in Cv III xv 8-9: ""A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato"". Pézard rimanda a Pd VIII 113-4: ""E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”""; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: ""La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati"". Cassell nota che ""Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, otiosum, instead of William of Moerbeke’s rendering, “frustra”, in the De cælo et mundo"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_libros_Aristotelis_De_caelo_et_mundo_expositio(Tommaso),In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AD ALIQUAM OPERATIONEM,"l'espressione ha carattere tecnico. L'operatio è essenziale nella perfezione delle creature, come argomenta Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis","Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VIS ULTIMA,"in Ficino ""l’ultima forza"", nell’Anonimo ""potenzia ultima"". Vinay traduce ancora ""la proprietà specifica""; Pézard ""l’affaire dernière""; Ronconi 1966 e altri ""la massima facoltà""; Imbach ""die äußerste Kraft""; Gally 1993 ""la perfection suprême""; Kay ""the highest power"". Nardi interpreta ""l’ultimo grado della potenza"", spiegando, pp. 294-6: ""tutto il discorso che segue non è altro che una parafrasi, da parte di Dante, di quanto abbiamo udito da Aristotele [Ethica ad Nicomachum, 1097 b 33 – 1098 a 17], per stabilire quale operatio è propria dell’uomo sì da potersi dire ultimum de potentia hominis. Lo Stagirita [...] si limita ad osservare che operazione propria dell’uomo non è la vita vegetativa ch’esso ha comune con le piante, né quella sensitiva che ha comune con gli altri animali privi di ragione [...]. Col suo discorso, insomma, Dante non fa altro che ribadire il concetto aristotelico che l’opus e l’operatio propria dell’uomo è l’esse apprehensivum per intellectum possibilem. E qui si debbono richiamare quei luoghi del Convivio ove lo stesso concetto è affermato con insolite vigoria e vivacità sfuggite al Ricci, e cioè II, vii, 3-4, IV, vii, 11-5, a dimostrare che chi da ragione si diparte, “morto è uomo e rimaso bestia”"".",1097 b 33 - 1098 a 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +APPREHENSIVUM PER INTELLECTUM POSSIBILEM,"Vinay spiega con il Compendium Theologiae tomista che il termine apprehensivum ""indica la capacità elementare di accogliere in sé delle forme"" mediante le facoltà sensitive; quanto all’intelletto possibile, ""id per quod homo intelligit"", appunto giusta la dottrina tomista, ""come potenza ricettiva invece che attiva di forma, non può compiere esso il lavorio occorrente ad astrarre dalle forme ‘particulares’ i concetti, cioè gli universali, che solo esso può accogliere perché costituiscono ciò ch’è veramente intelligibile""; perciò è necessario porre un altro intelletto (l’intelletto agente), che renda intelligibili in atto le specie intelligibili in potenza (come la luce rende attualmente visibili i colori visibili solo potenzialmente, secondo esemplifica lo stesso Tommaso).",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INTELLECTUALES ET NON ALIUD,"traduco alla lettera, come del resto è già in Ficino (et none altro) e in molti dei moderni interpreti, a cominciare da Pézard; Gally 1993 ha uniquement intellectuelles, che echeggia il puramente intellettuali di Vinay, seguito da altri. Cfr. più oltre, I XII 5. Sono appunto queste le intelligenze angeliche che presiedono al moto dei corpi celesti, per le quali è d'obbligo il rimando a Cv II IV 1-17, dove Dante le definisce movitori [...] sustanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli, descrivendone il perfettissimo stato e affermando che lo 'ntelletto loro è uno e perpetuo, giacché esse non hanno altra operazione che l'intendere, come spiega Busnelli 1964 (I, p. 128), sottolineando una strettissima dipendenza di Dante dal Tommaso della Summa contra Gentiles, II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere. Per tutto ciò più in generale cfr. Bemrose 1983, p. 68. E","II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","I, q. 54, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","l. 2, c. 92",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: ""In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_substantiis_separatis_(Tommaso),De substantiis separatis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AVERROIS,"cfr. Commentum magnum in Aristotelis De anima libros, III 5, p. 410. ""La “sententia” sulla quale anche Averroè sarebbe d’accordo, è la necessità di una pluralità per l’attuazione della potenza intellettiva umana. D., credo, allude genericamente al principio basilare del commento al terzo libro del De anima che la “continuatio” dell’intelletto separato con l’indivisuo avviene per mezzo delle “intentiones imaginatae”, donde la necessità di una esperienza molteplice senza la quale si cade nell’assurdo di una forza che non è forza di nulla"" (Vinay).","III 5, p. 410",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_al_De_anima(Averroè),Commento al De anima,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITICA PRUDENTIA,"non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. Prudenza di Philippe Delhaye, in ED, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c",1140 b 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITICA PRUDENTIA,"non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. Prudenza di Philippe Delhaye, in ED, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c","IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SEDENDO ET QUIESCENDO,"Aristotele, Physica, 243 b 11-2: ""sedendo e riposando l’anima diventa sapiente e prudente"". Si suole ricordare che questa fu la risposta data a Dante, che lo aveva rimproverato per la sua pigrizia, dal liutaio Belacqua (v. la relativa voce di Francesco Salsano, in ED, I, 1970, pp. 556-8, e cfr. Carpi 2004, I, p. 141 e p. 286), di cui Dante traccia un sapido ritratto in Pg IV 97-139, in part. vv. 109-11: ""“O dolce segnor mio”, diss’io, “adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia”"". L’aneddoto, dell’Anonimo Fiorentino, è nel commento della Chiavacci Leonardi 1994, p. 128: ""Questo Belacqua fu uno cittadino da Firenze, artefice, e facea cotai colli di liuti e di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli veniva la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l’Auttore fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua negligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose con le parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l’Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te"". Ed è forse in questo contesto che occorre collocare la frase con cui Belacqua interrompe il colloquio di Dante e Virgilio nella penosa ascesa della montagna del Purgatorio, ai vv. 97-9: ""E com’elli ebbe sua parola detta, / una voce di presso sonò: “Forse / che di sedere in pria avrai distretta!”"".",243 b 11-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PRUDENTIA ET SAPIENTIA,"cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp., dov'è allegato Aristotele, Metaphysica, 982 a 8. In Cv IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. Vinay ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus testimoniorum, v. Prudentia est: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [Dig. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [Dig. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)","IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRUDENTIA ET SAPIENTIA,"cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp., dov'è allegato Aristotele, Metaphysica, 982 a 8. In Cv IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. Vinay ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus testimoniorum, v. Prudentia est: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [Dig. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [Dig. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)",982 a 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN QUIETE SIVE TRANQUILLITATE PACIS,"vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società"" (Vinay), ma non sembra si possa affermare che ""“tranquillitas” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra"". Dante usa tranquillitas, da sola o insieme con pax, in I v 8: cum maiori fiducia sue tranquillitatis; I xvi 2: in pacis universalis tranquillitate; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui pax e tranquillitas si fondono: ""Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse tranquillitas, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt"". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che tranquillitas occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: ""in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit"" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).","I I 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN QUIETE SIVE TRANQUILLITATE PACIS,"vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società"" (Vinay), ma non sembra si possa affermare che ""“tranquillitas” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra"". Dante usa tranquillitas, da sola o insieme con pax, in I v 8: cum maiori fiducia sue tranquillitatis; I xvi 2: in pacis universalis tranquillitate; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui pax e tranquillitas si fondono: ""Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse tranquillitas, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt"". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che tranquillitas occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: ""in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit"" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Variae(Cassiodoro),Variae,Cassiodoro,http://dbpedia.org/resource/Cassiodorus,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +IUXTA ILLUD MINUISTI EUM PAULOMINUS AB ANGELIS,"H legge iuxta illud psalmiste; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. Ps 8, 6, ripetuto in Heb 2, 7. Dante lo cita già in Cv IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe Kay, the comparison between men and angels in Mn I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7","Ps 8, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IUXTA ILLUD MINUISTI EUM PAULOMINUS AB ANGELIS,"H legge iuxta illud psalmiste; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. Ps 8, 6, ripetuto in Heb 2, 7. Dante lo cita già in Cv IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe Kay, the comparison between men and angels in Mn I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7","Heb 2, 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Hebrews,Epistula ad Hebraeos,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Lc 24, 36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Io 20, 19, 21, 26;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Io 14, 27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Lc 10, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Mr 9, 49",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Mt 10, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +EX HIIS ... QUE DECLARATA SUNT PATET,"per declarata cfr. sopra, I iv 1; è “patente” ciò che “si mostra apertamente”, ciò che non ha bisogno di essere provato (cfr. Uguccione, P 38 1-2: ""pateo –es –ui passum, idest aperiri, videri, manifestari, manifestum esse vel diffundi; et dicitur patet quasi palam tenet [...]; unde patens""). Debole la traduzione di Vinay (""risulta""), così come quella di Nardi (""appare""); anche Shaw 1996 e Kay hanno semplicemente ""clear""; meglio Sanguineti 1985: ""risulta dunque evidente""; l’Anonimo (p. 133) e Ficino (p. 333) traducono ""è manifesto"". Cfr. più avanti, I x 2.",P 38 1-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +UNAM DOMUM,"""nella casa"" (Ficino), ""una casa"" (Anonimo, p. 134); Nardi: ""una famiglia"", ma in apparato precisa: ""unità familiare (domus per Dante come per la traduzione latina della Politica aristotelica ad opera di Guglielmo di Moerbeke; in greco o„k…a e o‡koj, 1252 b 10 sgg.)""; bene ""household"" (Shaw 1996 e Kay, che chiosa: ""Sometimes translated “family”, but “household” is more precise because Aristotle has in mind kinsfolk living under the same roof. For him, an extended family living under several roofs constitutes the next larger unit, the neighborhood"", con la citazione di Aristotele, Politica, 1252 b 15-9). A Vinay non par dubbio ""che “unam” sia articolo indeterminato"". Cfr. Domenico Consoli, Famiglia, in ED, II, 1970, pp. 789-90. Sulla ""rassegna"" che qui comincia cfr. ancora, la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1357.",1252 b 15-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUEM DICUNT PATREMFAMILIAS,"""el quale padre di famiglia si chiama"" (Ficino), ""il quale si dicie padre di famiglia"" (Anonimo); non certo ""il cosiddetto padre di famiglia"" (Pizzica 1988). La nota di M. Tavoni a VE I xviii 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1346, a proposito del ""vere paterfamilias"" e del suo “riuso” ""in chiave politica"", ricorda con Marigo 1957: ""Paterfamilias è parola presa nel suo senso giuridico: “Paterfamilias appellatur qui in domo dominium habet...” (Paulus, Digestum 50, 16, 195)"".","Paulus, Digestum 50, 16, 195",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +OMNIS DOMUS REGITUR A SENISSIMO,"Aristotele, Politica, 1252 b 21-4: e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano. L'assunto è ripetuto dalla migliore giurisprudenza trecentesca: In domo propria potest dici patremfamilias habere aliquid iuris regalis. Ius enim sibi dicit in filios et in servos [...]. Item maior seu antiquior domus habet quodammodo quandam iurisdictionem in uxorem, liberos et servos; et etiam antiquior frater vel patruus in minores xxv. annis, qui sunt in illa domo (Bartolo da Sassoferrato, De tyranno, q. IV, ed. Quaglioni 1983, p. 183)",1252 b 21-4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +REGULARE OMNES ET LEGES IMPONERE ALIIS,"il luogo omerico (Od. IX 114) è in Aristotele, Politica, 1252 b 24: E ciascuno governa i suoi figli e la moglie. Cfr. Cv IV XXVII 10, col commento di Busnelli 1964, II, p. 234, che rinvia a questo luogo; v. inoltre Guido Martellotti, Omero, in ED, IV, 1973, pp. 145-8 ed Enrico Berti, Politica, ivi, p. 586",1252 b 24,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp",1252 b 27-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp","1097, b 7-21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp","Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUOD ASSUMMITUR SUPRA,"cfr. sopra, I V 2 e 3, quando aliqua plura ordinantur ad unum, con riferimento ad Aristotele, Politica, 1254 a 28-32. Il ragionamento è in sostanza questo: l'affermazione del Filosofo è vera perché di fatto vediamo che qualsiasi complesso rivolto ad un fine si sfalda in mancanza di una autorità che ne guidi e diriga i componenti (Vinay)",1254 a 28-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SIC ORDO PARTIALIS AD TOTALEM,"""per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti"", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, Metaphysica, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.",1023 b 12 – 1024 a 10;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SIC ORDO PARTIALIS AD TOTALEM,"""per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti"", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, Metaphysica, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.",1034 b 31-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FORMA HUIUS ORDINIS,"non c’è necessità alcuna di tradurre ""questo ordinamento “ad unum”"" (Vinay). Nel notarne l’imbarazzo e nel rinviare sia a quel che si legge più oltre, II vi 4-5, sia alla ""bella terzina"" di Pd I 103-5: ""“Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante”"", Nardi scrive: ""il discorso procede sempre movendo dalla distinzione fatta da Aristotele nel libro XII della Metafisica, dell’ordine che regna tra le parti dell’universo tra loro dall’ordine superiore che domina l’universo nella sua totalità, trasferita per certa analogia al duplice ordine che, per Dante, dovrebbe estendersi dalle parti al tutto della società umana come alle parti tra loro e al tutto d’un esercito comandato da un unico duce"". Scrive Cassell a commento: ""Dante’s syllogism is complicated but clear. He contrasts the relation among the parts to the relation between those parts and their leader, and considers the latter (by which he means the position of the emperor toward his subjects) a relationship superior to the former. The relation of the ruler to the ruled is parallel to the Deity’s ordering of Creation"".",libro XII,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",75 b 21-35,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",25 b 26 e ss.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",25 b 26 e ss.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +CUM SIT ORDO MELIOR ... REPERIRI DEBET,"l'inciso ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum manca alla traduzione di Ficino; analoga omissione nei codici M S. Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto. Pizzica 1988 richiama il luogo importantissimo rappresentato da Cv III II 4-5, con il commento di Busnelli 1964, I, pp. 263-8, e le diverse considerazioni sia in Nardi, sia in Nardi 1949, pp. 256-7","Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER UNUM PRINCIPIUM TANTUM,"Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.","I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +BENE SE HABET ET OPTIME,"è ripetuto più sotto, I viii 2, I viii 5 e I ix 1. ""“Bene se habere et optime” vuol [...] dire realizzare “divinam similitudinem” “secundum quod effectum capere potest”"" (Vinay), come si legge in Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 45, e come Dante espone in Cv III vii 2: ""Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, dalle cose riceventi. Onde scritto è nel libro delle Cagioni: ""La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo della sua vertù e dello suo essere”"". Ficino traduce ""ogni cosa sta bene"", l’Anonimo ""ciascuna cosa bene sta e optimamente"" (p. 136); Nardi ""bene, anzi ottimamente, ordinato"" (cfr. Nardi 1924a, poi Nardi 1967, pp. 81-109: 106). Varie le soluzioni di alcuni tra i moderni interpreti, da ""è perfetto"" (Vinay) a ""en heureux état et au mieux possible"" (Pézard), ""uno stato di benessere e di felicità"" (Sanguineti 1985), ""in gutem und bestem Zustand"" (Imbach), ""in a good (indeed, ideal) state"" (Shaw 1996). Kay sostiene che la frase è ridondante in ragione di un voluto parallelismo con quanto si legge sopra, I vii 2.",II 45,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RECIPERE POTEST,"""Creando il mondo, Dio ha voluto che le creature fossero a sua immagine secondo le possibilità della loro natura particolare. Il fine supremo a cui tendono le creature è l’attuazione di questa “intentio” divina che costituisce la ragione stessa del loro essere, punto di partenza e punto d’arrivo ad un tempo. Dio è principio e fine"" (Vinay, con la citazione di Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 25: ""unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem""). Cfr. la voce Intenzione di Tullio Gregory, in ED, III, 1971, p. 480.","II 25: unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FACIAMUS HOMINEM AD YMAGINEM ET SIMILITUDINEM NOSTRAM,"Gn 1, 26; cfr. Cv IV xii 14: ""E la ragione è questa: che lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé (sì come è scritto: “Facciamo l’uomo ad imagine e similitudine nostra”), essa anima massimamente desidera di tornare a quello"". Su questa citazione scritturale v. Cremascoli 2011, p. 33 e nota 9.","Gn 1, 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +TOTUM UNIVERSUM,"l'idea che solo l'universo nella sua interezza rispecchi unitariamente quella bontà del creatore che le singole creature, ciascuna per sé, possono solo sparsamente rappresentare, è in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura","I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VESTIGIUM QUODDAM,"un'impronta, ovvero un segno impresso, un calco, un'orma; cfr. poco più sotto, I IX 1, e Pd I 106-8: Qui veggion l'alte creature l'orma / de l'etterno valore, il qual è fine / al quale è fatta la toccata norma, su cui v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 33: orma: impronta; questa parola, che esprime con potente ed evidente metafora l'idea della ""somiglianza"" del creato al creatore, traduce il latino vestigium, termine usato già da Agostino e poi dagli scolastici per significare quella somiglianza, e da Dante stesso ripreso [...] in modo esplicito nella Monarchia (e v. anche ivi, Introduzione, p. XIX). Cfr. anche Bonaventura, Breviloquium, II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum. Stretta l'aderenza al testo da parte dell'Anonimo: uno vestigio della divina bontà. Splendido Ficino (che trova in questo luogo una di quelle sententie platoniche ricordate nel proemio del suo volgarizzamento e con le quali Dante, parlando inn-ispirito con Platone, avrebbe adornato e libri suoi (p. 327): una honbra d'Iddio. Cfr. Bruno Bernabei, Vestigio, in ED, V, 1976, p. 986","II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Breviloquium(Bonaventura),Breviloquium,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUANDO MAXIME EST UNUS,"si veda ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus","I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PERFECTI,"Vinay addita come luogo parallelo Cv IV XVI 7: Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo della Fisica quando dice: ""Ciascuna [cosa] è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propia, e allora è massimamente secondo sua natura, onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo"", cioè quando aggiugne la sua propia virtude; e allora è in tutta sua natura, e allora si può dire nobile circulo; trova però deludente la dimostrazione che segue, e che farebbe rimpiangere la teoria della generazione esposta da D. in Conv., IV, 21. Su tutto il contenuto di questo paragrafo si v. la lunga e dotta nota di Nardi, pp. 320-2, con quanto egli aveva già esposto in L'arco della vita (Nardi 1967, pp. 110-38: 110-4), e più succintamente Imbach, pp. 272-3",nel settimo della Fisica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERFECTISSIMUM,"sulla perfezione del cielo Vinay allega un passo (III 9) del De ecclesiastica potestate di Egidio Romano, che Dante può aver avuto presente; Pizzica 1988 abbellisce e traduce qui sovranamente perfetto",III 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_ecclesiastica_potestate(Egidio_Romano),De ecclesiastica potestate,Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUXTA SECUNDUM DE NATURALI AUDITU,"U ha una lacuna in luogo di secundum, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece pħm (phylosophum) i codici D F G N Y; M ha secundum phylosophum; Ficino traduce ""come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile"", l’Anonimo ""secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”"" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, Fisica, in ED, II, 1970, pp. 933-4. ""Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi De physico auditu, De physica consultatione) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente Lezioni intorno alla natura"" (Nardi); cfr. Aristotele, Physica, 194 b 13 e De anima, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: ""Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol"". Si rammenti Pd XXII 116: ""quelli ch’è padre d’ogne mortal vita"", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita Rime 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: ""Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta""; nonché Cv III xii 8: ""Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica"".",194 b 13,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IUXTA SECUNDUM DE NATURALI AUDITU,"U ha una lacuna in luogo di secundum, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece pħm (phylosophum) i codici D F G N Y; M ha secundum phylosophum; Ficino traduce ""come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile"", l’Anonimo ""secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”"" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, Fisica, in ED, II, 1970, pp. 933-4. ""Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi De physico auditu, De physica consultatione) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente Lezioni intorno alla natura"" (Nardi); cfr. Aristotele, Physica, 194 b 13 e De anima, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: ""Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol"". Si rammenti Pd XXII 116: ""quelli ch’è padre d’ogne mortal vita"", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita Rime 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: ""Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta""; nonché Cv III xii 8: ""Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica"".",Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sentencia_libri_De_anima(Tommaso),Sentencia libri De anima,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PAR IN PAREM NON HABET IMPERIUM,"vulgatissimo brocardo (v. ad es. Bracton, De legibus et consuetudinibus Angliae, II 33), qui impiegato a proposito nel caso del conflitto tra giurisdizioni di pari grado; contrariamente a quanto si vede affermato (Pizzica 1988, Kay), la citazione non risale ad Accursio e alla sua glossa a Dig. 4, 8, 3, § 3 e a Dig. 4, 8, 4, dove il testo ha magistratus superiore aut pari imperio nullo modo possunt cogi (Mommsen-Krüger, I, p. 67), o a Dig. 36, 1, 13, § 4 (ivi, p. 522), dove si legge praetorem quidem in praetorem, vel consulem in consulem nullum imperium habere; tanto meno alla glo. conferens generi alla Novella VI di Giustiniano (Auth. Coll. I, 6, Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem adduci, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), in cui quelle autorità legali sono allegate in relazione al Constitutum Constantini (Furlan); risale invece, nella formulazione qui usata, alla decretale Innotuit di Innocenzo III, già compresa nella Compilatio III (cap. 5, III Comp., I, 6: QCA, p. 105), ma che Dante leggeva ormai nel Liber Extra di Gregorio IX, cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62); il principio era già ricevuto nel c. 4, D. XXI del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 70). In proposito v. Pennington 1993, p. 93, e più specificamente Pennington 1999, p. 260, con l'esempio, a Dante calzantissimo, di Guido da Suzzara","cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ENTIA NOLUNT MALE DISPONI,"Aristotele, Metaphysica, 1076 a 3-5, che ricorda tacitamente un verso omerico (Il. II 24; cfr. ancora la v. Omero di Guido Martellotti, in ED, IV, 1973, pp. 145-8). Per il valore polisemico di ens nella scolastica medievale cfr. Vinay",1076 a 3-5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","2a 2ae, q. 58, art",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".",_EMPTY,CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".",1137 b 30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","I, q. 63, a. 1, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Anselmo_Aosta),De veritate,Anselmo d'Aosta,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anselmo_Aosta,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +MAGISTER SEX PRINCIPIORUM,"Dante cita pressoché alla lettera dal Liber sex principiorum 1 1, p. 36: ""forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens"". Lo scritto, in passato a torto atribuito a Gilbert de la Porrée (v. la voce Magister Sex Principiorum in ED, III, 1971, p. 767, e cfr. Cassell) faceva parte del corpus delle opere logiche di Aristotele nel curriculum degli artistae; ciò suggerisce a Kay che Dante possa non averne avuto diretta conoscenza, dal momento che essa ""was widely quoted by later scholastics"". Commenta Nardi: ""E proprio per questo Dante cita il Magister Sex Principiorum, il quale recte, a buon diritto, ha affermato che huiusmodi forme, quali la “bianchezza” e la “giustizia”, pur trovandosi enunciate di un composto, in sé stesse consistono in una “semplice e invariabile essenza”. Quest’unica testimonianza chiede Dante al Magister Sex Principiorum; nient’altro. Quello che immediatamente precede e segue questa citazione è chiosa di Dante. Siffatte “forme”, come quelle della “bianchezza” e della “giustizia”, sono “essenze inviariabili” in suo abstracto, come appunto vuole Aristotele; ma in quanto entrano in composizione con soggetti variabili quibus concernuntur (da concerno, che ha il perfetto concrevi e il supino concretum uguali a concresco!), ossia in concreto, sono suscettibili di “magis et minus” “secundum quod magis et minus in subiectis de contrariis admiscetur”"". Così anche Alfonso Maierù, Suggetto, in ED, V, 1976, p. 475, che richiama questo luogo a proposito della ""sostanza individuante"", del ""‘concretum’ cui ineriscono le forme accidentali e i loro contrari; queste forme, in sé immutabili, sono suscettibili di variazioni in più o in meno a seconda del ‘concetto’ cui ineriscono, sicché propriamente il s. è capace di più o meno, non le forme"".","1 1, p. 36: forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_Sex_Principiorum,Liber Sex Principiorum,Magister Sex Principiorum,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Magister_Sex_Principiorum,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp","Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp","q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp","q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DE CONTRARIO IUSTITIE,"Aristotele, Categoriae, 10 b 12-3, spiega così: Alla qualità appartiene inoltre la contrarietà. Ad esempio, la giustizia è contraria all'ingiustizia, la bianchezza è contraria alla nerezza, ed analogamente per le altre qualità",10 b 12-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUANTUM AD HABITUM ET QUANTUM AD OPERATIONEM,"cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult (cfr. sopra, I XI 3 e più in generale I III 3)","IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEQUE HESPERUS NEQUE LUCIFER ITA ADMIRABILIS EST,"Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia Melanippe di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci Espero (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed Etica (Enrico Berti), in ED, II, 1970, pp. 731 e 756-8",1129 b 28;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEQUE HESPERUS NEQUE LUCIFER ITA ADMIRABILIS EST,"Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia Melanippe di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci Espero (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed Etica (Enrico Berti), in ED, II, 1970, pp. 731 e 756-8","IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).",1129 a 7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","1, 1, 10, pr.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","1, 1, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","Ia-IIae, q. 50, a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ""iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens"")",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","q. 84, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","dictum ante c. 1, D. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","1, 1, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","Dig. 1, 1, 10, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","glo. alterum non ledere, Inst. 1, 1, è 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur (Friedberg, II, coll. 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. Cv I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di passionare il giudice"". Vinay, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice Kay: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. Cv I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di passionare il giudice"". Vinay, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice Kay: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.","Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. Cv I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di passionare il giudice"". Vinay, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice Kay: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.",II XVI 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Institutio_Oratoria,Institutio oratoria,Quintiliano,http://dbpedia.org/resource/Quintilian,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +CUM IUSTITIA SIT VIRTUS AD ALTERUM,"la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. Nardi; cfr. anche Summa Theologiae, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (Utrum iustitia sit semper ad alterum), Resp., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza Vinay)",1129 b 26 – 1130 a 16,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CUM IUSTITIA SIT VIRTUS AD ALTERUM,"la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. Nardi; cfr. anche Summa Theologiae, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (Utrum iustitia sit semper ad alterum), Resp., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza Vinay)","IIa-IIaee, q. 58, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PROSILLOGISMUS,"ricorre solo in questo luogo; conservano questa forma la princeps K e parte dei manoscritti β (B D E F N P V Y); i restanti testimoni hanno sillogismus o altre lezioni assai corrotte (anche l'Anonimo conserva sillogismo, mentre Ficino ha argumento. È un sillogismo preliminare (preparatory syllogism, Cassell), ovvero il sillogismo introdotto a dimostrazione della verità della premessa di un altro sillogismo, in modo che la conclusione del p. venga a essere la stessa premessa da dimostrare (v. Prosillogismus, in ED, IV, 1973, 719-20): vedi Aristotele, Analytica priora, 42 b 5; 44 a 22, e cfr. ampiamente Nardi, p. 336",42 b 5; 44 a 22,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CURRIT PER SECUNDAM FIGURAM CUM NEGATIONE INTRINSECA,"Aristotele, Analytica priora, 26 b – 28 a; il prosillogismo qui introdotto appartiene alla seconda delle tre figure in cui il sillogismo può presentarsi, cioè a quella in cui il termine medio è predicato di entrambe le premesse: ""“nessun uomo intelligente trascura la sua cultura, Caio trascura la sua cultura, dunque Caio non è un uomo intelligente” è un sillogismo di seconda figura e come tale è “privativus” non “affirmativus” (Cfr. Boezio, Priorum analyt. interpretatio I 5, PL 64, col. 643 sgg.)"" (Vinay).",26 b - 28 a,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CUPIDITAS,"cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di ab omni cupiditate; in questo senso si può evocare la lupa ""che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza"" di If I 49-50; così il luogo paolino ""radix omnium malorum est cupiditas"" (1 Tm 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della cupiditas come ""radix omnium peccatorum"", e non semplicemente come ""inordinatus amor divitiarum"", in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (Utrum cupiditas sit radix omnium peccatorum); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone Doglia mi reca nello core ardire (Rime 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. Vinay ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, De regimine christiano: ""reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum"" (ed. Arquillière 1926, p. 243).","Ia-IIae, q. 84, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUPIDITAS,"cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di ab omni cupiditate; in questo senso si può evocare la lupa ""che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza"" di If I 49-50; così il luogo paolino ""radix omnium malorum est cupiditas"" (1 Tm 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della cupiditas come ""radix omnium peccatorum"", e non semplicemente come ""inordinatus amor divitiarum"", in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (Utrum cupiditas sit radix omnium peccatorum); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone Doglia mi reca nello core ardire (Rime 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. Vinay ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, De regimine christiano: ""reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum"" (ed. Arquillière 1926, p. 243).","Ia-IIae, q. 84, a. 1, reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum (ed. Arquillière 1926, p. 243)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_christiano(Giacomo_da_Viterbo),De regimine christiano,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +ARISTOTILES,"in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 a 32 – b 10, il termine usato è pleonškthj, ""avido di avere e di potere, che nella versione latina è reso con la parola avarus"" (Nardi), alla lettera ""chi vuole avvantaggiarsi"" (plšon = vantaggio), chiamato ""ingiusto"" insieme al trasgressore della legge e all’iniquo.",1129 a 32 - b 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine",1354 a 31 - b 11,CITAZIONE ESPLICITA,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine",III II 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","4, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","5, 1, 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","48, 10, 1, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",1160 b 2-5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993","Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Kruger, II, p. 310",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Codex_Justinianus,Codex Iustinianus,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cronaca(Ottone_Morena),Cronaca,Ottone Morena,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ottone_Morena,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993","2, 1, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lecturae_in_Digestum(Odofredo),Lecturae in Digestum,Odofredo,http://dbpedia.org/resource/Odofredus,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata","I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata",Novella VII di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata","Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Kruger, I, p. 188",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUERIT DEUM ET HOMINEM,"Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi","IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SI NATURA PASSIVORUM ET ACTIVORUM CONSIDERETUR,"Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla natura passivorum et activorum. ""Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la Fisica e nel primo De Generatione” (Conv., IV, x, 9; cfr. ibid., III, x, 2), fra l’agente e il paziente è necessario vi sia contatto: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (Conv., III, x, 2)"" (Nardi).",settimo de la Fisica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SI NATURA PASSIVORUM ET ACTIVORUM CONSIDERETUR,"Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla natura passivorum et activorum. ""Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la Fisica e nel primo De Generatione” (Conv., IV, x, 9; cfr. ibid., III, x, 2), fra l’agente e il paziente è necessario vi sia contatto: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (Conv., III, x, 2)"" (Nardi).",nel primo De Generatione,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DE CAUSIS,"cfr. Attilio Mellone, De Causis, in ED, II, 1970, p. 327. ""Il piccolo anonimo Liber de causis godé fra gli Scolastici di grande autorità e fortuna, e fu una delle opere più frequentemente citate [...]. Tradotto dall’arabo in latino, a Toledo, da Gherardo di Cremona, fra il 1167 e il 1184, fu [...] uno dei principali tramiti dell’influenza del pensiero neo-platonico sulla Scolastica cristiana [...]. Dante [...] vi si riferisce sempre come a scritto d’ignoto autore"" (Nardi 1924a, poi in Nardi 1967, pp. 81-3 e 88-9, con speciale riguardo a questo luogo e con rinvio ai commenti di Tommaso, Egidio Romano e Alberto Magno). Dante si riferisce qui alla prop. 1: ""Omnis causa primaria plus est influens super causatum suum quam causa universalis secunda"". Lo stesso Nardi 1942b, p. 118, spiega: ""La maggior vicinanza del Monarca a tutti gli uomini va intesa dunque nel senso che esso è sulla terra ‘causa universalis prima’ di ogni potere politico di cui partecipano i principi particolari, e perciò è ‘magis causa’"".",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POTISSIME LIBERUM,"che la libertà, ""tra i vocaboli centrali del mondo dantesco"" (Bruno Bernabei, Libertà, in ED, III, 1971, p. 641), in questo luogo sia ""sentita, più che come esigenza morale, come supremo attributo della razionalità"" (Vinay), pare considerazione un poco avventata, probabilmente nel ricordo di Cv III xiv 9-10, dove ""la nobile anima d’ingegno"" è detta ""libera ne la sua propria potestate"" in base al canone aristotelico ""che quella cosa è libera che per sua cagione è, non per altrui"" (v. più sotto, I xii 8, con richiamo a Metaphysica, 982 b 25-6). Credo superflua ogni correzione di tipo conciliatorio (v. Pizzica 1988, p. 224 nota 1). Non sarà invece superfluo ricordare che il diritto romano giustinianeo, tra le sue rare definizioni, ne possiede una della libertas. Un frammento di Fiorentino dice infatti che la libertà è una facoltà naturale, e che la schiavitù è un istituto del diritto delle genti contrario a natura: ""Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur. Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur"" (Dig. 1, 5, 4, pr.-§ 1: Mommsen-Krüger, I, p. 7): la libertà, che consiste nella capacità di possedere diritti e nell’assenza di uno stato di soggezione, è un diritto naturale innato in ogni essere umano, o per dirla altrimenti ogni uomo è in origine libero. Per tutto ciò v. l’insuperato studio di Wirszubski 1957.",982 b 25-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LIBERTAS ARBITRII,"cfr. Cv I viii 14: ""la vertù dee avere atto libero e non sforzato""; opportunamente Kay si appella al significato di ""“full discretion” [...] in Roman law"", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel ""liberum arbitrium"" di Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3 e nel ""plenum arbitrium"" di Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). Vinay ricorda invece Pg VI 130-132 (""Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca""), sostenendo però curiosamente che mentre là ""la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”"", qui ""è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione"". Cfr. l’importante voce Arbitrio di Sofia Vanni Rovighi, in ED, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).","Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LIBERTAS ARBITRII,"cfr. Cv I viii 14: ""la vertù dee avere atto libero e non sforzato""; opportunamente Kay si appella al significato di ""“full discretion” [...] in Roman law"", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel ""liberum arbitrium"" di Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3 e nel ""plenum arbitrium"" di Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). Vinay ricorda invece Pg VI 130-132 (""Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca""), sostenendo però curiosamente che mentre là ""la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”"", qui ""è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione"". Cfr. l’importante voce Arbitrio di Sofia Vanni Rovighi, in ED, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).","Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LIBERUM DE VOLUNTATE IUDICIUM,"Boezio, In lib. Aristotelis (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: ""sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis de voluntate iudicium""; cfr. anche Id., Consolatio Philosophiae, V 2 2-6, sulla ""arbitrii libertas"" come ""volendi nolendique libertas"" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di Vinay (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che ""il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”"", dall’altra sostiene che ""il passo non è perspicuo"", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: de voluntate risulta così gravemente frainteso: ""Nessun dubbio che “de voluntate” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”"" (p. 70); inoltre non è ""la formula adoperata dai “multi”"" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i multi, che saranno senz’altro i ""commentatori di Pier Lombardo, Sententiae, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum de voluntate iudicium”"". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale ""avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “de voluntate” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis"" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione ""libero giudizio portato sulla volontà"", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di Pézard, il quale ammette che ""l’expression est douteuse"" ma respinge come ""étrange"" la proposta di Vinay, traducendo invece ""un jugement librement formé par la volonté"" e spiegando (p. 649): ""Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine"". Lo ricalca Livi 2002: ""un libre jugement formulé par la volonté"". Ficino ha semplicemente ""libero g[i]udicio di volontà"", e l’Anonimo ""giudicie della volontà"". Per tutto ciò v. anche la voce Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40.",V 2 2-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LIBERUM DE VOLUNTATE IUDICIUM,"Boezio, In lib. Aristotelis (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: ""sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis de voluntate iudicium""; cfr. anche Id., Consolatio Philosophiae, V 2 2-6, sulla ""arbitrii libertas"" come ""volendi nolendique libertas"" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di Vinay (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che ""il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”"", dall’altra sostiene che ""il passo non è perspicuo"", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: de voluntate risulta così gravemente frainteso: ""Nessun dubbio che “de voluntate” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”"" (p. 70); inoltre non è ""la formula adoperata dai “multi”"" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i multi, che saranno senz’altro i ""commentatori di Pier Lombardo, Sententiae, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum de voluntate iudicium”"". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale ""avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “de voluntate” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis"" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione ""libero giudizio portato sulla volontà"", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di Pézard, il quale ammette che ""l’expression est douteuse"" ma respinge come ""étrange"" la proposta di Vinay, traducendo invece ""un jugement librement formé par la volonté"" e spiegando (p. 649): ""Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine"". Lo ricalca Livi 2002: ""un libre jugement formulé par la volonté"". Ficino ha semplicemente ""libero g[i]udicio di volontà"", e l’Anonimo ""giudicie della volontà"". Per tutto ciò v. anche la voce Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40.","III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarium_in_librum_aristotelis_perihermeneias(Boezio),Commentarium in librum aristotelis perihermeneias,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SUBSTANTIE INTELLECTUALES ... INMUTABILES VOLUNTATES,"sulle intelligenze angeliche cfr. sopra, I iii 7; sui beati che non dismettono l’esercizio del libero arbitrio v. Giorgio Stabile, Volontà, in ED, V, 1976, p. 1139. ""La conseguenza che l’immutabilità del volere non sopprime il libero arbitrio nelle intelligenze separate le quali sono anzi perfettamente libere riposa su alcuni motivi della speculazione scolastica che ricorrono ripetutamente in S. Tommaso: negli angeli, volontà e appetito sono distinti come nell’uomo, quindi è identico il trinomio “apprehensio-iudicium-appetitus” con la differenza che negli angeli l’“iudicium” non risponde ad una “inquisitiva deliberatio consilii” ma ad una “subita acceptatio veritatis” (Summa theol., I, q. 49, art. III); la perfezione della loro libertà dipende da questa “subita acceptatio” che esclude a priori una sopraffazione dell’“appetitus” anche se questo dovesse intendersi per analogia all’“appetitus” umano"" (Vinay). Per il ""suggello poetico"" (Pizzica 1988) di tutto ciò cfr. Pg XVIII 55-60. Vedi anche la v. Sustanza di Alfonso Maierù, in ED, V, 1976, p. 495.","Summa theol., I, q. 49, art. III",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","III, q. 18, a. 4, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".",Novella VI di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, q. 13, a. 9, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"".",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, 3 e 14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_statu_interioris_hominis(Riccardo_di_San_Vittore),De statu interioris hominis,Riccardo di San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Richard_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, 3 e 14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_conditione_interioris_homoris(Riccardo_di_San_Vittore),De conditione interioris homoris,Riccardo di San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Richard_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"""come nella “Metafisicha” dicie Aristotile"" (Ficino); ricalca, come al solito, l’Anonimo: ""come al Filosafo piacie inel libro “Di simpliciter ente”"". Così anche più oltre, I xiii 3; I xv 2; e III xiv 6; cfr. Aristotele, Mataphysica, 982 b 25-6; ""ma nel testo aristotelico si parla dell’“uomo che diciamo libero”"" (Nardi). Dante lo ricorda in Cv III xiv 10: ""e lo Filosofo dice, nel secondo della Metafisica, che quella cosa è libera, che per sua cagione è, non per altrui"".",982 b 25-6,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITIE DIRIGUNTUR OBLIQUE,"sono raddrizzate le forme politiche deviate o perverse, cioè le tirannidi come esiti della corruzione delle rette costituzioni: v. Aristotele, Politica, 1279 a 23-39 (cfr. sopra, I II 6). Plastica la resa ficiniana: le torte republiche si dirizano; senza senso l'Anonimo, il cui volgarizzamento (però che allora solo politichamente siamo reti obliquamente) riflette una lezione assai vicina a quella di M, c. 14v: Tunc enim politicem dirigimur oblique",1279 a 23-39,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN SERVITUTEM COGUNT GENUS HUMANUM,"è la servitus ""que morti comparatur"", come scrive Bartolo nel De regimine civitatis (ed. Quaglioni 1983, p. 158), allegando una celebre regula iuris in Dig. 50, 17, 209 (Mommsen-Krüger, I, p. 873). Anche Cassell richiama qui Bartolo, non a torto come ""Dante’s follower"".","Dig. 50, 17, 209",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Defensor pacis, I, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Pol., VI, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Pol., VI, 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.",con la traduz. della Politica del Moerbeke,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UNDE PHYLOSOPHUS IN SUIS POLITICIS,"Honde Aristotile nella ""Politicha""; cfr. Aristotele, Politica, 1276 b 16 – 1278 b 5",1276 b 16 – 1278 b 5,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",libro III della Politica nella sua interezza,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",1130 b 27-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CONSULES PROPTER CIVES ET REX PROPTER GENTEM,"gens, gentem non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui ""la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica"" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regimine principum, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622).","Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONSULES PROPTER CIVES ET REX PROPTER GENTEM,"gens, gentem non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui ""la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica"" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regimine principum, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622).","III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""minister omnium"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987","Rm 13, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""minister omnium"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987",I 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""minister omnium"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987",IV 1 e 2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Policraticus,Polycraticus,Giovanni di Salisbury,http://dbpedia.org/resource/John_of_Salisbury,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +OPTIME ALIOS DISPONERE POTEST,"cfr. sopra, I XI 20. Cassell dà, con Vinay e Kay, alla ripetizione di potest il significato di un'enfasi sulla perfezione potenziale della monarchia. Leggiamo in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere","Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUALE PATIENS FIERI DEBET,"inconferente l'allegazione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1110 a 2-3, proposta da Kay",1110 a 2-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PHYLOSOPHUS IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"Aristotile nella ""Metafisicha""; cfr. sopra, I XII 8; riassume Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; corrisponde a quanto Dante, allegando però il libro VII della Metafisica (1032 a 18) scrive in Cv IV X 8: ""Ove è da sapere che, sé come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un'altra, generasi di quella, essendo in quello essere"". Cassell osserva che ""Dante applies the concept to the Church"", più avanti, III, XIV, 6",1049 b 24-7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PLUS PERSUASERUNT MANUS IACOB QUAM VERBA,"Gn 27, 1-29: i fatti, benché ingannevoli (come le mani ricoperte di pelle di capretto e le vesti indossate da Giacobbe in luogo del fratello Esaù, che indussero Isacco ormai cieco e morente a scambiare Giacobbe per il figlio primogenito, benedicendolo e ponendolo a capo della sua famiglia) sono più forti delle parole (come il suono della voce, che Isacco riconobbe per quello di Giacobbe, ma che non fu sufficiente a convincerlo della sua vera identità). In Vinay, potuerunt per persuaserunt è, come registrano Ricci 1965 e Nardi, una svista del Rostagno. Cfr. la v. Giacobbe di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 145-6; Cremascoli 2011, p. 35 e note 19-20, richiama a questo proposito il Contra mendacium di Agostino","27, 1-29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +UNDE PHYLOSOPHUS AD NICOMACUM,"Honde Aristotile ""A Nicomaco"" (Ficino); Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere",1172 a 34-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +AD HABITUM PHYLOSOPHICE VERITATIS,"cfr. sopra, I XI 5. D. si riferisce qui agli ""habitus"" propriamente umani, a quelli cioè che l'uomo non riceve direttamente dalla natura né da Dio, ma deve crearsi con le proprie forze, ad es. le virtù, la scienza ecc. Per creare un ""habitus"" occorre ripetere determinati atti e occorrerà ripeterli tanto meno quanto minore sarà l'opposizione attiva o passiva offerta dal corpo o dalle facoltà dell'anima o dall'uno o dalle altre. Così sarà tanto più facile acquistare l'abito alla scienza quanto il corpo sarà più resistente alla fatica o più pronta la memoria; sarà tanto più facile creare l'abito alla giustizia quanto minore sarà la resistenza della cupidigia, come è detto subito dopo (cfr. Summa theol., 1a 2ae, q. 49 sgg.) (Vinay). Kay ricorda le frequenti menzioni dell'abito di scienza in Cv I I 2 e 6; II XIII 6; III XIII 9; v. anche la nota di G. Gorni a Vn 16, 1, nel vol. I di questa edizione, p. 963. Riferendosi a questo luogo Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 963, scrive che l'abito della v. filosofica è l'insieme delle virtù che sostengono l'uomo nell'acquisizione della v. investigata dalla filosofia","1a 2ae, q. 49 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUPIDITAS ... CORRUPTIVA IUDICII ET IUSTITIE PREPEDITIVA,"cfr. sopra, I XI 6, 11 e 14; e si ricordi ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori. Cfr. anche la v. Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, p. 1138","Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUM ETIAM LEGES MUNICIPALES ... OPUS HABEANT DIRECTIVO,"Dante disegna qui con estrema concisione il paradigma della relazione tra diritti propri e diritto comune, ricordando che gli statuti cittadini (chiamati leges municipales, con precisione tecnica che si ritrova già, ad esempio, nella Glossa accursiana a Dig. 1, 1, 9) ricevono un'interpretazione passiva dal ius commune, in quanto norme nessariamente lacunose – non semplicemente difettose (Pizzica 1988), imperfette (Nardi), insufficienti (Vinay), défaillantes (Pézard), ma defective (Shaw 1996) in senso tecnico – e dunque bisognose di correctio, di corretione, come con altrettanta precisione tecnica sottolinea Ficino (p. 346); solito calco nell'Anonimo: àno di bisogno d'opera direttiva. La princeps K, riflettendo le incertezze di una parte dei codici β, ha directione. Per tutte le questioni relative alla dottrina degli statuti e alla loro interpretazione cfr. Sbriccoli 1969","Dig. 1, 1, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +INTER SE,"è la lezione dell’intiera tradizione manoscritta, nella quale Favati 1970, p. 7 nota 15, non ha ravvisato errore; anche Ficino legge ""tra·lloro"". Difesa da Nardi, per Ricci 1965 e Shaw 2009, Introduzione, pp. 245-6 e note 73-4, è errore d’archetipo da correggersi con intra se, come nel volgarizzamento dell’Anonimo (""intra di sé"") e secondo Bigongiari 1950, p. 86 (poi in Bigongiari 1964, p. 37). Che sia una ""felice correzione"" Ricci 1965 lo scrive in apparato, spiegando nell’Introduzione, p. 48, che Dante allude alle ""leggi particolari adatte alle locali esigenze di ciascuna comunità"", senza riguardo ""a rapporti intercorrenti tra le varie comunità, ma invece alle caratteristiche (proprietates) che ciascuna ha in se stessa (intra se)""; e conclude sottolineando che è facile comprendere come ""lo scambio tra intra e inter sia nato da un’abbreviazione non bene sciolta"". Nardi rifiuta con ragione la correzione sulla base del successivo accenno alle differenze fra ordinamenti. Dante infatti non ha in mente alcun “carattere intrinseco”, ma il concetto relazionale di iura propria, di “diritti propri”, che sono tali per ciascun populus in rapporto agli iura communia, agli istituti del diritto delle genti e del diritto naturale, secondo lo schema che ha origine da Gaio in Dig. 1, 1 (de iustitia et iure), 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 1): ""Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur"". Sono queste le proprietates, le particolarità, le differenze specifiche dei “tra di loro”, nationes, regna et civitates inter se.","Dig. 1, 1 Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","c. 1, D. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","Ia-IIae, q. 95, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","Ia-IIae, q. 95, a. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",II 6 30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sintaxis_Mathematica(Tolomeo),Sintaxis Mathematic,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",II 3 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quadripartito,Quadripartito,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",I II 52,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",XIV IV 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",III 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_locorum(Alberto_Magno),De natura locorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +EXTRA SEPTIMUM CLIMA,"la nota di M. Tavoni a VE I VIII 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1195 (per universa mundi climata), sottolinea che in questo luogo, così come in Cv III V 12 e Pd XXVII 81, Dante intende clima secondo la nozione di Alfragano e Alberto Magno, cioè come una delle sette fasce latitudinali in cui si divide la terra emersa fra il polo boreale e l'equatore",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_locorum(Alberto_Magno),De natura locorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e Cv IV XXII 10-11. Imbach e Kay citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","Ia-IIae, q. 76, a. 1;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e Cv IV XXII 10-11. Imbach e Kay citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","q. 91, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e Cv IV XXII 10-11. Imbach e Kay citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","q. 94, a. 1, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MOYSES,"Ex 18, 19-24: Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent, ut referas quae dicuntur ad eum, ostendasque populo caeremonias et ritum colendi viamque, per quam ingredi debeant, et opus quod facere debeant. Provide autem de omni plebe viros potentes et timentes Deum, in quibus sit veritas et qui oderint avaritiam; et constitue ex eis tribunos et centuriones et quinquagenarios et decanos, qui iudicent populum omni tempore; quidquid autem maius fuerit referant ad te, et ipsi minora tantummodo iudicent; leviusque sit tibi, partito in alios onere. Si hoc feceris, implebis imperium Dei, et praecepta eius poteris sustentare ; et omnis hic populus revertetur ad loca sua cum pace; Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam. A commento v. ancora Cremascoli 2011, pp. 35-6, nota 21","Ex 18, 19-24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +MOYSES,"Ex 18, 19-24: Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent, ut referas quae dicuntur ad eum, ostendasque populo caeremonias et ritum colendi viamque, per quam ingredi debeant, et opus quod facere debeant. Provide autem de omni plebe viros potentes et timentes Deum, in quibus sit veritas et qui oderint avaritiam; et constitue ex eis tribunos et centuriones et quinquagenarios et decanos, qui iudicent populum omni tempore; quidquid autem maius fuerit referant ad te, et ipsi minora tantummodo iudicent; leviusque sit tibi, partito in alios onere. Si hoc feceris, implebis imperium Dei, et praecepta eius poteris sustentare ; et omnis hic populus revertetur ad loca sua cum pace; Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam. A commento v. ancora Cremascoli 2011, pp. 35-6, nota 21","Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Deuteronomy,Deuteronomio,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (Vinay); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (Pézard); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (Kay); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". Imbach, pp. 285-286, richiama il commento alle Sententiae, I 8 1 3 e le questioni disputate De veritate, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.","Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (Vinay); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (Pézard); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (Kay); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". Imbach, pp. 285-286, richiama il commento alle Sententiae, I 8 1 3 e le questioni disputate De veritate, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.",I 8 1 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Scriptum_super_sententiis,Scriptum super Sententiis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (Vinay); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (Pézard); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (Kay); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". Imbach, pp. 285-286, richiama il commento alle Sententiae, I 8 1 3 e le questioni disputate De veritate, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.","q. I, ad 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Tommaso),Quaestiones disputatae de veritate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"SECUNDUM QUINTUM MODUM DICENDI ""PRIUS""","quintum è solo nella princeps e nei codici a (A1 T); tutti i manoscritti ? leggono primum, come Ficino (secondo el primo modo del chiamarsi ""prima"") e come l'Anonimo (secondo il primo modo diciendo alcuna cosa prima da altri). Cfr. Aristotele, Categoriae, 14 b 10-3: Oltre ai suddetti significati, parrebbe tuttavia che l'anteriorità debba assumerne ancora uno. In effetti, quando tra due oggetti sussista un rapporto convertibile, per cui la realtà di ciascuno di essi implica la realtà dell'altro, allora quello tra i due oggetti, la cui realtà è in qualsiasi modo la causa della realtà dell'altro, potrà dirsi verosimilmente anteriore per natura all'altro. Così pure, più succintamente, nelle Summulae logicales di Pietro Ispano, III 30, ed. de Rijk, p. 40",14 b 10-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"SECUNDUM QUINTUM MODUM DICENDI ""PRIUS""","quintum è solo nella princeps e nei codici a (A1 T); tutti i manoscritti ? leggono primum, come Ficino (secondo el primo modo del chiamarsi ""prima"") e come l'Anonimo (secondo il primo modo diciendo alcuna cosa prima da altri). Cfr. Aristotele, Categoriae, 14 b 10-3: Oltre ai suddetti significati, parrebbe tuttavia che l'anteriorità debba assumerne ancora uno. In effetti, quando tra due oggetti sussista un rapporto convertibile, per cui la realtà di ciascuno di essi implica la realtà dell'altro, allora quello tra i due oggetti, la cui realtà è in qualsiasi modo la causa della realtà dell'altro, potrà dirsi verosimilmente anteriore per natura all'altro. Così pure, più succintamente, nelle Summulae logicales di Pietro Ispano, III 30, ed. de Rijk, p. 40","III 30, ed. de Rijk, p. 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",998 b 21-6;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",1001 a 20 – b 25;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",1015 b 16 – 1017 a 21;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",III 11 1-9.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +QUOD EST ESSE MALUM,"chiosa Vinay: Ci sono due tipi di molteplice: c'è il molteplice del creato che è l'espressione dell'infinita bontà di Dio e come tale porta in sé una immanente unità (Summa theol., I, q. 47, art. II); e c'è il molteplice che ""de se tendit in infinitum"" all'infuori di ogni ordine e di ogni finalità cioè il molteplice per il molteplice che fa domandare allo scettico perché ci sia un mondo e non due (ivi, art. III). D. si riferisce a questo secondo concetto di molteplicità come negazione ""simpliciter"""" dell'unità","I, q. 47, art. II",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PICTAGORAS IN CORRELATIONIBUS SUIS,"""le dieci sujtoic…ai degli elementi pitagorici opposti tra loro “secundum coëlementationem” ed enumerate da Aristotele in Metaph., I, 5, 986 a 22-30"" (così Nardi, che propone anche un rinvio a Ethica ad Nicomachum, 1096 b 5-6, aggiungendo: ""ma non X, vi, 7, come pretenderebbe il nostro caro Pézard, che non so dove abbia presa questa citazione""). Leggono Pictagoras C D E H S; Favati 1970, p. 20 e nota 52, amerebbe, come esempio di ""altri recuperi [...] sul piano della grafia"", la forma Pythagoras attestata da K L T U (Pitagoras A1 G N Z, Pyctagoras B, Phytagoras M P, Pictogoras F, Pittagoras Ph V, Pitogoras Y). Per Giorgio Stabile, Pitagora, in ED, IV, 1973, p. 538, Pitagora ""è uno dei pochi filosofi presocratici su cui D., basandosi soprattutto su dossografie di Aristotele o di suoi commentatori, torna più volte""; p. 540 per il luogo in esame.","I, 5, 986 a 22-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PICTAGORAS IN CORRELATIONIBUS SUIS,"""le dieci sujtoic…ai degli elementi pitagorici opposti tra loro “secundum coëlementationem” ed enumerate da Aristotele in Metaph., I, 5, 986 a 22-30"" (così Nardi, che propone anche un rinvio a Ethica ad Nicomachum, 1096 b 5-6, aggiungendo: ""ma non X, vi, 7, come pretenderebbe il nostro caro Pézard, che non so dove abbia presa questa citazione""). Leggono Pictagoras C D E H S; Favati 1970, p. 20 e nota 52, amerebbe, come esempio di ""altri recuperi [...] sul piano della grafia"", la forma Pythagoras attestata da K L T U (Pitagoras A1 G N Z, Pyctagoras B, Phytagoras M P, Pictogoras F, Pittagoras Ph V, Pitogoras Y). Per Giorgio Stabile, Pitagora, in ED, IV, 1973, p. 538, Pitagora ""è uno dei pochi filosofi presocratici su cui D., basandosi soprattutto su dossografie di Aristotele o di suoi commentatori, torna più volte""; p. 540 per il luogo in esame.",1096 b 5-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VIRTUS VOLITIVA POTENTIA QUEDAM EST,"La virtù volitiva è una delle potenze dell'anima è l'a. propriamente è una ""forma"" che include in sé tre potenze vitali: la vegetativa, la sensitiva e la intellettiva e da queste due ultime si svolge, nell'inclinazione al bene desiderato, la virtù volitiva. Principio formale di quest'ultima è la ""specie"", cioè la rappresentazione o ""intenzione"" in cui si rispecchia il bene appreso, intermediaria, nel processo gnoseologico, tra cosa e soggetto. Tale principio, nella sua duplice accezione, ontologica e gnoseologica, uno in se stesso, si moltiplica nella pluralità dei corpi (Pizzica 1988). Nardi rinvia a Pg XVII 99-139 e XVIII 22-39; Kay anche a Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, I 53",I 53,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +BLANDAS ... DELECTATIONES,"cfr. Uguccione, B 115, 1: ""blandior –diris –ditus sum, verbum deponens, et construitur cum dativo ut ‘blandior tibi’, idest adulor. Invenitur etiam cum accusativo in eodem sensu, et inde blandus –a –um et comparatur –dior –simus, unde blande –dius –sime adverbium""; v. più oltre, III xvi 10.","B 115, 1: ""blandior –diris –ditus sum, verbum deponens, et construitur cum dativo ut ‘blandior tibi’, idest adulor. Invenitur etiam cum accusativo in eodem sensu, et inde blandus –a –um et comparatur –dior –simus, unde blande –dius –sime adverbium"";",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +DOCET PHYLOSOPHUS,"Aristotile insegnia (Ficino, p. 348); come è manifesto (Anonimo, p. 150). Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1179 b 31 è 1180 a 24",1179 b 31,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DOCET PHYLOSOPHUS,"Aristotile insegnia (Ficino, p. 348); come è manifesto (Anonimo, p. 150). Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1179 b 31 è 1180 a 24",1180 a 24,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +VEL EXPECTAVIT VEL CUM VOLUIT IPSE DISPOSUIT,"cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, III, q. 35, a. 8 (Utrum Christus fuerit congruo tempore natus), Resp.: Christus autem, tanquam Dominus et Conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum.... È d'obbligo ricordare il notissimo passaggio, testé citato, in Cv IV V 4: E però che nella sua venuta nel mondo, non solamente lo cielo, ma la terra convenia essere in ottima disposizione; e la ottima disposizione della terra sia quando ella è monarchia, cioè tutta ad uno principe [...]; ordinato fu per lo divino provedimento quello popolo e quella cittade che ciò dovea compiere, cioè la gloriosa Roma","III, q. 35, a. 8 (Utrum Christus fuerit congruo tempore natus), Resp.: Christus autem, tanquam Dominus et Conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum....",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NISI SUB DIVO AUGUSTO MONARCHA ... MUNDUM UNDIQUE FUISSE QUIETUM,"Cassell, pp. 302-3, nota 108, ipotizza che siano qui presenti motivi cari alla tradizione francescana, particularly celebrative of Christ's coming in ""the quiet silence"" [...] of the reign of Augustus, così come si esprime nell'Arbor vitae di Bonaventura (I, 3-4) a commento di Gal 4, 4","(I, 3-4)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Arbor_Vitae_Crucifixae_JesuChristi(Umbertino_da_Casale),Arbor vitae,Ubertino da Casale,http://dbpedia.org/resource/Ubertino_of_Casale,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, Augustus, 22; Floro, Epitoma, II 34 64; Orosio, Historiae adversus Paganos, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, Svetonio, Caio Tranquillo, in ED, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in ED, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in ED, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in VE II VI 7 (cfr. l'Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)","Augustus, 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Augustus(Svetonio),Augustus,Svetonio,http://dbpedia.org/resource/Suetonius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, Augustus, 22; Floro, Epitoma, II 34 64; Orosio, Historiae adversus Paganos, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, Svetonio, Caio Tranquillo, in ED, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in ED, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in ED, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in VE II VI 7 (cfr. l'Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)",II 34 64,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, Augustus, 22; Floro, Epitoma, II 34 64; Orosio, Historiae adversus Paganos, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, Svetonio, Caio Tranquillo, in ED, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in ED, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in ED, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in VE II VI 7 (cfr. l'Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)",VI 22,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +POETE ILLUSTRES,"L'espressione è enfatica (Vinay). Cfr. Virgilio, Eclogae, IV 6 (per il quale v. sopra, I XI 1); Ovidio, Fasti, I 280-1",IV 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Eclogues,Eglogae,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +POETE ILLUSTRES,"L'espressione è enfatica (Vinay). Cfr. Virgilio, Eclogae, IV 6 (per il quale v. sopra, I XI 1); Ovidio, Fasti, I 280-1",I 280-1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Fasti_(poem),Fasti,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +SCRIBA MANSUETUDINIS CRISTI,"Lc 2, 1: ""Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis"". Dante cita lo stesso luogo anche più avanti, II viii 14; in Cv IV v 8; e nell’Ep VII 14, ""dove Luca è detto “bos noster evangelizans accensus ignis eterni flamma” nella quale immagine tradizionale è la spiegazione dello “scriba mansuetudinis”"" (Vinay); e v. anche II x 6. Cfr. Gian Roberto Sarolli, Luca, in ED, III, 1971, pp. 696-7, e per il ""latinismo"" del ricorrente appellativo, Antonio Lanci, Scriba, ivi, V, 1976, p. 93, con rimandi a Mn II viii 14 e III iv 11, nonché a Pd X 27 (""quella materia ond’io son fatto scriba""), e con il commento: ""Infatti Luca e tutti coloro che hanno scritto il Vecchio e il Nuovo Testamento non erano veri e propri “scrittori”, nel senso di “autori”, ma “scrivani” (scribae) della parola di Dio"". Dante però usa il termine non solo per Luca, per gli scribe divini eloquii (Mn III iv 11) o per gli scribe Cristi (Mn III ix 9), ma anche per Livio (Mn II iii 6) e per gli scribe romane rei (Mn II iv 10), ai quali egli non negava di certo la qualità di “scrittori” nel senso di “autori” (tant’è che Ficino stesso, p. 384, gli scribe divini eloquii di Mn III iv 11 sono ""li scriptori del divino sermone"").","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +TUNICA ISTA INCONSUTILIS,"cfr. Io 19, 23: Erat autem tunica inconsutilis desuper contexta per totum. La tunica di Cristo, tessuta senza cuciture e che i soldati a guardia della croce non osano scindere, è assunta a simbolo della unità dell'Impero, spezzata il giorno della donazione di Costantino è seme e frutto di cupidigia [...] è ma non per questo meno legittima e indistruttibile perché voluta da Dio (Vinay). Cfr. più oltre, III X 6, e la v. Inconsutilis, in ED, III, 1971, p. 414. Niente affatto superfluo ricordare, come opportunamente fano Kay e Cassell, che nella extravagante Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245) si ricorre alla stessa figura come simbolo dell'unità indivisibile della Chiesa universale","(cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +BELLUA MULTORUM CAPITA FACTUM,"come il gran drago rosso dell'Apocalissi (12, 3) (Furlan); cfr. anche Ap 17, 9. Cassell rimanda ancora all'immagine analoga presente nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245: Igitur ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum) e addita come luogo parallelo Ep VII [6] 21, allegando Kay a proposito di una supposta eco di versi oraziani (Epist., I, 1, 76; Carm., II, 13, 34)","cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245: Igitur ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce Salmo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli Atti degli Apostoli, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della Monarchia al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche Nardi riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per Vinay il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo De potestate regia et papali, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (Ep VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del Convivio in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (Pd XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1","Ps 2, 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce Salmo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli Atti degli Apostoli, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della Monarchia al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche Nardi riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per Vinay il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo De potestate regia et papali, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (Ep VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del Convivio in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (Pd XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1","Ac 4, 23-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce Salmo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli Atti degli Apostoli, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della Monarchia al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche Nardi riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per Vinay il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo De potestate regia et papali, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (Ep VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del Convivio in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (Pd XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1",In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Psalmorum_libro_exegesis_(Beda_il_Venerabile),De psalmorum libro exegesis,Beda il Venerabile,http://dbpedia.org/resource/Bede,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +ADMIRABAR ... ROMANUM POPULUM,"per Scott 2010, p. 249, uno dei frammenti autobiografici più preziosi che Dante ci abbia mai lasciato. Indispensabile una lettura in parallelo con Cv IV IV 8-9 e 11-2: Veramente potrebbe alcuno gavillare dicendo che, tutto che al mondo officio d’imperio si richeggia, non fa ciò l’autoritade dello romano principe ragionevolemente somma, la quale s’intende dimostrare; però che la romana potenzia non per ragione né per decreto di convento universale fu acquistata, ma per forza, che alla ragione pare esser contraria. A ciò si può lievemente rispondere, che la elezione di questo sommo officiale convenia primieramente procedere da quello consiglio che per tutto provede, cioè Dio [...]. Onde non da forza fu principalmente preso per la romana gente, ma da divina provedenza, che è sopra ogni ragione. E in ciò s’accorda Virgilio nel primo dello Eneida [Aen. I 277-8], quando dice, in persona di Dio parlando: “A costoro – cioè alli Romani – né termine di cose né di tempo pongo; a loro ho dato imperio sanza fine”. La forza dunque non fu cagione movente, sì come credeva chi gavillava, ma fu cagione instrumentale, sì come sono li colpi del martello cagione [instrumentale] del coltello, e l’anima del fabbro è cagione efficiente e movente; e così non forza, ma ragione, [e] ancora divina, [conviene] essere stata principio del romano imperio. Nardi, p. 365, opportunamente commenta: Qui, nella Monarchia, Dante non parla affatto di “gavillo”, ma di due momenti diversi nello sviluppo del suo pensiero. Dapprima anche lui, come altri, aveva creduto con sua meraviglia che il popolo romano avesse conquistato il mondo senza alcun diritto, “sed armorum tantummodo violentia”. E continua: “Sed postquam medullitus oculos mentis infixi...”. Dante confessa ora che ci fu un tempo nel quale anch’egli aveva creduto quel che gli avversari dell’Impero credevano. Cosa che nel Convivio non dice, tutto preso dalla scoperta fatta da poco. Sulla animosità antiromana diffusa negli ambienti curialisti, da Egidio Romano a Jean Lemoine (che secondo la testimonianza di Giovanni d’Andrea voleva Roma fundata a praedonibus). Cfr. Vinay, che si affida a Chiappelli 1908, p. 21, cui deve anche l’improbabile idea (fortemente accreditata ancora da Crosara 1962) della dipendenza di Dante dalle Quaestiones de iuris subtilitatibus, un tempo attribuite ad Irnerio, dove si difendono “i Romani dalle accuse di violenza ponendo in rilievo la loro clemenza verso i vinti, la fedeltà cogli amici, la giustizia coi popoli soggetti”, aggiungendo che “quel grande popolo ottenne il principato del mondo per tali doti e per la sua prudenza nel dettar leggi” e concludendo che “Cristo gli confermò la potestà della terra”. Cfr. Cremascoli 2011, p. 37 e nota 28, anche per l’usuale riferimento ad Agostino, De civitate Dei, V, 21","V, 21",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +NATURALIS AMOR,"allega Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 60, a. 1 e chiosa Vinay: L’amor naturale è il vincolo elementare che stringe gli esseri e costituisce la base dell’armonia del creato; di fronte ad esso la “derisio” rappresenta un atteggiamento antitetico e disarmonico che va superato con la “correctio” che è atto di carità, cioè, in questo caso, di amicizia. Cfr. però il richiamo di Kay ad If XI 56 (pur lo vinco d’amor che fa natura) e ad altri luoghi tomisti","I, q. 60, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +HOC IPSUM DE ROMANO POPULO MENDACITER EXTIMANTES,"curiosamente ‘legittimistica’ l’interpretazione di Pézard, il quale, rifiutandosi di pensare a un Dante che faccia qui figure de révolutionnaire, crede alterato il testo tràdito che vorrebbe integrato da suum, intendendo: considérant faussement comme leur bien cela même qui est le bien du peuple romain. Né vale a tranquillizzarlo Vinay, che citando Tommaso d’Aquino e il suo De regimine principum, I 6, scrive: D. non trae le conseguenze di questa premessa e non dice quale dovrà essere l’atteggiamento dei sudditi per liberarsi di fatto: evidentemente, aggiungiamo noi, non potrà essere che uno solo, e cioè non la ribellione ma l’appello all’imperatore secondo il principio comunemente accolto: “si ... ad ius alicuius superioris pertineat multitudini providere de rege, expectandum est ab eo remedium contra tyranni nequitiam. Bertalot 1920, Ricci 1979 e Shaw 1996 relegano in apparato (ma con significative discordanze) la lezione existimantes, già accolta da Witte 1874, conservata dalla princeps K e da una minoranza di codici (H P U Y)",I 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SECUNDUM QUOD MATERIA PATITUR,"cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27; a questi luoghi e ai relativi commenti tomistici rinvia Vinay, con ulteriore richiamo alla Questio de aqua et terra, XX, e a Cv IV XIII 8 (col commento di Busnelli 1964, II, p. 158), cui accenna anche Nardi, precisando tuttavia che Dante ne tratta lì ad altro proposito",1094 b 12,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECUNDUM QUOD MATERIA PATITUR,"cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27; a questi luoghi e ai relativi commenti tomistici rinvia Vinay, con ulteriore richiamo alla Questio de aqua et terra, XX, e a Cv IV XIII 8 (col commento di Busnelli 1964, II, p. 158), cui accenna anche Nardi, precisando tuttavia che Dante ne tratta lì ad altro proposito",1098 a 27,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT EX HIIS PATET QUE DE CELO PHYLOSOPHAMUR,"cfr. Aristotele, De caelo, 270 b 12-6, di cui è esplicito il riferimento nel volgarizzamento dell’Anonimo: come è manifesto per quelle cose che inel libro “De’ Cieli” parla Aristotile (p. 155); tutto l’inciso manca invece in Ficino",270 b 12-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SIMILITUDO DIVINE VOLUNTATIS,"Vinay cita ancora Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 19, a. 2, Resp.: In quanto il diritto appartiene all’essenza divina, Dio lo vuole in due modi: in quanto fa parte della sua essenza cioè della sua perfezione e in quanto vuole che le creature partecipino della sua perfezione: “cum ad perfectionem voluntatis spectet ut bonum quod quis habet aliis communicet, hoc praecipue divinam voluntatem decet, ut se et alia velit; se ut finem, caetera vero ut ad finem ordinata, id est propter se, quia condecet eius summam bonitatem alia eam participare","I, q. 19, a. 2, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UT PHYLOSOPHUS DOCET,"come il Filosafo insegnia (Anonimo, pp. 155-6); come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27. Cfr. sopra, II II 1",1094 b 12,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHUS DOCET,"come il Filosafo insegnia (Anonimo, pp. 155-6); come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27. Cfr. sopra, II II 1",1098 a 27,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +EX MANIFESTIS SIGNIS ATQUE SAPIENTUM AUTORITATIBUS,"sull’auctoritas come forma di premessa in in un sillogismo che conduce a conclusioni probabili v. qui Imbach (p. 293), Kay (pp. 100-1, nota 21) e Cassell (pp. 304-5, nota 121), con rimando a Pietro Ispano, Summulae logicales, V, 36, ed. de Rijk, pp. 75-6, Cfr. più oltre, II V 6","V, 36, ed. de Rijk, pp. 75-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +ET INVISIBILIA DEI PER EA QUE FACTA SUNT INTELLECTA CONSPICIUNTUR,"così Paolo, Rm 1, 20: ""Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur""; Dante lo cita in Ep V [8] 23. Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921 hanno qui sed invisibilia; Ricci 1965, p. 176, restaura l’et unanimemente attestato dalla tradizione, diretta e indiretta (con la sola eccezione di C, che legge ž = etiam) ricevendone consenso da Nardi. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae","Rm 1, 20: Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ET INVISIBILIA DEI PER EA QUE FACTA SUNT INTELLECTA CONSPICIUNTUR,"così Paolo, Rm 1, 20: ""Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur""; Dante lo cita in Ep V [8] 23. Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921 hanno qui sed invisibilia; Ricci 1965, p. 176, restaura l’et unanimemente attestato dalla tradizione, diretta e indiretta (con la sola eccezione di C, che legge ž = etiam) ricevendone consenso da Nardi. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae","I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUM HONOR SIT PREMIUM VIRTUTIS,"cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1123 b 35: poiché l’onore è il premio della virtù, e lo si conferisce ai buoni (ripetuto nel commento tomista, III 9, n. 539: Honor [...] est praemium virtutis)",1123 b 35,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi Cv IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481) e demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi Cv IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481) e demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi Cv IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481) e demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, Sat. VIII 20; cfr. Cv IV XXIX 4: Alla prima questione risponde Giovenale nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due auctoritates per due nobilitates distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella Monarchia, dunque, Giovenale non nega più Aristotele, lo integra. Nardi precisa: Il verso di Giovenale però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della P.L. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco Kay e Cassell, che ricorda che in Cv IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, Tresor 2:114, where Bruneto also cites the Moralium as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of Juvenal). Cfr. Ettore Paratore, Giovenale, in ED, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, Juvenal, in DEnc, p. 550",Sat. VIII 20,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, Sat. VIII 20; cfr. Cv IV XXIX 4: Alla prima questione risponde Giovenale nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due auctoritates per due nobilitates distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella Monarchia, dunque, Giovenale non nega più Aristotele, lo integra. Nardi precisa: Il verso di Giovenale però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della P.L. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco Kay e Cassell, che ricorda che in Cv IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, Tresor 2:114, where Bruneto also cites the Moralium as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of Juvenal). Cfr. Ettore Paratore, Giovenale, in ED, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, Juvenal, in DEnc, p. 550",Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Moralium_dogma_philosophorum(Gauthier_da_Lilla),Moralium dogma philosophorum,Gauthier da Lilla,http://dbpedia.org/resource/Walter_of_Ch%C3%A2tillon,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, Sat. VIII 20; cfr. Cv IV XXIX 4: Alla prima questione risponde Giovenale nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due auctoritates per due nobilitates distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella Monarchia, dunque, Giovenale non nega più Aristotele, lo integra. Nardi precisa: Il verso di Giovenale però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della P.L. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco Kay e Cassell, che ricorda che in Cv IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, Tresor 2:114, where Bruneto also cites the Moralium as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of Juvenal). Cfr. Ettore Paratore, Giovenale, in ED, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, Juvenal, in DEnc, p. 550",2:114,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +IUXTA ILLUD EVANGELICUM,"Mt 7, 2: ""et in qua mensura mensi fueritis remetietur vobis""","Mt 7, 2: et in qua mensura mensi fueritis remetietur vobis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SUBASSUMPTA,"abbandono qui il testo dell’ed. Shaw 2009 per tornare alla lezione testimoniata dalla princeps K e dai manoscritti – ad eccezione di B, c. 91r, che ha Sub sumptam e di M, che legge Sub assumptę (c. 26r) – e respinta da tutti gli editori moderni in favore di Subassumptam: lezione congetturale che Ricci 1965 stima indiscutibilmente corretta, giudicando il neutro plurale subassumpta in contrasto con quanto si legge sopra, I XI 3; I XI 20; I XIII 8; e più avanti nel testo, II III 17; luoghi tutti dai quali si evincerebbe ""che siamo in presenza di un femminile singolare"". Con un ""E qui il Ricci si ferma"" Nardi contesta vivacemente tale scelta, proseguendo (pp. 374-5): Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica: “Est enim nobilitas virtus et divitie antique” Aristotele aveva accennato alla nobiltà della schiatta, mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale: “Que due sententie ad duas nobilitates dantur: propriam scilicet et maiorum” (cfr. qui sopra, § 4). Due sententie e due nobilitates, nient’affatto identiche: poiché nei paragrafi che seguono (II, iii, 8-9, 10-6) Dante le tiene accuratamente distinte. Che male c’è a credere che egli le abbia comprese entrambe sotto il neutro plurale subassumpta? Le citazioni del Ricci per escludere questa interpretazione non mi paiono valide; poiché nei tre casi di I, xi, 3, I, xi, 20 e I, xiii, 8 è evidente che si tratta di una sola “propositio subassumpta”. Nel quarto caso invece di II, iii, 17 (“Hiis itaque ad evidentiam subassumpte prenotatis”), parrebbe che Dante intenda riferirsi non “ad propriam eius [Enee] nobilitatem” (II, iii, 8-9), bensì “ad hereditariam nobilitatem” (ibid., 10-6), che è quella derivante dagli avi e dai matrimoni, e che si trasmette ai discendenti, sì che anche in questo caso si tratterebbe di una “propositio subassumpta” come negli altri tre. E fa bene Nardi a citare la traduzione ficiniana: ""Questo confermano et testimoniano gli antichi""; per contro, l’Anonimo traduce e chiosa: ""La subassunta, cioè la minore preposizione, li testimoni delli antichi la dimostrarono"". Per Favati 1970, p. 3, s’impone ""la reintegrazione del femminile, anche a non voler dire che l’accordo con testimonia non dà senso plausibile"". Kay sembra consentire a Nardi, intendendo così il senso del luogo in esame: ""The subassumed things [i.e. the opinions of Aristotle and Juvenal previously cited] are rendered credible by the testimonies of the ancients""; salvo poi concludere che ""subsequent commentators, however, have agreed with Ricci’s preference for subassumptam"" e tradurre quindi: ""On the other hand, the testimony of ancient writers substantiates the minor premise""",Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SUBASSUMPTA,"abbandono qui il testo dell’ed. Shaw 2009 per tornare alla lezione testimoniata dalla princeps K e dai manoscritti – ad eccezione di B, c. 91r, che ha Sub sumptam e di M, che legge Sub assumptę (c. 26r) – e respinta da tutti gli editori moderni in favore di Subassumptam: lezione congetturale che Ricci 1965 stima indiscutibilmente corretta, giudicando il neutro plurale subassumpta in contrasto con quanto si legge sopra, I XI 3; I XI 20; I XIII 8; e più avanti nel testo, II III 17; luoghi tutti dai quali si evincerebbe ""che siamo in presenza di un femminile singolare"". Con un ""E qui il Ricci si ferma"" Nardi contesta vivacemente tale scelta, proseguendo (pp. 374-5): Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica: “Est enim nobilitas virtus et divitie antique” Aristotele aveva accennato alla nobiltà della schiatta, mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale: “Que due sententie ad duas nobilitates dantur: propriam scilicet et maiorum” (cfr. qui sopra, § 4). Due sententie e due nobilitates, nient’affatto identiche: poiché nei paragrafi che seguono (II, iii, 8-9, 10-6) Dante le tiene accuratamente distinte. Che male c’è a credere che egli le abbia comprese entrambe sotto il neutro plurale subassumpta? Le citazioni del Ricci per escludere questa interpretazione non mi paiono valide; poiché nei tre casi di I, xi, 3, I, xi, 20 e I, xiii, 8 è evidente che si tratta di una sola “propositio subassumpta”. Nel quarto caso invece di II, iii, 17 (“Hiis itaque ad evidentiam subassumpte prenotatis”), parrebbe che Dante intenda riferirsi non “ad propriam eius [Enee] nobilitatem” (II, iii, 8-9), bensì “ad hereditariam nobilitatem” (ibid., 10-6), che è quella derivante dagli avi e dai matrimoni, e che si trasmette ai discendenti, sì che anche in questo caso si tratterebbe di una “propositio subassumpta” come negli altri tre. E fa bene Nardi a citare la traduzione ficiniana: ""Questo confermano et testimoniano gli antichi""; per contro, l’Anonimo traduce e chiosa: ""La subassunta, cioè la minore preposizione, li testimoni delli antichi la dimostrarono"". Per Favati 1970, p. 3, s’impone ""la reintegrazione del femminile, anche a non voler dire che l’accordo con testimonia non dà senso plausibile"". Kay sembra consentire a Nardi, intendendo così il senso del luogo in esame: ""The subassumed things [i.e. the opinions of Aristotle and Juvenal previously cited] are rendered credible by the testimonies of the ancients""; salvo poi concludere che ""subsequent commentators, however, have agreed with Ricci’s preference for subassumptam"" e tradurre quindi: ""On the other hand, the testimony of ancient writers substantiates the minor premise""",mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +DIVINUS POETA NOSTER VIRGILIUS,"il divino poeta Virgilio (Ficino). Dopo la citazione dell’Ecloga IV (sopra, I XI 1) è questo il primo ricordo dell’Eneide, su cui v. Domenico Consoli, Virgilio – Virgilio nelle opere minori, in ED, V, 1976, p. 1033, il quale sottolinea che il grosso dell’opera virgiliana si presenta a D. senza sovrastrutture allegoriche, come lettera veridica. In tal senso qui come nel Convivio e nella Commedia Virgilio, insieme con Livio, non solo garantisce la verità storica (Vinay), ma offre il superiore insegnamento morale per il quale gli stessi giuristi contemporanei di Dante ammettevano che nel difetto o nel silenzio delle norme giuridiche fosse lecito allegare i poeti: è il caso di Alberto Gandino, il quale, citando Virgilio, Aen. VI 730, scrive: Quas auctoritates et maxime, ubi leges deficiunt, non est prohibitum allegare (Tractatus de maleficiis, Rubr. Quid sit fama, § 1, ed. Kantorowicz 1907, p. 52; v. anche Quaglioni 1999a e cfr. Minnucci 2000)",è questo il primo ricordo dell’Eneide,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +TITUS LIVIUS,"cfr. Livio, Ab U. c. I 1. Dubbi sulla conoscenza diretta di Livio da parte di Dante registra Vinay (Si tratta sempre di citazioni generiche, non letterali, o, per lo meno, tali che la reminiscenza sarebbe difficilmente dimostrabile se non soccorresse un richiamo esplicito), concludendo che è impossibile giungere ad una certezza obiettiva, o meglio vi è una certezza sola, che D., scrivendo la Mon., non aveva avuto il testo sottomano come non lo aveva avuto scrivendo il Conv., III, 11, 3: “vivea ... Pittagora. E che ello fosse in quel tempo pare che ne tocchi alcuna cosa Tito Livio ne la prima parte del suo volume incidentemente”. Cfr. Antonio Martina, Livio, in ED, III, 1971, p. 675 e p. 677, dove si suppone che Dante abbia potuto disporre per qualche breve lasso di tempo delle Deche di L. o – ciò che è più probabile – di un’antologia contenente passi liviani e fissare nella sua memoria impressioni e immagini che poi ha utilizzato associandole a quelle di altri storici e poeti a cui egli si accostava con precisi interessi e che erano oggetto della sua quotidiana meditazione. Livio è evocato dopo i poeti (Virgilio, Ovidio, Stazio e Lucano) e con Plinio, Frontino, Paolo Orosio, qui nisi sunt altissimas prosas ... et multos alios quos amica sollicitudo visitare nos invitat in VE II VI 7: v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453, che con Marigo 1957 e Mengaldo 1979 scrive che “il nome dei quattro scrittori citati ... desterà la più grande meraviglia” [...]; “lista abbastanza sorprendente e misteriosa sia per le inclusioni che per le esclusioni (soprattutto Cicerone)” [...]. Dei quattro, l’unico largamente diffuso nell’età di Dante e a lui veramente familiare è Orosio: lo si ricava non solo dal Convivio, dalla Monarchia e dalla Commedia, per i quali Dante attingerà a piene mani dalla Historiae adversus paganos tanto l’informazione storica quanto la visione provvidenziale dell’Impero romano [...]; ma anche dal De vulgari, dove Orosio rappresenta la principale fonte geografica per la descrizione dell’Europa e dell’Italia. Sull’altissima probabilità di una conoscenza di Livio per il tramie di uno dei suoi scopritori nella Biblioteca Capitolare di Verona (uno dei primissimi centri preumanistici italiani) e sulla necessità, anche a questo proposito, di un supplemento d’indagine in rapporto a Dante, v. ancora la nota di M. Tavoni, ivi, pp. 1453-5, che giustamente interpreta l’amica sollicitudo con Renucci 1974, p. 72, come “l’insistence d’un ami”, e scrive: Si tratta, ne sono convinto, di una precisa allusione personale: un amico ha suggerito a Dante alcune letture estremamente specifiche. Può trattarsi solo di un amico determinato; anzi, per saper dare un suggerimento così peculiare, dev’essere un amico con caratteristiche culturali peculiari. Amicus, nel De vulgari, è parola riservata a una sola persona: in sei casi su sei compare nel sintagma cristallizzato “amicus eius” [...], a designare Dante in quanto amico di Cino da Pistoia. Si può formulare l’ipotesi che anche l’“amica sollicitudo”, in linea col messaggio che tutto il testo comunica, alluda a Cino. Cino sarebbe un candidato adattissimo per il rapporto unico che lo lega a Dante in questo momento, e appare abbastanza plausibile per fisionomia culturale, date le citazioni di autori classici di cui dissemina i suoi scritti giuridici [...]; fra i quali però dei nostri quattro autori compare solo il più ovvio, Orosio. Ma una circostanza molto più stringente orienta in altra direzione. Tutti e tre gli autori più imprevisti, Livio, Plinio e Frontino, ognuno dei quali a questa data è una rarità, puntano alla Biblioteca Capitolare di Verona (che peraltro possedeva anche Orosio “et multos alios”): in essa, infatti, si trovano eccezionalmente riuniti le Epistulae di Plinio il Giovane [...]; la I e la III deca di Livio, e probabilmente anche la IV; gli Stratagemata di Frontino [...]. A Verona, presso Bartolomeo della Scala, Dante aveva risieduto dalla tarda primavera del 1303 ai primi mesi del 1304.... Per la “fortuna” di Livio fra tardo Medioevo e primo umanesimo è d’obbligo il rimando a Billanovich 1989a; e cfr. Billanovich 1981, che tuttavia dietro Moore 1896, pp. 273-8, vede solo un Dante isolato e durante tutta la vita ammiratore entusiasta delle vecchie posizioni che l’università gotica aveva conquistato, e che perciò non si familiarizzò mai con gli Ab Urbe condita, preferendo ricorrere al triviale Orosio (pp. 55-6, anche per l’interessante parallelo fra il come Livïo scrive, che non erra di If XXVIII 12, che giustamente la Chiavacci Leonardi 1991, p. 833, mostra in parallelo con il luogo in esame, e il Si Titus Livius ne ment di Jean de Meung nel Roman de la rose, v. 5634). Cfr. infine quanto già esposto a questo proposito più sopra, I XVI 2 e II IV 9",Ab U. c. I 1,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IDEM IN SEXTO,"L ha item in vio., cui sembrerebbe corrispondere Ficino: Ancora nel sesto; l’Anonimo traduce anche, cioè Virgilio, nel sesto libro. Cfr. Aen. VI 162-235. Per Ettore v. la voce di Giorgio Padoan, in ED, II, 1970, pp. 762-3; per Miseno e Priamo le rispettive voci di Clara Kraus, in ED, III, 1971, p. 974, e dello stesso Padoan, ivi, IV, 1973, p. 660",Aen. VI 162-235,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +QUELIBET PARS TRIPARTITI ORBIS,"cfr. Orosio, Historiae adversus paganos, I 2 1: Maiores nostri orbem totius terre, oceani limbo circumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt, quamvis aliqui duas hoc est Asiam ac deinde Africam in Europam accipiendam putarint","I 2 1: Maiores nostri orbem totius terre, oceani limbo circumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt, quamvis aliqui duas hoc est Asiam ac deinde Africam in Europam accipiendam putarint",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ASSARACO,"cfr. Virgilio, Aen. VI 648-50; e v. la relativa voce di Clara Kraus, in ED, I, 1970, p. 418",Aen. VI 648-50,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NOSTER POETA,Ficino ha Vergilio; cfr. Aen. III 339-40,Aen. III 339-40,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +ET QUOD FUERIT CONIUNX,"et che fussi moglie (Ficino), e che fosse moglie (Anonimo). È necessario il confronto con Cv IV XXVI 8: E così infrenato mostra Virgilio, lo maggiore nostro poeta, che fosse Enea, nella parte dello Eneida ove questa etade si figura; la quale parte comprende lo quarto, lo quinto e lo sesto libro dello Eneida. E quanto raffrenare fu quello, quando, avendo ricevuto da Dido tanto di piacere quanto di sotto nel settimo trattato si dicerà, e usando con essa tanto di dilettazione, elli si partío, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa, come nel quarto dell’Eneida scritto è!. Si veda la lunga nota di Nardi, pp. 380-1, a proposito della colpa di Didone e di Enea: La colpa di Enea è chiara: egli consentì, sì, all’amore di Didone, ma non consentì mai di divenire suo coniuge. Che essa sia condannata nella schiera ov’è Francesca (Inf., V, 61-2), per aver rotto “fede al cener di Sicheo”, non vuol dire, come pensa Vinay, che “sarebbe difficile chiarire che cosa Dante abbia pensato effettivamente della legittimità o meno di un connubio pagano”; un connubio, pagano o no, è un connubio, fondato sul reciproco consenso, e il venir meno a questo consenso reciproco costituisce una rottura. Di questo connubio si parla in tutto il canto IV dell’Eneide, ma Virgilio lascia capire in modo chiaro che Didone chiamava coniugium quello che era un amore furtivo, e che con questo nome coniugium essa celava una colpa, non un reciproco contratto stipulato nell’intento di por fine alle peregrinazioni dell’ospite e di resistere all’intimazione di Giove: Naviget! (Aen., IV, 237). Ed Enea si dimostra disposto ad obbedire. Cfr. Vinay, pp. 124-5, nota 24","Aen., IV, 237",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +IDEM NOSTER VATES VATICINATUR,"il medesimo poeta nostro profetizza (Anonimo); al solito, Ficino ha dichiara Virgilio; cfr. Aen. IV 171-2. Preferisco noster vates, testimoniato dai manoscritti ?1 (B L), oltre che da S, a noster poeta, probabile integrazione tramandata da E M P e accolta da Bertalot 1920 e da Rostagno 1921. La princeps e i restanti codici hanno infatti noster; e Idem noster, con Ricci 1965, poco felicemente hanno tutti gli editori fino a Shaw 2009, che trasferisce la maiuscola dall’idem al noster, scrivendo idem Noster. Non convincono le giustificazioni di Ricci 1965, pp. 180-1, cui pare di dover escludere che il semplice noster nient’altro sia che una lezione lacunosa per il fatto che l’intera famiglia ? s’accorda [...] con la maggior parte della famiglia ? nel dare il semplice noster [...], saldo indizio che tale dovesse essere la lezione dell’archetipo. E dunque? Ciò che si deve escludere è che il semplice noster sia errore dell’archetipo (cosa non agevole, soprattutto a causa di quel noster vates vaticinatur che obbliga a considerare attentamente l’ipotesi della caduta per omeoteleuto, anche indipendentemente dall’uso precedente di noster Vates ... cantat in II III 12). Invece Ricci 1965 adduce a sostegno del semplice noster poco più della sua pura e semplice convinzione, e domandatosi: Ma posto che l’archetipo avesse il solo noster, potremo accoglierlo come lezione genuina?, risponde: Io ritengo di sì, offrendo questa sola ragione: Basta riflettere che, avendo Dante citato il poeta Virgilius [...], le tre volte successive si limita a dire Poeta [...]; o Vates [...], poi di nuovo Poeta e finalmente Idem. Ma tutte le volte aggiunge noster. Quindi Idem noster è lo stesso che poeta noster Virgilius. Basta davvero? Una ragione stilistico-grammaticale che milita troppo debolmente a favore del semplice noster non pare sufficiente. Ciò è reso evidente dalla stessa difficoltà degli interpreti che adottano la lezione di Ricci 1965 e tuttavia traducono, come ad es. Nardi o Marcelli-Martelli 2004, lo stesso Poeta nostro, il medesimo nostro Poeta, o notre poète (Pézard, Gally 1993, Livi 2002), o der Dichter (Imbach); solo Ronconi 1966 e Pizzica 1988 hanno, anticipando l’ed. Shaw 2009, il Nostro; ed eclatante è il fenomeno giusto nella versione della Shaw, che dopo aver tradotto il noster Vates ... cantat di II III 12 our bard proclaims, osserva: The word ‘bard’ [vates] underlines Virgil’s prophetic function, reiterated in the verb [vaticinatur] used in par. 15 (Shaw 1996, p. 36 nota 15); ma non solo nel verbo, se la stessa traduce nel luogo in esame l’Idem noster accolto dall’ed. Ricci our bard proclaims, integrando nella versione inglese il vates che non si vuol riconoscere come lezione genuina nel testo latino. Anche Kay adotta la stessa soluzione: our same bard sings divinely, chiosando infine (p. 111 nota 34): A divinus vates in action! Certo è che qui Virgilio non semplicemente dichiara (Ficino), afferma (Vinay) e neppure enseigne (Pézard, Livi 2002), lehrt (Imbach), ma vaticinat, profetizza (Anonimo), come nell’incontro con Dante in If I 100-5, dov’è utile ricordare Guido da Pisa, Expositiones et glose super Comediam Dantis, pp. 32-3: Postquam Virgilius contra avaritiam locutus est Danti, ponit quoddam vaticinium, dicens quod venturus est quidam dominus qui avaritiam exterminabit e mundo, ipsamque in Infernum reducet, de quo loco invidia dyabolica concitavit, ac per totam mundi machinam seminavit. Iuxta quod in Libro Sapientie dicitur secundo capitulo: Invidia dyaboli mors introivit in orbem terrarum. Hoc est, per invidiam dyaboli mors, hoc est avaritia, que totum mundum occidit, introivit in orbem terrarum. Sed circa istud vaticinium tria principaliter sunt dicenda [...]. Per primum accipere possumus nobilitatem Romani Imperii, quod quidem inter omnia regna obtinet principatum. Per secundum vero, personam possumus accipere imperantis, qui quidem ita largus erit quod nichil sibi preter honorem et gloriam reservabit, sed omnia rei publice et suis militibus assignabit [...]. Et ista duo pertinent ad sacrum imperium, sicut prophetatum fuit longo ante tempore, prout scribit Virgilius libro VI Eneydorum. Et beatus Augustinus etiam ponit in primo libro De Civitate Dei: Parcere subiectis et debellare superbos. Circa secundum est notandum quod iste poeta, more poetarum, futura vaticinatur; unde poeta idem est quod propheta. Nam quos Sacra Scriptura prophetas appellat, hos pagani denominabant poetas, et aliquando vates. Vates autem a vi mentis dicuntur, ut ait Varro. Vaticinando igitur dicit autor istum venturum dominum nasciturum inter feltrum et feltrum. Hoc est quia ista exterminatio quam faciet de avaritia erit virtualis et essentialis, non vitiosa et apparens; ideo dicit ipsam oriundam a corde. Cor autem medium est inter duas subascellas. Abscella autem lingua hyspana feltrum vocatur [...]. Circa tertium vero nota quod, licet ipsam avaritiam iste venturus dominus de toto mundo debeat effugare, nichilominus iste vates ponit vaticinando quod erit salus totius Ytalice regionis, quia in Ytalia magis avaritia viget, et in laycis clericis maxime propter symoniam prelatorum et presidum sacrosancte Romane Ecclesie cupidorum. Ea propter, ubi magis abundat infirmitas, ibidem succurrere magis debet efficacia medicantis. Veniet itaque venturus dominus qui avaritiam et symoniam de Ytalia ac orbe etiam universo repellet",Aen. IV 171-2,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NOSTRI POETE,"in Ficino ancora Vergilio; cfr. Aen. XII 936-7, e v. le voci Latino e Lavinia di Clara Kraus, in ED, III, 1971, pp. 599 e 602",Aen. XII 936-7,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +IPSE PROBAT SOLI DEO,"cfr. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, III 102",III 102,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AD SCINIPHES,"cfr. Ex 8, 16-7: Dixitque Dominus ad Moysen: Loquere ad Aaron: Extende virgam tuam et percute pulverem terrae, et sint sciniphes in universa terra Aegypti. Feceruntque ita. Et extendit Aaron manum virgam tenens percussitque pulverem terrae; et facti sunt sciniphes in hominibus et in iumentis; omnis pulvis terrae versus est in sciniphes per totam terram Aegypti. L’Anonimo ha quando fu venuto alli scivifes, cioè cienciali (p. 160), e Ficino a l’operare de’ segni, versione che, secondo Furlan, sembra riflettere un’errata lezione (signa per sciniphes?) del codice latino di cui si servì; o forse Ficino corresse, facendo appello all’interpretazione più larga possibile (le piaghe bibliche come “segni“ del volere divino) in presenza di lezioni inconferenti come quelle attestate in A1, sinistros, e in T, ministros corretto da sinistros (cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e l’apparato in Shaw 2009, p. 374). Vinay traduce di fronte al miracolo delle zanzare, e zanzare hanno, in vario modo, tutti gli altri, salvo Gally 1993 che usa il generico insectes, Nardi che ha locuste, biasimato perciò da Pizzica 1988 e quindi da Kay","Ex 8, 16-7: Dixitque Dominus ad Moysen: Loquere ad Aaron: Extende virgam tuam et percute pulverem terrae, et sint sciniphes in universa terra Aegypti. Feceruntque ita. Et extendit Aaron manum virgam tenens percussitque pulverem terrae; et facti sunt sciniphes in hominibus et in iumentis; omnis pulvis terrae versus est in sciniphes per totam terram Aegypti.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +UT IPSE THOMAS ... PROBAT SUFFICIENTER,"cfr. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, III 99: minores effectus qui fiunt per causas inferiores potest facere immediate absque secundis causis. Cfr. Kenelm Foster, Summa contra Gentiles, in ED, V, 1976, p. 480",III 99: minores effectus qui fiunt per causas inferiores potest facere immediate absque secundis causis.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SUBITA ET INTOLERABILI GRANDINE PERTURBANTE,"cfr. Livio, Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent. Ammesso (e non concesso) che Orosio più di Livio sembri qui essere stato la fonte di Dante (Ricci 1965), non capisco perché il turbata di Orosio valga più del turbavit di Livio a sostenere perturbante, accolto in Ricci 1965 e Shaw 2009 contro procumbante della coppia H Z o proturbante di C E Ph U V, di K e di tutti gli editori moderni. Ficino ha per la subita et intollerabile gragniuola; l’Anonimo di subito venne una intollerabile grandine. Per Annibale v. la voce di Nicola F. Parise, in ED, I, 1970, pp. 288-9","Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +SUBITA ET INTOLERABILI GRANDINE PERTURBANTE,"cfr. Livio, Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent. Ammesso (e non concesso) che Orosio più di Livio sembri qui essere stato la fonte di Dante (Ricci 1965), non capisco perché il turbata di Orosio valga più del turbavit di Livio a sostenere perturbante, accolto in Ricci 1965 e Shaw 2009 contro procumbante della coppia H Z o proturbante di C E Ph U V, di K e di tutti gli editori moderni. Ficino ha per la subita et intollerabile gragniuola; l’Anonimo di subito venne una intollerabile grandine. Per Annibale v. la voce di Nicola F. Parise, in ED, I, 1970, pp. 288-9",IV 17,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +TRANSITUS CLELIE MIRABILIS,"cfr. Livio, Ab U. c. II 13: Ergo ita honorata uirtute, feminae quoque ad publica decora excitatae, et Cloelia uirgo una ex obsidibus, cum castra Etruscorum forte haud procul ripa Tiberis locata essent, frustrata custodes, dux agminis uirginum inter tela hostium Tiberim tranauit, sospitesque omnes Romam ad propinquos restituit; Orosio, Historiae adversus paganos, II 5: et nisi hostem uel Mucius constanti urendae manus patientia uel uirgo Cloelia admirabili transmeati fluminis audacia permouissent, profecto Romani conpulsi forent perpeti aut captiuitatem hoste insistente superati, aut seruitutem recepto rege subiecti. Ficino ha mirabile cosa el transito d’Oratio Cocle, sì che Furlan ipotizza che la versione del filosofo platonico, qualora non nasca da una sua errata interpretazione, rifletta forse una lezione (Cocle per Clelie?) del codice latino di cui si servì, rammaricandosì infine che neppure in quest’occasione il parco apparato dell’edizione Ricci possa essere d’aiuto. Soccorrono ora l’apparato nell’ed. Shaw 2009 (p. 375) e più ancora la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006), che registrano la lezione cocle di F ed altre similari, tra le quali chloclie di T (dove però a c. 181r io leggo chloeli?); coclee di A1 E G L P (corretto in Cloelie) Ph Y; colee di D H S Z. Ma un’occhiata almeno all’apparato dell’ed. Bertalot (p. 47) avrebbe già soddisfatto a sufficienza, così come uno sguardo alle note di Nardi (p. 386), che possono fornire una ragione alla fusione dei due nomi: Nello scudo d’Enea [...], Clelia è associata a Coclite nel distico: pontem auderet quia uellere Cocles / et fluuium uinclis innaret Cloelia ruptis” (Aen. VIII 650-1). Un’analoga associazione è del resto anche poco oltre nel passo di Livio sopra ricordato","Ab U. c. II 13: Ergo ita honorata uirtute, feminae quoque ad publica decora excitatae, et Cloelia uirgo una ex obsidibus, cum castra Etruscorum forte haud procul ripa Tiberis locata essent, frustrata custodes, dux agminis uirginum inter tela hostium Tiberim tranauit, sospitesque omnes Romam ad propinquos restituit; Orosio, Historiae adversus paganos, II 5: et nisi hostem uel Mucius constanti urendae manus patientia uel uirgo Cloelia admirabili transmeati fluminis audacia permouissent, profecto Romani conpulsi forent perpeti aut captiuitatem hoste insistente superati, aut seruitutem recepto rege subiecti.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +QUICUNQUE PRETEREA ... FINEM IURIS INTENDIT,"Colui che diriza el pensiero suo al bene della repubricha diriza el pensiero al fine della ragione (Ficino); qualunque persona adtende al bene della republica, la fine della ragione adtende (Anonimo); anacronistiche le traduzioni che fanno riferimento al bene dello stato. Con questa sententia Dante apre la sezione del secondo libro consacrata alla dimostrazione della giuridicità dell’Impero, nelle sue origini così come nella sua realtà presente, attraverso la ricerca di una definizione del fine del diritto e della sua stessa sostanza. Se l’idea della identità del bonum rei publice (la salus rei publicae ciceroniana) col fine stesso del diritto appartiene alla tradizione teologico-politica e giuridico-politica, a Dante si deve riconoscere la novità di una stretta formulazione di natura quasi aforistica. Naturalmente i “precedenti” a lui più vicini e per lui più autorevoli possono essere agevolmente indicati nel duplice strato, aristotelico e ciceroniano, della giuspubblicistica del XIII e XIV secolo, a cominciare dal commento tomista all’Etica Nicomachea (V 3). Cfr. anche l’ampia voce Cicerone, Marco Tullio, di Alessandro Ronconi, in ED, I, 1970, pp. 991-7",a cominciare dal commento tomista all’Etica Nicomachea,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well",I II 11,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well","Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well","In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well",1131 a 29-30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well","5, lect. 4 [...], no. 935",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well",2-2 q. 61 a. 2;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PROPTER COMUNEM UTILITATEM,"cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp.: omnis lex ad bonum commune ordinatur.","Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp.: omnis lex ad bonum commune ordinatur.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AB URBE SANCTA DISCESSIT,"la fonte, che Vinay dichiara di ignorare, è indicata da Ricci 1965 in Servio, In Aen. VI 825, e confermata da Nardi; cfr. anche Kay",Aen. VI 825,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +POETE NOSTRI DE IPSO CANENTI,"al solito, Ficino ha semplicemente Virgilio; cfr. Aen. VI 820-1",Aen. VI 820-1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +"UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante potuit, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla princeps K; questa ha inoltre narrat con B L G, mentre T ha enarrat (cfr. Shaw 2009, Introduzione, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, Ab U. c. VIII 9; X 28; Virgilio, Aen. VI 824, e Servio, In Aen. VI 825. Ulteriori indicazioni in Kay. Dante ne parla già in Cv IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in Pd VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",Ab U. c. VIII 9;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +"UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante potuit, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla princeps K; questa ha inoltre narrat con B L G, mentre T ha enarrat (cfr. Shaw 2009, Introduzione, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, Ab U. c. VIII 9; X 28; Virgilio, Aen. VI 824, e Servio, In Aen. VI 825. Ulteriori indicazioni in Kay. Dante ne parla già in Cv IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in Pd VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",Aen. VI 824,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +"UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante potuit, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla princeps K; questa ha inoltre narrat con B L G, mentre T ha enarrat (cfr. Shaw 2009, Introduzione, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, Ab U. c. VIII 9; X 28; Virgilio, Aen. VI 824, e Servio, In Aen. VI 825. Ulteriori indicazioni in Kay. Dante ne parla già in Cv IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in Pd VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",In Aen. VI 825,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarii_in_Vergilii_Aeneidos_libros,Commentarii in Vergilii Aeneidos libros,Servio Mario Onorato,http://dbpedia.org/resource/Maurus_Servius_Honoratus,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/epica_latina_commenti,WORK +SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione severissimi vere libertatis, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’Introduzione, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il vere che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra severissimi e libertatis attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la vera libertas di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione vere è rimasto nelle edizioni e traduzioni della Monarchia basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a Kay (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da Vinay e rinfocolata da Pézard, sul significato da darsi a vere, Cassell e Furlan, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano vere, con la traduzione conseguente di Cassell, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al vere di P (F N Y hanno veri; leggono veritatis Ph V), deve ricorrere alla Word Collation nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’Introduzione, p. 321. Registra invece la variante severissime, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra tutoris e auctoris: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi tutoris calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di auctoris da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, Vinay (e Pézard, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (tutoris) e ? (auctoris); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove tutoris trova il consenso della princeps K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di auctoris impostata da Vinay sulla base di Cv IV VI 5 (perché lì Dante parla di autor e non di auctor, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso Vinay all’omnium virtutum auctore di Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che autoris e auctoris si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio nella immaginazione dantesca (Vinay), Ricci allega Lucano, Pharsalia, II 374-378, e Seneca, Epistulae morales, XV III 69-73; Nardi, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, Aen. VIII 670, sottolineando da una parte come qui Monarchia e Convivio si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in Cv IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in Cv IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in Pg I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in ED, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal Convivio il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella Monarchia (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del Purgatorio: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",II 374-378,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione severissimi vere libertatis, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’Introduzione, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il vere che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra severissimi e libertatis attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la vera libertas di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione vere è rimasto nelle edizioni e traduzioni della Monarchia basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a Kay (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da Vinay e rinfocolata da Pézard, sul significato da darsi a vere, Cassell e Furlan, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano vere, con la traduzione conseguente di Cassell, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al vere di P (F N Y hanno veri; leggono veritatis Ph V), deve ricorrere alla Word Collation nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’Introduzione, p. 321. Registra invece la variante severissime, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra tutoris e auctoris: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi tutoris calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di auctoris da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, Vinay (e Pézard, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (tutoris) e ? (auctoris); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove tutoris trova il consenso della princeps K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di auctoris impostata da Vinay sulla base di Cv IV VI 5 (perché lì Dante parla di autor e non di auctor, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso Vinay all’omnium virtutum auctore di Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che autoris e auctoris si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio nella immaginazione dantesca (Vinay), Ricci allega Lucano, Pharsalia, II 374-378, e Seneca, Epistulae morales, XV III 69-73; Nardi, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, Aen. VIII 670, sottolineando da una parte come qui Monarchia e Convivio si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in Cv IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in Cv IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in Pg I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in ED, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal Convivio il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella Monarchia (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del Purgatorio: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",XV III 69-73,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistulae_morales_ad_Lucilium,Epistulae morales ad Lucilium,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione severissimi vere libertatis, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’Introduzione, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il vere che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra severissimi e libertatis attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la vera libertas di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione vere è rimasto nelle edizioni e traduzioni della Monarchia basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a Kay (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da Vinay e rinfocolata da Pézard, sul significato da darsi a vere, Cassell e Furlan, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano vere, con la traduzione conseguente di Cassell, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al vere di P (F N Y hanno veri; leggono veritatis Ph V), deve ricorrere alla Word Collation nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’Introduzione, p. 321. Registra invece la variante severissime, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra tutoris e auctoris: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi tutoris calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di auctoris da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, Vinay (e Pézard, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (tutoris) e ? (auctoris); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove tutoris trova il consenso della princeps K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di auctoris impostata da Vinay sulla base di Cv IV VI 5 (perché lì Dante parla di autor e non di auctor, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso Vinay all’omnium virtutum auctore di Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che autoris e auctoris si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio nella immaginazione dantesca (Vinay), Ricci allega Lucano, Pharsalia, II 374-378, e Seneca, Epistulae morales, XV III 69-73; Nardi, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, Aen. VIII 670, sottolineando da una parte come qui Monarchia e Convivio si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in Cv IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. 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E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in Pg I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in ED, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal Convivio il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella Monarchia (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del Purgatorio: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",Aen. VIII 670,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +INQUIT ENIM TULLIUS,"Cicerone, De finibus bonorum et malorum, II 61",II 61,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DE CATONE DICEBAT,"Cicerone, De officiis, I 112",I 112,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SIC ET IN OPERABILIBUS,"Dante [...] aveva detto, a conferma della sua tesi, che “finem iuris intendentem oportet cum iure intendere”: si tratta qui del fine vero del diritto, per raggiungere il quale non vi è altro mezzo che il diritto; quello raggiunto con mezzi che nulla avessero a che fare col diritto sarebbe invece, secondo le parole stesse di Aristotele, un qualcosa che del fine del diritto avrebbe solo l’apparenza, come della vera elemosina avrebbe solo l’apparenza quella fatta con beni rubati (Nardi). Dante ricalca il testo del commento di Tommaso d’Aquino all’Etica Nicomachea, VI 10, n. 1229: Contingit in syllogisticis aliquando concludi veram conclusionem per falsum syllogismum. Et ita etiam in operabilibus contingit quandoque pervenire ad bonum finem per aliquod malum. Et hoc est quod dicit, quod contingit aliquando sortiri bonum finem quasi falso syllogismo, ita scilicet quod aliquis consiliando perveniat ad id quod oportet facere, sed non per quod oportet: puta cum aliquis furatur ut subveniat pauperi. Et hoc est ac si aliquis in syllogizando ut veniat ad veram conclusionem assumeret medium aliquem falsum terminum","VI 10, n. 1229: Contingit in syllogisticis aliquando concludi veram conclusionem per falsum syllogismum. Et ita etiam in operabilibus contingit quandoque pervenire ad bonum finem per aliquod malum. Et hoc est quod dicit, quod contingit aliquando sortiri bonum finem quasi falso syllogismo, ita scilicet quod aliquis consiliando perveniat ad id quod oportet facere, sed non per quod oportet: puta cum aliquis furatur ut subveniat pauperi. Et hoc est ac si aliquis in syllogizando ut veniat ad veram conclusionem assumeret medium aliquem falsum terminum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NON TAMEN ELIMOSINA DICENDA EST,"l’esempio scolastico dell’elemosina, che non è tale quando sia elargita con il frutto del furto o della rapina (bonus usus non iustificat iniuste quesita), appartiene alla letteratura teologico-politica così come alla letteratura giuridica: cfr. soprattutto i testi escerpiti nel Decretum di Graziano, il c. 5, D","il c. 5, D",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NON TAMEN ELIMOSINA DICENDA EST,"l’esempio scolastico dell’elemosina, che non è tale quando sia elargita con il frutto del furto o della rapina (bonus usus non iustificat iniuste quesita), appartiene alla letteratura teologico-politica così come alla letteratura giuridica: cfr. soprattutto i testi escerpiti nel Decretum di Graziano, il c. 5, D",_EMPTY,CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +MEDIA AUTEM NEGLIGERET,"cfr. sopra, II II 2-3; Ficino ha et la materia disprezassi, l’Anonimo e•lla materia abandonasse. Si v. su ciò Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-IIae, q. 9, a. 1","I-IIae, q. 9, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUOD BENE PHYLOSOPHUS,"E però Aristotile ... pruova (Ficino); cfr. Physica, 194 a 28-32",194 a 28-32,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUOD ETIAM POETA NOSTER VALDE SUBTILITER,"Virgilio, Aen. VI 848-54. La qual cosa il poeta nostro troppo sottilmente (Anonimo); Ficino ha semplicemente: Questo manifesta Virgilio; anche l’omissione di valde subtiliter (e cfr. subito sotto l’analoga omissione di subtiliter tangit) più che a un intervento ficiniano inteso ad abbreviare, può far pensare ad una nota marginale scivolata nel testo; di notazioni del genere sono pieni anche i commenti danteschi: cfr. Benvenuto da Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, ad If XVII 1-33: valde vigil et subtiliter sentit; ad If XXVIII 22-63: valde subtiliter et pulcre; ad If XXXI 46-81: Et hic nota quod autor loquitur valde subtiliter; ad Pd XXI 103-42: valde, et inter alia pulcra quae scribit ... disputat subtiliter. Sia come sia, Vinay si sofferma a fornire dell’avverbio più di una interpretazione",Aen. VI 848-54,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +PRO SALUTE PATRIE,"cfr. sopra, I I 1 per il principio evocato in Dig. 1, 1, 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 1) e in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 101, a. 1",I I 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PRO SALUTE PATRIE,"cfr. sopra, I I 1 per il principio evocato in Dig. 1, 1, 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 1) e in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 101, a. 1","IIa-IIae, q. 101, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNDE PHYLOSOPHUS,"E • ccome dicie Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 9-10. Remigio de’ Girolami cites the same passage in the same vein in his exaltation of the common good (Cassell)",1094 b 9-10,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +INPOSSIBILE EST SINE FIDE PLACERE DEO,"Heb 11, 6","Heb 11, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Hebrews,Epistula ad Hebraeos,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +HOSTIUM TABERNACULI CRISTUM FIGURAT,"non mi riesce di dare una risposta all’interrogativo di Vinay, vale a dire fino a qual punto questa interpretazione arbitraria del passo del Levitico sia propria di D., poiché non sembra appartenere alla tradizione esegetica a noi nota",questa interpretazione arbitraria del passo del Levitico,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Leviticus,Levitico,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IUDICIUM SAMUELI CONTRA SAULEM,"v. 1 Sam 15, 1-23; per il giudizio divino espresso per bocca di Samuele v. più oltre, III VI 1-6. Cfr. le voci di Gian Roberto Sarolli, Samuele, in ED, IV, 1973, p. 1098 e Saul, ivi, V, 1976, p. 43. È tutt’altro che un relatively insignificant point (Cassell). Sull’importanza del luogo scritturale nella letteratura medievale v. Quaglioni 1999c, e più in generale i saggi raccolti in Campos Boralevi – Quaglioni 2003a","1 Sam 15, 1-23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Samuel,Libri di Samuele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SICUT PHARAONI REVELATUM FUIT,"cfr. Ex 7, 8-12","Ex 7, 8-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SECUNDO PARALIPOMENON,"2 Par 20, 12; è omesso da K D","2 Par 20, 12",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Chronicles,Libri delle cronache,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CERTARE ETENIM .. DICTUM EST,"la scelta di etenim, lezione di B L T contro enim della coppia D M, di G e della princeps K, si deve a Bertalot 1920; Ricci 1965 la difende contro Witte 1874 e Rostagno 1921. Vinay indica con precisione l’origine della falsa etimologia dantesca nel Catholicon del Balbi (Certo derivatur a certus ... et est certare, litigare, pugnare. Certi non solemus litigare unde dicitur certare quasi certum se dicens habere), rinviando ovviamente anche alle Derivationes di Uguccione, C 151 18 (che Dante non vi abbia neppure dato uno sguardo, come pare credere Kay, io lo stimo sommamente improbabile); cfr. anche Cassell, p. 312, nota 187",C 151 18,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +IN SUBSTITUTIONE MATHIE,"cfr. Ac 1, 26: et cecidit sors super Mathiam; e v. If XIX 94-6: “Né Pier né li altri tolsero a Matia / oro od argento, quando fu sortito / al loco che perdé l’anima ria” (col commento della Chiavacci Leonardi 1991, p. 583). Cfr. la voce Mattia di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 870-1","Ac 1, 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","c. 22, C. II, q. V",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18",XII 1 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","II 3, de duello, § un., p. 154",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_casibus_poenitentiae,Summa de casibus poenitentiae,Raimondo di Peñafort,http://dbpedia.org/resource/Raymond_of_Penyafort,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","IV, 13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_Libri_Politicorum(Tommaso),Sententia libri Politicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR: per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUIUS LUCANUS MEMINIT,"cfr. Lucano, Pharsalia, IV 609-61",IV 609-61,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +OVIDIUS ... DE RERUM TRANSMUTATIONE,"Hovidio nel nono “Metamorfoseos” (Ficino); cfr. Ovidio, Metam., IX 183-4: saevoque alimenta parentis / Antaeo eripui. Cfr. più oltre, II IX 11 e Cv III III 7-8: Onde si legge nelle storie d’Ercule, e nell’ Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti, che combattendo [Ercule] collo gigante che si chiamava Anteo, tutte ?le? volte che lo gigante era stanco, [ed] elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per sua volontà o per forza d’Ercule, forza e vigore interamente della terra in lui resurgea, nella quale e della quale era esso generato. Di che accorgendosi Ercule, alla fine prese lui; e stringendo quello e levatolo dalla terra, tanto lo tenne sanza lasciarlo alla terra ricongiugnere, che lo vinse per soperchio e uccise; e per Anteo If XXXI 100-5. L’esempio è riproposto più sotto, II IX 11; cfr. le voci di Giorgio Padoan, Anteo, in ED, I, 1970, pp. 296-7, ed Ercole, ivi, II, pp. 817-8; e v. Alessandro Vettori, Antaeus, in DEnc, p. 49",IX 183-4,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +MELIUS TULLIUS,"Cicerone, De officiis, III 10 42",III 10 42,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: per nonaginta annos et plures; si deve notare che M D hanno rispettivamente octuaginta e lxxxii; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. Vinay e Kay, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente Pézard) che l’espressione consorte thori ha la sua fonte in Ovidio, Metam., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di Vinay, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in If V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce Imperadore (imperatrice; imperadrice), in ED, III, 1971, p. 381",I 4 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: per nonaginta annos et plures; si deve notare che M D hanno rispettivamente octuaginta e lxxxii; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. Vinay e Kay, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente Pézard) che l’espressione consorte thori ha la sua fonte in Ovidio, Metam., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di Vinay, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in If V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce Imperadore (imperatrice; imperadrice), in ED, III, 1971, p. 381",I 319,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: per nonaginta annos et plures; si deve notare che M D hanno rispettivamente octuaginta e lxxxii; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. Vinay e Kay, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente Pézard) che l’espressione consorte thori ha la sua fonte in Ovidio, Metam., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di Vinay, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in If V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce Imperadore (imperatrice; imperadrice), in ED, III, 1971, p. 381",I 4 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +OVIDIUS MEMORIAM FECIT,"fa mentione Hovidio (Ficino); Ovidio ne fa memoria (Anonimo); e facit anziché fecit legge Witte 1874 con i codici M N P S. Non si tratta dunque di una semplice banalità degli isolatissimi P e M, come avrebbe voluto Ricci 1965. Cfr. Ovidio, Metam. IV 58. Cfr. Antonio Martina, Piramo, in ED, IV, 1973, p. 528",IV 58.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +UT OROSIUS MEMORAT,"Orosio, Historiae adversus Paganos, I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent. Kay avverte che introducendo gli Egizi nella successione degli Imperi Dante ha alterato l’ordine derivato dalla prophetia Danielis, così come lo si legge nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35, poi passato nella Glossa ordinaria alla Scrittura. Per gli Sciti, ricordati anche nel paragrafo seguente, cfr. quanto già detto sopra, I XIV 6","I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent.",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +UT OROSIUS MEMORAT,"Orosio, Historiae adversus Paganos, I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent. Kay avverte che introducendo gli Egizi nella successione degli Imperi Dante ha alterato l’ordine derivato dalla prophetia Danielis, così come lo si legge nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35, poi passato nella Glossa ordinaria alla Scrittura. Per gli Sciti, ricordati anche nel paragrafo seguente, cfr. quanto già detto sopra, I XIV 6","nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_a_ Daniele(Girolamo),Commento a Daniele,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +INTER QUASI ATHLOTETAS ET TERMINUM,"è omesso dalla princeps K e da Ficino; l’Anonimo ha infra la colonna termine. Bertalot 1920, p. 62, succintamente annota: Vox athloteta ex Arist. Eth. 1, 2, 1095 b 1 hausta est. Perciò Nardi può scrivere a commento: frase simbolica suggerita, come ha ben visto il Bertalot, da Aristotele, Eth. Nicom., I, 2, 1095 b 1. Gli atloteti erano coloro che presiedevano la corsa e stavano in principio; all’estremità opposta era la mèta o traguardo","I, 2, 1095 b 1.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +REX PERSARUM,"la princeps inverte Persarum rex; cfr. Orosio, Historiae adversus Paganos, II 7 6: Regina caput Cyri amputari atque in utrem humano sanguine oppletum conici iubet non muliebriter increpitans: “Satia te”, inquit, “sanguine quem sitisti, cuius per annos triginta insatiabilis perseverasti”; Dante lo ricorda in Pg XII 55-57: Mostrava la ruina e ’l crudo scempio / che fé Tamiri, quando disse a Ciro: “Sangue sitisti, e io di sangue t’empio”. Cfr. Clara Kraus, Ciro, in ED, II, 1970, p. 25","II 7 6: Regina caput Cyri amputari atque in utrem humano sanguine oppletum conici iubet non muliebriter increpitans: “Satia te”, inquit, “sanguine quem sitisti, cuius per annos triginta insatiabilis perseverasti”;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +LUCANUS ... MEMOR FUIT; CANIT ENIM IBI SIC,"fece menzione Luchano ... così dicendo (Ficino); per l’Anonimo semplicemente Lucano così ne canta. La princeps ha meminit. Cfr. Lucano, Pharsalia, II 672-3",II 672-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +MISERABILITER,"sembra a Kay che Dante qui echeggi Floro, Epitoma, II 18 9: non alia post Xerxen miserabilior fuga, piuttosto che Orosio, Historiae adversus Paganos, II 9-10",II 18 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +LUCANUS IN OCTAVO,"Lucano, Pharsalia, VIII 692-4",VIII 692-4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +O ALTITUDO DIVITIARUM SAPIENTIE ET SCIENTIE DEI,"cfr. Rm 11, 33: O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei. Se la princeps K omette per sé divitiarum, legge però sapientiæ et scientiæ, com’è nella Vulgata, insieme ai codici ?1 (B L) e G H. Critico della lezione scientie et sapientie, accolta da Ricci 1965 (e da tutti i precedenti editori) Nardi non vorrebbe si scegliesse un testo diverso solo per il dubbio che alcuni copisti scrivessero non ciò che leggevano, ma ciò che sapevano a memoria, avvertendo che ciò può accadere allo stesso autore, come può essere stato il caso di Dante, che cita lo stesso versetto paolino, e nello stesso modo, nella Questio de aqua et terra, XXII 77: Audiant vocem Apostoli ad Romanos: “O altitudo divitiarum scientiae et sapientiae Dei, quam incomprehensibilia iudicia eius et investigabiles vie eius!”; rimprovera dunque Ricci di non citare il luogo parallelo in Cv IV XXI 6: Per che io voglio dire come l’Apostolo: “O altezza delle divizie della sapienza di Dio, come sono incomprensibili li tuoi giudicii e investigabili le tue vie!”; luogo che la Simonelli 1970, pp. 387-8, ritiene lacunoso fin dalla prima edizione del 1490, e che dunque può essere letto “O altezza de le divizie de la sapienza e de la scienza di Dio”. Propone infine di leggere sapientie et scientie Favati 1970, p. 16. Cfr. a commento Cremascoli 2011, p. 38, nota 35","Rm 11, 33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +POETA NOSTER,Ficino ha ancora una volta Virgilio; cfr. Aen. I 234-6,I 234-6,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +LUCANUS IN PRIMO,"Lucano, Pharsalia, I 109-11",I 109-11,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +BOETIUS IN SECUNDO,"Boezio, Consolatio Philosophiae, II, metro 6, 8-13. Cfr. ancora la voce Boezio di Francesco Tateo, in ED, I, 1970, p. 656","II, metro 6, 8-13.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +EXIVIT EDICTUM,"cfr. Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis. La lezione exivit, prescelta da Ricci 1965 contro l’exiit di Bertalot 1920 (nonché della Vulgata) per avere dalla sua l’accordo di K T con ottimi rappresentanti del ramo ? (p. 203), è criticata da Nardi, che ricorda con enfasi che però il Vernani [...] ha: “Lucas dicit: ‘Exiit edictum’”!. Cfr. anche Kay. Tace l’apparato dell’ed. Shaw 2009, e perfino la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006) registra la sola lezione exivit (non così però se si ricorre alla funzione Show original spelling forms: leggono exiit i codici A2 B D F G H L M S, ai quali si può aggiungere l’Anonimo, che scrive “Exit ... escì”); Ficino traduce solo “Mandò”. Vinay commenta: ""Più avanti [...], riprendendo un motivo notissimo, D. darà del testo evangelico un’interpretazione politico-giuridica: qui lo cita per il suo valore di testimonianza storica a riprova della vittoria di fatto del popolo Romano"". Per Augusto cfr. sopra, I XVI 1 e più oltre, II X 6, ed Ep VII [3] 14; e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, Augusto, in ED, I, 1970, pp. 449-50","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT TULLIUS ET VEGETIUS CONCORDITER PRECIPIUNT,"come Tulio et Vegetio comandano (Ficino); cfr. Vegezio, De re militari, III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum; Cicerone, De officiis, I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore (e cfr. poco oltre, II IX 4 e 8, dov’è rifuso il testo del De officiis, I 34-38). Cfr. Moore 1893, p. 24; e ora Di Fonzo 2009, p. 53, e più ampiamente 2011. Vinay parla di un fraintendimento di Dante a proposito dell’accordo tra Cicerone e Vegezio; Nardi lo nega a ragione; per Kay Vinay is certainly right. Dissente dall’interpretazione data più in generale da Vinay a questo luogo Cassell, secondo cui Dante most likely learned of Vegetius from the twenty-three references to the De re militari that Giles of Rome makes in the De regimine principum, rimandando a Briggs 1999, p. 11","III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum;",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Re_Militari,Epitoma rei militaris,Vegezio,http://dbpedia.org/resource/Publius_Flavius_Vegetius_Renatus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +UT TULLIUS ET VEGETIUS CONCORDITER PRECIPIUNT,"come Tulio et Vegetio comandano (Ficino); cfr. Vegezio, De re militari, III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum; Cicerone, De officiis, I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore (e cfr. poco oltre, II IX 4 e 8, dov’è rifuso il testo del De officiis, I 34-38). Cfr. Moore 1893, p. 24; e ora Di Fonzo 2009, p. 53, e più ampiamente 2011. Vinay parla di un fraintendimento di Dante a proposito dell’accordo tra Cicerone e Vegezio; Nardi lo nega a ragione; per Kay Vinay is certainly right. Dissente dall’interpretazione data più in generale da Vinay a questo luogo Cassell, secondo cui Dante most likely learned of Vegetius from the twenty-three references to the De re militari that Giles of Rome makes in the De regimine principum, rimandando a Briggs 1999, p. 11","I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +BENE TULLIUS,"Cicerone, De officiis, I 12 38: ""Sed ea bella quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt""","I 12 38: Sed ea bella quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +RESPONDIT,"i versi che seguono appartengono agli Annales di Ennio e sono conservati in Cicerone, De officiis, I 12 38. Che il testo così citato da Dante, mutilo nei vv. 5 e 8, abbia perciò un innegabile tono “oracolare”, meno evidente nell’originale, è osservazione di Pizzica 1988 accolta da Kay. I due versi 5 e 8 sono però conservati, come subito si dirà, da un’esigua minoranza dei testimoni, rappresentata dalla princeps K e dall’addottrinato (Ricci 1965) M",I 12 38,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +FORUM SANGUINIS ET INIUSTITIE,"merchato di sangue et d’ing[i]ustitia (Ficino), mentre l’Anonimo scrive merchato di sangue e di giustizia. Imbach, p. 164 (cfr. Imbach, p. 306), ha sposato, ma solo in questo luogo e non più avanti nel paragrafo successivo, la proposta, vivacemente avanzata da Nardi, di restaurare la lezione iniustitie, conservata, oltre che da Ficino, da D, c. 44v (non però da G, come vorrebbe Bertalot 1920 in apparato, p. 66, ché quel testimone ha chiaramente iustie = iustitie a c. 22r) e accolta dagli editori con l’eccezione di Ricci 1965. Questi poté sostenere che Witte 1874, preferendo iniustitie, era andato contro la testimonianza dell’intera tradizione, obbiettando: Ma è facile osservare – e non faccio altro che ripetere ciò che benissimo hanno già notato il Bigongiari e il Toynbee – che Dante costruisce le due frasi in relazione a un concetto di Ennio esplicitamente poco prima citato: Nec mi aurum posco, nec mi pretium dederitis; non cauponantes bellum, sed belligerantes. Nel duello inteso come giudizio di Dio, gli avversari devono essere guidati unicamente dall’amore della giustizia; se per cupidigia combattessero, non si dovrà dire che anelano alla giustizia, ma che ne fanno commercio, iustitie mercatores in quanto combattono da mercenari; cauponantes bellum, come dice Ennio (p. 207). Smentendo in base all’apparato di Bertalot l’affermazione secondo cui iniustitie mancherebbe alla totalità dei testimoni, Nardi contesta insieme Bigongiari 1927, p. 458, Toynbee 1929, p. 53, e Ricci 1965, negando che Dante si riferisca al cauponantes bellum di Ennio e ribattendo argutamente: No, qui Dante parrebbe dire un’altra cosa: il loro combattimento “non tunc duellum, sed forum sanguinis et iniustitie dicendum esset; nec tunc arbiter Deus esse credatur, sed ille antiquus Hostis qui litigii fuerat persuasor”. In quel “forum sanguinis” ci sarebbe rimasta proprio la giustizia ... a tener compagnia al diavolo?. Per Pézard le sens est le même; Pizzica 1988 considera iniustitie inaccettabile; Kay sostiene ancora che all the manuscripts read iustitie e ritiene decisive la difesa di Bigongiari, cui consente anche Shaw 2009. Così anche Cassell. Io preferisco dar fede alla lezione iniustitie di D, Ficino, Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921, difesa da Nardi e recuperata da Imbach; me ne rende persuaso, oltre tutto, il testo del c. 25, D. I De penitencia, nel Decretum Gratiani, dove si legge quanto Dante poteva riecheggiare in questo luogo: Omnis iniquitas, et oppressio, et iniusticia, iudicium sanguinis est (Friedberg, I, col. 1164)",De penitencia,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT ASSOLET,"cfr. sopra, II VII 9, con il richiamo a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3","IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER VICTORIAM DAVID,"cfr. 1 Sam 17, 38-51","1 Sam 17, 38-51",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Samuel,Libri di Samuele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PROPTER INSTANTIAM COGNOSCENDAM,"la tradizione si divide qui tra iustitiam, attestata da D F G N T U V e prescelta da Bertalot 1920, da Ricci 1965 e da Shaw 2009, e instantiam della princeps K e dei rimanenti codici, adottato da Witte 1874 e da Rostagno 1921; si veda altresì la versione ficiniana, per conoscere l’instantia, e quella dell’Anonimo, che pur mal traducendo ha la stessa base nella tradizione: per la fretta di cognioscere. Per Ricci instantia è soltanto un termine del linguaggio filosofico indicante una proposizione che si contrappone ad un’altra, e dunque qui evidentemente non può aver luogo. Ma in questo contesto il significato è quello giuridico: instantiam cognoscere significa infatti “giudicare la lite pendente” (come in Dig. 5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77): cfr. sopra, II V 23. Tanto più che in Livio è chiaro che i due popoli e i loro campioni non combattono per una causa di giustizia, ma a motivo della cupido imperii e per ottenere la supremazia: imperium agebatur (Ab U. c. I 23, 7 e 25, 2). Difficoltà tra i moderni interpreti (Vinay non traduce; e v. Marcelli-Martelli 2004: per trovare giustizia), che però tacitamente sembrano in parte accedere al significato tecnico: Pézard, in simmetria con afin de rechercher le bon plaisir divin (poco più sopra, II IX 13), ha afin de connaître la décision divine; Nardi per definir la lite; Sanguineti 1985, anch’egli per simmetria con II IX 13, al fine di conoscere il giudizio di Dio; Pizzica 1988 per dirimere legalmente la contesa; Shaw 1996 in order to reach a just settlement","5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PROPTER INSTANTIAM COGNOSCENDAM,"la tradizione si divide qui tra iustitiam, attestata da D F G N T U V e prescelta da Bertalot 1920, da Ricci 1965 e da Shaw 2009, e instantiam della princeps K e dei rimanenti codici, adottato da Witte 1874 e da Rostagno 1921; si veda altresì la versione ficiniana, per conoscere l’instantia, e quella dell’Anonimo, che pur mal traducendo ha la stessa base nella tradizione: per la fretta di cognioscere. Per Ricci instantia è soltanto un termine del linguaggio filosofico indicante una proposizione che si contrappone ad un’altra, e dunque qui evidentemente non può aver luogo. Ma in questo contesto il significato è quello giuridico: instantiam cognoscere significa infatti “giudicare la lite pendente” (come in Dig. 5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77): cfr. sopra, II V 23. Tanto più che in Livio è chiaro che i due popoli e i loro campioni non combattono per una causa di giustizia, ma a motivo della cupido imperii e per ottenere la supremazia: imperium agebatur (Ab U. c. I 23, 7 e 25, 2). Difficoltà tra i moderni interpreti (Vinay non traduce; e v. Marcelli-Martelli 2004: per trovare giustizia), che però tacitamente sembrano in parte accedere al significato tecnico: Pézard, in simmetria con afin de rechercher le bon plaisir divin (poco più sopra, II IX 13), ha afin de connaître la décision divine; Nardi per definir la lite; Sanguineti 1985, anch’egli per simmetria con II IX 13, al fine di conoscere il giudizio di Dio; Pizzica 1988 per dirimere legalmente la contesa; Shaw 1996 in order to reach a just settlement","I 23, 7 e 25, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +LIVIUS IN PRIMA PARTE,cfr. Ab U. c. I 23-5,I 23-5,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IN MULTITUDINE DECERTANTIUM,"cfr. poco più sotto, II IX 18; la princeps K ha la variante disceptantium, accolta da Witte 1874 e respinta da Ricci 1965 (p. 210); trovo la medesima lezione in Y. Ficino traduce benché si conbattessi con gran moltitudine; l’Anonimo tace. Vinay ricorda ancora Orosio, Historiae adversus Paganos, II 4, dov’è solo un accenno, e osserva che tutto questo elenco dei successivi competitori di Roma trova esatto riscontro in Cicerone, De officiis, I 12 38",II 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IN MULTITUDINE DECERTANTIUM,"cfr. poco più sotto, II IX 18; la princeps K ha la variante disceptantium, accolta da Witte 1874 e respinta da Ricci 1965 (p. 210); trovo la medesima lezione in Y. Ficino traduce benché si conbattessi con gran moltitudine; l’Anonimo tace. Vinay ricorda ancora Orosio, Historiae adversus Paganos, II 4, dov’è solo un accenno, e osserva che tutto questo elenco dei successivi competitori di Roma trova esatto riscontro in Cicerone, De officiis, I 12 38",I 12 38,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LUCANUS ... REDUCIT SIC,"Lucano, Pharsalia, II 135-8; K inverte sic reducit",II 135-8,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +APOSTOLUS AD TIMOTHEUM,"2 Tm 4, 8","2 Tm 4, 8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Second_Epistle_to_Timothy,Seconda lettera a Timoteo,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +RATIONABILIBUS,"solo K legge rationalibus, lezione accolta da tutti gli editori e difesa da Ricci 1979, pp. 102-3, contro Favati 1970, p. 21, prima del doveroso restauro dell’ed. Shaw 2009 (cfr. Introduzione, pp. 305-6 e note 150-4; ma non si tratta certo di una congettura, come invece annota Kay). Anche Ficino ha rationali, mentre l’Anonimo scrive ragionevoli. Per il significato di rationabilis v. le Derivationes di Uguccione, R 26, 4, che distingue: et licet Boetius ista nomina indifferenter accipiat, differunt tamen, quia rationale dicitur quod utitur rationem ut homo, angelus, anima, rationabile quod ratione agitur vel dicitur vel quod ratione agit vel dicit; unde multi, immo omnes homines sunt rationales, sed non omnes sunt rationabiles","R 26, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +FREMUERUNT ET INANIA MEDITATI SUNT,"Dante rinnova l’annuncio del salmo con cui si apre il libro II (Ps 2, 1-3), rafforzando il senso dell’argomentazione già svolta in II I 1 e 4, che è tutto in quella constatazione della sostanziale identità dell’atteggiamento ribelle dei popoli dei suoi tempi con quello dei popoli già ribelli all’antica Roma: inane allora, inane oggi, la ribellione (Capitani 1965, poi Capitani 1983, p. 39); v. qui in proposito l’Introduzione, e più ampiamente Casadei 2011, p. 187 e note 12-3, a proposito dello stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ (Ep VI [2] 5, datata 31 marzo 1311), con rimando, in generale, a Russo 1987, Gagliardi 2007 e Muresu 2009","2, 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. Pd XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive Vinay: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), Kay aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s Decretum, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, Povertà, in ED, IV, 1973, p. 628","c. 59, C. XVI, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. Pd XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive Vinay: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), Kay aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s Decretum, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, Povertà, in ED, IV, 1973, p. 628","Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Declamationes_de_colloquio_Simonis_cum_Jesu(Goffredo_Auxerre),Declamationes de colloquio Simonis cum Jesu,Goffredo d’Auxerre,http://dbpedia.org/resource/Geoffrey_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. Pd XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive Vinay: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), Kay aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s Decretum, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, Povertà, in ED, IV, 1973, p. 628","c. 13, C. XII, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +REDEANT UNDE VENERUNT,"Ritornino honde vennono (Ficino); così anche l’Anonimo: Ritornino onde vennero. I due volgarizzamenti corrispondono alla lezione tramandata dai soli codici H Z; accolta da tutti gli editori moderni, è respinta recisamente da Ricci 1965 come un capriccio smentito dallo schieramento compatto della maggioranza dei codici e della princeps. Egli si spinge fino ad affermare (p. 213): Basta [...] analizzare il senso di questo passo, fino ad oggi interpretato sempre in modo errato, per capire che qui Redeunt e solo Redeunt va bene. Dante parla delle facultates Ecclesie provenienti da donazioni imperiali, e distingue due casi: 1. se tali beni non tornano all’Impero, chi li detiene non è grato del dono ricevuto; 2. se tali beni tornano all’Impero, allora si deve dire che tornano male, mentre invece erano venuti bene. Alla luce di tale svolgimento del pensiero dantesco, il congiuntivo esortativo Redeant è completamente privo di senso; mentre la frase Redeunt unde venerunt è una perfetta protasi con l’ellissi del si. L’improponibilità di tale interpretazione è denunciata da Nardi 1965, poi in Nardi 1966c, pp. 408-14; lo stesso Nardi conserva il testo dell’ed. Ricci 1965 (ciò che suona ancora fuorviante per Cassell, p. 316, nota 237) ma interpreta: Tornino onde vennero, commentando: perciò Dante ha il coraggio di gridare: “Tornino onde vennero: vennero bene e tornano male: giacché furono ben dati e mal posseduti”! (pp. 426-7). Questa correzione, tacitamente accolta già in Pézard (Qu’ils s’en retournent au lieu d’où ils sont venus) e nel testo corredato dalla traduzione del Ronconi 1966 (Tornino da dove sono venuti), è stata espressamente accolta da Imbach, che traduce di conseguenza: Diese Güter sollen dahin zurückkehren, woher sie gekommen sind (pp. 170-1 e p. 309); così anche Pizzica 1988, pur se limitatamente alla traduzione (Ritornino da dove provennero, corredata da un nota adesiva alle argomentazioni di Nardi). Riconosciuta come lezione genuina da Shaw 1981, pp. 207-8, adottata nelle edizioni-traduzioni della Shaw (a) 1995 e 1996: Let them return where they came from, e da Cassell (Let them go back where they came from!) che la giudica come la sola dotata di senso logico, è ancora contestata da Kay, che inclinando verso la lezione difesa da Ricci suggerisce che Dante possa aver adottato quella “più esitante costruzione” perché probabilmente a conoscenza del dissenso di san Tommaso verso le norme giustinianee sulla revoca della donazione. Ma Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3 (Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda), afferma solo che chi conferisce un beneficio deve sanzionare l’ingratitudine non statim, e deve prima mostrarsi pium medicum: ut scilicet iteratis beneficiis ingratitudinem sanet. Per un bilancio di tutta la questione cfr. Furlan, e soprattutto Shaw 2009, Introduzione, p. 322. È forse lecito sospettare, infine, che nell’uso dell’espressione redeant unde venerunt possano ravvisarsi calchi di forme quasi proverbiali (cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1: sin aliter, aere dirutum facies, ut cumulo carminis in fiscum suum redacto redeant versus, unde venerunt).","IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +REDEANT UNDE VENERUNT,"Ritornino honde vennono (Ficino); così anche l’Anonimo: Ritornino onde vennero. I due volgarizzamenti corrispondono alla lezione tramandata dai soli codici H Z; accolta da tutti gli editori moderni, è respinta recisamente da Ricci 1965 come un capriccio smentito dallo schieramento compatto della maggioranza dei codici e della princeps. Egli si spinge fino ad affermare (p. 213): Basta [...] analizzare il senso di questo passo, fino ad oggi interpretato sempre in modo errato, per capire che qui Redeunt e solo Redeunt va bene. Dante parla delle facultates Ecclesie provenienti da donazioni imperiali, e distingue due casi: 1. se tali beni non tornano all’Impero, chi li detiene non è grato del dono ricevuto; 2. se tali beni tornano all’Impero, allora si deve dire che tornano male, mentre invece erano venuti bene. Alla luce di tale svolgimento del pensiero dantesco, il congiuntivo esortativo Redeant è completamente privo di senso; mentre la frase Redeunt unde venerunt è una perfetta protasi con l’ellissi del si. L’improponibilità di tale interpretazione è denunciata da Nardi 1965, poi in Nardi 1966c, pp. 408-14; lo stesso Nardi conserva il testo dell’ed. Ricci 1965 (ciò che suona ancora fuorviante per Cassell, p. 316, nota 237) ma interpreta: Tornino onde vennero, commentando: perciò Dante ha il coraggio di gridare: “Tornino onde vennero: vennero bene e tornano male: giacché furono ben dati e mal posseduti”! (pp. 426-7). Questa correzione, tacitamente accolta già in Pézard (Qu’ils s’en retournent au lieu d’où ils sont venus) e nel testo corredato dalla traduzione del Ronconi 1966 (Tornino da dove sono venuti), è stata espressamente accolta da Imbach, che traduce di conseguenza: Diese Güter sollen dahin zurückkehren, woher sie gekommen sind (pp. 170-1 e p. 309); così anche Pizzica 1988, pur se limitatamente alla traduzione (Ritornino da dove provennero, corredata da un nota adesiva alle argomentazioni di Nardi). Riconosciuta come lezione genuina da Shaw 1981, pp. 207-8, adottata nelle edizioni-traduzioni della Shaw (a) 1995 e 1996: Let them return where they came from, e da Cassell (Let them go back where they came from!) che la giudica come la sola dotata di senso logico, è ancora contestata da Kay, che inclinando verso la lezione difesa da Ricci suggerisce che Dante possa aver adottato quella “più esitante costruzione” perché probabilmente a conoscenza del dissenso di san Tommaso verso le norme giustinianee sulla revoca della donazione. Ma Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3 (Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda), afferma solo che chi conferisce un beneficio deve sanzionare l’ingratitudine non statim, e deve prima mostrarsi pium medicum: ut scilicet iteratis beneficiis ingratitudinem sanet. Per un bilancio di tutta la questione cfr. Furlan, e soprattutto Shaw 2009, Introduzione, p. 322. È forse lecito sospettare, infine, che nell’uso dell’espressione redeant unde venerunt possano ravvisarsi calchi di forme quasi proverbiali (cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1: sin aliter, aere dirutum facies, ut cumulo carminis in fiscum suum redacto redeant versus, unde venerunt).","cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cento_nuptialis(Ausonio),Cento Nuptialis,Ausonio,http://dbpedia.org/resource/Ausonius,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +ERGO CONTRADICTORIUM ANTECEDENTIS EST VERUM,"Vinay cita il commento boeziano al Perˆ `Ermhne…aj (I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur). Imbach rinvia alle Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 153, ed. de Rijk, p. 169; cfr. anche Kay e Cassell, che nota: Dante begins to use conditional arguments as opposed to syllogisms","I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarium_in_librum_aristotelis_perihermeneias(Boezio),Commentarium in librum aristotelis perihermeneias,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ERGO CONTRADICTORIUM ANTECEDENTIS EST VERUM,"Vinay cita il commento boeziano al Perˆ `Ermhne…aj (I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur). Imbach rinvia alle Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 153, ed. de Rijk, p. 169; cfr. anche Kay e Cassell, che nota: Dante begins to use conditional arguments as opposed to syllogisms","VII 153, ed. de Rijk, p. 169",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET,"come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere. Cfr. sopra, I XIII 4",1172 a 34-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT SCRIBA EIUS LUCAS TESTATUR,"Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis; cfr. sopra, II VIII 14 ed Ep VII [3] 14, e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, Augusto, in ED, I, 1970, pp. 449-50, e Cremascoli 2011, p. 39, nota 36","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta Kay osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di singulari, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (Vinay, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (Nardi): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e Cassell, ma è usato anche da Pézard e dalla Gally 1993; Imbach, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). Vinay cita in questo luogo estesamente un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". Nardi, che legge il Memoriale nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli Staatsschriften des späteren Mittelalters, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il Tractatus, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede Kay, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". Kay indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, Historie adversus Paganos, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. Furlan nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla Monarchia"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata Sine nomine 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della Monarchia dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).","un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Memoriale_de_prerogativa_Imperii_Romani(Alessandro_di_Roes),Memoriale de prerogativa Imperii Romani,Alessandro di Roes,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alessandro_di_Roes,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta Kay osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di singulari, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (Vinay, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (Nardi): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e Cassell, ma è usato anche da Pézard e dalla Gally 1993; Imbach, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). Vinay cita in questo luogo estesamente un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". Nardi, che legge il Memoriale nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli Staatsschriften des späteren Mittelalters, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il Tractatus, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede Kay, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". Kay indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, Historie adversus Paganos, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. Furlan nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla Monarchia"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata Sine nomine 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della Monarchia dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).",VI 22 6-8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta Kay osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di singulari, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (Vinay, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (Nardi): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e Cassell, ma è usato anche da Pézard e dalla Gally 1993; Imbach, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). Vinay cita in questo luogo estesamente un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". Nardi, che legge il Memoriale nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli Staatsschriften des späteren Mittelalters, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il Tractatus, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede Kay, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". Kay indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, Historie adversus Paganos, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. Furlan nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla Monarchia"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata Sine nomine 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della Monarchia dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).","bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,CONCEPT +ET SI ROMANUM IMPERIUM DE IURE NON FUIT,"de iure (per ragione nel volgarizzamento ficiniano, p. 375; di ragione in quello dell’Anonimo) è, al solito, variamente tradotto dagli interpreti più recenti: di diritto, von Rechts, de droit, based on right, lawful, ecc. Canning 2011, pp. 68-9 e nota 20, scrive che Dante produced the extraordinary argument that for the atonement to be valid, Christ had to be condemned and punished by a judge appointed by legitimate, universal authority, namely the Emperor Tiberius [...]. This was a theologically idiosyncratic view to say the least: one which went against theological orthodoxy and was rapidly condenmned by his opponents, as for instance Guido Vernani showed. Dante of course considered that he had thereby produced an irrefutable argument in the emperor’s favour, but in this he seemed to have been alone. In this use of the Bible as sacred history he was going out on a limb far beyond the traditional providential view. Per gli stretti punti di contatto di questo passaggio con il Defensor pacis di Marsilio da Padova v. Garnett 2006, pp. 75-6. Scrive Nardi a commento, p. 430 (con riferimento a Remigio de’ Girolami, ed. Matteini 1958, pp. 108-9, e allo stesso Nardi 1966c, pp. 377-85): questo capitolo xi, conclusivo del secondo libro dantesco, ha fatto perdere addirittura la testa al “più antico oppositore politico” di Dante, che, appena enunciata la tesi dantesca, esclama: “Hic iste homo copiosissime deliravit et, ponendo os in celum, lingua eius transivit in terra [Ps., 72, 9]. Quis enim unquam tam turpiter erravit ut diceret quod pena debita pro peccato originali potestati alicuius terreni iudicis subiaceret?",Per gli stretti punti di contatto di questo passaggio con il Defensor pacis di Marsilio da Padova,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUM DICAT APOSTOLUS,"Eph 1, 5-8. La Vulgata ha in laudem gloriae gratiae suae invece di in laudem et gloriam gratie sue, e inoltre divitias gratiae eius in luogo di divitias glorie sue","Eph 1, 5-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’",ubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tractatus_de_maleficiis(Alberto_Gandino),Tractatus de maleficiis,Alberto Gandino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alberto_Gandino,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 47, 10, 1,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Inst. 4, 4, pr.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNDE DICEBAT ILLE MOYSI,"Ex 2, 14: ""Quis te constituit principem et iudicem super nos?""","Ex 2, 14: Quis te constituit principem et iudicem super nos?",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ILLA PENA PUNITIO NON FUISSET,"Vinay, ricordando che il Vernani della Reprobatio (ed. Matteini 1958, p. 28) osserva ""che la sola cosa che conta è che Cristo abbia obbedito al Padre fino alla morte e alla morte in croce"" (come in Paolo, Ph 2, 8), giudica ""nuovo e paradossale nella sua forma l’argomento dantesco""; cita tuttavia un significativo passo del già menzionato Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück (ed. Grundmann, p. 14 = ed. Grundmann – Heimpel, pp. 97-8; cfr. sopra, II X 6): ""Dominus morte instante approbavit et honoravit romanum Imperium; dum enim Pylatus iactaret se de potestate quam habeet in Christum et diceret ei: ‘nescis quia potestatem habeo crucifigere et dimittere te?’ Dominus, ut dicit Iohannes, respondit: ‘non haberes ullam potestatem adversus me nisi datum esset tibi desuper’. Quod, secundum glosam, duobus modis exponitur. Uno modo sic: desuper, id est a Deo, quia non est potestas nisi a Deo; vel: desuper id est a Cesare, qui Pylatum prefecerat in presidem. Unde super verbis hiis ‘si hunc dimittis, non es amicus Cesaris’, dicit glosa: ‘Iudei terrent Pylatum a Cesare quem non potest ut auctorem sue potestatis contempnere’. Deus enim fuit auctor potestati Pylati primarius, Cesar autem fuit auctor sue potestatis secundarius. Secundum hunc posteriorem intellectum Dominus in verbis istis multum commendat romanum Imperium. Ostendit enim potestatem Cesaris aliis potestatibus mundanis preeminere et ipsas sub eo contineri. Quid est enim potestatem dari desuper nisi dari ab eo cuius supereminet potestas et alias potestates mundanas tamquam inferiores et minores sub se continet et includit?""","Ph 2, 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Philippians,Epistola ad Philippenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ILLA PENA PUNITIO NON FUISSET,"Vinay, ricordando che il Vernani della Reprobatio (ed. Matteini 1958, p. 28) osserva ""che la sola cosa che conta è che Cristo abbia obbedito al Padre fino alla morte e alla morte in croce"" (come in Paolo, Ph 2, 8), giudica ""nuovo e paradossale nella sua forma l’argomento dantesco""; cita tuttavia un significativo passo del già menzionato Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück (ed. Grundmann, p. 14 = ed. Grundmann – Heimpel, pp. 97-8; cfr. sopra, II X 6): ""Dominus morte instante approbavit et honoravit romanum Imperium; dum enim Pylatus iactaret se de potestate quam habeet in Christum et diceret ei: ‘nescis quia potestatem habeo crucifigere et dimittere te?’ Dominus, ut dicit Iohannes, respondit: ‘non haberes ullam potestatem adversus me nisi datum esset tibi desuper’. Quod, secundum glosam, duobus modis exponitur. Uno modo sic: desuper, id est a Deo, quia non est potestas nisi a Deo; vel: desuper id est a Cesare, qui Pylatum prefecerat in presidem. Unde super verbis hiis ‘si hunc dimittis, non es amicus Cesaris’, dicit glosa: ‘Iudei terrent Pylatum a Cesare quem non potest ut auctorem sue potestatis contempnere’. Deus enim fuit auctor potestati Pylati primarius, Cesar autem fuit auctor sue potestatis secundarius. Secundum hunc posteriorem intellectum Dominus in verbis istis multum commendat romanum Imperium. Ostendit enim potestatem Cesaris aliis potestatibus mundanis preeminere et ipsas sub eo contineri. Quid est enim potestatem dari desuper nisi dari ab eo cuius supereminet potestas et alias potestates mundanas tamquam inferiores et minores sub se continet et includit?""",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Memoriale_de_prerogativa_Imperii_Romani(Alessandro_di_Roes),Memoriale de prerogativa Imperii Romani,Alessandro di Roes,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alessandro_di_Roes,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IUDEX ORDINARIUS,"sembrerebbe di cogliere qui un’assonanza con la definizione della giurisdizione ordinaria come giurisdizione “totale”, che si legge nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 21 (De officio et potestate iudicis delegati), § 1, p. 16: Ordinarius iudex est qui in ecclesiasticis ab Apostolico, in secularibus ab Imperatore totalem quandam habet iurisdictionem","I, 21 (De officio et potestate iudicis delegati), § 1, p. 16: Ordinarius iudex est qui in ecclesiasticis ab Apostolico, in secularibus ab Imperatore totalem quandam habet iurisdictionem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretalium(Bernardo_da_Pavia),Summa decretalium,Bernardo da Pavia,http://dbpedia.org/resource/Bernardus_Papiensis,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SICUT ET CAYPHAS ... DE CELESTI DECRETO,"è allusione alla profezia di Caifa in Io 11, 49-52: Unus autem ex ipsis Caiphas nomine, cum esset pontifex anni illius, dixit eis: Vos nescitis quidquam nec cogitatis quia expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo, et non tota gens pereat. Hoc autem a semetipso non dixit; sed, cum esset pontifex anni illius, prophetavit quod Iesus moriturus erat pro gente et non tantum pro gente, sed ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum. Cfr. Pietro Mazzamuto, Caifas, in ED, I, 1970, pp. 751-2. Rinviando a quanto già detto in Nardi 1966c, pp. 383-4, lo stesso Nardi sottolinea che a questo prophetavit di Caifa il Vernani non ha fatto attenzione. Dante invece costruisce la fine del secondo libro proprio su questa arcana parola","Io 11, 49-52",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT LUCAS IN EVANGELIO SUO TRADIT,"come Santo Lucha parla inel Vangielio suo (Anonimo); Ficino invece ha come parla Lucha nel suo Vangelio. Cfr. Lc 23, 11: Sprevit autem illum Herodes cum exercitu suo et illusit indutum veste alba, et remisit ad Pilatum. La variante in suo Euangelio è testimoniata dalla princeps K e da F; D T omettono suo","Lc 23, 11: Sprevit autem illum Herodes cum exercitu suo et illusit indutum veste alba, et remisit ad Pilatum",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +O AUSONIAM TE GLORIOSAM,"col virgiliano Ausonia (Aen. I 421-2) Dante indica qui l’intiera penisola italiana (cfr. Pd VIII 61-2: e quel corno d’Ausonia che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona). Cfr. Clara Kraus, Ausonia, in ED, I, 1970, p. 452. Kay nota che l’enfasi sull’Italia è relativa agli effetti della donazione di Costantino, che consegnava al pontefice romano tam palatium ... quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates. Così nella palea Constantinus del Decretum Gratiani: c. 14 [§ 6], D. XCVI (Friedberg, I, col. 344 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93), per la quale v. oltre, III X 1",Aen. I 421-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +O AUSONIAM TE GLORIOSAM,"col virgiliano Ausonia (Aen. I 421-2) Dante indica qui l’intiera penisola italiana (cfr. Pd VIII 61-2: e quel corno d’Ausonia che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona). Cfr. Clara Kraus, Ausonia, in ED, I, 1970, p. 452. Kay nota che l’enfasi sull’Italia è relativa agli effetti della donazione di Costantino, che consegnava al pontefice romano tam palatium ... quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates. Così nella palea Constantinus del Decretum Gratiani: c. 14 [§ 6], D. XCVI (Friedberg, I, col. 344 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93), per la quale v. oltre, III X 1","c. 14 [§ 6], D. XCVI",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CONCLUSIT ORA LEONUM ... QUIA CORAM EO IUSTITIA INVENTA EST IN ME,"Dn 6, 22 (ripetuto più oltre, III I 3). Per il solenne esergo con le parole di Daniele, da cui D. attinge la forza di dire la verità benché sappia che gli avversari l’attaccheranno: Dio proteggerà Dante, v. Vincent Truijen, Daniele, in ED, II, 1970, p. 303, e ora più in generale Cremascoli 2011, p. 40 e nota 40. Vinay avverte che neppure questa citazione biblica era nuova nella pubblicistica dei tempi di Dante, come esempio degli interventi miracolosi di Dio nel governo del mondo, e cita in proposito Egididio Romano, De ecclesiastica potestate, III 3, aggiungendo: Ma lo scopo di D. è diverso: egli dirà parole dure per gli uomini di chiesa, prima di scendere in lizza vuole perciò affermare solennemente la sua consapevolezza di difendere la causa della giustizia e della verità, la sua ferma decisione di difenderla ad ogni costo, la sua fiducia piena nel soccorso divino. Tutto il capitolo mantiene il tono sostenuto dell’inizio, preannunzia la solenne profezia di Cacciaguida (Par., XVII) e richiama la canzone Tre donne intorno al cor: siamo nell’atmosfera dei grandi canti della giustizia e della fierezza di D.. Stupisce perciò che lo stesso Vinay s’interroghi subito dopo sul motivo di tanta solennità. Furlan avverte che Ficino ha Io ò chiuso le bocche a’ lioni [...], curiosamente in prima persona; ma non c’è nulla di curioso nella prima persona, sia perché l’identificazione tra Daniele e Dante è qui implicita, sia perché sono diversi i codici ? che leggono conclusi (A2 D E M S U); più chiaro ancora il volgarizzameno dell’Anonimo, che esplicita la lezione del proprio codice: “Conclusi ora leonum. Chonclusi le bocche de’ leoni et non mi nociettero, però che inanzi a•llui la giustizia è trovata in me”. Se inoltre è vero, com’è vero, che anche il carattere pedissequo del volgarizzamento dell’Anonimo può essere rivelatore dei suoi rapporti con la tradizione manoscritta, si noterà la coincidenza con la lezione di D, che inverte iusticia est inventa (A2 legge inventa est iusticia). Né Ricci 1965 né Shaw 2009 registrano queste varianti; la sola lezione Conclusi è invece nell’apparato di Bertalot 1920, p. 73, con l’esclusione dei codici S U, a lui sconosciuti; e v. la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006)","Dn 6, 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 1, 18 e 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 5, 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 8, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Ps 7, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","12, 3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 1 e 8, 3-11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PRECEPTOR MORUM PHYLOSOPHUS,"il comandatore de’ costumi, il Filosafo (Anonimo); el preceptore de’ costumi, Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1096 a 14-7: Ma può sembrare meglio e doveroso, per salvaguardare la verità, anche sacrificare i sentimenti personali, dal momento che noi siam pure filosofi: pur essendoci care entrambe le cose, gli amici e la verità, è dovere morale preferire la verità. Cfr. Cv IV VIII 15: E da questo fallo si guardò quello maestro delli filosofi, Aristotile, nel principio dell’Etica quando dice: “Se due sono li amici, e l’uno è la verità, alla verità è da consentire”; Pd XVII 118-20: “e s’io al vero son timido amico, / temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico” (col commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 490); Ep XI [5] 11: Habeo preter hec preceptorem Phylosophum qui, cuncta moralia dogmatizans, amicis omnibus veritatem docuit preferendam; per Aristotele maestro di filosofia morale cfr. Cv IV VI 15",1096 a 14-7,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DE VERBIS DANIELIS PREMISSIS,"Dn 6, 22; cfr. sopra, III I 1","Dn 6, 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DIVINA POTENTIA CLIPEUS DEFENSORUM VERITATIS ASTRUITUR,"cfr. Pv 30, 5: Omnis sermo Dei ignitus, clipeus est sperantibus in se","Pv 30, 5: Omnis sermo Dei ignitus, clipeus est sperantibus in se",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IUXTA MONITIONEM PAULI FIDEI LORICAM INDUENS,"cfr. 1 Th 5, 8: Nos autem, qui diei sumus, sobrii simus induti loricam fidei et caritatis et galeam spem salutis","1 Th 5, 8: Nos autem, qui diei sumus, sobrii simus induti loricam fidei et caritatis et galeam spem salutis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_Timothy,Prima lettera a Timoteo,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN CALORE CARBONIS ILLIUS ... TETIGIT LABIA YSAIE,"cfr. Is 6, 6-9: Et volavit ad me unus de seraphim et in manu eius calculus, quem forcipe tulerat de altari, et tetigit os meum et dixit: Ecce tetigit hoc labia tua, et auferetur iniquitas tua, et peccatum tuum mundabitur: Et audivi vocem Domini dicentis: Quem mittam? et quis ibit nobis? Et dixi: Ecce ego, mitte me. Commenta felicemente Vinay: Siamo in piena atmosfera profetica. Isaia vede il Signore ed è tormentato al pensiero di averlo visto “pollutus labiis”, un serafino lo purifica con un carbone ardente e Dio lo manda al suo popolo. Nel momento di affrontare l’ultima battaglia con le armi della dialettica D. sogna in cuor suo una investitura soprannaturale: resiste all’invito di più alto volo e col cap. 2 il trattato torna al tono consueto, ma le pupille del “loico” sembrano appena rideste da un gran sogno di poesia","Is 6, 6-9",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Col 1, 13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Colossians,Epistola ad Colossenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Ps 76, 16,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Lc 1, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Lc 22, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Ap 1, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +INTER DUO LUMINARIA MAGNA VERSATUR,"Sulla soglia della terza e più scottante “questio”, D. anticipa il classico argomento guelfo dei due “luminari”. Nell’entusiasmo del prologo, scritto con tutta l’anima, dimentica l’impassibilità del ragionatore e nella stessa formulazione del problema ne propone la soluzione: “duo luminaria magna”, foggiata com’è la frase, ricorda più i “due soli” di Purg., XVI, 107 che il sole e la luna tradizionali (Vinay). Per la metafora politica del sole e della luna, tratta da Gn 1, 16 e forse già adombrata sopra, I XI 5, cfr. più avanti, III IV 2 e 17-22; III XVI 18; oltre che in Ep V [10] 30 (splendor minoris luminaris); VI [2] 8 (Cur apostolice monarchie similiter invidere non libet, ut si Delia geminatur in celo, geminetur et Delius?); XI [10] 21 (Romam urbem, nunc utroque lumine destitutam), con le voci Luna, di Marcello Aurigemma, in ED, III, 1971, pp. 732-4 e Sole, di Giorgio Stabile (Temi di simbologia solare in Dante) e di Emmanuel Poulle (Il pianeta sole), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4. Su questo punto – senz’altro il più noto e discusso del trattato – mi limito per ora a ricordare Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, con la revisione critica di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82)","Gn 1, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SICUT IN SUPERIORIBUS EST PERACTUM,"cfr. sopra, I II 4. Nardi vi sottolinea il richiamo al principium inquisitionis directivum di I III 2 (e cfr. II II 1), come radice dei “termini medi” [...], cioè degli argomenti da assumere per la determinazione di essa [ricerca], con rimando alle Summulae logicales di Pietro Ispano, IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6); concordano Pizzica 1988 e Kay, che allegano anche Aristotele, Analytica priora, 25 b 37 – 26 a 1, e Cassell Cfr. sopra, I III 1, con la voce di Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 676","IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +SICUT IN SUPERIORIBUS EST PERACTUM,"cfr. sopra, I II 4. Nardi vi sottolinea il richiamo al principium inquisitionis directivum di I III 2 (e cfr. II II 1), come radice dei “termini medi” [...], cioè degli argomenti da assumere per la determinazione di essa [ricerca], con rimando alle Summulae logicales di Pietro Ispano, IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6); concordano Pizzica 1988 e Kay, che allegano anche Aristotele, Analytica priora, 25 b 37 – 26 a 1, e Cassell Cfr. sopra, I III 1, con la voce di Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 676",25 b 37 – 26 a 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ILLUD QUOD NATURE ... DEUS NOLIT,"se Nardi si appella qui a Pietro Ispano, Summulae logicales, V 36, Vinay fa di questo passo (il principio che Dio non vuole quel che ripugna all’intenzione della natura) la spina dorsale del libro e non semplicemente una lustra logica per dare unità ad un discorso frammentario: In realtà si tratta di una presa di posizione assai meditata: “natura”, tutto sommato, vuol dire qui “ragione”. E fin qui bene; ma poi aggiunge, non senza qualche forzatura: affrontando il problema dei rapporti fra spirituale e temporale D. si sforza di ragionare filosoficamente rinunciando del tutto alla metafisica e all’autorità. Mentre nei primi due libri i “principia” sono effettivamente dei trampolini logico-metafisici, qui il “principium” si risolve in un metodo",V 36,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +CIRCULI QUADRATURAM,"cfr. Aristotele, Physica, 185 a 14-7 e Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8; con Cv II XIII 27 testé citato v. Pd XXXIII 133-6: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova",185 a 14-7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CIRCULI QUADRATURAM,"cfr. Aristotele, Physica, 185 a 14-7 e Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8; con Cv II XIII 27 testé citato v. Pd XXXIII 133-6: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova","Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +THEOLOGUS VERO,"cfr. Cv II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. Pd XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; Pd XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a Dn 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a Dn 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. Ap 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito Summa Theologiae, I, q. 92, a. 4, ad 2","Ap 5, 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Revelation,Apocalisse,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +THEOLOGUS VERO,"cfr. Cv II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. Pd XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; Pd XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a Dn 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a Dn 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. Ap 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito Summa Theologiae, I, q. 92, a. 4, ad 2","Dn 7, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +THEOLOGUS VERO,"cfr. Cv II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. Pd XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; Pd XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a Dn 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a Dn 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. Ap 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito Summa Theologiae, I, q. 92, a. 4, ad 2","I, q. 92, a. 4, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EGIPTIUS VERO CIVILITATEM SCITHARUM IGNORAT,"per gli Sciti v. sopra, I XIV 6 e II VIII 5-6, con la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81; sulla Scizia come esempio [...] che non si può disputare intorno a cose che non si conoscono v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, p. 1203; per il significato di civilitatem v. ancora la nota di Tavoni a VE I IX 4, ivi, p. 1220, e sopra, I, II, 8. Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1112 a 24-32: Ma neppure si delibera [...] intorno a ciò che avviene ora in un modo ora in un altro, come la siccità o la pioggia. Neppure intorno alle cose che avvengono per caso [...]. Ma neppure intorno a tutte le cose umane: ad esempio nessuno degli Spartani potrebbe deliberare sul modo migliore in cui gli Sciti potrebbero governarsi. Sembra dubitare della pertinenza di questo riferimento Pizzica 1988; il dubbio è tutt’altro che chiarito da Kay",1112 a 24-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +RATIONIS INTUITUM VOLUNTATE PREVOLANTIBUS,"Shaw 2009 dissente dalla correzione introdotta da Ricci 1965 ed elogiata dallo stesso Nardi come liberazione del testo da un grave errore (p. 438); e cfr. Pizzica 1988, che parla di motivi giustissimi; e Kay, che si limita a parlare di un’emendazione introdotta correctly; di una lezione messa a testo con piena ragione parla ancora Furlan, mentre nello stesso volume Martelli traduce allontandosi dalla lezione di Ricci per tornare a quella del Ficino e del cod. Trivulziano: Martelli 2004, pp. 635-6 nota 6). Ricci infatti legge rationis intuitu voluntatem prevolantibus contro tutti gli editori moderni, che appoggiandosi al Ficino e al codice Trivulziano, preferirono rationis intuitum voluntate credendo che qui Dante voglia accennare agli uomini che sottomettono la ragione al desiderio, mentre, al contrario, Dante avrebbe inteso distinguere qui, come in Cv I IV 3, due grandi categorie di uomini: quelli che vivono secondo ragione, da quelli – e sono i più – che vivono secondo il senso, e perciò si sarebbe riferito agli uomini nei quali, normalmente, la volontà è guidata dalla ragione; per gli altri ogni discorso è inutile (Ricci 1965, p. 226, con rimando a quel che Dante dice dei bruti sopra, I XII 5). La Shaw ha modificato il proprio parere (cfr. Shaw 2009, Introduzione, pp. 324-6) dietro le contestazioni di diversi studiosi (cfr. la v. Volontà di G. Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40: 1138; e Sasso 2002, p. 303 nota 13) e soprattutto dietro gli argomenti addotti da Falzone 2006. Scrive la Shaw: Le traduzioni medievali della sezione dell’Etica di Aristotele a cui le righe dantesche alludono chiaramente liberano la questione da ogni dubbio [...]. Il commento di Tommaso d’Aquino all’Etica [...] è altrettanto chiaro: “quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium” (con apporto ulteriore della Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 156, a. 1, Resp., dove sono divisi due tipi d’incontinentia: Uno modo, quando anima passionibus cedit antequam ratio consilietur: quae quidem vocatur irrefrenata incontinentia, vel praevolatio. Alio modo, quando non permanet homo in his quae consiliata sunt, eo quod debiliter est firmatus in eo quod ratio iudicavit: unde et haec incontinentia vocatur debilitas). Ancora una volta perciò T ha la lezione corretta [...] e anzi è l’unico testimone che così legge insieme alla traduzione di Ficino: Agli huomini che volano collo appitito innanzi alla consideratione della ragione (pp. 379-80); non molto dissimile il volgarizzamento dell’Anonimo: Li huomini che proponghono la volontà alla ragione. La princeps K ha intuitu con tutti i codici ? e uoluntatem con la maggior parte degli stessi (cfr. Renello 2011, p. 156)","“quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium”",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RATIONIS INTUITUM VOLUNTATE PREVOLANTIBUS,"Shaw 2009 dissente dalla correzione introdotta da Ricci 1965 ed elogiata dallo stesso Nardi come liberazione del testo da un grave errore (p. 438); e cfr. Pizzica 1988, che parla di motivi giustissimi; e Kay, che si limita a parlare di un’emendazione introdotta correctly; di una lezione messa a testo con piena ragione parla ancora Furlan, mentre nello stesso volume Martelli traduce allontandosi dalla lezione di Ricci per tornare a quella del Ficino e del cod. Trivulziano: Martelli 2004, pp. 635-6 nota 6). Ricci infatti legge rationis intuitu voluntatem prevolantibus contro tutti gli editori moderni, che appoggiandosi al Ficino e al codice Trivulziano, preferirono rationis intuitum voluntate credendo che qui Dante voglia accennare agli uomini che sottomettono la ragione al desiderio, mentre, al contrario, Dante avrebbe inteso distinguere qui, come in Cv I IV 3, due grandi categorie di uomini: quelli che vivono secondo ragione, da quelli – e sono i più – che vivono secondo il senso, e perciò si sarebbe riferito agli uomini nei quali, normalmente, la volontà è guidata dalla ragione; per gli altri ogni discorso è inutile (Ricci 1965, p. 226, con rimando a quel che Dante dice dei bruti sopra, I XII 5). La Shaw ha modificato il proprio parere (cfr. Shaw 2009, Introduzione, pp. 324-6) dietro le contestazioni di diversi studiosi (cfr. la v. Volontà di G. Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40: 1138; e Sasso 2002, p. 303 nota 13) e soprattutto dietro gli argomenti addotti da Falzone 2006. Scrive la Shaw: Le traduzioni medievali della sezione dell’Etica di Aristotele a cui le righe dantesche alludono chiaramente liberano la questione da ogni dubbio [...]. Il commento di Tommaso d’Aquino all’Etica [...] è altrettanto chiaro: “quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium” (con apporto ulteriore della Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 156, a. 1, Resp., dove sono divisi due tipi d’incontinentia: Uno modo, quando anima passionibus cedit antequam ratio consilietur: quae quidem vocatur irrefrenata incontinentia, vel praevolatio. Alio modo, quando non permanet homo in his quae consiliata sunt, eo quod debiliter est firmatus in eo quod ratio iudicavit: unde et haec incontinentia vocatur debilitas). Ancora una volta perciò T ha la lezione corretta [...] e anzi è l’unico testimone che così legge insieme alla traduzione di Ficino: Agli huomini che volano collo appitito innanzi alla consideratione della ragione (pp. 379-80); non molto dissimile il volgarizzamento dell’Anonimo: Li huomini che proponghono la volontà alla ragione. La princeps K ha intuitu con tutti i codici ? e uoluntatem con la maggior parte degli stessi (cfr. Renello 2011, p. 156)","Ia-IIae, q. 156, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EX PATRE DYABOLO SUNT,"cfr. Io 8, 44: Vos ex patre diabolo estis et desideria patris vestri vultis facere. Nardi commenta: Questa seconda categoria di avversari comprende certamente i “reges et principes in hoc unico concordantes: ut adversentur Domino suo et Uncto suo, romano principi” (Mon., II, i, 3-5); ma non sono i soli; dubbi sulla possibilità di estendere l’accusa agli scrittori regalisti esprime Vinay","Io 8, 44",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +TRADITIONES ECCLESIE,"a differenza della traduzione letterale dell’Anonimo, le tradizioni della chiesa, Ficino scrive e loro decreti; Furlan ha ragione di notare che Ficino traduce sempre traditiones con riferimento alla legislazione pontificia (più oltre in questo paragrafo, custitutione, e in III III 14-6, costitutioni, ordini, ordinatione; ma non c’è alcun bisogno di supporre che egli leggesse nel suo codice constitutiones, che la tradizione manoscritta non registra mai; vero è invece che di ecclesiasticas constitutiones parla Graziano nel dictum ante c. 1, D. XV, che Dante ha qui costantemente presente. Kay osserva che è Dante, e non il “protervo canonista”, ad identificare le “tradizioni della Chiesa” con le decretali in III III 14; perciò non sembra avere molto senso la discussione su cui ancora insiste Vinay, se si debba intendere tutta la tradizione ecclesiastica posteriore ai “concilia principalia” e ai Padri o la tradizione quale è espressa nelle Decretali, propendendo per la prima ipotesi, che cioè Dante abbia proposto e abbia risolto in modo radicale la questione di principio sulla “tradizione” in genere nel senso che tutte le “traditiones” scritte emananti dalla Chiesa non hanno alcuna autorità se non in quanto la mutuano dalla Bibbia, dalle deliberazioni dei “Concilia principalia” e dai Padri","dictum ante c. 1, D. XV",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT AIT PROPHETA,"cfr. Ps 110, 9: Redemptionem misit populo suo, mandavit in aeternum testamentum suum: sanctum et terribile nomen eius","Ps 110, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SUNT VENERANDA ILLA CONCILIA PRINCIPALIA,"Vinay rinvia alla Determinatio compendiosa, VIII, e nota giustamente che Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3, in cui sono escerpiti testi di Isidoro, Gregorio Magno e Gelasio I sull’autorità dei quattro concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. In ispecie il c. 2, D. XV recita: Sicut sancti euangelii quatuor libros, sic quatuor concilia suscipere et uenerari me fateor [...]; hec tota deuotione amplector, integerrima approbatione custodio, quia in his uelut in quadrato lapide sanctae fidei structura consurgit, et cuiuslibet uitae atque actionis norma existit (Friedberg, I, col. 35). Si noti che Giovanni Teutonico, nella Glossa ordinaria al dictum grazianeo posto innanzi ai tre canoni della distinctio XV, scrive: Hactenus tractavit magister de naturali iure: hic incipit tractare de iure canonico; assignat itaque rationem et originem ipsius, et ostendit quae opuscula recipiantur ab ecclesia, et quae non (glo. quoniam de iure naturali, dictum ante c. Canones, D. XV, in Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis, col. 52)","Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUNT VENERANDA ILLA CONCILIA PRINCIPALIA,"Vinay rinvia alla Determinatio compendiosa, VIII, e nota giustamente che Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3, in cui sono escerpiti testi di Isidoro, Gregorio Magno e Gelasio I sull’autorità dei quattro concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. In ispecie il c. 2, D. XV recita: Sicut sancti euangelii quatuor libros, sic quatuor concilia suscipere et uenerari me fateor [...]; hec tota deuotione amplector, integerrima approbatione custodio, quia in his uelut in quadrato lapide sanctae fidei structura consurgit, et cuiuslibet uitae atque actionis norma existit (Friedberg, I, col. 35). Si noti che Giovanni Teutonico, nella Glossa ordinaria al dictum grazianeo posto innanzi ai tre canoni della distinctio XV, scrive: Hactenus tractavit magister de naturali iure: hic incipit tractare de iure canonico; assignat itaque rationem et originem ipsius, et ostendit quae opuscula recipiantur ab ecclesia, et quae non (glo. quoniam de iure naturali, dictum ante c. Canones, D. XV, in Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis, col. 52)","il c. 2, D. XV",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT MATHEUS TESTATUR,"cfr. Mt 28, 20; T ha Marcus (così anche poco oltre, III III 15)","Mt 28, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ET ALIORUM,"B L hanno Ieronimi et aliorum; il loro capostipite ripeteva con tutta probabilità mnemonicamente il dictum di Graziano ante c. Decretales (c. 1, D. XX), dov’è posto il problema della equiparazione delle decretali ai canoni conciliari e alla dottrina dei Padri ad esposizione della Scrittura: Unde nonnullorum Pontificum constitutis Augustini, Ieronimi atque aliorum tractatorum dicta eis videntur esse preferenda; simile lapsus in H, che legge Gregorii et aliorum",dictum di Graziano ante c. Decretales,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, Metaphysica, 981 a 30; 981 b 31-2. Nardi commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. Vinay avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato, insieme alla Summa contra Gentiles, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",981 a 30; 981 b 31-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, Metaphysica, 981 a 30; 981 b 31-2. Nardi commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. Vinay avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato, insieme alla Summa contra Gentiles, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, Metaphysica, 981 a 30; 981 b 31-2. Nardi commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. Vinay avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato, insieme alla Summa contra Gentiles, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",III 114,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SECUNDUM SCRIPTURAM GENESEOS,"è il luogo a ognuno noto di Gn 1, 16-8: Fecitque Deus duo luminaria magna: luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti, et stellas. Et posuit eas in firmamento caeli, ut lucerent super terram et praeessent diei ac nocti et dividerent lucem ac tenebras. Et vidit Deus quod esset bonum. Per la metafora politica del sole e della luna, forse già adombrata sopra, I XI 5 e III I 5 (ma v. Ep V [10] 30; VI [2] 8; XI [10] 21), e sviluppata più avanti, III IV 17-22 e III XVI 18, cfr. ancora le voci Luna, di Marcello Aurigemma, in ED, III, 1971, pp. 732-4 e Sole, di Giorgio Stabile (Temi di simbologia solare in Dante) e di Emmanuel Poulle (Il pianeta sole), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4, e più ampiamente Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, Vinay 1962, con le fondamentali note critiche di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82), e con nuova ed ampia analisi di Puletti 1989 e, più recentemente, di Cassell 2001 e Cassell, pp. 86-90, Quaglioni 2004e e 2005, e Ferrara 2005 e 2007","1, 16-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ALLEGORICE DICTA,"cfr. in generale la voce Allegoria di Jean Pépin, in ED, I, pp. 151-5, e per la Monarchia in particolare pp. 153-4. L’allegoria innocenziana, alla quale correntemente si rinvia (in ispecie alla decretale Solitae, inclusa nella Compilatio Tertia dello stesso pontefice nel 1210 [cap. 2, Comp. III, I, 21: QCA, p. 110] e quindi nel Liber Extra di Gregorio IX nel 1234 [cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8]), trova appiglio in una già consolidata tradizione esegetica intorno al libro della Genesi, dove la creazione del firmamentum è intesa come originaria costituzione dell’Ecclesia. Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro, ad Gn 1, 7, Allegorice, v. Firmamentum: Ecclesia (In universum Vetus et Novum Testamentum, I, f. 1vB)","cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ALLEGORICE DICTA,"cfr. in generale la voce Allegoria di Jean Pépin, in ED, I, pp. 151-5, e per la Monarchia in particolare pp. 153-4. L’allegoria innocenziana, alla quale correntemente si rinvia (in ispecie alla decretale Solitae, inclusa nella Compilatio Tertia dello stesso pontefice nel 1210 [cap. 2, Comp. III, I, 21: QCA, p. 110] e quindi nel Liber Extra di Gregorio IX nel 1234 [cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8]), trova appiglio in una già consolidata tradizione esegetica intorno al libro della Genesi, dove la creazione del firmamentum è intesa come originaria costituzione dell’Ecclesia. Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro, ad Gn 1, 7, Allegorice, v. Firmamentum: Ecclesia (In universum Vetus et Novum Testamentum, I, f. 1vB)",Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Postilla_super_Genesim(Ugo_di_San_Caro),Postilla super Genesim,Ugo di San Caro,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint-Cher,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale Solitae, De maioritate et obedientia (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’argumentum era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa principaliter et finaliter, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, I, n. 401, PL, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella Compilatio III apponendovi tranquillamente il dictum di Tolomeo nell’Almagesto (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al Liber Extra (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (Decretales D. Gregorii Papae IX., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’argumentum a perfezionamento nella sua diffusissima Summa sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (Summa Aurea, IV, Qui filii sint legitimi, § Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella Unam sanctam (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa Allocucio di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina Romani principes (cap. un., Clem., II, 9, De iureiurando: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. Cassell, p. 323, nota 307)","cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale Solitae, De maioritate et obedientia (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’argumentum era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa principaliter et finaliter, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, I, n. 401, PL, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella Compilatio III apponendovi tranquillamente il dictum di Tolomeo nell’Almagesto (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al Liber Extra (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (Decretales D. Gregorii Papae IX., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’argumentum a perfezionamento nella sua diffusissima Summa sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (Summa Aurea, IV, Qui filii sint legitimi, § Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella Unam sanctam (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa Allocucio di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina Romani principes (cap. un., Clem., II, 9, De iureiurando: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. Cassell, p. 323, nota 307)","cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale Solitae, De maioritate et obedientia (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’argumentum era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa principaliter et finaliter, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, I, n. 401, PL, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella Compilatio III apponendovi tranquillamente il dictum di Tolomeo nell’Almagesto (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al Liber Extra (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (Decretales D. Gregorii Papae IX., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’argumentum a perfezionamento nella sua diffusissima Summa sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (Summa Aurea, IV, Qui filii sint legitimi, § Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella Unam sanctam (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa Allocucio di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina Romani principes (cap. un., Clem., II, 9, De iureiurando: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. Cassell, p. 323, nota 307)",nella Clementina Romani principes,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_Septimus,Clementina Romani principes,Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +"QUOD, SICUT PHYLOSOPHO PLACET","che•ccome dicie Aristotile; Aristotele, De sophisticis elenchis, 176 b 29-35: Dal momento poi che la risoluzione corretta consiste nel rivelare la falsità di un sillogismo, indicando da quale domanda discende l’errore, e poiché d’altro canto un sillogismo si dice falso in due sensi (in un senso, se la conclusione dedotta è falsa, in un secondo senso, se il ragionamento appare come un sillogismo, pur non essendolo), sussisteranno dunque tanto la suddetta risoluzione, quanto la correzione del sillogismo apparente, la quale consiste nell’indicare la domanda, su cui si fonda l’apparenza del sillogismo. Imbach, p. 317, cita il commento di Tommaso, I, 22, n. 181: Contingit autem per aliquem syllogismus deceptionem accidere dupliciter: uno modo qui peccat in materia, procedens ex falsis; alio modo, quia peccat in forma, non servando debitam figuram et modum. Et est differentia inter hos modos duos: quia ille qui peccat in materia, syllogismus est, cum observentur omnia, quae ad formam syllogismi pertinent. Ille autem qui peccat in forma non est syllogismus, sed paralogysmus, idest apparens syllogismus","De sophisticis elenchis, 176 b 29-35",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"QUOD, SICUT PHYLOSOPHO PLACET","che•ccome dicie Aristotile; Aristotele, De sophisticis elenchis, 176 b 29-35: Dal momento poi che la risoluzione corretta consiste nel rivelare la falsità di un sillogismo, indicando da quale domanda discende l’errore, e poiché d’altro canto un sillogismo si dice falso in due sensi (in un senso, se la conclusione dedotta è falsa, in un secondo senso, se il ragionamento appare come un sillogismo, pur non essendolo), sussisteranno dunque tanto la suddetta risoluzione, quanto la correzione del sillogismo apparente, la quale consiste nell’indicare la domanda, su cui si fonda l’apparenza del sillogismo. Imbach, p. 317, cita il commento di Tommaso, I, 22, n. 181: Contingit autem per aliquem syllogismus deceptionem accidere dupliciter: uno modo qui peccat in materia, procedens ex falsis; alio modo, quia peccat in forma, non servando debitam figuram et modum. Et est differentia inter hos modos duos: quia ille qui peccat in materia, syllogismus est, cum observentur omnia, quae ad formam syllogismi pertinent. Ille autem qui peccat in forma non est syllogismus, sed paralogysmus, idest apparens syllogismus","I, 22, n. 181",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_libri_Posteriorum_Analyticorum(Tommaso),Expositio libri Posteriorum Analyticorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUE DUO PHYLOSOPHUS OBICIEBAT,"e queste due cose apponeva Aristotile (Ficino); Aristotele, Physica, 186 a 6-8. Cfr. in generale Cv II I 13: Ancora, posto che possibile fosse, sarebbe inrazionale, cioè fuori d’ordine, e però con molta fatica e con molto errore si procederebbe. Onde, sì come dice lo Filosofo nel primo de la Fisica, la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che conoscemo non così bene: dico che la natura vuole, in quanto questa via di conoscere è in noi naturalmente innata; e più in particolare Pd XII 121-6: Vie più che ’ndarno da riva si parte, / perché non torna tal qual e’ si move, / chi pesca per lo vero e non ha l’arte. / E di ciò sono al mondo aperte prove / Parmenide, Melisso e Brisso e molti, / li quali andaro e non sapëan dove, con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 378, con ampio rinvio a questo luogo. Cfr. anche Clara Kraus, Melisso, in ED, III, 1971, pp. 885-6 e le voci di Giorgio Stabile, Parmenide, ivi, IV, pp. 311-4 e Brisso, ivi, I, 970, pp. 700-1",186 a 6-8,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (Vinay, con allegazione di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 1. a. 5). Imbach, p. 318, cita le Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum","IIa-IIae, q. 1. a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (Vinay, con allegazione di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 1. a. 5). Imbach, p. 318, cita le Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum","IIa-IIae, q. 1. a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (Vinay, con allegazione di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 1. a. 5). Imbach, p. 318, cita le Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum",VII 16,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +AUGUSTINUS IN CIVITATE DEI,"Agostino, De civitate Dei, XVI 2. Scrive Puletti 1989, p. 252: La sottigliezza dell’Alighieri non deve destare stupore: tutti i teologi, soprattutto allorché scrivevano su problemi politici, insegnavano a togliere peso alle argomentazioni avversarie attraverso le pedanti diastinzioni logiche tipiche della scolastica, fossero esse a carattere filosofico o teologico (p. 252). Sull’importanza della citazione di Agostino da parte di Dante v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. XXXVII e Cremascoli 2011, p. 40 e nota 42. Rammenta questa stessa autorità Pietro Alighieri, nella terza redazione del suo Comentum super poema Comedie Dantis, nel proemio dell’Inferno",XVI 2,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +IDEM AIT IN DOCTRINA CRISTIANA,"Agostino, De doctrina Christiana, I 36. La princeps K e G hanno in libro de Doctrina Christiana; così anche l’Anonimo: ello medesimo Aghostino inello libro di “Dottrina Cristiana”; e così Ficino: esso ancora disse nel libro della “Dottrina cristiana",I 36,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_doctrina_christiana,De doctrina christiana,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DE ILLO QUI VULT ALIUD IN SCRIPTURIS SENTIRE QUAM ILLE QUI SCRIPSIT EAS DICIT,"che•cchi sente altrimenti nelle Scripture che•ccolui che•lle scripse (Ficino, p. 384); di quello, altro inelle Scritture sentire che quello che•lle scrisse, dicie (Anonimo). A dispetto della lunga e sprezzante nota di Ricci 1965, pp. 234-5, che la considera null’altro che un’erronea, arbitraria, saccente giunta, inserita da chi, per propria balordaggine non comprendendo il testo, credette necessario lavorare di congettura per guarire un passo che in effetti era sanissimo e non aveva alcun bisogno di cure, anch’io ho deciso di tornare alla lezione qui vult tramandata da D L M U, accolta da Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921 e arditamente propugnata da Nardi, pp. 446-8, ripresa parzialmente da Pizzica 1988 (che del qui vult salverebbe solo qui, concordandolo con dicit riferito a illo), riproposta da Imbach, p. 192 e p. 318, e, sia pure con l’avvertenza che the question must remain open, da Kay, ma non da Shaw 2009. Già tutta formulata in Ricci 1959, la soppressione suscitò la reazione, tanto curiosa e interessata quanto perplessa, di Capitani 1961 (poi in Capitani 1983, pp. 13-7), i cui dubbi, espressi in modo garbato ma pungente, riguardavano sia la mancanza di una chiara posizione stemmatica dei codici considerati deteriores, sia la struttura logica e grammaticale del testo proposto, sia – soprattutto – il suo rapporto con la fonte agostiniana, che male si riconosceva nella forma impersonale proposta da Ricci. Il quale nell’edizione del 1965 ripropose quasi parola per parola quanto esposto sei anni prima, confermando di ritenere ovvio nel latino classico e medievale l’uso delle proposizioni infinitive con valore neutro, accennando al suo critico senza degnarsi di farne il nome e facendo letterariamente spallucce (Che farci?). L’ed. Ricci 1965 legge pertanto idem ait in Doctrina Cristiana loquens de illo aliud in Scripturis sentire, intendendo illo come forma neutra, riferita a sentire usato in senso oggettivo e giungendo perfino a correggere puntigliosamente e pesantemente la traduzione proposta da Vinay: Il qui vult parve necessario a chi si ostinò nel credere che illo fosse maschile; invece è neutro, e si riferisce all’intera frase sentire in Scripturis aliud quam dicit ille qui scripsit eas: “parlando di quell’attribuire alla Scrittura un significato diverso da quello voluto da colui che l’ha scritta”. Non v’è errore, non v’è lacuna nel testo testimoniato dalla quasi totalità dei codici... (p. 235). Nardi, nel restituire il nome al critico di Ricci 1959, ne ripercorre gli argomenti, precisando: il testo agostiniano cui Dante si riferisce [...] dice: “Sed quisquis [var. si quis] in scripturis aliud sentit quam ille qui scripsit, illis non mentientibus fallitur”. Ma se Dante avesse avuto sotto gli occhi l’opera di sant’Agostino che cita, avrebbe avuto la certezza che quel quisquis e il sentit che segue danno alla frase un senso personale, al quale egli ritorna anche poco dopo (“ita fallitur” ecc.), e non si riesce a capire il senso impersonale che vorrebbe cavarne il Ricci [...], come gli obbietta O. Capitani [...]. “Quisquis in scripturis aliud sentit quam ille qui scripsit” non è certo reso fedelmente dalle parole della lezione attribuita a Dante: “loquens de illo aliud in Scripturis sentire quam ille qui scripsit eas”. Fedelmente Dante avrebbe riassunto il pensiero di Agostino se fra illo e aliud avesse inserito un semplice qui, e avesse lasciato stare sentit all’indicativo. Ma probabilmente, per maggior chiarezza, invece del semplice qui avrà messo un qui vult, e il vult lo ha obbligato a lasciare l’indicativo sentit per l’infinito: qui vult sentire: nel modo più semplice e naturale, senza il putiferio del de illo come neutro e di sentire come infinito campato in aria, che il Ricci ne ha tirato fuori... (pp. 447-8). Cassell, p. 324, nota 314 aderisce alla lezione delle edd. Ricci 1965 e Shaw 2009",in Doctrina Cristiana loquens de illo aliud in Scripturis sentire,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_doctrina_christiana,De doctrina christiana,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +PUBLICA IURA,"bene l’Anonimo: le publiche ragioni, e meglio ancora Ficino: le publiche costitutioni. Efficace ma anacronistico Vinay: lo stato, così come Nardi: pubbliche istituzioni, e più ancora Ronconi 1966: le leggi dello Stato; bene Pézard e Shaw 1996: les droits publics, public rights, e meglio ancora Kay e Cassell: public laws. Si ricordi che la summa divisio dettata nelle Istituzioni di Giustiniano dà del ius publicum la seguente definizione (Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3): publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, e con maggiore ampiezza nel Digesto (Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit","(Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PUBLICA IURA,"bene l’Anonimo: le publiche ragioni, e meglio ancora Ficino: le publiche costitutioni. Efficace ma anacronistico Vinay: lo stato, così come Nardi: pubbliche istituzioni, e più ancora Ronconi 1966: le leggi dello Stato; bene Pézard e Shaw 1996: les droits publics, public rights, e meglio ancora Kay e Cassell: public laws. Si ricordi che la summa divisio dettata nelle Istituzioni di Giustiniano dà del ius publicum la seguente definizione (Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3): publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, e con maggiore ampiezza nel Digesto (Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit","Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN SPIRITUM SANCTUM QUI LOQUITUR IN ILLIS,"per il significato di questa espressione come tipica del profetismo dantesco v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, pp. XXXVI-VII; per Vinay il passo riecheggia la rampogna paolina in 1 Cor 1, 12: Hoc autem dico, quod unusquisque vestrum dicit: Ego quidem sum Pauli, ego autem Apollo, ego vero Cephae, ego autem Christi; e 2 Pt 1, 21: Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines","1 Cor 1, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UNICUS ... DICTATOR EST DEUS,"per dictator v. Uguccione, D 52, 6 (a dicto dictator, qui dictat), e per il suo uso in Dante cfr. VE II VI 4 e Pg XXIV 59; per la specificità del suo significato in questo luogo v. la nota di M. Tavoni a VE II VI 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1442, con riferimento a Mengaldo 1979, e Chiavacci Leonardi 1994, p. 712. Cfr. anche la voce Dittare di Bruno Basile, in ED, II, 1970, p. 520, con la voce Dittatore relativa a questo luogo, ivi, p. 521","D 52, 6 (a dicto dictator, qui dictat)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ACCIDENTIA QUEDAM IPSIUS HOMINIS,"I due “regimina” [...] non aggiungono o tolgono nulla alla essenza dell’uomo (Vinay, che allega Boezio, In Isagogen Prophyrii, I 16, dove “sostanziale” nella natura dell’uomo è solo l’elemento razionale, e dove si afferma che solo se perisse questo perirebbe anche la speciei substantia)","I 16, Porfirio nella traduzione di Boezio",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Isagoge,Isagogen Prophyrii,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/7111,WORK +PRODUCERE REMEDIA FUISSET OTIOSUM,"sull’assioma scolastico Deus et natura nil otiosum facit e sulla sua fonte in Aristotele, De caelo, 271 a 33, cfr. quanto annotato sopra, I III 3",271 a 33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ARGUMENTUM PECCABAT IN FORMA,"si deve notare la variante peccabit, attestata da T M, e che trova corrispondenza nel volgarizzamento di Ficino: l’argumento peccherà in forma (l’Anonimo ha la ragione pecchava inn-ella forma); peccat legge G. Sulla falsità del sillogismo in forma, quando cioè il ragionamento appare come sillogistico pur non essendolo (parasillogismo, sillogismo apparente), cfr. ampiamente sopra, III IV 4, con le ulteriori precisazioni in margine a questo luogo in Vinay, Nardi e Kay, che rinviano tutti alle Summulae logicales di Pietro Ispano (ed. de Rijk, p. 44)",rinviano tutti alle Summulae logicales di Pietro Ispano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +QUIA PREDICATUM IN CONCLUSIONE NON EST EXTREMITAS MAIORIS,"nel sillogismo, che necessariamente si compone di tre termini (cfr. Aristotele, Analytica priora, 41 b 36), il predicato nella conclusione deve coincidere con il termine estremo della premessa maggiore, diversamente non ci sarà un solo termine medio ma due, come nel caso contestato da Dante, e il sillogismo sarà falso (“apparente”) perché avrà quattro termini anziché tre",41 b 36,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DE LICTERA MOYSI,"Gn 29, 34-5. Sul mancato uso di questo argomento scritturale prima di Dante, sul suo disdegno da parte del Vernani e sulla sua successiva, modesta comparsa nella Summa de potestate ecclesiastica di Agostino Trionfo (I 7) v. Vinay, pp. 222-3 nota 2 (il quale però, benché parli sulla scorta di Chiappelli 1908, p. 30, salta a conclusioni infelici, sostenendo di ritrovare in ciò conferma che D. non aveva una conoscenza approfondita della pubblicistica del suo tempo); v. anche le osservazioni di Kay, con riferimento all’ipotesi formulata da Maccarrone 1955, p. 57, che cioè Dante abbia potuto avere esperienza dell’uso di tale argomento in some oral dispute (e cfr. quanto detto sopra a proposito dell’audiverim di III III 10)","Gn 29, 34-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +FIGURA HORUM DUORUM REGIMINUM,"cfr. sopra, III IV 3 e soprattutto III IV 16, sia per i duo regimina, sia per il valore di fingo / figura (v. ancora Uguccione, F 42, 7-8: Item a fingo hic figulus, idest ollarius, luti compositor, qui lutum confingit et redigit in aliquam formam; et hec figura –e; est figura hominis, forma nature, et accipitur figura multis modis quos diligentia lectoris distinguet; unde figuratus –a –um, et figuro –as et hinc verbalia)","F 42, 7-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ALIUD EST ESSE NUNTIUM SIVE MINISTRUM,"cfr. Uguccione, M 10, 17 e 21: Item a maior maius adverbium [...]. Et componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic magister –tri, quasi maior in statione, sicut minister, minor in statione [...]; quod autem dicitur magister, quasi magis doctus, ethimologia est; M 106, 10: Minor componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic minister, quasi minor in statione; vel minister dicitur quia officium debitum manibus exequatur","M 10, 17 e 21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ALIUD EST ESSE NUNTIUM SIVE MINISTRUM,"cfr. Uguccione, M 10, 17 e 21: Item a maior maius adverbium [...]. Et componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic magister –tri, quasi maior in statione, sicut minister, minor in statione [...]; quod autem dicitur magister, quasi magis doctus, ethimologia est; M 106, 10: Minor componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic minister, quasi minor in statione; vel minister dicitur quia officium debitum manibus exequatur","M 106, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +DE LICTERA MATHEI,"Mt 2, 10-11: ""Videntes autem stellam gavisi sunt gaudio magno valde et intrantes domum invenerunt puerum cum Maria matre eius et procidentes adoraverunt eum et, apertis thesauris suis, obtulerunt ei munera, aurum, tus et myrrham""","Mt 2, 10-11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","IIIa, q. 67, a. 5, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","IIIa, q. 64, a. 5, 1:",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Ia, q. 75, a. 1, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 54",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,CONCEPT +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Duns Scotus,http://dbpedia.org/resource/Duns_Scotus,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 59",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 120",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 160, § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 175, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NULLUS PRINCEPS SE IPSUM AUCTORIZARE POTEST,"nessuno prencipe può autorizare sé medesimo (Anonimo, pp. 200-1); nessuno prencipe può autorità a•ssé medesimo dare (Ficino). Vinay azzarda che l’affermazione abbia un fondamento teologico e non giuridico, e giunge a conclusioni del tutto inconferenti. Ma se è vero che la forma aforistica di questa sententia rimanda ad una massima giuridica, non vedo perché si debba lamentare che per essa non si trovi no precedent (Kay, p. 245 nota 11, che rinvia a Kay 1990, p. 266, nella convinzione che Dante probably coined it himself). Sicuramente Dante è un produttore di auctoritates, e pertanto invece di limitarsi a incastonare e glossare detti memorabili [...] egli ne produce dei suoi, e conferisce lo stesso piglio legislativo a tutti i suoi enunciati, come in un noto giudizio avverte Contini 1970, pp. 376-7 (cfr. in generale Ascoli 2008, e in particolare per il significato di auctoritas nella Monarchia pp. 240-63); tuttavia qui auctorizare ha ancora una volta il significato giuridico di “costituire in un diritto”, secondo il brocardo che vuole che sia auctor omnis a quo ius in nos transit, e più ancora il significato preciso di extollere ad dignitatem, di honorem assumere, proprio come nella formula nemo debet sibi honorem assumere del Liber Extra di Gregorio IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58), che a parer mio qui Dante ricalca e conforma al suo discorso. Sarà anche bene ricordare che così come nessuno può essere all’origine del suo potere, se non gli è conferito da un’autorità superiore, allo stesso modo nessuno può fondare la limitazione del suo potere; così Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 5, ad 3, quando ponendo la questione dell’indipendenza del princeps dai vincoli giuridici positivi, afferma che nullus cogitur a se ipso, cioè che nessuno può obbligare giuridicamente se stesso verso se stesso ed essere perciò principio di limitazione al suo stesso potere (cfr. Quaglioni 2004c, p. 26)","Ia-Iiae q. 96, a. 5, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NULLUS PRINCEPS SE IPSUM AUCTORIZARE POTEST,"nessuno prencipe può autorizare sé medesimo (Anonimo, pp. 200-1); nessuno prencipe può autorità a•ssé medesimo dare (Ficino). Vinay azzarda che l’affermazione abbia un fondamento teologico e non giuridico, e giunge a conclusioni del tutto inconferenti. Ma se è vero che la forma aforistica di questa sententia rimanda ad una massima giuridica, non vedo perché si debba lamentare che per essa non si trovi no precedent (Kay, p. 245 nota 11, che rinvia a Kay 1990, p. 266, nella convinzione che Dante probably coined it himself). Sicuramente Dante è un produttore di auctoritates, e pertanto invece di limitarsi a incastonare e glossare detti memorabili [...] egli ne produce dei suoi, e conferisce lo stesso piglio legislativo a tutti i suoi enunciati, come in un noto giudizio avverte Contini 1970, pp. 376-7 (cfr. in generale Ascoli 2008, e in particolare per il significato di auctoritas nella Monarchia pp. 240-63); tuttavia qui auctorizare ha ancora una volta il significato giuridico di “costituire in un diritto”, secondo il brocardo che vuole che sia auctor omnis a quo ius in nos transit, e più ancora il significato preciso di extollere ad dignitatem, di honorem assumere, proprio come nella formula nemo debet sibi honorem assumere del Liber Extra di Gregorio IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58), che a parer mio qui Dante ricalca e conforma al suo discorso. Sarà anche bene ricordare che così come nessuno può essere all’origine del suo potere, se non gli è conferito da un’autorità superiore, allo stesso modo nessuno può fondare la limitazione del suo potere; così Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 5, ad 3, quando ponendo la questione dell’indipendenza del princeps dai vincoli giuridici positivi, afferma che nullus cogitur a se ipso, cioè che nessuno può obbligare giuridicamente se stesso verso se stesso ed essere perciò principio di limitazione al suo stesso potere (cfr. Quaglioni 2004c, p. 26)","IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUBSTITUERE VICARIUM IN OMNIBUS EQUIVALENTEM,"la creazione di un sostituto di pari potere è perciò una absurditas, come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 160, § 2, ricordata qui sopra, III VII 7","Dig. 50, 17, 160, § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SIMILITER ET IOHANNIS,"cfr. Io 20, 21-3: Dixit ergo eis iterum: Pax vobis: sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Haec cum dixisset, insufflavit et dixit eis: Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis, retenta sunt","Io 20, 21-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SIGNUM UNIVERSALE,"cfr. Kay, p. 249 nota 9, che cita Pietro Ispano, Summulae logicales, I, 8 e XII, 2 (ed. de Rijk, pp. 4, 209)","I, 8 e XII, 2 (ed. de Rijk, pp. 4, 209)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi manente vinculo, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (Mr 10, 11; Lc 16, 18; Mt 19, 9 con l’eccezione della fornicatio) v. a commento Kay; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, Divorzio (Storia), in EDir, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, Separzione personale dei coniugi (Storia), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Mr 10, 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi manente vinculo, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (Mr 10, 11; Lc 16, 18; Mt 19, 9 con l’eccezione della fornicatio) v. a commento Kay; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, Divorzio (Storia), in EDir, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, Separzione personale dei coniugi (Storia), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Lc 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi manente vinculo, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (Mr 10, 11; Lc 16, 18; Mt 19, 9 con l’eccezione della fornicatio) v. a commento Kay; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, Divorzio (Storia), in EDir, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, Separzione personale dei coniugi (Storia), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Mt 19, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DECRETA IMPERII SIVE LEGES,"cfr. sopra, III VIII 3. Mi pare che anche in questo caso Dante ponga il problema nei termini generali ed astratti relativi alla pretesa di sovraordinare la norma canonica alle norme secolari, e la giurisdizione spirituale alla temporale, senza alcun necessario riferimento ad episodi lontani o receni. Cassell lega invece questo passo ancora una volta alla bolla Si fratrum di Giovanni XXII e alla sua revoca dei decreti imperiali di conferimento dei titoli vicariali, in particolar modo quello di Cangrande, conferito a vita da Enrico VII nel marzo del 1311. Di ciò sopra, II X 1, e nella mia Introduzione",Cassell lega invece questo passo ancora una volta alla bolla Si fratrum di Giovanni XXII,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_fratrum(Giovanni_XXII),Si fratrum,Giovanni XXII,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","Lc 22, 38",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa(Agostino_Trionfo),Summa de ecclesiastica potestate,Agostino Trionfo,http://dbpedia.org/resource/Augustinus_Triumphus,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Enrico da Cremona,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Enrico_da_Cremona,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Giovanni da Parigi,http://dbpedia.org/resource/John_of_Paris,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Alano Anglico,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alano_Anglico,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT +UNDE LUCAS ... SUPERIUS SIC,"Lc 22, 7","Lc 22, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +VENIT AD HOC,"Lc 22, 35-36. Ficino e l’Anonimo traducono venne a questo, venne ad questo. Con la princeps K (ad hæc) e con i codici che leggono ad hec (A2 E P) consentono tutti i moderni editori fino a Ricci 1965, che confessa la difficoltà dichiarando d’intrupparsi con gli altri editori sperando in bene (p. 253); Shaw (a) 1995 adotta ad hoc, giudicando a ragione imperativa la sua scelta (Shaw 2009, Introduzione, p. 311); la rifiuta invece Kay","Lc 22, 35-36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SCRIBIT AUTEM MATHEUS,"Mt 16, 15-6","Mt 16, 15-6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ITEM SCRIBIT,"Mt 26, 33","Mt 26, 33",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CONTESTATUR MARCUS,"cfr. Mr 14, 29 e 31: Petrus autem ait illi: Etsi omnes scandalizati fuerint in te, sed non ego [...]. At ille amplius loquebatur: Et si oportuerit me simul commori tibi, non te negabo. Similiter autem et omnes dicebant","Mr 14, 29 e 31",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LUCAS VERO SCRIBIT,"Lc 22, 33","Lc 22, 33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Io 18, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Mt 26, 51",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Mr 14, 47",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Lc 22, 50",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM IOHANNES,"Io 20, 6","Io 20, 6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ITERUM,"Io 21, 7","Io 21, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN LAUDEM SUE PURITATIS CONTINUASSE,"""in laulde della sua purità avere narrate"" (Ficino); puritas è in genere tradotto ""purezza"", ""candore"", ""ingenuousness"" (Shaw 1996); preferisce ""schiettezza"" Nardi, e ""lack of sophistication"" Kay. Cfr. ancora Uguccione, P 124, 1-2: ""PURUS –a –um, mundus, liquidus, sine commixtione alicuius rei, immunis, innocens, expers, et comparatur –or –mus, unde pure –ius –me adverbium et hec puritas -tis"". Ad Uguccione, T 68, 30-1, si può ricorrere anche per il significato di continuo (“tenere insieme”, e dunque “elencare”): ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione"". Vinay si dilunga nella citazione di esempi del vocabolario tecnico del linguaggio aristotelico-scolastico (dietro di lui Kay)","P 124, 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +IN LAUDEM SUE PURITATIS CONTINUASSE,"""in laulde della sua purità avere narrate"" (Ficino); puritas è in genere tradotto ""purezza"", ""candore"", ""ingenuousness"" (Shaw 1996); preferisce ""schiettezza"" Nardi, e ""lack of sophistication"" Kay. Cfr. ancora Uguccione, P 124, 1-2: ""PURUS –a –um, mundus, liquidus, sine commixtione alicuius rei, immunis, innocens, expers, et comparatur –or –mus, unde pure –ius –me adverbium et hec puritas -tis"". Ad Uguccione, T 68, 30-1, si può ricorrere anche per il significato di continuo (“tenere insieme”, e dunque “elencare”): ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione"". Vinay si dilunga nella citazione di esempi del vocabolario tecnico del linguaggio aristotelico-scolastico (dietro di lui Kay)","T 68, 30-1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +QUOD DICEBAT LUCAS AD THEOPHILUM,"Ac 1, 1","Ac 1, 1",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ADHUC QUIDAM,"K inverte quidam adhuc; i quidam genericamente evocati formano la larga schiera delle auctoritates e degli scrittori a sostegno del constitutum Constantini, così come Dante e i contemporanei potevano leggerlo, sia pure in forma di excerptum, nella palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5), esito di una tradizione che dagli Actus beati Sylvestri e dalle antiche collezioni canoniche giunge fino alla Legenda aurea di Iacopo da Varazze. Bene, a questo proposito, Kay, che ricorda che il testo del Constitutum, abbreviato nella palea grazianea, è il solo ad avere rilievo nella controversia (si aggiunga: non solo perché ivi depositato, ma soprattutto perché ivi “recepito” ed eretto a norma universale dell’utrumque ius, dell’ordine giuridico della cristianità). Superflua, da questo punto di vista, ogni residua considerazione (Pizzica 1988, p. 381 nota 2) della polemica intorno alla conoscenza “diretta” del testo da parte di Dante, a partire dai dubbi di Nardi 1942a, poi con aggiunte in Nardi 1944, pp. 109-59, in particolare pp. 144-7 (cfr. Vinay e Maccarrone 1955, p. 72), con le ulteriori note di Nardi 1992, p. 240, intese ad innalzare il tono della disputa col rifiuto di attribuire un ""carattere politico-giuridico"" alla confutazione di Dante (fino alla sconcertante dichiarazione, secondo la quale ""dal punto di vista politico e giuridico la Monarchia dantesca è cosa da far sorridere uomini che del governo degli stati e di diritti s’intendevano molto bene anche nel medio evo. La vera importanza della Monarchia è nella sua concezione filosofica e religiosa della vita""), salvo poi confondere il problema della autenticità della Donazione con quello della sua validità, tacciando Vinay di conoscere ""poco la storia del diritto medievale, specialmente del periodo del Barbarossa e di Accursio"", e scambiare la palea con ""una glossa del Paucapalea"" (Nardi, p. 475). Cfr. Horst Fuhrmann, Kostantinische Schenkung, in LexMA, V, 1999, coll. 1385-7, e per il testo critico del Constitutum Fuhrmann 1968. Per una ricostruzione dettagliata della vicenda normativo-dottrinale v. Laehr 1926 e 1931-32, quindi Maffei 1969, con amplissima bibliografia; e cfr. Maffei 1987, con ampie postille e note bibliografiche. Si veda in sintesi anche Fried 2007 e Vian 2004. Un punto non eludibile della critica storiografica è quello stabilito un trentennio fa da Capitani 1982, poi in Capitani 1983, pp. 83-114, in part. 90-112; cfr. anche Fenzi 200, p. 94 nota 93, a proposito della Donazione di Costantino nel pensiero di Dante nella ricerca di Cristaldi 2000, pp. 223-392.","nella palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"CONSTANTINUS IMPERATOR, MUNDATUS A LEPRA","il passo dipende forse direttamente dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze (XII, pp. 83-5), come già sopra, II v 5 (ma v. anche Brunetto Latini, Tresor, I 87). Cfr. If XXVII 94-7: ""“Ma come Costantin chiese Silvestro / dentro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi per maestro / a guerir de la sua superba febbre”""; e a commento Chiavacci Leonardi 1991, p. 818 e p. 586 (per il parallelo If XIX 115-7: ""Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!""). Cfr. ancora Enzo Petrucci, Costantino, in ED, II, 1970, pp. 236-9, e Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 109-59).","XII, pp. 83-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Golden_Legend,Legenda aurea,Jacopo da Varazze,http://dbpedia.org/resource/Jacobus_de_Voragine,http://purl.org/bncf/tid/24527,WORK +"CONSTANTINUS IMPERATOR, MUNDATUS A LEPRA","il passo dipende forse direttamente dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze (XII, pp. 83-5), come già sopra, II v 5 (ma v. anche Brunetto Latini, Tresor, I 87). Cfr. If XXVII 94-7: ""“Ma come Costantin chiese Silvestro / dentro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi per maestro / a guerir de la sua superba febbre”""; e a commento Chiavacci Leonardi 1991, p. 818 e p. 586 (per il parallelo If XIX 115-7: ""Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!""). Cfr. ancora Enzo Petrucci, Costantino, in ED, II, 1970, pp. 236-9, e Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 109-59).",I 87,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +IMPERII SEDEM ... CUM MULTIS ALIIS DIGNITATIBUS,"""donò la sedia dello inperio, c[i]oè Roma, alla chiesa, con molte altre degnità d’inperio"" (Ficino); Vinay intende dignitates come ""prerogative imperiali"", seguito da Ronconi 1966, mentre ""diritti imperiali"" traduce Sanguineti 1985, ""imperial privileges"" Shaw 1996 e Cassell, ""dignities of the Empire"" Kay. Nel principio e nel § 6 della palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93) si può leggere: ""Constantinus inperator quarta die sui baptismi priuilegium Romanae ecclesiae Pontifici contulit, ut in toto orbe Romano sacerdotes ita hunc caput habeant, sicut iudices regem [...]. Unde ut pontificalis apex non uilescat, sed magis quam terreni inperii dignitas gloria et potentia decoretur, ecce tam palatium nostrum, ut predictum est, quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates, prefato beatissimo Pontifici nostro Syluestro uniuersali Papae contradimus atque relinquimus, et ab eo et a successoribus eius per hanc diualem nostram et pragmaticum constitutum decernimus disponenda, atque iuri sanctae Romanae ecclesiae concedimus permansura"". Oltre alla variante Romana donavi in T e nei codici A2 D G M H Z, è importante notare la lezione presente di seguito nel solo U (per le lectiones singulares del quale cfr. Shaw 1969 e Shaw 1991, pp. 285-6), che insieme alla palea Constantinus allega espressamente al modo dei giuristi la precedente e più sintetica palea Constantinus inperator coronam: è il solo caso in tutta la tradizione del trattato. Questa è la lezione di U, c. 52: quia coronam et et (sic) omnem Regiam dignitatem in urbe Romana et in Italia et in Italia (sic) et in partibus occidentalibus ut xcvi. di. c. coronam et c. Constantinus. Si deve infatti leggere così, e non già quia coronam et etonem, come si ha tanto nella Word Collation quanto nella funzione Image/Text nell’ed. elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006). Per evitare tale errore di lettura, dovuto al mancato avvertimento della duplicazione, nel codice U, di et davanti a o?3 (= omnem), sarebbe bastato uno sguardo al testo della palea (c. 13, D. XCVI: Friedberg, I, col. 342): ""Constantinus inperator coronam, et omnem regiam dignitatem in urbe Romana, et in Italia, et in partibus occidentalibus Apostolico concessit. Nam in gestis beati Sylvestri [...] ita legitur"".","Nel principio e nel § 6 della palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +EX QUO ARGUUNT ... CUIUS EAS ESSE DICUNT,"per Kay Dante seems to have had no particular writer in mind, poiché al tempo l’argumentum (in senso tecnico; v. Uguccione, A 307, 1, 3-4: ARGUO [...], idest convincere [...]. Item ab arguo hoc argumentum [...]; dicitur enim argumentum res ficta que tamen fieri potuit [...]. Dicitur etiam argumentum rei dubie probatio) era a commonplace, tale da render superfluo l’elenco dei suoi sostenitori, a cominciare da Placido di Nonantola e Onorio di Autun, fornito da Laehr 1926 e preso a base da Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 111-22). Opportunamente Vinay nota già che era stato Enrico VII, alla vigilia della sua incoronazione imperiale, a rinnovare specialiter et expresse la concessione dei privilegi contenuti nel Constitutum (de novo concedimus omnia privilegia Constantini: MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, n. 393, p. 344; e cfr. n. 454, p. 396 (11 ottobre 1310); v. Bowsky 1958, p. 56, e più in generale Bowsky 1960, Menache 1998","A 307, 1, 3-4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +NEMINI LICET EA FACERE ... CONTRA ILLUD OFFITIUM,"cfr. Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70. il principale argomento contro gli avversari è quello della contraddittorietà, e perciò dell’impossibilità, logica e giuridica, della validità dell’esecuzione in officio di atti ad esso contrari. L’enunciazione dantesca ha il tono e lo stile di un brocardo, di cui può facilmente ravvisarsi l’origine in luoghi del corpus giustinianeo già noti per risalenti indagini (cfr. Chiappelli 1908, p. 12), come ad esempio Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda; o come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872). Sul passo v. anche Lansing 1976","Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMINI LICET EA FACERE ... CONTRA ILLUD OFFITIUM,"cfr. Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70. il principale argomento contro gli avversari è quello della contraddittorietà, e perciò dell’impossibilità, logica e giuridica, della validità dell’esecuzione in officio di atti ad esso contrari. L’enunciazione dantesca ha il tono e lo stile di un brocardo, di cui può facilmente ravvisarsi l’origine in luoghi del corpus giustinianeo già noti per risalenti indagini (cfr. Chiappelli 1908, p. 12), come ad esempio Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda; o come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872). Sul passo v. anche Lansing 1976","Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED CONTRA OFFITIUM DEPUTATUM IMPERATORI EST SCINDERE IMPERIUM,"ogni lacerazione dell’indivisibile unità dell’Impero, simboleggiata dalla tunica inconsutile del Cristo evocata sopra, I XVI 3 e qui poco più avanti, contraddice alla natura dell’Impero e allo stesso officio imperiale, che è quello del suo potenziale accrescimento. Bene qui Vinay, che nota che il ragionamento di Dante non è diverso da quello desunto dall’etimologia “augustus ab augeo”; e a questo proposito cfr. sopra, II XI 8, col richiamo alla glossa accursiana semper augustus al proemio delle Istituzioni di Giustiniano: Quia huius debet esse propositi quilibet imperator, semper ut augeat, licet hoc non semper faciat (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 2). All’etimologia anzidetta si appiglia lo stesso Accursio nella sua glossa conferens generi all’autentica Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la Novella giustinianea che afferma solennemente che sacerdotium e imperium procedono entrambi ex uno eodemque principio. La glossa, che costituisce la fonte autoritativa principale della confutazione dantesca, premesso il principio generale della separazione tra le due giurisdizioni, spirituale e temporale (ergo apparet quod nec papa in temporalibus nec imperator in spiritualibus se debeant immiscere), formula subito dopo la quaestio qui riproposta e la risolve, allegando come d’uso per primi gli argomenti che si vogliono confutare e solo in secondo luogo gli argomenti contrari, muniti gli uni e gli altri degli appigli autoritativi della tradizione giuridica: Nunquid habet ergo papa temporalem iurisdictionem in ijs qu? sunt imperij, quod Constantinus imperator donavit beato Silvestro Papæ? Videtur quod sic, licet immensa fuerit donatio, infra, titu. j. §. sinimus [Auth. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1]; præterea quod vult princeps, hoc est lex: ut ff. de const. prin. l. j. [Dig. 1, 4, 1]. Item sicut patrimonialia, ita imperialia donare potest, cum nulla sit differentia: ut C. de quadri. præscr. l. fi. in prin. [Cod. 7, 37, 3] econtra videtur quod non: quia tunc non esset Augustus dictus: ut in rubrica proœmij instit. [Inst. Prooem., De confirmatione Institutionum, pr.] Item imperare non potuit pari, idest imperatori venienti post se: ut ff. de arbi. l. nam magistratus [Dig. 4, 8, 4]. et ff. ad Treb. ille a quo. §. tempestivum [Dig. 36, 1, 13, § 4]. Item ne turbetur opus Dei si clerici intromittant se in temporalibus: ut C. de epis. et cle. l. placet [Cod. 1, 3, 17]. Item ne unus duorum officium habeat: ut ff. de pact. l. si plures [Dig. 2, 14, 9]; sed licet solutio facti ad nos non pertineat, solvimus quod de iure non valuit talis collatio sive donatio: ut infra eo. ti. §. [quae] igitur [Auth. Coll. I, 6, epil. = Nov. VI, epil.]. et C. de leg. et consti. l. digna in fi. [Cod. 1, 14, 4] et insti. qui. mo. test. infir. §. fi. [Inst. 2, 17, § 8]. nec ob[stat] infra tit. j. in prin. [Auth. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1] quia auxit honorem ecclesiæ quantum in eo fuit Constantinus vel in aliis: non autem in iurisdictione: quia sic posset totum imperium perire, ut dictum est (Volumen, col. 41). Sulla glossa conferens generi e sulla sua rigorosa coerenza alla concezione dualistica v. ampiamente Maffei 1965, pp. 66-8","Quia huius debet esse propositi quilibet imperator, semper ut augeat, licet hoc non semper faciat (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 2).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +HUMANUM GENUS UNI VELLE ET UNI NOLLE TENERE SUBIECTUM,"ad un volere et uno nonvolere tenere la humana generatione subg[i]ughata (Ficino), e similmente l’Anonimo: l’umana gienerazione ad uno volere et ad uno non volere tenerlo subgietto (p. 208). A tale formula si tengono stretti per lo più anche i moderni interpreti. Schiva la difficoltà della traduzione Vinay (ad una sola ed unica volontà); efficace Pizzica 1988, al volere positivo e negativo di uno solo, che però “copre” troppo la formula dantesca; meglio Ronconi 1966, sotto un’unica volontà che comanda e proibisce; Shaw 1996, to a single will (its commands and its prohibitions); Kay, to a single will or to a single prohibition; e Cassell, to a single will in choosing and refusing. Una tale dualità appartiene alla tradizione esegetica di Gn 2, 16-7, intorno alla duplicità del comando divino, positivo e negativo (comede, ne comedas; cfr. la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini). Lo stesso farà Bartolo nelle sue glosse alla costituzione Ad reprimendum di Enrico VII, ponendo nei duo praecepta facta primis duobus parentibus l’origine di ogni diritto positivo e dunque le due “briglie di ogni debita fedeltà” (v. sopra, I IV 2, e cfr. Quaglioni 1994a, pp. 390-1)","Gn 2, 16-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +HUMANUM GENUS UNI VELLE ET UNI NOLLE TENERE SUBIECTUM,"ad un volere et uno nonvolere tenere la humana generatione subg[i]ughata (Ficino), e similmente l’Anonimo: l’umana gienerazione ad uno volere et ad uno non volere tenerlo subgietto (p. 208). A tale formula si tengono stretti per lo più anche i moderni interpreti. Schiva la difficoltà della traduzione Vinay (ad una sola ed unica volontà); efficace Pizzica 1988, al volere positivo e negativo di uno solo, che però “copre” troppo la formula dantesca; meglio Ronconi 1966, sotto un’unica volontà che comanda e proibisce; Shaw 1996, to a single will (its commands and its prohibitions); Kay, to a single will or to a single prohibition; e Cassell, to a single will in choosing and refusing. Una tale dualità appartiene alla tradizione esegetica di Gn 2, 16-7, intorno alla duplicità del comando divino, positivo e negativo (comede, ne comedas; cfr. la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini). Lo stesso farà Bartolo nelle sue glosse alla costituzione Ad reprimendum di Enrico VII, ponendo nei duo praecepta facta primis duobus parentibus l’origine di ogni diritto positivo e dunque le due “briglie di ogni debita fedeltà” (v. sopra, I IV 2, e cfr. Quaglioni 1994a, pp. 390-1)","la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Postilla_super_Genesim(Ugo_di_San_Caro),Postilla super Genesim,Ugo di San Caro,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint-Cher,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. 1 Cor 3, 11; e inoltre Eph 2, 20 e 1 Pt 2, 6","1 Cor 3, 11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. 1 Cor 3, 11; e inoltre Eph 2, 20 e 1 Pt 2, 6","Eph 2, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. 1 Cor 3, 11; e inoltre Eph 2, 20 e 1 Pt 2, 6","1 Pt 2, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_of_Peter,Epistola Petri I,Pietro,http://dbpedia.org/resource/Saint_Peter,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IPSE EST PETRA SUPER QUAM HEDIFICATA EST ECCLESIA,"cfr. 1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus. Non sono sicuro che con questa allegazione Dante abbia voluto implicitamente negare l’interpretazione “ierocratica” di Mt 16, 18 (quia tu est Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam), come vuole Kay, ed è assai più probabile che qui si aderisca al significato fissato ad opera della Glossa ordinaria al luogo evangelico, ad v. petra: id est Christum in quem credis","1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IPSE EST PETRA SUPER QUAM HEDIFICATA EST ECCLESIA,"cfr. 1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus. Non sono sicuro che con questa allegazione Dante abbia voluto implicitamente negare l’interpretazione “ierocratica” di Mt 16, 18 (quia tu est Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam), come vuole Kay, ed è assai più probabile che qui si aderisca al significato fissato ad opera della Glossa ordinaria al luogo evangelico, ad v. petra: id est Christum in quem credis","Glossa ordinaria al luogo evangelico Mt 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",nell’inizio stesso del Decretum di Graziano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","Ia-IIae, q. 95, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"".",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretalium(Bernardo_da_Pavia),Summa decretalium,Bernardo da Pavia,http://dbpedia.org/resource/Bernardus_Papiensis,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",sia nello stesso canone 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",nel dictum post canone 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUXTA ILLUD CANTICUM,"Cn 8, 5. Lo stemma impone qui Canticum, conservato solo da K T (a meno di considerare la loro lezione come errore poligenetico: v. Favati 1970, pp. 10-2, che conclude affermando che ""il meno che si può fare è sospendere il giudizio di erroneità""; e cfr. p. 13 nota 35), contro varie lezioni, abbreviate e no, dei restanti testimoni, tra le quali Canticorum è tramandata da D G H M; Ficino ha ""secondo la “Canticha”"", che sembra condurre alla lezione iuxta canticam di E; l’Anonimo scrive ""secondo quello della Canticha"". Implicito il precedente richiamo, sopra, III iii 12; v. ancora Angelo Penna, Cantico dei Cantici, in ED, I, 1970, p. 793.","Cn 8, 5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SCINDERE IMPERIUM ESSET DESTRUERE IPSUM,"""Fondandosi sulle conclusioni del primo libro, D. riprende sostanzialmente l’argomento classico già ricordato dell’“Augustus ab augendo”"" (Vinay, che cita a questo proposito la Quaestio in utramque partem, mentre Dante qui ha ancora in mente l’accursiano ""quia sic posset totum imperium perire"" nella chiusa della glossa ""conferens generi"" alla Novella VI di Giustiniano, di cui v. sopra, III x 5).","mentre Dante qui ha ancora in mente l’accursiano ""quia sic posset totum imperium perire"" nella chiusa della glossa ""conferens generi"" alla Novella VI di Giustiniano",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +OMNIS IURISDICTIO PRIOR EST SUO IUDICE,"non c’è bisogno di dire che l’argomentazione è “più chiara” when put in modern American terms, for the Constitution is evidently prior to the president and other officials established thereby (Kay). Sono convinto che più che alle definizioni di stampo etimologico della tradizione scolastica (Chiappelli 1908, p. 14; Calasso 1953; Costa 1969, pp. 99-100) la formula dantesca si richiami al testo della costituzione Omnis iurisdictio del “buon Barbarossa” (Omnis iurisdictio et districtus apud principem est et omnes iudices a principe administrationem accipere debent et iuramentum prestare quale a lege constitutum est), una delle “leggi perdute” di Roncaglia che, non ancora espunta dalle raccolte feudistiche, poteva essere allegata da Jacques de Revigny nella sua Lectura Feudorum (ed. Pecorella 1956, dove però l’allegazione è stimata frutto di memoria erronea) prima di essere recuperata integralmente da Baldo degli Ubaldi alla fine del secolo XIV (Colorni 1967 e Colorni-Dolezalek 1969, Dilcher 2003, Quaglioni 2007a e 2008b). Cfr. quanto già notato sopra, I X 5 e II X 8",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Omnis_iurisdictio(Federico_ Barbarossa),Omnis iurisdictio,Federico Barbarossa,"http://dbpedia.org/resource/Frederick_I,_Holy_Roman_Emperor",http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SEQUERETUR QUOD ... POSSET ANNICHILARI,"corrisponde al quia sic posset totum imperium perire della glossa accursiana conferens generi (cfr. sopra, III X 5). Strettamente adesive le versioni di Ficino (anicchillare si potrebbe) e dell’Anonimo (si potrebbe annicchillare). Kay indica in Cv IV XXIX 11 una similarità esemplificativa. Cfr. ancora Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUM CONFERENS ... PER MODUM PATIENTIS,"prosegue l’esplicazione di quanto espresso in III X 4, e già specificato per la prima parte qui sopra nel paragrafo 11: se l’imperatore non poteva de iure alienare la minima parte della giurisdizione imperiale, la Chiesa non aveva de iure la facoltà di riceverla, perché la liceità di una donazione è soggetta al duplice requisito della dispositio conferentis (la facoltà di donare da parte del donante) e della dispositio eius cui confertur (l’idoneità a ricevere da parte del donatario). Mi sembra che Dante non interpreti la dispositio aristotelica in senso puramente soggettivo (la volontà del donante, la gratitudine nel donatario), ma nel senso prevalentemente oggettivo di facoltà e attitudine. Né poteva essergli estranea la conoscenza del principio giuridico espresso in Dig. 39, 5 (de donationibus), 9, per il quale non può esser donato se non ciò che può diventare proprietà del donatario: Donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur (Mommsen-Krüger, I, p. 608)","Dig. 39, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUM CONFERENS ... PER MODUM PATIENTIS,"prosegue l’esplicazione di quanto espresso in III X 4, e già specificato per la prima parte qui sopra nel paragrafo 11: se l’imperatore non poteva de iure alienare la minima parte della giurisdizione imperiale, la Chiesa non aveva de iure la facoltà di riceverla, perché la liceità di una donazione è soggetta al duplice requisito della dispositio conferentis (la facoltà di donare da parte del donante) e della dispositio eius cui confertur (l’idoneità a ricevere da parte del donatario). Mi sembra che Dante non interpreti la dispositio aristotelica in senso puramente soggettivo (la volontà del donante, la gratitudine nel donatario), ma nel senso prevalentemente oggettivo di facoltà e attitudine. Né poteva essergli estranea la conoscenza del principio giuridico espresso in Dig. 39, 5 (de donationibus), 9, per il quale non può esser donato se non ciò che può diventare proprietà del donatario: Donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur (Mommsen-Krüger, I, p. 608)",in quarto ad Nicomacum,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PLACET PHYLOSOPHO IN QUARTO AD NICOMACUM,"come dicie Aristotile nella “Eticha” (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1120 a 14: Ed è chiaro che all’elargire ricchezze s’accompagna il far del bene e il compiere belle azioni, mentre all’acquisirne s’accompagna il ricever del bene e il non agir male","Ethica ad Nicomachum, 1120 a 14",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DISPOSITIO,"v. Uguccione, P 107, 17: dispono –is, ordinare, dispensare","P 107, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +UT HABEMUS PER MATHEUM,"Mt 10, 9-10. Si veda in proposito l’ampia disamina di Puletti 1989, pp. 263-7, che ritiene che Dante interpreti il versetto evangelico in senso strettamente letterale, non ritenendolo dunque ""una metafora per indicare i beni temporali in genere"" (p. 266)","Mt 10, 9-10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER LUCAM,"ché se in Luca (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. ibid., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (Nardi)","Lc 9, 3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER LUCAM,"ché se in Luca (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. ibid., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (Nardi)","Lc 10, 4",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER LUCAM,"ché se in Luca (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. ibid., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (Nardi)","Lc 22, 35-6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER MODUM POSSESSIONIS,"a titolo di possesso, qui (e non solo più sotto nell’ultimo paragrafo, come vuole Kay) nel significato strettamente giuridico del termine (un fatto – la detenzione della cosa con l’intenzione di tenerla per sé – da cui emanano dei diritti). L’esclusione della Chiesa dall’idoneità all’acquisto del possesso configura perciò la detenzione delle dignitates imperiali come una vitiosa possessio (cfr. Dig. 41, 2, 53: Mommsen Krüger, I, p. 656), difendibile solo contro gli extranei, ma non contro l'Impero stesso. In questo caso la traduzione (a titolo di proprietà) e il commento di Vinay raggiungono un notevole grado di confusione terminologica e concettuale","Dig. 41, 2, 53",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce Pauperum, in ED, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, Povertà, ivi, p. 629; Kay ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (Volumen, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel Rosarium di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del dispansator pauperum, che il Codice Giustiniano identifica con l’oeconomus ecclesiae (Cod. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476; v. inoltre il Decretum Gratiani, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle res ecclesiasticae ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per Vinay è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera Pézard nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","c. 13, C. XII, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce Pauperum, in ED, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, Povertà, ivi, p. 629; Kay ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (Volumen, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel Rosarium di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del dispansator pauperum, che il Codice Giustiniano identifica con l’oeconomus ecclesiae (Cod. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476; v. inoltre il Decretum Gratiani, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle res ecclesiasticae ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per Vinay è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera Pézard nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce Pauperum, in ED, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, Povertà, ivi, p. 629; Kay ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (Volumen, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel Rosarium di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del dispansator pauperum, che il Codice Giustiniano identifica con l’oeconomus ecclesiae (Cod. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476; v. inoltre il Decretum Gratiani, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle res ecclesiasticae ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per Vinay è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera Pézard nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rosarium(Guido_da_Baisio),Rosarium,Guido da Baisio,http://dbpedia.org/resource/Guido_de_Baysio,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ET IPSI ADVOCATI ECCLESIE SUNT ET DEBENT AB ECCLESIA ADVOCARI,"citando Chiappelli 1908, p. 36, Vinay ricorda che le scuole dei giuristi consideravano l’imperatore come advocatus Ecclesiae per la difesa dei beni materiali e dell’autorità morale, e scrive: Il concetto è riaffermato solennemente da Clemente V nella sua lettera del 26 luglio 1309 ad Arrigo VII: “sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)","“sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Divinae_Sapientiae(Clemente_V),Divinae Sapientiae,Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +USURPATIO ENIM IURIS NON FACIT IUS,"l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in Dig. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (Kay 1990, p. 266), Kay commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel Decretum di Graziano nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)","Dig. 1, 3, 15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +USURPATIO ENIM IURIS NON FACIT IUS,"l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in Dig. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (Kay 1990, p. 266), Kay commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel Decretum di Graziano nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)","nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740))",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +RATIONE VERO SIC ARGUUNT,"commenta Nardi: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’usurpatio iuris del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla Prima filosofia (per questa espressione cfr. Aristotele, Metaph., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e Conv., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a VE I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “Ratione vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica","VI, 1, 1026 a 24 [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +RATIONE VERO SIC ARGUUNT,"commenta Nardi: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’usurpatio iuris del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla Prima filosofia (per questa espressione cfr. Aristotele, Metaph., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e Conv., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a VE I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “Ratione vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica","XI, 4, 1061 b 30;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9",1052 b 18-9,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestiones_de_perfectione_evangelica(Bonaventura),Quaestiones de perfectione evangelica,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9","(glo. confitebuntur, ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Antiquorum_habet(Giovanni_Monaco),Glossa ad Antiquorum habet,Giovanni Monaco,http://dbpedia.org/resource/Jean_Lemoine,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UNIUS GENERIS,"Nota Vinay che “genus” è usato qui nel senso improprio di “species” per non introdurre un termine nuovo, come in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 18, a. 2, Resp.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus humanum genus totam humanam speciem","Ia-IIae, q. 18, a. 2, Resp.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus humanum genus totam humanam speciem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SUMMUS ANTISTES,"per antistes v. Uguccione, A 196, 4: et ab ante et sto fit hic et hec antistes –stitis, idest sacerdos quasi ante stans pro populo; e S 301, 45: Sto –as componitur hic et hec antistes –tis, idest sacerdos qui ante stat et orat pro plebe. La scelta del vocabolo non può essere casuale; l’Anonimo spiega: sommo antiste, cioè ponteficie; Ficino traduce direttamente sommo pontefice; così fanno anche tutti i moderni interpreti, con qualche sfumatura e poche eccezioni: Imbach traduce der Papst; più aderente al testo la versione Marcelli-Martelli 2004: il sommo Sacerdote","A 196, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +"ET REPONITUR SUB GENERE AD ALIQUID, SIVE RELATIONIS","Ficino traduce in breve: ""e riponsi sotto el predicamento della relatione""; l’Anonimo ha qui la stessa omissione per omeoteleuto che si trova in P. Il codice E legge illud; K e parte dei manoscritti β (D M P Ph S) hanno ad aliud. Giudicando ""impossibile [...] una scelta perentoria"", Ricci 1965 scrive che l’incertezza dei manoscritti ""deriva certo da un’abbreviazione ambigua di questo tipo: ad"" (effettivamente attestata in Ph), ma dichiara anche che ""è da aggiungere che nella terminologia scolastica l’equivalenza di relatio ad aliud e di relatio ad aliquid è perfetta e lo scambio continuo"". Imbach e Kay rimandano alla categoria di relazione (praedicamentum ad aliquid) definita da Aristotele, Categoriae, 6 a 36-7: ""‘Relative’ si dicono poi le nozioni, ciascuna delle quali, proprio ciò che è, in sé, si dice esserlo di qualcos’altro, o in qualsiasi altro modo viene riferita a qualcos’altro""","Categoriae, 6 a 36-7",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","Ia, q. 15, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","I 27, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +VEL ALIQUA SUBSTANTIA DEO INFERIOR,"Kay, p. 287 nota 26, suggerisce che la “sostanza a Dio sottostante” che Dante ha in mente sia il cielo del sole, moved by the order of angels called “Powers (Potestates)”, e aggiunge: In the Paradiso, Dante follows the astrologers in associating both fathers (including popes) and rulers with the heaven of the sun [...]. Aquinas suggests what the relation of superiority is that pope and emperor have in common: “Therefore, to the [angelic] order of Powers it belongs to regulate (ordinare) what is to be done by those who are subject to them (subditis), con rimando a Summa Theologica, Ia, q. 108, a. 3 e a Kay 1994, pp. 117-9. Cfr. in proposito Cassell","Ia, q. 108, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AD FESTUM,"manca in Ficino (p. 401), e l’Anonimo equivoca traducendo alla festa; cfr. Ac 25, 10. Kay ricorda che Tolomeo da Lucca, nella sua continuazione del De regimine principum, III 5, fa già uso del luogo paolino per provare la legittimità dell’Impero di Roma (cfr. Maccarrone 1955, p. 101). Cfr. la voce Festo, Porcio di Clara Kraus, in ED, II, 1970, p. 847",III 5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PAULO DIXERIT PARUM POST,"Ac 27, 24","Ac 27, 24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAULUS AD IUDEOS EXISTENTES IN YTALIA,"Ac 28, 19","Ac 28, 19",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CUPIO DISSOLVI ET ESSE CUM CRISTO,"è ancora una volta un luogo paolino: Ph 1, 23. Sull’importanza di questa serie di citazioni dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere di Paolo, quale fonte preziosa per Dante, v. la lunga nota di Nardi, pp. 488-90, e v. la voce Paolo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, pp. 272-3","Ph 1, 23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Philippians,Epistola ad Philippenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PRECIPIATUR LEVITIS,"Lv 11, 43. Cfr. la voce di Angelo Penna, Leviti, in ED, III, 1971, p. 636","Lv 11, 43",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Leviticus,Levitico,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +EX ILLIS PREVALENTIUM,"dalla maggiore parte (Anonimo, Ficino); se si tratti della maggioranza numerica o della parte qualitativamente prevalente o di entrambe (come abbiamo nell’espressione valenciorem [...] partem, considerata quantitate personarum et qualitate del quasi coevo Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63), non è facile dire; preferisce dei migliori fra essi Vinay; Nardi traduce quelli che eccellono fra di essi; Imbach der wichtigsten unter ihnen; Gally 1993 d’une élite d’entre eux; Shaw 1996 the most exceptional among them; invece Pézard du plus grand nombre; Ronconi 1966 e Sanguineti 1985 maggioranza; Kay their greater part; Cassell those in the majority. Ma qui non è certo in questione a vote or referendum of all mankind, come un po’ sopra le righe sembra intendere Cassell, che conclude: Note the tone of Dante’s puckish argument in allowing such a possibility – but it does give him the opportunity to wave a haughty dismissal of his stooping opponents with a flourish of tongue-in-cheek legalese!. Cfr. più oltre, III XIV 7, con la nota 18 di Kay, p. 300","I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUPER HANC PETRAM HEDIFICABO ECCLESIAM MEAM,"Mt 16, 18","Mt 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +OMNIS ... DIVINA LEX DUORUM TESTAMENTORUM GREMIO CONTINETUR,"senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra lex vetus e lex nova come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)","dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +OMNIS ... DIVINA LEX DUORUM TESTAMENTORUM GREMIO CONTINETUR,"senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra lex vetus e lex nova come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)","ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Numbers,Libro dei Numeri,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Deuteronomy,Deuteronomio,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_ecclesiastica_potestate(Egidio_Romano),De ecclesiastica potestate,Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER EA QUE CRISTUS AD DISCIPULOS,"cfr. Mt 10, 9-10: Nolite possidere aurum neque argentum neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via neque duas tunicas neque calceamenta neque virgam; dignus enim est operarius cibo suo. Cfr. sopra, III X 14. Nardi respinge altri riferimenti proposti da Ricci 1965, e Kay nota ancora una volta che Dante tratta della sollicitudo temporalis in un governmental sense, as political responsibility rather than as a concern for wordly goods. Di diverso avviso Puletti 1989, che però della meditazione di Dante sottolinea la tendenza a privilegiare un’esegesi diversa rispetto a quella in voga al suo tempo, esegesi che testimonia una spiritualità nuova e un’esigenza di rinnovamento che non coinvolge solo le istituzioni politiche, ma che riguarda la coscienza (p. 271)","Mt 10, 9-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT HABETUR IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"""come dicie il Filosafo ine’ libri “De Semplici Ente”"" (Anonimo); ""secondo la “Metafisicha”"" (Ficino). Cfr. Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; e v. sopra, I XIII 3, col rimando a Cv IV X 8: ""Ove è da sapere che, sì come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un’altra, generasi di quella, essendo in quello essere""",1049 b 24-7;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VEL PREVALENTIUM,"per Ficino e per l’Anonimo ""o della maggiore parte"", ""o della maggior parte"". Traduce ""o dei migliori"" Vinay; ""ou du plus grand nombre"" Pézard; ""o dei più eccellenti fra di essi"" Nardi; ""oder der wichtigsten Menschen"" Imbach; ""ou d’une élite"" Gally 1993; ""or of the most exceptional among them"" Shaw 1996; ""or of their prevailing part"" Kay. Kay si riferisce soprattutto a quanto già visto sopra, III XIV 1 e ricorda che l’espressione, usata qui da Dante in un senso molto vicino a quello di Marsilio da Padova, ha origine dalla traduzione di Guglielmo di Morbeke della Politica di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29)",traduzione di Guglielmo di Morbeke della Politica di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Inst. 1, 2, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IPSE IN IOHANNE,"Io 13, 15","Io 13, 15",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT IN EODEM HABEMUS,"Io 21, 19","Io 21, 19",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CORAM PILATO ABNEGAVIT,"Io 18, 36. Nell’interpretazione di questa frase D. ripete quel che dicevano i teocratici salvo ad attribuire poi alle parole un significato preciso e impegnativo dal quale i suoi avversari rifuggivano (Vinay). Su questo luogo v. la voce Pilato, Ponzio di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 521","Io 18, 36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CUM PSALMISTA DICAT,"Ps 94, 5. La lezione Psalmista è di K + A2 E F G Ph V; tutti gli altri testimoni leggono psalmus (anche Ficino ha perché dicie el salmo così, mentre l’Anonimo scrive con ciò sia cosa che dicha il Salmista). Si è già fatto riferimento sopra, I XV 3, a quanto rileva Favati 1970, p. 11, circa le testimonianze equipollenti sul piano della documentazione codicologica in questo luogo","Ps 94, 5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ET ARIDAM,"la Vulgata ha et siccam, e non essendo attestata una variante aridam nella tradizione della Vulgata Kay suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et aridam manus eius fundaverunt, tanto nella versione del Breviarium Ambrosianum quanto in quella del Psalterium Romanum. Peraltro, arida appartiene al racconto della creazione, Gn 1, 9-10: ""Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat arida. Et factum est ita. E vocavit Deus aridam terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum""; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (yabbashāh), יַבֶּשֶׁת (yabbēshet): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (xerà), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente ""la terra"", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: ""e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche"". Cfr. anche le voci Salmista (Maurizio Dardano) e Salmo (Angelo Penna), in ED, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079","Gn 1, 9-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ET ARIDAM,"la Vulgata ha et siccam, e non essendo attestata una variante aridam nella tradizione della Vulgata Kay suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et aridam manus eius fundaverunt, tanto nella versione del Breviarium Ambrosianum quanto in quella del Psalterium Romanum. Peraltro, arida appartiene al racconto della creazione, Gn 1, 9-10: ""Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat arida. Et factum est ita. E vocavit Deus aridam terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum""; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (yabbashāh), יַבֶּשֶׁת (yabbēshet): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (xerà), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente ""la terra"", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: ""e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche"". Cfr. anche le voci Salmista (Maurizio Dardano) e Salmo (Angelo Penna), in ED, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",1107 a 28 – 1108 b 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",1139 a 14 – 1141 b 23,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5","Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")","A 103, 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ketuvim,Libri della scrittura,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Nevi'im,Libri dei profeti,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Catholicon_(book),Catholicon,Giovanni Balbi,http://dbpedia.org/resource/John_of_Genoa,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +SECUNDUM REVELATA HUMANUM GENUS PERDUCERET,"è ancora allusione all’autentica Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la già ricordata Novella giustinianea che afferma solennemente che sacerdotium e imperium procedono l’uno e l’altro, come maxima dona Dei, ""ex uno eodemque principio""; cfr. sopra, III X 5","Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN AREOLA ISTA MORTALIUM,"in questa areola, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono in arcula ista mortalium T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo aresco –scis inchoativum, quod componitur inaresco et exaresco; et ab aresco hec area –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur area quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec areola –e diminutivum. Vinay traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di Par., XXII, 151; l’“angustissimi mundi area” di Ep. VII, 4. (Cfr. Boezio, De consolatione, II, pr. 7); e v. la voce Aiuola, in ED, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [areola] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per Pd XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in Pd XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche Cassell e Scott 2010, p. 270 e nota 101","A 310, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +IN AREOLA ISTA MORTALIUM,"in questa areola, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono in arcula ista mortalium T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo aresco –scis inchoativum, quod componitur inaresco et exaresco; et ab aresco hec area –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur area quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec areola –e diminutivum. Vinay traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di Par., XXII, 151; l’“angustissimi mundi area” di Ep. VII, 4. (Cfr. Boezio, De consolatione, II, pr. 7); e v. la voce Aiuola, in ED, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [areola] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per Pd XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in Pd XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche Cassell e Scott 2010, p. 270 e nota 101","II, pr. 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SINE ULLO MEDIO,"""sanza nessuno mezzo"" (Anonimo); ""sanza mezo alcuno"" (Ficino). Scrive a commento Kay, che ricorda ancora una volta la principale fonte romanistica di Dante, cioè la Novella VI di Giustiniano: ""This is the conclusion of the proof positive in this chapter; it excludes both the pope and the electors"". Cfr. sopra, III XVI 13 e quanto ricordato a commento di III I 5",Novella VI di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN ARCE SUE SIMPLICITATIS UNITUS,"nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, Consolatio Philosophiae, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di arx Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec arx –cis pro roca, quia arceat hostem. Vinay traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; Nardi nella rocca; Imbach in der Höhe; Shaw 1996 e Kay in the citadel; ecc. Pézard, traducendo dans le fort château, propone di emendare unitus in munitus (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da Kay e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore monitus); cfr. anche Pézard 1967-79, II, pp. 160-5","IV, pr. VI, 8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN ARCE SUE SIMPLICITATIS UNITUS,"nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, Consolatio Philosophiae, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di arx Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec arx –cis pro roca, quia arceat hostem. Vinay traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; Nardi nella rocca; Imbach in der Höhe; Shaw 1996 e Kay in the citadel; ecc. Pézard, traducendo dans le fort château, propone di emendare unitus in munitus (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da Kay e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore monitus); cfr. anche Pézard 1967-79, II, pp. 160-5","A 308, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ILLA IGITUR REVERENTIA,"v. la voce Reverenza di Alessandro Niccoli, in ED, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la paternitas) rispetto a quella dell’imperatore (il dominium), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. Kay Cv I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e Cv IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il sacerdotium e l’imperium sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. Iuramentum Imperatoris (6 luglio 1313), in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione","P 17, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ILLA IGITUR REVERENTIA,"v. la voce Reverenza di Alessandro Niccoli, in ED, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la paternitas) rispetto a quella dell’imperatore (il dominium), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. Kay Cv I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e Cv IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il sacerdotium e l’imperium sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. Iuramentum Imperatoris (6 luglio 1313), in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione","Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUA PRIMOGENITUS FILIUS DEBET UTI AD PATREM,"The crucial question, however, is whether filial reverence involves obedience. Dante’s answer is negative, for in the Convivio he considers reverence and obedience to be mutually exclusive. An adolescent son owes his father obedience (Conv. 4.24.14-15), but when the son reaches the age of discretion, which Dante takes to be twenty five, then he no longer needs to rely on paternal guidance, and his obedience is replaced by reverence towards his father, which is product of his discretion (Conv. 4.8.1). Accordingly, Dante is saying here that the emperor owes the pope reverence but not obedience (Kay). Che la filiale reverentia dantesca (confessione di debita subiezione) non possa essere interpretata semplicemente come una relazione potestativa in senso dominativo, è chiaro anche da quanto spiega Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 4, distinguendo tra ius paternum e ius dominativum","IIa-IIae, q. 57, a. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK diff --git a/commentaries/data_parsed/monarchia_DF_rebuild.csv b/commentaries/data_parsed/monarchia_DF_rebuild.csv new file mode 100644 index 0000000..255bc5c --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/monarchia_DF_rebuild.csv @@ -0,0 +1,584 @@ +text,comment,fragment,quot_type,quot_uri,quot_title,quot_author,author_uri,quot_theme,quot_work_type +OMNIUM HOMINUM,"per Brugnoli il solenne incipit ricalca certamente Sallustio, Catilinae coniuratio, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit; il luogo era noto a Dante probabilmente attraverso monita o forse per un tramite simile a Isidoro, Etymologiae, XI 15 che pure riporta in parte e per lo stesso scopo di D. il prologo di Sallustio (Giorgio Brugnoli, Sallustio Crispo, Caio, in ED, IV, 1973, p. 1077)","Catilinae coniuratio, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit;",CITAZIONE ESPLICITA,http://it.dbpedia.org/resource/De_Catilinae_coniuratione,De Catilinae coniuratione,Sallustio,http://dbpedia.org/resource/Sallust,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7"". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di Pg XXV 70 rinvia Kay: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in VE I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",prologo della Metafisica aristotelica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7"". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di Pg XXV 70 rinvia Kay: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in VE I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",si legge tanto in Graziano quanto in Accursio,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione Vinay di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di quos, salvo rifiutare d’intendere natura superior come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di Mn II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al sapere (cfr. Conv. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da Nardi, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della Metafisica aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a sapere”. Il “sapere” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di sapere. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del Convivio (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della Monarchia, e all’“impresso” del Paradiso, XVII, 76-7"". Alla natura in mente primi motoris, qui Deus est di Mn II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e Imbach; v. già Pézard: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita Pd VII 127 (ma è Pd VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di Pg XXV 70 rinvia Kay: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 Cassell sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in VE I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",si legge tanto in Graziano quanto in Accursio,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Psalmorum_libro_exegesis_(Beda_il_Venerabile),De psalmorum libro exegesis,Beda il Venerabile,http://dbpedia.org/resource/Bede,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)",1181 a,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con res publica (rafforzato dal successivo richiamo alla publica utilitas). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la publica utilitas (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di bonum commune). Cassell vede qui un calco molto ravvicinato dell'Etica a Nicomaco, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di imbutus: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di documenta in chiusura di Mn III XVI 8 e 10 (phylosophica documenta), ancora III XVI 8 (documenta spiritualia) e III XVI 12 (universalia documenta), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc docimen quod et documen invenitur, unde hoc documentum. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da Vinay, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende res publica come società, dando a publicis documentis il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. Nardi sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da Kay, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare Nardi, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della Politica e dell'Etica a Nicomaco, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","D 78, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27). Vinay cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_Evangelia_S._Matthaei_et_S._Joannis_commentaria(Tommaso),In Evangelia S. Matthaei et S. Joannis commentaria,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PUBLICE UTILITATI,"alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di publice in E, come se il suo codice avesse posteritati traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la ratio del ius publicum nella partizione scolastica di pubblico e privato in Inst. 1, 1, § 4 e in Dig. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (Vinay, Ronconi 1966), a pro del viver civile (Nardi), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (Imbach); the benefit of all (Shaw 2006). Pézard non traduce","Inst. 1, 1, § 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PUBLICE UTILITATI,"alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di publice in E, come se il suo codice avesse posteritati traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la ratio del ius publicum nella partizione scolastica di pubblico e privato in Inst. 1, 1, § 4 e in Dig. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (Vinay, Ronconi 1966), a pro del viver civile (Nardi), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (Imbach); the benefit of all (Shaw 2006). Pézard non traduce","Dig. 1, 1, 1 § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","enciclica emanata per l'incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Exultet_in_gloria(Clemente_V),Exultet in gloria (Enciclica),Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","Decretum Gratiani: Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant (c. 15, C. XII, q",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretorum(Rufino),Summa decretorum,Rufino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rufino,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “monarchia” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, Temporale, in ED, V, 1976, p. 552); cfr. Cv IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione). Che la nozione della monarchia temporale non avesse ancora trovato una esposizione in forma tractatus, cioè in una collana di quaestiones d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine monarchia non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone Futuram ecclesiam che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il Polycarpus passa nel Decretum Gratiani: ""Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, Kay ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: ""monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""Futuram eccl. etc. usque totius orbis monarchiam, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et monarchia dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia principatus interpretatur"" (Summa über das Decretum Gratiani, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come imperium, principatus, regnum, dominium. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo Defensor Pacis può definire la monarchia regia ""temperatus principatus, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel De translatione Imperii scrive ""universale dominium dicitur monarchia"" (Vinay), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di monarchia nel De regimine civitatis: ""monarchia sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).",attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_christiano(Giacomo_da_Viterbo),De regimine christiano,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA GENERICA,,,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; Kay rievoca, appigliandosi a Nardi, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in Cv IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come vera philosophia (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA GENERICA,,,Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +IN HIIS ET SUPER HIIS,"l'Anonimo ha sopra tutti, Ficino in quelle cose. Così tra i moderni anche Nardi, tra quelle cose e su quelle cose, Imbach, in allem und über alles, e Shaw 1996, in those things and over those things. Non vedo ragioni per intendere in ciò e al di sopra di ciò (Marcelli-Martelli 2004), e meno che mai tra quelle istituzioni che si definiscono in un ambito temporale e tuttavia superiore ad esse, come traduce Pizzica 1988, che segue Ricci 1965 rinviando a Cv IV IV 7; l' però Dante, con trasparente allusione al principio romanistico Quod principi placuit, legis habet vigorem (Dig. 1, 4, 1 pr.: Mommsen-Krüger, I, p. 7), si limita a definire l'ufficio della maiestas imperiale come vertice del potere: E questo officio per eccellenza Imperio è chiamato, sanza nulla addizione, però che esso è di tutti li altri comandamenti comandamento. E così chi a questo officio è posto è chiamato Imperadore, però che di tutti li comandatori elli è comandatore, e quello che esso dice a tutti è legge, e per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade. E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade essere altissima nell'umana compagnia. Io penso invece a Cv IV IX 8-9, dove appunto si ricorda che all'imperatore si deve un'obbedienza legittima, cioè limitata alla sua iurisdictio (che non eccede il temporale): questo officiale [...] di cui si parla, cioè lo Imperadore, al quale tanto quanto le nostre operazioni propie, che dette sono, si stendono, siamo subietti; e più oltre no; cfr. più sotto, I XIV 7",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Exultet_in_gloria(Clemente_V),Exultet in gloria (Enciclica),Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +OMNIS VERITAS QUE NON EST PRINCIPIUM,"ogni verità che nonn-è prencipio (Ficino), ongni verità che non è principio (Anonimo). Così con pulizia anche Nardi: ogni verità che non sia un principio. Non si vede la necessità di tradurre ogni verità che non sia assiomatica (Pizzica 1988), troppo distante dalla terminologia dantesca; similmente Ronconi 1966: un postulato; Vinay preferisce parafrasare: Per risolvere tali problemi, la prima cosa da fare mi sembra sia ricercare un principio tale da poter fondare su di esso il seguito del discorso, allegando il commento tomista ai Secondi Analitici di Aristotele (99 b 20), sulla necessità, per ogni scienza dimostrativa, di procedere da proposizioni per sé evidenti: necesse est quod demonstrativa scientia, idest que per demonstrationem acquiritur, procedat ex propositionibus veris primis et immediatis idest que non per aliquod medium demonstrantur sed per seipsas sunt manifeste. Si tratta appunto di ciò che Dante chiama lo fondamento radicale in Cv IV IV 1 (cfr. sopra, I I 5) e intelletto / de le prime notizie in Pg XVIII 55-6. Cfr. la voce Proposizione di Barbara Faes de Mottoni, ED, IV, 1973, pp. 710-1; Kay allega a proposito la voce Principio di Alfonso Maierù, ivi, pp. 673-7 (pp. 675-6 per il luogo in esame); e cfr. del compianto studioso anche la già citata voce Verità, in ED, V, 1976, pp. 962-4",99 b 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_libri_Posteriorum_Analyticorum(Tommaso),Expositio libri Posteriorum Analyticorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRESENS TRACTATUS EST INQUISITIO QUEDAM,"qui tractatus ha il significato non generico di “raccolta ordinata di quaestiones intorno ad un unico soggetto”; stessa specificità ha il termine inquisitio, ""indagine"", ""inchiesta"", ""investigazione"" o solo ""inquisizione"" (Ficino e l’Anonimo, p. 129, conservano ""inquisitione"", ""inquisizione""), termine tecnico che allude al procedere del giudizio per quaestiones, tanto nel dominio della logica quanto in quello della prassi giudiziale (ordo iudiciorum); v. la voce Inquisizione, in ED, III, 1971, p. 458, a proposito del luogo in esame e con rimando a Cicerone, De officiis, I 4 13 (""veri inquisitio atque investigatio""). Vinay intende ""una ricerca sillogistica"", Ronconi 1966 ""una ricerca deduttiva"" e Sanguineti 1985 ""un’indagine sillogistica""; Kay spiega: ""an investigation that follows Aristotle’s scientific method""; eludono il senso tecnico dell’espressione la traduzione ""una qualche ricerca"" (Marcelli-Martelli 2004).",I 4 13,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SPECULARI ... OPERARI,"v. la voce Speculare di Emilio Pasquini, in ED, V, 1976, pp. 369-70. Vinay forza alquanto il testo col tradurre: ""vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico"". Spiega però opportunamente: ""È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica"". Nardi ricorda che ""per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a Conv., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica"". Si veda Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 16, Resp.: ""Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili"".",il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Introduzione_alla_logica(Avicenna),Introduzione alla logica,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SPECULARI ... OPERARI,"v. la voce Speculare di Emilio Pasquini, in ED, V, 1976, pp. 369-70. Vinay forza alquanto il testo col tradurre: ""vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico"". Spiega però opportunamente: ""È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica"". Nardi ricorda che ""per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a Conv., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica"". Si veda Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 16, Resp.: ""Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili"".","I, q. 14, a. 16, Resp.: Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".","Politica, 1279 a 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (Nardi), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, Politica, 1279 a 22 e si fissa nel De regimine principum di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel Defensor Pacis di Marsilio e nel De regimine civitatis di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (Pézard), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (Imbach). Ha ragione Kay di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MOVET ENIM PRIMO AGENTEM,"come quello che per primo muove chi agisce (Nardi, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 674-5 e Imbach, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae","I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MOVET ENIM PRIMO AGENTEM,"come quello che per primo muove chi agisce (Nardi, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 674-5 e Imbach, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae",,CONCORDANZA GENERICA,,,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha ultimus utilis e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; Nardi: ""se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; Imbach: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge ""la fin universelle du genre humain""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche Vinay ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia"".","De regimine principum ad regem Cypri, II 5: quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha ultimus utilis e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; Nardi: ""se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; Imbach: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge ""la fin universelle du genre humain""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche Vinay ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo utilis, attestato anche nella princeps K e nel volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha ultimus utilis e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da Vinay: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; Nardi: ""se v’è un fine del viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; Imbach: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma Imbach 1996a, p. 181, volge ""la fin universelle du genre humain""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; universalis si riferisce infatti a civilitas, com’è del resto in apertura del capitolo seguente, I iii 1: finis totius humane civilitatis, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di Cv IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘civiltà’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""civiltà del quarto trattato del Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] nel momento di cruciale e radicale avvio del distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della imperiale maiestade e la “vita felice” non corrisponde più ad un bonum commune come felicità del e nel Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche Vinay ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in Mn III iii 2, o in Ep I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di civilitas e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio del De regimine principum ad regem Cypri, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". Kay riporta il concetto dantesco di civilitas a quello aristotelico di politeia; così anche la nota di M. Tavoni a VE I ix 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano del De regimine principum (forma perfetta il regno [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una domus, le sue domus richiedono un’aggregazione in vicinanze e queste devono costituirsi in cittade; ma le città circavicine hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi nel sistema economico e politico d’un regno, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale Monarchia"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +TOTUM HOMINEM,"tutto l'uomo (Nardi, che cita Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097 b 24-33), non l'uomo nella sua totalità (Pizzica 1988)",1097 b 24-33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +COMUNITATEM DOMESTICAM ... VICINIAM ... CIVITATEM ... REGNUM,"sull’importanza di questi passi e del ""procedimento astratto di ascesa dal particolare al generale"" v. la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, pp. 1356-7; qui così come in Mn I iii 4 e I v 6, vicinia non è il ""borgo"" (Vinay) o ""la struttura del borgo"" (Pizzica 1988), non la ""contrada"" (Sanguineti 1985) o il ""rione"" (Marcelli-Martelli 2004), e neppure ""il villaggio"" (Nardi; Imbach: ""ein Dorf""), se non come una “struttura sociale-giuridica”; è la vicinanza di Cv IV iv 2: ""E sì come un uomo a sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famiglia, così una casa a sua sufficienza richiede una vicinanza: altrimenti molti difetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. E però che una vicinanza [a] sé non può in tutto satisfare, conviene a satisfacimento di quella essere la cittade. Ancora la cittade richiede alle sue arti e alle sue difensioni vicenda avere e fratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto lo regno"". La matrice aristotelica ovviamente risalta (cfr. Aristotele, Politica, 1252 a 24 – 1253 b 37, e v. in proposito la voce Politica di Enrico Berti, ED, I, 1970, p. 585, che nota la stretta aderenza alla fonte, la cui diretta conoscenza è invece contestata da Gilbert 1928). Qui è tracciata una ""interessante gradatio"" (Bruno Basile, Vicinanza, in ED, V, 1976, p. 10002), una gradazione ascendente che implica una scala delle potestà: da quella esercitata nella domus e nella vicinia, fino alla civitas e al regnum. Sia pure rovesciandone la sequenza, la ricalca con evidenza Bartolo, a poco più di una generazione dalla morte di Dante, nel suo De tyranno (ed. Quaglioni 1983, pp. 175-213).",1252 a 24 § 1253 b 37,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +GENUS HUMANUM,"Vinay, pp. 16-7 nota 2, ricordando che su questo luogo, a pochissimi anni dalla morte di Dante, cominciò ad appuntarsi la polemica del Vernani (ed. Matteini 1958, pp. 10-6), avverte: Il passo va considerato attentamente perché essenziale ad una esatta interpretazione della Mon. D. dice che, come ogni membro del corpo umano risponde ad un fine diverso da quello delle sue parti, così la umanità risponde ad un fine diverso da quello dei singoli uomini e dei singoli raggruppamenti politico-sociali. Non so se tutto il ragionamento dantesco rientri, secondo parve al Vinay, come costruzione logica (non nei risultati a cui porta) nell'ortodossia tomistica, ma certo è utile il raffronto con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem","I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNIVERSALITER,"cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828. ARTE SUA, QUE NATURA EST: cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137","I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNIVERSALITER,"cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce Universalmente, in ED, V, 1976, p. 828.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"ARTE SUA, QUE NATURA EST","cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137","Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +DEUS ET NATURA NIL OTIOSUM FACIT,"Aristotele, De caelo, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma cum Deus et natura in necessariis non deficiat. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso otiosum è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. Mn III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a ""indarno"", come in Cv III xv 8-9: ""A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato"". Pézard rimanda a Pd VIII 113-4: ""E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”""; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: ""La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati"". Cassell nota che ""Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, otiosum, instead of William of Moerbeke’s rendering, “frustra”, in the De cælo et mundo"".",271 a 33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DEUS ET NATURA NIL OTIOSUM FACIT,"Aristotele, De caelo, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma cum Deus et natura in necessariis non deficiat. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, Natura, in ED, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso otiosum è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. Mn III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a ""indarno"", come in Cv III xv 8-9: ""A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato"". Pézard rimanda a Pd VIII 113-4: ""E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”""; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: ""La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati"". Cassell nota che ""Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, otiosum, instead of William of Moerbeke’s rendering, “frustra”, in the De cælo et mundo"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_libros_Aristotelis_De_caelo_et_mundo_expositio(Tommaso),In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AD ALIQUAM OPERATIONEM,"l'espressione ha carattere tecnico. L'operatio è essenziale nella perfezione delle creature, come argomenta Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis","Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VIS ULTIMA,"in Ficino ""l’ultima forza"", nell’Anonimo ""potenzia ultima"". Vinay traduce ancora ""la proprietà specifica""; Pézard ""l’affaire dernière""; Ronconi 1966 e altri ""la massima facoltà""; Imbach ""die äußerste Kraft""; Gally 1993 ""la perfection suprême""; Kay ""the highest power"". Nardi interpreta ""l’ultimo grado della potenza"", spiegando, pp. 294-6: ""tutto il discorso che segue non è altro che una parafrasi, da parte di Dante, di quanto abbiamo udito da Aristotele [Ethica ad Nicomachum, 1097 b 33 – 1098 a 17], per stabilire quale operatio è propria dell’uomo sì da potersi dire ultimum de potentia hominis. Lo Stagirita [...] si limita ad osservare che operazione propria dell’uomo non è la vita vegetativa ch’esso ha comune con le piante, né quella sensitiva che ha comune con gli altri animali privi di ragione [...]. Col suo discorso, insomma, Dante non fa altro che ribadire il concetto aristotelico che l’opus e l’operatio propria dell’uomo è l’esse apprehensivum per intellectum possibilem. E qui si debbono richiamare quei luoghi del Convivio ove lo stesso concetto è affermato con insolite vigoria e vivacità sfuggite al Ricci, e cioè II, vii, 3-4, IV, vii, 11-5, a dimostrare che chi da ragione si diparte, “morto è uomo e rimaso bestia”"".",1097 b 33 - 1098 a 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +APPREHENSIVUM PER INTELLECTUM POSSIBILEM,"Vinay spiega con il Compendium Theologiae tomista che il termine apprehensivum ""indica la capacità elementare di accogliere in sé delle forme"" mediante le facoltà sensitive; quanto all’intelletto possibile, ""id per quod homo intelligit"", appunto giusta la dottrina tomista, ""come potenza ricettiva invece che attiva di forma, non può compiere esso il lavorio occorrente ad astrarre dalle forme ‘particulares’ i concetti, cioè gli universali, che solo esso può accogliere perché costituiscono ciò ch’è veramente intelligibile""; perciò è necessario porre un altro intelletto (l’intelletto agente), che renda intelligibili in atto le specie intelligibili in potenza (come la luce rende attualmente visibili i colori visibili solo potenzialmente, secondo esemplifica lo stesso Tommaso).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +INTELLECTUALES ET NON ALIUD,"traduco alla lettera, come del resto è già in Ficino (et none altro) e in molti dei moderni interpreti, a cominciare da Pézard; Gally 1993 ha uniquement intellectuelles, che echeggia il puramente intellettuali di Vinay, seguito da altri. Cfr. più oltre, I XII 5. Sono appunto queste le intelligenze angeliche che presiedono al moto dei corpi celesti, per le quali è d'obbligo il rimando a Cv II IV 1-17, dove Dante le definisce movitori [...] sustanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli, descrivendone il perfettissimo stato e affermando che lo 'ntelletto loro è uno e perpetuo, giacché esse non hanno altra operazione che l'intendere, come spiega Busnelli 1964 (I, p. 128), sottolineando una strettissima dipendenza di Dante dal Tommaso della Summa contra Gentiles, II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere. Per tutto ciò più in generale cfr. Bemrose 1983, p. 68. E","II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","I, q. 54, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","l. 2, c. 92",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (De reprobatione Monarchiae, pp. 96-7). Con Imbach, p. 339 (e cfr. Imbach 1996a, p. 183) restauro il quid est di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il quidem di M e il quod est di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo quid est sine, Bertalot 1920 quid est quod sunt, quod sine. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha nichil est aliud quam intelligere; quod est sine interpolatione; Vinay, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“esse” e l’“intelligere” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “interpolatio”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che esse e intelligere si identificano solo in Dio (Summa Theologiae, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione nichil est aliud quam intelligere quid quod est, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di interpolatio, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (Vinay, pp. 22-3 nota 15). Kay, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel quod est, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” interpolatio, all’""interciso"" di Pd XXIX 79 (ma cfr. già Nardi, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico Liber de causis e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di Vinay traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il sine interpolatione di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione""; esso può dunque “tradurre” l’""intelligere [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper continuus"" nel passo della Summa contra Gentiles testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di Cv II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che omnis substantia est propter suam operationem, come riporta S. Tommaso, Contra Gent., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est intelligere”. E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: ""In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_substantiis_separatis_(Tommaso),De substantiis separatis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AVERROIS,"cfr. Commentum magnum in Aristotelis De anima libros, III 5, p. 410. ""La “sententia” sulla quale anche Averroè sarebbe d’accordo, è la necessità di una pluralità per l’attuazione della potenza intellettiva umana. D., credo, allude genericamente al principio basilare del commento al terzo libro del De anima che la “continuatio” dell’intelletto separato con l’indivisuo avviene per mezzo delle “intentiones imaginatae”, donde la necessità di una esperienza molteplice senza la quale si cade nell’assurdo di una forza che non è forza di nulla"" (Vinay).","III 5, p. 410",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_al_De_anima(Averroè),Commento al De anima,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITICA PRUDENTIA,"non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. Prudenza di Philippe Delhaye, in ED, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c",1140 b 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITICA PRUDENTIA,"non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. Prudenza di Philippe Delhaye, in ED, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c","IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SEDENDO ET QUIESCENDO,"Aristotele, Physica, 243 b 11-2: ""sedendo e riposando l’anima diventa sapiente e prudente"". Si suole ricordare che questa fu la risposta data a Dante, che lo aveva rimproverato per la sua pigrizia, dal liutaio Belacqua (v. la relativa voce di Francesco Salsano, in ED, I, 1970, pp. 556-8, e cfr. Carpi 2004, I, p. 141 e p. 286), di cui Dante traccia un sapido ritratto in Pg IV 97-139, in part. vv. 109-11: ""“O dolce segnor mio”, diss’io, “adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia”"". L’aneddoto, dell’Anonimo Fiorentino, è nel commento della Chiavacci Leonardi 1994, p. 128: ""Questo Belacqua fu uno cittadino da Firenze, artefice, e facea cotai colli di liuti e di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli veniva la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l’Auttore fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua negligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose con le parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l’Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te"". Ed è forse in questo contesto che occorre collocare la frase con cui Belacqua interrompe il colloquio di Dante e Virgilio nella penosa ascesa della montagna del Purgatorio, ai vv. 97-9: ""E com’elli ebbe sua parola detta, / una voce di presso sonò: “Forse / che di sedere in pria avrai distretta!”"".",243 b 11-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PRUDENTIA ET SAPIENTIA,"cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp., dov'è allegato Aristotele, Metaphysica, 982 a 8. In Cv IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. Vinay ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus testimoniorum, v. Prudentia est: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [Dig. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [Dig. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)","IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRUDENTIA ET SAPIENTIA,"cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp., dov'è allegato Aristotele, Metaphysica, 982 a 8. In Cv IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. Vinay ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del De regimine Christiano di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus testimoniorum, v. Prudentia est: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [Dig. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [Dig. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)",982 a 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN QUIETE SIVE TRANQUILLITATE PACIS,"vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società"" (Vinay), ma non sembra si possa affermare che ""“tranquillitas” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra"". Dante usa tranquillitas, da sola o insieme con pax, in I v 8: cum maiori fiducia sue tranquillitatis; I xvi 2: in pacis universalis tranquillitate; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui pax e tranquillitas si fondono: ""Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse tranquillitas, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt"". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che tranquillitas occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: ""in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit"" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).","I I 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN QUIETE SIVE TRANQUILLITATE PACIS,"vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società"" (Vinay), ma non sembra si possa affermare che ""“tranquillitas” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra"". Dante usa tranquillitas, da sola o insieme con pax, in I v 8: cum maiori fiducia sue tranquillitatis; I xvi 2: in pacis universalis tranquillitate; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui pax e tranquillitas si fondono: ""Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse tranquillitas, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt"". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che tranquillitas occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: ""in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit"" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Variae(Cassiodoro),Variae,Cassiodoro,http://dbpedia.org/resource/Cassiodorus,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +IUXTA ILLUD MINUISTI EUM PAULOMINUS AB ANGELIS,"H legge iuxta illud psalmiste; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. Ps 8, 6, ripetuto in Heb 2, 7. Dante lo cita già in Cv IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe Kay, the comparison between men and angels in Mn I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7","Ps 8, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IUXTA ILLUD MINUISTI EUM PAULOMINUS AB ANGELIS,"H legge iuxta illud psalmiste; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. Ps 8, 6, ripetuto in Heb 2, 7. Dante lo cita già in Cv IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe Kay, the comparison between men and angels in Mn I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7","Heb 2, 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Hebrews,Epistula ad Hebraeos,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Lc 24, 36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Io 20, 19, 21, 26;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Io 14, 27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Lc 10, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Mr 9, 49",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAX VOBIS,"Lc 24, 36; Io 20, 19, 21, 26; anche Mt 10, 12; Lc 10, 5: Pax huic domui. Cfr. ancora Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [Io 20, 19]: Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [Mr 9, 49]: Pacem habete inter vos. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [Mt 10, 12]: Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes: Pax huic domui. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [Io 14, 27]: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Mt 10, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +EX HIIS ... QUE DECLARATA SUNT PATET,"per declarata cfr. sopra, I iv 1; è “patente” ciò che “si mostra apertamente”, ciò che non ha bisogno di essere provato (cfr. Uguccione, P 38 1-2: ""pateo –es –ui passum, idest aperiri, videri, manifestari, manifestum esse vel diffundi; et dicitur patet quasi palam tenet [...]; unde patens""). Debole la traduzione di Vinay (""risulta""), così come quella di Nardi (""appare""); anche Shaw 1996 e Kay hanno semplicemente ""clear""; meglio Sanguineti 1985: ""risulta dunque evidente""; l’Anonimo (p. 133) e Ficino (p. 333) traducono ""è manifesto"". Cfr. più avanti, I x 2.",P 38 1-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +UNAM DOMUM,"""nella casa"" (Ficino), ""una casa"" (Anonimo, p. 134); Nardi: ""una famiglia"", ma in apparato precisa: ""unità familiare (domus per Dante come per la traduzione latina della Politica aristotelica ad opera di Guglielmo di Moerbeke; in greco o„k…a e o‡koj, 1252 b 10 sgg.)""; bene ""household"" (Shaw 1996 e Kay, che chiosa: ""Sometimes translated “family”, but “household” is more precise because Aristotle has in mind kinsfolk living under the same roof. For him, an extended family living under several roofs constitutes the next larger unit, the neighborhood"", con la citazione di Aristotele, Politica, 1252 b 15-9). A Vinay non par dubbio ""che “unam” sia articolo indeterminato"". Cfr. Domenico Consoli, Famiglia, in ED, II, 1970, pp. 789-90. Sulla ""rassegna"" che qui comincia cfr. ancora, la nota di M. Tavoni a VE I xix 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1357.",1252 b 15-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUEM DICUNT PATREMFAMILIAS,"""el quale padre di famiglia si chiama"" (Ficino), ""il quale si dicie padre di famiglia"" (Anonimo); non certo ""il cosiddetto padre di famiglia"" (Pizzica 1988). La nota di M. Tavoni a VE I xviii 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1346, a proposito del ""vere paterfamilias"" e del suo “riuso” ""in chiave politica"", ricorda con Marigo 1957: ""Paterfamilias è parola presa nel suo senso giuridico: “Paterfamilias appellatur qui in domo dominium habet...” (Paulus, Digestum 50, 16, 195)"".","Paulus, Digestum 50, 16, 195",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +OMNIS DOMUS REGITUR A SENISSIMO,"Aristotele, Politica, 1252 b 21-4: e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano. L'assunto è ripetuto dalla migliore giurisprudenza trecentesca: In domo propria potest dici patremfamilias habere aliquid iuris regalis. Ius enim sibi dicit in filios et in servos [...]. Item maior seu antiquior domus habet quodammodo quandam iurisdictionem in uxorem, liberos et servos; et etiam antiquior frater vel patruus in minores xxv. annis, qui sunt in illa domo (Bartolo da Sassoferrato, De tyranno, q. IV, ed. Quaglioni 1983, p. 183)",1252 b 21-4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +REGULARE OMNES ET LEGES IMPONERE ALIIS,"il luogo omerico (Od. IX 114) è in Aristotele, Politica, 1252 b 24: E ciascuno governa i suoi figli e la moglie. Cfr. Cv IV XXVII 10, col commento di Busnelli 1964, II, p. 234, che rinvia a questo luogo; v. inoltre Guido Martellotti, Omero, in ED, IV, 1973, pp. 145-8 ed Enrico Berti, Politica, ivi, p. 586",1252 b 24,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp",1252 b 27-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp","1097, b 7-21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, Politica, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di per se sufficientia si veda ancora Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1097, b 7-21, e per la civitas come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp","Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUOD ASSUMMITUR SUPRA,"cfr. sopra, I V 2 e 3, quando aliqua plura ordinantur ad unum, con riferimento ad Aristotele, Politica, 1254 a 28-32. Il ragionamento è in sostanza questo: l'affermazione del Filosofo è vera perché di fatto vediamo che qualsiasi complesso rivolto ad un fine si sfalda in mancanza di una autorità che ne guidi e diriga i componenti (Vinay)",1254 a 28-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SIC ORDO PARTIALIS AD TOTALEM,"""per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti"", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, Metaphysica, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.",1023 b 12 – 1024 a 10;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SIC ORDO PARTIALIS AD TOTALEM,"""per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti"", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, Metaphysica, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.",1034 b 31-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +FORMA HUIUS ORDINIS,"non c’è necessità alcuna di tradurre ""questo ordinamento “ad unum”"" (Vinay). Nel notarne l’imbarazzo e nel rinviare sia a quel che si legge più oltre, II vi 4-5, sia alla ""bella terzina"" di Pd I 103-5: ""“Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante”"", Nardi scrive: ""il discorso procede sempre movendo dalla distinzione fatta da Aristotele nel libro XII della Metafisica, dell’ordine che regna tra le parti dell’universo tra loro dall’ordine superiore che domina l’universo nella sua totalità, trasferita per certa analogia al duplice ordine che, per Dante, dovrebbe estendersi dalle parti al tutto della società umana come alle parti tra loro e al tutto d’un esercito comandato da un unico duce"". Scrive Cassell a commento: ""Dante’s syllogism is complicated but clear. He contrasts the relation among the parts to the relation between those parts and their leader, and considers the latter (by which he means the position of the emperor toward his subjects) a relationship superior to the former. The relation of the ruler to the ruled is parallel to the Deity’s ordering of Creation"".",libro XII,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",75 b 21-35,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",25 b 26 e ss.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, Analitica Priora, 25 b 26 e ss., e Analitica Posteriora, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, Sillogismo, in ED, V, 1976, p. 249). Kay ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue Summulae logicales da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in Pd XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",25 b 26 e ss.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +CUM SIT ORDO MELIOR ... REPERIRI DEBET,"l'inciso ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum manca alla traduzione di Ficino; analoga omissione nei codici M S. Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto. Pizzica 1988 richiama il luogo importantissimo rappresentato da Cv III II 4-5, con il commento di Busnelli 1964, I, pp. 263-8, e le diverse considerazioni sia in Nardi, sia in Nardi 1949, pp. 256-7","Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER UNUM PRINCIPIUM TANTUM,"Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.","I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +BENE SE HABET ET OPTIME,"è ripetuto più sotto, I viii 2, I viii 5 e I ix 1. ""“Bene se habere et optime” vuol [...] dire realizzare “divinam similitudinem” “secundum quod effectum capere potest”"" (Vinay), come si legge in Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 45, e come Dante espone in Cv III vii 2: ""Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, dalle cose riceventi. Onde scritto è nel libro delle Cagioni: ""La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo della sua vertù e dello suo essere”"". Ficino traduce ""ogni cosa sta bene"", l’Anonimo ""ciascuna cosa bene sta e optimamente"" (p. 136); Nardi ""bene, anzi ottimamente, ordinato"" (cfr. Nardi 1924a, poi Nardi 1967, pp. 81-109: 106). Varie le soluzioni di alcuni tra i moderni interpreti, da ""è perfetto"" (Vinay) a ""en heureux état et au mieux possible"" (Pézard), ""uno stato di benessere e di felicità"" (Sanguineti 1985), ""in gutem und bestem Zustand"" (Imbach), ""in a good (indeed, ideal) state"" (Shaw 1996). Kay sostiene che la frase è ridondante in ragione di un voluto parallelismo con quanto si legge sopra, I vii 2.",II 45,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RECIPERE POTEST,"""Creando il mondo, Dio ha voluto che le creature fossero a sua immagine secondo le possibilità della loro natura particolare. Il fine supremo a cui tendono le creature è l’attuazione di questa “intentio” divina che costituisce la ragione stessa del loro essere, punto di partenza e punto d’arrivo ad un tempo. Dio è principio e fine"" (Vinay, con la citazione di Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, II 25: ""unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem""). Cfr. la voce Intenzione di Tullio Gregory, in ED, III, 1971, p. 480.","II 25: unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +FACIAMUS HOMINEM AD YMAGINEM ET SIMILITUDINEM NOSTRAM,"Gn 1, 26; cfr. Cv IV xii 14: ""E la ragione è questa: che lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé (sì come è scritto: “Facciamo l’uomo ad imagine e similitudine nostra”), essa anima massimamente desidera di tornare a quello"". Su questa citazione scritturale v. Cremascoli 2011, p. 33 e nota 9.","Gn 1, 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +TOTUM UNIVERSUM,"l'idea che solo l'universo nella sua interezza rispecchi unitariamente quella bontà del creatore che le singole creature, ciascuna per sé, possono solo sparsamente rappresentare, è in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura","I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VESTIGIUM QUODDAM,"un'impronta, ovvero un segno impresso, un calco, un'orma; cfr. poco più sotto, I IX 1, e Pd I 106-8: Qui veggion l'alte creature l'orma / de l'etterno valore, il qual è fine / al quale è fatta la toccata norma, su cui v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 33: orma: impronta; questa parola, che esprime con potente ed evidente metafora l'idea della ""somiglianza"" del creato al creatore, traduce il latino vestigium, termine usato già da Agostino e poi dagli scolastici per significare quella somiglianza, e da Dante stesso ripreso [...] in modo esplicito nella Monarchia (e v. anche ivi, Introduzione, p. XIX). Cfr. anche Bonaventura, Breviloquium, II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum. Stretta l'aderenza al testo da parte dell'Anonimo: uno vestigio della divina bontà. Splendido Ficino (che trova in questo luogo una di quelle sententie platoniche ricordate nel proemio del suo volgarizzamento e con le quali Dante, parlando inn-ispirito con Platone, avrebbe adornato e libri suoi (p. 327): una honbra d'Iddio. Cfr. Bruno Bernabei, Vestigio, in ED, V, 1976, p. 986","II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Breviloquium(Bonaventura),Breviloquium,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUANDO MAXIME EST UNUS,"si veda ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus","I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PERFECTI,"Vinay addita come luogo parallelo Cv IV XVI 7: Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo della Fisica quando dice: ""Ciascuna [cosa] è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propia, e allora è massimamente secondo sua natura, onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo"", cioè quando aggiugne la sua propia virtude; e allora è in tutta sua natura, e allora si può dire nobile circulo; trova però deludente la dimostrazione che segue, e che farebbe rimpiangere la teoria della generazione esposta da D. in Conv., IV, 21. Su tutto il contenuto di questo paragrafo si v. la lunga e dotta nota di Nardi, pp. 320-2, con quanto egli aveva già esposto in L'arco della vita (Nardi 1967, pp. 110-38: 110-4), e più succintamente Imbach, pp. 272-3",nel settimo della Fisica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PERFECTISSIMUM,"sulla perfezione del cielo Vinay allega un passo (III 9) del De ecclesiastica potestate di Egidio Romano, che Dante può aver avuto presente; Pizzica 1988 abbellisce e traduce qui sovranamente perfetto",III 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_ecclesiastica_potestate(Egidio_Romano),De ecclesiastica potestate,Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUXTA SECUNDUM DE NATURALI AUDITU,"U ha una lacuna in luogo di secundum, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece pħm (phylosophum) i codici D F G N Y; M ha secundum phylosophum; Ficino traduce ""come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile"", l’Anonimo ""secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”"" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, Fisica, in ED, II, 1970, pp. 933-4. ""Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi De physico auditu, De physica consultatione) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente Lezioni intorno alla natura"" (Nardi); cfr. Aristotele, Physica, 194 b 13 e De anima, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: ""Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol"". Si rammenti Pd XXII 116: ""quelli ch’è padre d’ogne mortal vita"", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita Rime 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: ""Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta""; nonché Cv III xii 8: ""Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica"".",194 b 13,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IUXTA SECUNDUM DE NATURALI AUDITU,"U ha una lacuna in luogo di secundum, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece pħm (phylosophum) i codici D F G N Y; M ha secundum phylosophum; Ficino traduce ""come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile"", l’Anonimo ""secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”"" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, Fisica, in ED, II, 1970, pp. 933-4. ""Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi De physico auditu, De physica consultatione) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente Lezioni intorno alla natura"" (Nardi); cfr. Aristotele, Physica, 194 b 13 e De anima, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: ""Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol"". Si rammenti Pd XXII 116: ""quelli ch’è padre d’ogne mortal vita"", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita Rime 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: ""Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta""; nonché Cv III xii 8: ""Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica"".",Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sentencia_libri_De_anima(Tommaso),Sentencia libri De anima,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PAR IN PAREM NON HABET IMPERIUM,"vulgatissimo brocardo (v. ad es. Bracton, De legibus et consuetudinibus Angliae, II 33), qui impiegato a proposito nel caso del conflitto tra giurisdizioni di pari grado; contrariamente a quanto si vede affermato (Pizzica 1988, Kay), la citazione non risale ad Accursio e alla sua glossa a Dig. 4, 8, 3, § 3 e a Dig. 4, 8, 4, dove il testo ha magistratus superiore aut pari imperio nullo modo possunt cogi (Mommsen-Krüger, I, p. 67), o a Dig. 36, 1, 13, § 4 (ivi, p. 522), dove si legge praetorem quidem in praetorem, vel consulem in consulem nullum imperium habere; tanto meno alla glo. conferens generi alla Novella VI di Giustiniano (Auth. Coll. I, 6, Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem adduci, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), in cui quelle autorità legali sono allegate in relazione al Constitutum Constantini (Furlan); risale invece, nella formulazione qui usata, alla decretale Innotuit di Innocenzo III, già compresa nella Compilatio III (cap. 5, III Comp., I, 6: QCA, p. 105), ma che Dante leggeva ormai nel Liber Extra di Gregorio IX, cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62); il principio era già ricevuto nel c. 4, D. XXI del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 70). In proposito v. Pennington 1993, p. 93, e più specificamente Pennington 1999, p. 260, con l'esempio, a Dante calzantissimo, di Guido da Suzzara","cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ENTIA NOLUNT MALE DISPONI,"Aristotele, Metaphysica, 1076 a 3-5, che ricorda tacitamente un verso omerico (Il. II 24; cfr. ancora la v. Omero di Guido Martellotti, in ED, IV, 1973, pp. 145-8). Per il valore polisemico di ens nella scolastica medievale cfr. Vinay",1076 a 3-5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","2a 2ae, q. 58, art",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".",,CONCORDANZA GENERICA,,,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".",1137 b 30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","I, q. 63, a. 1, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce Rettitudine, in ED, IV, 1973, p. 894, per rectitudo come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con Nardi, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in Cv IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a Rime 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di Vinay, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda Cv IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a Summa theol., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “rectitudo” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “regula”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della regula (del regolo) è in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la regula Lesbia, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est rectitudo"" è in Anselmo, De veritate, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di rectitudo, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce Nardi, pp. 328-9; Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 63, a. 1, Resp., e avverte: ""Dante’s approach at this point is necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract quality; whereas it usually was defined a virtue, which is to say a habit of someone’s will [...]. As a virtue, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract quality, justice is a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di Vinay: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Anselmo_Aosta),De veritate,Anselmo d'Aosta,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anselmo_Aosta,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +MAGISTER SEX PRINCIPIORUM,"Dante cita pressoché alla lettera dal Liber sex principiorum 1 1, p. 36: ""forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens"". Lo scritto, in passato a torto atribuito a Gilbert de la Porrée (v. la voce Magister Sex Principiorum in ED, III, 1971, p. 767, e cfr. Cassell) faceva parte del corpus delle opere logiche di Aristotele nel curriculum degli artistae; ciò suggerisce a Kay che Dante possa non averne avuto diretta conoscenza, dal momento che essa ""was widely quoted by later scholastics"". Commenta Nardi: ""E proprio per questo Dante cita il Magister Sex Principiorum, il quale recte, a buon diritto, ha affermato che huiusmodi forme, quali la “bianchezza” e la “giustizia”, pur trovandosi enunciate di un composto, in sé stesse consistono in una “semplice e invariabile essenza”. Quest’unica testimonianza chiede Dante al Magister Sex Principiorum; nient’altro. Quello che immediatamente precede e segue questa citazione è chiosa di Dante. Siffatte “forme”, come quelle della “bianchezza” e della “giustizia”, sono “essenze inviariabili” in suo abstracto, come appunto vuole Aristotele; ma in quanto entrano in composizione con soggetti variabili quibus concernuntur (da concerno, che ha il perfetto concrevi e il supino concretum uguali a concresco!), ossia in concreto, sono suscettibili di “magis et minus” “secundum quod magis et minus in subiectis de contrariis admiscetur”"". Così anche Alfonso Maierù, Suggetto, in ED, V, 1976, p. 475, che richiama questo luogo a proposito della ""sostanza individuante"", del ""‘concretum’ cui ineriscono le forme accidentali e i loro contrari; queste forme, in sé immutabili, sono suscettibili di variazioni in più o in meno a seconda del ‘concetto’ cui ineriscono, sicché propriamente il s. è capace di più o meno, non le forme"".","1 1, p. 36: forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_Sex_Principiorum,Liber Sex Principiorum,Magister Sex Principiorum,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Magister_Sex_Principiorum,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp","Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp","q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la princeps K legge huius qualitatis; huius qualitates hanno i codici C E H S Y Z; T ha in subiectis de contrariis e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, Categoriae, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem); q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui); q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp","q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DE CONTRARIO IUSTITIE,"Aristotele, Categoriae, 10 b 12-3, spiega così: Alla qualità appartiene inoltre la contrarietà. Ad esempio, la giustizia è contraria all'ingiustizia, la bianchezza è contraria alla nerezza, ed analogamente per le altre qualità",10 b 12-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUANTUM AD HABITUM ET QUANTUM AD OPERATIONEM,"cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult (cfr. sopra, I XI 3 e più in generale I III 3)","IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEQUE HESPERUS NEQUE LUCIFER ITA ADMIRABILIS EST,"Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia Melanippe di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci Espero (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed Etica (Enrico Berti), in ED, II, 1970, pp. 731 e 756-8",1129 b 28;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +NEQUE HESPERUS NEQUE LUCIFER ITA ADMIRABILIS EST,"Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia Melanippe di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci Espero (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed Etica (Enrico Berti), in ED, II, 1970, pp. 731 e 756-8","IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).",1129 a 7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","1, 1, 10, pr.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","1, 1, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","Ia-IIae, q. 50, a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (Ethica ad Nicomachum, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in Inst. 1, 1, § 1 e in Dig. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 50, a. 5, Sed contra, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ""iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens"")",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","q. 84, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","dictum ante c. 1, D. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","1, 1, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","Dig. 1, 1, 10, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","glo. alterum non ledere, Inst. 1, 1, è 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di Vinay, che intende cupiditas nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in Cv IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli initia dei due corpora iuris. Esso deve senz’altro intendersi riferito al dictum ante c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di Mt 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a Inst. 1, 1, § 3 = Dig. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i praecepta iuris: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del Decretum come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", Inst. 1, 1, § 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il Liber Extra, scrive: ""Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur (Friedberg, II, coll. 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. Cv I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di passionare il giudice"". Vinay, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice Kay: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. Cv I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di passionare il giudice"". Vinay, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice Kay: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.","Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. Cv I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro Nardi, Furlan cita Quintiliano, Inst. orat. II xvi 4 (in tema di adfectus eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di passionare il giudice"". Vinay, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice Kay: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che passionare abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s Decretum collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (amore iustitiae), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (cupiditas) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.",II XVI 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Institutio_Oratoria,Institutio oratoria,Quintiliano,http://dbpedia.org/resource/Quintilian,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +CUM IUSTITIA SIT VIRTUS AD ALTERUM,"la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. Nardi; cfr. anche Summa Theologiae, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (Utrum iustitia sit semper ad alterum), Resp., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza Vinay)",1129 b 26 – 1130 a 16,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CUM IUSTITIA SIT VIRTUS AD ALTERUM,"la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. Nardi; cfr. anche Summa Theologiae, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (Utrum iustitia sit semper ad alterum), Resp., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza Vinay)","IIa-IIaee, q. 58, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PROSILLOGISMUS,"ricorre solo in questo luogo; conservano questa forma la princeps K e parte dei manoscritti β (B D E F N P V Y); i restanti testimoni hanno sillogismus o altre lezioni assai corrotte (anche l'Anonimo conserva sillogismo, mentre Ficino ha argumento. È un sillogismo preliminare (preparatory syllogism, Cassell), ovvero il sillogismo introdotto a dimostrazione della verità della premessa di un altro sillogismo, in modo che la conclusione del p. venga a essere la stessa premessa da dimostrare (v. Prosillogismus, in ED, IV, 1973, 719-20): vedi Aristotele, Analytica priora, 42 b 5; 44 a 22, e cfr. ampiamente Nardi, p. 336",42 b 5; 44 a 22,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CURRIT PER SECUNDAM FIGURAM CUM NEGATIONE INTRINSECA,"Aristotele, Analytica priora, 26 b – 28 a; il prosillogismo qui introdotto appartiene alla seconda delle tre figure in cui il sillogismo può presentarsi, cioè a quella in cui il termine medio è predicato di entrambe le premesse: ""“nessun uomo intelligente trascura la sua cultura, Caio trascura la sua cultura, dunque Caio non è un uomo intelligente” è un sillogismo di seconda figura e come tale è “privativus” non “affirmativus” (Cfr. Boezio, Priorum analyt. interpretatio I 5, PL 64, col. 643 sgg.)"" (Vinay).",26 b - 28 a,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CUPIDITAS,"cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di ab omni cupiditate; in questo senso si può evocare la lupa ""che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza"" di If I 49-50; così il luogo paolino ""radix omnium malorum est cupiditas"" (1 Tm 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della cupiditas come ""radix omnium peccatorum"", e non semplicemente come ""inordinatus amor divitiarum"", in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (Utrum cupiditas sit radix omnium peccatorum); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone Doglia mi reca nello core ardire (Rime 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. Vinay ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, De regimine christiano: ""reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum"" (ed. Arquillière 1926, p. 243).","Ia-IIae, q. 84, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUPIDITAS,"cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di ab omni cupiditate; in questo senso si può evocare la lupa ""che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza"" di If I 49-50; così il luogo paolino ""radix omnium malorum est cupiditas"" (1 Tm 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della cupiditas come ""radix omnium peccatorum"", e non semplicemente come ""inordinatus amor divitiarum"", in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (Utrum cupiditas sit radix omnium peccatorum); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone Doglia mi reca nello core ardire (Rime 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. Vinay ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, De regimine christiano: ""reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum"" (ed. Arquillière 1926, p. 243).","Ia-IIae, q. 84, a. 1, reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum (ed. Arquillière 1926, p. 243)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_christiano(Giacomo_da_Viterbo),De regimine christiano,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +ARISTOTILES,"in Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1129 a 32 – b 10, il termine usato è pleonškthj, ""avido di avere e di potere, che nella versione latina è reso con la parola avarus"" (Nardi), alla lettera ""chi vuole avvantaggiarsi"" (plšon = vantaggio), chiamato ""ingiusto"" insieme al trasgressore della legge e all’iniquo.",1129 a 32 - b 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine",1354 a 31 - b 11,CITAZIONE ESPLICITA,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine",III II 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","4, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","5, 1, 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, Rhetorica, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, De regimine principum, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I Rhetor. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. Nardi aggiunge una serie di luoghi romanistici, Inst. 4, 17, Dig. 5, 1, 40, Dig. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","48, 10, 1, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",1160 b 2-5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993","Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Kruger, II, p. 310",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Codex_Justinianus,Codex Iustinianus,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cronaca(Ottone_Morena),Cronaca,Ottone Morena,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ottone_Morena,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,,,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva Nardi, pp. 338-9). Kay è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione Bene a Zenone, nel titolo De quadriennii praescriptione del Codice Giustiniano (Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in Cv IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come dominus mundi e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e Bulgaro, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli iura regalia; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al dominium quoad proprietatem e non solo quoad iurisdictionem. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il Novellino per Martino e Bulgaro, Odofredo nel commento a Dig. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e Bulgaro, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del dominatus mundi dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di iurisdictio imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. Bulgaro di Bruno Paradisi, in DBI, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993","2, 1, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lecturae_in_Digestum(Odofredo),Lecturae in Digestum,Odofredo,http://dbpedia.org/resource/Odofredus,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata","I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata",Novella VII di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (Ep VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di Aen. I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris); cfr. la v. Oceano di Adolfo Cecilia, in ED, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di iurisdictio, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore dominus mundi, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo de lege Rhodia de iactu (Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata","Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Kruger, I, p. 188",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUERIT DEUM ET HOMINEM,"Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi","IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SI NATURA PASSIVORUM ET ACTIVORUM CONSIDERETUR,"Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla natura passivorum et activorum. ""Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la Fisica e nel primo De Generatione” (Conv., IV, x, 9; cfr. ibid., III, x, 2), fra l’agente e il paziente è necessario vi sia contatto: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (Conv., III, x, 2)"" (Nardi).",settimo de la Fisica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SI NATURA PASSIVORUM ET ACTIVORUM CONSIDERETUR,"Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla natura passivorum et activorum. ""Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la Fisica e nel primo De Generatione” (Conv., IV, x, 9; cfr. ibid., III, x, 2), fra l’agente e il paziente è necessario vi sia contatto: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (Conv., III, x, 2)"" (Nardi).",nel primo De Generatione,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DE CAUSIS,"cfr. Attilio Mellone, De Causis, in ED, II, 1970, p. 327. ""Il piccolo anonimo Liber de causis godé fra gli Scolastici di grande autorità e fortuna, e fu una delle opere più frequentemente citate [...]. Tradotto dall’arabo in latino, a Toledo, da Gherardo di Cremona, fra il 1167 e il 1184, fu [...] uno dei principali tramiti dell’influenza del pensiero neo-platonico sulla Scolastica cristiana [...]. Dante [...] vi si riferisce sempre come a scritto d’ignoto autore"" (Nardi 1924a, poi in Nardi 1967, pp. 81-3 e 88-9, con speciale riguardo a questo luogo e con rinvio ai commenti di Tommaso, Egidio Romano e Alberto Magno). Dante si riferisce qui alla prop. 1: ""Omnis causa primaria plus est influens super causatum suum quam causa universalis secunda"". Lo stesso Nardi 1942b, p. 118, spiega: ""La maggior vicinanza del Monarca a tutti gli uomini va intesa dunque nel senso che esso è sulla terra ‘causa universalis prima’ di ogni potere politico di cui partecipano i principi particolari, e perciò è ‘magis causa’"".",,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POTISSIME LIBERUM,"che la libertà, ""tra i vocaboli centrali del mondo dantesco"" (Bruno Bernabei, Libertà, in ED, III, 1971, p. 641), in questo luogo sia ""sentita, più che come esigenza morale, come supremo attributo della razionalità"" (Vinay), pare considerazione un poco avventata, probabilmente nel ricordo di Cv III xiv 9-10, dove ""la nobile anima d’ingegno"" è detta ""libera ne la sua propria potestate"" in base al canone aristotelico ""che quella cosa è libera che per sua cagione è, non per altrui"" (v. più sotto, I xii 8, con richiamo a Metaphysica, 982 b 25-6). Credo superflua ogni correzione di tipo conciliatorio (v. Pizzica 1988, p. 224 nota 1). Non sarà invece superfluo ricordare che il diritto romano giustinianeo, tra le sue rare definizioni, ne possiede una della libertas. Un frammento di Fiorentino dice infatti che la libertà è una facoltà naturale, e che la schiavitù è un istituto del diritto delle genti contrario a natura: ""Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur. Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur"" (Dig. 1, 5, 4, pr.-§ 1: Mommsen-Krüger, I, p. 7): la libertà, che consiste nella capacità di possedere diritti e nell’assenza di uno stato di soggezione, è un diritto naturale innato in ogni essere umano, o per dirla altrimenti ogni uomo è in origine libero. Per tutto ciò v. l’insuperato studio di Wirszubski 1957.",982 b 25-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +LIBERTAS ARBITRII,"cfr. Cv I viii 14: ""la vertù dee avere atto libero e non sforzato""; opportunamente Kay si appella al significato di ""“full discretion” [...] in Roman law"", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel ""liberum arbitrium"" di Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3 e nel ""plenum arbitrium"" di Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). Vinay ricorda invece Pg VI 130-132 (""Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca""), sostenendo però curiosamente che mentre là ""la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”"", qui ""è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione"". Cfr. l’importante voce Arbitrio di Sofia Vanni Rovighi, in ED, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).","Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LIBERTAS ARBITRII,"cfr. Cv I viii 14: ""la vertù dee avere atto libero e non sforzato""; opportunamente Kay si appella al significato di ""“full discretion” [...] in Roman law"", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel ""liberum arbitrium"" di Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3 e nel ""plenum arbitrium"" di Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). Vinay ricorda invece Pg VI 130-132 (""Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca""), sostenendo però curiosamente che mentre là ""la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”"", qui ""è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione"". Cfr. l’importante voce Arbitrio di Sofia Vanni Rovighi, in ED, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).","Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LIBERUM DE VOLUNTATE IUDICIUM,"Boezio, In lib. Aristotelis (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: ""sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis de voluntate iudicium""; cfr. anche Id., Consolatio Philosophiae, V 2 2-6, sulla ""arbitrii libertas"" come ""volendi nolendique libertas"" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di Vinay (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che ""il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”"", dall’altra sostiene che ""il passo non è perspicuo"", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: de voluntate risulta così gravemente frainteso: ""Nessun dubbio che “de voluntate” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”"" (p. 70); inoltre non è ""la formula adoperata dai “multi”"" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i multi, che saranno senz’altro i ""commentatori di Pier Lombardo, Sententiae, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum de voluntate iudicium”"". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale ""avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “de voluntate” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis"" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione ""libero giudizio portato sulla volontà"", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di Pézard, il quale ammette che ""l’expression est douteuse"" ma respinge come ""étrange"" la proposta di Vinay, traducendo invece ""un jugement librement formé par la volonté"" e spiegando (p. 649): ""Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine"". Lo ricalca Livi 2002: ""un libre jugement formulé par la volonté"". Ficino ha semplicemente ""libero g[i]udicio di volontà"", e l’Anonimo ""giudicie della volontà"". Per tutto ciò v. anche la voce Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40.",V 2 2-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LIBERUM DE VOLUNTATE IUDICIUM,"Boezio, In lib. Aristotelis (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: ""sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis de voluntate iudicium""; cfr. anche Id., Consolatio Philosophiae, V 2 2-6, sulla ""arbitrii libertas"" come ""volendi nolendique libertas"" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di Vinay (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che ""il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”"", dall’altra sostiene che ""il passo non è perspicuo"", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: de voluntate risulta così gravemente frainteso: ""Nessun dubbio che “de voluntate” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”"" (p. 70); inoltre non è ""la formula adoperata dai “multi”"" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i multi, che saranno senz’altro i ""commentatori di Pier Lombardo, Sententiae, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum de voluntate iudicium”"". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale ""avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “de voluntate” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis"" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione ""libero giudizio portato sulla volontà"", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di Pézard, il quale ammette che ""l’expression est douteuse"" ma respinge come ""étrange"" la proposta di Vinay, traducendo invece ""un jugement librement formé par la volonté"" e spiegando (p. 649): ""Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine"". Lo ricalca Livi 2002: ""un libre jugement formulé par la volonté"". Ficino ha semplicemente ""libero g[i]udicio di volontà"", e l’Anonimo ""giudicie della volontà"". Per tutto ciò v. anche la voce Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40.","III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarium_in_librum_aristotelis_perihermeneias(Boezio),Commentarium in librum aristotelis perihermeneias,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SUBSTANTIE INTELLECTUALES ... INMUTABILES VOLUNTATES,"sulle intelligenze angeliche cfr. sopra, I iii 7; sui beati che non dismettono l’esercizio del libero arbitrio v. Giorgio Stabile, Volontà, in ED, V, 1976, p. 1139. ""La conseguenza che l’immutabilità del volere non sopprime il libero arbitrio nelle intelligenze separate le quali sono anzi perfettamente libere riposa su alcuni motivi della speculazione scolastica che ricorrono ripetutamente in S. Tommaso: negli angeli, volontà e appetito sono distinti come nell’uomo, quindi è identico il trinomio “apprehensio-iudicium-appetitus” con la differenza che negli angeli l’“iudicium” non risponde ad una “inquisitiva deliberatio consilii” ma ad una “subita acceptatio veritatis” (Summa theol., I, q. 49, art. III); la perfezione della loro libertà dipende da questa “subita acceptatio” che esclude a priori una sopraffazione dell’“appetitus” anche se questo dovesse intendersi per analogia all’“appetitus” umano"" (Vinay). Per il ""suggello poetico"" (Pizzica 1988) di tutto ciò cfr. Pg XVIII 55-60. Vedi anche la v. Sustanza di Alfonso Maierù, in ED, V, 1976, p. 495.","Summa theol., I, q. 49, art. III",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono ad celos i codici H Z. Kay indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","III, q. 18, a. 4, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".",Novella VI di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, q. 13, a. 9, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"".",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, 3 e 14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_statu_interioris_hominis(Riccardo_di_San_Vittore),De statu interioris hominis,Riccardo di San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Richard_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in Pd V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’initium della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". Cassell invita al confronto con Riccardo di San Vittore, De statu interioris hominis post lapsum, I, 3 e 14 (PL, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e De eruditione hominis interioris (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di Pd V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, 3 e 14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_conditione_interioris_homoris(Riccardo_di_San_Vittore),De conditione interioris homoris,Riccardo di San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Richard_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"""come nella “Metafisicha” dicie Aristotile"" (Ficino); ricalca, come al solito, l’Anonimo: ""come al Filosafo piacie inel libro “Di simpliciter ente”"". Così anche più oltre, I xiii 3; I xv 2; e III xiv 6; cfr. Aristotele, Mataphysica, 982 b 25-6; ""ma nel testo aristotelico si parla dell’“uomo che diciamo libero”"" (Nardi). Dante lo ricorda in Cv III xiv 10: ""e lo Filosofo dice, nel secondo della Metafisica, che quella cosa è libera, che per sua cagione è, non per altrui"".",982 b 25-6,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITIE DIRIGUNTUR OBLIQUE,"sono raddrizzate le forme politiche deviate o perverse, cioè le tirannidi come esiti della corruzione delle rette costituzioni: v. Aristotele, Politica, 1279 a 23-39 (cfr. sopra, I II 6). Plastica la resa ficiniana: le torte republiche si dirizano; senza senso l'Anonimo, il cui volgarizzamento (però che allora solo politichamente siamo reti obliquamente) riflette una lezione assai vicina a quella di M, c. 14v: Tunc enim politicem dirigimur oblique",1279 a 23-39,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN SERVITUTEM COGUNT GENUS HUMANUM,"è la servitus ""que morti comparatur"", come scrive Bartolo nel De regimine civitatis (ed. Quaglioni 1983, p. 158), allegando una celebre regula iuris in Dig. 50, 17, 209 (Mommsen-Krüger, I, p. 873). Anche Cassell richiama qui Bartolo, non a torto come ""Dante’s follower"".","Dig. 50, 17, 209",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Defensor pacis, I, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Pol., VI, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Pol., VI, 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). Nardi traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione bene o recte da introdursi prima di politizant in corrispondenza del successivo oblique politizantes, proposta da Nardi 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro Nardi 1944 chiosa Vinay: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (Pol., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (Defensor pacis, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (Vulg. eloq., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della Politica del Moerbeke"". Cfr. Cassell, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.",con la traduz. della Politica del Moerbeke,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UNDE PHYLOSOPHUS IN SUIS POLITICIS,"Honde Aristotile nella ""Politicha""; cfr. Aristotele, Politica, 1276 b 16 – 1278 b 5",1276 b 16 – 1278 b 5,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",libro III della Politica nella sua interezza,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del De regimine principum tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però Ethica ad Nicomachum, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della Politica (in tertio ... libro Politicae ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); Imbach suggerisce che Dante citi qui il libro III della Politica nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in VE I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (Vinay); dans un état de forme faussée (Pézard); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (Nardi); in einer ungerechten Staatsverfassung (Imbach); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (Kay)",1130 b 27-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CONSULES PROPTER CIVES ET REX PROPTER GENTEM,"gens, gentem non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui ""la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica"" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regimine principum, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622).","Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CONSULES PROPTER CIVES ET REX PROPTER GENTEM,"gens, gentem non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui ""la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica"" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e Tolomeo da Lucca nella continuazione del De regimine principum, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622).","III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""minister omnium"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987","Rm 13, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""minister omnium"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987",I 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di Kay all'attributo papale di servus servorum Dei (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di servus apostolorum, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione minister omnium è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene Vinay: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""minister omnium"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a Rm 13, 6, a Tommaso nel De regimine principum, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel Policraticus, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987",IV 1 e 2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Policraticus,Polycraticus,Giovanni di Salisbury,http://dbpedia.org/resource/John_of_Salisbury,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +OPTIME ALIOS DISPONERE POTEST,"cfr. sopra, I XI 20. Cassell dà, con Vinay e Kay, alla ripetizione di potest il significato di un'enfasi sulla perfezione potenziale della monarchia. Leggiamo in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere","Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUALE PATIENS FIERI DEBET,"inconferente l'allegazione di Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1110 a 2-3, proposta da Kay",1110 a 2-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PHYLOSOPHUS IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"Aristotile nella ""Metafisicha""; cfr. sopra, I XII 8; riassume Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; corrisponde a quanto Dante, allegando però il libro VII della Metafisica (1032 a 18) scrive in Cv IV X 8: ""Ove è da sapere che, sé come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un'altra, generasi di quella, essendo in quello essere"". Cassell osserva che ""Dante applies the concept to the Church"", più avanti, III, XIV, 6",1049 b 24-7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PLUS PERSUASERUNT MANUS IACOB QUAM VERBA,"Gn 27, 1-29: i fatti, benché ingannevoli (come le mani ricoperte di pelle di capretto e le vesti indossate da Giacobbe in luogo del fratello Esaù, che indussero Isacco ormai cieco e morente a scambiare Giacobbe per il figlio primogenito, benedicendolo e ponendolo a capo della sua famiglia) sono più forti delle parole (come il suono della voce, che Isacco riconobbe per quello di Giacobbe, ma che non fu sufficiente a convincerlo della sua vera identità). In Vinay, potuerunt per persuaserunt è, come registrano Ricci 1965 e Nardi, una svista del Rostagno. Cfr. la v. Giacobbe di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 145-6; Cremascoli 2011, p. 35 e note 19-20, richiama a questo proposito il Contra mendacium di Agostino","27, 1-29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +UNDE PHYLOSOPHUS AD NICOMACUM,"Honde Aristotile ""A Nicomaco"" (Ficino); Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere",1172 a 34-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +AD HABITUM PHYLOSOPHICE VERITATIS,"cfr. sopra, I XI 5. D. si riferisce qui agli ""habitus"" propriamente umani, a quelli cioè che l'uomo non riceve direttamente dalla natura né da Dio, ma deve crearsi con le proprie forze, ad es. le virtù, la scienza ecc. Per creare un ""habitus"" occorre ripetere determinati atti e occorrerà ripeterli tanto meno quanto minore sarà l'opposizione attiva o passiva offerta dal corpo o dalle facoltà dell'anima o dall'uno o dalle altre. Così sarà tanto più facile acquistare l'abito alla scienza quanto il corpo sarà più resistente alla fatica o più pronta la memoria; sarà tanto più facile creare l'abito alla giustizia quanto minore sarà la resistenza della cupidigia, come è detto subito dopo (cfr. Summa theol., 1a 2ae, q. 49 sgg.) (Vinay). Kay ricorda le frequenti menzioni dell'abito di scienza in Cv I I 2 e 6; II XIII 6; III XIII 9; v. anche la nota di G. Gorni a Vn 16, 1, nel vol. I di questa edizione, p. 963. Riferendosi a questo luogo Alfonso Maierù, Verità, in ED, V, 1976, p. 963, scrive che l'abito della v. filosofica è l'insieme delle virtù che sostengono l'uomo nell'acquisizione della v. investigata dalla filosofia","1a 2ae, q. 49 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUPIDITAS ... CORRUPTIVA IUDICII ET IUSTITIE PREPEDITIVA,"cfr. sopra, I XI 6, 11 e 14; e si ricordi ancora Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori. Cfr. anche la v. Volontà di Giorgio Stabile, in ED, V, 1976, p. 1138","Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUM ETIAM LEGES MUNICIPALES ... OPUS HABEANT DIRECTIVO,"Dante disegna qui con estrema concisione il paradigma della relazione tra diritti propri e diritto comune, ricordando che gli statuti cittadini (chiamati leges municipales, con precisione tecnica che si ritrova già, ad esempio, nella Glossa accursiana a Dig. 1, 1, 9) ricevono un'interpretazione passiva dal ius commune, in quanto norme nessariamente lacunose – non semplicemente difettose (Pizzica 1988), imperfette (Nardi), insufficienti (Vinay), défaillantes (Pézard), ma defective (Shaw 1996) in senso tecnico – e dunque bisognose di correctio, di corretione, come con altrettanta precisione tecnica sottolinea Ficino (p. 346); solito calco nell'Anonimo: àno di bisogno d'opera direttiva. La princeps K, riflettendo le incertezze di una parte dei codici β, ha directione. Per tutte le questioni relative alla dottrina degli statuti e alla loro interpretazione cfr. Sbriccoli 1969","Dig. 1, 1, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +INTER SE,"è la lezione dell’intiera tradizione manoscritta, nella quale Favati 1970, p. 7 nota 15, non ha ravvisato errore; anche Ficino legge ""tra·lloro"". Difesa da Nardi, per Ricci 1965 e Shaw 2009, Introduzione, pp. 245-6 e note 73-4, è errore d’archetipo da correggersi con intra se, come nel volgarizzamento dell’Anonimo (""intra di sé"") e secondo Bigongiari 1950, p. 86 (poi in Bigongiari 1964, p. 37). Che sia una ""felice correzione"" Ricci 1965 lo scrive in apparato, spiegando nell’Introduzione, p. 48, che Dante allude alle ""leggi particolari adatte alle locali esigenze di ciascuna comunità"", senza riguardo ""a rapporti intercorrenti tra le varie comunità, ma invece alle caratteristiche (proprietates) che ciascuna ha in se stessa (intra se)""; e conclude sottolineando che è facile comprendere come ""lo scambio tra intra e inter sia nato da un’abbreviazione non bene sciolta"". Nardi rifiuta con ragione la correzione sulla base del successivo accenno alle differenze fra ordinamenti. Dante infatti non ha in mente alcun “carattere intrinseco”, ma il concetto relazionale di iura propria, di “diritti propri”, che sono tali per ciascun populus in rapporto agli iura communia, agli istituti del diritto delle genti e del diritto naturale, secondo lo schema che ha origine da Gaio in Dig. 1, 1 (de iustitia et iure), 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 1): ""Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur"". Sono queste le proprietates, le particolarità, le differenze specifiche dei “tra di loro”, nationes, regna et civitates inter se.","Dig. 1, 1 Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","c. 1, D. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","Ia-IIae, q. 95, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del Decretum Gratiani (= Isidoro, Etymologiae, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat) e 4 (Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, Kay afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","Ia-IIae, q. 95, a. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",II 6 30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sintaxis_Mathematica(Tolomeo),Sintaxis Mathematic,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",II 3 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quadripartito,Quadripartito,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",I II 52,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",XIV IV 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",III 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_locorum(Alberto_Magno),De natura locorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SCITHAS,"gli Sciti, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la Scithia, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, Sintaxis Mathematica, II 6 30, e Liber Quadripartitus, II 3 8; Orosio, Historiae adversus Paganos, I II 52; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il Liber de aggregationibus di Alfragano e Alberto Magno, De natura locorum, III 3",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +EXTRA SEPTIMUM CLIMA,"la nota di M. Tavoni a VE I VIII 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1195 (per universa mundi climata), sottolinea che in questo luogo, così come in Cv III V 12 e Pd XXVII 81, Dante intende clima secondo la nozione di Alfragano e Alberto Magno, cioè come una delle sette fasce latitudinali in cui si divide la terra emersa fra il polo boreale e l'equatore",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_locorum(Alberto_Magno),De natura locorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e Cv IV XXII 10-11. Imbach e Kay citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","Ia-IIae, q. 76, a. 1;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e Cv IV XXII 10-11. Imbach e Kay citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","q. 91, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e Cv IV XXII 10-11. Imbach e Kay citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","q. 94, a. 1, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MOYSES,"Ex 18, 19-24: Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent, ut referas quae dicuntur ad eum, ostendasque populo caeremonias et ritum colendi viamque, per quam ingredi debeant, et opus quod facere debeant. Provide autem de omni plebe viros potentes et timentes Deum, in quibus sit veritas et qui oderint avaritiam; et constitue ex eis tribunos et centuriones et quinquagenarios et decanos, qui iudicent populum omni tempore; quidquid autem maius fuerit referant ad te, et ipsi minora tantummodo iudicent; leviusque sit tibi, partito in alios onere. Si hoc feceris, implebis imperium Dei, et praecepta eius poteris sustentare ; et omnis hic populus revertetur ad loca sua cum pace; Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam. A commento v. ancora Cremascoli 2011, pp. 35-6, nota 21","Ex 18, 19-24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +MOYSES,"Ex 18, 19-24: Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent, ut referas quae dicuntur ad eum, ostendasque populo caeremonias et ritum colendi viamque, per quam ingredi debeant, et opus quod facere debeant. Provide autem de omni plebe viros potentes et timentes Deum, in quibus sit veritas et qui oderint avaritiam; et constitue ex eis tribunos et centuriones et quinquagenarios et decanos, qui iudicent populum omni tempore; quidquid autem maius fuerit referant ad te, et ipsi minora tantummodo iudicent; leviusque sit tibi, partito in alios onere. Si hoc feceris, implebis imperium Dei, et praecepta eius poteris sustentare ; et omnis hic populus revertetur ad loca sua cum pace; Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam. A commento v. ancora Cremascoli 2011, pp. 35-6, nota 21","Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Deuteronomy,Deuteronomio,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (Vinay); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (Pézard); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (Kay); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". Imbach, pp. 285-286, richiama il commento alle Sententiae, I 8 1 3 e le questioni disputate De veritate, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.","Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (Vinay); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (Pézard); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (Kay); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". Imbach, pp. 285-286, richiama il commento alle Sententiae, I 8 1 3 e le questioni disputate De veritate, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.",I 8 1 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Scriptum_super_sententiis,Scriptum super Sententiis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (Vinay); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (Pézard); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (Kay); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". Imbach, pp. 285-286, richiama il commento alle Sententiae, I 8 1 3 e le questioni disputate De veritate, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.","q. I, ad 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Tommaso),Quaestiones disputatae de veritate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"SECUNDUM QUINTUM MODUM DICENDI ""PRIUS""","quintum è solo nella princeps e nei codici a (A1 T); tutti i manoscritti ? leggono primum, come Ficino (secondo el primo modo del chiamarsi ""prima"") e come l'Anonimo (secondo il primo modo diciendo alcuna cosa prima da altri). Cfr. Aristotele, Categoriae, 14 b 10-3: Oltre ai suddetti significati, parrebbe tuttavia che l'anteriorità debba assumerne ancora uno. In effetti, quando tra due oggetti sussista un rapporto convertibile, per cui la realtà di ciascuno di essi implica la realtà dell'altro, allora quello tra i due oggetti, la cui realtà è in qualsiasi modo la causa della realtà dell'altro, potrà dirsi verosimilmente anteriore per natura all'altro. Così pure, più succintamente, nelle Summulae logicales di Pietro Ispano, III 30, ed. de Rijk, p. 40",14 b 10-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"SECUNDUM QUINTUM MODUM DICENDI ""PRIUS""","quintum è solo nella princeps e nei codici a (A1 T); tutti i manoscritti ? leggono primum, come Ficino (secondo el primo modo del chiamarsi ""prima"") e come l'Anonimo (secondo il primo modo diciendo alcuna cosa prima da altri). Cfr. Aristotele, Categoriae, 14 b 10-3: Oltre ai suddetti significati, parrebbe tuttavia che l'anteriorità debba assumerne ancora uno. In effetti, quando tra due oggetti sussista un rapporto convertibile, per cui la realtà di ciascuno di essi implica la realtà dell'altro, allora quello tra i due oggetti, la cui realtà è in qualsiasi modo la causa della realtà dell'altro, potrà dirsi verosimilmente anteriore per natura all'altro. Così pure, più succintamente, nelle Summulae logicales di Pietro Ispano, III 30, ed. de Rijk, p. 40","III 30, ed. de Rijk, p. 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",998 b 21-6;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",1001 a 20 – b 25;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",1015 b 16 – 1017 a 21;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di Nardi, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, Metaphysica, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche Pézard, p. 656, e più recentemente Imbach e Shaw 1996), Kay solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, Consolatio Philosophiae, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",III 11 1-9.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +QUOD EST ESSE MALUM,"chiosa Vinay: Ci sono due tipi di molteplice: c'è il molteplice del creato che è l'espressione dell'infinita bontà di Dio e come tale porta in sé una immanente unità (Summa theol., I, q. 47, art. II); e c'è il molteplice che ""de se tendit in infinitum"" all'infuori di ogni ordine e di ogni finalità cioè il molteplice per il molteplice che fa domandare allo scettico perché ci sia un mondo e non due (ivi, art. III). D. si riferisce a questo secondo concetto di molteplicità come negazione ""simpliciter"""" dell'unità","I, q. 47, art. II",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PICTAGORAS IN CORRELATIONIBUS SUIS,"""le dieci sujtoic…ai degli elementi pitagorici opposti tra loro “secundum coëlementationem” ed enumerate da Aristotele in Metaph., I, 5, 986 a 22-30"" (così Nardi, che propone anche un rinvio a Ethica ad Nicomachum, 1096 b 5-6, aggiungendo: ""ma non X, vi, 7, come pretenderebbe il nostro caro Pézard, che non so dove abbia presa questa citazione""). Leggono Pictagoras C D E H S; Favati 1970, p. 20 e nota 52, amerebbe, come esempio di ""altri recuperi [...] sul piano della grafia"", la forma Pythagoras attestata da K L T U (Pitagoras A1 G N Z, Pyctagoras B, Phytagoras M P, Pictogoras F, Pittagoras Ph V, Pitogoras Y). Per Giorgio Stabile, Pitagora, in ED, IV, 1973, p. 538, Pitagora ""è uno dei pochi filosofi presocratici su cui D., basandosi soprattutto su dossografie di Aristotele o di suoi commentatori, torna più volte""; p. 540 per il luogo in esame.","I, 5, 986 a 22-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PICTAGORAS IN CORRELATIONIBUS SUIS,"""le dieci sujtoic…ai degli elementi pitagorici opposti tra loro “secundum coëlementationem” ed enumerate da Aristotele in Metaph., I, 5, 986 a 22-30"" (così Nardi, che propone anche un rinvio a Ethica ad Nicomachum, 1096 b 5-6, aggiungendo: ""ma non X, vi, 7, come pretenderebbe il nostro caro Pézard, che non so dove abbia presa questa citazione""). Leggono Pictagoras C D E H S; Favati 1970, p. 20 e nota 52, amerebbe, come esempio di ""altri recuperi [...] sul piano della grafia"", la forma Pythagoras attestata da K L T U (Pitagoras A1 G N Z, Pyctagoras B, Phytagoras M P, Pictogoras F, Pittagoras Ph V, Pitogoras Y). Per Giorgio Stabile, Pitagora, in ED, IV, 1973, p. 538, Pitagora ""è uno dei pochi filosofi presocratici su cui D., basandosi soprattutto su dossografie di Aristotele o di suoi commentatori, torna più volte""; p. 540 per il luogo in esame.",1096 b 5-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VIRTUS VOLITIVA POTENTIA QUEDAM EST,"La virtù volitiva è una delle potenze dell'anima è l'a. propriamente è una ""forma"" che include in sé tre potenze vitali: la vegetativa, la sensitiva e la intellettiva e da queste due ultime si svolge, nell'inclinazione al bene desiderato, la virtù volitiva. Principio formale di quest'ultima è la ""specie"", cioè la rappresentazione o ""intenzione"" in cui si rispecchia il bene appreso, intermediaria, nel processo gnoseologico, tra cosa e soggetto. Tale principio, nella sua duplice accezione, ontologica e gnoseologica, uno in se stesso, si moltiplica nella pluralità dei corpi (Pizzica 1988). Nardi rinvia a Pg XVII 99-139 e XVIII 22-39; Kay anche a Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, I 53",I 53,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +BLANDAS ... DELECTATIONES,"cfr. Uguccione, B 115, 1: ""blandior –diris –ditus sum, verbum deponens, et construitur cum dativo ut ‘blandior tibi’, idest adulor. Invenitur etiam cum accusativo in eodem sensu, et inde blandus –a –um et comparatur –dior –simus, unde blande –dius –sime adverbium""; v. più oltre, III xvi 10.","B 115, 1: ""blandior –diris –ditus sum, verbum deponens, et construitur cum dativo ut ‘blandior tibi’, idest adulor. Invenitur etiam cum accusativo in eodem sensu, et inde blandus –a –um et comparatur –dior –simus, unde blande –dius –sime adverbium"";",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +DOCET PHYLOSOPHUS,"Aristotile insegnia (Ficino, p. 348); come è manifesto (Anonimo, p. 150). Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1179 b 31 è 1180 a 24",1179 b 31,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DOCET PHYLOSOPHUS,"Aristotile insegnia (Ficino, p. 348); come è manifesto (Anonimo, p. 150). Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1179 b 31 è 1180 a 24",1180 a 24,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente Nardi: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la Monarchia per cacciarne la cupiditas, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la Monarchia universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +VEL EXPECTAVIT VEL CUM VOLUIT IPSE DISPOSUIT,"cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, III, q. 35, a. 8 (Utrum Christus fuerit congruo tempore natus), Resp.: Christus autem, tanquam Dominus et Conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum.... È d'obbligo ricordare il notissimo passaggio, testé citato, in Cv IV V 4: E però che nella sua venuta nel mondo, non solamente lo cielo, ma la terra convenia essere in ottima disposizione; e la ottima disposizione della terra sia quando ella è monarchia, cioè tutta ad uno principe [...]; ordinato fu per lo divino provedimento quello popolo e quella cittade che ciò dovea compiere, cioè la gloriosa Roma","III, q. 35, a. 8 (Utrum Christus fuerit congruo tempore natus), Resp.: Christus autem, tanquam Dominus et Conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum....",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NISI SUB DIVO AUGUSTO MONARCHA ... MUNDUM UNDIQUE FUISSE QUIETUM,"Cassell, pp. 302-3, nota 108, ipotizza che siano qui presenti motivi cari alla tradizione francescana, particularly celebrative of Christ's coming in ""the quiet silence"" [...] of the reign of Augustus, così come si esprime nell'Arbor vitae di Bonaventura (I, 3-4) a commento di Gal 4, 4","(I, 3-4)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Arbor_Vitae_Crucifixae_JesuChristi(Umbertino_da_Casale),Arbor vitae,Ubertino da Casale,http://dbpedia.org/resource/Ubertino_of_Casale,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, Augustus, 22; Floro, Epitoma, II 34 64; Orosio, Historiae adversus Paganos, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, Svetonio, Caio Tranquillo, in ED, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in ED, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in ED, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in VE II VI 7 (cfr. l'Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)","Augustus, 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Augustus(Svetonio),Augustus,Svetonio,http://dbpedia.org/resource/Suetonius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, Augustus, 22; Floro, Epitoma, II 34 64; Orosio, Historiae adversus Paganos, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, Svetonio, Caio Tranquillo, in ED, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in ED, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in ED, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in VE II VI 7 (cfr. l'Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)",II 34 64,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, Augustus, 22; Floro, Epitoma, II 34 64; Orosio, Historiae adversus Paganos, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, Svetonio, Caio Tranquillo, in ED, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in ED, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in ED, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in VE II VI 7 (cfr. l'Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)",VI 22,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +POETE ILLUSTRES,"L'espressione è enfatica (Vinay). Cfr. Virgilio, Eclogae, IV 6 (per il quale v. sopra, I XI 1); Ovidio, Fasti, I 280-1",IV 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Eclogues,Eglogae,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +POETE ILLUSTRES,"L'espressione è enfatica (Vinay). Cfr. Virgilio, Eclogae, IV 6 (per il quale v. sopra, I XI 1); Ovidio, Fasti, I 280-1",I 280-1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Fasti_(poem),Fasti,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +SCRIBA MANSUETUDINIS CRISTI,"Lc 2, 1: ""Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis"". Dante cita lo stesso luogo anche più avanti, II viii 14; in Cv IV v 8; e nell’Ep VII 14, ""dove Luca è detto “bos noster evangelizans accensus ignis eterni flamma” nella quale immagine tradizionale è la spiegazione dello “scriba mansuetudinis”"" (Vinay); e v. anche II x 6. Cfr. Gian Roberto Sarolli, Luca, in ED, III, 1971, pp. 696-7, e per il ""latinismo"" del ricorrente appellativo, Antonio Lanci, Scriba, ivi, V, 1976, p. 93, con rimandi a Mn II viii 14 e III iv 11, nonché a Pd X 27 (""quella materia ond’io son fatto scriba""), e con il commento: ""Infatti Luca e tutti coloro che hanno scritto il Vecchio e il Nuovo Testamento non erano veri e propri “scrittori”, nel senso di “autori”, ma “scrivani” (scribae) della parola di Dio"". Dante però usa il termine non solo per Luca, per gli scribe divini eloquii (Mn III iv 11) o per gli scribe Cristi (Mn III ix 9), ma anche per Livio (Mn II iii 6) e per gli scribe romane rei (Mn II iv 10), ai quali egli non negava di certo la qualità di “scrittori” nel senso di “autori” (tant’è che Ficino stesso, p. 384, gli scribe divini eloquii di Mn III iv 11 sono ""li scriptori del divino sermone"").","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +TUNICA ISTA INCONSUTILIS,"cfr. Io 19, 23: Erat autem tunica inconsutilis desuper contexta per totum. La tunica di Cristo, tessuta senza cuciture e che i soldati a guardia della croce non osano scindere, è assunta a simbolo della unità dell'Impero, spezzata il giorno della donazione di Costantino è seme e frutto di cupidigia [...] è ma non per questo meno legittima e indistruttibile perché voluta da Dio (Vinay). Cfr. più oltre, III X 6, e la v. Inconsutilis, in ED, III, 1971, p. 414. Niente affatto superfluo ricordare, come opportunamente fano Kay e Cassell, che nella extravagante Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245) si ricorre alla stessa figura come simbolo dell'unità indivisibile della Chiesa universale","(cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +BELLUA MULTORUM CAPITA FACTUM,"come il gran drago rosso dell'Apocalissi (12, 3) (Furlan); cfr. anche Ap 17, 9. Cassell rimanda ancora all'immagine analoga presente nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245: Igitur ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum) e addita come luogo parallelo Ep VII [6] 21, allegando Kay a proposito di una supposta eco di versi oraziani (Epist., I, 1, 76; Carm., II, 13, 34)","cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245: Igitur ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce Salmo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli Atti degli Apostoli, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della Monarchia al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche Nardi riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per Vinay il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo De potestate regia et papali, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (Ep VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del Convivio in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (Pd XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1","Ps 2, 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce Salmo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli Atti degli Apostoli, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della Monarchia al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche Nardi riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per Vinay il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo De potestate regia et papali, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (Ep VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del Convivio in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (Pd XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1","Ac 4, 23-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce Salmo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli Atti degli Apostoli, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della Monarchia al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche Nardi riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per Vinay il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo De potestate regia et papali, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (Ep VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del Convivio in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (Pd XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1",In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Psalmorum_libro_exegesis_(Beda_il_Venerabile),De psalmorum libro exegesis,Beda il Venerabile,http://dbpedia.org/resource/Bede,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +ADMIRABAR ... ROMANUM POPULUM,"per Scott 2010, p. 249, uno dei frammenti autobiografici più preziosi che Dante ci abbia mai lasciato. Indispensabile una lettura in parallelo con Cv IV IV 8-9 e 11-2: Veramente potrebbe alcuno gavillare dicendo che, tutto che al mondo officio d’imperio si richeggia, non fa ciò l’autoritade dello romano principe ragionevolemente somma, la quale s’intende dimostrare; però che la romana potenzia non per ragione né per decreto di convento universale fu acquistata, ma per forza, che alla ragione pare esser contraria. A ciò si può lievemente rispondere, che la elezione di questo sommo officiale convenia primieramente procedere da quello consiglio che per tutto provede, cioè Dio [...]. Onde non da forza fu principalmente preso per la romana gente, ma da divina provedenza, che è sopra ogni ragione. E in ciò s’accorda Virgilio nel primo dello Eneida [Aen. I 277-8], quando dice, in persona di Dio parlando: “A costoro – cioè alli Romani – né termine di cose né di tempo pongo; a loro ho dato imperio sanza fine”. La forza dunque non fu cagione movente, sì come credeva chi gavillava, ma fu cagione instrumentale, sì come sono li colpi del martello cagione [instrumentale] del coltello, e l’anima del fabbro è cagione efficiente e movente; e così non forza, ma ragione, [e] ancora divina, [conviene] essere stata principio del romano imperio. Nardi, p. 365, opportunamente commenta: Qui, nella Monarchia, Dante non parla affatto di “gavillo”, ma di due momenti diversi nello sviluppo del suo pensiero. Dapprima anche lui, come altri, aveva creduto con sua meraviglia che il popolo romano avesse conquistato il mondo senza alcun diritto, “sed armorum tantummodo violentia”. E continua: “Sed postquam medullitus oculos mentis infixi...”. Dante confessa ora che ci fu un tempo nel quale anch’egli aveva creduto quel che gli avversari dell’Impero credevano. Cosa che nel Convivio non dice, tutto preso dalla scoperta fatta da poco. Sulla animosità antiromana diffusa negli ambienti curialisti, da Egidio Romano a Jean Lemoine (che secondo la testimonianza di Giovanni d’Andrea voleva Roma fundata a praedonibus). Cfr. Vinay, che si affida a Chiappelli 1908, p. 21, cui deve anche l’improbabile idea (fortemente accreditata ancora da Crosara 1962) della dipendenza di Dante dalle Quaestiones de iuris subtilitatibus, un tempo attribuite ad Irnerio, dove si difendono “i Romani dalle accuse di violenza ponendo in rilievo la loro clemenza verso i vinti, la fedeltà cogli amici, la giustizia coi popoli soggetti”, aggiungendo che “quel grande popolo ottenne il principato del mondo per tali doti e per la sua prudenza nel dettar leggi” e concludendo che “Cristo gli confermò la potestà della terra”. Cfr. Cremascoli 2011, p. 37 e nota 28, anche per l’usuale riferimento ad Agostino, De civitate Dei, V, 21","V, 21",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +NATURALIS AMOR,"allega Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 60, a. 1 e chiosa Vinay: L’amor naturale è il vincolo elementare che stringe gli esseri e costituisce la base dell’armonia del creato; di fronte ad esso la “derisio” rappresenta un atteggiamento antitetico e disarmonico che va superato con la “correctio” che è atto di carità, cioè, in questo caso, di amicizia. Cfr. però il richiamo di Kay ad If XI 56 (pur lo vinco d’amor che fa natura) e ad altri luoghi tomisti","I, q. 60, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +HOC IPSUM DE ROMANO POPULO MENDACITER EXTIMANTES,"curiosamente ‘legittimistica’ l’interpretazione di Pézard, il quale, rifiutandosi di pensare a un Dante che faccia qui figure de révolutionnaire, crede alterato il testo tràdito che vorrebbe integrato da suum, intendendo: considérant faussement comme leur bien cela même qui est le bien du peuple romain. Né vale a tranquillizzarlo Vinay, che citando Tommaso d’Aquino e il suo De regimine principum, I 6, scrive: D. non trae le conseguenze di questa premessa e non dice quale dovrà essere l’atteggiamento dei sudditi per liberarsi di fatto: evidentemente, aggiungiamo noi, non potrà essere che uno solo, e cioè non la ribellione ma l’appello all’imperatore secondo il principio comunemente accolto: “si ... ad ius alicuius superioris pertineat multitudini providere de rege, expectandum est ab eo remedium contra tyranni nequitiam. Bertalot 1920, Ricci 1979 e Shaw 1996 relegano in apparato (ma con significative discordanze) la lezione existimantes, già accolta da Witte 1874, conservata dalla princeps K e da una minoranza di codici (H P U Y)",I 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SECUNDUM QUOD MATERIA PATITUR,"cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27; a questi luoghi e ai relativi commenti tomistici rinvia Vinay, con ulteriore richiamo alla Questio de aqua et terra, XX, e a Cv IV XIII 8 (col commento di Busnelli 1964, II, p. 158), cui accenna anche Nardi, precisando tuttavia che Dante ne tratta lì ad altro proposito",1094 b 12,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECUNDUM QUOD MATERIA PATITUR,"cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27; a questi luoghi e ai relativi commenti tomistici rinvia Vinay, con ulteriore richiamo alla Questio de aqua et terra, XX, e a Cv IV XIII 8 (col commento di Busnelli 1964, II, p. 158), cui accenna anche Nardi, precisando tuttavia che Dante ne tratta lì ad altro proposito",1098 a 27,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT EX HIIS PATET QUE DE CELO PHYLOSOPHAMUR,"cfr. Aristotele, De caelo, 270 b 12-6, di cui è esplicito il riferimento nel volgarizzamento dell’Anonimo: come è manifesto per quelle cose che inel libro “De’ Cieli” parla Aristotile (p. 155); tutto l’inciso manca invece in Ficino",270 b 12-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SIMILITUDO DIVINE VOLUNTATIS,"Vinay cita ancora Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 19, a. 2, Resp.: In quanto il diritto appartiene all’essenza divina, Dio lo vuole in due modi: in quanto fa parte della sua essenza cioè della sua perfezione e in quanto vuole che le creature partecipino della sua perfezione: “cum ad perfectionem voluntatis spectet ut bonum quod quis habet aliis communicet, hoc praecipue divinam voluntatem decet, ut se et alia velit; se ut finem, caetera vero ut ad finem ordinata, id est propter se, quia condecet eius summam bonitatem alia eam participare","I, q. 19, a. 2, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UT PHYLOSOPHUS DOCET,"come il Filosafo insegnia (Anonimo, pp. 155-6); come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27. Cfr. sopra, II II 1",1094 b 12,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PHYLOSOPHUS DOCET,"come il Filosafo insegnia (Anonimo, pp. 155-6); come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 12; 1098 a 27. Cfr. sopra, II II 1",1098 a 27,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +EX MANIFESTIS SIGNIS ATQUE SAPIENTUM AUTORITATIBUS,"sull’auctoritas come forma di premessa in in un sillogismo che conduce a conclusioni probabili v. qui Imbach (p. 293), Kay (pp. 100-1, nota 21) e Cassell (pp. 304-5, nota 121), con rimando a Pietro Ispano, Summulae logicales, V, 36, ed. de Rijk, pp. 75-6, Cfr. più oltre, II V 6","V, 36, ed. de Rijk, pp. 75-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +ET INVISIBILIA DEI PER EA QUE FACTA SUNT INTELLECTA CONSPICIUNTUR,"così Paolo, Rm 1, 20: ""Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur""; Dante lo cita in Ep V [8] 23. Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921 hanno qui sed invisibilia; Ricci 1965, p. 176, restaura l’et unanimemente attestato dalla tradizione, diretta e indiretta (con la sola eccezione di C, che legge ž = etiam) ricevendone consenso da Nardi. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae","Rm 1, 20: Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ET INVISIBILIA DEI PER EA QUE FACTA SUNT INTELLECTA CONSPICIUNTUR,"così Paolo, Rm 1, 20: ""Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur""; Dante lo cita in Ep V [8] 23. Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921 hanno qui sed invisibilia; Ricci 1965, p. 176, restaura l’et unanimemente attestato dalla tradizione, diretta e indiretta (con la sola eccezione di C, che legge ž = etiam) ricevendone consenso da Nardi. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae","I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CUM HONOR SIT PREMIUM VIRTUTIS,"cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1123 b 35: poiché l’onore è il premio della virtù, e lo si conferisce ai buoni (ripetuto nel commento tomista, III 9, n. 539: Honor [...] est praemium virtutis)",1123 b 35,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi Cv IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481) e demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi Cv IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481) e demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi Cv IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481) e demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, Sat. VIII 20; cfr. Cv IV XXIX 4: Alla prima questione risponde Giovenale nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due auctoritates per due nobilitates distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella Monarchia, dunque, Giovenale non nega più Aristotele, lo integra. Nardi precisa: Il verso di Giovenale però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della P.L. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco Kay e Cassell, che ricorda che in Cv IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, Tresor 2:114, where Bruneto also cites the Moralium as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of Juvenal). Cfr. Ettore Paratore, Giovenale, in ED, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, Juvenal, in DEnc, p. 550",Sat. VIII 20,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, Sat. VIII 20; cfr. Cv IV XXIX 4: Alla prima questione risponde Giovenale nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due auctoritates per due nobilitates distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella Monarchia, dunque, Giovenale non nega più Aristotele, lo integra. Nardi precisa: Il verso di Giovenale però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della P.L. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco Kay e Cassell, che ricorda che in Cv IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, Tresor 2:114, where Bruneto also cites the Moralium as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of Juvenal). Cfr. Ettore Paratore, Giovenale, in ED, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, Juvenal, in DEnc, p. 550",Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Moralium_dogma_philosophorum(Gauthier_da_Lilla),Moralium dogma philosophorum,Gauthier da Lilla,http://dbpedia.org/resource/Walter_of_Ch%C3%A2tillon,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, Sat. VIII 20; cfr. Cv IV XXIX 4: Alla prima questione risponde Giovenale nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due auctoritates per due nobilitates distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella Monarchia, dunque, Giovenale non nega più Aristotele, lo integra. Nardi precisa: Il verso di Giovenale però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della P.L. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco Kay e Cassell, che ricorda che in Cv IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, Tresor 2:114, where Bruneto also cites the Moralium as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of Juvenal). Cfr. Ettore Paratore, Giovenale, in ED, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, Juvenal, in DEnc, p. 550",2:114,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +IUXTA ILLUD EVANGELICUM,"Mt 7, 2: ""et in qua mensura mensi fueritis remetietur vobis""","Mt 7, 2: et in qua mensura mensi fueritis remetietur vobis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SUBASSUMPTA,"abbandono qui il testo dell’ed. Shaw 2009 per tornare alla lezione testimoniata dalla princeps K e dai manoscritti – ad eccezione di B, c. 91r, che ha Sub sumptam e di M, che legge Sub assumptę (c. 26r) – e respinta da tutti gli editori moderni in favore di Subassumptam: lezione congetturale che Ricci 1965 stima indiscutibilmente corretta, giudicando il neutro plurale subassumpta in contrasto con quanto si legge sopra, I XI 3; I XI 20; I XIII 8; e più avanti nel testo, II III 17; luoghi tutti dai quali si evincerebbe ""che siamo in presenza di un femminile singolare"". Con un ""E qui il Ricci si ferma"" Nardi contesta vivacemente tale scelta, proseguendo (pp. 374-5): Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica: “Est enim nobilitas virtus et divitie antique” Aristotele aveva accennato alla nobiltà della schiatta, mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale: “Que due sententie ad duas nobilitates dantur: propriam scilicet et maiorum” (cfr. qui sopra, § 4). Due sententie e due nobilitates, nient’affatto identiche: poiché nei paragrafi che seguono (II, iii, 8-9, 10-6) Dante le tiene accuratamente distinte. Che male c’è a credere che egli le abbia comprese entrambe sotto il neutro plurale subassumpta? Le citazioni del Ricci per escludere questa interpretazione non mi paiono valide; poiché nei tre casi di I, xi, 3, I, xi, 20 e I, xiii, 8 è evidente che si tratta di una sola “propositio subassumpta”. Nel quarto caso invece di II, iii, 17 (“Hiis itaque ad evidentiam subassumpte prenotatis”), parrebbe che Dante intenda riferirsi non “ad propriam eius [Enee] nobilitatem” (II, iii, 8-9), bensì “ad hereditariam nobilitatem” (ibid., 10-6), che è quella derivante dagli avi e dai matrimoni, e che si trasmette ai discendenti, sì che anche in questo caso si tratterebbe di una “propositio subassumpta” come negli altri tre. E fa bene Nardi a citare la traduzione ficiniana: ""Questo confermano et testimoniano gli antichi""; per contro, l’Anonimo traduce e chiosa: ""La subassunta, cioè la minore preposizione, li testimoni delli antichi la dimostrarono"". Per Favati 1970, p. 3, s’impone ""la reintegrazione del femminile, anche a non voler dire che l’accordo con testimonia non dà senso plausibile"". Kay sembra consentire a Nardi, intendendo così il senso del luogo in esame: ""The subassumed things [i.e. the opinions of Aristotle and Juvenal previously cited] are rendered credible by the testimonies of the ancients""; salvo poi concludere che ""subsequent commentators, however, have agreed with Ricci’s preference for subassumptam"" e tradurre quindi: ""On the other hand, the testimony of ancient writers substantiates the minor premise""",Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SUBASSUMPTA,"abbandono qui il testo dell’ed. Shaw 2009 per tornare alla lezione testimoniata dalla princeps K e dai manoscritti – ad eccezione di B, c. 91r, che ha Sub sumptam e di M, che legge Sub assumptę (c. 26r) – e respinta da tutti gli editori moderni in favore di Subassumptam: lezione congetturale che Ricci 1965 stima indiscutibilmente corretta, giudicando il neutro plurale subassumpta in contrasto con quanto si legge sopra, I XI 3; I XI 20; I XIII 8; e più avanti nel testo, II III 17; luoghi tutti dai quali si evincerebbe ""che siamo in presenza di un femminile singolare"". Con un ""E qui il Ricci si ferma"" Nardi contesta vivacemente tale scelta, proseguendo (pp. 374-5): Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica: “Est enim nobilitas virtus et divitie antique” Aristotele aveva accennato alla nobiltà della schiatta, mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale: “Que due sententie ad duas nobilitates dantur: propriam scilicet et maiorum” (cfr. qui sopra, § 4). Due sententie e due nobilitates, nient’affatto identiche: poiché nei paragrafi che seguono (II, iii, 8-9, 10-6) Dante le tiene accuratamente distinte. Che male c’è a credere che egli le abbia comprese entrambe sotto il neutro plurale subassumpta? Le citazioni del Ricci per escludere questa interpretazione non mi paiono valide; poiché nei tre casi di I, xi, 3, I, xi, 20 e I, xiii, 8 è evidente che si tratta di una sola “propositio subassumpta”. Nel quarto caso invece di II, iii, 17 (“Hiis itaque ad evidentiam subassumpte prenotatis”), parrebbe che Dante intenda riferirsi non “ad propriam eius [Enee] nobilitatem” (II, iii, 8-9), bensì “ad hereditariam nobilitatem” (ibid., 10-6), che è quella derivante dagli avi e dai matrimoni, e che si trasmette ai discendenti, sì che anche in questo caso si tratterebbe di una “propositio subassumpta” come negli altri tre. E fa bene Nardi a citare la traduzione ficiniana: ""Questo confermano et testimoniano gli antichi""; per contro, l’Anonimo traduce e chiosa: ""La subassunta, cioè la minore preposizione, li testimoni delli antichi la dimostrarono"". Per Favati 1970, p. 3, s’impone ""la reintegrazione del femminile, anche a non voler dire che l’accordo con testimonia non dà senso plausibile"". Kay sembra consentire a Nardi, intendendo così il senso del luogo in esame: ""The subassumed things [i.e. the opinions of Aristotle and Juvenal previously cited] are rendered credible by the testimonies of the ancients""; salvo poi concludere che ""subsequent commentators, however, have agreed with Ricci’s preference for subassumptam"" e tradurre quindi: ""On the other hand, the testimony of ancient writers substantiates the minor premise""",mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +DIVINUS POETA NOSTER VIRGILIUS,"il divino poeta Virgilio (Ficino). Dopo la citazione dell’Ecloga IV (sopra, I XI 1) è questo il primo ricordo dell’Eneide, su cui v. Domenico Consoli, Virgilio – Virgilio nelle opere minori, in ED, V, 1976, p. 1033, il quale sottolinea che il grosso dell’opera virgiliana si presenta a D. senza sovrastrutture allegoriche, come lettera veridica. In tal senso qui come nel Convivio e nella Commedia Virgilio, insieme con Livio, non solo garantisce la verità storica (Vinay), ma offre il superiore insegnamento morale per il quale gli stessi giuristi contemporanei di Dante ammettevano che nel difetto o nel silenzio delle norme giuridiche fosse lecito allegare i poeti: è il caso di Alberto Gandino, il quale, citando Virgilio, Aen. VI 730, scrive: Quas auctoritates et maxime, ubi leges deficiunt, non est prohibitum allegare (Tractatus de maleficiis, Rubr. Quid sit fama, § 1, ed. Kantorowicz 1907, p. 52; v. anche Quaglioni 1999a e cfr. Minnucci 2000)",è questo il primo ricordo dell’Eneide,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +TITUS LIVIUS,"cfr. Livio, Ab U. c. I 1. Dubbi sulla conoscenza diretta di Livio da parte di Dante registra Vinay (Si tratta sempre di citazioni generiche, non letterali, o, per lo meno, tali che la reminiscenza sarebbe difficilmente dimostrabile se non soccorresse un richiamo esplicito), concludendo che è impossibile giungere ad una certezza obiettiva, o meglio vi è una certezza sola, che D., scrivendo la Mon., non aveva avuto il testo sottomano come non lo aveva avuto scrivendo il Conv., III, 11, 3: “vivea ... Pittagora. E che ello fosse in quel tempo pare che ne tocchi alcuna cosa Tito Livio ne la prima parte del suo volume incidentemente”. Cfr. Antonio Martina, Livio, in ED, III, 1971, p. 675 e p. 677, dove si suppone che Dante abbia potuto disporre per qualche breve lasso di tempo delle Deche di L. o – ciò che è più probabile – di un’antologia contenente passi liviani e fissare nella sua memoria impressioni e immagini che poi ha utilizzato associandole a quelle di altri storici e poeti a cui egli si accostava con precisi interessi e che erano oggetto della sua quotidiana meditazione. Livio è evocato dopo i poeti (Virgilio, Ovidio, Stazio e Lucano) e con Plinio, Frontino, Paolo Orosio, qui nisi sunt altissimas prosas ... et multos alios quos amica sollicitudo visitare nos invitat in VE II VI 7: v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a VE II VI 7, ivi, p. 1453, che con Marigo 1957 e Mengaldo 1979 scrive che “il nome dei quattro scrittori citati ... desterà la più grande meraviglia” [...]; “lista abbastanza sorprendente e misteriosa sia per le inclusioni che per le esclusioni (soprattutto Cicerone)” [...]. Dei quattro, l’unico largamente diffuso nell’età di Dante e a lui veramente familiare è Orosio: lo si ricava non solo dal Convivio, dalla Monarchia e dalla Commedia, per i quali Dante attingerà a piene mani dalla Historiae adversus paganos tanto l’informazione storica quanto la visione provvidenziale dell’Impero romano [...]; ma anche dal De vulgari, dove Orosio rappresenta la principale fonte geografica per la descrizione dell’Europa e dell’Italia. Sull’altissima probabilità di una conoscenza di Livio per il tramie di uno dei suoi scopritori nella Biblioteca Capitolare di Verona (uno dei primissimi centri preumanistici italiani) e sulla necessità, anche a questo proposito, di un supplemento d’indagine in rapporto a Dante, v. ancora la nota di M. Tavoni, ivi, pp. 1453-5, che giustamente interpreta l’amica sollicitudo con Renucci 1974, p. 72, come “l’insistence d’un ami”, e scrive: Si tratta, ne sono convinto, di una precisa allusione personale: un amico ha suggerito a Dante alcune letture estremamente specifiche. Può trattarsi solo di un amico determinato; anzi, per saper dare un suggerimento così peculiare, dev’essere un amico con caratteristiche culturali peculiari. Amicus, nel De vulgari, è parola riservata a una sola persona: in sei casi su sei compare nel sintagma cristallizzato “amicus eius” [...], a designare Dante in quanto amico di Cino da Pistoia. Si può formulare l’ipotesi che anche l’“amica sollicitudo”, in linea col messaggio che tutto il testo comunica, alluda a Cino. Cino sarebbe un candidato adattissimo per il rapporto unico che lo lega a Dante in questo momento, e appare abbastanza plausibile per fisionomia culturale, date le citazioni di autori classici di cui dissemina i suoi scritti giuridici [...]; fra i quali però dei nostri quattro autori compare solo il più ovvio, Orosio. Ma una circostanza molto più stringente orienta in altra direzione. Tutti e tre gli autori più imprevisti, Livio, Plinio e Frontino, ognuno dei quali a questa data è una rarità, puntano alla Biblioteca Capitolare di Verona (che peraltro possedeva anche Orosio “et multos alios”): in essa, infatti, si trovano eccezionalmente riuniti le Epistulae di Plinio il Giovane [...]; la I e la III deca di Livio, e probabilmente anche la IV; gli Stratagemata di Frontino [...]. A Verona, presso Bartolomeo della Scala, Dante aveva risieduto dalla tarda primavera del 1303 ai primi mesi del 1304.... Per la “fortuna” di Livio fra tardo Medioevo e primo umanesimo è d’obbligo il rimando a Billanovich 1989a; e cfr. Billanovich 1981, che tuttavia dietro Moore 1896, pp. 273-8, vede solo un Dante isolato e durante tutta la vita ammiratore entusiasta delle vecchie posizioni che l’università gotica aveva conquistato, e che perciò non si familiarizzò mai con gli Ab Urbe condita, preferendo ricorrere al triviale Orosio (pp. 55-6, anche per l’interessante parallelo fra il come Livïo scrive, che non erra di If XXVIII 12, che giustamente la Chiavacci Leonardi 1991, p. 833, mostra in parallelo con il luogo in esame, e il Si Titus Livius ne ment di Jean de Meung nel Roman de la rose, v. 5634). Cfr. infine quanto già esposto a questo proposito più sopra, I XVI 2 e II IV 9",Ab U. c. I 1,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IDEM IN SEXTO,"L ha item in vio., cui sembrerebbe corrispondere Ficino: Ancora nel sesto; l’Anonimo traduce anche, cioè Virgilio, nel sesto libro. Cfr. Aen. VI 162-235. Per Ettore v. la voce di Giorgio Padoan, in ED, II, 1970, pp. 762-3; per Miseno e Priamo le rispettive voci di Clara Kraus, in ED, III, 1971, p. 974, e dello stesso Padoan, ivi, IV, 1973, p. 660",Aen. VI 162-235,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +QUELIBET PARS TRIPARTITI ORBIS,"cfr. Orosio, Historiae adversus paganos, I 2 1: Maiores nostri orbem totius terre, oceani limbo circumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt, quamvis aliqui duas hoc est Asiam ac deinde Africam in Europam accipiendam putarint","I 2 1: Maiores nostri orbem totius terre, oceani limbo circumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt, quamvis aliqui duas hoc est Asiam ac deinde Africam in Europam accipiendam putarint",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ASSARACO,"cfr. Virgilio, Aen. VI 648-50; e v. la relativa voce di Clara Kraus, in ED, I, 1970, p. 418",Aen. VI 648-50,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NOSTER POETA,Ficino ha Vergilio; cfr. Aen. III 339-40,Aen. III 339-40,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +ET QUOD FUERIT CONIUNX,"et che fussi moglie (Ficino), e che fosse moglie (Anonimo). È necessario il confronto con Cv IV XXVI 8: E così infrenato mostra Virgilio, lo maggiore nostro poeta, che fosse Enea, nella parte dello Eneida ove questa etade si figura; la quale parte comprende lo quarto, lo quinto e lo sesto libro dello Eneida. E quanto raffrenare fu quello, quando, avendo ricevuto da Dido tanto di piacere quanto di sotto nel settimo trattato si dicerà, e usando con essa tanto di dilettazione, elli si partío, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa, come nel quarto dell’Eneida scritto è!. Si veda la lunga nota di Nardi, pp. 380-1, a proposito della colpa di Didone e di Enea: La colpa di Enea è chiara: egli consentì, sì, all’amore di Didone, ma non consentì mai di divenire suo coniuge. Che essa sia condannata nella schiera ov’è Francesca (Inf., V, 61-2), per aver rotto “fede al cener di Sicheo”, non vuol dire, come pensa Vinay, che “sarebbe difficile chiarire che cosa Dante abbia pensato effettivamente della legittimità o meno di un connubio pagano”; un connubio, pagano o no, è un connubio, fondato sul reciproco consenso, e il venir meno a questo consenso reciproco costituisce una rottura. Di questo connubio si parla in tutto il canto IV dell’Eneide, ma Virgilio lascia capire in modo chiaro che Didone chiamava coniugium quello che era un amore furtivo, e che con questo nome coniugium essa celava una colpa, non un reciproco contratto stipulato nell’intento di por fine alle peregrinazioni dell’ospite e di resistere all’intimazione di Giove: Naviget! (Aen., IV, 237). Ed Enea si dimostra disposto ad obbedire. Cfr. Vinay, pp. 124-5, nota 24","Aen., IV, 237",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +IDEM NOSTER VATES VATICINATUR,"il medesimo poeta nostro profetizza (Anonimo); al solito, Ficino ha dichiara Virgilio; cfr. Aen. IV 171-2. Preferisco noster vates, testimoniato dai manoscritti ?1 (B L), oltre che da S, a noster poeta, probabile integrazione tramandata da E M P e accolta da Bertalot 1920 e da Rostagno 1921. La princeps e i restanti codici hanno infatti noster; e Idem noster, con Ricci 1965, poco felicemente hanno tutti gli editori fino a Shaw 2009, che trasferisce la maiuscola dall’idem al noster, scrivendo idem Noster. Non convincono le giustificazioni di Ricci 1965, pp. 180-1, cui pare di dover escludere che il semplice noster nient’altro sia che una lezione lacunosa per il fatto che l’intera famiglia ? s’accorda [...] con la maggior parte della famiglia ? nel dare il semplice noster [...], saldo indizio che tale dovesse essere la lezione dell’archetipo. E dunque? Ciò che si deve escludere è che il semplice noster sia errore dell’archetipo (cosa non agevole, soprattutto a causa di quel noster vates vaticinatur che obbliga a considerare attentamente l’ipotesi della caduta per omeoteleuto, anche indipendentemente dall’uso precedente di noster Vates ... cantat in II III 12). Invece Ricci 1965 adduce a sostegno del semplice noster poco più della sua pura e semplice convinzione, e domandatosi: Ma posto che l’archetipo avesse il solo noster, potremo accoglierlo come lezione genuina?, risponde: Io ritengo di sì, offrendo questa sola ragione: Basta riflettere che, avendo Dante citato il poeta Virgilius [...], le tre volte successive si limita a dire Poeta [...]; o Vates [...], poi di nuovo Poeta e finalmente Idem. Ma tutte le volte aggiunge noster. Quindi Idem noster è lo stesso che poeta noster Virgilius. Basta davvero? Una ragione stilistico-grammaticale che milita troppo debolmente a favore del semplice noster non pare sufficiente. Ciò è reso evidente dalla stessa difficoltà degli interpreti che adottano la lezione di Ricci 1965 e tuttavia traducono, come ad es. Nardi o Marcelli-Martelli 2004, lo stesso Poeta nostro, il medesimo nostro Poeta, o notre poète (Pézard, Gally 1993, Livi 2002), o der Dichter (Imbach); solo Ronconi 1966 e Pizzica 1988 hanno, anticipando l’ed. Shaw 2009, il Nostro; ed eclatante è il fenomeno giusto nella versione della Shaw, che dopo aver tradotto il noster Vates ... cantat di II III 12 our bard proclaims, osserva: The word ‘bard’ [vates] underlines Virgil’s prophetic function, reiterated in the verb [vaticinatur] used in par. 15 (Shaw 1996, p. 36 nota 15); ma non solo nel verbo, se la stessa traduce nel luogo in esame l’Idem noster accolto dall’ed. Ricci our bard proclaims, integrando nella versione inglese il vates che non si vuol riconoscere come lezione genuina nel testo latino. Anche Kay adotta la stessa soluzione: our same bard sings divinely, chiosando infine (p. 111 nota 34): A divinus vates in action! Certo è che qui Virgilio non semplicemente dichiara (Ficino), afferma (Vinay) e neppure enseigne (Pézard, Livi 2002), lehrt (Imbach), ma vaticinat, profetizza (Anonimo), come nell’incontro con Dante in If I 100-5, dov’è utile ricordare Guido da Pisa, Expositiones et glose super Comediam Dantis, pp. 32-3: Postquam Virgilius contra avaritiam locutus est Danti, ponit quoddam vaticinium, dicens quod venturus est quidam dominus qui avaritiam exterminabit e mundo, ipsamque in Infernum reducet, de quo loco invidia dyabolica concitavit, ac per totam mundi machinam seminavit. Iuxta quod in Libro Sapientie dicitur secundo capitulo: Invidia dyaboli mors introivit in orbem terrarum. Hoc est, per invidiam dyaboli mors, hoc est avaritia, que totum mundum occidit, introivit in orbem terrarum. Sed circa istud vaticinium tria principaliter sunt dicenda [...]. Per primum accipere possumus nobilitatem Romani Imperii, quod quidem inter omnia regna obtinet principatum. Per secundum vero, personam possumus accipere imperantis, qui quidem ita largus erit quod nichil sibi preter honorem et gloriam reservabit, sed omnia rei publice et suis militibus assignabit [...]. Et ista duo pertinent ad sacrum imperium, sicut prophetatum fuit longo ante tempore, prout scribit Virgilius libro VI Eneydorum. Et beatus Augustinus etiam ponit in primo libro De Civitate Dei: Parcere subiectis et debellare superbos. Circa secundum est notandum quod iste poeta, more poetarum, futura vaticinatur; unde poeta idem est quod propheta. Nam quos Sacra Scriptura prophetas appellat, hos pagani denominabant poetas, et aliquando vates. Vates autem a vi mentis dicuntur, ut ait Varro. Vaticinando igitur dicit autor istum venturum dominum nasciturum inter feltrum et feltrum. Hoc est quia ista exterminatio quam faciet de avaritia erit virtualis et essentialis, non vitiosa et apparens; ideo dicit ipsam oriundam a corde. Cor autem medium est inter duas subascellas. Abscella autem lingua hyspana feltrum vocatur [...]. Circa tertium vero nota quod, licet ipsam avaritiam iste venturus dominus de toto mundo debeat effugare, nichilominus iste vates ponit vaticinando quod erit salus totius Ytalice regionis, quia in Ytalia magis avaritia viget, et in laycis clericis maxime propter symoniam prelatorum et presidum sacrosancte Romane Ecclesie cupidorum. Ea propter, ubi magis abundat infirmitas, ibidem succurrere magis debet efficacia medicantis. Veniet itaque venturus dominus qui avaritiam et symoniam de Ytalia ac orbe etiam universo repellet",Aen. IV 171-2,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +NOSTRI POETE,"in Ficino ancora Vergilio; cfr. Aen. XII 936-7, e v. le voci Latino e Lavinia di Clara Kraus, in ED, III, 1971, pp. 599 e 602",Aen. XII 936-7,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +IPSE PROBAT SOLI DEO,"cfr. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, III 102",III 102,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AD SCINIPHES,"cfr. Ex 8, 16-7: Dixitque Dominus ad Moysen: Loquere ad Aaron: Extende virgam tuam et percute pulverem terrae, et sint sciniphes in universa terra Aegypti. Feceruntque ita. Et extendit Aaron manum virgam tenens percussitque pulverem terrae; et facti sunt sciniphes in hominibus et in iumentis; omnis pulvis terrae versus est in sciniphes per totam terram Aegypti. L’Anonimo ha quando fu venuto alli scivifes, cioè cienciali (p. 160), e Ficino a l’operare de’ segni, versione che, secondo Furlan, sembra riflettere un’errata lezione (signa per sciniphes?) del codice latino di cui si servì; o forse Ficino corresse, facendo appello all’interpretazione più larga possibile (le piaghe bibliche come “segni“ del volere divino) in presenza di lezioni inconferenti come quelle attestate in A1, sinistros, e in T, ministros corretto da sinistros (cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e l’apparato in Shaw 2009, p. 374). Vinay traduce di fronte al miracolo delle zanzare, e zanzare hanno, in vario modo, tutti gli altri, salvo Gally 1993 che usa il generico insectes, Nardi che ha locuste, biasimato perciò da Pizzica 1988 e quindi da Kay","Ex 8, 16-7: Dixitque Dominus ad Moysen: Loquere ad Aaron: Extende virgam tuam et percute pulverem terrae, et sint sciniphes in universa terra Aegypti. Feceruntque ita. Et extendit Aaron manum virgam tenens percussitque pulverem terrae; et facti sunt sciniphes in hominibus et in iumentis; omnis pulvis terrae versus est in sciniphes per totam terram Aegypti.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +UT IPSE THOMAS ... PROBAT SUFFICIENTER,"cfr. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, III 99: minores effectus qui fiunt per causas inferiores potest facere immediate absque secundis causis. Cfr. Kenelm Foster, Summa contra Gentiles, in ED, V, 1976, p. 480",III 99: minores effectus qui fiunt per causas inferiores potest facere immediate absque secundis causis.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SUBITA ET INTOLERABILI GRANDINE PERTURBANTE,"cfr. Livio, Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent. Ammesso (e non concesso) che Orosio più di Livio sembri qui essere stato la fonte di Dante (Ricci 1965), non capisco perché il turbata di Orosio valga più del turbavit di Livio a sostenere perturbante, accolto in Ricci 1965 e Shaw 2009 contro procumbante della coppia H Z o proturbante di C E Ph U V, di K e di tutti gli editori moderni. Ficino ha per la subita et intollerabile gragniuola; l’Anonimo di subito venne una intollerabile grandine. Per Annibale v. la voce di Nicola F. Parise, in ED, I, 1970, pp. 288-9","Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +SUBITA ET INTOLERABILI GRANDINE PERTURBANTE,"cfr. Livio, Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent. Ammesso (e non concesso) che Orosio più di Livio sembri qui essere stato la fonte di Dante (Ricci 1965), non capisco perché il turbata di Orosio valga più del turbavit di Livio a sostenere perturbante, accolto in Ricci 1965 e Shaw 2009 contro procumbante della coppia H Z o proturbante di C E Ph U V, di K e di tutti gli editori moderni. Ficino ha per la subita et intollerabile gragniuola; l’Anonimo di subito venne una intollerabile grandine. Per Annibale v. la voce di Nicola F. Parise, in ED, I, 1970, pp. 288-9",IV 17,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +TRANSITUS CLELIE MIRABILIS,"cfr. Livio, Ab U. c. II 13: Ergo ita honorata uirtute, feminae quoque ad publica decora excitatae, et Cloelia uirgo una ex obsidibus, cum castra Etruscorum forte haud procul ripa Tiberis locata essent, frustrata custodes, dux agminis uirginum inter tela hostium Tiberim tranauit, sospitesque omnes Romam ad propinquos restituit; Orosio, Historiae adversus paganos, II 5: et nisi hostem uel Mucius constanti urendae manus patientia uel uirgo Cloelia admirabili transmeati fluminis audacia permouissent, profecto Romani conpulsi forent perpeti aut captiuitatem hoste insistente superati, aut seruitutem recepto rege subiecti. Ficino ha mirabile cosa el transito d’Oratio Cocle, sì che Furlan ipotizza che la versione del filosofo platonico, qualora non nasca da una sua errata interpretazione, rifletta forse una lezione (Cocle per Clelie?) del codice latino di cui si servì, rammaricandosì infine che neppure in quest’occasione il parco apparato dell’edizione Ricci possa essere d’aiuto. Soccorrono ora l’apparato nell’ed. Shaw 2009 (p. 375) e più ancora la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006), che registrano la lezione cocle di F ed altre similari, tra le quali chloclie di T (dove però a c. 181r io leggo chloeli?); coclee di A1 E G L P (corretto in Cloelie) Ph Y; colee di D H S Z. Ma un’occhiata almeno all’apparato dell’ed. Bertalot (p. 47) avrebbe già soddisfatto a sufficienza, così come uno sguardo alle note di Nardi (p. 386), che possono fornire una ragione alla fusione dei due nomi: Nello scudo d’Enea [...], Clelia è associata a Coclite nel distico: pontem auderet quia uellere Cocles / et fluuium uinclis innaret Cloelia ruptis” (Aen. VIII 650-1). Un’analoga associazione è del resto anche poco oltre nel passo di Livio sopra ricordato","Ab U. c. II 13: Ergo ita honorata uirtute, feminae quoque ad publica decora excitatae, et Cloelia uirgo una ex obsidibus, cum castra Etruscorum forte haud procul ripa Tiberis locata essent, frustrata custodes, dux agminis uirginum inter tela hostium Tiberim tranauit, sospitesque omnes Romam ad propinquos restituit; Orosio, Historiae adversus paganos, II 5: et nisi hostem uel Mucius constanti urendae manus patientia uel uirgo Cloelia admirabili transmeati fluminis audacia permouissent, profecto Romani conpulsi forent perpeti aut captiuitatem hoste insistente superati, aut seruitutem recepto rege subiecti.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +QUICUNQUE PRETEREA ... FINEM IURIS INTENDIT,"Colui che diriza el pensiero suo al bene della repubricha diriza el pensiero al fine della ragione (Ficino); qualunque persona adtende al bene della republica, la fine della ragione adtende (Anonimo); anacronistiche le traduzioni che fanno riferimento al bene dello stato. Con questa sententia Dante apre la sezione del secondo libro consacrata alla dimostrazione della giuridicità dell’Impero, nelle sue origini così come nella sua realtà presente, attraverso la ricerca di una definizione del fine del diritto e della sua stessa sostanza. Se l’idea della identità del bonum rei publice (la salus rei publicae ciceroniana) col fine stesso del diritto appartiene alla tradizione teologico-politica e giuridico-politica, a Dante si deve riconoscere la novità di una stretta formulazione di natura quasi aforistica. Naturalmente i “precedenti” a lui più vicini e per lui più autorevoli possono essere agevolmente indicati nel duplice strato, aristotelico e ciceroniano, della giuspubblicistica del XIII e XIV secolo, a cominciare dal commento tomista all’Etica Nicomachea (V 3). Cfr. anche l’ampia voce Cicerone, Marco Tullio, di Alessandro Ronconi, in ED, I, 1970, pp. 991-7",a cominciare dal commento tomista all’Etica Nicomachea,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well",I II 11,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well","Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well","In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well",1131 a 29-30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well","5, lect. 4 [...], no. 935",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il diritto come un’astrazione. Il suo è un diritto che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il diritto civile non può alterare il diritto naturale”; non coincide dunque con il diritto naturale, con il ius quod semper bonum et aequum est, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. Inst. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. Vinay: Il diritto è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; Nardi: il diritto è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). Vinay parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “ius” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, Diritto romano in Dante, in ED, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con Vinay, il De regimine principum di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, Nardi nota che intorno a questa definizione del diritto (ius) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (iustum). Perciò dice Tommaso (In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum iustum dividitur in duo: quorum unum est iustum naturale, aliud est iustum legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam iuristae ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est positivum. Idem enim nominant ius, quod Aristoteles iustum nominat. Nam et Isidorus dicit in libro Ethymologiarum [V 3], quod ius dicitur quasi iustum ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud Philosophum, et aliter apud iuristas. Nam Philosophus hic nominat politicum iustum vel civile ex usu quo cives utuntur; iuristae autem nominant ius politicum vel civile ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit. Et ideo hoc convenienter a Philosopho nominatur legale, idest lege positum, quod et illi dicunt positivum. Convenienter autem per haec duo dividitur iustum politicum. Utuntur enim cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege”. Anche Kay riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’Etica Nicomachea, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, In Eth. 5, lect. 4 [...], no. 935, and Summa theol. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, De regimine principum 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the Nicomachean Ethics itself, since he knew it well",2-2 q. 61 a. 2;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PROPTER COMUNEM UTILITATEM,"cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp.: omnis lex ad bonum commune ordinatur.","Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp.: omnis lex ad bonum commune ordinatur.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AB URBE SANCTA DISCESSIT,"la fonte, che Vinay dichiara di ignorare, è indicata da Ricci 1965 in Servio, In Aen. VI 825, e confermata da Nardi; cfr. anche Kay",Aen. VI 825,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +POETE NOSTRI DE IPSO CANENTI,"al solito, Ficino ha semplicemente Virgilio; cfr. Aen. VI 820-1",Aen. VI 820-1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +"UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante potuit, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla princeps K; questa ha inoltre narrat con B L G, mentre T ha enarrat (cfr. Shaw 2009, Introduzione, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, Ab U. c. VIII 9; X 28; Virgilio, Aen. VI 824, e Servio, In Aen. VI 825. Ulteriori indicazioni in Kay. Dante ne parla già in Cv IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in Pd VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",Ab U. c. VIII 9;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +"UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante potuit, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla princeps K; questa ha inoltre narrat con B L G, mentre T ha enarrat (cfr. Shaw 2009, Introduzione, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, Ab U. c. VIII 9; X 28; Virgilio, Aen. VI 824, e Servio, In Aen. VI 825. Ulteriori indicazioni in Kay. Dante ne parla già in Cv IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in Pd VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",Aen. VI 824,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +"UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante potuit, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla princeps K; questa ha inoltre narrat con B L G, mentre T ha enarrat (cfr. Shaw 2009, Introduzione, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, Ab U. c. VIII 9; X 28; Virgilio, Aen. VI 824, e Servio, In Aen. VI 825. Ulteriori indicazioni in Kay. Dante ne parla già in Cv IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in Pd VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",In Aen. VI 825,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarii_in_Vergilii_Aeneidos_libros,Commentarii in Vergilii Aeneidos libros,Servio Mario Onorato,http://dbpedia.org/resource/Maurus_Servius_Honoratus,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/epica_latina_commenti,WORK +SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione severissimi vere libertatis, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’Introduzione, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il vere che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra severissimi e libertatis attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la vera libertas di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione vere è rimasto nelle edizioni e traduzioni della Monarchia basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a Kay (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da Vinay e rinfocolata da Pézard, sul significato da darsi a vere, Cassell e Furlan, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano vere, con la traduzione conseguente di Cassell, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al vere di P (F N Y hanno veri; leggono veritatis Ph V), deve ricorrere alla Word Collation nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’Introduzione, p. 321. Registra invece la variante severissime, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra tutoris e auctoris: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi tutoris calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di auctoris da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, Vinay (e Pézard, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (tutoris) e ? (auctoris); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove tutoris trova il consenso della princeps K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di auctoris impostata da Vinay sulla base di Cv IV VI 5 (perché lì Dante parla di autor e non di auctor, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso Vinay all’omnium virtutum auctore di Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che autoris e auctoris si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio nella immaginazione dantesca (Vinay), Ricci allega Lucano, Pharsalia, II 374-378, e Seneca, Epistulae morales, XV III 69-73; Nardi, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, Aen. VIII 670, sottolineando da una parte come qui Monarchia e Convivio si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in Cv IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in Cv IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in Pg I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in ED, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal Convivio il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella Monarchia (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del Purgatorio: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",II 374-378,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione severissimi vere libertatis, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’Introduzione, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il vere che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra severissimi e libertatis attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la vera libertas di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione vere è rimasto nelle edizioni e traduzioni della Monarchia basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a Kay (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da Vinay e rinfocolata da Pézard, sul significato da darsi a vere, Cassell e Furlan, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano vere, con la traduzione conseguente di Cassell, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al vere di P (F N Y hanno veri; leggono veritatis Ph V), deve ricorrere alla Word Collation nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’Introduzione, p. 321. Registra invece la variante severissime, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra tutoris e auctoris: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi tutoris calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di auctoris da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, Vinay (e Pézard, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (tutoris) e ? (auctoris); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove tutoris trova il consenso della princeps K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di auctoris impostata da Vinay sulla base di Cv IV VI 5 (perché lì Dante parla di autor e non di auctor, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso Vinay all’omnium virtutum auctore di Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che autoris e auctoris si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio nella immaginazione dantesca (Vinay), Ricci allega Lucano, Pharsalia, II 374-378, e Seneca, Epistulae morales, XV III 69-73; Nardi, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, Aen. VIII 670, sottolineando da una parte come qui Monarchia e Convivio si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in Cv IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in Cv IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in Pg I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in ED, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal Convivio il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella Monarchia (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del Purgatorio: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",XV III 69-73,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistulae_morales_ad_Lucilium,Epistulae morales ad Lucilium,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione severissimi vere libertatis, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’Introduzione, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il vere che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra severissimi e libertatis attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la vera libertas di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione vere è rimasto nelle edizioni e traduzioni della Monarchia basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a Kay (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da Vinay e rinfocolata da Pézard, sul significato da darsi a vere, Cassell e Furlan, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano vere, con la traduzione conseguente di Cassell, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al vere di P (F N Y hanno veri; leggono veritatis Ph V), deve ricorrere alla Word Collation nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’Introduzione, p. 321. Registra invece la variante severissime, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra tutoris e auctoris: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi tutoris calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di auctoris da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, Vinay (e Pézard, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (tutoris) e ? (auctoris); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove tutoris trova il consenso della princeps K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di auctoris impostata da Vinay sulla base di Cv IV VI 5 (perché lì Dante parla di autor e non di auctor, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso Vinay all’omnium virtutum auctore di Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che autoris e auctoris si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio nella immaginazione dantesca (Vinay), Ricci allega Lucano, Pharsalia, II 374-378, e Seneca, Epistulae morales, XV III 69-73; Nardi, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, Aen. VIII 670, sottolineando da una parte come qui Monarchia e Convivio si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in Cv IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. 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E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in Pg I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in ED, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal Convivio il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella Monarchia (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del Purgatorio: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",Aen. VIII 670,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +INQUIT ENIM TULLIUS,"Cicerone, De finibus bonorum et malorum, II 61",II 61,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +DE CATONE DICEBAT,"Cicerone, De officiis, I 112",I 112,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SIC ET IN OPERABILIBUS,"Dante [...] aveva detto, a conferma della sua tesi, che “finem iuris intendentem oportet cum iure intendere”: si tratta qui del fine vero del diritto, per raggiungere il quale non vi è altro mezzo che il diritto; quello raggiunto con mezzi che nulla avessero a che fare col diritto sarebbe invece, secondo le parole stesse di Aristotele, un qualcosa che del fine del diritto avrebbe solo l’apparenza, come della vera elemosina avrebbe solo l’apparenza quella fatta con beni rubati (Nardi). Dante ricalca il testo del commento di Tommaso d’Aquino all’Etica Nicomachea, VI 10, n. 1229: Contingit in syllogisticis aliquando concludi veram conclusionem per falsum syllogismum. Et ita etiam in operabilibus contingit quandoque pervenire ad bonum finem per aliquod malum. Et hoc est quod dicit, quod contingit aliquando sortiri bonum finem quasi falso syllogismo, ita scilicet quod aliquis consiliando perveniat ad id quod oportet facere, sed non per quod oportet: puta cum aliquis furatur ut subveniat pauperi. Et hoc est ac si aliquis in syllogizando ut veniat ad veram conclusionem assumeret medium aliquem falsum terminum","VI 10, n. 1229: Contingit in syllogisticis aliquando concludi veram conclusionem per falsum syllogismum. Et ita etiam in operabilibus contingit quandoque pervenire ad bonum finem per aliquod malum. Et hoc est quod dicit, quod contingit aliquando sortiri bonum finem quasi falso syllogismo, ita scilicet quod aliquis consiliando perveniat ad id quod oportet facere, sed non per quod oportet: puta cum aliquis furatur ut subveniat pauperi. Et hoc est ac si aliquis in syllogizando ut veniat ad veram conclusionem assumeret medium aliquem falsum terminum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NON TAMEN ELIMOSINA DICENDA EST,"l’esempio scolastico dell’elemosina, che non è tale quando sia elargita con il frutto del furto o della rapina (bonus usus non iustificat iniuste quesita), appartiene alla letteratura teologico-politica così come alla letteratura giuridica: cfr. soprattutto i testi escerpiti nel Decretum di Graziano, il c. 5, D","il c. 5, D",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NON TAMEN ELIMOSINA DICENDA EST,"l’esempio scolastico dell’elemosina, che non è tale quando sia elargita con il frutto del furto o della rapina (bonus usus non iustificat iniuste quesita), appartiene alla letteratura teologico-politica così come alla letteratura giuridica: cfr. soprattutto i testi escerpiti nel Decretum di Graziano, il c. 5, D",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +MEDIA AUTEM NEGLIGERET,"cfr. sopra, II II 2-3; Ficino ha et la materia disprezassi, l’Anonimo e•lla materia abandonasse. Si v. su ciò Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-IIae, q. 9, a. 1","I-IIae, q. 9, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUOD BENE PHYLOSOPHUS,"E però Aristotile ... pruova (Ficino); cfr. Physica, 194 a 28-32",194 a 28-32,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUOD ETIAM POETA NOSTER VALDE SUBTILITER,"Virgilio, Aen. VI 848-54. La qual cosa il poeta nostro troppo sottilmente (Anonimo); Ficino ha semplicemente: Questo manifesta Virgilio; anche l’omissione di valde subtiliter (e cfr. subito sotto l’analoga omissione di subtiliter tangit) più che a un intervento ficiniano inteso ad abbreviare, può far pensare ad una nota marginale scivolata nel testo; di notazioni del genere sono pieni anche i commenti danteschi: cfr. Benvenuto da Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, ad If XVII 1-33: valde vigil et subtiliter sentit; ad If XXVIII 22-63: valde subtiliter et pulcre; ad If XXXI 46-81: Et hic nota quod autor loquitur valde subtiliter; ad Pd XXI 103-42: valde, et inter alia pulcra quae scribit ... disputat subtiliter. Sia come sia, Vinay si sofferma a fornire dell’avverbio più di una interpretazione",Aen. VI 848-54,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +PRO SALUTE PATRIE,"cfr. sopra, I I 1 per il principio evocato in Dig. 1, 1, 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 1) e in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 101, a. 1",I I 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PRO SALUTE PATRIE,"cfr. sopra, I I 1 per il principio evocato in Dig. 1, 1, 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 1) e in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 101, a. 1","IIa-IIae, q. 101, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNDE PHYLOSOPHUS,"E • ccome dicie Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1094 b 9-10. Remigio de’ Girolami cites the same passage in the same vein in his exaltation of the common good (Cassell)",1094 b 9-10,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +INPOSSIBILE EST SINE FIDE PLACERE DEO,"Heb 11, 6","Heb 11, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Hebrews,Epistula ad Hebraeos,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +HOSTIUM TABERNACULI CRISTUM FIGURAT,"non mi riesce di dare una risposta all’interrogativo di Vinay, vale a dire fino a qual punto questa interpretazione arbitraria del passo del Levitico sia propria di D., poiché non sembra appartenere alla tradizione esegetica a noi nota",questa interpretazione arbitraria del passo del Levitico,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Leviticus,Levitico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IUDICIUM SAMUELI CONTRA SAULEM,"v. 1 Sam 15, 1-23; per il giudizio divino espresso per bocca di Samuele v. più oltre, III VI 1-6. Cfr. le voci di Gian Roberto Sarolli, Samuele, in ED, IV, 1973, p. 1098 e Saul, ivi, V, 1976, p. 43. È tutt’altro che un relatively insignificant point (Cassell). Sull’importanza del luogo scritturale nella letteratura medievale v. Quaglioni 1999c, e più in generale i saggi raccolti in Campos Boralevi – Quaglioni 2003a","1 Sam 15, 1-23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Samuel,Libri di Samuele,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SICUT PHARAONI REVELATUM FUIT,"cfr. Ex 7, 8-12","Ex 7, 8-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SECUNDO PARALIPOMENON,"2 Par 20, 12; è omesso da K D","2 Par 20, 12",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Chronicles,Libri delle cronache,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +CERTARE ETENIM .. DICTUM EST,"la scelta di etenim, lezione di B L T contro enim della coppia D M, di G e della princeps K, si deve a Bertalot 1920; Ricci 1965 la difende contro Witte 1874 e Rostagno 1921. Vinay indica con precisione l’origine della falsa etimologia dantesca nel Catholicon del Balbi (Certo derivatur a certus ... et est certare, litigare, pugnare. Certi non solemus litigare unde dicitur certare quasi certum se dicens habere), rinviando ovviamente anche alle Derivationes di Uguccione, C 151 18 (che Dante non vi abbia neppure dato uno sguardo, come pare credere Kay, io lo stimo sommamente improbabile); cfr. anche Cassell, p. 312, nota 187",C 151 18,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +IN SUBSTITUTIONE MATHIE,"cfr. Ac 1, 26: et cecidit sors super Mathiam; e v. If XIX 94-6: “Né Pier né li altri tolsero a Matia / oro od argento, quando fu sortito / al loco che perdé l’anima ria” (col commento della Chiavacci Leonardi 1991, p. 583). Cfr. la voce Mattia di Gian Roberto Sarolli, in ED, III, 1971, pp. 870-1","Ac 1, 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","c. 22, C. II, q. V",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18",XII 1 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","II 3, de duello, § un., p. 154",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_casibus_poenitentiae,Summa de casibus poenitentiae,Raimondo di Peñafort,http://dbpedia.org/resource/Raymond_of_Penyafort,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","IV, 13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_Libri_Politicorum(Tommaso),Sententia libri Politicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +"PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR: per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di Cassell: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, Etym., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – de iure longobardo – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). Kay ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. Vinay si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel Decretum di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel Liber Extra di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, Summa, II 3, de duello, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla Politica (IV, 13), ma che nella Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la lex duellorum al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla divinatio sortium inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel De singulari certamine, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione de consuetudine e ne ripete la tradizionale definitio per etymologiam: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, Duello (Storia), in EDir, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, Duello, in ED, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUIUS LUCANUS MEMINIT,"cfr. Lucano, Pharsalia, IV 609-61",IV 609-61,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +OVIDIUS ... DE RERUM TRANSMUTATIONE,"Hovidio nel nono “Metamorfoseos” (Ficino); cfr. Ovidio, Metam., IX 183-4: saevoque alimenta parentis / Antaeo eripui. Cfr. più oltre, II IX 11 e Cv III III 7-8: Onde si legge nelle storie d’Ercule, e nell’ Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti, che combattendo [Ercule] collo gigante che si chiamava Anteo, tutte ?le? volte che lo gigante era stanco, [ed] elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per sua volontà o per forza d’Ercule, forza e vigore interamente della terra in lui resurgea, nella quale e della quale era esso generato. Di che accorgendosi Ercule, alla fine prese lui; e stringendo quello e levatolo dalla terra, tanto lo tenne sanza lasciarlo alla terra ricongiugnere, che lo vinse per soperchio e uccise; e per Anteo If XXXI 100-5. L’esempio è riproposto più sotto, II IX 11; cfr. le voci di Giorgio Padoan, Anteo, in ED, I, 1970, pp. 296-7, ed Ercole, ivi, II, pp. 817-8; e v. Alessandro Vettori, Antaeus, in DEnc, p. 49",IX 183-4,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +MELIUS TULLIUS,"Cicerone, De officiis, III 10 42",III 10 42,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: per nonaginta annos et plures; si deve notare che M D hanno rispettivamente octuaginta e lxxxii; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. Vinay e Kay, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente Pézard) che l’espressione consorte thori ha la sua fonte in Ovidio, Metam., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di Vinay, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in If V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce Imperadore (imperatrice; imperadrice), in ED, III, 1971, p. 381",I 4 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: per nonaginta annos et plures; si deve notare che M D hanno rispettivamente octuaginta e lxxxii; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. Vinay e Kay, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente Pézard) che l’espressione consorte thori ha la sua fonte in Ovidio, Metam., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di Vinay, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in If V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce Imperadore (imperatrice; imperadrice), in ED, III, 1971, p. 381",I 319,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: per nonaginta annos et plures; si deve notare che M D hanno rispettivamente octuaginta e lxxxii; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. Vinay e Kay, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente Pézard) che l’espressione consorte thori ha la sua fonte in Ovidio, Metam., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di Vinay, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in If V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce Imperadore (imperatrice; imperadrice), in ED, III, 1971, p. 381",I 4 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +OVIDIUS MEMORIAM FECIT,"fa mentione Hovidio (Ficino); Ovidio ne fa memoria (Anonimo); e facit anziché fecit legge Witte 1874 con i codici M N P S. Non si tratta dunque di una semplice banalità degli isolatissimi P e M, come avrebbe voluto Ricci 1965. Cfr. Ovidio, Metam. IV 58. Cfr. Antonio Martina, Piramo, in ED, IV, 1973, p. 528",IV 58.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +UT OROSIUS MEMORAT,"Orosio, Historiae adversus Paganos, I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent. Kay avverte che introducendo gli Egizi nella successione degli Imperi Dante ha alterato l’ordine derivato dalla prophetia Danielis, così come lo si legge nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35, poi passato nella Glossa ordinaria alla Scrittura. Per gli Sciti, ricordati anche nel paragrafo seguente, cfr. quanto già detto sopra, I XIV 6","I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent.",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +UT OROSIUS MEMORAT,"Orosio, Historiae adversus Paganos, I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent. Kay avverte che introducendo gli Egizi nella successione degli Imperi Dante ha alterato l’ordine derivato dalla prophetia Danielis, così come lo si legge nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35, poi passato nella Glossa ordinaria alla Scrittura. Per gli Sciti, ricordati anche nel paragrafo seguente, cfr. quanto già detto sopra, I XIV 6","nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_a_ Daniele(Girolamo),Commento a Daniele,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +INTER QUASI ATHLOTETAS ET TERMINUM,"è omesso dalla princeps K e da Ficino; l’Anonimo ha infra la colonna termine. Bertalot 1920, p. 62, succintamente annota: Vox athloteta ex Arist. Eth. 1, 2, 1095 b 1 hausta est. Perciò Nardi può scrivere a commento: frase simbolica suggerita, come ha ben visto il Bertalot, da Aristotele, Eth. Nicom., I, 2, 1095 b 1. Gli atloteti erano coloro che presiedevano la corsa e stavano in principio; all’estremità opposta era la mèta o traguardo","I, 2, 1095 b 1.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +REX PERSARUM,"la princeps inverte Persarum rex; cfr. Orosio, Historiae adversus Paganos, II 7 6: Regina caput Cyri amputari atque in utrem humano sanguine oppletum conici iubet non muliebriter increpitans: “Satia te”, inquit, “sanguine quem sitisti, cuius per annos triginta insatiabilis perseverasti”; Dante lo ricorda in Pg XII 55-57: Mostrava la ruina e ’l crudo scempio / che fé Tamiri, quando disse a Ciro: “Sangue sitisti, e io di sangue t’empio”. Cfr. Clara Kraus, Ciro, in ED, II, 1970, p. 25","II 7 6: Regina caput Cyri amputari atque in utrem humano sanguine oppletum conici iubet non muliebriter increpitans: “Satia te”, inquit, “sanguine quem sitisti, cuius per annos triginta insatiabilis perseverasti”;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +LUCANUS ... MEMOR FUIT; CANIT ENIM IBI SIC,"fece menzione Luchano ... così dicendo (Ficino); per l’Anonimo semplicemente Lucano così ne canta. La princeps ha meminit. Cfr. Lucano, Pharsalia, II 672-3",II 672-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +MISERABILITER,"sembra a Kay che Dante qui echeggi Floro, Epitoma, II 18 9: non alia post Xerxen miserabilior fuga, piuttosto che Orosio, Historiae adversus Paganos, II 9-10",II 18 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +LUCANUS IN OCTAVO,"Lucano, Pharsalia, VIII 692-4",VIII 692-4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +O ALTITUDO DIVITIARUM SAPIENTIE ET SCIENTIE DEI,"cfr. Rm 11, 33: O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei. Se la princeps K omette per sé divitiarum, legge però sapientiæ et scientiæ, com’è nella Vulgata, insieme ai codici ?1 (B L) e G H. Critico della lezione scientie et sapientie, accolta da Ricci 1965 (e da tutti i precedenti editori) Nardi non vorrebbe si scegliesse un testo diverso solo per il dubbio che alcuni copisti scrivessero non ciò che leggevano, ma ciò che sapevano a memoria, avvertendo che ciò può accadere allo stesso autore, come può essere stato il caso di Dante, che cita lo stesso versetto paolino, e nello stesso modo, nella Questio de aqua et terra, XXII 77: Audiant vocem Apostoli ad Romanos: “O altitudo divitiarum scientiae et sapientiae Dei, quam incomprehensibilia iudicia eius et investigabiles vie eius!”; rimprovera dunque Ricci di non citare il luogo parallelo in Cv IV XXI 6: Per che io voglio dire come l’Apostolo: “O altezza delle divizie della sapienza di Dio, come sono incomprensibili li tuoi giudicii e investigabili le tue vie!”; luogo che la Simonelli 1970, pp. 387-8, ritiene lacunoso fin dalla prima edizione del 1490, e che dunque può essere letto “O altezza de le divizie de la sapienza e de la scienza di Dio”. Propone infine di leggere sapientie et scientie Favati 1970, p. 16. Cfr. a commento Cremascoli 2011, p. 38, nota 35","Rm 11, 33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +POETA NOSTER,Ficino ha ancora una volta Virgilio; cfr. Aen. I 234-6,I 234-6,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +LUCANUS IN PRIMO,"Lucano, Pharsalia, I 109-11",I 109-11,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +BOETIUS IN SECUNDO,"Boezio, Consolatio Philosophiae, II, metro 6, 8-13. Cfr. ancora la voce Boezio di Francesco Tateo, in ED, I, 1970, p. 656","II, metro 6, 8-13.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +EXIVIT EDICTUM,"cfr. Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis. La lezione exivit, prescelta da Ricci 1965 contro l’exiit di Bertalot 1920 (nonché della Vulgata) per avere dalla sua l’accordo di K T con ottimi rappresentanti del ramo ? (p. 203), è criticata da Nardi, che ricorda con enfasi che però il Vernani [...] ha: “Lucas dicit: ‘Exiit edictum’”!. Cfr. anche Kay. Tace l’apparato dell’ed. Shaw 2009, e perfino la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006) registra la sola lezione exivit (non così però se si ricorre alla funzione Show original spelling forms: leggono exiit i codici A2 B D F G H L M S, ai quali si può aggiungere l’Anonimo, che scrive “Exit ... escì”); Ficino traduce solo “Mandò”. Vinay commenta: ""Più avanti [...], riprendendo un motivo notissimo, D. darà del testo evangelico un’interpretazione politico-giuridica: qui lo cita per il suo valore di testimonianza storica a riprova della vittoria di fatto del popolo Romano"". Per Augusto cfr. sopra, I XVI 1 e più oltre, II X 6, ed Ep VII [3] 14; e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, Augusto, in ED, I, 1970, pp. 449-50","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT TULLIUS ET VEGETIUS CONCORDITER PRECIPIUNT,"come Tulio et Vegetio comandano (Ficino); cfr. Vegezio, De re militari, III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum; Cicerone, De officiis, I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore (e cfr. poco oltre, II IX 4 e 8, dov’è rifuso il testo del De officiis, I 34-38). Cfr. Moore 1893, p. 24; e ora Di Fonzo 2009, p. 53, e più ampiamente 2011. Vinay parla di un fraintendimento di Dante a proposito dell’accordo tra Cicerone e Vegezio; Nardi lo nega a ragione; per Kay Vinay is certainly right. Dissente dall’interpretazione data più in generale da Vinay a questo luogo Cassell, secondo cui Dante most likely learned of Vegetius from the twenty-three references to the De re militari that Giles of Rome makes in the De regimine principum, rimandando a Briggs 1999, p. 11","III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum;",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Re_Militari,Epitoma rei militaris,Vegezio,http://dbpedia.org/resource/Publius_Flavius_Vegetius_Renatus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +UT TULLIUS ET VEGETIUS CONCORDITER PRECIPIUNT,"come Tulio et Vegetio comandano (Ficino); cfr. Vegezio, De re militari, III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum; Cicerone, De officiis, I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore (e cfr. poco oltre, II IX 4 e 8, dov’è rifuso il testo del De officiis, I 34-38). Cfr. Moore 1893, p. 24; e ora Di Fonzo 2009, p. 53, e più ampiamente 2011. Vinay parla di un fraintendimento di Dante a proposito dell’accordo tra Cicerone e Vegezio; Nardi lo nega a ragione; per Kay Vinay is certainly right. Dissente dall’interpretazione data più in generale da Vinay a questo luogo Cassell, secondo cui Dante most likely learned of Vegetius from the twenty-three references to the De re militari that Giles of Rome makes in the De regimine principum, rimandando a Briggs 1999, p. 11","I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +BENE TULLIUS,"Cicerone, De officiis, I 12 38: ""Sed ea bella quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt""","I 12 38: Sed ea bella quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +RESPONDIT,"i versi che seguono appartengono agli Annales di Ennio e sono conservati in Cicerone, De officiis, I 12 38. Che il testo così citato da Dante, mutilo nei vv. 5 e 8, abbia perciò un innegabile tono “oracolare”, meno evidente nell’originale, è osservazione di Pizzica 1988 accolta da Kay. I due versi 5 e 8 sono però conservati, come subito si dirà, da un’esigua minoranza dei testimoni, rappresentata dalla princeps K e dall’addottrinato (Ricci 1965) M",I 12 38,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +FORUM SANGUINIS ET INIUSTITIE,"merchato di sangue et d’ing[i]ustitia (Ficino), mentre l’Anonimo scrive merchato di sangue e di giustizia. Imbach, p. 164 (cfr. Imbach, p. 306), ha sposato, ma solo in questo luogo e non più avanti nel paragrafo successivo, la proposta, vivacemente avanzata da Nardi, di restaurare la lezione iniustitie, conservata, oltre che da Ficino, da D, c. 44v (non però da G, come vorrebbe Bertalot 1920 in apparato, p. 66, ché quel testimone ha chiaramente iustie = iustitie a c. 22r) e accolta dagli editori con l’eccezione di Ricci 1965. Questi poté sostenere che Witte 1874, preferendo iniustitie, era andato contro la testimonianza dell’intera tradizione, obbiettando: Ma è facile osservare – e non faccio altro che ripetere ciò che benissimo hanno già notato il Bigongiari e il Toynbee – che Dante costruisce le due frasi in relazione a un concetto di Ennio esplicitamente poco prima citato: Nec mi aurum posco, nec mi pretium dederitis; non cauponantes bellum, sed belligerantes. Nel duello inteso come giudizio di Dio, gli avversari devono essere guidati unicamente dall’amore della giustizia; se per cupidigia combattessero, non si dovrà dire che anelano alla giustizia, ma che ne fanno commercio, iustitie mercatores in quanto combattono da mercenari; cauponantes bellum, come dice Ennio (p. 207). Smentendo in base all’apparato di Bertalot l’affermazione secondo cui iniustitie mancherebbe alla totalità dei testimoni, Nardi contesta insieme Bigongiari 1927, p. 458, Toynbee 1929, p. 53, e Ricci 1965, negando che Dante si riferisca al cauponantes bellum di Ennio e ribattendo argutamente: No, qui Dante parrebbe dire un’altra cosa: il loro combattimento “non tunc duellum, sed forum sanguinis et iniustitie dicendum esset; nec tunc arbiter Deus esse credatur, sed ille antiquus Hostis qui litigii fuerat persuasor”. In quel “forum sanguinis” ci sarebbe rimasta proprio la giustizia ... a tener compagnia al diavolo?. Per Pézard le sens est le même; Pizzica 1988 considera iniustitie inaccettabile; Kay sostiene ancora che all the manuscripts read iustitie e ritiene decisive la difesa di Bigongiari, cui consente anche Shaw 2009. Così anche Cassell. Io preferisco dar fede alla lezione iniustitie di D, Ficino, Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921, difesa da Nardi e recuperata da Imbach; me ne rende persuaso, oltre tutto, il testo del c. 25, D. I De penitencia, nel Decretum Gratiani, dove si legge quanto Dante poteva riecheggiare in questo luogo: Omnis iniquitas, et oppressio, et iniusticia, iudicium sanguinis est (Friedberg, I, col. 1164)",De penitencia,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT ASSOLET,"cfr. sopra, II VII 9, con il richiamo a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3","IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER VICTORIAM DAVID,"cfr. 1 Sam 17, 38-51","1 Sam 17, 38-51",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Samuel,Libri di Samuele,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PROPTER INSTANTIAM COGNOSCENDAM,"la tradizione si divide qui tra iustitiam, attestata da D F G N T U V e prescelta da Bertalot 1920, da Ricci 1965 e da Shaw 2009, e instantiam della princeps K e dei rimanenti codici, adottato da Witte 1874 e da Rostagno 1921; si veda altresì la versione ficiniana, per conoscere l’instantia, e quella dell’Anonimo, che pur mal traducendo ha la stessa base nella tradizione: per la fretta di cognioscere. Per Ricci instantia è soltanto un termine del linguaggio filosofico indicante una proposizione che si contrappone ad un’altra, e dunque qui evidentemente non può aver luogo. Ma in questo contesto il significato è quello giuridico: instantiam cognoscere significa infatti “giudicare la lite pendente” (come in Dig. 5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77): cfr. sopra, II V 23. Tanto più che in Livio è chiaro che i due popoli e i loro campioni non combattono per una causa di giustizia, ma a motivo della cupido imperii e per ottenere la supremazia: imperium agebatur (Ab U. c. I 23, 7 e 25, 2). Difficoltà tra i moderni interpreti (Vinay non traduce; e v. Marcelli-Martelli 2004: per trovare giustizia), che però tacitamente sembrano in parte accedere al significato tecnico: Pézard, in simmetria con afin de rechercher le bon plaisir divin (poco più sopra, II IX 13), ha afin de connaître la décision divine; Nardi per definir la lite; Sanguineti 1985, anch’egli per simmetria con II IX 13, al fine di conoscere il giudizio di Dio; Pizzica 1988 per dirimere legalmente la contesa; Shaw 1996 in order to reach a just settlement","5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PROPTER INSTANTIAM COGNOSCENDAM,"la tradizione si divide qui tra iustitiam, attestata da D F G N T U V e prescelta da Bertalot 1920, da Ricci 1965 e da Shaw 2009, e instantiam della princeps K e dei rimanenti codici, adottato da Witte 1874 e da Rostagno 1921; si veda altresì la versione ficiniana, per conoscere l’instantia, e quella dell’Anonimo, che pur mal traducendo ha la stessa base nella tradizione: per la fretta di cognioscere. Per Ricci instantia è soltanto un termine del linguaggio filosofico indicante una proposizione che si contrappone ad un’altra, e dunque qui evidentemente non può aver luogo. Ma in questo contesto il significato è quello giuridico: instantiam cognoscere significa infatti “giudicare la lite pendente” (come in Dig. 5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77): cfr. sopra, II V 23. Tanto più che in Livio è chiaro che i due popoli e i loro campioni non combattono per una causa di giustizia, ma a motivo della cupido imperii e per ottenere la supremazia: imperium agebatur (Ab U. c. I 23, 7 e 25, 2). Difficoltà tra i moderni interpreti (Vinay non traduce; e v. Marcelli-Martelli 2004: per trovare giustizia), che però tacitamente sembrano in parte accedere al significato tecnico: Pézard, in simmetria con afin de rechercher le bon plaisir divin (poco più sopra, II IX 13), ha afin de connaître la décision divine; Nardi per definir la lite; Sanguineti 1985, anch’egli per simmetria con II IX 13, al fine di conoscere il giudizio di Dio; Pizzica 1988 per dirimere legalmente la contesa; Shaw 1996 in order to reach a just settlement","I 23, 7 e 25, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +LIVIUS IN PRIMA PARTE,cfr. Ab U. c. I 23-5,I 23-5,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IN MULTITUDINE DECERTANTIUM,"cfr. poco più sotto, II IX 18; la princeps K ha la variante disceptantium, accolta da Witte 1874 e respinta da Ricci 1965 (p. 210); trovo la medesima lezione in Y. Ficino traduce benché si conbattessi con gran moltitudine; l’Anonimo tace. Vinay ricorda ancora Orosio, Historiae adversus Paganos, II 4, dov’è solo un accenno, e osserva che tutto questo elenco dei successivi competitori di Roma trova esatto riscontro in Cicerone, De officiis, I 12 38",II 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IN MULTITUDINE DECERTANTIUM,"cfr. poco più sotto, II IX 18; la princeps K ha la variante disceptantium, accolta da Witte 1874 e respinta da Ricci 1965 (p. 210); trovo la medesima lezione in Y. Ficino traduce benché si conbattessi con gran moltitudine; l’Anonimo tace. Vinay ricorda ancora Orosio, Historiae adversus Paganos, II 4, dov’è solo un accenno, e osserva che tutto questo elenco dei successivi competitori di Roma trova esatto riscontro in Cicerone, De officiis, I 12 38",I 12 38,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LUCANUS ... REDUCIT SIC,"Lucano, Pharsalia, II 135-8; K inverte sic reducit",II 135-8,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +APOSTOLUS AD TIMOTHEUM,"2 Tm 4, 8","2 Tm 4, 8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Second_Epistle_to_Timothy,Seconda lettera a Timoteo,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +RATIONABILIBUS,"solo K legge rationalibus, lezione accolta da tutti gli editori e difesa da Ricci 1979, pp. 102-3, contro Favati 1970, p. 21, prima del doveroso restauro dell’ed. Shaw 2009 (cfr. Introduzione, pp. 305-6 e note 150-4; ma non si tratta certo di una congettura, come invece annota Kay). Anche Ficino ha rationali, mentre l’Anonimo scrive ragionevoli. Per il significato di rationabilis v. le Derivationes di Uguccione, R 26, 4, che distingue: et licet Boetius ista nomina indifferenter accipiat, differunt tamen, quia rationale dicitur quod utitur rationem ut homo, angelus, anima, rationabile quod ratione agitur vel dicitur vel quod ratione agit vel dicit; unde multi, immo omnes homines sunt rationales, sed non omnes sunt rationabiles","R 26, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +FREMUERUNT ET INANIA MEDITATI SUNT,"Dante rinnova l’annuncio del salmo con cui si apre il libro II (Ps 2, 1-3), rafforzando il senso dell’argomentazione già svolta in II I 1 e 4, che è tutto in quella constatazione della sostanziale identità dell’atteggiamento ribelle dei popoli dei suoi tempi con quello dei popoli già ribelli all’antica Roma: inane allora, inane oggi, la ribellione (Capitani 1965, poi Capitani 1983, p. 39); v. qui in proposito l’Introduzione, e più ampiamente Casadei 2011, p. 187 e note 12-3, a proposito dello stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ (Ep VI [2] 5, datata 31 marzo 1311), con rimando, in generale, a Russo 1987, Gagliardi 2007 e Muresu 2009","2, 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. Pd XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive Vinay: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), Kay aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s Decretum, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, Povertà, in ED, IV, 1973, p. 628","c. 59, C. XVI, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. Pd XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive Vinay: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), Kay aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s Decretum, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, Povertà, in ED, IV, 1973, p. 628","Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Declamationes_de_colloquio_Simonis_cum_Jesu(Goffredo_Auxerre),Declamationes de colloquio Simonis cum Jesu,Goffredo d’Auxerre,http://dbpedia.org/resource/Geoffrey_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. Pd XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive Vinay: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), Kay aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s Decretum, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, Povertà, in ED, IV, 1973, p. 628","c. 13, C. XII, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +REDEANT UNDE VENERUNT,"Ritornino honde vennono (Ficino); così anche l’Anonimo: Ritornino onde vennero. I due volgarizzamenti corrispondono alla lezione tramandata dai soli codici H Z; accolta da tutti gli editori moderni, è respinta recisamente da Ricci 1965 come un capriccio smentito dallo schieramento compatto della maggioranza dei codici e della princeps. Egli si spinge fino ad affermare (p. 213): Basta [...] analizzare il senso di questo passo, fino ad oggi interpretato sempre in modo errato, per capire che qui Redeunt e solo Redeunt va bene. Dante parla delle facultates Ecclesie provenienti da donazioni imperiali, e distingue due casi: 1. se tali beni non tornano all’Impero, chi li detiene non è grato del dono ricevuto; 2. se tali beni tornano all’Impero, allora si deve dire che tornano male, mentre invece erano venuti bene. Alla luce di tale svolgimento del pensiero dantesco, il congiuntivo esortativo Redeant è completamente privo di senso; mentre la frase Redeunt unde venerunt è una perfetta protasi con l’ellissi del si. L’improponibilità di tale interpretazione è denunciata da Nardi 1965, poi in Nardi 1966c, pp. 408-14; lo stesso Nardi conserva il testo dell’ed. Ricci 1965 (ciò che suona ancora fuorviante per Cassell, p. 316, nota 237) ma interpreta: Tornino onde vennero, commentando: perciò Dante ha il coraggio di gridare: “Tornino onde vennero: vennero bene e tornano male: giacché furono ben dati e mal posseduti”! (pp. 426-7). Questa correzione, tacitamente accolta già in Pézard (Qu’ils s’en retournent au lieu d’où ils sont venus) e nel testo corredato dalla traduzione del Ronconi 1966 (Tornino da dove sono venuti), è stata espressamente accolta da Imbach, che traduce di conseguenza: Diese Güter sollen dahin zurückkehren, woher sie gekommen sind (pp. 170-1 e p. 309); così anche Pizzica 1988, pur se limitatamente alla traduzione (Ritornino da dove provennero, corredata da un nota adesiva alle argomentazioni di Nardi). Riconosciuta come lezione genuina da Shaw 1981, pp. 207-8, adottata nelle edizioni-traduzioni della Shaw (a) 1995 e 1996: Let them return where they came from, e da Cassell (Let them go back where they came from!) che la giudica come la sola dotata di senso logico, è ancora contestata da Kay, che inclinando verso la lezione difesa da Ricci suggerisce che Dante possa aver adottato quella “più esitante costruzione” perché probabilmente a conoscenza del dissenso di san Tommaso verso le norme giustinianee sulla revoca della donazione. Ma Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3 (Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda), afferma solo che chi conferisce un beneficio deve sanzionare l’ingratitudine non statim, e deve prima mostrarsi pium medicum: ut scilicet iteratis beneficiis ingratitudinem sanet. Per un bilancio di tutta la questione cfr. Furlan, e soprattutto Shaw 2009, Introduzione, p. 322. È forse lecito sospettare, infine, che nell’uso dell’espressione redeant unde venerunt possano ravvisarsi calchi di forme quasi proverbiali (cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1: sin aliter, aere dirutum facies, ut cumulo carminis in fiscum suum redacto redeant versus, unde venerunt).","IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +REDEANT UNDE VENERUNT,"Ritornino honde vennono (Ficino); così anche l’Anonimo: Ritornino onde vennero. I due volgarizzamenti corrispondono alla lezione tramandata dai soli codici H Z; accolta da tutti gli editori moderni, è respinta recisamente da Ricci 1965 come un capriccio smentito dallo schieramento compatto della maggioranza dei codici e della princeps. Egli si spinge fino ad affermare (p. 213): Basta [...] analizzare il senso di questo passo, fino ad oggi interpretato sempre in modo errato, per capire che qui Redeunt e solo Redeunt va bene. Dante parla delle facultates Ecclesie provenienti da donazioni imperiali, e distingue due casi: 1. se tali beni non tornano all’Impero, chi li detiene non è grato del dono ricevuto; 2. se tali beni tornano all’Impero, allora si deve dire che tornano male, mentre invece erano venuti bene. Alla luce di tale svolgimento del pensiero dantesco, il congiuntivo esortativo Redeant è completamente privo di senso; mentre la frase Redeunt unde venerunt è una perfetta protasi con l’ellissi del si. L’improponibilità di tale interpretazione è denunciata da Nardi 1965, poi in Nardi 1966c, pp. 408-14; lo stesso Nardi conserva il testo dell’ed. Ricci 1965 (ciò che suona ancora fuorviante per Cassell, p. 316, nota 237) ma interpreta: Tornino onde vennero, commentando: perciò Dante ha il coraggio di gridare: “Tornino onde vennero: vennero bene e tornano male: giacché furono ben dati e mal posseduti”! (pp. 426-7). Questa correzione, tacitamente accolta già in Pézard (Qu’ils s’en retournent au lieu d’où ils sont venus) e nel testo corredato dalla traduzione del Ronconi 1966 (Tornino da dove sono venuti), è stata espressamente accolta da Imbach, che traduce di conseguenza: Diese Güter sollen dahin zurückkehren, woher sie gekommen sind (pp. 170-1 e p. 309); così anche Pizzica 1988, pur se limitatamente alla traduzione (Ritornino da dove provennero, corredata da un nota adesiva alle argomentazioni di Nardi). Riconosciuta come lezione genuina da Shaw 1981, pp. 207-8, adottata nelle edizioni-traduzioni della Shaw (a) 1995 e 1996: Let them return where they came from, e da Cassell (Let them go back where they came from!) che la giudica come la sola dotata di senso logico, è ancora contestata da Kay, che inclinando verso la lezione difesa da Ricci suggerisce che Dante possa aver adottato quella “più esitante costruzione” perché probabilmente a conoscenza del dissenso di san Tommaso verso le norme giustinianee sulla revoca della donazione. Ma Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3 (Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda), afferma solo che chi conferisce un beneficio deve sanzionare l’ingratitudine non statim, e deve prima mostrarsi pium medicum: ut scilicet iteratis beneficiis ingratitudinem sanet. Per un bilancio di tutta la questione cfr. Furlan, e soprattutto Shaw 2009, Introduzione, p. 322. È forse lecito sospettare, infine, che nell’uso dell’espressione redeant unde venerunt possano ravvisarsi calchi di forme quasi proverbiali (cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1: sin aliter, aere dirutum facies, ut cumulo carminis in fiscum suum redacto redeant versus, unde venerunt).","cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cento_nuptialis(Ausonio),Cento Nuptialis,Ausonio,http://dbpedia.org/resource/Ausonius,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +ERGO CONTRADICTORIUM ANTECEDENTIS EST VERUM,"Vinay cita il commento boeziano al Perˆ `Ermhne…aj (I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur). Imbach rinvia alle Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 153, ed. de Rijk, p. 169; cfr. anche Kay e Cassell, che nota: Dante begins to use conditional arguments as opposed to syllogisms","I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarium_in_librum_aristotelis_perihermeneias(Boezio),Commentarium in librum aristotelis perihermeneias,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ERGO CONTRADICTORIUM ANTECEDENTIS EST VERUM,"Vinay cita il commento boeziano al Perˆ `Ermhne…aj (I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur). Imbach rinvia alle Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 153, ed. de Rijk, p. 169; cfr. anche Kay e Cassell, che nota: Dante begins to use conditional arguments as opposed to syllogisms","VII 153, ed. de Rijk, p. 169",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +UT PHYLOSOPHO PLACET,"come dice Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere. Cfr. sopra, I XIII 4",1172 a 34-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT SCRIBA EIUS LUCAS TESTATUR,"Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis; cfr. sopra, II VIII 14 ed Ep VII [3] 14, e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, Augusto, in ED, I, 1970, pp. 449-50, e Cremascoli 2011, p. 39, nota 36","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta Kay osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di singulari, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (Vinay, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (Nardi): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e Cassell, ma è usato anche da Pézard e dalla Gally 1993; Imbach, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). Vinay cita in questo luogo estesamente un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". Nardi, che legge il Memoriale nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli Staatsschriften des späteren Mittelalters, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il Tractatus, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede Kay, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". Kay indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, Historie adversus Paganos, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. Furlan nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla Monarchia"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata Sine nomine 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della Monarchia dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).","un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Memoriale_de_prerogativa_Imperii_Romani(Alessandro_di_Roes),Memoriale de prerogativa Imperii Romani,Alessandro di Roes,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alessandro_di_Roes,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta Kay osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di singulari, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (Vinay, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (Nardi): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e Cassell, ma è usato anche da Pézard e dalla Gally 1993; Imbach, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). Vinay cita in questo luogo estesamente un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". Nardi, che legge il Memoriale nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli Staatsschriften des späteren Mittelalters, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il Tractatus, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede Kay, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". Kay indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, Historie adversus Paganos, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. Furlan nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla Monarchia"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata Sine nomine 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della Monarchia dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).",VI 22 6-8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta Kay osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di singulari, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (Vinay, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (Nardi): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e Cassell, ma è usato anche da Pézard e dalla Gally 1993; Imbach, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). Vinay cita in questo luogo estesamente un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". Nardi, che legge il Memoriale nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli Staatsschriften des späteren Mittelalters, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il Tractatus, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede Kay, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". Kay indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, Historie adversus Paganos, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. Furlan nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla Monarchia"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata Sine nomine 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della Monarchia dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).","bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino",CONCORDANZA GENERICA,,,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,CONCEPT +ET SI ROMANUM IMPERIUM DE IURE NON FUIT,"de iure (per ragione nel volgarizzamento ficiniano, p. 375; di ragione in quello dell’Anonimo) è, al solito, variamente tradotto dagli interpreti più recenti: di diritto, von Rechts, de droit, based on right, lawful, ecc. Canning 2011, pp. 68-9 e nota 20, scrive che Dante produced the extraordinary argument that for the atonement to be valid, Christ had to be condemned and punished by a judge appointed by legitimate, universal authority, namely the Emperor Tiberius [...]. This was a theologically idiosyncratic view to say the least: one which went against theological orthodoxy and was rapidly condenmned by his opponents, as for instance Guido Vernani showed. Dante of course considered that he had thereby produced an irrefutable argument in the emperor’s favour, but in this he seemed to have been alone. In this use of the Bible as sacred history he was going out on a limb far beyond the traditional providential view. Per gli stretti punti di contatto di questo passaggio con il Defensor pacis di Marsilio da Padova v. Garnett 2006, pp. 75-6. Scrive Nardi a commento, p. 430 (con riferimento a Remigio de’ Girolami, ed. Matteini 1958, pp. 108-9, e allo stesso Nardi 1966c, pp. 377-85): questo capitolo xi, conclusivo del secondo libro dantesco, ha fatto perdere addirittura la testa al “più antico oppositore politico” di Dante, che, appena enunciata la tesi dantesca, esclama: “Hic iste homo copiosissime deliravit et, ponendo os in celum, lingua eius transivit in terra [Ps., 72, 9]. Quis enim unquam tam turpiter erravit ut diceret quod pena debita pro peccato originali potestati alicuius terreni iudicis subiaceret?",Per gli stretti punti di contatto di questo passaggio con il Defensor pacis di Marsilio da Padova,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUM DICAT APOSTOLUS,"Eph 1, 5-8. La Vulgata ha in laudem gloriae gratiae suae invece di in laudem et gloriam gratie sue, e inoltre divitias gratiae eius in luogo di divitias glorie sue","Eph 1, 5-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’",ubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tractatus_de_maleficiis(Alberto_Gandino),Tractatus de maleficiis,Alberto Gandino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alberto_Gandino,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 47, 10, 1,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Inst. 4, 4, pr.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe iniuria, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce Gandino, Alberto, in DBI, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo de verborum significatione del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che iniuria, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo de iniuriis delle Istituzioni e del Digesto (Inst. 4, 4, pr. e Dig. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781). Vinay, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. Iniuria è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” Nardi, Pizzica 1988, Kay e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht Pézard, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, Imbach e Cassell; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +UNDE DICEBAT ILLE MOYSI,"Ex 2, 14: ""Quis te constituit principem et iudicem super nos?""","Ex 2, 14: Quis te constituit principem et iudicem super nos?",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ILLA PENA PUNITIO NON FUISSET,"Vinay, ricordando che il Vernani della Reprobatio (ed. Matteini 1958, p. 28) osserva ""che la sola cosa che conta è che Cristo abbia obbedito al Padre fino alla morte e alla morte in croce"" (come in Paolo, Ph 2, 8), giudica ""nuovo e paradossale nella sua forma l’argomento dantesco""; cita tuttavia un significativo passo del già menzionato Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück (ed. Grundmann, p. 14 = ed. Grundmann – Heimpel, pp. 97-8; cfr. sopra, II X 6): ""Dominus morte instante approbavit et honoravit romanum Imperium; dum enim Pylatus iactaret se de potestate quam habeet in Christum et diceret ei: ‘nescis quia potestatem habeo crucifigere et dimittere te?’ Dominus, ut dicit Iohannes, respondit: ‘non haberes ullam potestatem adversus me nisi datum esset tibi desuper’. Quod, secundum glosam, duobus modis exponitur. Uno modo sic: desuper, id est a Deo, quia non est potestas nisi a Deo; vel: desuper id est a Cesare, qui Pylatum prefecerat in presidem. Unde super verbis hiis ‘si hunc dimittis, non es amicus Cesaris’, dicit glosa: ‘Iudei terrent Pylatum a Cesare quem non potest ut auctorem sue potestatis contempnere’. Deus enim fuit auctor potestati Pylati primarius, Cesar autem fuit auctor sue potestatis secundarius. Secundum hunc posteriorem intellectum Dominus in verbis istis multum commendat romanum Imperium. Ostendit enim potestatem Cesaris aliis potestatibus mundanis preeminere et ipsas sub eo contineri. Quid est enim potestatem dari desuper nisi dari ab eo cuius supereminet potestas et alias potestates mundanas tamquam inferiores et minores sub se continet et includit?""","Ph 2, 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Philippians,Epistola ad Philippenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ILLA PENA PUNITIO NON FUISSET,"Vinay, ricordando che il Vernani della Reprobatio (ed. Matteini 1958, p. 28) osserva ""che la sola cosa che conta è che Cristo abbia obbedito al Padre fino alla morte e alla morte in croce"" (come in Paolo, Ph 2, 8), giudica ""nuovo e paradossale nella sua forma l’argomento dantesco""; cita tuttavia un significativo passo del già menzionato Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück (ed. Grundmann, p. 14 = ed. Grundmann – Heimpel, pp. 97-8; cfr. sopra, II X 6): ""Dominus morte instante approbavit et honoravit romanum Imperium; dum enim Pylatus iactaret se de potestate quam habeet in Christum et diceret ei: ‘nescis quia potestatem habeo crucifigere et dimittere te?’ Dominus, ut dicit Iohannes, respondit: ‘non haberes ullam potestatem adversus me nisi datum esset tibi desuper’. Quod, secundum glosam, duobus modis exponitur. Uno modo sic: desuper, id est a Deo, quia non est potestas nisi a Deo; vel: desuper id est a Cesare, qui Pylatum prefecerat in presidem. Unde super verbis hiis ‘si hunc dimittis, non es amicus Cesaris’, dicit glosa: ‘Iudei terrent Pylatum a Cesare quem non potest ut auctorem sue potestatis contempnere’. Deus enim fuit auctor potestati Pylati primarius, Cesar autem fuit auctor sue potestatis secundarius. Secundum hunc posteriorem intellectum Dominus in verbis istis multum commendat romanum Imperium. Ostendit enim potestatem Cesaris aliis potestatibus mundanis preeminere et ipsas sub eo contineri. Quid est enim potestatem dari desuper nisi dari ab eo cuius supereminet potestas et alias potestates mundanas tamquam inferiores et minores sub se continet et includit?""",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Memoriale_de_prerogativa_Imperii_Romani(Alessandro_di_Roes),Memoriale de prerogativa Imperii Romani,Alessandro di Roes,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alessandro_di_Roes,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +IUDEX ORDINARIUS,"sembrerebbe di cogliere qui un’assonanza con la definizione della giurisdizione ordinaria come giurisdizione “totale”, che si legge nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 21 (De officio et potestate iudicis delegati), § 1, p. 16: Ordinarius iudex est qui in ecclesiasticis ab Apostolico, in secularibus ab Imperatore totalem quandam habet iurisdictionem","I, 21 (De officio et potestate iudicis delegati), § 1, p. 16: Ordinarius iudex est qui in ecclesiasticis ab Apostolico, in secularibus ab Imperatore totalem quandam habet iurisdictionem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretalium(Bernardo_da_Pavia),Summa decretalium,Bernardo da Pavia,http://dbpedia.org/resource/Bernardus_Papiensis,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SICUT ET CAYPHAS ... DE CELESTI DECRETO,"è allusione alla profezia di Caifa in Io 11, 49-52: Unus autem ex ipsis Caiphas nomine, cum esset pontifex anni illius, dixit eis: Vos nescitis quidquam nec cogitatis quia expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo, et non tota gens pereat. Hoc autem a semetipso non dixit; sed, cum esset pontifex anni illius, prophetavit quod Iesus moriturus erat pro gente et non tantum pro gente, sed ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum. Cfr. Pietro Mazzamuto, Caifas, in ED, I, 1970, pp. 751-2. Rinviando a quanto già detto in Nardi 1966c, pp. 383-4, lo stesso Nardi sottolinea che a questo prophetavit di Caifa il Vernani non ha fatto attenzione. Dante invece costruisce la fine del secondo libro proprio su questa arcana parola","Io 11, 49-52",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT LUCAS IN EVANGELIO SUO TRADIT,"come Santo Lucha parla inel Vangielio suo (Anonimo); Ficino invece ha come parla Lucha nel suo Vangelio. Cfr. Lc 23, 11: Sprevit autem illum Herodes cum exercitu suo et illusit indutum veste alba, et remisit ad Pilatum. La variante in suo Euangelio è testimoniata dalla princeps K e da F; D T omettono suo","Lc 23, 11: Sprevit autem illum Herodes cum exercitu suo et illusit indutum veste alba, et remisit ad Pilatum",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +O AUSONIAM TE GLORIOSAM,"col virgiliano Ausonia (Aen. I 421-2) Dante indica qui l’intiera penisola italiana (cfr. Pd VIII 61-2: e quel corno d’Ausonia che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona). Cfr. Clara Kraus, Ausonia, in ED, I, 1970, p. 452. Kay nota che l’enfasi sull’Italia è relativa agli effetti della donazione di Costantino, che consegnava al pontefice romano tam palatium ... quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates. Così nella palea Constantinus del Decretum Gratiani: c. 14 [§ 6], D. XCVI (Friedberg, I, col. 344 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93), per la quale v. oltre, III X 1",Aen. I 421-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +O AUSONIAM TE GLORIOSAM,"col virgiliano Ausonia (Aen. I 421-2) Dante indica qui l’intiera penisola italiana (cfr. Pd VIII 61-2: e quel corno d’Ausonia che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona). Cfr. Clara Kraus, Ausonia, in ED, I, 1970, p. 452. Kay nota che l’enfasi sull’Italia è relativa agli effetti della donazione di Costantino, che consegnava al pontefice romano tam palatium ... quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates. Così nella palea Constantinus del Decretum Gratiani: c. 14 [§ 6], D. XCVI (Friedberg, I, col. 344 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93), per la quale v. oltre, III X 1","c. 14 [§ 6], D. XCVI",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CONCLUSIT ORA LEONUM ... QUIA CORAM EO IUSTITIA INVENTA EST IN ME,"Dn 6, 22 (ripetuto più oltre, III I 3). Per il solenne esergo con le parole di Daniele, da cui D. attinge la forza di dire la verità benché sappia che gli avversari l’attaccheranno: Dio proteggerà Dante, v. Vincent Truijen, Daniele, in ED, II, 1970, p. 303, e ora più in generale Cremascoli 2011, p. 40 e nota 40. Vinay avverte che neppure questa citazione biblica era nuova nella pubblicistica dei tempi di Dante, come esempio degli interventi miracolosi di Dio nel governo del mondo, e cita in proposito Egididio Romano, De ecclesiastica potestate, III 3, aggiungendo: Ma lo scopo di D. è diverso: egli dirà parole dure per gli uomini di chiesa, prima di scendere in lizza vuole perciò affermare solennemente la sua consapevolezza di difendere la causa della giustizia e della verità, la sua ferma decisione di difenderla ad ogni costo, la sua fiducia piena nel soccorso divino. Tutto il capitolo mantiene il tono sostenuto dell’inizio, preannunzia la solenne profezia di Cacciaguida (Par., XVII) e richiama la canzone Tre donne intorno al cor: siamo nell’atmosfera dei grandi canti della giustizia e della fierezza di D.. Stupisce perciò che lo stesso Vinay s’interroghi subito dopo sul motivo di tanta solennità. Furlan avverte che Ficino ha Io ò chiuso le bocche a’ lioni [...], curiosamente in prima persona; ma non c’è nulla di curioso nella prima persona, sia perché l’identificazione tra Daniele e Dante è qui implicita, sia perché sono diversi i codici ? che leggono conclusi (A2 D E M S U); più chiaro ancora il volgarizzameno dell’Anonimo, che esplicita la lezione del proprio codice: “Conclusi ora leonum. Chonclusi le bocche de’ leoni et non mi nociettero, però che inanzi a•llui la giustizia è trovata in me”. Se inoltre è vero, com’è vero, che anche il carattere pedissequo del volgarizzamento dell’Anonimo può essere rivelatore dei suoi rapporti con la tradizione manoscritta, si noterà la coincidenza con la lezione di D, che inverte iusticia est inventa (A2 legge inventa est iusticia). Né Ricci 1965 né Shaw 2009 registrano queste varianti; la sola lezione Conclusi è invece nell’apparato di Bertalot 1920, p. 73, con l’esclusione dei codici S U, a lui sconosciuti; e v. la Word Collation nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006)","Dn 6, 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 1, 18 e 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 5, 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 8, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Ps 7, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","12, 3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto Kay, quando riferisce l’ingrediens alla vicinanza del luogo ricordato con le Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. Vinay stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a Pv 1, 18 e 22 fino a Ps 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei Proverbi e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; Imbach rinvia più in generale a Pv 1 e 8, 3-11.","Pv 1 e 8, 3-11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PRECEPTOR MORUM PHYLOSOPHUS,"il comandatore de’ costumi, il Filosafo (Anonimo); el preceptore de’ costumi, Aristotile (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1096 a 14-7: Ma può sembrare meglio e doveroso, per salvaguardare la verità, anche sacrificare i sentimenti personali, dal momento che noi siam pure filosofi: pur essendoci care entrambe le cose, gli amici e la verità, è dovere morale preferire la verità. Cfr. Cv IV VIII 15: E da questo fallo si guardò quello maestro delli filosofi, Aristotile, nel principio dell’Etica quando dice: “Se due sono li amici, e l’uno è la verità, alla verità è da consentire”; Pd XVII 118-20: “e s’io al vero son timido amico, / temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico” (col commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 490); Ep XI [5] 11: Habeo preter hec preceptorem Phylosophum qui, cuncta moralia dogmatizans, amicis omnibus veritatem docuit preferendam; per Aristotele maestro di filosofia morale cfr. Cv IV VI 15",1096 a 14-7,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DE VERBIS DANIELIS PREMISSIS,"Dn 6, 22; cfr. sopra, III I 1","Dn 6, 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DIVINA POTENTIA CLIPEUS DEFENSORUM VERITATIS ASTRUITUR,"cfr. Pv 30, 5: Omnis sermo Dei ignitus, clipeus est sperantibus in se","Pv 30, 5: Omnis sermo Dei ignitus, clipeus est sperantibus in se",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IUXTA MONITIONEM PAULI FIDEI LORICAM INDUENS,"cfr. 1 Th 5, 8: Nos autem, qui diei sumus, sobrii simus induti loricam fidei et caritatis et galeam spem salutis","1 Th 5, 8: Nos autem, qui diei sumus, sobrii simus induti loricam fidei et caritatis et galeam spem salutis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_Timothy,Prima lettera a Timoteo,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN CALORE CARBONIS ILLIUS ... TETIGIT LABIA YSAIE,"cfr. Is 6, 6-9: Et volavit ad me unus de seraphim et in manu eius calculus, quem forcipe tulerat de altari, et tetigit os meum et dixit: Ecce tetigit hoc labia tua, et auferetur iniquitas tua, et peccatum tuum mundabitur: Et audivi vocem Domini dicentis: Quem mittam? et quis ibit nobis? Et dixi: Ecce ego, mitte me. Commenta felicemente Vinay: Siamo in piena atmosfera profetica. Isaia vede il Signore ed è tormentato al pensiero di averlo visto “pollutus labiis”, un serafino lo purifica con un carbone ardente e Dio lo manda al suo popolo. Nel momento di affrontare l’ultima battaglia con le armi della dialettica D. sogna in cuor suo una investitura soprannaturale: resiste all’invito di più alto volo e col cap. 2 il trattato torna al tono consueto, ma le pupille del “loico” sembrano appena rideste da un gran sogno di poesia","Is 6, 6-9",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Col 1, 13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Colossians,Epistola ad Colossenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Ps 76, 16,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Lc 1, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Lc 22, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. Col 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; Kay segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche Ps 76, 16, Lc 1, 5 e 22, 20, Ap 1, 5","Ap 1, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +INTER DUO LUMINARIA MAGNA VERSATUR,"Sulla soglia della terza e più scottante “questio”, D. anticipa il classico argomento guelfo dei due “luminari”. Nell’entusiasmo del prologo, scritto con tutta l’anima, dimentica l’impassibilità del ragionatore e nella stessa formulazione del problema ne propone la soluzione: “duo luminaria magna”, foggiata com’è la frase, ricorda più i “due soli” di Purg., XVI, 107 che il sole e la luna tradizionali (Vinay). Per la metafora politica del sole e della luna, tratta da Gn 1, 16 e forse già adombrata sopra, I XI 5, cfr. più avanti, III IV 2 e 17-22; III XVI 18; oltre che in Ep V [10] 30 (splendor minoris luminaris); VI [2] 8 (Cur apostolice monarchie similiter invidere non libet, ut si Delia geminatur in celo, geminetur et Delius?); XI [10] 21 (Romam urbem, nunc utroque lumine destitutam), con le voci Luna, di Marcello Aurigemma, in ED, III, 1971, pp. 732-4 e Sole, di Giorgio Stabile (Temi di simbologia solare in Dante) e di Emmanuel Poulle (Il pianeta sole), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4. Su questo punto – senz’altro il più noto e discusso del trattato – mi limito per ora a ricordare Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, con la revisione critica di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82)","Gn 1, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SICUT IN SUPERIORIBUS EST PERACTUM,"cfr. sopra, I II 4. Nardi vi sottolinea il richiamo al principium inquisitionis directivum di I III 2 (e cfr. II II 1), come radice dei “termini medi” [...], cioè degli argomenti da assumere per la determinazione di essa [ricerca], con rimando alle Summulae logicales di Pietro Ispano, IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6); concordano Pizzica 1988 e Kay, che allegano anche Aristotele, Analytica priora, 25 b 37 – 26 a 1, e Cassell Cfr. sopra, I III 1, con la voce di Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 676","IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +SICUT IN SUPERIORIBUS EST PERACTUM,"cfr. sopra, I II 4. Nardi vi sottolinea il richiamo al principium inquisitionis directivum di I III 2 (e cfr. II II 1), come radice dei “termini medi” [...], cioè degli argomenti da assumere per la determinazione di essa [ricerca], con rimando alle Summulae logicales di Pietro Ispano, IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6); concordano Pizzica 1988 e Kay, che allegano anche Aristotele, Analytica priora, 25 b 37 – 26 a 1, e Cassell Cfr. sopra, I III 1, con la voce di Alfonso Maierù, Principio, in ED, IV, 1973, pp. 676",25 b 37 – 26 a 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ILLUD QUOD NATURE ... DEUS NOLIT,"se Nardi si appella qui a Pietro Ispano, Summulae logicales, V 36, Vinay fa di questo passo (il principio che Dio non vuole quel che ripugna all’intenzione della natura) la spina dorsale del libro e non semplicemente una lustra logica per dare unità ad un discorso frammentario: In realtà si tratta di una presa di posizione assai meditata: “natura”, tutto sommato, vuol dire qui “ragione”. E fin qui bene; ma poi aggiunge, non senza qualche forzatura: affrontando il problema dei rapporti fra spirituale e temporale D. si sforza di ragionare filosoficamente rinunciando del tutto alla metafisica e all’autorità. Mentre nei primi due libri i “principia” sono effettivamente dei trampolini logico-metafisici, qui il “principium” si risolve in un metodo",V 36,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +CIRCULI QUADRATURAM,"cfr. Aristotele, Physica, 185 a 14-7 e Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8; con Cv II XIII 27 testé citato v. Pd XXXIII 133-6: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova",185 a 14-7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CIRCULI QUADRATURAM,"cfr. Aristotele, Physica, 185 a 14-7 e Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8; con Cv II XIII 27 testé citato v. Pd XXXIII 133-6: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova","Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +THEOLOGUS VERO,"cfr. Cv II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. Pd XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; Pd XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a Dn 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a Dn 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. Ap 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito Summa Theologiae, I, q. 92, a. 4, ad 2","Ap 5, 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Revelation,Apocalisse,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +THEOLOGUS VERO,"cfr. Cv II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. Pd XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; Pd XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a Dn 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a Dn 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. Ap 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito Summa Theologiae, I, q. 92, a. 4, ad 2","Dn 7, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +THEOLOGUS VERO,"cfr. Cv II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. Pd XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; Pd XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a Dn 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a Dn 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. Ap 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito Summa Theologiae, I, q. 92, a. 4, ad 2","I, q. 92, a. 4, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EGIPTIUS VERO CIVILITATEM SCITHARUM IGNORAT,"per gli Sciti v. sopra, I XIV 6 e II VIII 5-6, con la v. Sciti di Adolfo Cecilia, in ED, V, 1976, p. 81; sulla Scizia come esempio [...] che non si può disputare intorno a cose che non si conoscono v. la nota di M. Tavoni a VE I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, p. 1203; per il significato di civilitatem v. ancora la nota di Tavoni a VE I IX 4, ivi, p. 1220, e sopra, I, II, 8. Cfr. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1112 a 24-32: Ma neppure si delibera [...] intorno a ciò che avviene ora in un modo ora in un altro, come la siccità o la pioggia. Neppure intorno alle cose che avvengono per caso [...]. Ma neppure intorno a tutte le cose umane: ad esempio nessuno degli Spartani potrebbe deliberare sul modo migliore in cui gli Sciti potrebbero governarsi. Sembra dubitare della pertinenza di questo riferimento Pizzica 1988; il dubbio è tutt’altro che chiarito da Kay",1112 a 24-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +RATIONIS INTUITUM VOLUNTATE PREVOLANTIBUS,"Shaw 2009 dissente dalla correzione introdotta da Ricci 1965 ed elogiata dallo stesso Nardi come liberazione del testo da un grave errore (p. 438); e cfr. Pizzica 1988, che parla di motivi giustissimi; e Kay, che si limita a parlare di un’emendazione introdotta correctly; di una lezione messa a testo con piena ragione parla ancora Furlan, mentre nello stesso volume Martelli traduce allontandosi dalla lezione di Ricci per tornare a quella del Ficino e del cod. Trivulziano: Martelli 2004, pp. 635-6 nota 6). Ricci infatti legge rationis intuitu voluntatem prevolantibus contro tutti gli editori moderni, che appoggiandosi al Ficino e al codice Trivulziano, preferirono rationis intuitum voluntate credendo che qui Dante voglia accennare agli uomini che sottomettono la ragione al desiderio, mentre, al contrario, Dante avrebbe inteso distinguere qui, come in Cv I IV 3, due grandi categorie di uomini: quelli che vivono secondo ragione, da quelli – e sono i più – che vivono secondo il senso, e perciò si sarebbe riferito agli uomini nei quali, normalmente, la volontà è guidata dalla ragione; per gli altri ogni discorso è inutile (Ricci 1965, p. 226, con rimando a quel che Dante dice dei bruti sopra, I XII 5). La Shaw ha modificato il proprio parere (cfr. Shaw 2009, Introduzione, pp. 324-6) dietro le contestazioni di diversi studiosi (cfr. la v. Volontà di G. Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40: 1138; e Sasso 2002, p. 303 nota 13) e soprattutto dietro gli argomenti addotti da Falzone 2006. Scrive la Shaw: Le traduzioni medievali della sezione dell’Etica di Aristotele a cui le righe dantesche alludono chiaramente liberano la questione da ogni dubbio [...]. Il commento di Tommaso d’Aquino all’Etica [...] è altrettanto chiaro: “quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium” (con apporto ulteriore della Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 156, a. 1, Resp., dove sono divisi due tipi d’incontinentia: Uno modo, quando anima passionibus cedit antequam ratio consilietur: quae quidem vocatur irrefrenata incontinentia, vel praevolatio. Alio modo, quando non permanet homo in his quae consiliata sunt, eo quod debiliter est firmatus in eo quod ratio iudicavit: unde et haec incontinentia vocatur debilitas). Ancora una volta perciò T ha la lezione corretta [...] e anzi è l’unico testimone che così legge insieme alla traduzione di Ficino: Agli huomini che volano collo appitito innanzi alla consideratione della ragione (pp. 379-80); non molto dissimile il volgarizzamento dell’Anonimo: Li huomini che proponghono la volontà alla ragione. La princeps K ha intuitu con tutti i codici ? e uoluntatem con la maggior parte degli stessi (cfr. Renello 2011, p. 156)","“quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium”",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +RATIONIS INTUITUM VOLUNTATE PREVOLANTIBUS,"Shaw 2009 dissente dalla correzione introdotta da Ricci 1965 ed elogiata dallo stesso Nardi come liberazione del testo da un grave errore (p. 438); e cfr. Pizzica 1988, che parla di motivi giustissimi; e Kay, che si limita a parlare di un’emendazione introdotta correctly; di una lezione messa a testo con piena ragione parla ancora Furlan, mentre nello stesso volume Martelli traduce allontandosi dalla lezione di Ricci per tornare a quella del Ficino e del cod. Trivulziano: Martelli 2004, pp. 635-6 nota 6). Ricci infatti legge rationis intuitu voluntatem prevolantibus contro tutti gli editori moderni, che appoggiandosi al Ficino e al codice Trivulziano, preferirono rationis intuitum voluntate credendo che qui Dante voglia accennare agli uomini che sottomettono la ragione al desiderio, mentre, al contrario, Dante avrebbe inteso distinguere qui, come in Cv I IV 3, due grandi categorie di uomini: quelli che vivono secondo ragione, da quelli – e sono i più – che vivono secondo il senso, e perciò si sarebbe riferito agli uomini nei quali, normalmente, la volontà è guidata dalla ragione; per gli altri ogni discorso è inutile (Ricci 1965, p. 226, con rimando a quel che Dante dice dei bruti sopra, I XII 5). La Shaw ha modificato il proprio parere (cfr. Shaw 2009, Introduzione, pp. 324-6) dietro le contestazioni di diversi studiosi (cfr. la v. Volontà di G. Stabile, in ED, V, 1976, pp. 1134-40: 1138; e Sasso 2002, p. 303 nota 13) e soprattutto dietro gli argomenti addotti da Falzone 2006. Scrive la Shaw: Le traduzioni medievali della sezione dell’Etica di Aristotele a cui le righe dantesche alludono chiaramente liberano la questione da ogni dubbio [...]. Il commento di Tommaso d’Aquino all’Etica [...] è altrettanto chiaro: “quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium” (con apporto ulteriore della Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 156, a. 1, Resp., dove sono divisi due tipi d’incontinentia: Uno modo, quando anima passionibus cedit antequam ratio consilietur: quae quidem vocatur irrefrenata incontinentia, vel praevolatio. Alio modo, quando non permanet homo in his quae consiliata sunt, eo quod debiliter est firmatus in eo quod ratio iudicavit: unde et haec incontinentia vocatur debilitas). Ancora una volta perciò T ha la lezione corretta [...] e anzi è l’unico testimone che così legge insieme alla traduzione di Ficino: Agli huomini che volano collo appitito innanzi alla consideratione della ragione (pp. 379-80); non molto dissimile il volgarizzamento dell’Anonimo: Li huomini che proponghono la volontà alla ragione. La princeps K ha intuitu con tutti i codici ? e uoluntatem con la maggior parte degli stessi (cfr. Renello 2011, p. 156)","Ia-IIae, q. 156, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +EX PATRE DYABOLO SUNT,"cfr. Io 8, 44: Vos ex patre diabolo estis et desideria patris vestri vultis facere. Nardi commenta: Questa seconda categoria di avversari comprende certamente i “reges et principes in hoc unico concordantes: ut adversentur Domino suo et Uncto suo, romano principi” (Mon., II, i, 3-5); ma non sono i soli; dubbi sulla possibilità di estendere l’accusa agli scrittori regalisti esprime Vinay","Io 8, 44",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +TRADITIONES ECCLESIE,"a differenza della traduzione letterale dell’Anonimo, le tradizioni della chiesa, Ficino scrive e loro decreti; Furlan ha ragione di notare che Ficino traduce sempre traditiones con riferimento alla legislazione pontificia (più oltre in questo paragrafo, custitutione, e in III III 14-6, costitutioni, ordini, ordinatione; ma non c’è alcun bisogno di supporre che egli leggesse nel suo codice constitutiones, che la tradizione manoscritta non registra mai; vero è invece che di ecclesiasticas constitutiones parla Graziano nel dictum ante c. 1, D. XV, che Dante ha qui costantemente presente. Kay osserva che è Dante, e non il “protervo canonista”, ad identificare le “tradizioni della Chiesa” con le decretali in III III 14; perciò non sembra avere molto senso la discussione su cui ancora insiste Vinay, se si debba intendere tutta la tradizione ecclesiastica posteriore ai “concilia principalia” e ai Padri o la tradizione quale è espressa nelle Decretali, propendendo per la prima ipotesi, che cioè Dante abbia proposto e abbia risolto in modo radicale la questione di principio sulla “tradizione” in genere nel senso che tutte le “traditiones” scritte emananti dalla Chiesa non hanno alcuna autorità se non in quanto la mutuano dalla Bibbia, dalle deliberazioni dei “Concilia principalia” e dai Padri","dictum ante c. 1, D. XV",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT AIT PROPHETA,"cfr. Ps 110, 9: Redemptionem misit populo suo, mandavit in aeternum testamentum suum: sanctum et terribile nomen eius","Ps 110, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SUNT VENERANDA ILLA CONCILIA PRINCIPALIA,"Vinay rinvia alla Determinatio compendiosa, VIII, e nota giustamente che Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3, in cui sono escerpiti testi di Isidoro, Gregorio Magno e Gelasio I sull’autorità dei quattro concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. In ispecie il c. 2, D. XV recita: Sicut sancti euangelii quatuor libros, sic quatuor concilia suscipere et uenerari me fateor [...]; hec tota deuotione amplector, integerrima approbatione custodio, quia in his uelut in quadrato lapide sanctae fidei structura consurgit, et cuiuslibet uitae atque actionis norma existit (Friedberg, I, col. 35). Si noti che Giovanni Teutonico, nella Glossa ordinaria al dictum grazianeo posto innanzi ai tre canoni della distinctio XV, scrive: Hactenus tractavit magister de naturali iure: hic incipit tractare de iure canonico; assignat itaque rationem et originem ipsius, et ostendit quae opuscula recipiantur ab ecclesia, et quae non (glo. quoniam de iure naturali, dictum ante c. Canones, D. XV, in Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis, col. 52)","Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUNT VENERANDA ILLA CONCILIA PRINCIPALIA,"Vinay rinvia alla Determinatio compendiosa, VIII, e nota giustamente che Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3, in cui sono escerpiti testi di Isidoro, Gregorio Magno e Gelasio I sull’autorità dei quattro concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. In ispecie il c. 2, D. XV recita: Sicut sancti euangelii quatuor libros, sic quatuor concilia suscipere et uenerari me fateor [...]; hec tota deuotione amplector, integerrima approbatione custodio, quia in his uelut in quadrato lapide sanctae fidei structura consurgit, et cuiuslibet uitae atque actionis norma existit (Friedberg, I, col. 35). Si noti che Giovanni Teutonico, nella Glossa ordinaria al dictum grazianeo posto innanzi ai tre canoni della distinctio XV, scrive: Hactenus tractavit magister de naturali iure: hic incipit tractare de iure canonico; assignat itaque rationem et originem ipsius, et ostendit quae opuscula recipiantur ab ecclesia, et quae non (glo. quoniam de iure naturali, dictum ante c. Canones, D. XV, in Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis, col. 52)","il c. 2, D. XV",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UT MATHEUS TESTATUR,"cfr. Mt 28, 20; T ha Marcus (così anche poco oltre, III III 15)","Mt 28, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ET ALIORUM,"B L hanno Ieronimi et aliorum; il loro capostipite ripeteva con tutta probabilità mnemonicamente il dictum di Graziano ante c. Decretales (c. 1, D. XX), dov’è posto il problema della equiparazione delle decretali ai canoni conciliari e alla dottrina dei Padri ad esposizione della Scrittura: Unde nonnullorum Pontificum constitutis Augustini, Ieronimi atque aliorum tractatorum dicta eis videntur esse preferenda; simile lapsus in H, che legge Gregorii et aliorum",dictum di Graziano ante c. Decretales,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, Metaphysica, 981 a 30; 981 b 31-2. Nardi commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. Vinay avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato, insieme alla Summa contra Gentiles, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",981 a 30; 981 b 31-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, Metaphysica, 981 a 30; 981 b 31-2. Nardi commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. Vinay avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato, insieme alla Summa contra Gentiles, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, Metaphysica, 981 a 30; 981 b 31-2. Nardi commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. Vinay avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato, insieme alla Summa contra Gentiles, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",III 114,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SECUNDUM SCRIPTURAM GENESEOS,"è il luogo a ognuno noto di Gn 1, 16-8: Fecitque Deus duo luminaria magna: luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti, et stellas. Et posuit eas in firmamento caeli, ut lucerent super terram et praeessent diei ac nocti et dividerent lucem ac tenebras. Et vidit Deus quod esset bonum. Per la metafora politica del sole e della luna, forse già adombrata sopra, I XI 5 e III I 5 (ma v. Ep V [10] 30; VI [2] 8; XI [10] 21), e sviluppata più avanti, III IV 17-22 e III XVI 18, cfr. ancora le voci Luna, di Marcello Aurigemma, in ED, III, 1971, pp. 732-4 e Sole, di Giorgio Stabile (Temi di simbologia solare in Dante) e di Emmanuel Poulle (Il pianeta sole), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4, e più ampiamente Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, Vinay 1962, con le fondamentali note critiche di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82), e con nuova ed ampia analisi di Puletti 1989 e, più recentemente, di Cassell 2001 e Cassell, pp. 86-90, Quaglioni 2004e e 2005, e Ferrara 2005 e 2007","1, 16-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ALLEGORICE DICTA,"cfr. in generale la voce Allegoria di Jean Pépin, in ED, I, pp. 151-5, e per la Monarchia in particolare pp. 153-4. L’allegoria innocenziana, alla quale correntemente si rinvia (in ispecie alla decretale Solitae, inclusa nella Compilatio Tertia dello stesso pontefice nel 1210 [cap. 2, Comp. III, I, 21: QCA, p. 110] e quindi nel Liber Extra di Gregorio IX nel 1234 [cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8]), trova appiglio in una già consolidata tradizione esegetica intorno al libro della Genesi, dove la creazione del firmamentum è intesa come originaria costituzione dell’Ecclesia. Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro, ad Gn 1, 7, Allegorice, v. Firmamentum: Ecclesia (In universum Vetus et Novum Testamentum, I, f. 1vB)","cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ALLEGORICE DICTA,"cfr. in generale la voce Allegoria di Jean Pépin, in ED, I, pp. 151-5, e per la Monarchia in particolare pp. 153-4. L’allegoria innocenziana, alla quale correntemente si rinvia (in ispecie alla decretale Solitae, inclusa nella Compilatio Tertia dello stesso pontefice nel 1210 [cap. 2, Comp. III, I, 21: QCA, p. 110] e quindi nel Liber Extra di Gregorio IX nel 1234 [cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8]), trova appiglio in una già consolidata tradizione esegetica intorno al libro della Genesi, dove la creazione del firmamentum è intesa come originaria costituzione dell’Ecclesia. Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro, ad Gn 1, 7, Allegorice, v. Firmamentum: Ecclesia (In universum Vetus et Novum Testamentum, I, f. 1vB)",Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Postilla_super_Genesim(Ugo_di_San_Caro),Postilla super Genesim,Ugo di San Caro,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint-Cher,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale Solitae, De maioritate et obedientia (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’argumentum era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa principaliter et finaliter, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, I, n. 401, PL, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella Compilatio III apponendovi tranquillamente il dictum di Tolomeo nell’Almagesto (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al Liber Extra (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (Decretales D. Gregorii Papae IX., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’argumentum a perfezionamento nella sua diffusissima Summa sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (Summa Aurea, IV, Qui filii sint legitimi, § Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella Unam sanctam (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa Allocucio di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina Romani principes (cap. un., Clem., II, 9, De iureiurando: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. Cassell, p. 323, nota 307)","cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale Solitae, De maioritate et obedientia (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’argumentum era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa principaliter et finaliter, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, I, n. 401, PL, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella Compilatio III apponendovi tranquillamente il dictum di Tolomeo nell’Almagesto (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al Liber Extra (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (Decretales D. Gregorii Papae IX., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’argumentum a perfezionamento nella sua diffusissima Summa sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (Summa Aurea, IV, Qui filii sint legitimi, § Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella Unam sanctam (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa Allocucio di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina Romani principes (cap. un., Clem., II, 9, De iureiurando: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. Cassell, p. 323, nota 307)","cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale Solitae, De maioritate et obedientia (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’argumentum era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa principaliter et finaliter, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, I, n. 401, PL, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella Compilatio III apponendovi tranquillamente il dictum di Tolomeo nell’Almagesto (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al Liber Extra (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (Decretales D. Gregorii Papae IX., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’argumentum a perfezionamento nella sua diffusissima Summa sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [Auth., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (Summa Aurea, IV, Qui filii sint legitimi, § Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella Unam sanctam (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa Allocucio di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina Romani principes (cap. un., Clem., II, 9, De iureiurando: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. Cassell, p. 323, nota 307)",nella Clementina Romani principes,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_Septimus,Clementina Romani principes,Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +"QUOD, SICUT PHYLOSOPHO PLACET","che•ccome dicie Aristotile; Aristotele, De sophisticis elenchis, 176 b 29-35: Dal momento poi che la risoluzione corretta consiste nel rivelare la falsità di un sillogismo, indicando da quale domanda discende l’errore, e poiché d’altro canto un sillogismo si dice falso in due sensi (in un senso, se la conclusione dedotta è falsa, in un secondo senso, se il ragionamento appare come un sillogismo, pur non essendolo), sussisteranno dunque tanto la suddetta risoluzione, quanto la correzione del sillogismo apparente, la quale consiste nell’indicare la domanda, su cui si fonda l’apparenza del sillogismo. Imbach, p. 317, cita il commento di Tommaso, I, 22, n. 181: Contingit autem per aliquem syllogismus deceptionem accidere dupliciter: uno modo qui peccat in materia, procedens ex falsis; alio modo, quia peccat in forma, non servando debitam figuram et modum. Et est differentia inter hos modos duos: quia ille qui peccat in materia, syllogismus est, cum observentur omnia, quae ad formam syllogismi pertinent. Ille autem qui peccat in forma non est syllogismus, sed paralogysmus, idest apparens syllogismus","De sophisticis elenchis, 176 b 29-35",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +"QUOD, SICUT PHYLOSOPHO PLACET","che•ccome dicie Aristotile; Aristotele, De sophisticis elenchis, 176 b 29-35: Dal momento poi che la risoluzione corretta consiste nel rivelare la falsità di un sillogismo, indicando da quale domanda discende l’errore, e poiché d’altro canto un sillogismo si dice falso in due sensi (in un senso, se la conclusione dedotta è falsa, in un secondo senso, se il ragionamento appare come un sillogismo, pur non essendolo), sussisteranno dunque tanto la suddetta risoluzione, quanto la correzione del sillogismo apparente, la quale consiste nell’indicare la domanda, su cui si fonda l’apparenza del sillogismo. Imbach, p. 317, cita il commento di Tommaso, I, 22, n. 181: Contingit autem per aliquem syllogismus deceptionem accidere dupliciter: uno modo qui peccat in materia, procedens ex falsis; alio modo, quia peccat in forma, non servando debitam figuram et modum. Et est differentia inter hos modos duos: quia ille qui peccat in materia, syllogismus est, cum observentur omnia, quae ad formam syllogismi pertinent. Ille autem qui peccat in forma non est syllogismus, sed paralogysmus, idest apparens syllogismus","I, 22, n. 181",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_libri_Posteriorum_Analyticorum(Tommaso),Expositio libri Posteriorum Analyticorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +QUE DUO PHYLOSOPHUS OBICIEBAT,"e queste due cose apponeva Aristotile (Ficino); Aristotele, Physica, 186 a 6-8. Cfr. in generale Cv II I 13: Ancora, posto che possibile fosse, sarebbe inrazionale, cioè fuori d’ordine, e però con molta fatica e con molto errore si procederebbe. Onde, sì come dice lo Filosofo nel primo de la Fisica, la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che conoscemo non così bene: dico che la natura vuole, in quanto questa via di conoscere è in noi naturalmente innata; e più in particolare Pd XII 121-6: Vie più che ’ndarno da riva si parte, / perché non torna tal qual e’ si move, / chi pesca per lo vero e non ha l’arte. / E di ciò sono al mondo aperte prove / Parmenide, Melisso e Brisso e molti, / li quali andaro e non sapëan dove, con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 378, con ampio rinvio a questo luogo. Cfr. anche Clara Kraus, Melisso, in ED, III, 1971, pp. 885-6 e le voci di Giorgio Stabile, Parmenide, ivi, IV, pp. 311-4 e Brisso, ivi, I, 970, pp. 700-1",186 a 6-8,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (Vinay, con allegazione di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 1. a. 5). Imbach, p. 318, cita le Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum","IIa-IIae, q. 1. a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (Vinay, con allegazione di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 1. a. 5). Imbach, p. 318, cita le Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum","IIa-IIae, q. 1. a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (Vinay, con allegazione di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 1. a. 5). Imbach, p. 318, cita le Summulae logicales di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum",VII 16,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +AUGUSTINUS IN CIVITATE DEI,"Agostino, De civitate Dei, XVI 2. Scrive Puletti 1989, p. 252: La sottigliezza dell’Alighieri non deve destare stupore: tutti i teologi, soprattutto allorché scrivevano su problemi politici, insegnavano a togliere peso alle argomentazioni avversarie attraverso le pedanti diastinzioni logiche tipiche della scolastica, fossero esse a carattere filosofico o teologico (p. 252). Sull’importanza della citazione di Agostino da parte di Dante v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. XXXVII e Cremascoli 2011, p. 40 e nota 42. Rammenta questa stessa autorità Pietro Alighieri, nella terza redazione del suo Comentum super poema Comedie Dantis, nel proemio dell’Inferno",XVI 2,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +IDEM AIT IN DOCTRINA CRISTIANA,"Agostino, De doctrina Christiana, I 36. La princeps K e G hanno in libro de Doctrina Christiana; così anche l’Anonimo: ello medesimo Aghostino inello libro di “Dottrina Cristiana”; e così Ficino: esso ancora disse nel libro della “Dottrina cristiana",I 36,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_doctrina_christiana,De doctrina christiana,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DE ILLO QUI VULT ALIUD IN SCRIPTURIS SENTIRE QUAM ILLE QUI SCRIPSIT EAS DICIT,"che•cchi sente altrimenti nelle Scripture che•ccolui che•lle scripse (Ficino, p. 384); di quello, altro inelle Scritture sentire che quello che•lle scrisse, dicie (Anonimo). A dispetto della lunga e sprezzante nota di Ricci 1965, pp. 234-5, che la considera null’altro che un’erronea, arbitraria, saccente giunta, inserita da chi, per propria balordaggine non comprendendo il testo, credette necessario lavorare di congettura per guarire un passo che in effetti era sanissimo e non aveva alcun bisogno di cure, anch’io ho deciso di tornare alla lezione qui vult tramandata da D L M U, accolta da Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921 e arditamente propugnata da Nardi, pp. 446-8, ripresa parzialmente da Pizzica 1988 (che del qui vult salverebbe solo qui, concordandolo con dicit riferito a illo), riproposta da Imbach, p. 192 e p. 318, e, sia pure con l’avvertenza che the question must remain open, da Kay, ma non da Shaw 2009. Già tutta formulata in Ricci 1959, la soppressione suscitò la reazione, tanto curiosa e interessata quanto perplessa, di Capitani 1961 (poi in Capitani 1983, pp. 13-7), i cui dubbi, espressi in modo garbato ma pungente, riguardavano sia la mancanza di una chiara posizione stemmatica dei codici considerati deteriores, sia la struttura logica e grammaticale del testo proposto, sia – soprattutto – il suo rapporto con la fonte agostiniana, che male si riconosceva nella forma impersonale proposta da Ricci. Il quale nell’edizione del 1965 ripropose quasi parola per parola quanto esposto sei anni prima, confermando di ritenere ovvio nel latino classico e medievale l’uso delle proposizioni infinitive con valore neutro, accennando al suo critico senza degnarsi di farne il nome e facendo letterariamente spallucce (Che farci?). L’ed. Ricci 1965 legge pertanto idem ait in Doctrina Cristiana loquens de illo aliud in Scripturis sentire, intendendo illo come forma neutra, riferita a sentire usato in senso oggettivo e giungendo perfino a correggere puntigliosamente e pesantemente la traduzione proposta da Vinay: Il qui vult parve necessario a chi si ostinò nel credere che illo fosse maschile; invece è neutro, e si riferisce all’intera frase sentire in Scripturis aliud quam dicit ille qui scripsit eas: “parlando di quell’attribuire alla Scrittura un significato diverso da quello voluto da colui che l’ha scritta”. Non v’è errore, non v’è lacuna nel testo testimoniato dalla quasi totalità dei codici... (p. 235). Nardi, nel restituire il nome al critico di Ricci 1959, ne ripercorre gli argomenti, precisando: il testo agostiniano cui Dante si riferisce [...] dice: “Sed quisquis [var. si quis] in scripturis aliud sentit quam ille qui scripsit, illis non mentientibus fallitur”. Ma se Dante avesse avuto sotto gli occhi l’opera di sant’Agostino che cita, avrebbe avuto la certezza che quel quisquis e il sentit che segue danno alla frase un senso personale, al quale egli ritorna anche poco dopo (“ita fallitur” ecc.), e non si riesce a capire il senso impersonale che vorrebbe cavarne il Ricci [...], come gli obbietta O. Capitani [...]. “Quisquis in scripturis aliud sentit quam ille qui scripsit” non è certo reso fedelmente dalle parole della lezione attribuita a Dante: “loquens de illo aliud in Scripturis sentire quam ille qui scripsit eas”. Fedelmente Dante avrebbe riassunto il pensiero di Agostino se fra illo e aliud avesse inserito un semplice qui, e avesse lasciato stare sentit all’indicativo. Ma probabilmente, per maggior chiarezza, invece del semplice qui avrà messo un qui vult, e il vult lo ha obbligato a lasciare l’indicativo sentit per l’infinito: qui vult sentire: nel modo più semplice e naturale, senza il putiferio del de illo come neutro e di sentire come infinito campato in aria, che il Ricci ne ha tirato fuori... (pp. 447-8). Cassell, p. 324, nota 314 aderisce alla lezione delle edd. Ricci 1965 e Shaw 2009",in Doctrina Cristiana loquens de illo aliud in Scripturis sentire,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_doctrina_christiana,De doctrina christiana,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +PUBLICA IURA,"bene l’Anonimo: le publiche ragioni, e meglio ancora Ficino: le publiche costitutioni. Efficace ma anacronistico Vinay: lo stato, così come Nardi: pubbliche istituzioni, e più ancora Ronconi 1966: le leggi dello Stato; bene Pézard e Shaw 1996: les droits publics, public rights, e meglio ancora Kay e Cassell: public laws. Si ricordi che la summa divisio dettata nelle Istituzioni di Giustiniano dà del ius publicum la seguente definizione (Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3): publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, e con maggiore ampiezza nel Digesto (Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit","(Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PUBLICA IURA,"bene l’Anonimo: le publiche ragioni, e meglio ancora Ficino: le publiche costitutioni. Efficace ma anacronistico Vinay: lo stato, così come Nardi: pubbliche istituzioni, e più ancora Ronconi 1966: le leggi dello Stato; bene Pézard e Shaw 1996: les droits publics, public rights, e meglio ancora Kay e Cassell: public laws. Si ricordi che la summa divisio dettata nelle Istituzioni di Giustiniano dà del ius publicum la seguente definizione (Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3): publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, e con maggiore ampiezza nel Digesto (Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit","Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN SPIRITUM SANCTUM QUI LOQUITUR IN ILLIS,"per il significato di questa espressione come tipica del profetismo dantesco v. l’Introduzione di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, pp. XXXVI-VII; per Vinay il passo riecheggia la rampogna paolina in 1 Cor 1, 12: Hoc autem dico, quod unusquisque vestrum dicit: Ego quidem sum Pauli, ego autem Apollo, ego vero Cephae, ego autem Christi; e 2 Pt 1, 21: Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines","1 Cor 1, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UNICUS ... DICTATOR EST DEUS,"per dictator v. Uguccione, D 52, 6 (a dicto dictator, qui dictat), e per il suo uso in Dante cfr. VE II VI 4 e Pg XXIV 59; per la specificità del suo significato in questo luogo v. la nota di M. Tavoni a VE II VI 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1442, con riferimento a Mengaldo 1979, e Chiavacci Leonardi 1994, p. 712. Cfr. anche la voce Dittare di Bruno Basile, in ED, II, 1970, p. 520, con la voce Dittatore relativa a questo luogo, ivi, p. 521","D 52, 6 (a dicto dictator, qui dictat)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ACCIDENTIA QUEDAM IPSIUS HOMINIS,"I due “regimina” [...] non aggiungono o tolgono nulla alla essenza dell’uomo (Vinay, che allega Boezio, In Isagogen Prophyrii, I 16, dove “sostanziale” nella natura dell’uomo è solo l’elemento razionale, e dove si afferma che solo se perisse questo perirebbe anche la speciei substantia)","I 16, Porfirio nella traduzione di Boezio",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Isagoge,Isagogen Prophyrii,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/7111,WORK +PRODUCERE REMEDIA FUISSET OTIOSUM,"sull’assioma scolastico Deus et natura nil otiosum facit e sulla sua fonte in Aristotele, De caelo, 271 a 33, cfr. quanto annotato sopra, I III 3",271 a 33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ARGUMENTUM PECCABAT IN FORMA,"si deve notare la variante peccabit, attestata da T M, e che trova corrispondenza nel volgarizzamento di Ficino: l’argumento peccherà in forma (l’Anonimo ha la ragione pecchava inn-ella forma); peccat legge G. Sulla falsità del sillogismo in forma, quando cioè il ragionamento appare come sillogistico pur non essendolo (parasillogismo, sillogismo apparente), cfr. ampiamente sopra, III IV 4, con le ulteriori precisazioni in margine a questo luogo in Vinay, Nardi e Kay, che rinviano tutti alle Summulae logicales di Pietro Ispano (ed. de Rijk, p. 44)",rinviano tutti alle Summulae logicales di Pietro Ispano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +QUIA PREDICATUM IN CONCLUSIONE NON EST EXTREMITAS MAIORIS,"nel sillogismo, che necessariamente si compone di tre termini (cfr. Aristotele, Analytica priora, 41 b 36), il predicato nella conclusione deve coincidere con il termine estremo della premessa maggiore, diversamente non ci sarà un solo termine medio ma due, come nel caso contestato da Dante, e il sillogismo sarà falso (“apparente”) perché avrà quattro termini anziché tre",41 b 36,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DE LICTERA MOYSI,"Gn 29, 34-5. Sul mancato uso di questo argomento scritturale prima di Dante, sul suo disdegno da parte del Vernani e sulla sua successiva, modesta comparsa nella Summa de potestate ecclesiastica di Agostino Trionfo (I 7) v. Vinay, pp. 222-3 nota 2 (il quale però, benché parli sulla scorta di Chiappelli 1908, p. 30, salta a conclusioni infelici, sostenendo di ritrovare in ciò conferma che D. non aveva una conoscenza approfondita della pubblicistica del suo tempo); v. anche le osservazioni di Kay, con riferimento all’ipotesi formulata da Maccarrone 1955, p. 57, che cioè Dante abbia potuto avere esperienza dell’uso di tale argomento in some oral dispute (e cfr. quanto detto sopra a proposito dell’audiverim di III III 10)","Gn 29, 34-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +FIGURA HORUM DUORUM REGIMINUM,"cfr. sopra, III IV 3 e soprattutto III IV 16, sia per i duo regimina, sia per il valore di fingo / figura (v. ancora Uguccione, F 42, 7-8: Item a fingo hic figulus, idest ollarius, luti compositor, qui lutum confingit et redigit in aliquam formam; et hec figura –e; est figura hominis, forma nature, et accipitur figura multis modis quos diligentia lectoris distinguet; unde figuratus –a –um, et figuro –as et hinc verbalia)","F 42, 7-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ALIUD EST ESSE NUNTIUM SIVE MINISTRUM,"cfr. Uguccione, M 10, 17 e 21: Item a maior maius adverbium [...]. Et componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic magister –tri, quasi maior in statione, sicut minister, minor in statione [...]; quod autem dicitur magister, quasi magis doctus, ethimologia est; M 106, 10: Minor componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic minister, quasi minor in statione; vel minister dicitur quia officium debitum manibus exequatur","M 10, 17 e 21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ALIUD EST ESSE NUNTIUM SIVE MINISTRUM,"cfr. Uguccione, M 10, 17 e 21: Item a maior maius adverbium [...]. Et componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic magister –tri, quasi maior in statione, sicut minister, minor in statione [...]; quod autem dicitur magister, quasi magis doctus, ethimologia est; M 106, 10: Minor componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic minister, quasi minor in statione; vel minister dicitur quia officium debitum manibus exequatur","M 106, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +DE LICTERA MATHEI,"Mt 2, 10-11: ""Videntes autem stellam gavisi sunt gaudio magno valde et intrantes domum invenerunt puerum cum Maria matre eius et procidentes adoraverunt eum et, apertis thesauris suis, obtulerunt ei munera, aurum, tus et myrrham""","Mt 2, 10-11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","IIIa, q. 67, a. 5, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","IIIa, q. 64, a. 5, 1:",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Ia, q. 75, a. 1, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 54",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,,,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,,,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,CONCEPT +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,,,Duns Scotus,http://dbpedia.org/resource/Duns_Scotus,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 59",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 120",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 160, § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: Nichil est quod dare possit quod non habet. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in Cv IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della potestas baptizandi (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 67, a. 5, 1: Nullus enim dat quod non habet, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: nullus dat quod non habet); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del successor Petri), che sullo sfondo c’è il brocardo vicarius non dat vicarium (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della regula iuris posta in Dig. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in Dig. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; Dig. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; Dig. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto Dig. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 175, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NULLUS PRINCEPS SE IPSUM AUCTORIZARE POTEST,"nessuno prencipe può autorizare sé medesimo (Anonimo, pp. 200-1); nessuno prencipe può autorità a•ssé medesimo dare (Ficino). Vinay azzarda che l’affermazione abbia un fondamento teologico e non giuridico, e giunge a conclusioni del tutto inconferenti. Ma se è vero che la forma aforistica di questa sententia rimanda ad una massima giuridica, non vedo perché si debba lamentare che per essa non si trovi no precedent (Kay, p. 245 nota 11, che rinvia a Kay 1990, p. 266, nella convinzione che Dante probably coined it himself). Sicuramente Dante è un produttore di auctoritates, e pertanto invece di limitarsi a incastonare e glossare detti memorabili [...] egli ne produce dei suoi, e conferisce lo stesso piglio legislativo a tutti i suoi enunciati, come in un noto giudizio avverte Contini 1970, pp. 376-7 (cfr. in generale Ascoli 2008, e in particolare per il significato di auctoritas nella Monarchia pp. 240-63); tuttavia qui auctorizare ha ancora una volta il significato giuridico di “costituire in un diritto”, secondo il brocardo che vuole che sia auctor omnis a quo ius in nos transit, e più ancora il significato preciso di extollere ad dignitatem, di honorem assumere, proprio come nella formula nemo debet sibi honorem assumere del Liber Extra di Gregorio IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58), che a parer mio qui Dante ricalca e conforma al suo discorso. Sarà anche bene ricordare che così come nessuno può essere all’origine del suo potere, se non gli è conferito da un’autorità superiore, allo stesso modo nessuno può fondare la limitazione del suo potere; così Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 5, ad 3, quando ponendo la questione dell’indipendenza del princeps dai vincoli giuridici positivi, afferma che nullus cogitur a se ipso, cioè che nessuno può obbligare giuridicamente se stesso verso se stesso ed essere perciò principio di limitazione al suo stesso potere (cfr. Quaglioni 2004c, p. 26)","Ia-Iiae q. 96, a. 5, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NULLUS PRINCEPS SE IPSUM AUCTORIZARE POTEST,"nessuno prencipe può autorizare sé medesimo (Anonimo, pp. 200-1); nessuno prencipe può autorità a•ssé medesimo dare (Ficino). Vinay azzarda che l’affermazione abbia un fondamento teologico e non giuridico, e giunge a conclusioni del tutto inconferenti. Ma se è vero che la forma aforistica di questa sententia rimanda ad una massima giuridica, non vedo perché si debba lamentare che per essa non si trovi no precedent (Kay, p. 245 nota 11, che rinvia a Kay 1990, p. 266, nella convinzione che Dante probably coined it himself). Sicuramente Dante è un produttore di auctoritates, e pertanto invece di limitarsi a incastonare e glossare detti memorabili [...] egli ne produce dei suoi, e conferisce lo stesso piglio legislativo a tutti i suoi enunciati, come in un noto giudizio avverte Contini 1970, pp. 376-7 (cfr. in generale Ascoli 2008, e in particolare per il significato di auctoritas nella Monarchia pp. 240-63); tuttavia qui auctorizare ha ancora una volta il significato giuridico di “costituire in un diritto”, secondo il brocardo che vuole che sia auctor omnis a quo ius in nos transit, e più ancora il significato preciso di extollere ad dignitatem, di honorem assumere, proprio come nella formula nemo debet sibi honorem assumere del Liber Extra di Gregorio IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58), che a parer mio qui Dante ricalca e conforma al suo discorso. Sarà anche bene ricordare che così come nessuno può essere all’origine del suo potere, se non gli è conferito da un’autorità superiore, allo stesso modo nessuno può fondare la limitazione del suo potere; così Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 5, ad 3, quando ponendo la questione dell’indipendenza del princeps dai vincoli giuridici positivi, afferma che nullus cogitur a se ipso, cioè che nessuno può obbligare giuridicamente se stesso verso se stesso ed essere perciò principio di limitazione al suo stesso potere (cfr. Quaglioni 2004c, p. 26)","IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUBSTITUERE VICARIUM IN OMNIBUS EQUIVALENTEM,"la creazione di un sostituto di pari potere è perciò una absurditas, come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 160, § 2, ricordata qui sopra, III VII 7","Dig. 50, 17, 160, § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SIMILITER ET IOHANNIS,"cfr. Io 20, 21-3: Dixit ergo eis iterum: Pax vobis: sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Haec cum dixisset, insufflavit et dixit eis: Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis, retenta sunt","Io 20, 21-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SIGNUM UNIVERSALE,"cfr. Kay, p. 249 nota 9, che cita Pietro Ispano, Summulae logicales, I, 8 e XII, 2 (ed. de Rijk, pp. 4, 209)","I, 8 e XII, 2 (ed. de Rijk, pp. 4, 209)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi manente vinculo, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (Mr 10, 11; Lc 16, 18; Mt 19, 9 con l’eccezione della fornicatio) v. a commento Kay; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, Divorzio (Storia), in EDir, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, Separzione personale dei coniugi (Storia), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Mr 10, 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi manente vinculo, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (Mr 10, 11; Lc 16, 18; Mt 19, 9 con l’eccezione della fornicatio) v. a commento Kay; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, Divorzio (Storia), in EDir, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, Separzione personale dei coniugi (Storia), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Lc 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi manente vinculo, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (Mr 10, 11; Lc 16, 18; Mt 19, 9 con l’eccezione della fornicatio) v. a commento Kay; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, Divorzio (Storia), in EDir, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, Separzione personale dei coniugi (Storia), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Mt 19, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DECRETA IMPERII SIVE LEGES,"cfr. sopra, III VIII 3. Mi pare che anche in questo caso Dante ponga il problema nei termini generali ed astratti relativi alla pretesa di sovraordinare la norma canonica alle norme secolari, e la giurisdizione spirituale alla temporale, senza alcun necessario riferimento ad episodi lontani o receni. Cassell lega invece questo passo ancora una volta alla bolla Si fratrum di Giovanni XXII e alla sua revoca dei decreti imperiali di conferimento dei titoli vicariali, in particolar modo quello di Cangrande, conferito a vita da Enrico VII nel marzo del 1311. Di ciò sopra, II X 1, e nella mia Introduzione",Cassell lega invece questo passo ancora una volta alla bolla Si fratrum di Giovanni XXII,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_fratrum(Giovanni_XXII),Si fratrum,Giovanni XXII,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","Lc 22, 38",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa(Agostino_Trionfo),Summa de ecclesiastica potestate,Agostino Trionfo,http://dbpedia.org/resource/Augustinus_Triumphus,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Enrico da Cremona,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Enrico_da_Cremona,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Giovanni da Parigi,http://dbpedia.org/resource/John_of_Paris,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT +ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da Kay con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del Decretum Gratiani (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla Summa di Agostino Trionfo e alla Unam sanctam di Bonifacio VIII ( 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce Papato, in ED, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due potestates, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). Cassell ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Alano Anglico,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alano_Anglico,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT +UNDE LUCAS ... SUPERIUS SIC,"Lc 22, 7","Lc 22, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +VENIT AD HOC,"Lc 22, 35-36. Ficino e l’Anonimo traducono venne a questo, venne ad questo. Con la princeps K (ad hæc) e con i codici che leggono ad hec (A2 E P) consentono tutti i moderni editori fino a Ricci 1965, che confessa la difficoltà dichiarando d’intrupparsi con gli altri editori sperando in bene (p. 253); Shaw (a) 1995 adotta ad hoc, giudicando a ragione imperativa la sua scelta (Shaw 2009, Introduzione, p. 311); la rifiuta invece Kay","Lc 22, 35-36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SCRIBIT AUTEM MATHEUS,"Mt 16, 15-6","Mt 16, 15-6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ITEM SCRIBIT,"Mt 26, 33","Mt 26, 33",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CONTESTATUR MARCUS,"cfr. Mr 14, 29 e 31: Petrus autem ait illi: Etsi omnes scandalizati fuerint in te, sed non ego [...]. At ille amplius loquebatur: Et si oportuerit me simul commori tibi, non te negabo. Similiter autem et omnes dicebant","Mr 14, 29 e 31",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LUCAS VERO SCRIBIT,"Lc 22, 33","Lc 22, 33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Io 18, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Mt 26, 51",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Mr 14, 47",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"Io 18, 10; cfr. Mt 26, 51; Mr 14, 47; Lc 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella Unam sanctam di Bonifacio VIII (cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II 5) cfr. Vinay, riecheggiato da Kay (e cfr. sopra, III IX 1)","Lc 22, 50",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ETIAM IOHANNES,"Io 20, 6","Io 20, 6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DICIT ITERUM,"Io 21, 7","Io 21, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IN LAUDEM SUE PURITATIS CONTINUASSE,"""in laulde della sua purità avere narrate"" (Ficino); puritas è in genere tradotto ""purezza"", ""candore"", ""ingenuousness"" (Shaw 1996); preferisce ""schiettezza"" Nardi, e ""lack of sophistication"" Kay. Cfr. ancora Uguccione, P 124, 1-2: ""PURUS –a –um, mundus, liquidus, sine commixtione alicuius rei, immunis, innocens, expers, et comparatur –or –mus, unde pure –ius –me adverbium et hec puritas -tis"". Ad Uguccione, T 68, 30-1, si può ricorrere anche per il significato di continuo (“tenere insieme”, e dunque “elencare”): ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione"". Vinay si dilunga nella citazione di esempi del vocabolario tecnico del linguaggio aristotelico-scolastico (dietro di lui Kay)","P 124, 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +IN LAUDEM SUE PURITATIS CONTINUASSE,"""in laulde della sua purità avere narrate"" (Ficino); puritas è in genere tradotto ""purezza"", ""candore"", ""ingenuousness"" (Shaw 1996); preferisce ""schiettezza"" Nardi, e ""lack of sophistication"" Kay. Cfr. ancora Uguccione, P 124, 1-2: ""PURUS –a –um, mundus, liquidus, sine commixtione alicuius rei, immunis, innocens, expers, et comparatur –or –mus, unde pure –ius –me adverbium et hec puritas -tis"". Ad Uguccione, T 68, 30-1, si può ricorrere anche per il significato di continuo (“tenere insieme”, e dunque “elencare”): ""Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione"". Vinay si dilunga nella citazione di esempi del vocabolario tecnico del linguaggio aristotelico-scolastico (dietro di lui Kay)","T 68, 30-1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +QUOD DICEBAT LUCAS AD THEOPHILUM,"Ac 1, 1","Ac 1, 1",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +ADHUC QUIDAM,"K inverte quidam adhuc; i quidam genericamente evocati formano la larga schiera delle auctoritates e degli scrittori a sostegno del constitutum Constantini, così come Dante e i contemporanei potevano leggerlo, sia pure in forma di excerptum, nella palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5), esito di una tradizione che dagli Actus beati Sylvestri e dalle antiche collezioni canoniche giunge fino alla Legenda aurea di Iacopo da Varazze. Bene, a questo proposito, Kay, che ricorda che il testo del Constitutum, abbreviato nella palea grazianea, è il solo ad avere rilievo nella controversia (si aggiunga: non solo perché ivi depositato, ma soprattutto perché ivi “recepito” ed eretto a norma universale dell’utrumque ius, dell’ordine giuridico della cristianità). Superflua, da questo punto di vista, ogni residua considerazione (Pizzica 1988, p. 381 nota 2) della polemica intorno alla conoscenza “diretta” del testo da parte di Dante, a partire dai dubbi di Nardi 1942a, poi con aggiunte in Nardi 1944, pp. 109-59, in particolare pp. 144-7 (cfr. Vinay e Maccarrone 1955, p. 72), con le ulteriori note di Nardi 1992, p. 240, intese ad innalzare il tono della disputa col rifiuto di attribuire un ""carattere politico-giuridico"" alla confutazione di Dante (fino alla sconcertante dichiarazione, secondo la quale ""dal punto di vista politico e giuridico la Monarchia dantesca è cosa da far sorridere uomini che del governo degli stati e di diritti s’intendevano molto bene anche nel medio evo. La vera importanza della Monarchia è nella sua concezione filosofica e religiosa della vita""), salvo poi confondere il problema della autenticità della Donazione con quello della sua validità, tacciando Vinay di conoscere ""poco la storia del diritto medievale, specialmente del periodo del Barbarossa e di Accursio"", e scambiare la palea con ""una glossa del Paucapalea"" (Nardi, p. 475). Cfr. Horst Fuhrmann, Kostantinische Schenkung, in LexMA, V, 1999, coll. 1385-7, e per il testo critico del Constitutum Fuhrmann 1968. Per una ricostruzione dettagliata della vicenda normativo-dottrinale v. Laehr 1926 e 1931-32, quindi Maffei 1969, con amplissima bibliografia; e cfr. Maffei 1987, con ampie postille e note bibliografiche. Si veda in sintesi anche Fried 2007 e Vian 2004. Un punto non eludibile della critica storiografica è quello stabilito un trentennio fa da Capitani 1982, poi in Capitani 1983, pp. 83-114, in part. 90-112; cfr. anche Fenzi 200, p. 94 nota 93, a proposito della Donazione di Costantino nel pensiero di Dante nella ricerca di Cristaldi 2000, pp. 223-392.","nella palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +"CONSTANTINUS IMPERATOR, MUNDATUS A LEPRA","il passo dipende forse direttamente dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze (XII, pp. 83-5), come già sopra, II v 5 (ma v. anche Brunetto Latini, Tresor, I 87). Cfr. If XXVII 94-7: ""“Ma come Costantin chiese Silvestro / dentro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi per maestro / a guerir de la sua superba febbre”""; e a commento Chiavacci Leonardi 1991, p. 818 e p. 586 (per il parallelo If XIX 115-7: ""Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!""). Cfr. ancora Enzo Petrucci, Costantino, in ED, II, 1970, pp. 236-9, e Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 109-59).","XII, pp. 83-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Golden_Legend,Legenda aurea,Jacopo da Varazze,http://dbpedia.org/resource/Jacobus_de_Voragine,http://purl.org/bncf/tid/24527,WORK +"CONSTANTINUS IMPERATOR, MUNDATUS A LEPRA","il passo dipende forse direttamente dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze (XII, pp. 83-5), come già sopra, II v 5 (ma v. anche Brunetto Latini, Tresor, I 87). Cfr. If XXVII 94-7: ""“Ma come Costantin chiese Silvestro / dentro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi per maestro / a guerir de la sua superba febbre”""; e a commento Chiavacci Leonardi 1991, p. 818 e p. 586 (per il parallelo If XIX 115-7: ""Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!""). Cfr. ancora Enzo Petrucci, Costantino, in ED, II, 1970, pp. 236-9, e Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 109-59).",I 87,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +IMPERII SEDEM ... CUM MULTIS ALIIS DIGNITATIBUS,"""donò la sedia dello inperio, c[i]oè Roma, alla chiesa, con molte altre degnità d’inperio"" (Ficino); Vinay intende dignitates come ""prerogative imperiali"", seguito da Ronconi 1966, mentre ""diritti imperiali"" traduce Sanguineti 1985, ""imperial privileges"" Shaw 1996 e Cassell, ""dignities of the Empire"" Kay. Nel principio e nel § 6 della palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93) si può leggere: ""Constantinus inperator quarta die sui baptismi priuilegium Romanae ecclesiae Pontifici contulit, ut in toto orbe Romano sacerdotes ita hunc caput habeant, sicut iudices regem [...]. Unde ut pontificalis apex non uilescat, sed magis quam terreni inperii dignitas gloria et potentia decoretur, ecce tam palatium nostrum, ut predictum est, quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates, prefato beatissimo Pontifici nostro Syluestro uniuersali Papae contradimus atque relinquimus, et ab eo et a successoribus eius per hanc diualem nostram et pragmaticum constitutum decernimus disponenda, atque iuri sanctae Romanae ecclesiae concedimus permansura"". Oltre alla variante Romana donavi in T e nei codici A2 D G M H Z, è importante notare la lezione presente di seguito nel solo U (per le lectiones singulares del quale cfr. Shaw 1969 e Shaw 1991, pp. 285-6), che insieme alla palea Constantinus allega espressamente al modo dei giuristi la precedente e più sintetica palea Constantinus inperator coronam: è il solo caso in tutta la tradizione del trattato. Questa è la lezione di U, c. 52: quia coronam et et (sic) omnem Regiam dignitatem in urbe Romana et in Italia et in Italia (sic) et in partibus occidentalibus ut xcvi. di. c. coronam et c. Constantinus. Si deve infatti leggere così, e non già quia coronam et etonem, come si ha tanto nella Word Collation quanto nella funzione Image/Text nell’ed. elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006). Per evitare tale errore di lettura, dovuto al mancato avvertimento della duplicazione, nel codice U, di et davanti a o?3 (= omnem), sarebbe bastato uno sguardo al testo della palea (c. 13, D. XCVI: Friedberg, I, col. 342): ""Constantinus inperator coronam, et omnem regiam dignitatem in urbe Romana, et in Italia, et in partibus occidentalibus Apostolico concessit. Nam in gestis beati Sylvestri [...] ita legitur"".","Nel principio e nel § 6 della palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +EX QUO ARGUUNT ... CUIUS EAS ESSE DICUNT,"per Kay Dante seems to have had no particular writer in mind, poiché al tempo l’argumentum (in senso tecnico; v. Uguccione, A 307, 1, 3-4: ARGUO [...], idest convincere [...]. Item ab arguo hoc argumentum [...]; dicitur enim argumentum res ficta que tamen fieri potuit [...]. Dicitur etiam argumentum rei dubie probatio) era a commonplace, tale da render superfluo l’elenco dei suoi sostenitori, a cominciare da Placido di Nonantola e Onorio di Autun, fornito da Laehr 1926 e preso a base da Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 111-22). Opportunamente Vinay nota già che era stato Enrico VII, alla vigilia della sua incoronazione imperiale, a rinnovare specialiter et expresse la concessione dei privilegi contenuti nel Constitutum (de novo concedimus omnia privilegia Constantini: MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, n. 393, p. 344; e cfr. n. 454, p. 396 (11 ottobre 1310); v. Bowsky 1958, p. 56, e più in generale Bowsky 1960, Menache 1998","A 307, 1, 3-4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +NEMINI LICET EA FACERE ... CONTRA ILLUD OFFITIUM,"cfr. Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70. il principale argomento contro gli avversari è quello della contraddittorietà, e perciò dell’impossibilità, logica e giuridica, della validità dell’esecuzione in officio di atti ad esso contrari. L’enunciazione dantesca ha il tono e lo stile di un brocardo, di cui può facilmente ravvisarsi l’origine in luoghi del corpus giustinianeo già noti per risalenti indagini (cfr. Chiappelli 1908, p. 12), come ad esempio Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda; o come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872). Sul passo v. anche Lansing 1976","Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NEMINI LICET EA FACERE ... CONTRA ILLUD OFFITIUM,"cfr. Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70. il principale argomento contro gli avversari è quello della contraddittorietà, e perciò dell’impossibilità, logica e giuridica, della validità dell’esecuzione in officio di atti ad esso contrari. L’enunciazione dantesca ha il tono e lo stile di un brocardo, di cui può facilmente ravvisarsi l’origine in luoghi del corpus giustinianeo già noti per risalenti indagini (cfr. Chiappelli 1908, p. 12), come ad esempio Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda; o come nella regula iuris in Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872). Sul passo v. anche Lansing 1976","Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED CONTRA OFFITIUM DEPUTATUM IMPERATORI EST SCINDERE IMPERIUM,"ogni lacerazione dell’indivisibile unità dell’Impero, simboleggiata dalla tunica inconsutile del Cristo evocata sopra, I XVI 3 e qui poco più avanti, contraddice alla natura dell’Impero e allo stesso officio imperiale, che è quello del suo potenziale accrescimento. Bene qui Vinay, che nota che il ragionamento di Dante non è diverso da quello desunto dall’etimologia “augustus ab augeo”; e a questo proposito cfr. sopra, II XI 8, col richiamo alla glossa accursiana semper augustus al proemio delle Istituzioni di Giustiniano: Quia huius debet esse propositi quilibet imperator, semper ut augeat, licet hoc non semper faciat (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 2). All’etimologia anzidetta si appiglia lo stesso Accursio nella sua glossa conferens generi all’autentica Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la Novella giustinianea che afferma solennemente che sacerdotium e imperium procedono entrambi ex uno eodemque principio. La glossa, che costituisce la fonte autoritativa principale della confutazione dantesca, premesso il principio generale della separazione tra le due giurisdizioni, spirituale e temporale (ergo apparet quod nec papa in temporalibus nec imperator in spiritualibus se debeant immiscere), formula subito dopo la quaestio qui riproposta e la risolve, allegando come d’uso per primi gli argomenti che si vogliono confutare e solo in secondo luogo gli argomenti contrari, muniti gli uni e gli altri degli appigli autoritativi della tradizione giuridica: Nunquid habet ergo papa temporalem iurisdictionem in ijs qu? sunt imperij, quod Constantinus imperator donavit beato Silvestro Papæ? Videtur quod sic, licet immensa fuerit donatio, infra, titu. j. §. sinimus [Auth. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1]; præterea quod vult princeps, hoc est lex: ut ff. de const. prin. l. j. [Dig. 1, 4, 1]. Item sicut patrimonialia, ita imperialia donare potest, cum nulla sit differentia: ut C. de quadri. præscr. l. fi. in prin. [Cod. 7, 37, 3] econtra videtur quod non: quia tunc non esset Augustus dictus: ut in rubrica proœmij instit. [Inst. Prooem., De confirmatione Institutionum, pr.] Item imperare non potuit pari, idest imperatori venienti post se: ut ff. de arbi. l. nam magistratus [Dig. 4, 8, 4]. et ff. ad Treb. ille a quo. §. tempestivum [Dig. 36, 1, 13, § 4]. Item ne turbetur opus Dei si clerici intromittant se in temporalibus: ut C. de epis. et cle. l. placet [Cod. 1, 3, 17]. Item ne unus duorum officium habeat: ut ff. de pact. l. si plures [Dig. 2, 14, 9]; sed licet solutio facti ad nos non pertineat, solvimus quod de iure non valuit talis collatio sive donatio: ut infra eo. ti. §. [quae] igitur [Auth. Coll. I, 6, epil. = Nov. VI, epil.]. et C. de leg. et consti. l. digna in fi. [Cod. 1, 14, 4] et insti. qui. mo. test. infir. §. fi. [Inst. 2, 17, § 8]. nec ob[stat] infra tit. j. in prin. [Auth. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1] quia auxit honorem ecclesiæ quantum in eo fuit Constantinus vel in aliis: non autem in iurisdictione: quia sic posset totum imperium perire, ut dictum est (Volumen, col. 41). Sulla glossa conferens generi e sulla sua rigorosa coerenza alla concezione dualistica v. ampiamente Maffei 1965, pp. 66-8","Quia huius debet esse propositi quilibet imperator, semper ut augeat, licet hoc non semper faciat (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 2).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +HUMANUM GENUS UNI VELLE ET UNI NOLLE TENERE SUBIECTUM,"ad un volere et uno nonvolere tenere la humana generatione subg[i]ughata (Ficino), e similmente l’Anonimo: l’umana gienerazione ad uno volere et ad uno non volere tenerlo subgietto (p. 208). A tale formula si tengono stretti per lo più anche i moderni interpreti. Schiva la difficoltà della traduzione Vinay (ad una sola ed unica volontà); efficace Pizzica 1988, al volere positivo e negativo di uno solo, che però “copre” troppo la formula dantesca; meglio Ronconi 1966, sotto un’unica volontà che comanda e proibisce; Shaw 1996, to a single will (its commands and its prohibitions); Kay, to a single will or to a single prohibition; e Cassell, to a single will in choosing and refusing. Una tale dualità appartiene alla tradizione esegetica di Gn 2, 16-7, intorno alla duplicità del comando divino, positivo e negativo (comede, ne comedas; cfr. la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini). Lo stesso farà Bartolo nelle sue glosse alla costituzione Ad reprimendum di Enrico VII, ponendo nei duo praecepta facta primis duobus parentibus l’origine di ogni diritto positivo e dunque le due “briglie di ogni debita fedeltà” (v. sopra, I IV 2, e cfr. Quaglioni 1994a, pp. 390-1)","Gn 2, 16-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +HUMANUM GENUS UNI VELLE ET UNI NOLLE TENERE SUBIECTUM,"ad un volere et uno nonvolere tenere la humana generatione subg[i]ughata (Ficino), e similmente l’Anonimo: l’umana gienerazione ad uno volere et ad uno non volere tenerlo subgietto (p. 208). A tale formula si tengono stretti per lo più anche i moderni interpreti. Schiva la difficoltà della traduzione Vinay (ad una sola ed unica volontà); efficace Pizzica 1988, al volere positivo e negativo di uno solo, che però “copre” troppo la formula dantesca; meglio Ronconi 1966, sotto un’unica volontà che comanda e proibisce; Shaw 1996, to a single will (its commands and its prohibitions); Kay, to a single will or to a single prohibition; e Cassell, to a single will in choosing and refusing. Una tale dualità appartiene alla tradizione esegetica di Gn 2, 16-7, intorno alla duplicità del comando divino, positivo e negativo (comede, ne comedas; cfr. la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini). Lo stesso farà Bartolo nelle sue glosse alla costituzione Ad reprimendum di Enrico VII, ponendo nei duo praecepta facta primis duobus parentibus l’origine di ogni diritto positivo e dunque le due “briglie di ogni debita fedeltà” (v. sopra, I IV 2, e cfr. Quaglioni 1994a, pp. 390-1)","la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Postilla_super_Genesim(Ugo_di_San_Caro),Postilla super Genesim,Ugo di San Caro,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint-Cher,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. 1 Cor 3, 11; e inoltre Eph 2, 20 e 1 Pt 2, 6","1 Cor 3, 11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. 1 Cor 3, 11; e inoltre Eph 2, 20 e 1 Pt 2, 6","Eph 2, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. 1 Cor 3, 11; e inoltre Eph 2, 20 e 1 Pt 2, 6","1 Pt 2, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_of_Peter,Epistola Petri I,Pietro,http://dbpedia.org/resource/Saint_Peter,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IPSE EST PETRA SUPER QUAM HEDIFICATA EST ECCLESIA,"cfr. 1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus. Non sono sicuro che con questa allegazione Dante abbia voluto implicitamente negare l’interpretazione “ierocratica” di Mt 16, 18 (quia tu est Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam), come vuole Kay, ed è assai più probabile che qui si aderisca al significato fissato ad opera della Glossa ordinaria al luogo evangelico, ad v. petra: id est Christum in quem credis","1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +IPSE EST PETRA SUPER QUAM HEDIFICATA EST ECCLESIA,"cfr. 1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus. Non sono sicuro che con questa allegazione Dante abbia voluto implicitamente negare l’interpretazione “ierocratica” di Mt 16, 18 (quia tu est Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam), come vuole Kay, ed è assai più probabile che qui si aderisca al significato fissato ad opera della Glossa ordinaria al luogo evangelico, ad v. petra: id est Christum in quem credis","Glossa ordinaria al luogo evangelico Mt 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",nell’inizio stesso del Decretum di Graziano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","Ia-IIae, q. 95, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"".",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretalium(Bernardo_da_Pavia),Summa decretalium,Bernardo da Pavia,http://dbpedia.org/resource/Bernardus_Papiensis,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",sia nello stesso canone 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", Vinay equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del ius divinum. Ha perciò ragione Kay di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di ius humanum, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del Decretum di Graziano, sia nel dictum ante c. 1, D. I (""Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel dictum posto dopo il medesimo canone, che indica nella lex humana i ""mores ipso iure conscripti et traditi"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è lex ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di Furlan, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. Cassell), mentre Kay preferisce far seguire ius tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",nel dictum post canone 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IUXTA ILLUD CANTICUM,"Cn 8, 5. Lo stemma impone qui Canticum, conservato solo da K T (a meno di considerare la loro lezione come errore poligenetico: v. Favati 1970, pp. 10-2, che conclude affermando che ""il meno che si può fare è sospendere il giudizio di erroneità""; e cfr. p. 13 nota 35), contro varie lezioni, abbreviate e no, dei restanti testimoni, tra le quali Canticorum è tramandata da D G H M; Ficino ha ""secondo la “Canticha”"", che sembra condurre alla lezione iuxta canticam di E; l’Anonimo scrive ""secondo quello della Canticha"". Implicito il precedente richiamo, sopra, III iii 12; v. ancora Angelo Penna, Cantico dei Cantici, in ED, I, 1970, p. 793.","Cn 8, 5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SCINDERE IMPERIUM ESSET DESTRUERE IPSUM,"""Fondandosi sulle conclusioni del primo libro, D. riprende sostanzialmente l’argomento classico già ricordato dell’“Augustus ab augendo”"" (Vinay, che cita a questo proposito la Quaestio in utramque partem, mentre Dante qui ha ancora in mente l’accursiano ""quia sic posset totum imperium perire"" nella chiusa della glossa ""conferens generi"" alla Novella VI di Giustiniano, di cui v. sopra, III x 5).","mentre Dante qui ha ancora in mente l’accursiano ""quia sic posset totum imperium perire"" nella chiusa della glossa ""conferens generi"" alla Novella VI di Giustiniano",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +OMNIS IURISDICTIO PRIOR EST SUO IUDICE,"non c’è bisogno di dire che l’argomentazione è “più chiara” when put in modern American terms, for the Constitution is evidently prior to the president and other officials established thereby (Kay). Sono convinto che più che alle definizioni di stampo etimologico della tradizione scolastica (Chiappelli 1908, p. 14; Calasso 1953; Costa 1969, pp. 99-100) la formula dantesca si richiami al testo della costituzione Omnis iurisdictio del “buon Barbarossa” (Omnis iurisdictio et districtus apud principem est et omnes iudices a principe administrationem accipere debent et iuramentum prestare quale a lege constitutum est), una delle “leggi perdute” di Roncaglia che, non ancora espunta dalle raccolte feudistiche, poteva essere allegata da Jacques de Revigny nella sua Lectura Feudorum (ed. Pecorella 1956, dove però l’allegazione è stimata frutto di memoria erronea) prima di essere recuperata integralmente da Baldo degli Ubaldi alla fine del secolo XIV (Colorni 1967 e Colorni-Dolezalek 1969, Dilcher 2003, Quaglioni 2007a e 2008b). Cfr. quanto già notato sopra, I X 5 e II X 8",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Omnis_iurisdictio(Federico_ Barbarossa),Omnis iurisdictio,Federico Barbarossa,"http://dbpedia.org/resource/Frederick_I,_Holy_Roman_Emperor",http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SEQUERETUR QUOD ... POSSET ANNICHILARI,"corrisponde al quia sic posset totum imperium perire della glossa accursiana conferens generi (cfr. sopra, III X 5). Strettamente adesive le versioni di Ficino (anicchillare si potrebbe) e dell’Anonimo (si potrebbe annicchillare). Kay indica in Cv IV XXIX 11 una similarità esemplificativa. Cfr. ancora Pier Giorgio Ricci, Donazione di Costantino, in ED, II, 1970, pp. 569-70",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUM CONFERENS ... PER MODUM PATIENTIS,"prosegue l’esplicazione di quanto espresso in III X 4, e già specificato per la prima parte qui sopra nel paragrafo 11: se l’imperatore non poteva de iure alienare la minima parte della giurisdizione imperiale, la Chiesa non aveva de iure la facoltà di riceverla, perché la liceità di una donazione è soggetta al duplice requisito della dispositio conferentis (la facoltà di donare da parte del donante) e della dispositio eius cui confertur (l’idoneità a ricevere da parte del donatario). Mi sembra che Dante non interpreti la dispositio aristotelica in senso puramente soggettivo (la volontà del donante, la gratitudine nel donatario), ma nel senso prevalentemente oggettivo di facoltà e attitudine. Né poteva essergli estranea la conoscenza del principio giuridico espresso in Dig. 39, 5 (de donationibus), 9, per il quale non può esser donato se non ciò che può diventare proprietà del donatario: Donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur (Mommsen-Krüger, I, p. 608)","Dig. 39, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +CUM CONFERENS ... PER MODUM PATIENTIS,"prosegue l’esplicazione di quanto espresso in III X 4, e già specificato per la prima parte qui sopra nel paragrafo 11: se l’imperatore non poteva de iure alienare la minima parte della giurisdizione imperiale, la Chiesa non aveva de iure la facoltà di riceverla, perché la liceità di una donazione è soggetta al duplice requisito della dispositio conferentis (la facoltà di donare da parte del donante) e della dispositio eius cui confertur (l’idoneità a ricevere da parte del donatario). Mi sembra che Dante non interpreti la dispositio aristotelica in senso puramente soggettivo (la volontà del donante, la gratitudine nel donatario), ma nel senso prevalentemente oggettivo di facoltà e attitudine. Né poteva essergli estranea la conoscenza del principio giuridico espresso in Dig. 39, 5 (de donationibus), 9, per il quale non può esser donato se non ciò che può diventare proprietà del donatario: Donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur (Mommsen-Krüger, I, p. 608)",in quarto ad Nicomacum,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +UT PLACET PHYLOSOPHO IN QUARTO AD NICOMACUM,"come dicie Aristotile nella “Eticha” (Ficino); cfr. Ethica ad Nicomachum, 1120 a 14: Ed è chiaro che all’elargire ricchezze s’accompagna il far del bene e il compiere belle azioni, mentre all’acquisirne s’accompagna il ricever del bene e il non agir male","Ethica ad Nicomachum, 1120 a 14",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +DISPOSITIO,"v. Uguccione, P 107, 17: dispono –is, ordinare, dispensare","P 107, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +UT HABEMUS PER MATHEUM,"Mt 10, 9-10. Si veda in proposito l’ampia disamina di Puletti 1989, pp. 263-7, che ritiene che Dante interpreti il versetto evangelico in senso strettamente letterale, non ritenendolo dunque ""una metafora per indicare i beni temporali in genere"" (p. 266)","Mt 10, 9-10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER LUCAM,"ché se in Luca (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. ibid., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (Nardi)","Lc 9, 3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER LUCAM,"ché se in Luca (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. ibid., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (Nardi)","Lc 10, 4",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER LUCAM,"ché se in Luca (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. ibid., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (Nardi)","Lc 22, 35-6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PER MODUM POSSESSIONIS,"a titolo di possesso, qui (e non solo più sotto nell’ultimo paragrafo, come vuole Kay) nel significato strettamente giuridico del termine (un fatto – la detenzione della cosa con l’intenzione di tenerla per sé – da cui emanano dei diritti). L’esclusione della Chiesa dall’idoneità all’acquisto del possesso configura perciò la detenzione delle dignitates imperiali come una vitiosa possessio (cfr. Dig. 41, 2, 53: Mommsen Krüger, I, p. 656), difendibile solo contro gli extranei, ma non contro l'Impero stesso. In questo caso la traduzione (a titolo di proprietà) e il commento di Vinay raggiungono un notevole grado di confusione terminologica e concettuale","Dig. 41, 2, 53",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce Pauperum, in ED, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, Povertà, ivi, p. 629; Kay ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (Volumen, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel Rosarium di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del dispansator pauperum, che il Codice Giustiniano identifica con l’oeconomus ecclesiae (Cod. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476; v. inoltre il Decretum Gratiani, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle res ecclesiasticae ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per Vinay è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera Pézard nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","c. 13, C. XII, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce Pauperum, in ED, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, Povertà, ivi, p. 629; Kay ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (Volumen, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel Rosarium di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del dispansator pauperum, che il Codice Giustiniano identifica con l’oeconomus ecclesiae (Cod. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476; v. inoltre il Decretum Gratiani, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle res ecclesiasticae ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per Vinay è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera Pézard nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce Pauperum, in ED, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, Povertà, ivi, p. 629; Kay ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus (Auth. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (Volumen, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel Rosarium di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del dispansator pauperum, che il Codice Giustiniano identifica con l’oeconomus ecclesiae (Cod. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce Diritto romano in Dante di Filippo Cancelli, in ED, II, 1970, p. 476; v. inoltre il Decretum Gratiani, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle res ecclesiasticae ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per Vinay è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera Pézard nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rosarium(Guido_da_Baisio),Rosarium,Guido da Baisio,http://dbpedia.org/resource/Guido_de_Baysio,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ET IPSI ADVOCATI ECCLESIE SUNT ET DEBENT AB ECCLESIA ADVOCARI,"citando Chiappelli 1908, p. 36, Vinay ricorda che le scuole dei giuristi consideravano l’imperatore come advocatus Ecclesiae per la difesa dei beni materiali e dell’autorità morale, e scrive: Il concetto è riaffermato solennemente da Clemente V nella sua lettera del 26 luglio 1309 ad Arrigo VII: “sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)","“sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Divinae_Sapientiae(Clemente_V),Divinae Sapientiae,Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +USURPATIO ENIM IURIS NON FACIT IUS,"l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in Dig. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (Kay 1990, p. 266), Kay commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel Decretum di Graziano nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)","Dig. 1, 3, 15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +USURPATIO ENIM IURIS NON FACIT IUS,"l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in Dig. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (Kay 1990, p. 266), Kay commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel Decretum di Graziano nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)","nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740))",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +RATIONE VERO SIC ARGUUNT,"commenta Nardi: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’usurpatio iuris del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla Prima filosofia (per questa espressione cfr. Aristotele, Metaph., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e Conv., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a VE I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “Ratione vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica","VI, 1, 1026 a 24 [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +RATIONE VERO SIC ARGUUNT,"commenta Nardi: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’usurpatio iuris del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla Prima filosofia (per questa espressione cfr. Aristotele, Metaph., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e Conv., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a VE I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “Ratione vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica","XI, 4, 1061 b 30;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9",1052 b 18-9,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9",,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestiones_de_perfectione_evangelica(Bonaventura),Quaestiones de perfectione evangelica,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato de xpo (= de christo) in luogo di de decimo in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, Metaphysica, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al De perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in Imbach, Einleitung, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana Antiquorum habet, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’auctoritas in concedendo come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa l’unico capo del corpus mysticum della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto Nardi, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’Elementatio theologica di Proclo e la Metafisica di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da Kay, pp. 278-9","(glo. confitebuntur, ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Antiquorum_habet(Giovanni_Monaco),Glossa ad Antiquorum habet,Giovanni Monaco,http://dbpedia.org/resource/Jean_Lemoine,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +UNIUS GENERIS,"Nota Vinay che “genus” è usato qui nel senso improprio di “species” per non introdurre un termine nuovo, come in Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 18, a. 2, Resp.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus humanum genus totam humanam speciem","Ia-IIae, q. 18, a. 2, Resp.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus humanum genus totam humanam speciem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SUMMUS ANTISTES,"per antistes v. Uguccione, A 196, 4: et ab ante et sto fit hic et hec antistes –stitis, idest sacerdos quasi ante stans pro populo; e S 301, 45: Sto –as componitur hic et hec antistes –tis, idest sacerdos qui ante stat et orat pro plebe. La scelta del vocabolo non può essere casuale; l’Anonimo spiega: sommo antiste, cioè ponteficie; Ficino traduce direttamente sommo pontefice; così fanno anche tutti i moderni interpreti, con qualche sfumatura e poche eccezioni: Imbach traduce der Papst; più aderente al testo la versione Marcelli-Martelli 2004: il sommo Sacerdote","A 196, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +"ET REPONITUR SUB GENERE AD ALIQUID, SIVE RELATIONIS","Ficino traduce in breve: ""e riponsi sotto el predicamento della relatione""; l’Anonimo ha qui la stessa omissione per omeoteleuto che si trova in P. Il codice E legge illud; K e parte dei manoscritti β (D M P Ph S) hanno ad aliud. Giudicando ""impossibile [...] una scelta perentoria"", Ricci 1965 scrive che l’incertezza dei manoscritti ""deriva certo da un’abbreviazione ambigua di questo tipo: ad"" (effettivamente attestata in Ph), ma dichiara anche che ""è da aggiungere che nella terminologia scolastica l’equivalenza di relatio ad aliud e di relatio ad aliquid è perfetta e lo scambio continuo"". Imbach e Kay rimandano alla categoria di relazione (praedicamentum ad aliquid) definita da Aristotele, Categoriae, 6 a 36-7: ""‘Relative’ si dicono poi le nozioni, ciascuna delle quali, proprio ciò che è, in sé, si dice esserlo di qualcos’altro, o in qualsiasi altro modo viene riferita a qualcos’altro""","Categoriae, 6 a 36-7",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","Ia, q. 15, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo et è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una et piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione et ydea appartiene a K D T (et idea) G N, mentre Ph ha et ydeam e tutti gli altri codici leggono et ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce et ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard et si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","I 27, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +VEL ALIQUA SUBSTANTIA DEO INFERIOR,"Kay, p. 287 nota 26, suggerisce che la “sostanza a Dio sottostante” che Dante ha in mente sia il cielo del sole, moved by the order of angels called “Powers (Potestates)”, e aggiunge: In the Paradiso, Dante follows the astrologers in associating both fathers (including popes) and rulers with the heaven of the sun [...]. Aquinas suggests what the relation of superiority is that pope and emperor have in common: “Therefore, to the [angelic] order of Powers it belongs to regulate (ordinare) what is to be done by those who are subject to them (subditis), con rimando a Summa Theologica, Ia, q. 108, a. 3 e a Kay 1994, pp. 117-9. Cfr. in proposito Cassell","Ia, q. 108, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +AD FESTUM,"manca in Ficino (p. 401), e l’Anonimo equivoca traducendo alla festa; cfr. Ac 25, 10. Kay ricorda che Tolomeo da Lucca, nella sua continuazione del De regimine principum, III 5, fa già uso del luogo paolino per provare la legittimità dell’Impero di Roma (cfr. Maccarrone 1955, p. 101). Cfr. la voce Festo, Porcio di Clara Kraus, in ED, II, 1970, p. 847",III 5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PAULO DIXERIT PARUM POST,"Ac 27, 24","Ac 27, 24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PAULUS AD IUDEOS EXISTENTES IN YTALIA,"Ac 28, 19","Ac 28, 19",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CUPIO DISSOLVI ET ESSE CUM CRISTO,"è ancora una volta un luogo paolino: Ph 1, 23. Sull’importanza di questa serie di citazioni dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere di Paolo, quale fonte preziosa per Dante, v. la lunga nota di Nardi, pp. 488-90, e v. la voce Paolo di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, pp. 272-3","Ph 1, 23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Philippians,Epistola ad Philippenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +PRECIPIATUR LEVITIS,"Lv 11, 43. Cfr. la voce di Angelo Penna, Leviti, in ED, III, 1971, p. 636","Lv 11, 43",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Leviticus,Levitico,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +EX ILLIS PREVALENTIUM,"dalla maggiore parte (Anonimo, Ficino); se si tratti della maggioranza numerica o della parte qualitativamente prevalente o di entrambe (come abbiamo nell’espressione valenciorem [...] partem, considerata quantitate personarum et qualitate del quasi coevo Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63), non è facile dire; preferisce dei migliori fra essi Vinay; Nardi traduce quelli che eccellono fra di essi; Imbach der wichtigsten unter ihnen; Gally 1993 d’une élite d’entre eux; Shaw 1996 the most exceptional among them; invece Pézard du plus grand nombre; Ronconi 1966 e Sanguineti 1985 maggioranza; Kay their greater part; Cassell those in the majority. Ma qui non è certo in questione a vote or referendum of all mankind, come un po’ sopra le righe sembra intendere Cassell, che conclude: Note the tone of Dante’s puckish argument in allowing such a possibility – but it does give him the opportunity to wave a haughty dismissal of his stooping opponents with a flourish of tongue-in-cheek legalese!. Cfr. più oltre, III XIV 7, con la nota 18 di Kay, p. 300","I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +SUPER HANC PETRAM HEDIFICABO ECCLESIAM MEAM,"Mt 16, 18","Mt 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +OMNIS ... DIVINA LEX DUORUM TESTAMENTORUM GREMIO CONTINETUR,"senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra lex vetus e lex nova come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)","dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +OMNIS ... DIVINA LEX DUORUM TESTAMENTORUM GREMIO CONTINETUR,"senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra lex vetus e lex nova come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)","ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Numbers,Libro dei Numeri,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Deuteronomy,Deuteronomio,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in Pg XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde ad unguem a questo luogo, in cui remotos è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_ecclesiastica_potestate(Egidio_Romano),De ecclesiastica potestate,Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER EA QUE CRISTUS AD DISCIPULOS,"cfr. Mt 10, 9-10: Nolite possidere aurum neque argentum neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via neque duas tunicas neque calceamenta neque virgam; dignus enim est operarius cibo suo. Cfr. sopra, III X 14. Nardi respinge altri riferimenti proposti da Ricci 1965, e Kay nota ancora una volta che Dante tratta della sollicitudo temporalis in un governmental sense, as political responsibility rather than as a concern for wordly goods. Di diverso avviso Puletti 1989, che però della meditazione di Dante sottolinea la tendenza a privilegiare un’esegesi diversa rispetto a quella in voga al suo tempo, esegesi che testimonia una spiritualità nuova e un’esigenza di rinnovamento che non coinvolge solo le istituzioni politiche, ma che riguarda la coscienza (p. 271)","Mt 10, 9-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT HABETUR IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"""come dicie il Filosafo ine’ libri “De Semplici Ente”"" (Anonimo); ""secondo la “Metafisicha”"" (Ficino). Cfr. Aristotele, Metaphysica, 1049 b 24-7; e v. sopra, I XIII 3, col rimando a Cv IV X 8: ""Ove è da sapere che, sì come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un’altra, generasi di quella, essendo in quello essere""",1049 b 24-7;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +VEL PREVALENTIUM,"per Ficino e per l’Anonimo ""o della maggiore parte"", ""o della maggior parte"". Traduce ""o dei migliori"" Vinay; ""ou du plus grand nombre"" Pézard; ""o dei più eccellenti fra di essi"" Nardi; ""oder der wichtigsten Menschen"" Imbach; ""ou d’une élite"" Gally 1993; ""or of the most exceptional among them"" Shaw 1996; ""or of their prevailing part"" Kay. Kay si riferisce soprattutto a quanto già visto sopra, III XIV 1 e ricorda che l’espressione, usata qui da Dante in un senso molto vicino a quello di Marsilio da Padova, ha origine dalla traduzione di Guglielmo di Morbeke della Politica di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29)",traduzione di Guglielmo di Morbeke della Politica di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Inst. 1, 2, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla maior pars dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del ius gentium in diritto comune; v. Inst. 1, 2, § 1 e Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IPSE IN IOHANNE,"Io 13, 15","Io 13, 15",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +UT IN EODEM HABEMUS,"Io 21, 19","Io 21, 19",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CORAM PILATO ABNEGAVIT,"Io 18, 36. Nell’interpretazione di questa frase D. ripete quel che dicevano i teocratici salvo ad attribuire poi alle parole un significato preciso e impegnativo dal quale i suoi avversari rifuggivano (Vinay). Su questo luogo v. la voce Pilato, Ponzio di Angelo Penna, in ED, IV, 1973, p. 521","Io 18, 36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CUM PSALMISTA DICAT,"Ps 94, 5. La lezione Psalmista è di K + A2 E F G Ph V; tutti gli altri testimoni leggono psalmus (anche Ficino ha perché dicie el salmo così, mentre l’Anonimo scrive con ciò sia cosa che dicha il Salmista). Si è già fatto riferimento sopra, I XV 3, a quanto rileva Favati 1970, p. 11, circa le testimonianze equipollenti sul piano della documentazione codicologica in questo luogo","Ps 94, 5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ET ARIDAM,"la Vulgata ha et siccam, e non essendo attestata una variante aridam nella tradizione della Vulgata Kay suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et aridam manus eius fundaverunt, tanto nella versione del Breviarium Ambrosianum quanto in quella del Psalterium Romanum. Peraltro, arida appartiene al racconto della creazione, Gn 1, 9-10: ""Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat arida. Et factum est ita. E vocavit Deus aridam terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum""; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (yabbashāh), יַבֶּשֶׁת (yabbēshet): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (xerà), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente ""la terra"", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: ""e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche"". Cfr. anche le voci Salmista (Maurizio Dardano) e Salmo (Angelo Penna), in ED, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079","Gn 1, 9-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ET ARIDAM,"la Vulgata ha et siccam, e non essendo attestata una variante aridam nella tradizione della Vulgata Kay suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et aridam manus eius fundaverunt, tanto nella versione del Breviarium Ambrosianum quanto in quella del Psalterium Romanum. Peraltro, arida appartiene al racconto della creazione, Gn 1, 9-10: ""Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat arida. Et factum est ita. E vocavit Deus aridam terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum""; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (yabbashāh), יַבֶּשֶׁת (yabbēshet): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (xerà), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente ""la terra"", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: ""e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche"". Cfr. anche le voci Salmista (Maurizio Dardano) e Salmo (Angelo Penna), in ED, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",1107 a 28 – 1108 b 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",1139 a 14 – 1141 b 23,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (Nardi); cfr. Cv IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, Ethica ad Nicomachum, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5","Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")","A 103, 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ketuvim,Libri della scrittura,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Nevi'im,Libri dei profeti,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione Kay di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (Ketuvīm) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (Torāh), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (Navīm), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: Mon. 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già Vinay, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur agyographya –e, idest sancta scriptura, unde hic agyographus –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al Catholicon di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" Kay; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), Nardi (""scrittori ispirati""), Imbach (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e Cassell (""holy writers"")",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Catholicon_(book),Catholicon,Giovanni Balbi,http://dbpedia.org/resource/John_of_Genoa,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +SECUNDUM REVELATA HUMANUM GENUS PERDUCERET,"è ancora allusione all’autentica Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la già ricordata Novella giustinianea che afferma solennemente che sacerdotium e imperium procedono l’uno e l’altro, come maxima dona Dei, ""ex uno eodemque principio""; cfr. sopra, III X 5","Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN AREOLA ISTA MORTALIUM,"in questa areola, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono in arcula ista mortalium T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo aresco –scis inchoativum, quod componitur inaresco et exaresco; et ab aresco hec area –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur area quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec areola –e diminutivum. Vinay traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di Par., XXII, 151; l’“angustissimi mundi area” di Ep. VII, 4. (Cfr. Boezio, De consolatione, II, pr. 7); e v. la voce Aiuola, in ED, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [areola] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per Pd XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in Pd XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche Cassell e Scott 2010, p. 270 e nota 101","A 310, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +IN AREOLA ISTA MORTALIUM,"in questa areola, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono in arcula ista mortalium T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo aresco –scis inchoativum, quod componitur inaresco et exaresco; et ab aresco hec area –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur area quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec areola –e diminutivum. Vinay traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di Par., XXII, 151; l’“angustissimi mundi area” di Ep. VII, 4. (Cfr. Boezio, De consolatione, II, pr. 7); e v. la voce Aiuola, in ED, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [areola] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per Pd XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in Pd XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche Cassell e Scott 2010, p. 270 e nota 101","II, pr. 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SINE ULLO MEDIO,"""sanza nessuno mezzo"" (Anonimo); ""sanza mezo alcuno"" (Ficino). Scrive a commento Kay, che ricorda ancora una volta la principale fonte romanistica di Dante, cioè la Novella VI di Giustiniano: ""This is the conclusion of the proof positive in this chapter; it excludes both the pope and the electors"". Cfr. sopra, III XVI 13 e quanto ricordato a commento di III I 5",Novella VI di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +IN ARCE SUE SIMPLICITATIS UNITUS,"nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, Consolatio Philosophiae, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di arx Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec arx –cis pro roca, quia arceat hostem. Vinay traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; Nardi nella rocca; Imbach in der Höhe; Shaw 1996 e Kay in the citadel; ecc. Pézard, traducendo dans le fort château, propone di emendare unitus in munitus (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da Kay e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore monitus); cfr. anche Pézard 1967-79, II, pp. 160-5","IV, pr. VI, 8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +IN ARCE SUE SIMPLICITATIS UNITUS,"nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, Consolatio Philosophiae, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di arx Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec arx –cis pro roca, quia arceat hostem. Vinay traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; Nardi nella rocca; Imbach in der Höhe; Shaw 1996 e Kay in the citadel; ecc. Pézard, traducendo dans le fort château, propone di emendare unitus in munitus (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da Kay e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore monitus); cfr. anche Pézard 1967-79, II, pp. 160-5","A 308, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ILLA IGITUR REVERENTIA,"v. la voce Reverenza di Alessandro Niccoli, in ED, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la paternitas) rispetto a quella dell’imperatore (il dominium), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. Kay Cv I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e Cv IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il sacerdotium e l’imperium sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. Iuramentum Imperatoris (6 luglio 1313), in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione","P 17, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK +ILLA IGITUR REVERENTIA,"v. la voce Reverenza di Alessandro Niccoli, in ED, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a VE II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la paternitas) rispetto a quella dell’imperatore (il dominium), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. Kay Cv I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e Cv IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il sacerdotium e l’imperium sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. Iuramentum Imperatoris (6 luglio 1313), in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione","Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +QUA PRIMOGENITUS FILIUS DEBET UTI AD PATREM,"The crucial question, however, is whether filial reverence involves obedience. Dante’s answer is negative, for in the Convivio he considers reverence and obedience to be mutually exclusive. An adolescent son owes his father obedience (Conv. 4.24.14-15), but when the son reaches the age of discretion, which Dante takes to be twenty five, then he no longer needs to rely on paternal guidance, and his obedience is replaced by reverence towards his father, which is product of his discretion (Conv. 4.8.1). Accordingly, Dante is saying here that the emperor owes the pope reverence but not obedience (Kay). Che la filiale reverentia dantesca (confessione di debita subiezione) non possa essere interpretata semplicemente come una relazione potestativa in senso dominativo, è chiaro anche da quanto spiega Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 57, a. 4, distinguendo tra ius paternum e ius dominativum","IIa-IIae, q. 57, a. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK diff --git a/commentaries/data_parsed/monarchia_toannotate.csv b/commentaries/data_parsed/monarchia_toannotate.csv new file mode 100644 index 0000000..6e1d62d --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/monarchia_toannotate.csv @@ -0,0 +1,2540 @@ +start,end,match +24,38,incipit +69,96,Catilinae coniuratio +352,365,monita +407,425,Etymologiae +530,559,"Sallustio Crispo, Caio" +564,573,ED +108,121,Verità +126,135,ED +178,190,Vinay +260,271,quos +301,323,natura superior +560,569,Mn 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+3155,3173,principatus +3190,3220,Summa über das Decretum +3221,3236,Gratiani +3470,3485,imperium +3487,3505,principatus +3507,3520,regnum +3522,3537,dominium +3589,3610,Defensor Pacis +3627,3643,monarchia +3662,3680,principatus +3865,3895,De translatione Imperii +3915,3930,dominium +3939,3955,monarchia +3958,3970,Vinay +4084,4100,monarchia +4105,4133,De regimine civitatis +4136,4152,monarchia +19,29,Kay +55,67,Nardi +382,391,Cv +588,611,vera philosophia +740,768,De regimine Chistiano +74,86,Nardi +122,135,Imbach +469,478,Cv +598,608,Dig +686,701,maiestas +1245,1254,Cv +1365,1383,iurisdictio +110,122,Nardi +335,347,Vinay +551,575,Secondi Analitici +980,989,Cv +1056,1065,Pg +1091,1110,Proposizione +1139,1148,ED +1171,1181,Kay +1209,1225,Principio +1350,1363,Verità +1368,1377,ED +4,20,tractatus +77,95,quaestiones +160,177,inquisitio +369,391,per quaestiones +466,488,ordo iudiciorum +502,521,Inquisizione +526,535,ED +613,631,De officiis +647,664,inquisitio +687,699,Vinay +819,829,Kay +11,27,Speculare +51,60,ED +83,95,Vinay +578,590,Nardi +816,827,Conv +1071,1084,Logica +1113,1136,Summa Theologiae +1155,1166,Resp +1953,2008,intellectus practicus differt fine a speculativo +2029,2044,de Anima +245,257,Nardi +410,425,Politica +452,480,De regimine principum +581,602,Defensor Pacis +621,649,De regimine civitatis +708,721,Pézard +825,838,Imbach +852,862,Kay +44,56,Nardi +251,267,Principio +272,281,ED +305,318,Imbach +362,385,Summa Theologiae +404,415,Resp +1052,1063,Ibid +70,83,utilis +107,122,princeps +127,137,nel +188,209,ultimus utilis +445,457,Vinay +530,542,Nardi +560,570,del +626,639,Imbach +710,723,Imbach +746,787,la fin universelle du genre humain +849,867,universalis +891,907,civilitas +915,925,del +944,954,del +983,1021,finis totius humane civilitatis +1116,1125,Cv +1165,1191,imperiale maiestade +1504,1518,civiltà +1612,1626,civiltà +1627,1637,del +1654,1664,del +1752,1762,nel +1800,1810,del +1882,1908,imperiale maiestade +1954,1974,bonum commune +1989,1999,del +2002,2012,nel +2089,2101,Vinay +2249,2258,Mn +2275,2284,Ep +2400,2416,civilitas +2571,2581,del +2582,2625,De regimine principum ad regem Cypri +2722,2732,Kay +2765,2781,civilitas +2807,2822,politeia +2858,2867,VE +2876,2886,nel +3181,3191,del +3192,3220,De regimine principum +3240,3252,regno +3315,3327,domus +3336,3348,domus +3379,3395,vicinanze +3427,3441,cittade +3455,3473,circavicine +3523,3533,nel +3568,3580,regno +3791,3807,Monarchia +14,26,Nardi +49,76,Ethica ad Nicomachum +126,135,VE +205,214,Mn +232,246,vicinia +265,277,Vinay +423,435,Nardi +437,450,Imbach +517,533,vicinanza +537,546,Cv +680,696,vicinanza +791,807,vicinanza +1105,1120,Politica +1171,1186,Politica +1204,1213,ED +1371,1386,gradatio +1403,1419,Vicinanza +1424,1433,ED +1545,1557,domus +1566,1580,vicinia +1592,1606,civitas +1612,1625,regnum +1756,1773,De tyranno +274,284,Mon +574,586,Vinay +723,746,Summa Theologiae +764,775,Resp +50,71,Universalmente +76,85,ED +355,364,ED +50,71,Universalmente +76,85,ED +212,225,Natura +230,239,ED +324,349,scientia artificis +380,403,Summa Theologiae +421,432,Resp +548,573,scientia artificis +624,633,Cv +683,692,Cv +820,839,ius naturale +843,854,Inst +868,878,Dig +994,1024,Glossa ad Institutiones +1191,1200,Cv +1395,1404,VE +12,27,De caelo +126,179,cum Deus et natura in necessariis non deficiat +244,257,Natura +262,271,ED +320,334,otiosum +416,425,Mn +495,504,Cv +730,743,Natura +820,833,Natura +896,909,Pézard +920,929,Pd +1191,1205,Cassell +1261,1275,otiosum +1351,1374,De cælo et mundo +38,53,operatio +133,156,Summa Theologiae +174,185,Resp +396,411,operatio +60,72,Vinay +114,127,Pézard +193,206,Imbach +265,275,Kay +297,309,Nardi +493,520,Ethica ad Nicomachum +566,581,operatio +621,655,ultimum de potentia hominis +960,971,opus +976,991,operatio +1014,1066,esse apprehensivum per intellectum possibilem +1112,1127,Convivio +20,48,Compendium Theologiae +72,92,apprehensivum +120,133,Pézard +220,232,Vinay +403,412,Cv +812,840,Summa contra Gentiles +261,294,De reprobatione Monarchiae +311,324,Imbach +341,354,Imbach +382,397,quid est +775,788,quidem +799,814,quod est +987,1007,quid est sine +1023,1059,"quid est quod sunt, quod sine" +1134,1152,intelligere +1154,1169,quod est +1195,1207,Vinay +1436,1447,esse +1454,1472,intelligere +1531,1550,interpolatio +1610,1621,esse +1624,1642,intelligere +1672,1695,Summa Theologiae +2061,2079,intelligere +2211,2230,interpolatio +2378,2390,Vinay +2411,2421,Kay +2664,2679,quod est +2885,2904,interpolatio +2925,2934,Pd +2956,2968,Nardi +3024,3046,Liber de causis +3160,3172,Vinay +3293,3319,sine interpolatione +3395,3411,continuus +3435,3461,sine interpolatione +3493,3511,continuitas +3516,3531,continuo +3581,3599,continuatim +3644,3660,continuus +3661,3676,continue +3708,3723,continuo +3731,3749,continuatim +3762,3788,sine interpolatione +3821,3839,intelligere +3921,3937,continuus +3955,3983,Summa contra Gentiles +4218,4227,Cv +6034,6086,omnis substantia est propter suam operationem +6113,6131,Contra Gent +6313,6331,intelligere +6359,6390,De substantiis separatis +6444,6455,esse +6533,6544,esse +40,55,De anima +313,328,De anima +565,577,Vinay +186,213,Ethica ad Nicomachum +257,280,Summa Theologiae +446,461,Prudenza +486,495,ED +12,26,Physica +272,281,ED +386,395,Pg +137,160,Summa Theologiae +185,196,Resp +226,244,Metaphysica +258,267,Cv +316,328,Vinay +438,467,De regimine Christiano +698,728,Tractatus testimoniorum +733,753,Prudentia est +1183,1193,Dig +1303,1313,Dig +178,190,Vinay +232,252,tranquillitas +517,537,tranquillitas +561,571,pax +583,628,cum maiori fiducia sue tranquillitatis +639,681,in pacis universalis tranquillitate +1137,1147,pax +1150,1170,tranquillitas +1243,1263,tranquillitas +2079,2099,tranquillitas +8,36,iuxta illud psalmiste +145,154,Ps +173,183,Heb +211,220,Cv +380,390,Kay +433,442,Mn +11,20,Io +43,52,Mt +61,70,Lc +78,99,Pax huic domui +133,154,Defensor Pacis +264,273,Io +416,425,Mr +434,463,Pacem habete inter vos +552,561,Mt +627,648,Pax huic domui +784,793,Io +803,851,"Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis" +4,20,declarata +290,303,patens +331,343,Vinay +377,389,Nardi +420,430,Kay +53,65,Nardi +125,137,domus +184,199,Politica +320,330,Kay +615,630,Politica +648,660,Vinay +740,755,Famiglia +760,769,ED +863,872,VE +181,190,VE +345,365,Paterfamilias +407,427,Paterfamilias +479,494,Digestum +12,27,Politica +513,530,De tyranno +18,27,Od +54,69,Politica +132,141,Cv +255,267,Omero +272,281,ED +320,335,Politica +12,27,Politica +305,331,per se sufficientia +359,386,Ethica ad Nicomachum +411,425,civitas +469,492,Summa Theologiae +23,68,quando aliqua plura ordinantur ad unum +101,116,Politica +346,358,Vinay +114,132,Metaphysica +69,81,Vinay +197,206,Pd +322,334,Nardi +437,454,Metafisica +789,803,Cassell +887,899,among +926,940,between +220,243,Analitica Priora +262,289,Analitica Posteriora +325,342,Sillogismo +347,356,ED +376,386,Kay +448,473,Summulae logicales +546,555,Pd +9,84,ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum +175,198,Summa Theologiae +951,960,Cv +1056,1068,Nardi +18,41,Summa Theologiae +59,70,Resp +171,183,Vinay +221,249,Summa contra Gentiles +281,290,Cv +858,870,Nardi +912,924,Nardi +936,948,Nardi +1045,1057,Vinay +1101,1114,Pézard +1206,1219,Imbach +1269,1279,Kay +335,347,Vinay +387,415,Summa contra Gentiles +515,532,Intenzione +555,564,ED +15,24,Cv +202,225,Summa Theologiae +243,254,Resp +52,63,orma +96,105,Pd +145,156,orma +274,285,orma +426,442,vestigium +589,605,Monarchia +623,642,Introduzione +677,696,Breviloquium +837,853,vestigium +1258,1273,Vestigio +1278,1287,ED +33,56,Summa Theologiae +74,85,Resp +34,43,Cv +570,581,Conv +665,677,Nardi +753,765,Nardi +812,825,Imbach +27,39,Vinay +68,101,De ecclesiastica potestate +28,43,secundum +134,144,pħm +146,164,phylosophum +191,218,secundum phylosophum +407,420,Fisica +425,434,ED +525,549,De physico auditu +551,582,De physica consultatione +669,703,Lezioni intorno alla natura +706,718,Nardi +738,752,Physica +765,780,De anima +989,998,Pd +1117,1128,Rime +1369,1378,Cv +42,86,De legibus et consuetudinibus Angliae +235,245,Kay +304,314,Dig +333,343,Dig +466,476,Dig +672,683,Auth +891,904,Furlan +1013,1034,Compilatio III +1044,1059,III Comp +12,30,Metaphysica +86,95,Il +122,134,Omero +160,169,ED +221,231,ens +11,29,Rettitudine +34,43,ED +67,83,rectitudo +190,202,Nardi +361,370,Cv +475,520,Tre donne intorno al cor mi son venute +741,752,Rime +910,922,Vinay +1119,1128,Cv +1292,1310,Summa theol +1375,1391,rectitudo +1618,1634,rectitudo +1800,1813,regula +2119,2132,regula +2163,2190,Ethica ad Nicomachum +2320,2340,regula Lesbia +2445,2461,rectitudo +2477,2495,De veritate +2543,2561,Opera omnia +2652,2668,rectitudo +2866,2878,Nardi +2891,2901,Kay +2948,2971,Summa Theologiae +2989,3000,Resp +3046,3055,is +3133,3147,quality +3182,3195,virtue +3203,3212,is +3258,3271,virtue +3366,3380,quality +3390,3399,is +3516,3528,Vinay +38,67,Liber sex principiorum +243,275,Magister Sex Principiorum +279,288,ED +316,330,Cassell +349,362,corpus +401,418,curriculum +425,440,artistae +459,469,Kay +595,607,Nardi +645,677,Magister Sex Principiorum +688,700,recte +735,757,huiusmodi forme +947,979,Magister Sex Principiorum +1170,1193,in suo abstracto +1286,1312,quibus concernuntur +1317,1332,concerno +1353,1368,concrevi +1381,1397,concretum +1407,1423,concresco +1433,1451,in concreto +1589,1604,Suggetto +1609,1618,ED +1712,1728,concretum +3,18,princeps +27,50,huius qualitatis +52,75,huius qualitates +109,142,in subiectis de contrariis +241,258,Categoriae +342,365,Summa Theologiae +389,434,Utrum habitus augeantur per additionem +450,485,Utrum habitus possit diminui +501,548,Utrum virtus possit esse maior vel minor +12,29,Categoriae +23,46,Summa Theologiae +12,39,Ethica ad Nicomachum +98,114,Melanippe +179,202,Summa Theologiae +228,239,Resp +469,481,Ethic +633,646,Espero +683,695,Etica +715,724,ED +140,167,Ethica ad Nicomachum +435,446,Inst +463,473,Dig +685,715,Diritto romano in Dante +740,749,ED +787,810,Summa Theologiae +834,851,Sed contra +908,969,habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta +987,999,Ethic +1040,1063,Summa Theologiae +1082,1123,Utrum convenienter definiatur quod +25,37,Vinay +51,67,cupiditas +227,250,Summa Theologiae +274,285,Resp +368,377,Cv +1013,1026,initia +1035,1055,corpora iuris +1101,1119,dictum ante +1207,1216,Mt +1328,1339,Inst +1353,1363,Dig +1433,1455,praecepta iuris +1621,1636,Decretum +1744,1755,Inst +1771,1801,Glossa ad Institutiones +2008,2026,Liber Extra +2051,2067,cupiditas +5,14,Cv +122,145,Summa Theologiae +230,242,Nardi +244,257,Furlan +316,331,adfectus +482,499,passionare +513,525,Vinay +816,826,Kay +912,929,passionare +1121,1136,Decretum +1231,1253,amore iustitiae +1341,1357,cupiditas +77,104,Ethica ad Nicomachum +270,282,Nardi +295,318,Summa Theologiae +344,387,Utrum iustitia sit semper ad alterum +390,401,Resp +456,468,Vinay +57,72,princeps +147,165,sillogismus +315,329,Cassell +518,539,Prosillogismus +544,553,ED +591,614,Analytica priora +651,663,Nardi +12,35,Analytica priora +263,293,trascura la sua cultura +300,330,trascura la sua cultura +508,517,PL +539,551,Vinay +192,217,ab omni cupiditate +321,330,If +388,404,cupiditas +407,418,1 Tm +476,492,cupiditas +602,625,Summa Theologiae +658,674,cupiditas +759,798,Doglia mi reca nello core ardire +800,811,Rime +859,871,Vinay +924,953,De regimine christiano +15,42,Ethica ad Nicomachum +169,182,avarus +185,197,Nardi +79,95,Rhetorica +1112,1140,De regimine principum +1204,1227,Summa Theologiae +1311,1324,Rhetor +2295,2307,Nardi +2350,2361,Inst +2370,2380,Dig +2392,2402,Dig +257,284,Ethica ad Nicomachum +519,531,Nardi +545,555,Kay +817,837,Bene a Zenone +850,886,De quadriennii praescriptione +911,921,Cod +1124,1133,Cv +2133,2153,dominus mundi +2301,2315,Bulgaro +2402,2421,iura regalia +2509,2543,dominium quoad proprietatem +2555,2582,quoad iurisdictionem +2684,2700,Novellino +2715,2729,Bulgaro +2755,2765,Dig +3005,3019,Bulgaro +3099,3121,dominatus mundi +3263,3281,iurisdictio +3437,3451,Bulgaro +3474,3484,DBI +75,84,Ep +165,175,Aen +242,255,Oceano +300,313,Oceano +336,345,ED +411,429,iurisdictio +493,566,De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus +568,579,Auth +801,821,dominus mundi +887,917,de lege Rhodia de iactu +919,929,Dig +50,73,Summa Theologiae +98,109,Resp +171,208,natura passivorum et activorum +278,291,Fisica +304,325,De Generatione +328,339,Conv +357,368,ibid +389,402,agente +408,423,paziente +444,459,contatto +558,569,Conv +585,597,Nardi +22,38,De Causis +43,52,ED +92,114,Liber de causis +78,92,Libertà +97,106,ED +231,243,Vinay +314,323,Cv +551,569,Metaphysica +795,810,libertas +1160,1170,Dig +5,14,Cv +90,100,Kay +251,261,Dig +270,317,de rebus auctoritate iudicis possidendis +355,365,Dig +374,395,de legatis III +444,456,Vinay +472,481,Pg +885,900,Arbitrio +928,937,ED +154,173,de voluntate +201,231,Consolatio Philosophiae +499,511,Vinay +991,1010,de voluntate +1066,1085,de voluntate +1209,1221,multi +1364,1376,multi +1435,1452,Sententiae +1549,1568,de voluntate +1697,1716,de voluntate +2065,2078,Pézard +2171,2183,Vinay +2536,2550,Volontà +2574,2583,ED +131,145,Volontà +150,159,ED +692,710,Summa theol +933,945,Vinay +1007,1016,Pg +1047,1062,Sustanza +1085,1094,ED +11,26,ad celos +41,51,Kay +108,131,Summa Theologiae +182,193,Resp +43,52,Pd +638,652,initium +806,820,Cassell +870,916,De statu interioris hominis post lapsum +929,938,PL +972,1011,De eruditione hominis interioris +4069,4078,Pd +314,326,Nardi +143,158,Politica +5,20,servitus +69,97,De regimine civitatis +150,169,regula iuris +173,183,Dig +232,246,Cassell +46,58,Nardi +118,129,bene +132,144,recte +168,185,politizant +219,246,oblique politizantes +260,272,Nardi +324,336,Nardi +349,361,Vinay +437,447,Pol +498,519,Defensor pacis +693,708,Politica +729,743,Cassell +53,68,Politica +97,125,De regimine principum +213,240,Ethica ad Nicomachum +397,412,Politica +434,450,Politicae +560,573,Imbach +623,638,Politica +731,740,VE +1024,1033,VE +1400,1412,Vinay +1446,1459,Pézard +1589,1601,Nardi +1643,1656,Imbach +1728,1738,Kay +6,19,gentem +365,388,Summa Theologiae +417,440,Tolomeo da Lucca +465,493,De regimine principum +579,602,Tolomeo da Lucca +607,616,ED +22,32,Kay +57,83,servus servorum Dei +135,160,servus apostolorum +388,410,minister omnium +466,478,Vinay +704,726,minister omnium +857,866,Rm +888,916,De regimine principum +952,971,Policraticus +21,35,Cassell +44,56,Vinay +59,69,Kay +91,104,potest +208,231,Summa Theologiae +307,320,potest +536,548,Ethic +42,69,Ethica ad Nicomachum +74,92,Metaphysica +169,186,Metafisica +209,218,Cv +500,514,Cassell +110,125,Giacobbe +209,224,Giacobbe +395,410,Giacobbe +481,493,Vinay +495,511,potuerunt +516,535,persuaserunt +568,580,Nardi +618,633,Giacobbe +662,671,ED +763,786,Contra mendacium +52,79,Ethica ad Nicomachum +696,714,Summa theol +738,750,Vinay +753,763,Kay +819,828,Cv +894,903,Vn +993,1006,Verità +1011,1020,ED +67,90,Summa Theologiae +114,125,Resp +315,329,Volontà +353,362,ED +254,264,Dig +315,333,ius commune +432,444,Nardi +462,474,Vinay +491,504,Pézard +573,589,correctio +738,753,princeps +813,830,directione +156,168,Nardi +198,217,Introduzione +282,297,intra se +339,351,intra +507,526,Introduzione +723,742,proprietates +774,789,intra se +864,876,intra +879,891,inter +940,952,Nardi +1144,1163,iura propria +1212,1226,populus +1244,1264,iura communia +1372,1382,Dig +1390,1416,de iustitia et iure +1577,1591,populus +1734,1746,inter +1884,1903,proprietates +1967,2002,"nationes, regna et civitates" +2003,2018,inter se +146,170,Decretum Gratiani +183,201,Etymologiae +409,432,Summa Theologiae +456,527,Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat +534,601,Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum +657,667,Kay +4,16,Sciti +184,198,Scithia +401,410,VE +472,484,Sciti +507,516,ED +553,580,Sintaxis Mathematica +593,620,Liber Quadripartitus +638,671,Historiae adversus Paganos +703,721,Etymologiae +780,811,Liber de aggregationibus +842,866,De natura locorum +23,32,VE +157,166,Cv +178,187,Pd +212,224,clima +22,31,Cv +47,60,Imbach +63,73,Kay +118,141,Summa Theologiae +680,689,Dt +215,227,Vinay +279,292,Pézard +419,429,Kay +460,483,Summa Theologiae +834,847,Imbach +888,905,Sententiae +940,958,De veritate +21,36,princeps +90,103,primum +258,275,Categoriae +717,742,Summulae logicales +195,207,Nardi +281,299,Metaphysica +394,407,Pézard +436,449,Imbach +464,474,Kay +616,646,Consolatio Philosophiae +7,19,Vinay +174,192,Summa theol +122,135,Metaph +163,175,Nardi +207,234,Ethica ad Nicomachum +377,394,Pictagoras +518,535,Pythagoras +558,574,Pitagoras +585,602,Pyctagoras +606,623,Phytagoras +629,646,Pictogoras +650,667,Pittagoras +674,690,Pitogoras +716,731,Pitagora +736,745,ED +765,780,Pitagora +124,141,vegetativa +146,162,sensitiva +168,187,intellettiva +452,463,cosa +466,481,soggetto +629,641,Nardi +651,660,Pg +688,698,Kay +725,753,Summa contra Gentiles +187,201,blandus +242,255,blande +91,118,Ethica ad Nicomachum +20,32,Nardi +491,507,Monarchia +525,541,cupiditas +881,897,Monarchia +980,993,Eneide +1035,1051,Monarchia +23,46,Summa Theologiae +66,116,Utrum Christus fuerit congruo tempore natus +119,130,Resp +324,333,Cv +228,246,Arbor vitae +285,295,Gal +10,25,Augustus +38,52,Epitoma +72,105,Historiae adversus Paganos +147,179,"Svetonio, Caio Tranquillo" +184,193,ED +332,341,ED +444,453,ED +600,609,VE +626,645,Introduzione +725,734,VE +26,38,Vinay +56,70,Eclogae +118,130,Fasti +172,181,Cv +197,206,Ep +221,232,Luca +378,390,Vinay +439,450,Luca +455,464,ED +552,565,Scriba +602,611,Mn +645,654,Pd +732,743,Luca +885,899,scribae +962,973,Luca +983,1011,scribe divini eloquii +1013,1022,Mn +1044,1064,scribe Cristi +1066,1075,Mn +1107,1116,Mn +1137,1161,scribe romane rei +1163,1172,Mn +1305,1333,scribe divini eloquii +1337,1346,Mn +5,14,Io +388,400,Vinay +436,455,Inconsutilis +460,469,ED +551,561,Kay +564,578,Cassell +603,622,Unam sanctam +57,70,Furlan +84,93,Ap +101,115,Cassell +167,186,Unam sanctam +388,397,Ep +420,430,Kay +482,494,Epist +507,518,Carm +61,73,Salmo +94,103,ED +552,578,Atti degli Apostoli +1279,1295,Monarchia +1578,1590,Nardi +1734,1746,Vinay +1909,1944,De potestate regia et papali +2220,2229,Ep +2330,2345,Convivio +2483,2517,De Psalmorum libro exegesis +2980,2989,Pd +147,156,Cv +862,872,Aen +1360,1372,Nardi +1418,1434,Monarchia +1898,1913,Convivio +2152,2164,Vinay +2320,2362,Quaestiones de iuris subtilitatibus +2828,2850,De civitate Dei +25,48,Summa Theologiae +74,86,Vinay +400,410,Kay +414,423,If +51,64,Pézard +211,222,suum +346,358,Vinay +398,426,De regimine principum +965,984,existimantes +1030,1045,princeps +17,44,Ethica ad Nicomachum +124,136,Vinay +166,197,Questio de aqua et terra +207,216,Cv +290,302,Nardi +17,32,De caelo +36,59,Summa Theologiae +77,88,Resp +84,111,Ethica ad Nicomachum +5,22,auctoritas +109,122,Imbach +133,143,Kay +167,181,Cassell +234,259,Summulae logicales +12,21,Rm +188,210,sed invisibilia +346,354,ž +357,369,etiam +395,407,Nardi +432,455,Summa Theologiae +571,590,propter quid +675,686,quia +17,44,Ethica ad Nicomachum +216,225,Cv +623,640,e converso +1475,1485,Dig +1501,1522,Digestum Vetus +1703,1713,Dig +1750,1771,Digestum Vetus +1801,1811,Dig +1828,1846,Infortiatum +11,21,Sat +37,46,Cv +88,104,Giovenale +636,655,auctoritates +664,682,nobilitates +807,823,Monarchia +833,849,Giovenale +887,899,Nardi +921,937,Giovenale +1064,1099,Moralium dogma philosophorum +1229,1239,Kay +1242,1256,Cassell +1277,1286,Cv +1336,1349,Tresor +1386,1401,Moralium +1540,1554,Juvenal +1579,1595,Giovenale +1600,1609,ED +1674,1688,Juvenal +1693,1704,DEnc +0,9,Mt +86,101,princeps +158,176,Sub sumptam +195,214,Sub assumptę +279,298,Subassumptam +399,417,subassumpta +642,654,Nardi +773,788,Politica +966,986,due sententie +990,1013,duas nobilitates +1022,1037,propriam +1050,1064,maiorum +1089,1109,Due sententie +1112,1134,due nobilitates +1337,1355,subassumpta +1695,1715,propriam eius +1723,1741,nobilitatem +2009,2021,Nardi +2342,2359,testimonia +2386,2396,Kay +2417,2429,Nardi +2720,2739,subassumptam +58,71,Ecloga +122,135,Eneide +215,224,ED +400,415,Convivio +424,439,Commedia +508,520,Vinay +776,786,Aen +883,913,Tractatus de maleficiis +921,941,Quid sit fama +5,17,Livio +74,86,Livio +114,126,Vinay +423,433,Mon +508,519,Conv +623,635,Livio +708,720,Livio +725,734,ED +851,863,Deche +1161,1173,Livio +1370,1379,VE +1394,1413,Introduzione +1494,1503,VE +1898,1913,Convivio +1921,1937,Monarchia +1946,1961,Commedia +2010,2043,Historiae adversus paganos +2145,2162,De vulgari +2313,2325,Livio +3017,3034,De vulgari +3759,3771,Livio +3995,4011,Epistulae +4062,4074,Livio +4109,4128,Stratagemata +4289,4301,Livio +4636,4658,Ab Urbe condita +4788,4797,If +4954,4977,Roman de la rose +137,147,Aen +205,214,ED +295,304,ED +13,46,Historiae adversus paganos +15,25,Aen +79,88,ED +25,35,Aen +90,99,Cv +615,627,Nardi +658,670,colpa +695,707,colpa +865,875,Inf +957,969,Vinay +1229,1243,rottura +1299,1312,Eneide +1375,1391,coniugium +1447,1463,coniugium +1480,1492,colpa +1646,1656,Aen +1716,1728,Vinay +92,102,Aen +125,144,noster vates +203,222,noster poeta +317,332,princeps +367,380,noster +384,402,Idem noster +513,524,idem +528,541,noster +553,571,idem Noster +677,690,noster +844,857,noster +984,997,noster +1081,1093,vates +1246,1258,Vates +1338,1351,noster +1455,1468,noster +1616,1638,poeta Virgilius +1687,1699,Poeta +1709,1721,Vates +1742,1754,Poeta +1768,1779,Idem +1808,1821,noster +1830,1848,Idem noster +1874,1887,noster +2005,2018,noster +2174,2186,Nardi +2223,2235,Poeta +2263,2275,Poeta +2292,2305,Pézard +2346,2359,Imbach +2539,2551,Vates +2626,2638,vates +2704,2722,vaticinatur +2833,2851,Idem noster +2932,2944,vates +3018,3028,Kay +3124,3144,divinus vates +3227,3239,Vinay +3261,3274,Pézard +3295,3308,Imbach +3314,3330,vaticinat +3386,3395,If +3442,3492,Expositiones et glose super Comediam Dantis +4661,4679,vaticinatur +4692,4703,idem +4813,4825,vates +4827,4839,Vates +4848,4864,vi mentis +4960,4974,feltrum +4978,4992,feltrum +5215,5229,feltrum +5368,5380,vates +32,42,Aen +68,81,Latino +84,98,Lavinia +118,127,ED +23,51,Summa contra Gentiles +5,14,Ex +126,142,sciniphes +269,285,sciniphes +349,365,sciniphes +516,529,Furlan +568,580,signa +585,601,sciniphes +837,853,sinistros +863,879,ministros +892,908,sinistros +918,939,Word Collation +989,1001,Vinay +1143,1155,Nardi +23,51,Summa contra Gentiles +179,207,Summa contra Gentiles +212,221,ED +588,621,Historiae adversus paganos +782,796,turbata +980,994,turbata +1019,1034,turbavit +1056,1074,perturbante +1117,1135,procumbante +1155,1173,proturbante +1381,1390,ED +344,377,Historiae adversus paganos +683,695,Cocle +704,717,Furlan +848,860,Cocle +865,878,Clelie +1099,1120,Word Collation +1197,1209,cocle +1247,1262,chloclie +284,300,sententia +577,601,bonum rei publice +606,631,salus rei publicae +1074,1097,Etica Nicomachea +1129,1158,"Cicerone, Marco Tullio" +1186,1195,ED +214,228,diritto +261,275,diritto +342,352,Dig +446,460,diritto +488,502,diritto +541,555,diritto +573,615,ius quod semper bonum et aequum est +780,791,Inst +881,893,Vinay +898,912,diritto +966,978,Nardi +983,997,diritto +1156,1168,Vinay +1527,1537,ius +1706,1736,Diritto romano in Dante +1741,1750,ED +1844,1856,Vinay +1861,1889,De regimine principum +1993,2005,Nardi +2048,2062,diritto +2064,2074,ius +2160,2173,iustum +2289,2302,iustum +2337,2350,iustum +2371,2384,iustum +2441,2456,iuristae +2515,2531,positivum +2552,2562,ius +2569,2594,Aristoteles iustum +2635,2656,Ethymologiarum +2669,2679,ius +2694,2707,iustum +2783,2801,Philosophum +2818,2833,iuristas +2839,2857,Philosophus +2880,2893,iustum +2905,2936,ex usu quo cives utuntur +2938,2953,iuristae +2969,2979,ius +3001,3062,"ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit" +3089,3145,"a Philosopho nominatur legale, idest lege positum" +3167,3183,positivum +3227,3240,iustum +3265,3351,cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege +3360,3370,Kay +3478,3501,Etica Nicomachea +3773,3786,In Eth +3819,3837,Summa theol +3884,3912,De regimine principum +3973,3998,Nicomachean Ethics +23,46,Summa Theologiae +70,81,Resp +14,26,Vinay +85,98,In Aen +124,136,Nardi +50,60,Aen +12,25,potuit +150,165,princeps +187,200,narrat +224,238,enarrat +256,275,Introduzione +418,428,Aen +448,461,In Aen +496,506,Kay +530,539,Cv +642,651,Pd +41,52,vere +119,138,Introduzione +192,203,vere +272,290,severissimi +293,310,libertatis +416,436,vera libertas +567,578,vere +623,639,Monarchia +820,830,Kay +1045,1057,Vinay +1075,1088,Pézard +1117,1128,vere +1130,1144,Cassell +1147,1160,Furlan +1233,1244,vere +1279,1293,Cassell +1526,1537,vere +1556,1567,veri +1577,1593,veritatis +1621,1642,Word Collation +1817,1836,Introduzione +1874,1892,severissime +1967,1981,tutoris +1984,1999,auctoris +2055,2069,tutoris +2177,2192,auctoris +2247,2259,Vinay +2263,2276,Pézard +2360,2374,tutoris +2381,2396,auctoris +2489,2503,tutoris +2528,2543,princeps +2623,2638,auctoris +2652,2664,Vinay +2679,2688,Cv +2723,2735,autor +2745,2758,auctor +2817,2829,Vinay +2871,2907,De finibus bonorum et malorum +2970,2984,autoris +2987,3002,auctoris +3179,3196,Purgatorio +3227,3239,Vinay +3263,3279,Pharsalia +3303,3327,Epistulae morales +3343,3355,Nardi +3435,3445,Aen +3493,3509,Monarchia +3512,3527,Convivio +3783,3792,Cv +4450,4459,Cv +5064,5073,Pg +5347,5356,ED +5408,5423,Convivio +5535,5551,Monarchia +5618,5635,Purgatorio +10,46,De finibus bonorum et malorum +10,28,De officiis +483,495,Nardi +558,581,Etica Nicomachea +112,160,bonus usus non iustificat iniuste quesita +287,302,Decretum +128,151,Summa Theologiae +44,58,Physica +10,20,Aen +165,188,valde subtiliter +233,257,subtiliter tangit +462,501,Comentum super Dantis Aldigherij +502,518,Comoediam +523,532,If +581,590,If +605,628,valde subtiliter +643,652,If +697,720,valde subtiliter +725,734,Pd +827,839,Vinay +46,56,Dig +115,138,Summa Theologiae +42,69,Ethica ad Nicomachum +183,197,Cassell +56,68,Vinay +3,15,1 Sam +71,85,Samuele +150,164,Samuele +169,178,ED +200,211,Saul +286,300,Cassell +5,14,Ex +2,12,Par +13,26,etenim +52,63,enim +95,110,princeps +196,208,Vinay +277,294,Catholicon +482,501,Derivationes +593,603,Kay +653,667,Cassell +5,14,Ac +58,67,If +251,264,Mattia +293,302,ED +208,222,Cassell +340,351,Etym +425,450,de iure longobardo +612,622,Kay +690,702,Vinay +1064,1079,Decretum +1175,1193,Liber Extra +1260,1270,COD +1312,1324,Summa +1332,1348,de duello +1791,1806,Politica +1830,1853,Summa Theologiae +1903,1923,lex duellorum +2025,2041,divinatio +2042,2056,sortium +2465,2494,De singulari certamine +2674,2696,de consuetudine +2725,2757,definitio per etymologiam +3040,3051,EDir +3097,3110,Duello +3115,3124,ED +260,274,Cassell +392,403,Etym +477,502,de iure longobardo +664,674,Kay +742,754,Vinay +1116,1131,Decretum +1227,1245,Liber Extra +1312,1322,COD +1364,1376,Summa +1384,1400,de duello +1843,1858,Politica +1882,1905,Summa Theologiae +1955,1975,lex duellorum +2077,2093,divinatio +2094,2108,sortium +2517,2546,De singulari certamine +2726,2748,de consuetudine +2777,2809,definitio per etymologiam +3092,3103,EDir +3149,3162,Duello +3167,3176,ED +13,29,Pharsalia +56,68,Metam +152,161,Cv +321,333,Anteo +765,777,Anteo +778,787,If +876,888,Anteo +893,902,ED +927,940,Ercole +987,1001,Antaeus +1006,1017,DEnc +10,28,De officiis +50,86,per nonaginta annos et plures +133,150,octuaginta +153,166,lxxxii +574,586,Vinay +589,599,Kay +666,679,Pézard +699,720,consorte thori +748,760,Metam +869,881,Vinay +957,966,If +1241,1250,ED +64,76,facit +85,97,fecit +254,266,Metam +297,310,Piramo +315,324,ED +8,41,Historiae adversus Paganos +275,285,Kay +394,419,prophetia Danielis +470,479,Dn +15,30,princeps +129,139,Vox +206,218,Nardi +357,372,atloteti +465,476,mèta +3,18,princeps +27,46,Persarum rex +61,94,Historiae adversus Paganos +330,339,Pg +420,431,Ciro +493,504,Ciro +509,518,ED +102,117,princeps +121,135,meminit +150,166,Pharsalia +9,19,Kay +49,63,Epitoma +136,169,Historiae adversus Paganos +8,24,Pharsalia +5,14,Rm +34,51,divitiarum +87,102,princeps +119,136,divitiarum +149,177,sapientiæ et scientiæ +256,284,scientie et sapientie +342,354,Nardi +659,690,Questio de aqua et terra +748,765,divitiarum +922,931,Cv +1316,1344,sapientie et scientie +8,24,Pharsalia +8,38,Consolatio Philosophiae +79,92,Boezio +116,125,ED +5,14,Lc +133,146,exivit +181,193,exiit +333,345,Nardi +444,454,Kay +505,526,Word Collation +601,614,exivit +658,693,Show original spelling forms +703,715,exiit +795,806,Exit +848,860,Vinay +1156,1165,Ep +1214,1228,Augusto +1233,1242,ED +56,77,De re militari +198,216,De officiis +465,483,De officiis +570,582,Vinay +669,681,Nardi +705,715,Kay +716,728,Vinay +803,815,Vinay +831,845,Cassell +937,958,De re militari +991,1019,De regimine principum +10,28,De officiis +38,52,Annales +93,111,De officiis +296,306,Kay +427,442,princeps +107,120,Imbach +135,148,Imbach +275,287,Nardi +314,331,iniustitie +486,501,iustitie +616,633,iniustitie +984,1009,cauponantes bellum +1254,1280,iustitie mercatores +1316,1341,cauponantes bellum +1439,1456,iniustitie +1498,1510,Nardi +1622,1647,cauponantes bellum +1790,1807,iniustitie +1824,1921,"nec tunc arbiter Deus esse credatur, sed ille antiquus Hostis qui litigii fuerat persuasor" +2029,2042,Pézard +2087,2104,iniustitie +2120,2130,Kay +2176,2191,iustitie +2277,2291,Cassell +2329,2346,iniustitie +2414,2426,Nardi +2443,2456,Imbach +2537,2561,Decretum Gratiani +58,81,Summa Theologiae +5,17,1 Sam +32,48,iustitiam +139,156,instantiam +163,178,princeps +303,319,instantia +443,459,instantia +671,699,instantiam cognoscere +756,766,Dig +1094,1106,Vinay +1245,1258,Pézard +1386,1398,Nardi +34,49,princeps +67,87,disceptantium +253,265,Vinay +289,322,Historiae adversus Paganos +458,476,De officiis +8,24,Pharsalia +2,11,Tm +13,32,rationalibus +186,205,Introduzione +292,302,Kay +391,410,rationabilis +417,436,Derivationes +64,73,Ps +422,441,Introduzione +593,602,Ep +5,14,Pd +64,102,"decimas, quae sunt pauperum Dei" +641,653,Vinay +1018,1033,Declamat +1231,1255,Decretum Gratiani +1321,1331,Kay +1474,1489,Decretum +1871,1885,Povertà +1890,1899,ED +328,343,princeps +350,359,si +512,526,Redeunt +534,548,Redeunt +576,602,facultates Ecclesie +790,799,si +940,954,Redeant +1003,1031,Redeunt unde venerunt +1073,1082,si +1142,1154,Nardi +1168,1180,Nardi +1210,1222,Nardi +1298,1312,Cassell +1575,1588,Pézard +1762,1775,Imbach +2035,2047,Nardi +2215,2229,Cassell +2346,2356,Kay +2622,2645,Summa Theologiae +2677,2725,Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda +2951,2964,Furlan +2991,3010,Introduzione +3085,3113,redeant unde venerunt +3189,3211,Cento Nuptialis +144,157,Imbach +170,195,Summulae logicales +255,265,Kay +268,282,Cassell +36,63,Ethica ad Nicomachum +67,81,Augusto +143,152,Ep +201,215,Augusto +220,229,ED +220,230,Kay +303,319,singulari +367,379,Vinay +411,423,Nardi +554,568,Cassell +590,603,Pézard +624,637,Imbach +887,899,Vinay +946,983,Tractatus super Romano Imperio +1061,1107,Memoriale de prerogativa Imperii Romani +1814,1826,Nardi +1841,1857,Memoriale +1907,1955,Staatsschriften des späteren Mittelalters +2009,2025,Tractatus +2198,2208,Kay +2267,2277,Kay +2357,2389,Historie adversus Paganos +3674,3687,Furlan +3752,3768,Monarchia +3854,3872,Sine nomine +3941,3957,Monarchia +991,1012,Defensor pacis +1069,1081,Nardi +1186,1198,Nardi +1506,1515,Ps +67,105,in laudem et gloriam gratie sue +59,73,iniuria +288,310,De penis reorum +315,344,Tractatus maleficiorum +463,486,"Gandino, Alberto" +491,501,DBI +645,759,"Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis" +900,933,de verborum significatione +1158,1168,Dig +1261,1275,iniuria +1334,1352,de iniuriis +1386,1397,Inst +1411,1421,Dig +1551,1561,Dig +1589,1601,Vinay +1710,1733,Summa Theologiae +1758,1769,Resp +2176,2190,Iniuria +2263,2275,Nardi +2291,2301,Kay +2371,2384,Pézard +2426,2439,Imbach +2442,2456,Cassell +0,9,Ex +39,56,Reprobatio +212,221,Ph +353,390,Tractatus super Romano Imperio +138,162,Summa Decretalium +192,239,De officio et potestate iudicis delegati +38,47,Io +322,340,prophetavit +485,498,Caifas +503,512,ED +566,578,Nardi +607,619,Nardi +644,662,prophetavit +38,48,suo +98,108,suo +124,133,Lc +183,193,suo +266,276,suo +312,327,princeps +15,29,Ausonia +31,41,Aen +103,112,Pd +139,153,Ausonia +221,235,Ausonia +240,249,ED +268,278,Kay +522,534,palea +535,554,Constantinus +559,583,Decretum Gratiani +632,662,Constitutum Constantini +79,93,Daniele +231,245,Daniele +250,259,ED +335,347,Vinay +551,584,De ecclesiastica potestate +1022,1032,Par +1063,1094,Tre donne intorno al cor +1204,1216,Vinay +1273,1286,Furlan +1460,1474,Daniele +1547,1562,conclusi +1675,1701,Conclusi ora leonum +2036,2063,iusticia est inventa +2074,2101,inventa est iusticia +2175,2190,Conclusi +2299,2320,Word Collation +5,14,Pv +109,119,Kay +140,157,ingrediens +200,226,Parabolae Salomonis +261,276,Proverbi +349,361,Vinay +512,521,Pv +540,549,Ps +652,667,Proverbi +744,757,Imbach +783,792,Pv +104,131,Ethica ad Nicomachum +394,403,Cv +599,608,Pd +783,792,Ep +971,980,Cv +0,9,Dn +5,14,Pv +5,16,1 Th +5,14,Is +345,357,Vinay +5,15,Col +107,117,Kay +184,193,Ps +202,211,Lc +227,236,Ap +353,364,Purg +412,424,Vinay +485,494,Gn +598,607,Ep +837,848,Luna +876,885,ED +910,921,Sole +943,984,Temi di simbologia solare in Dante +1008,1030,Il pianeta sole +20,32,Nardi +62,104,principium inquisitionis directivum +263,288,Summulae logicales +376,386,Kay +419,442,Analytica priora +464,478,Cassell +531,547,Principio +552,561,ED +3,15,Nardi +48,73,Summulae logicales +81,93,Vinay +17,31,Physica +46,71,Sophistici elenchi +97,106,Cv +134,143,Pd +5,14,Cv +260,269,Pd +404,413,Pd +662,671,Dn +709,718,Dn +810,819,Ap +915,938,Summa Theologiae +8,20,Sciti +64,76,Sciti +99,108,ED +245,254,VE +327,345,civilitatem +376,385,VE +444,471,Ethica ad Nicomachum +785,797,Sciti +86,98,Nardi +211,221,Kay +347,360,Furlan +564,578,intuitu +707,741,rationis intuitum voluntate +904,913,Cv +1323,1342,Introduzione +1411,1425,Volontà +1444,1453,ED +1632,1644,Etica +1785,1797,Etica +1957,1977,incontinentia +1986,2004,praevolatio +2084,2107,Summa Theologiae +2133,2144,Resp +2175,2195,incontinentia +2301,2321,incontinentia +2481,2501,incontinentia +2510,2526,debilitas +2864,2879,princeps +2885,2899,intuitu +2923,2940,uoluntatem +5,14,Io +91,103,Nardi +280,290,Mon +112,125,Furlan +173,191,traditiones +407,428,constitutiones +514,535,constitutiones +555,568,dictum +628,638,Kay +841,853,Vinay +1185,1203,traditiones +5,14,Ps +18,49,Determinatio compendiosa +119,136,distinctio +144,159,Decretum +760,773,dictum +818,835,distinctio +1073,1086,dictum +1114,1193,"Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis" +5,14,Mt +28,41,Marcus +10,36,Ieronimi et aliorum +107,120,dictum +141,158,Decretales +442,455,lapsus +205,223,Metaphysica +247,259,Nardi +485,497,Vinay +701,719,Metaphysica +750,778,Summa contra Gentiles +28,37,Gn +420,429,Ep +536,547,Luna +575,584,ED +609,620,Sole +642,683,Temi di simbologia solare in Dante +707,729,Il pianeta sole +1003,1017,Cassell +1025,1039,Cassell +25,41,Allegoria +60,69,ED +94,110,Monarchia +225,239,Solitae +255,279,Compilatio Tertia +21,35,Solitae +37,71,De maioritate et obedientia +743,760,argumentum +890,923,principaliter et finaliter +1219,1268,Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim +1281,1290,PL +1711,1732,Compilatio III +1764,1777,dictum +1794,1810,Almagesto +2175,2193,Liber Extra +2394,2411,argumentum +2453,2465,Summa +2892,2903,Auth +3073,3084,Auth +3292,3310,Summa Aurea +3316,3346,Qui filii sint legitimi +3350,3404,Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur +3513,3532,Unam sanctam +3570,3603,De maioritae et obedientia +3650,3666,Allocucio +3726,3749,Romani principes +3761,3772,Clem +3782,3803,De iureiurando +3915,3929,Cassell +40,70,De sophisticis elenchis +613,626,Imbach +60,74,Physica +104,113,Cv +582,591,Pd +762,778,Parmenide +780,794,Melisso +797,810,Brisso +969,983,Melisso +988,997,ED +1053,1069,Parmenide +1092,1105,Brisso +643,655,Vinay +694,717,Summa Theologiae +742,755,Imbach +773,798,Summulae logicales +10,32,De civitate Dei +451,470,Introduzione +645,687,Comentum super poema Comedie Dantis +10,39,De doctrina Christiana +50,65,princeps +78,116,in libro de Doctrina Christiana +121,135,sentire +560,575,qui vult +679,691,Nardi +750,765,qui vult +782,792,qui +812,824,dicit +836,847,illo +864,877,Imbach +963,973,Kay +1303,1320,deteriores +1906,1920,de illo +1921,1933,aliud +1972,1983,illo +2014,2028,sentire +2155,2170,qui vult +2220,2231,illo +2322,2334,aliud +2340,2352,dicit +2358,2368,qui +2599,2611,Nardi +2764,2779,quisquis +2786,2800,si quis +2816,2828,aliud +2829,2842,sentit +2853,2863,qui +3019,3034,quisquis +3040,3053,sentit +3306,3318,aliud +3319,3332,sentit +3343,3353,qui +3448,3462,de illo +3463,3475,aliud +3490,3504,sentire +3515,3525,qui +3607,3618,illo +3621,3633,aliud +3662,3672,qui +3698,3711,sentit +3789,3799,qui +3814,3829,qui vult +3836,3847,vult +3888,3901,sentit +3925,3936,vult +4007,4021,de illo +4039,4053,sentire +4133,4147,Cassell +113,125,Vinay +147,159,Nardi +238,251,Pézard +316,326,Kay +329,343,Cassell +376,396,summa divisio +445,464,ius publicum +490,501,Inst +631,641,Dig +82,101,Introduzione +169,181,Vinay +225,237,1 Cor +371,382,2 Pt +4,19,dictator +51,66,dictator +112,121,VE +132,141,Pg +232,241,VE +378,392,Dittare +413,422,ED +454,470,Dittatore +78,90,Vinay +111,139,In Isagogen Prophyrii +24,63,Deus et natura nil otiosum facit +97,112,De caelo +27,42,peccabit +141,156,in forma +208,221,peccat +260,275,in forma +480,492,Vinay +494,506,Nardi +509,519,Kay +545,570,Summulae logicales +80,103,Analytica priora +162,201,Summa de potestate ecclesiastica +231,243,Vinay +510,520,Kay +724,740,audiverim +56,75,duo regimina +170,184,figulus +276,289,figura +298,311,figura +348,361,figura +417,433,figuratus +445,458,figuro +44,56,maius +133,148,magister +186,201,minister +247,262,magister +374,389,minister +420,435,minister +0,9,Mt +27,76,Nichil est quod dare possit quod non habet +121,130,Cv +217,243,potestas baptizandi +263,286,Summa Theologiae +310,323,Nullus +329,354,dat quod non habet +513,545,nullus dat quod non habet +682,704,successor Petri +740,772,vicarius non dat vicarium +867,886,regula iuris +896,906,Dig +1243,1253,Dig +1339,1349,Dig +1422,1432,Dig +1572,1582,Dig +126,138,Vinay +307,323,sententia +433,443,Kay +474,484,Kay +593,612,auctoritates +914,931,auctoritas +938,954,Monarchia +981,999,auctorizare +1114,1127,auctor +1199,1229,extollere ad dignitatem +1234,1257,honorem assumere +1302,1325,honorem assumere +1330,1348,Liber Extra +1695,1718,Summa Theologiae +1798,1813,princeps +57,74,absurditas +87,106,regula iuris +110,120,Dig +5,14,Io +5,15,Kay +56,81,Summulae logicales +74,96,manente vinculo +320,329,Mr +338,347,Lc +356,365,Mt +394,411,fornicatio +427,437,Kay +572,583,EDir +302,316,Cassell +370,387,Si fratrum +271,281,Kay +406,430,Decretum Gratiani +548,560,Summa +588,607,Unam sanctam +659,692,De maioritae et obedientia +947,960,Papato +965,974,ED +1287,1304,potestates +1649,1663,Cassell +0,9,Lc +83,98,princeps +102,115,ad hæc +144,157,ad hec +344,357,ad hoc +417,436,Introduzione +0,9,Mt +0,9,Mt +5,14,Mr +0,9,Lc +0,9,Io +23,32,Mt +41,50,Mr +59,68,Lc +134,153,Unam sanctam +209,242,De maioritae et obedientia +349,382,De ecclesiastica potestate +395,407,Vinay +425,435,Kay +0,9,Io +0,9,Io +53,67,puritas +165,177,Nardi +206,216,Kay +373,384,pure +411,425,puritas +504,519,continuo +578,594,continuus +669,687,continuitas +692,707,continuo +757,775,continuatim +820,836,continuus +837,852,continue +884,899,continuo +907,925,continuatim +960,972,Vinay +1088,1098,Kay +0,9,Ac +10,29,quidam adhuc +33,46,quidam +100,119,auctoritates +153,183,constitutum Constantini +259,275,excerptum +283,295,palea +296,315,Constantinus +320,344,Decretum Gratiani +424,452,Actus beati Sylvestri +507,527,Legenda aurea +576,586,Kay +617,635,Constitutum +654,666,palea +841,860,utrumque ius +1100,1112,Nardi +1140,1152,Nardi +1202,1214,Vinay +1267,1279,Nardi +1523,1539,Monarchia +1692,1708,Monarchia +1877,1889,Vinay +2013,2025,palea +2059,2071,Nardi +2103,2134,Kostantinische Schenkung +2139,2151,LexMA +2203,2221,Constitutum +42,62,Legenda aurea +154,167,Tresor +181,190,If +427,436,If +599,616,Costantino +621,630,ED +101,113,Vinay +122,139,dignitates +281,295,Cassell +323,333,Kay +365,377,palea +378,397,Constantinus +402,426,Decretum Gratiani +472,502,Constitutum Constantini +551,570,Constantinus +827,836,et +922,931,et +990,999,et +1105,1114,et +1121,1130,et +1177,1186,et +1315,1335,Romana donavi +1438,1465,lectiones singulares +1533,1545,palea +1546,1565,Constantinus +1638,1650,palea +1651,1688,Constantinus inperator coronam +1791,1800,et +1856,1865,et +1876,1885,et +1963,1972,et +2050,2059,et +2095,2116,Word Collation +2306,2315,et +2384,2396,palea +2440,2477,Constantinus inperator coronam +2479,2488,et +2529,2538,et +2550,2559,et +4,14,Kay +87,104,argumentum +208,225,argumentum +246,263,argumentum +318,335,argumentum +587,599,Vinay +695,725,specialiter et expresse +769,787,Constitutum +838,848,MGH +850,887,Constitutiones et acta publica +25,55,Donazione di Costantino +60,69,ED +252,269,in officio +415,428,corpus +521,531,Dig +635,654,regula iuris +658,668,Dig +275,287,Vinay +634,664,Glossa ad Institutiones +792,825,Quomodo oporteat episcopos +827,838,Auth +958,976,sacerdotium +979,994,imperium +1349,1364,quaestio +1804,1815,Auth +1933,1943,Dig +2080,2090,Cod +2196,2207,Inst +2218,2255,De confirmatione Institutionum +2364,2374,Dig +2430,2440,Dig +2563,2573,Cod +2653,2663,Dig +2819,2830,Auth +2911,2921,Cod +2973,2984,Inst +3036,3047,Auth +3216,3231,imperium +3255,3269,Volumen +302,314,Vinay +592,602,Kay +651,665,Cassell +767,776,Gn +878,904,Postilla in Genesim +930,946,Praecepit +1103,1124,Ad reprimendum +57,69,1 Cor +87,97,Eph +106,117,1 Pt +5,17,1 Cor +25,37,petra +178,187,Mt +276,286,Kay +415,427,petra +222,234,Vinay +1025,1043,ius divinum +1063,1073,Kay +1270,1288,ius humanum +1482,1497,Decretum +1519,1537,dictum ante +1551,1622,"Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus" +1776,1789,dictum +1838,1855,lex humana +1859,1903,mores ipso iure conscripti et traditi +1979,1989,lex +2256,2280,Summa Decretalium +2309,2335,De constitutionibus +2766,2789,Summa Theologiae +3030,3043,Furlan +3148,3162,Cassell +3172,3182,Kay +3206,3216,ius +30,45,Canticum +353,370,Canticorum +464,485,iuxta canticam +619,645,Cantico dei Cantici +650,659,ED +139,151,Vinay +184,218,Quaestio in utramque partem +193,203,Kay +775,798,Lectura Feudorum +231,241,Kay +252,261,Cv +337,367,Donazione di Costantino +372,381,ED +147,161,de iure +238,252,de iure +351,380,dispositio conferentis +433,469,dispositio eius cui confertur +556,573,dispositio +815,825,Dig +834,856,de donationibus +52,79,Ethica ad Nicomachum +25,39,dispono +0,9,Mt +10,21,Luca +183,194,ibid +458,470,Nardi +82,92,Kay +351,368,dignitates +388,412,vitiosa possessio +419,429,Dig +498,513,extranei +616,628,Vinay +62,77,Pauperum +82,91,ED +129,143,Povertà +158,168,Kay +229,302,De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus +304,315,Auth +451,465,Volumen +535,550,Rosarium +755,782,dispansator pauperum +827,853,oeconomus ecclesiae +855,865,Cod +926,956,Diritto romano in Dante +981,990,ED +1024,1048,Decretum Gratiani +1100,1125,res ecclesiasticae +1200,1212,Vinay +1293,1306,Pézard +32,44,Vinay +112,138,advocatus Ecclesiae +866,908,"MGH, Constitutiones et acta publica" +291,301,Dig +546,556,Kay +572,582,Kay +875,890,Decretum +914,932,Principatus +935,952,Neque enim +9,21,Nardi +180,202,usurpatio iuris +405,427,Prima filosofia +469,482,Metaph +529,540,Conv +576,585,VE +724,738,Ratione +233,245,de xp +274,290,de decimo +344,362,Metaphysica +402,411,VE +528,560,De perfectione evangelica +847,872,"Imbach, Einleitung" +993,1016,Antiquorum habet +1091,1122,auctoritas in concedendo +1199,1222,reductio ad unum +1270,1292,corpus mysticum +2193,2205,Nardi +2261,2290,Elementatio theologica +2306,2323,Metafisica +2482,2492,Kay +5,17,Vinay +138,161,Summa Theologiae +185,196,Resp +283,303,humanum genus +4,19,antistes +77,92,antistes +189,204,antistes +487,500,Imbach +166,178,illud +227,242,ad aliud +535,558,relatio ad aliud +564,589,relatio ad aliquid +625,638,Imbach +641,651,Kay +691,723,praedicamentum ad aliquid +749,766,Categoriae +35,44,VE +139,148,et +458,467,et +1120,1129,et +1155,1164,et +1189,1198,et +1238,1247,et +1772,1781,et +1796,1805,et +1888,1897,et +1934,1943,et +1963,1972,et +2985,2994,et +3117,3126,et +150,163,Powers +165,182,Potestates +205,220,Paradiso +472,485,Powers +510,525,ordinare +605,628,Summa Theologica +651,661,Kay +75,84,Ac +93,103,Kay +162,190,De regimine principum +320,340,"Festo, Porcio" +360,369,ED +0,9,Ac +0,9,Ac +37,46,Ph +144,156,Paolo +210,222,Nardi +249,261,Paolo +282,291,ED +0,9,Lv +48,61,Leviti +66,75,ED +256,277,Defensor Pacis +384,396,Vinay +398,410,Nardi +453,466,Imbach +582,595,Pézard +662,672,Kay +693,707,Cassell +765,776,vote +851,865,Cassell +1138,1148,Kay +0,9,Mt +91,107,lex vetus +110,125,lex nova +407,420,dictum +697,708,Inst +838,868,Glossa ad Institutiones +5,14,Nm +171,180,Dt +524,533,Pg +798,814,ad unguem +838,852,remotos +1085,1118,De ecclesiastica potestate +5,14,Mt +222,234,Nardi +288,298,Kay +344,373,sollicitudo temporalis +380,405,governmental sense +120,138,Metaphysica +189,198,Cv +103,115,Vinay +143,156,Pézard +193,205,Nardi +239,252,Imbach +364,374,Kay +376,386,Kay +611,626,Politica +50,67,maior pars +212,230,ius gentium +253,264,Inst +278,288,Dig +331,346,Decretum +0,9,Io +0,9,Io +0,9,Io +209,221,Vinay +251,272,"Pilato, Ponzio" +293,302,ED +0,9,Ps +28,44,Psalmista +103,117,psalmus +14,30,et siccam +69,82,aridam +114,124,Kay +233,246,aridam +296,325,Breviarium Ambrosianum +347,372,Psalterium Romanum +384,396,arida +437,446,Gn +541,553,arida +589,602,aridam +726,742,yabbashāh +756,772,yabbēshet +830,841,xerà +1159,1174,Salmista +1196,1208,Salmo +1228,1237,ED +66,78,Nardi +86,95,Cv +3026,3053,Ethica ad Nicomachum +3145,3168,Summa Theologiae +111,121,Kay +283,297,Ketuvīm +355,367,Torāh +403,415,Navīm +611,623,Vinay +872,890,agyographya +928,946,agyographus +1108,1125,Catholicon +1183,1193,Kay +1247,1259,Nardi +1284,1297,Imbach +1371,1385,Cassell +33,66,Quomodo oporteat episcopos +212,230,sacerdotium +233,248,imperium +281,303,maxima dona Dei +10,23,areola +128,159,in arcula ista mortalium +207,220,aresco +256,271,inaresco +275,290,exaresco +298,311,aresco +316,327,area +410,421,area +586,599,areola +616,628,Vinay +719,729,Par +765,776,area +781,790,Ep +814,836,De consolatione +863,876,Aiuola +881,890,ED +1117,1130,areola +1301,1310,Pd +1352,1361,Pd +1651,1665,Cassell +81,91,Kay +114,144,Consolatio Philosophiae +262,272,arx +313,323,arx +359,371,Vinay +426,438,Nardi +452,465,Imbach +491,501,Kay +523,536,Pézard +591,604,unitus +608,622,munitus +738,748,Kay +786,800,monitus +814,827,Pézard +11,27,Reverenza +54,63,ED +120,129,VE +278,295,paternitas +335,350,dominium +489,499,Kay +500,509,Cv +598,607,Cv +1007,1025,sacerdotium +1030,1045,imperium +1354,1365,Auth +1399,1413,Volumen +1554,1583,Iuramentum Imperatoris +1604,1628,"MGH, Legum Sectio" +1633,1691,Constitutiones et acta publica imperatorum et regum +235,246,Conv +499,510,Conv +614,624,Kay +642,659,reverentia +850,873,Summa Theologiae +915,934,ius paternum diff --git a/commentaries/data_parsed/ner_unique_monarchia.csv b/commentaries/data_parsed/ner_unique_monarchia.csv new file mode 100644 index 0000000..19b9ff9 --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/ner_unique_monarchia.csv @@ -0,0 +1,896 @@ +start,end,match,type +24,38,incipit, +69,96,Catilinae coniuratio,WORK_OF_ART +352,365,monita, +407,425,Etymologiae,WORK_OF_ART +530,559,"Sallustio Crispo, Caio",PER +564,573,ED, +108,121,Verità, +178,190,Vinay, +260,271,quos, +301,323,natura superior, +560,569,Mn, +833,846,sapere, +853,864,Conv,WORK_OF_ART +987,999,Nardi,PER +1069,1086,Metafisica,WORK_OF_ART +1913,1928,Convivio,WORK_OF_ART +2052,2068,Monarchia,WORK_OF_ART +2091,2106,Paradiso,WORK_OF_ART +2126,2176,"natura in mente primi motoris, qui Deus est", +2222,2235,Imbach,PER +2244,2257,Pézard,PER +2332,2341,Pd, +2456,2465,Pg, +2480,2490,Kay,PER +2627,2641,Cassell,PER +3046,3059,Natura, +3198,3207,VE, +102,120,res publica, +162,185,publica utilitas, +510,530,bonum commune, +589,612,Etica a Nicomaco,WORK_OF_ART +687,701,imbutus, +882,891,Ps,WORK_OF_ART +1051,1085,De Psalmorum libro exegesis,WORK_OF_ART +1128,1137,PL, +1189,1205,documenta, +1247,1276,phylosophica documenta, +1297,1325,documenta spiritualia, +1341,1359,universalia, +1450,1464,docimen, +1473,1487,documen, +1508,1525,documentum, +1797,1823,publicis documentis, +1908,1937,De regimine Christiano,WORK_OF_ART +2779,2794,Politica,WORK_OF_ART +63,72,Mt,WORK_OF_ART +120,129,Lc,WORK_OF_ART +195,214,In Evangelia,WORK_OF_ART +118,132,publice, +168,186,posteritati, +232,244,ratio, +249,268,ius publicum, +322,333,Inst,WORK_OF_ART +350,360,Dig,WORK_OF_ART +37,53,monarchia, +123,139,Temporale, +178,187,Cv,WORK_OF_ART +312,331,Introduzione, +1390,1428,Litterae encyclicae Imperatoris,WORK_OF_ART +1430,1462,Encyclica in forma maiori,WORK_OF_ART +1467,1491,"MGH, Legum Sectio",WORK_OF_ART +1496,1554,Constitutiones et acta publica imperatorum et regum,WORK_OF_ART +1718,1743,in forma tractatus, +1768,1786,quaestiones, +1941,1965,Futuram ecclesiam, +2062,2079,Polycarpus,WORK_OF_ART +2090,2114,Decretum Gratiani,WORK_OF_ART +2139,2169,totius orbis monarchiam, +2335,2358,Summa Decretorum,WORK_OF_ART +2458,2475,monarchiam, +2846,2865,Futuram eccl, +3155,3173,principatus, +3190,3220,Summa über das Decretum, +3221,3236,Gratiani, +3470,3485,imperium, +3507,3520,regnum, +3522,3537,dominium, +3589,3610,Defensor Pacis, +3865,3895,De translatione Imperii,WORK_OF_ART +4105,4133,De regimine civitatis,WORK_OF_ART +588,611,vera philosophia, +740,768,De regimine Chistiano,WORK_OF_ART +686,701,maiestas, +1365,1383,iurisdictio, +551,575,Secondi Analitici,WORK_OF_ART +1091,1110,Proposizione, +1209,1225,Principio, +4,20,tractatus, +160,177,inquisitio, +369,391,per quaestiones, +466,488,ordo iudiciorum, +502,521,Inquisizione, +613,631,De officiis,WORK_OF_ART +11,27,Speculare, +1071,1084,Logica,WORK_OF_ART +1113,1136,Summa Theologiae,WORK_OF_ART +1155,1166,Resp, +1953,2008,intellectus practicus differt fine a speculativo, +2029,2044,de Anima, +452,480,De regimine principum,WORK_OF_ART +1052,1063,Ibid, +70,83,utilis, +107,122,princeps, +127,137,nel, +188,209,ultimus utilis, +560,570,del, +746,787,la fin universelle du genre humain, +849,867,universalis, +891,907,civilitas, +983,1021,finis totius humane civilitatis, +1165,1191,imperiale maiestade, +1504,1518,civiltà, +2275,2284,Ep,WORK_OF_ART +2582,2625,De regimine principum ad regem Cypri,WORK_OF_ART +2807,2822,politeia, +3240,3252,regno, +3315,3327,domus, +3379,3395,vicinanze, +3427,3441,cittade, +3455,3473,circavicine, +49,76,Ethica ad Nicomachum,WORK_OF_ART +232,246,vicinia, +517,533,vicinanza, +1371,1386,gradatio, +1403,1419,Vicinanza, +1592,1606,civitas, +1756,1773,De tyranno,WORK_OF_ART +274,284,Mon,WORK_OF_ART +50,71,Universalmente, +324,349,scientia artificis, +820,839,ius naturale, +994,1024,Glossa ad Institutiones,WORK_OF_ART +12,27,De caelo,WORK_OF_ART +126,179,cum Deus et natura in necessariis non deficiat, +320,334,otiosum, +1351,1374,De cælo et mundo,WORK_OF_ART +38,53,operatio, +621,655,ultimum de potentia hominis, +960,971,opus, +1014,1066,esse apprehensivum per intellectum possibilem, +20,48,Compendium Theologiae,WORK_OF_ART +72,92,apprehensivum, +812,840,Summa contra Gentiles,WORK_OF_ART +261,294,De reprobatione Monarchiae,WORK_OF_ART +382,397,quid est, +775,788,quidem, +799,814,quod est, +987,1007,quid est sine, +1023,1059,"quid est quod sunt, quod sine", +1134,1152,intelligere, +1436,1447,esse, +1531,1550,interpolatio, +3024,3046,Liber de causis,WORK_OF_ART +3293,3319,sine interpolatione, +3395,3411,continuus, +3493,3511,continuitas, +3516,3531,continuo, +3581,3599,continuatim, +3661,3676,continue, +6034,6086,omnis substantia est propter suam operationem, +6113,6131,Contra Gent,WORK_OF_ART +6359,6390,De substantiis separatis,WORK_OF_ART +40,55,De anima,WORK_OF_ART +446,461,Prudenza, +12,26,Physica,WORK_OF_ART +226,244,Metaphysica,WORK_OF_ART +698,728,Tractatus testimoniorum,WORK_OF_ART +733,753,Prudentia est, +232,252,tranquillitas, +561,571,pax, +583,628,cum maiori fiducia sue tranquillitatis, +639,681,in pacis universalis tranquillitate, +8,36,iuxta illud psalmiste, +173,183,Heb,WORK_OF_ART +11,20,Io, +78,99,Pax huic domui, +416,425,Mr,WORK_OF_ART +434,463,Pacem habete inter vos, +803,851,"Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis", +4,20,declarata, +290,303,patens, +740,755,Famiglia, +345,365,Paterfamilias, +479,494,Digestum, +18,27,Od,WORK_OF_ART +255,267,Omero,PER +305,331,per se sufficientia, +23,68,quando aliqua plura ordinantur ad unum, +887,899,among, +926,940,between, +220,243,Analitica Priora,WORK_OF_ART +262,289,Analitica Posteriora,WORK_OF_ART +325,342,Sillogismo, +448,473,Summulae logicales,WORK_OF_ART +9,84,ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum, +515,532,Intenzione, +52,63,orma, +426,442,vestigium, +677,696,Breviloquium,WORK_OF_ART +1258,1273,Vestigio, +68,101,De ecclesiastica potestate,WORK_OF_ART +28,43,secundum, +134,144,pħm, +146,164,phylosophum, +191,218,secundum phylosophum, +407,420,Fisica,WORK_OF_ART +525,549,De physico auditu,WORK_OF_ART +551,582,De physica consultatione,WORK_OF_ART +669,703,Lezioni intorno alla natura,WORK_OF_ART +1117,1128,Rime,WORK_OF_ART +42,86,De legibus et consuetudinibus Angliae,WORK_OF_ART +672,683,Auth,WORK_OF_ART +891,904,Furlan,PER +1013,1034,Compilatio III,WORK_OF_ART +1044,1059,III Comp, +86,95,Il, +221,231,ens, +11,29,Rettitudine, +67,83,rectitudo, +475,520,Tre donne intorno al cor mi son venute,WORK_OF_ART +1292,1310,Summa theol,WORK_OF_ART +1800,1813,regula, +2320,2340,regula Lesbia,WORK_OF_ART +2477,2495,De veritate,WORK_OF_ART +2543,2561,Opera omnia, +3046,3055,is, +3133,3147,quality, +3182,3195,virtue, +38,67,Liber sex principiorum,WORK_OF_ART +243,275,Magister Sex Principiorum,WORK_OF_ART +349,362,corpus, +401,418,curriculum, +425,440,artistae, +688,700,recte, +735,757,huiusmodi forme, +1170,1193,in suo abstracto, +1286,1312,quibus concernuntur, +1317,1332,concerno, +1353,1368,concrevi, +1381,1397,concretum, +1407,1423,concresco, +1433,1451,in concreto, +1589,1604,Suggetto, +27,50,huius qualitatis, +52,75,huius qualitates, +109,142,in subiectis de contrariis, +241,258,Categoriae, +389,434,Utrum habitus augeantur per additionem, +450,485,Utrum habitus possit diminui, +501,548,Utrum virtus possit esse maior vel minor, +98,114,Melanippe,WORK_OF_ART +469,481,Ethic,WORK_OF_ART +633,646,Espero, +683,695,Etica,WORK_OF_ART +685,715,Diritto romano in Dante,WORK_OF_ART +834,851,Sed contra, +908,969,habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, +1082,1123,Utrum convenienter definiatur quod, +51,67,cupiditas, +1013,1026,initia, +1035,1055,corpora iuris, +1101,1119,dictum ante, +1433,1455,praecepta iuris, +1621,1636,Decretum, +2008,2026,Liber Extra,WORK_OF_ART +316,331,adfectus, +482,499,passionare, +1231,1253,amore iustitiae, +344,387,Utrum iustitia sit semper ad alterum, +147,165,sillogismus, +518,539,Prosillogismus, +591,614,Analytica priora,WORK_OF_ART +263,293,trascura la sua cultura, +192,217,ab omni cupiditate, +321,330,If,WORK_OF_ART +407,418,1 Tm, +759,798,Doglia mi reca nello core ardire, +924,953,De regimine christiano,WORK_OF_ART +169,182,avarus, +79,95,Rhetorica,WORK_OF_ART +1311,1324,Rhetor,WORK_OF_ART +817,837,Bene a Zenone, +850,886,De quadriennii praescriptione,WORK_OF_ART +911,921,Cod, +2133,2153,dominus mundi, +2301,2315,Bulgaro,PER +2402,2421,iura regalia, +2509,2543,dominium quoad proprietatem, +2555,2582,quoad iurisdictionem, +2684,2700,Novellino,PER +3099,3121,dominatus mundi, +3474,3484,DBI,PER +165,175,Aen, +242,255,Oceano, +493,566,De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus, +887,917,de lege Rhodia de iactu,WORK_OF_ART +171,208,natura passivorum et activorum, +304,325,De Generatione,WORK_OF_ART +357,368,ibid, +389,402,agente, +408,423,paziente, +444,459,contatto, +22,38,De Causis,WORK_OF_ART +78,92,Libertà,WORK_OF_ART +795,810,libertas, +270,317,de rebus auctoritate iudicis possidendis, +374,395,de legatis III,WORK_OF_ART +885,900,Arbitrio, +154,173,de voluntate, +201,231,Consolatio Philosophiae,WORK_OF_ART +1209,1221,multi, +1435,1452,Sententiae,WORK_OF_ART +2536,2550,Volontà,WORK_OF_ART +1047,1062,Sustanza,WORK_OF_ART +11,26,ad celos,WORK_OF_ART +638,652,initium, +870,916,De statu interioris hominis post lapsum,WORK_OF_ART +972,1011,De eruditione hominis interioris,WORK_OF_ART +5,20,servitus, +150,169,regula iuris, +118,129,bene, +168,185,politizant, +219,246,oblique politizantes, +437,447,Pol, +498,519,Defensor pacis,WORK_OF_ART +434,450,Politicae,WORK_OF_ART +6,19,gentem, +417,440,Tolomeo da Lucca,PER +57,83,servus servorum Dei, +135,160,servus apostolorum, +388,410,minister omnium, +857,866,Rm, +952,971,Policraticus,WORK_OF_ART +91,104,potest, +110,125,Giacobbe,PER +495,511,potuerunt, +516,535,persuaserunt, +763,786,Contra mendacium,WORK_OF_ART +894,903,Vn, +315,333,ius commune, +573,589,correctio, +813,830,directione, +282,297,intra se, +339,351,intra, +723,742,proprietates, +879,891,inter, +1144,1163,iura propria, +1212,1226,populus, +1244,1264,iura communia, +1390,1416,de iustitia et iure,WORK_OF_ART +1967,2002,"nationes, regna et civitates", +2003,2018,inter se, +456,527,Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat, +534,601,Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum, +4,16,Sciti, +184,198,Scithia, +553,580,Sintaxis Mathematica,WORK_OF_ART +593,620,Liber Quadripartitus,WORK_OF_ART +638,671,Historiae adversus Paganos,WORK_OF_ART +780,811,Liber de aggregationibus,WORK_OF_ART +842,866,De natura locorum,WORK_OF_ART +212,224,clima, +680,689,Dt, +90,103,primum, +122,135,Metaph,WORK_OF_ART +377,394,Pictagoras,PER +518,535,Pythagoras,PER +558,574,Pitagoras,PER +585,602,Pyctagoras,PER +606,623,Phytagoras,PER +629,646,Pictogoras,PER +650,667,Pittagoras,PER +674,690,Pitogoras,PER +716,731,Pitagora,PER +124,141,vegetativa, +146,162,sensitiva, +168,187,intellettiva, +452,463,cosa, +466,481,soggetto, +187,201,blandus, +242,255,blande, +980,993,Eneide,WORK_OF_ART +66,116,Utrum Christus fuerit congruo tempore natus, +228,246,Arbor vitae, +285,295,Gal,PER +10,25,Augustus,PER +38,52,Epitoma,WORK_OF_ART +147,179,"Svetonio, Caio Tranquillo",PER +56,70,Eclogae,WORK_OF_ART +118,130,Fasti,WORK_OF_ART +221,232,Luca,PER +552,565,Scriba, +885,899,scribae, +983,1011,scribe divini eloquii, +1044,1064,scribe Cristi, +1137,1161,scribe romane rei, +436,455,Inconsutilis, +603,622,Unam sanctam, +84,93,Ap, +482,494,Epist,WORK_OF_ART +507,518,Carm, +61,73,Salmo,WORK_OF_ART +552,578,Atti degli Apostoli,WORK_OF_ART +1909,1944,De potestate regia et papali,WORK_OF_ART +2320,2362,Quaestiones de iuris subtilitatibus,WORK_OF_ART +2828,2850,De civitate Dei,WORK_OF_ART +211,222,suum, +965,984,existimantes, +166,197,Questio de aqua et terra,WORK_OF_ART +5,22,auctoritas, +188,210,sed invisibilia, +346,354,ž, +357,369,etiam, +571,590,propter quid, +675,686,quia, +623,640,e converso, +1501,1522,Digestum Vetus,WORK_OF_ART +1828,1846,Infortiatum, +11,21,Sat, +88,104,Giovenale,PER +636,655,auctoritates, +664,682,nobilitates, +1064,1099,Moralium dogma philosophorum,WORK_OF_ART +1336,1349,Tresor, +1386,1401,Moralium,WORK_OF_ART +1540,1554,Juvenal,PER +1693,1704,DEnc, +158,176,Sub sumptam, +195,214,Sub assumptę, +279,298,Subassumptam, +399,417,subassumpta, +966,986,due sententie, +990,1013,duas nobilitates, +1022,1037,propriam, +1050,1064,maiorum, +1089,1109,Due sententie, +1112,1134,due nobilitates, +1695,1715,propriam eius, +1723,1741,nobilitatem, +2342,2359,testimonia, +2720,2739,subassumptam, +58,71,Ecloga,WORK_OF_ART +424,439,Commedia,WORK_OF_ART +883,913,Tractatus de maleficiis,WORK_OF_ART +921,941,Quid sit fama, +5,17,Livio,PER +851,863,Deche,WORK_OF_ART +2010,2043,Historiae adversus paganos,WORK_OF_ART +2145,2162,De vulgari,WORK_OF_ART +3995,4011,Epistulae,WORK_OF_ART +4109,4128,Stratagemata,WORK_OF_ART +4636,4658,Ab Urbe condita,WORK_OF_ART +4954,4977,Roman de la rose,WORK_OF_ART +658,670,colpa, +865,875,Inf,WORK_OF_ART +1229,1243,rottura, +1375,1391,coniugium, +125,144,noster vates, +203,222,noster poeta, +367,380,noster, +384,402,Idem noster, +513,524,idem, +553,571,idem Noster, +1081,1093,vates, +1246,1258,Vates, +1616,1638,poeta Virgilius,PER +1687,1699,Poeta,PER +1768,1779,Idem, +2704,2722,vaticinatur, +3124,3144,divinus vates, +3314,3330,vaticinat, +3442,3492,Expositiones et glose super Comediam Dantis,WORK_OF_ART +4848,4864,vi mentis, +4960,4974,feltrum, +68,81,Latino,PER +84,98,Lavinia,PER +5,14,Ex, +126,142,sciniphes, +568,580,signa, +837,853,sinistros, +863,879,ministros, +918,939,Word Collation, +782,796,turbata, +1019,1034,turbavit, +1056,1074,perturbante, +1117,1135,procumbante, +1155,1173,proturbante, +683,695,Cocle, +865,878,Clelie, +1197,1209,cocle, +1247,1262,chloclie, +284,300,sententia, +577,601,bonum rei publice, +606,631,salus rei publicae, +1074,1097,Etica Nicomachea,WORK_OF_ART +1129,1158,"Cicerone, Marco Tullio",PER +214,228,diritto, +573,615,ius quod semper bonum et aequum est, +1527,1537,ius, +2160,2173,iustum, +2441,2456,iuristae, +2515,2531,positivum, +2569,2594,Aristoteles iustum, +2635,2656,Ethymologiarum,WORK_OF_ART +2783,2801,Philosophum,PER +2818,2833,iuristas, +2839,2857,Philosophus,PER +2905,2936,ex usu quo cives utuntur, +3001,3062,"ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit", +3089,3145,"a Philosopho nominatur legale, idest lege positum", +3265,3351,cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege, +3773,3786,In Eth,WORK_OF_ART +3973,3998,Nicomachean Ethics,WORK_OF_ART +85,98,In Aen,PER +12,25,potuit, +187,200,narrat, +224,238,enarrat, +41,52,vere, +272,290,severissimi, +293,310,libertatis, +416,436,vera libertas, +1556,1567,veri, +1577,1593,veritatis, +1874,1892,severissime, +1967,1981,tutoris, +1984,1999,auctoris, +2723,2735,autor, +2745,2758,auctor, +2871,2907,De finibus bonorum et malorum,WORK_OF_ART +2970,2984,autoris, +3179,3196,Purgatorio,WORK_OF_ART +3263,3279,Pharsalia,WORK_OF_ART +3303,3327,Epistulae morales,WORK_OF_ART +112,160,bonus usus non iustificat iniuste quesita, +165,188,valde subtiliter, +233,257,subtiliter tangit, +462,501,Comentum super Dantis Aldigherij,WORK_OF_ART +502,518,Comoediam,PER +3,15,1 Sam,PER +71,85,Samuele,PER +200,211,Saul,PER +2,12,Par,WORK_OF_ART +13,26,etenim, +52,63,enim, +277,294,Catholicon,WORK_OF_ART +482,501,Derivationes,WORK_OF_ART +5,14,Ac, +251,264,Mattia,PER +340,351,Etym,WORK_OF_ART +425,450,de iure longobardo,WORK_OF_ART +1260,1270,COD, +1312,1324,Summa,WORK_OF_ART +1332,1348,de duello,WORK_OF_ART +1903,1923,lex duellorum, +2025,2041,divinatio, +2042,2056,sortium, +2465,2494,De singulari certamine,WORK_OF_ART +2674,2696,de consuetudine,WORK_OF_ART +2725,2757,definitio per etymologiam, +3040,3051,EDir,WORK_OF_ART +3097,3110,Duello, +56,68,Metam,WORK_OF_ART +321,333,Anteo,PER +927,940,Ercole,PER +987,1001,Antaeus,PER +50,86,per nonaginta annos et plures, +133,150,octuaginta, +153,166,lxxxii, +699,720,consorte thori, +64,76,facit, +85,97,fecit, +297,310,Piramo,PER +394,419,prophetia Danielis,WORK_OF_ART +470,479,Dn,PER +129,139,Vox, +357,372,atloteti, +465,476,mèta, +27,46,Persarum rex, +420,431,Ciro,PER +121,135,meminit, +34,51,divitiarum, +149,177,sapientiæ et scientiæ, +256,284,scientie et sapientie, +1316,1344,sapientie et scientie, +79,92,Boezio,PER +133,146,exivit, +181,193,exiit, +658,693,Show original spelling forms, +795,806,Exit, +1214,1228,Augusto,PER +56,77,De re militari,WORK_OF_ART +38,52,Annales,WORK_OF_ART +314,331,iniustitie, +486,501,iustitie, +984,1009,cauponantes bellum,WORK_OF_ART +1254,1280,iustitie mercatores, +1824,1921,"nec tunc arbiter Deus esse credatur, sed ille antiquus Hostis qui litigii fuerat persuasor", +32,48,iustitiam, +139,156,instantiam, +303,319,instantia, +671,699,instantiam cognoscere, +67,87,disceptantium, +2,11,Tm, +13,32,rationalibus, +391,410,rationabilis, +64,102,"decimas, quae sunt pauperum Dei", +1018,1033,Declamat, +1871,1885,Povertà, +350,359,si, +512,526,Redeunt, +576,602,facultates Ecclesie, +940,954,Redeant, +1003,1031,Redeunt unde venerunt, +2677,2725,Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda, +3085,3113,redeant unde venerunt, +3189,3211,Cento Nuptialis,WORK_OF_ART +303,319,singulari, +946,983,Tractatus super Romano Imperio,WORK_OF_ART +1061,1107,Memoriale de prerogativa Imperii Romani,WORK_OF_ART +1841,1857,Memoriale,WORK_OF_ART +1907,1955,Staatsschriften des späteren Mittelalters,WORK_OF_ART +2009,2025,Tractatus,WORK_OF_ART +2357,2389,Historie adversus Paganos,WORK_OF_ART +3854,3872,Sine nomine, +67,105,in laudem et gloriam gratie sue, +59,73,iniuria, +288,310,De penis reorum,WORK_OF_ART +315,344,Tractatus maleficiorum,WORK_OF_ART +463,486,"Gandino, Alberto",PER +645,759,"Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis", +900,933,de verborum significatione, +1334,1352,de iniuriis,WORK_OF_ART +2176,2190,Iniuria, +39,56,Reprobatio,WORK_OF_ART +212,221,Ph, +138,162,Summa Decretalium,WORK_OF_ART +192,239,De officio et potestate iudicis delegati,WORK_OF_ART +322,340,prophetavit, +485,498,Caifas,PER +38,48,suo, +15,29,Ausonia, +522,534,palea, +535,554,Constantinus,PER +632,662,Constitutum Constantini,WORK_OF_ART +79,93,Daniele,PER +1063,1094,Tre donne intorno al cor,WORK_OF_ART +1547,1562,conclusi, +1675,1701,Conclusi ora leonum, +2036,2063,iusticia est inventa, +2074,2101,inventa est iusticia, +2175,2190,Conclusi, +5,14,Pv, +140,157,ingrediens, +200,226,Parabolae Salomonis,WORK_OF_ART +261,276,Proverbi,WORK_OF_ART +5,16,1 Th, +5,14,Is, +5,15,Col, +353,364,Purg,WORK_OF_ART +485,494,Gn,WORK_OF_ART +837,848,Luna, +910,921,Sole, +943,984,Temi di simbologia solare in Dante,WORK_OF_ART +1008,1030,Il pianeta sole, +62,104,principium inquisitionis directivum, +46,71,Sophistici elenchi,WORK_OF_ART +327,345,civilitatem, +564,578,intuitu, +707,741,rationis intuitum voluntate, +1957,1977,incontinentia, +1986,2004,praevolatio, +2510,2526,debilitas, +2923,2940,uoluntatem, +173,191,traditiones, +407,428,constitutiones, +555,568,dictum, +18,49,Determinatio compendiosa,WORK_OF_ART +119,136,distinctio, +1114,1193,"Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis", +28,41,Marcus,PER +10,36,Ieronimi et aliorum, +141,158,Decretales,WORK_OF_ART +442,455,lapsus, +25,41,Allegoria, +225,239,Solitae, +255,279,Compilatio Tertia,WORK_OF_ART +37,71,De maioritate et obedientia, +743,760,argumentum, +890,923,principaliter et finaliter, +1219,1268,Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim, +1794,1810,Almagesto,WORK_OF_ART +3292,3310,Summa Aurea, +3316,3346,Qui filii sint legitimi, +3350,3404,Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur, +3570,3603,De maioritae et obedientia,WORK_OF_ART +3650,3666,Allocucio,WORK_OF_ART +3726,3749,Romani principes,WORK_OF_ART +3761,3772,Clem,PER +3782,3803,De iureiurando,WORK_OF_ART +40,70,De sophisticis elenchis,WORK_OF_ART +762,778,Parmenide,PER +780,794,Melisso,PER +797,810,Brisso,PER +645,687,Comentum super poema Comedie Dantis, +10,39,De doctrina Christiana,WORK_OF_ART +78,116,in libro de Doctrina Christiana, +121,135,sentire, +560,575,qui vult, +782,792,qui, +812,824,dicit, +836,847,illo, +1303,1320,deteriores, +1906,1920,de illo, +1921,1933,aliud, +2764,2779,quisquis, +2786,2800,si quis, +2829,2842,sentit, +3836,3847,vult, +376,396,summa divisio, +225,237,1 Cor, +371,382,2 Pt, +4,19,dictator, +378,392,Dittare, +454,470,Dittatore, +111,139,In Isagogen Prophyrii, +24,63,Deus et natura nil otiosum facit, +27,42,peccabit, +141,156,in forma, +208,221,peccat, +162,201,Summa de potestate ecclesiastica, +724,740,audiverim, +56,75,duo regimina, +170,184,figulus, +276,289,figura, +417,433,figuratus, +445,458,figuro, +44,56,maius, +133,148,magister, +186,201,minister, +27,76,Nichil est quod dare possit quod non habet, +217,243,potestas baptizandi, +310,323,Nullus, +329,354,dat quod non habet, +513,545,nullus dat quod non habet, +682,704,successor Petri, +740,772,vicarius non dat vicarium, +981,999,auctorizare, +1199,1229,extollere ad dignitatem, +1234,1257,honorem assumere, +57,74,absurditas, +74,96,manente vinculo, +394,411,fornicatio, +370,387,Si fratrum, +947,960,Papato, +1287,1304,potestates, +102,115,ad hæc, +144,157,ad hec, +344,357,ad hoc, +53,67,puritas, +373,384,pure, +10,29,quidam adhuc, +33,46,quidam, +153,183,constitutum Constantini,WORK_OF_ART +259,275,excerptum, +424,452,Actus beati Sylvestri,WORK_OF_ART +507,527,Legenda aurea,WORK_OF_ART +617,635,Constitutum,WORK_OF_ART +841,860,utrumque ius, +2103,2134,Kostantinische Schenkung, +2139,2151,LexMA, +599,616,Costantino,PER +122,139,dignitates, +827,836,et, +1315,1335,Romana donavi, +1438,1465,lectiones singulares,WORK_OF_ART +1651,1688,Constantinus inperator coronam, +695,725,specialiter et expresse, +838,848,MGH, +850,887,Constitutiones et acta publica,WORK_OF_ART +25,55,Donazione di Costantino,WORK_OF_ART +252,269,in officio, +792,825,Quomodo oporteat episcopos, +958,976,sacerdotium, +1349,1364,quaestio, +2218,2255,De confirmatione Institutionum,WORK_OF_ART +3255,3269,Volumen,WORK_OF_ART +878,904,Postilla in Genesim,WORK_OF_ART +930,946,Praecepit, +1103,1124,Ad reprimendum,WORK_OF_ART +87,97,Eph, +106,117,1 Pt, +25,37,petra, +1025,1043,ius divinum, +1270,1288,ius humanum, +1551,1622,"Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus", +1838,1855,lex humana, +1859,1903,mores ipso iure conscripti et traditi, +1979,1989,lex, +2309,2335,De constitutionibus,WORK_OF_ART +30,45,Canticum,WORK_OF_ART +353,370,Canticorum,WORK_OF_ART +464,485,iuxta canticam, +619,645,Cantico dei Cantici,WORK_OF_ART +184,218,Quaestio in utramque partem, +775,798,Lectura Feudorum,WORK_OF_ART +147,161,de iure,WORK_OF_ART +351,380,dispositio conferentis, +433,469,dispositio eius cui confertur, +556,573,dispositio, +834,856,de donationibus, +25,39,dispono, +388,412,vitiosa possessio, +498,513,extranei, +62,77,Pauperum, +535,550,Rosarium,WORK_OF_ART +755,782,dispansator pauperum, +827,853,oeconomus ecclesiae, +1100,1125,res ecclesiasticae, +112,138,advocatus Ecclesiae, +866,908,"MGH, Constitutiones et acta publica",WORK_OF_ART +914,932,Principatus,WORK_OF_ART +935,952,Neque enim, +180,202,usurpatio iuris, +405,427,Prima filosofia, +724,738,Ratione, +233,245,de xp, +274,290,de decimo, +528,560,De perfectione evangelica,WORK_OF_ART +847,872,"Imbach, Einleitung", +993,1016,Antiquorum habet, +1091,1122,auctoritas in concedendo, +1199,1222,reductio ad unum, +1270,1292,corpus mysticum, +2261,2290,Elementatio theologica,WORK_OF_ART +283,303,humanum genus, +4,19,antistes, +166,178,illud, +227,242,ad aliud, +535,558,relatio ad aliud, +564,589,relatio ad aliquid, +691,723,praedicamentum ad aliquid, +150,163,Powers, +165,182,Potestates, +510,525,ordinare, +605,628,Summa Theologica,WORK_OF_ART +320,340,"Festo, Porcio",PER +144,156,Paolo,PER +0,9,Lv," +WORK_OF_ART" +48,61,Leviti,WORK_OF_ART +765,776,vote, +91,107,lex vetus, +110,125,lex nova, +5,14,Nm, +798,814,ad unguem, +838,852,remotos, +344,373,sollicitudo temporalis, +380,405,governmental sense, +50,67,maior pars, +212,230,ius gentium, +251,272,"Pilato, Ponzio",PER +28,44,Psalmista, +103,117,psalmus,WORK_OF_ART +14,30,et siccam, +69,82,aridam, +296,325,Breviarium Ambrosianum,WORK_OF_ART +347,372,Psalterium Romanum,WORK_OF_ART +384,396,arida, +726,742,yabbashāh, +756,772,yabbēshet, +830,841,xerà, +1159,1174,Salmista, +283,297,Ketuvīm,WORK_OF_ART +355,367,Torāh,WORK_OF_ART +403,415,Navīm,WORK_OF_ART +872,890,agyographya, +928,946,agyographus, +281,303,maxima dona Dei, +10,23,areola, +128,159,in arcula ista mortalium, +207,220,aresco, +256,271,inaresco, +275,290,exaresco, +316,327,area, +814,836,De consolatione,WORK_OF_ART +863,876,Aiuola, +262,272,arx, +591,604,unitus, +608,622,munitus, +786,800,monitus, +11,27,Reverenza, +278,295,paternitas, +1554,1583,Iuramentum Imperatoris, +642,659,reverentia, +915,934,ius paternum, \ No newline at end of file diff --git a/commentaries/data_parsed/rime_DF.csv b/commentaries/data_parsed/rime_DF.csv new file mode 100644 index 0000000..a7001ac --- /dev/null +++ b/commentaries/data_parsed/rime_DF.csv @@ -0,0 +1,862 @@ +text,comment,fragment,quot_type,quot_uri,quot_title,quot_author,author_uri,quot_theme,quot_work_type +PROVEDI,"'Considera con attenzione, esamina'. Frequenti in Dante da Maiano (cfr. Bettarini 1969a, glossario), provedere e provedenza sono termini caratteristici delle tenzoni, quando si tratta di chiedere al partner di pronunciarsi su una determinata questione o quando si fornisce il parere richiesto: cfr. Dante Alighieri, Se Lippo amico 2-3, e i sonetti, entrambi responsivi, di Dino Compagni, Vostra quistione 6 Lo mio proveder di tal loco saggio, e di ser Pace, Ser Bello 9-10 dirò, per vostro dubio diclarare, / sì come pare ala mia provedença",Vostra quistione 6 «Lo mio proveder di tal loco saggio»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Vostra_quistione,Vostra quistione,Dino Compagni,http://dbpedia.org/resource/Dino_Compagni,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PROVEDI,"'Considera con attenzione, esamina'. Frequenti in Dante da Maiano (cfr. Bettarini 1969a, glossario), provedere e provedenza sono termini caratteristici delle tenzoni, quando si tratta di chiedere al partner di pronunciarsi su una determinata questione o quando si fornisce il parere richiesto: cfr. Dante Alighieri, Se Lippo amico 2-3, e i sonetti, entrambi responsivi, di Dino Compagni, Vostra quistione 6 Lo mio proveder di tal loco saggio, e di ser Pace, Ser Bello 9-10 dirò, per vostro dubio diclarare, / sì come pare ala mia provedença","Ser Bello 9-10 «dirò, per vostro dubio diclarare, / sì come pare ala mia provedença»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ser_Bello,Ser Bello,Ser Pace,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ser_Pace,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +VISÏONE,"senz'altro 'sogno', benché non si dica che ha avuto luogo durante il sonno e benché i trattati in materia distinguano le visioni in stato di veglia, o di raptus, dai veri e propri sogni (cfr. Peri 1996, p. 162). Come osserva Gregory 1985, p. 129, la distinzione [argomentata da Macrobio e da Alberto Magno] fra somnium, visio e prophetia ... trova il suo spartiacque nell'essere il primo sempre nel sonno mentre gli altri fenomeni divinatori si verificano in vigilia. Ma la distinzione – alla quale la tradizione antica e altomedievale aveva dato scarsissimo rilievo – sembra spesso sfumare; e di fatto, anche nelle lingue romanze il termine visione è adoperato regolarmente nel senso di 'sogno' – cfr. per esempio l'anonima En seumeillant m'avint une vesion (vesion che al v. 15 è chiamata appunto songe: pour douner au songe conclusion, ed. Apel 1970-72, n. 108).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Macrobio,http://dbpedia.org/resource/Macrobius,http://purl.org/bncf/tid/25917,CONCEPT +VISÏONE,"senz'altro 'sogno', benché non si dica che ha avuto luogo durante il sonno e benché i trattati in materia distinguano le visioni in stato di veglia, o di raptus, dai veri e propri sogni (cfr. Peri 1996, p. 162). Come osserva Gregory 1985, p. 129, la distinzione [argomentata da Macrobio e da Alberto Magno] fra somnium, visio e prophetia ... trova il suo spartiacque nell'essere il primo sempre nel sonno mentre gli altri fenomeni divinatori si verificano in vigilia. Ma la distinzione – alla quale la tradizione antica e altomedievale aveva dato scarsissimo rilievo – sembra spesso sfumare; e di fatto, anche nelle lingue romanze il termine visione è adoperato regolarmente nel senso di 'sogno' – cfr. per esempio l'anonima En seumeillant m'avint une vesion (vesion che al v. 15 è chiamata appunto songe: pour douner au songe conclusion, ed. Apel 1970-72, n. 108).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT +VISÏONE,"senz'altro 'sogno', benché non si dica che ha avuto luogo durante il sonno e benché i trattati in materia distinguano le visioni in stato di veglia, o di raptus, dai veri e propri sogni (cfr. Peri 1996, p. 162). Come osserva Gregory 1985, p. 129, la distinzione [argomentata da Macrobio e da Alberto Magno] fra somnium, visio e prophetia ... trova il suo spartiacque nell'essere il primo sempre nel sonno mentre gli altri fenomeni divinatori si verificano in vigilia. Ma la distinzione – alla quale la tradizione antica e altomedievale aveva dato scarsissimo rilievo – sembra spesso sfumare; e di fatto, anche nelle lingue romanze il termine visione è adoperato regolarmente nel senso di 'sogno' – cfr. per esempio l'anonima En seumeillant m'avint une vesion (vesion che al v. 15 è chiamata appunto songe: pour douner au songe conclusion, ed. Apel 1970-72, n. 108).",vesion che al v. 15 è chiamata appunto songe: «pour douner au songe conclusion»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/En_seumeillant_m_avint_une_vesion,En seumeillant m'avint une vesion,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NE TRAI VERA SENTENZA,"'ricavane una giusta opinione, danne un'interpretazione veridica', col significato del lat. sententia (e sententiam trahere è in Seneca il Vecchio, Controv. VII VI 22); così, sempre in tenzone, Iacopo Mostacci scrive ai suoi corrispondenti: però ven faccio sentenzïatore (Solicitando 14). Diversamente, ma direi meno bene, Contini, Barbi – Maggini e De Robertis: 'ricavane il senso'",Controv. VII VI 22 - sententiam trahere,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/page/Controversiae,ontroversiae,Seneca il Vecchio,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Elder,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK +NE TRAI VERA SENTENZA,"'ricavane una giusta opinione, danne un'interpretazione veridica', col significato del lat. sententia (e sententiam trahere è in Seneca il Vecchio, Controv. VII VI 22); così, sempre in tenzone, Iacopo Mostacci scrive ai suoi corrispondenti: però ven faccio sentenzïatore (Solicitando 14). Diversamente, ma direi meno bene, Contini, Barbi – Maggini e De Robertis: 'ricavane il senso'",«però ven faccio sentenzïatore» (Solicitando 14),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Soliccitando_un_poco_meo_savere,Soliccitando un poco meo savere,Iacopo Mostacci,http://it.dbpedia.org/page/Jacopo_Mostacci,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +BELLA FAZZONE,"'bell'aspetto'; non solo il sostantivo (prestito dal prov. faison, a. fr. façon [DEI], e cfr. Cella 2003, s.v.) ma l'intera formula s'ispira alla poesia dei trovatori: bella faisso (in Gaucelm Faidit, Berenguer de Palol, Pons de Capduoill e vari altri).",bella faisso,CONCORDANZA GENERICA,,,Gaucelm Faidit,http://dbpedia.org/resource/Gaucelm_Faidit,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +BELLA FAZZONE,"'bell'aspetto'; non solo il sostantivo (prestito dal prov. faison, a. fr. façon [DEI], e cfr. Cella 2003, s.v.) ma l'intera formula s'ispira alla poesia dei trovatori: bella faisso (in Gaucelm Faidit, Berenguer de Palol, Pons de Capduoill e vari altri).",bella faisso,CONCORDANZA GENERICA,,,Berenguer de Palol,http://dbpedia.org/resource/Berenguier_de_Palazol,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +BELLA FAZZONE,"'bell'aspetto'; non solo il sostantivo (prestito dal prov. faison, a. fr. façon [DEI], e cfr. Cella 2003, s.v.) ma l'intera formula s'ispira alla poesia dei trovatori: bella faisso (in Gaucelm Faidit, Berenguer de Palol, Pons de Capduoill e vari altri).",bella faisso,CONCORDANZA GENERICA,,,Pons de Capduoill,http://dbpedia.org/resource/Pons_de_Capduelh,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +DI CUI ... S'AGENZA,"non del tutto liquida la struttura sintattica, con gradir che regge di cui, laddove ci si aspetterebbe un complemento diretto o di termine (così anche grazir in provenzale: cfr. Jensen 1994, § 432). E verrebbe quasi da pensare a un errore per omoarchia, dato Dico all'inizio del verso precedente. Ma tutto dipende dal significato che decidiamo di dare a gradire: 'aver favorevole' (Contini)? O 'ottenere le grazie' (De Robertis)? Oppure 'contentare, far cosa gradita', cioè 'che mi compiaccio di servire', come nella dubbia Io non domando 1-2 Io non domando, Amore, / fuor che potere il tuo piacer gradire, e in Dante da Maiano, Sì m'abbellio 7-8 non considerai / mai che gradir la vostra benvoglienza? Si veda però Guinizelli, Donna, l'amor mi sforza 43-4 Donqua si dé gradire / di me, che voglio ben fare. Qui gradire significa 'apprezzare' e regge il complemento di specificazione. Sembra questa la spiegazione più probabile anche per il verso di Dante: 'la quale (di cui) il mio cuore si compiace, è lieto (s'agenza) di apprezzare, di amare (gradir)'","Donna, l'amor mi sforza 43-4 «Donqua si dé gradire / di me, che voglio ben fare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_l_amor_mi_sforza,"Donna, l'amor mi sforza",Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DI CUI ... S'AGENZA,"non del tutto liquida la struttura sintattica, con gradir che regge di cui, laddove ci si aspetterebbe un complemento diretto o di termine (così anche grazir in provenzale: cfr. Jensen 1994, § 432). E verrebbe quasi da pensare a un errore per omoarchia, dato Dico all'inizio del verso precedente. Ma tutto dipende dal significato che decidiamo di dare a gradire: 'aver favorevole' (Contini)? O 'ottenere le grazie' (De Robertis)? Oppure 'contentare, far cosa gradita', cioè 'che mi compiaccio di servire', come nella dubbia Io non domando 1-2 Io non domando, Amore, / fuor che potere il tuo piacer gradire, e in Dante da Maiano, Sì m'abbellio 7-8 non considerai / mai che gradir la vostra benvoglienza? Si veda però Guinizelli, Donna, l'amor mi sforza 43-4 Donqua si dé gradire / di me, che voglio ben fare. Qui gradire significa 'apprezzare' e regge il complemento di specificazione. Sembra questa la spiegazione più probabile anche per il verso di Dante: 'la quale (di cui) il mio cuore si compiace, è lieto (s'agenza) di apprezzare, di amare (gradir)'",grazir,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +MI FÉ ... DONAGIONE,"'mi donò una ghirlanda'. Il dono di una ghirlanda di fiori da parte della donna amata è segno di favore già nella tradizione popolare, come documentano per esempio Rajna 1901 e Toschi 1955, p. 393. Nella poesia italiana, tra i tanti esempi possibili, cfr. il sonetto Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire (ed. Mussafia 1874, p. 383). E sul dono della ghirlanda e il galateo connesso al dono si vedano soprattutto gli aneddoti riferiti da Francesco da Barberino nel Reggimento, pp. 22 e 74, dove il dono della ghirlanda è chiaro simbolo del gradimento da parte dell'amata: quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?; e una ghirlanda è al centro anche del suddetto sonetto-visione di Francesco, I' son sì fatto d'una sisione (Reggimento, pp. 38-9): Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare (12-3). Quanto ai precedenti romanzi, il motivo ricorre già nel teatro francese (cfr. Adam de la Halle, Jeu de Robin 175-6 Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?) e nei cosiddetti generi lirici oggettivi; né si tratta soltanto di un topos romanzo, se lo s'incontra anche nelle liriche di Walther von der Vogelweide (cfr. Dronke 1996, pp. 201-2). E dal momento che incoronare l'amante significa accettarlo, dire di sì, non è fuori luogo immaginare, all'origine della metafora, un'allusione all'organo sessuale femminile, allusione trasparente per esempio nella pastorella L'autre jour je chevachoie 10-2 tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet ed. Bartsch 1870, p. 146. Testimonianze iconografiche (uno specchio d'avorio, circa 1320, in cui è raffigurata una donna che dona all'amante una ghirlanda) in Camille 1998, pp. 54-6. Infine, dal momento che il dono della ghirlanda ha luogo in sogno, merita osservare che anche nell'oniromantica esso è interpretato come segno di buon auspicio: Coronam accipere vel habere: gaudium (Libro dei sogni di Rasis, in Hoffmeister 1969, p. 154)",Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 «Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dollioso_mi_partio_e_for_racordato,Dollioso mi partìo e for racordato,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MI FÉ ... DONAGIONE,"'mi donò una ghirlanda'. Il dono di una ghirlanda di fiori da parte della donna amata è segno di favore già nella tradizione popolare, come documentano per esempio Rajna 1901 e Toschi 1955, p. 393. Nella poesia italiana, tra i tanti esempi possibili, cfr. il sonetto Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire (ed. Mussafia 1874, p. 383). E sul dono della ghirlanda e il galateo connesso al dono si vedano soprattutto gli aneddoti riferiti da Francesco da Barberino nel Reggimento, pp. 22 e 74, dove il dono della ghirlanda è chiaro simbolo del gradimento da parte dell'amata: quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?; e una ghirlanda è al centro anche del suddetto sonetto-visione di Francesco, I' son sì fatto d'una sisione (Reggimento, pp. 38-9): Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare (12-3). Quanto ai precedenti romanzi, il motivo ricorre già nel teatro francese (cfr. Adam de la Halle, Jeu de Robin 175-6 Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?) e nei cosiddetti generi lirici oggettivi; né si tratta soltanto di un topos romanzo, se lo s'incontra anche nelle liriche di Walther von der Vogelweide (cfr. Dronke 1996, pp. 201-2). E dal momento che incoronare l'amante significa accettarlo, dire di sì, non è fuori luogo immaginare, all'origine della metafora, un'allusione all'organo sessuale femminile, allusione trasparente per esempio nella pastorella L'autre jour je chevachoie 10-2 tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet ed. Bartsch 1870, p. 146. Testimonianze iconografiche (uno specchio d'avorio, circa 1320, in cui è raffigurata una donna che dona all'amante una ghirlanda) in Camille 1998, pp. 54-6. Infine, dal momento che il dono della ghirlanda ha luogo in sogno, merita osservare che anche nell'oniromantica esso è interpretato come segno di buon auspicio: Coronam accipere vel habere: gaudium (Libro dei sogni di Rasis, in Hoffmeister 1969, p. 154)","Reggimento, pp. 22 e 74 «quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/page/Reggimento_e_costumi_di_donna,Reggimento e costumi di donna,Francesco da Barberino,http://it.dbpedia.org/resource/Francesco_da_Barberino,http://purl.org/bncf/tid/3066_o_meglio_trattatistica_(?),WORK +MI FÉ ... DONAGIONE,"'mi donò una ghirlanda'. Il dono di una ghirlanda di fiori da parte della donna amata è segno di favore già nella tradizione popolare, come documentano per esempio Rajna 1901 e Toschi 1955, p. 393. Nella poesia italiana, tra i tanti esempi possibili, cfr. il sonetto Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire (ed. Mussafia 1874, p. 383). E sul dono della ghirlanda e il galateo connesso al dono si vedano soprattutto gli aneddoti riferiti da Francesco da Barberino nel Reggimento, pp. 22 e 74, dove il dono della ghirlanda è chiaro simbolo del gradimento da parte dell'amata: quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?; e una ghirlanda è al centro anche del suddetto sonetto-visione di Francesco, I' son sì fatto d'una sisione (Reggimento, pp. 38-9): Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare (12-3). Quanto ai precedenti romanzi, il motivo ricorre già nel teatro francese (cfr. Adam de la Halle, Jeu de Robin 175-6 Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?) e nei cosiddetti generi lirici oggettivi; né si tratta soltanto di un topos romanzo, se lo s'incontra anche nelle liriche di Walther von der Vogelweide (cfr. Dronke 1996, pp. 201-2). E dal momento che incoronare l'amante significa accettarlo, dire di sì, non è fuori luogo immaginare, all'origine della metafora, un'allusione all'organo sessuale femminile, allusione trasparente per esempio nella pastorella L'autre jour je chevachoie 10-2 tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet ed. Bartsch 1870, p. 146. Testimonianze iconografiche (uno specchio d'avorio, circa 1320, in cui è raffigurata una donna che dona all'amante una ghirlanda) in Camille 1998, pp. 54-6. Infine, dal momento che il dono della ghirlanda ha luogo in sogno, merita osservare che anche nell'oniromantica esso è interpretato come segno di buon auspicio: Coronam accipere vel habere: gaudium (Libro dei sogni di Rasis, in Hoffmeister 1969, p. 154)","(Reggimento, pp. 38-9): «Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare» (12-3)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/I_son_si_fatto_d_una_visione,I' son sì fatto d'una visione,Francesco da Barberino,http://it.dbpedia.org/resource/Francesco_da_Barberino,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MI FÉ ... DONAGIONE,"'mi donò una ghirlanda'. Il dono di una ghirlanda di fiori da parte della donna amata è segno di favore già nella tradizione popolare, come documentano per esempio Rajna 1901 e Toschi 1955, p. 393. Nella poesia italiana, tra i tanti esempi possibili, cfr. il sonetto Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire (ed. Mussafia 1874, p. 383). E sul dono della ghirlanda e il galateo connesso al dono si vedano soprattutto gli aneddoti riferiti da Francesco da Barberino nel Reggimento, pp. 22 e 74, dove il dono della ghirlanda è chiaro simbolo del gradimento da parte dell'amata: quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?; e una ghirlanda è al centro anche del suddetto sonetto-visione di Francesco, I' son sì fatto d'una sisione (Reggimento, pp. 38-9): Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare (12-3). Quanto ai precedenti romanzi, il motivo ricorre già nel teatro francese (cfr. Adam de la Halle, Jeu de Robin 175-6 Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?) e nei cosiddetti generi lirici oggettivi; né si tratta soltanto di un topos romanzo, se lo s'incontra anche nelle liriche di Walther von der Vogelweide (cfr. Dronke 1996, pp. 201-2). E dal momento che incoronare l'amante significa accettarlo, dire di sì, non è fuori luogo immaginare, all'origine della metafora, un'allusione all'organo sessuale femminile, allusione trasparente per esempio nella pastorella L'autre jour je chevachoie 10-2 tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet ed. Bartsch 1870, p. 146. Testimonianze iconografiche (uno specchio d'avorio, circa 1320, in cui è raffigurata una donna che dona all'amante una ghirlanda) in Camille 1998, pp. 54-6. Infine, dal momento che il dono della ghirlanda ha luogo in sogno, merita osservare che anche nell'oniromantica esso è interpretato come segno di buon auspicio: Coronam accipere vel habere: gaudium (Libro dei sogni di Rasis, in Hoffmeister 1969, p. 154)","Jeu de Robin 175-6 «Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Jeu_de_Robin_et_Marion,Jeu de Robin et Marion,Adam de la Halle,http://dbpedia.org/resource/Adam_de_la_Halle,http://purl.org/bncf/tid/27616,WORK +MI FÉ ... DONAGIONE,"'mi donò una ghirlanda'. Il dono di una ghirlanda di fiori da parte della donna amata è segno di favore già nella tradizione popolare, come documentano per esempio Rajna 1901 e Toschi 1955, p. 393. Nella poesia italiana, tra i tanti esempi possibili, cfr. il sonetto Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire (ed. Mussafia 1874, p. 383). E sul dono della ghirlanda e il galateo connesso al dono si vedano soprattutto gli aneddoti riferiti da Francesco da Barberino nel Reggimento, pp. 22 e 74, dove il dono della ghirlanda è chiaro simbolo del gradimento da parte dell'amata: quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?; e una ghirlanda è al centro anche del suddetto sonetto-visione di Francesco, I' son sì fatto d'una sisione (Reggimento, pp. 38-9): Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare (12-3). Quanto ai precedenti romanzi, il motivo ricorre già nel teatro francese (cfr. Adam de la Halle, Jeu de Robin 175-6 Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?) e nei cosiddetti generi lirici oggettivi; né si tratta soltanto di un topos romanzo, se lo s'incontra anche nelle liriche di Walther von der Vogelweide (cfr. Dronke 1996, pp. 201-2). E dal momento che incoronare l'amante significa accettarlo, dire di sì, non è fuori luogo immaginare, all'origine della metafora, un'allusione all'organo sessuale femminile, allusione trasparente per esempio nella pastorella L'autre jour je chevachoie 10-2 tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet ed. Bartsch 1870, p. 146. Testimonianze iconografiche (uno specchio d'avorio, circa 1320, in cui è raffigurata una donna che dona all'amante una ghirlanda) in Camille 1998, pp. 54-6. Infine, dal momento che il dono della ghirlanda ha luogo in sogno, merita osservare che anche nell'oniromantica esso è interpretato come segno di buon auspicio: Coronam accipere vel habere: gaudium (Libro dei sogni di Rasis, in Hoffmeister 1969, p. 154)",,CONCORDANZA GENERICA,,,Walther von der Vogelweide,http://live.dbpedia.org/page/Walther_von_der_Vogelweide,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +MI FÉ ... DONAGIONE,"'mi donò una ghirlanda'. Il dono di una ghirlanda di fiori da parte della donna amata è segno di favore già nella tradizione popolare, come documentano per esempio Rajna 1901 e Toschi 1955, p. 393. Nella poesia italiana, tra i tanti esempi possibili, cfr. il sonetto Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire (ed. Mussafia 1874, p. 383). E sul dono della ghirlanda e il galateo connesso al dono si vedano soprattutto gli aneddoti riferiti da Francesco da Barberino nel Reggimento, pp. 22 e 74, dove il dono della ghirlanda è chiaro simbolo del gradimento da parte dell'amata: quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?; e una ghirlanda è al centro anche del suddetto sonetto-visione di Francesco, I' son sì fatto d'una sisione (Reggimento, pp. 38-9): Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare (12-3). Quanto ai precedenti romanzi, il motivo ricorre già nel teatro francese (cfr. Adam de la Halle, Jeu de Robin 175-6 Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?) e nei cosiddetti generi lirici oggettivi; né si tratta soltanto di un topos romanzo, se lo s'incontra anche nelle liriche di Walther von der Vogelweide (cfr. Dronke 1996, pp. 201-2). E dal momento che incoronare l'amante significa accettarlo, dire di sì, non è fuori luogo immaginare, all'origine della metafora, un'allusione all'organo sessuale femminile, allusione trasparente per esempio nella pastorella L'autre jour je chevachoie 10-2 tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet ed. Bartsch 1870, p. 146. Testimonianze iconografiche (uno specchio d'avorio, circa 1320, in cui è raffigurata una donna che dona all'amante una ghirlanda) in Camille 1998, pp. 54-6. Infine, dal momento che il dono della ghirlanda ha luogo in sogno, merita osservare che anche nell'oniromantica esso è interpretato come segno di buon auspicio: Coronam accipere vel habere: gaudium (Libro dei sogni di Rasis, in Hoffmeister 1969, p. 154)","L'autre jour je chevachoie 10-2 «tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Jeu_de_Robin_et_Marion,Jeu de Robin et Marion,Adam de la Halle,http://dbpedia.org/resource/Adam_de_la_Halle,http://purl.org/bncf/tid/27616,WORK +MI FÉ ... DONAGIONE,"'mi donò una ghirlanda'. Il dono di una ghirlanda di fiori da parte della donna amata è segno di favore già nella tradizione popolare, come documentano per esempio Rajna 1901 e Toschi 1955, p. 393. Nella poesia italiana, tra i tanti esempi possibili, cfr. il sonetto Dollioso mi partìo e for racordato 12-3 Merçé kero ad ella ke m'à e[n] ballia / Ke la kirlanda me deia largire (ed. Mussafia 1874, p. 383). E sul dono della ghirlanda e il galateo connesso al dono si vedano soprattutto gli aneddoti riferiti da Francesco da Barberino nel Reggimento, pp. 22 e 74, dove il dono della ghirlanda è chiaro simbolo del gradimento da parte dell'amata: quando debo io venire – domanda l'amante – al punto di questa ghirlanda che tante fiate promesso m'avete?; e una ghirlanda è al centro anche del suddetto sonetto-visione di Francesco, I' son sì fatto d'una sisione (Reggimento, pp. 38-9): Po' con una ghirlanda ch'avea in testa / me fe' legare (12-3). Quanto ai precedenti romanzi, il motivo ricorre già nel teatro francese (cfr. Adam de la Halle, Jeu de Robin 175-6 Robin, veus tu que je le [la corona di fiori] meche / seur ton chief par amourete?) e nei cosiddetti generi lirici oggettivi; né si tratta soltanto di un topos romanzo, se lo s'incontra anche nelle liriche di Walther von der Vogelweide (cfr. Dronke 1996, pp. 201-2). E dal momento che incoronare l'amante significa accettarlo, dire di sì, non è fuori luogo immaginare, all'origine della metafora, un'allusione all'organo sessuale femminile, allusione trasparente per esempio nella pastorella L'autre jour je chevachoie 10-2 tres douce compaignete, / doneis moi vostre chaipelet, / donneiz moi vostre chaipelet ed. Bartsch 1870, p. 146. Testimonianze iconografiche (uno specchio d'avorio, circa 1320, in cui è raffigurata una donna che dona all'amante una ghirlanda) in Camille 1998, pp. 54-6. Infine, dal momento che il dono della ghirlanda ha luogo in sogno, merita osservare che anche nell'oniromantica esso è interpretato come segno di buon auspicio: Coronam accipere vel habere: gaudium (Libro dei sogni di Rasis, in Hoffmeister 1969, p. 154)",«Coronam accipere vel habere: gaudium» (Libro dei sogni di Rasis),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_dei_sogni,Libro dei sogni,Rasis,http://live.dbpedia.org/page/Muhammad_ibn_Zakariya_al-Razi,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +CON BELLA ACCOGLIENZA,"(l'ed. De Robertis legge, con la Giuntina, accollienza, ma che si tratti di una mera grafia lo assicura tra l'altro, nella stessa Giuntina, vallia in rima con battaglia in Savere e cortesia 9): 'con fare amichevole' (riferito ovviamente alla donna soggetto dell'azione, non alla ghirlanda). Traduce una formula di lode consueta nei trovatori: la donna è de belh aculhimen (Berenguer de Palol, Dona, la genser qu'om veya 2; Arnaut Catalan, Amors, rics fora s'ieu vis 43); e del resto Bel acueil è uno dei personaggi del Roman de la Rose, uno degli alleati del protagonista nella conquista della rosa (nel Fiore, adattamento italiano del poema francese, Bellacoglienza). Per quanto riguarda l'italiano antico, il GDLI, s.v. accoglienza, registra le locuzioni essere di bella accoglienza in Dino Compagni e farsi avanti con bella accoglienza in Pulci.","Dona, la genser qu'om veya 2 «de belh aculhimen»",CONCORDANZA STRINGENTE,"Dona, la genser qu'om veya",http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dona_la_genser_qu_om_veya,Berenguer de Palol,http://dbpedia.org/resource/Berenguier_de_Palazol,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CON BELLA ACCOGLIENZA,"(l'ed. De Robertis legge, con la Giuntina, accollienza, ma che si tratti di una mera grafia lo assicura tra l'altro, nella stessa Giuntina, vallia in rima con battaglia in Savere e cortesia 9): 'con fare amichevole' (riferito ovviamente alla donna soggetto dell'azione, non alla ghirlanda). Traduce una formula di lode consueta nei trovatori: la donna è de belh aculhimen (Berenguer de Palol, Dona, la genser qu'om veya 2; Arnaut Catalan, Amors, rics fora s'ieu vis 43); e del resto Bel acueil è uno dei personaggi del Roman de la Rose, uno degli alleati del protagonista nella conquista della rosa (nel Fiore, adattamento italiano del poema francese, Bellacoglienza). Per quanto riguarda l'italiano antico, il GDLI, s.v. accoglienza, registra le locuzioni essere di bella accoglienza in Dino Compagni e farsi avanti con bella accoglienza in Pulci.","Amors, rics fora s'ieu vis 43 «de belh aculhimen»",CONCORDANZA STRINGENTE,"Amors, rics fora s'ieu vis",http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amors_rics_fora_s_ieu_vis,Arnaut Catalan,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_Catalan,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CON BELLA ACCOGLIENZA,"(l'ed. De Robertis legge, con la Giuntina, accollienza, ma che si tratti di una mera grafia lo assicura tra l'altro, nella stessa Giuntina, vallia in rima con battaglia in Savere e cortesia 9): 'con fare amichevole' (riferito ovviamente alla donna soggetto dell'azione, non alla ghirlanda). Traduce una formula di lode consueta nei trovatori: la donna è de belh aculhimen (Berenguer de Palol, Dona, la genser qu'om veya 2; Arnaut Catalan, Amors, rics fora s'ieu vis 43); e del resto Bel acueil è uno dei personaggi del Roman de la Rose, uno degli alleati del protagonista nella conquista della rosa (nel Fiore, adattamento italiano del poema francese, Bellacoglienza). Per quanto riguarda l'italiano antico, il GDLI, s.v. accoglienza, registra le locuzioni essere di bella accoglienza in Dino Compagni e farsi avanti con bella accoglienza in Pulci.",Bel acueil è uno dei personaggi del Roman de la Rose,CONCORDANZA STRINGENTE,Roman de la Rose,http://dbpedia.org/resource/Roman_de_la_Rose,Jean de Meung,http://dbpedia.org/resource/Jean_de_Meun,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +CAMISCIA,"col normale esito palatale di sj latino tra vocali: e la grafia della stampa riflette la pronuncia – una fricativa scempia – ancor oggi caratteristica del fiorentino; così il successivo 12 basciai): non è, naturalmente, la camicia nel senso corrente del termine, né l'indumento prezioso di lana, lino, canapa e seta, finemente pieghettato e ricamato talvolta in oro, che solevano portare gli uomini (Parducci 1928, p. 260), ma il capo di biancheria, maschile e femminile, che portava questo nome: Spesso per camicia si intendeva una tunica lunga per le donne e più corta per gli uomini, provvista di maniche e fatta di cotone o di lino, cioè un indumento intimo che si portava a stretto contatto del corpo (Muzzarelli 1999, pp. 42 e 114); tant'è vero che essere in camicia significava 'essere quasi nudi', e la camicia non si toglieva neppure per andare a letto: cfr. Flamenca 6128-30 Bel sengner, / veus m'aici ben a vostra guisa / tota nudeta en camisa; Iacopo da Varazze, Legenda aurea, p. 662: Cum super terram petrosam in sola camisia diutius tractus fuisset","Flamenca 6128-30 «Bel sengner, / veus m'aici ben a vostra guisa / tota nudeta en camisa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +CAMISCIA,"col normale esito palatale di sj latino tra vocali: e la grafia della stampa riflette la pronuncia – una fricativa scempia – ancor oggi caratteristica del fiorentino; così il successivo 12 basciai): non è, naturalmente, la camicia nel senso corrente del termine, né l'indumento prezioso di lana, lino, canapa e seta, finemente pieghettato e ricamato talvolta in oro, che solevano portare gli uomini (Parducci 1928, p. 260), ma il capo di biancheria, maschile e femminile, che portava questo nome: Spesso per camicia si intendeva una tunica lunga per le donne e più corta per gli uomini, provvista di maniche e fatta di cotone o di lino, cioè un indumento intimo che si portava a stretto contatto del corpo (Muzzarelli 1999, pp. 42 e 114); tant'è vero che essere in camicia significava 'essere quasi nudi', e la camicia non si toglieva neppure per andare a letto: cfr. Flamenca 6128-30 Bel sengner, / veus m'aici ben a vostra guisa / tota nudeta en camisa; Iacopo da Varazze, Legenda aurea, p. 662: Cum super terram petrosam in sola camisia diutius tractus fuisset","Legenda aurea, p. 662: «Cum super terram petrosam in sola camisia diutius tractus fuisset»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Golden_Legend,Legenda aurea,Jacopo da Varazze,http://dbpedia.org/resource/Jacobus_de_Voragine,http://purl.org/bncf/tid/24527,WORK +DI TANTO ... MI FRANCAI,"'presi tanto coraggio'. Di tanto (a. fr. de tant) in luogo del semplice tanto è usato in antico soprattutto nelle consecutive: S'io fossi pur di tanto ancor leggero / ch'i' potessi in cent'anni andare un'oncia (If XXX 82-3: con una sfumatura limitativa, 'anche solo'); ma qui ha forza soprattutto il paragone con la sintassi francese, dato che l'identico sintagma si trova in Erec 4040-1 Mais Erec de tant se franchist, / por ce que cil desarmez iere ('Ma Erec si comportò generosamente / perché quello era disarmato')","Erec 4040-1 «Mais Erec de tant se franchist, / por ce que cil desar- mez iere» ('Ma Erec si comportò generosamente / perché quello era disarmato')",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Erec_and_Enide,Erec et Enide,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +PRESILA ABBRACCIARE,"uso fraseologico di prendere ('cominciare a') ampiamente attestato nell'italiano antico e moderno, ma sempre con la preposizione a espressa (cfr. GDLI, s.v.67). La stampa Giuntina legge presila ' abbracciare, e a quella lezione si può senz'altro tornare (o a equivalenti: presil'[a] abbracciare, presila âbbracciare), salvo pensare a un calco sul francese, in cui prendre può reggere un infinito apreposizionale; tra i vari esempi possibili ne cito uno molto pertinente qui perché contiene la stessa espressione usata da Dante da Maiano: Oriolanz, en haut solier 45 baisier et acoler l'a pris (ed. Bartsch 1870, p. 15).","Oriolanz, en haut solier 45 «baisier et acoler l'a pris»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Oriolanz_en_haut_solier,"Oriolanz, en haut solier",,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NON SI CONTESE,"'non si rifiutò, non si sottrasse', ma il verbo non è privo di una sfumatura maliziosa (come dire: non che le dispiacesse, anzi...), come in questo passo della novella CI di Sacchetti citato da BarbiMaggini: ritornò alla bella romita ... la quale non si contendea troppo (dunque 'schermirsi da carezze', come parafrasa Contini); per l'associazione con la ghirlanda cfr. inoltre Fiore CXLIII 9-11 Allor la Vecchia la ghirlanda prese, / e 'n su le treccie bionde a la pulcella / la puose, e quella guar' non si contese (Bettarini)",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,,,,WORK +LA BELLA,"costrutti simili, con il soggetto posposto al verbo e usato quasi come epiteto, sono tipici dei trovatori: Guiraut Riquier, L'autrier trobey la bergeira d'antan 2; Johan Esteve, Ogan, ab freg que fazia 19-20 Saludei la, e respos mi la bella); Saludiey·l, ez elha mi, / la genta.","L'autrier trobey la bergeira d'antan 2 «Saludei la, e respos mi la bella»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_autrier_trobey,L'autrier trobey la bergeira d'antan,Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +LA BELLA,"costrutti simili, con il soggetto posposto al verbo e usato quasi come epiteto, sono tipici dei trovatori: Guiraut Riquier, L'autrier trobey la bergeira d'antan 2; Johan Esteve, Ogan, ab freg que fazia 19-20 Saludei la, e respos mi la bella); Saludiey·l, ez elha mi, / la genta.","Ogan, ab freg que fazia 19-20 «Saludiey·l, ez elha mi, / la genta».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ogan_ab_freg_que_fazia,"Ogan, ab freg que fazia",Johan Esteve,http://dbpedia.org/resource/Johan_Esteve_de_Bezers,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DEL PIÙ ... GIURARE,"'di ciò che ho fatto (oltre ai baci) non dirò nulla perché mi ha fatto giurare (che avrei taciuto)'. Tipica la preterizione con la quale si lascia intendere che cos'è accaduto, dopo i preliminari, tra gli amanti: cfr. Chrétien de Troyes, Cligès 6260-2 Ne ja plus ne m'en demandez, / mais n'est chose que li uns voille / que li autres ne s'i acuille; e Le chevalier de la charrete 4690 Mez tot jorz iert par moi teüe (resterà taciuta, appunto, la consumazione dell'atto sessuale). In particolare, nella commedia mediolatina De tribus puellis (vv. 297-8) il riserbo è dovuto, proprio come nel nostro sonetto, a un'interdizione da parte della donna: Quid faciam? Referam que fecimus? Hic pudor obstat, / ipsaque ne referam nostra puella vetat (ed. Pittaluga 1976)","Chrétien de Troyes, Cligès 6260-2 «Ne ja plus ne m'en demandez, / mais n'est chose que li uns voille / que li autres ne s'i acuille»; e Le chevalier de la charrete 4690 «Mez tot jorz iert par moi teüe»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cligès,Cligès,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +DEL PIÙ ... GIURARE,"'di ciò che ho fatto (oltre ai baci) non dirò nulla perché mi ha fatto giurare (che avrei taciuto)'. Tipica la preterizione con la quale si lascia intendere che cos'è accaduto, dopo i preliminari, tra gli amanti: cfr. Chrétien de Troyes, Cligès 6260-2 Ne ja plus ne m'en demandez, / mais n'est chose que li uns voille / que li autres ne s'i acuille; e Le chevalier de la charrete 4690 Mez tot jorz iert par moi teüe (resterà taciuta, appunto, la consumazione dell'atto sessuale). In particolare, nella commedia mediolatina De tribus puellis (vv. 297-8) il riserbo è dovuto, proprio come nel nostro sonetto, a un'interdizione da parte della donna: Quid faciam? Referam que fecimus? Hic pudor obstat, / ipsaque ne referam nostra puella vetat (ed. Pittaluga 1976)","«Quid faciam? Referam que fecimus? Hic pudor obstat, / ipsaque ne referam nostra puella vetat»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_tribus_puellis,De tribus puellis,,,http://purl.org/bncf/tid/26583,WORK +PIÙ,"è appunto ciò che viene dopo le schermaglie amorose, cioè l'atto sessuale, come provano vari luoghi della lirica antico-francese e provenzale. Quanto alla prima, cfr. per esempio L'autre jour en un jardin 44-5 et me foula et ledi / plus que je ne di (Bartsch 1870, p. 202); (Je sui jonete et jolie 16 Del plus mon pleisir feré (ed. Raynaud 1881-83); in Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal, 511-2, il sovrappiù è appunto ciò che tien dietro al bacio: Se lo baisier vos en consent, / lo soreplus vos en desfant. Quanto alla seconda, i casi sono almeno una decina: cfr. tra gli altri Raimon de Miraval, Cel que no vol auzir chanssos 10-4 Desir lo tener e·l baisar, / e·l jazer e-l plus conquistar, / et apres, mangas e cordos, / e del plus qe-il clames merces; Bernart de Ventadorn, Be·m cuidei de chantar sofrir 18 del plus ... prendetz esgardamen! (altri esempi cita Fratta 1996, pp. 163-4).",L'autre jour en un jardin 44-5 «et me foula et ledi / plus que je ne di»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_autre_jour_en_un_jardin,L'autre jour en un jardin,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PIÙ,"è appunto ciò che viene dopo le schermaglie amorose, cioè l'atto sessuale, come provano vari luoghi della lirica antico-francese e provenzale. Quanto alla prima, cfr. per esempio L'autre jour en un jardin 44-5 et me foula et ledi / plus que je ne di (Bartsch 1870, p. 202); (Je sui jonete et jolie 16 Del plus mon pleisir feré (ed. Raynaud 1881-83); in Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal, 511-2, il sovrappiù è appunto ciò che tien dietro al bacio: Se lo baisier vos en consent, / lo soreplus vos en desfant. Quanto alla seconda, i casi sono almeno una decina: cfr. tra gli altri Raimon de Miraval, Cel que no vol auzir chanssos 10-4 Desir lo tener e·l baisar, / e·l jazer e-l plus conquistar, / et apres, mangas e cordos, / e del plus qe-il clames merces; Bernart de Ventadorn, Be·m cuidei de chantar sofrir 18 del plus ... prendetz esgardamen! (altri esempi cita Fratta 1996, pp. 163-4).",Je sui jonete et jolie 16 «Del plus mon pleisir feré»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Je_sui_jonete_et_jolie,Je sui jonete et jolie,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PIÙ,"è appunto ciò che viene dopo le schermaglie amorose, cioè l'atto sessuale, come provano vari luoghi della lirica antico-francese e provenzale. Quanto alla prima, cfr. per esempio L'autre jour en un jardin 44-5 et me foula et ledi / plus que je ne di (Bartsch 1870, p. 202); (Je sui jonete et jolie 16 Del plus mon pleisir feré (ed. Raynaud 1881-83); in Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal, 511-2, il sovrappiù è appunto ciò che tien dietro al bacio: Se lo baisier vos en consent, / lo soreplus vos en desfant. Quanto alla seconda, i casi sono almeno una decina: cfr. tra gli altri Raimon de Miraval, Cel que no vol auzir chanssos 10-4 Desir lo tener e·l baisar, / e·l jazer e-l plus conquistar, / et apres, mangas e cordos, / e del plus qe-il clames merces; Bernart de Ventadorn, Be·m cuidei de chantar sofrir 18 del plus ... prendetz esgardamen! (altri esempi cita Fratta 1996, pp. 163-4).","Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal, 511-2, il sovrappiù è appunto ciò che tien dietro al bacio: «Se lo baisier vos en consent, / lo so- replus vos en desfant»",CONCORDANZA STRINGENTE,"http://dbpedia.org/resource/Perceval,_the_Story_of_the_Grail",Le Conte du Graal,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +PIÙ,"è appunto ciò che viene dopo le schermaglie amorose, cioè l'atto sessuale, come provano vari luoghi della lirica antico-francese e provenzale. Quanto alla prima, cfr. per esempio L'autre jour en un jardin 44-5 et me foula et ledi / plus que je ne di (Bartsch 1870, p. 202); (Je sui jonete et jolie 16 Del plus mon pleisir feré (ed. Raynaud 1881-83); in Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal, 511-2, il sovrappiù è appunto ciò che tien dietro al bacio: Se lo baisier vos en consent, / lo soreplus vos en desfant. Quanto alla seconda, i casi sono almeno una decina: cfr. tra gli altri Raimon de Miraval, Cel que no vol auzir chanssos 10-4 Desir lo tener e·l baisar, / e·l jazer e-l plus conquistar, / et apres, mangas e cordos, / e del plus qe-il clames merces; Bernart de Ventadorn, Be·m cuidei de chantar sofrir 18 del plus ... prendetz esgardamen! (altri esempi cita Fratta 1996, pp. 163-4).","Raimon de Miraval, Cel que no vol auzir chanssos 10-4 «Desir lo tener e·l baisar, / e·l jazer e-l plus conquistar, / et apres, mangas e cordos, / e del plus qe-il clames merces»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cel_que_no_vol_auzir_chanssos,Cel que no vol auzir chanssos,Raimon de Miraval,http://dbpedia.org/resource/Raimon_de_Miraval,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PIÙ,"è appunto ciò che viene dopo le schermaglie amorose, cioè l'atto sessuale, come provano vari luoghi della lirica antico-francese e provenzale. Quanto alla prima, cfr. per esempio L'autre jour en un jardin 44-5 et me foula et ledi / plus que je ne di (Bartsch 1870, p. 202); (Je sui jonete et jolie 16 Del plus mon pleisir feré (ed. Raynaud 1881-83); in Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal, 511-2, il sovrappiù è appunto ciò che tien dietro al bacio: Se lo baisier vos en consent, / lo soreplus vos en desfant. Quanto alla seconda, i casi sono almeno una decina: cfr. tra gli altri Raimon de Miraval, Cel que no vol auzir chanssos 10-4 Desir lo tener e·l baisar, / e·l jazer e-l plus conquistar, / et apres, mangas e cordos, / e del plus qe-il clames merces; Bernart de Ventadorn, Be·m cuidei de chantar sofrir 18 del plus ... prendetz esgardamen! (altri esempi cita Fratta 1996, pp. 163-4).","Bernart de Ventadorn, Be·m cuidei de chantar sofrir 18 «del plus ... prendetz esgardamen!»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Be_m_cuidei_de_chantar_sofrir,Be·m cuidei de chantar sofrir,Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MORTA,"l'immagine della madre morta ricorre sovente nell'oniromantica e si presta a diverse interpretazioni. Può voler dire gioia, come in Rasis: Matrem mortuam videre: gaudium (Hoffmeister 1969, p. 157); o può voler dire sicurezza, il che è forse da tener presente per la replica di Dante, il quale dichiarerà che la figura della morta significa fermezza (14): cfr. la redazione del Somniale Danielis pubblicata da Grub 1984, p. 74 Matrem suam mortuam aut vivam audire [ma è attestata la variante videre] securitatem significat; e quella pubblicata da Martin 1981, p. 172 Matrem suam vivam aut mortuam videre: securitatem. Come ho detto nella premessa al testo, non occorre insistere troppo su questo genere di fonti: Dante da Maiano mette in scena gli oggetti e le esperienze-tipo del sogno, ma non sembra richiedere ai suoi corrispondenti un'interpretazione fondata sulla dottrina dei libri. In questo caso, tuttavia, il dettaglio inaspettato – perché non funzionale alla visione – della madre morta potrebbe derivare da quel repertorio",Rasis: «Matrem mortuam videre: gaudium»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_dei_sogni,Libro dei sogni,Rasis,http://live.dbpedia.org/page/Muhammad_ibn_Zakariya_al-Razi,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +MORTA,"l'immagine della madre morta ricorre sovente nell'oniromantica e si presta a diverse interpretazioni. Può voler dire gioia, come in Rasis: Matrem mortuam videre: gaudium (Hoffmeister 1969, p. 157); o può voler dire sicurezza, il che è forse da tener presente per la replica di Dante, il quale dichiarerà che la figura della morta significa fermezza (14): cfr. la redazione del Somniale Danielis pubblicata da Grub 1984, p. 74 Matrem suam mortuam aut vivam audire [ma è attestata la variante videre] securitatem significat; e quella pubblicata da Martin 1981, p. 172 Matrem suam vivam aut mortuam videre: securitatem. Come ho detto nella premessa al testo, non occorre insistere troppo su questo genere di fonti: Dante da Maiano mette in scena gli oggetti e le esperienze-tipo del sogno, ma non sembra richiedere ai suoi corrispondenti un'interpretazione fondata sulla dottrina dei libri. In questo caso, tuttavia, il dettaglio inaspettato – perché non funzionale alla visione – della madre morta potrebbe derivare da quel repertorio","Somniale Danielis, «Matrem suam mortuam aut vivam audire [ma è attestata la variante videre] securitatem significat»; e quella pubblicata da Martin 1981, p. 172 «Matrem suam vivam aut mortuam videre: securitatem»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Somniale_Danielis,Somniale Danielis,,,(?),WORK +SAVETE ... RAGIONE,"'Sapete interpretare, chiarire la questione che ponete', con un giro di frase simile a quello che si trova in altri testi dialogici: cfr. Rambertino Buvalelli, Digatz vostr'esciennza 1-2 Digatz vostr'escienssa / de las razos q'ie·us enqier",Digatz vostr'esciennza 1-2 «Digatz vostr'escienssa / de las razos q'ie·us enqier»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Digatz_vostr_esciennza,Digatz vostr'esciennza,Rambertino Buvalelli,http://dbpedia.org/resource/Rambertino_Buvalelli,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +RAGIONE,"'questione, argomento, tema', cioè insomma 'il discorso che è frutto del ragionamento' (onde il ragionare 'discorrere' toscano), vicino al senso che la parola ha in Voi che 'ntendendo 53-4 Canzone, io credo che saranno radi / color che tua ragione intendan bene [Cv II] (Contini), e in Gonella, Una rason, qual eo non saccio, chero (Contini 1960, I, p. 278).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Una_rason_qual_eo_non_saccio_chero,"Una rason, qual eo non saccio, chero",Gonella degli Antelminelli,http://it.dbpedia.org/page/Gonella_degli_Antelminelli,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PAROLE ORNATE,"la stessa giuntura in Guittone, Grazi'e mercé 5 ché ""non"" sì dite per parola ornata (cfr. Leonardi 1994, p. 117: 'retoricamente provvista'), e poi in If II 67 Or movi, e con la tua parola ornata e XVIII 91 Ivi con segni e con parole ornate: l'ornatus essendo ovviamente, nella terminologia retorica classica, il bello stile che impreziosisce l'espressione (nel sintagma ornata verba e simili). 5-8","Grazi'e mercé 5 «ché ""non"" sì dite per parola ornata»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Grazi_e_merce,Grazi'e mercé,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +EN CIÒ ... BENE,"(diversamente le edd. Barbi e De Robertis: e 'n ciò provide vostro spirto bene: / dico; ma en in luogo di in è ampiamente attestato: cfr. per esempio Dante da Maiano, Amor mi fa 2; e U. Vignuzzi in ED, s.v. Preposizioni): 'in questo il vostro spirito stimò e agì bene'. Troppo libera invece la parafrasi di Contini, 'ebbe un giusto presentimento': qui Dante loda ciò che lo spirito del corrispondente ha fatto, la sua opera, non le conseguenze che ha tratto dalle cose viste in sogno. Lo spirito è dunque quello che compie l'azione, che si attiva nel sogno: riflesso della dottrina secondo la quale l'anima abbandona il corpo per sognare e poi vi ritorna: le thème de l'âme qui abandonne le corps, dans le rêve ou dans l'extase ..., est très ancien et très repandu (Klein 1980, p. 32, a commento di questo passo; e cfr. Breschi 2004, pp. 54-5); così per esempio in Flamenca 2147-9 [in sogno] fin'amors l'esperit l'en mena / lai en la tor on si jasia / Flamenca.",Amor mi fa 2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amor_mi_fa,Amor mi fa,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +EN CIÒ ... BENE,"(diversamente le edd. Barbi e De Robertis: e 'n ciò provide vostro spirto bene: / dico; ma en in luogo di in è ampiamente attestato: cfr. per esempio Dante da Maiano, Amor mi fa 2; e U. Vignuzzi in ED, s.v. Preposizioni): 'in questo il vostro spirito stimò e agì bene'. Troppo libera invece la parafrasi di Contini, 'ebbe un giusto presentimento': qui Dante loda ciò che lo spirito del corrispondente ha fatto, la sua opera, non le conseguenze che ha tratto dalle cose viste in sogno. Lo spirito è dunque quello che compie l'azione, che si attiva nel sogno: riflesso della dottrina secondo la quale l'anima abbandona il corpo per sognare e poi vi ritorna: le thème de l'âme qui abandonne le corps, dans le rêve ou dans l'extase ..., est très ancien et très repandu (Klein 1980, p. 32, a commento di questo passo; e cfr. Breschi 2004, pp. 54-5); così per esempio in Flamenca 2147-9 [in sogno] fin'amors l'esperit l'en mena / lai en la tor on si jasia / Flamenca.",Flamenca 2147-9 «[in sogno] fin'amors l'esperit l'en mena / lai en la tor on si jasia / Flamenca».,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +ALLORE,"piuttosto che francesismo (Contini, Bettarini) sarà forma analogica sugli avverbi in -e: e la spinta a ritoccare la desinenza sarà venuta, come in altri casi, dalla rima (di fatto, è generalmente in rima – o in rima interna: cfr. Dante da Maiano, Lo meo gravoso affanno e lo dolore 8 – che i duecentisti adoperano questo raro allotropo: cfr. M. Medici in ED, s.v. allora). 13-4",Lo meo gravoso affanno e lo dolore 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_meo_gravoso_affanno,Lo meo gravoso affanno e lo dolore,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover","Iob 23, 10 «ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Job,Libro di Giobbe,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover","I Pt 1, 7 «auro ... per ignem probato».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_of_Peter,Prima lettera di Pietro,Pietro,http://dbpedia.org/resource/Saint_Peter,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover",,CONCORDANZA GENERICA,,,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,CONCEPT +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover",,CONCORDANZA GENERICA,,,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,CONCEPT +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover",Lo fermo intendimento 55 «e sì n'afinerai com'oro al foco»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_fermo_intendimento,Lo fermo intendimento,Pucciandone Martelli,http://dbpedia.org/resource/Pucciandone_Martelli,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover","Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 «Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/page/Laude_di_Jacopone_da_Todi,Laude di Jacopone da Todi,Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover",Alberigol de Lando 23-4 «L'auro vostro ... a paragon provato»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alberigol_de_Lando,Alberigol de Lando,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PER PRUOVA ... FOCO,"'Per sapere quanto vale l'oro, l'orafo lo sottopone al fuoco'. La purezza dell'oro si misura infatti saggiandolo al fuoco: se è puro resta com'è, altrimenti cambia colore. Fuor di metafora: per vedere se qualcosa o qualcuno vale davvero, non c'è che da metterlo alla prova. Il motivo, già vetero-testamentario ed evangelico (cfr. per esempio, rispettivamente, Iob 23, 10 ipse vero scit viam meam, et probavit me quasi aurum quod per ignem transit e I Pt 1, 7 auro ... per ignem probato) e classico (Ovidio, Seneca), si diffonde nella lirica romanza, dove serve soprattutto a esprimere la purezza della fede o della virtù dell'amante: cfr. per esempio Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento 55 e sì n'afinerai com'oro al foco; Iacopone, Alte quatro vertute so' cardenal' vocate 29-30 Como l'auro a lo foco lo fa paragonare, / cusì. Qui tuttavia la similitudine appaia l'oro da una parte e l'io (di Dante da Maiano), il valore individuale dall'altra; il termine di confronto più pertinente è dunque Guittone, Alberigol de Lando 23-4 L'auro vostro ... a paragon provato, e soprattutto questo passo del Cligès di Chrétien de Troyes (vv. 4188-92), che sembra ripreso quasi alla lettera: Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover","«Por ce touche on l'or a l'essai / qu'en velt savoir se il est fins, / einsint vueil je, ce est la fins, / moi essaier et esprover / la ou je cuit l'essai trover» (vv. 4188-92)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cligès,Cligès,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +ED EO,"formula di transizione che media il passaggio dall'impersonalità dell'exemplum al caso personale. Una costruzione analoga ha questo sonetto di corrispondenza di Natuccio Cinquino, in cui a una prima quartina che formula il precetto segue un verso in cui il precetto è applicato alla propria concreta situazione: A ccui prudensa porge alta lumera / di ver sentire in del'occulte coze, / dar al nescente pò vera mainera / e chiarir fermo 'n dele più dubbiose. / Ed eo, da voi discreto, ò ferma spera / di chiar savere ciò che 'n me ascoz'è (L 333.1-6)","«A ccui prudensa porge alta lumera / di ver sentire in del'occulte coze, / dar al nescente pò vera mainera / e chiarir fermo 'n dele più dubbiose. / Ed eo, da voi discreto, ò ferma spera / di chiar savere ciò che 'n me ascoz'è» (L 333.1-6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ed_eo,Ed eo,Natuccio Cinquino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Natuccio_Cinquino,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +E CHERO A VOI,"anche questa è una formula di transizione ovvia, una volta esauriti i preliminari: cfr. Ser Mula a Cino, Omo saccente e da maestro saggio 3-9 ond'i' mi movo a voi, sì com'a maggio / dottor che sète, per ragion cernere / ... / E prego voi, sì come 'l più pregiato; e soprattutto (perché anche qui all'inizio della sirma) Cione, Molto s'avene a chi à potestate 9 Ed io comsiglio dimando a voi più sagio","Ser Mula a Cino, Omo saccente e da maestro saggio 3-9 «ond'i' mi movo a voi, sì com'a maggio / dottor che sète, per ragion cernere / ... / E prego voi, sì come 'l più pregiato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Omo_saccente_e_da_maestro_saggio,Omo saccente e da maestro saggio,Mula da Pistoia,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Mula_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +E CHERO A VOI,"anche questa è una formula di transizione ovvia, una volta esauriti i preliminari: cfr. Ser Mula a Cino, Omo saccente e da maestro saggio 3-9 ond'i' mi movo a voi, sì com'a maggio / dottor che sète, per ragion cernere / ... / E prego voi, sì come 'l più pregiato; e soprattutto (perché anche qui all'inizio della sirma) Cione, Molto s'avene a chi à potestate 9 Ed io comsiglio dimando a voi più sagio","Cione, Molto s'avene a chi à potestate 9 «Ed io comsiglio dimando a voi più sagio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Molto_s_avene_a_chi_a_potestate,Molto s'avene a chi à potestate,Cione di Baglione,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cione_di_Baglione,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CHE MI DEGGIATE ... NOMINARE,"'che mi nominiate, che mi diciate, per quanto vi consta, qual è il dolore più grande dell'amore (cioè, che per amore si può patire)': per quest'uso fraseologico di dovere dopo pregare e sinonimi cfr. Ageno 1964, pp. 439-47. Con un giro di frase molto simile viene introdotto il quesito in un jeu-parti tra Jean Bretel e Perrot de Neele, Pierrot, li kieus vaut pis a fin amant 7 Sire Jehans, chil a dolour plus grant (ed. Långfors 1926, n","Pierrot, li kieus vaut pis a fin amant 7 «Sire Jehans, chil a dolour plus grant»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pierrot_li_kieus_vaut_pis_a_fin_amant,"Pierrot, li kieus vaut pis a fin amant",Jean Bretel,http://dbpedia.org/resource/Jehan_Bretel,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PER VOSTRA SCIENZA,"'per quanto vi consta' (e non, come potrebbe sembrare, 'in nome, in virtù della vostra grande scienza'): cfr. Chiaro, Or vo' cantar, e poi cantar mi tene 64 ch'io divisar non so per la mia scienza (Bettarini); e alle spalle c'è, come nota De Robertis, il prov. mon escien.","Or vo' cantar, e poi cantar mi tene 64 «ch'io divisar non so per la mia scienza»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Or_vo_cantar,"Or vo' cantar, e poi cantar mi tene",Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +E CIÒ ... QUISTIONEGGIARE,"'e non sollevo questo quesito per aprire una querelle, per gusto di discutere cavillando' (movo: come si dice oggi 'sollevare una questione' o 'muovere un'obiezione'), con una movenza discorsiva analoga, per esempio, a Lanfranc Cigala, Ges eu non vei com hom guidar si deia 4 Non dic eu ges per o q'om s'en recreia (ed. Branciforti 1954). Quanto alla sostanza delle parole, lo stesso scrupolo esprime Dante Alighieri, Savete giudicar 3 vitando aver con voi quistione (e questa convergenza con Dante venne anzi usata da Salvatore Santangelo come prova a favore dell'ipotesi che la Giuntina sbagliasse nelle attribuzioni, e che questo missivo fosse opera dell'Alighieri, non di Dante da Maiano: ma è argomento debole, se si considera la ridondanza di questi testi)",Ges eu non vei com hom guidar si deia 4 «Non dic eu ges per o q'om s'en recreia»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ges_eu_non_vei_com_hom_guidar_si_deia,Ges eu non vei com hom guidar si deia,Lanfranco Cigala,http://dbpedia.org/resource/Lanfranc_Cigala,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +QUAL CHE VOI SIATE,"relativo indefinito, 'chiunque siate', come in If XV 12 (Qual che si fosse, lo maestro felli), forse per influenza dell'a. fr. quel que o del prov. cals que (cfr. Jensen 1994, §§ 341 e 344). Dante sembra ignorare l'identità del mittente, e la cosa è ribadita nell'incipit del quarto sonetto della serie: Non canoscendo, amico, vostro nomo. La circostanza può sorprendere, ma che nelle tenzoni la conoscenza tra i corrispondenti potesse aver luogo anche in un secondo tempo, una volta concluso lo scambio, è quanto lascia supporre il brano della Vita Nova (III 14) in cui Dante ricorda l'origine della sua amicizia con Cavalcanti: quando elli seppe che io era quelli che li avea ciò [un sonetto] mandato; e forse anche questo verso di Guido Orlandi in un sonetto responsivo allo stesso Cavalcanti: Di vil matera 13 qual che voi siate, egli è d'un'altra gente","Di vil matera 13 «qual che voi siate, egli è d'un'altra gente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Di_vil_matera,Di vil matera,Guido Orlandi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Guido_Orlandi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +AMICO,"epiteto consueto, usato anche da Dante da Maiano nel suo primo missivo (Provedi, saggio 9), e quasi regolarmente da Guittone sia nelle lettere in prosa sia nei testi di corrispondenza. 1-2",amico,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lettere(Guittone_d_Arezzo),Lettere (Guittone d'Arezzo),Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +MANTO/DI SCIENZA,"la virtù è come una veste che s'indossa: metafora già biblica (Iob 29, 14 Iustitia indutus sum, et vestivit me sicut vestimento), poi largamente diffusa nel Medioevo (cfr. per esempio Remigio de' Girolami, Contra falsos XLVI 122 Sic ergo omnis virtus vestis est anime; e Baudouin de Condé intitola al mantiauz d'onour un suo dit), e particolarmente cara agli stilnovisti. Avere, portare il manto di una dote o virtù significa dunque eccellere relativamente ad essa (e viceversa, ci si può svestire di una virtù; cfr. Novati 1890, p. 379: Qual uomo si vanta di pregio si smanta), come in Guittone, De coralmente amar 9 Ché manto n'ò ('porto il mantello dell'amore', ovvero ne sono il campione: cfr. Leonardi 1994, p. 235, con altri rimandi).","Iob 29, 14 «Iustitia indutus sum, et vestivit me sicut vestimento»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Job,Libro di Giobbe,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +MANTO/DI SCIENZA,"la virtù è come una veste che s'indossa: metafora già biblica (Iob 29, 14 Iustitia indutus sum, et vestivit me sicut vestimento), poi largamente diffusa nel Medioevo (cfr. per esempio Remigio de' Girolami, Contra falsos XLVI 122 Sic ergo omnis virtus vestis est anime; e Baudouin de Condé intitola al mantiauz d'onour un suo dit), e particolarmente cara agli stilnovisti. Avere, portare il manto di una dote o virtù significa dunque eccellere relativamente ad essa (e viceversa, ci si può svestire di una virtù; cfr. Novati 1890, p. 379: Qual uomo si vanta di pregio si smanta), come in Guittone, De coralmente amar 9 Ché manto n'ò ('porto il mantello dell'amore', ovvero ne sono il campione: cfr. Leonardi 1994, p. 235, con altri rimandi).",Contra falsos XLVI 122 «Sic ergo omnis virtus vestis est anime»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Contra_falsos,Contra falsos,Remigio de' Girolami,http://dbpedia.org/resource/Remigio_dei_Girolami,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MANTO/DI SCIENZA,"la virtù è come una veste che s'indossa: metafora già biblica (Iob 29, 14 Iustitia indutus sum, et vestivit me sicut vestimento), poi largamente diffusa nel Medioevo (cfr. per esempio Remigio de' Girolami, Contra falsos XLVI 122 Sic ergo omnis virtus vestis est anime; e Baudouin de Condé intitola al mantiauz d'onour un suo dit), e particolarmente cara agli stilnovisti. Avere, portare il manto di una dote o virtù significa dunque eccellere relativamente ad essa (e viceversa, ci si può svestire di una virtù; cfr. Novati 1890, p. 379: Qual uomo si vanta di pregio si smanta), come in Guittone, De coralmente amar 9 Ché manto n'ò ('porto il mantello dell'amore', ovvero ne sono il campione: cfr. Leonardi 1994, p. 235, con altri rimandi).",mantiauz d'onour,CONCORDANZA GENERICA,,,Baudouin de Condé,http://fr.dbpedia.org/page/Baudouin_de_Condé,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +MANTO/DI SCIENZA,"la virtù è come una veste che s'indossa: metafora già biblica (Iob 29, 14 Iustitia indutus sum, et vestivit me sicut vestimento), poi largamente diffusa nel Medioevo (cfr. per esempio Remigio de' Girolami, Contra falsos XLVI 122 Sic ergo omnis virtus vestis est anime; e Baudouin de Condé intitola al mantiauz d'onour un suo dit), e particolarmente cara agli stilnovisti. Avere, portare il manto di una dote o virtù significa dunque eccellere relativamente ad essa (e viceversa, ci si può svestire di una virtù; cfr. Novati 1890, p. 379: Qual uomo si vanta di pregio si smanta), come in Guittone, De coralmente amar 9 Ché manto n'ò ('porto il mantello dell'amore', ovvero ne sono il campione: cfr. Leonardi 1994, p. 235, con altri rimandi).",De coralmente amar 9 «Ché manto n'ò»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_coralmente_amar,De coralmente amar,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NON È GIOCO,"'non è cosa da poco' (come ancor oggi non è uno scherzo; e in Pg II 66 lo salire omai ne parrà gioco [Mattalia]); cfr. Novellino XLI 10 Quelli cavalieri dissero: ""Questo non è giuoco"". 3-4","Novellino XLI 10 «Quelli cavalieri dissero: ""Questo non è giuoco""».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/page/Novellino,Novellino,,,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +SACCIATE ... MOCO,"'Sappiate che (dato che un po' mi conosco) in confronto a voi ho non ho neanche un po' (men d'un moco) di saggezza'. Formule di cortesia e d'umiltà come questa, con le quali si abbassa il proprio e si esalta l'altrui sapere, sono frequentissime nelle tenzoni, e cfr. per esempio Guittone, Vogl'e ragion mi convit'e rechere 1-4 Vogl'e ragion mi convit'e rechere / in voi laudar, valente e car valore; / ma picciul mio e gran vostro savere / e troppo umilità mi fa temere; oppure Anonimo a Monte, Venuto m'è 'n talento di savere 7-9 Ma forse che m'inganna lo savere / ch'e' n'aggio poco, avengna che m'è danno. / Voi ne dimando, che n'avete assai; e in generale sul topos cfr. il secondo excursus di Curtius 1997","Vogl'e ragion mi convit'e rechere 1-4 «Vogl'e ragion mi convit'e rechere / in voi laudar, valente e car valore; / ma picciul mio e gran vostro savere / e troppo umilità mi fa temere»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Vogl_e_ragion_mi_convit_e_rechere,Vogl'e ragion mi convit'e rechere,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SACCIATE ... MOCO,"'Sappiate che (dato che un po' mi conosco) in confronto a voi ho non ho neanche un po' (men d'un moco) di saggezza'. Formule di cortesia e d'umiltà come questa, con le quali si abbassa il proprio e si esalta l'altrui sapere, sono frequentissime nelle tenzoni, e cfr. per esempio Guittone, Vogl'e ragion mi convit'e rechere 1-4 Vogl'e ragion mi convit'e rechere / in voi laudar, valente e car valore; / ma picciul mio e gran vostro savere / e troppo umilità mi fa temere; oppure Anonimo a Monte, Venuto m'è 'n talento di savere 7-9 Ma forse che m'inganna lo savere / ch'e' n'aggio poco, avengna che m'è danno. / Voi ne dimando, che n'avete assai; e in generale sul topos cfr. il secondo excursus di Curtius 1997","Venuto m'è 'n talento di savere 7-9 «Ma forse che m'inganna lo savere / ch'e' n'aggio poco, avengna che m'è danno. / Voi ne dimando, che n'avete assai»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Venuto_m_e_n_talento_di_savere,Venuto m'è 'n talento di savere,Anonimo a Monte,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anonimo_a_Monte,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PER VIA SAGGIA,"consueta insistenza sulla saggezza, o meglio sulla sapienza, del corrispondente; un accostamento simile tra la saggezza e un luogo fisicamente inteso (qui la via) in Anonimo, Sì come 'l mare (L 338) 16 audo ch'è medicina in loco saggio: e cfr. la nota a Per pruova 7",Sì come 'l mare (L 338) 16 «audo ch'è medicina in loco saggio»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_come_l_mare,Sì come 'l mare,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +VOCO,"si è pensato a vogo, per lo scambio, non raro in fiorentino, di g con c (onde doppioni come fatica-fatiga, spica-spiga, braco-brago: cfr. Parodi 1957, pp. 228-9), qui favorito dall'obbligo della ripresa rimica; o si è pensato a un calco sul provenzale vauc 'vado'. E potrebbe anche essere più semplicemente un vo 'vado' prolungato con una sillaba d'appoggio per tenere la rima. Ma nessuna di queste soluzioni è davvero soddisfacente, per cui mi domando se non si possa trattare invece di una rima franta, v'ò co 'vi ho capo' (in senso analogo a If XX 76 Tosto che l'acqua a correr mette co), che non sconverrebbe a questa gara di artifici, soprattutto in rima, ed eviterebbe un verbo, vogare, un po' incongruo in questo contesto (si parla di una via, non di un corso d'acqua); co per 'capo' si trova, oltre che in Guinizelli, anche in altri poeti toscani.",co per 'capo',CONCORDANZA GENERICA,,,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +POI PIACEVI,"'Dal momento che volete, che vi piace'; poi ha valore di congiunzione, 'poiché, dal momento che', come il provenzale pos (cfr. per esempio Pd II 56-7 poi dietro ai sensi / vedi che la ragione ha corte l'ali); per la formula, cfr. Dante da Maiano, Di ciò ch'audivi 9 e poi vi piace ch'eo vi parli, bella: ed è senz'altro un topos epistolare (Bettarini, a cui si deve il riscontro), o meglio una formula fissa che modula il passaggio dalla parte protocollare alla parte libera, riassumendo la richiesta o gli argomenti del mittente","Di ciò ch'audivi 9 «e poi vi piace ch'eo vi parli, bella»:",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Di_cio_ch_audivi,Di ciò ch'audivi,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CORAGGIO,"'cuore' (prov. coratge, fr. courage), cioè per metonimia 'ciò che ho nel cuore, il mio pensiero, la mia opinione', come nel jeu-parti tra Jean Bretel e Jehan de Grieviler Jehan de Grieviler, sage 10-1 ""mon corage / vous en dirai"" (ed. Långfors 1926, p. 161).","Jehan de Grieviler, sage 10-1 «mon corage / vous en dirai»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Jehan_de_Grieviler_sage,"Jehan de Grieviler, sage",Jean Bretel,http://dbpedia.org/resource/Jehan_Bretel,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +E IO ... FORE,"'io dunque ve lo mostro senza menzogna' (perifrasi, ovvero litote per 'sinceramente'), col consueto collegamento paraipotattico e con la consecuzione arcaica dei pronomi (prima l'oggetto, poi il complemento di termine: cfr. Castellani 1952, I, pp. 90-105). Per quest'uso di fore cfr. Dante stesso, Pd I 118-9 le creature che son fòre / d'intelligenza (Contini) e Dante da Maiano, Di ciò ch'audivi 6 ma per un cento di menzogna fore (Bettarini, con altri esempi). Quanto alla morfologia, fore e fora (a fronte di fori, pressoché costante nella prosa) sono forme di ascendenza lirico-siciliana ma appoggiate, per la vocale finale, alle varietà toscane non fiorentine (Manni 1994, p. 334).",Di ciò ch'audivi 6 «ma per un cento di menzogna fore»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Di_cio_ch_audivi,Di ciò ch'audivi,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SÌ COME QUEI CH(E),"formula causale-epesegetica – 'stante che, dal momento che' – da collegare al costrutto latino con ut o utpote seguito da participio presente, e comunque già galloromanza: Onkes jor de ma vie 15-6 come cil qui n'avoie / nule fole pansee (ed. Bartsch 1870, p. 34), Cligès 4268-9 droiz est qu'a vos congié preigne / come a cele qui je sui touz Chrétien de Troyes, in italiano cfr. per esempio Bono Giamboni, Libro LXI 3 sì come quella che ben li sapea",Onkes jor de ma vie 15-6 «come cil qui n'avoie / nule fole pansee»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onkes_jor_de_ma_vie,Onkes jor de ma vie,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SÌ COME QUEI CH(E),"formula causale-epesegetica – 'stante che, dal momento che' – da collegare al costrutto latino con ut o utpote seguito da participio presente, e comunque già galloromanza: Onkes jor de ma vie 15-6 come cil qui n'avoie / nule fole pansee (ed. Bartsch 1870, p. 34), Cligès 4268-9 droiz est qu'a vos congié preigne / come a cele qui je sui touz Chrétien de Troyes, in italiano cfr. per esempio Bono Giamboni, Libro LXI 3 sì come quella che ben li sapea",Cligès 4268-9 «droiz est qu'a vos congié preigne / come a cele qui je sui touz»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cligès,Cligès,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +SÌ COME QUEI CH(E),"formula causale-epesegetica – 'stante che, dal momento che' – da collegare al costrutto latino con ut o utpote seguito da participio presente, e comunque già galloromanza: Onkes jor de ma vie 15-6 come cil qui n'avoie / nule fole pansee (ed. Bartsch 1870, p. 34), Cligès 4268-9 droiz est qu'a vos congié preigne / come a cele qui je sui touz Chrétien de Troyes, in italiano cfr. per esempio Bono Giamboni, Libro LXI 3 sì come quella che ben li sapea","Bono Giamboni, Libro LXI 3 «sì come quella che ben li sapea»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_de_vizi_e_delle_virtudi,Libro de' Vizi e delle Virtudi,Bono Giamboni,http://it.dbpedia.org/page/Bono_Giamboni,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +CERTANAMENTE,"'certamente' (a. fr. certainement). Nei jocs partitz, proprio come qui, l'avverbio introduce, rafforzandola, la tesi che il poeta intende sostenere: Thibaut de Champagne e Philippe, Phelipe, je vos demant 9 Sachiez certainement, Thibaut de Champagne e Baudouin, Baudoÿn, il sunt dui amant 9 Sire, saichiez certeinnement (ed. Långfors 1926, rispettivamente pp. 12 e 38).","Phelipe, je vos demant 9 «Sachiez certainement»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Phelipe_je_vos_demant,"Phelipe, je vos demant",Tebaldo I Re di Navarra,http://dbpedia.org/resource/Theobald_I_of_Navarre,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CERTANAMENTE,"'certamente' (a. fr. certainement). Nei jocs partitz, proprio come qui, l'avverbio introduce, rafforzandola, la tesi che il poeta intende sostenere: Thibaut de Champagne e Philippe, Phelipe, je vos demant 9 Sachiez certainement, Thibaut de Champagne e Baudouin, Baudoÿn, il sunt dui amant 9 Sire, saichiez certeinnement (ed. Långfors 1926, rispettivamente pp. 12 e 38).","Baudoÿn, il sunt dui amant 9 «Sire, saichiez certeinnement»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Baudoyn_il_sunt_dui_amant,"Baudoÿn, il sunt dui amant",Tebaldo I Re di Navarra,http://dbpedia.org/resource/Theobald_I_of_Navarre,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHI ... AMADORE,"il massimo dei dolori, come Dante ribadisce anche nel responsivo seguente, è amare (essere amadore, prov. amador: cfr. Cella 2003, pp. 136-9) e non essere amati. L'antitesi, tanto poco peregrina da passare a proverbio (""Amare e non essere amato è tempo perso"": Giusti 1926, p. 26), s'incontra spesso soprattutto fra i trovatori: cfr. per esempio Peire d'Alvernhe, En estiu, qan crida·l iais 27-8 mas d'aisso es grans pechatz ['disgrazia'] / qu'eu am e non sui amatz; Bernart de Ventadorn, A! tantas bonas chansos 11-2 que m'estara mal e laih / c'ames et amatz no fos. In Italia, cfr. tra gli altri Guinizelli, Lamentomi 3-4 amo for misura / una donna da cui non sono amato.","En estiu, qan crida·l iais 27-8 «mas d'aisso es grans pechatz ['disgrazia'] / qu'eu am e non sui amatz»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/En_estiu_qan_crida_l_iais,"En estiu, qan crida·l iais",Pietro d'Alvernia,http://live.dbpedia.org/resource/Peire_d'Alvernhe,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHI ... AMADORE,"il massimo dei dolori, come Dante ribadisce anche nel responsivo seguente, è amare (essere amadore, prov. amador: cfr. Cella 2003, pp. 136-9) e non essere amati. L'antitesi, tanto poco peregrina da passare a proverbio (""Amare e non essere amato è tempo perso"": Giusti 1926, p. 26), s'incontra spesso soprattutto fra i trovatori: cfr. per esempio Peire d'Alvernhe, En estiu, qan crida·l iais 27-8 mas d'aisso es grans pechatz ['disgrazia'] / qu'eu am e non sui amatz; Bernart de Ventadorn, A! tantas bonas chansos 11-2 que m'estara mal e laih / c'ames et amatz no fos. In Italia, cfr. tra gli altri Guinizelli, Lamentomi 3-4 amo for misura / una donna da cui non sono amato.","Bernart de Ventadorn, A! tantas bonas chansos 11-2 «que m'estara mal e laih / c'ames et amatz no fos»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_tantas_bonas_chansos,A! tantas bonas chansos,Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHI ... AMADORE,"il massimo dei dolori, come Dante ribadisce anche nel responsivo seguente, è amare (essere amadore, prov. amador: cfr. Cella 2003, pp. 136-9) e non essere amati. L'antitesi, tanto poco peregrina da passare a proverbio (""Amare e non essere amato è tempo perso"": Giusti 1926, p. 26), s'incontra spesso soprattutto fra i trovatori: cfr. per esempio Peire d'Alvernhe, En estiu, qan crida·l iais 27-8 mas d'aisso es grans pechatz ['disgrazia'] / qu'eu am e non sui amatz; Bernart de Ventadorn, A! tantas bonas chansos 11-2 que m'estara mal e laih / c'ames et amatz no fos. In Italia, cfr. tra gli altri Guinizelli, Lamentomi 3-4 amo for misura / una donna da cui non sono amato.",Lamentomi 3-4 «amo for misura / una donna da cui non sono amato»,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lamentomi_di_mia_disavventura,Lamentomi di mia disavventura,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +FINO,"'raffinato, elegante': in relazione a un testo poetico cfr. ad esempio Bernart de Ventadorn, Chantars no pot gaire valer 50 lo vers es fis e naturaus; in coppia con fermo in Dante da Maiano, Ahi meve lasso 12 Procede sol da fino e fermo amare (Bettarini)",Chantars no pot gaire valer 50 «lo vers es fis e naturaus»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chantars_no_pot_gaire_valer,Chantars no pot gaire valer,Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +FINO,"'raffinato, elegante': in relazione a un testo poetico cfr. ad esempio Bernart de Ventadorn, Chantars no pot gaire valer 50 lo vers es fis e naturaus; in coppia con fermo in Dante da Maiano, Ahi meve lasso 12 Procede sol da fino e fermo amare (Bettarini)",Ahi meve lasso 12 «Procede sol da fino e fermo amare»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ahi_meve_lasso,Ahi meve lasso,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +APPROVA ... PARLA,"'conferma, dimostra vero tutto il bene che si dice di voi'. Quest'accezione di approvare è frequente particolarmente in Guittone (Contini); ma cfr. per esempio anche Cv I II 7 chi biasima se medesimo appruova sé conoscere lo suo difetto, appruova sé non essere buono",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +ED ANCOR PIÙ,"sorta di correctio che introduce l'iperbole, come in Chiaro, Per la grande abondanza ch'ïo sento 25 ed ancor più, che quando omo la vede (Menichetti). 3-4","Per la grande abondanza ch'ïo sento 25 «ed ancor più, che quando omo la vede»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_la_grande_abondanza_ch_io_sento,Per la grande abondanza ch'ïo sento,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +È POGGIATO,"'è salito', cioè 'sta, si trova' (prov. pojar 'innalzarsi, salire'); cfr. Dante da Maiano, Aggio talento, s'eo savesse, dire 4 sì poggia altero voi pregio e valore (Bettarini), ma soprattutto, per la quasi perfetta corrispondenza, Raimon Jordan, Aissi cum sel qu'em poder de senhor 27 e·l vostre pretz es tan gent enansatz.","Aggio talento, s'eo savesse, dire 4 «sì poggia altero voi pregio e valore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aggio_talento_s_eo_savesse_dire,"Aggio talento, s'eo savesse, dire",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +È POGGIATO,"'è salito', cioè 'sta, si trova' (prov. pojar 'innalzarsi, salire'); cfr. Dante da Maiano, Aggio talento, s'eo savesse, dire 4 sì poggia altero voi pregio e valore (Bettarini), ma soprattutto, per la quasi perfetta corrispondenza, Raimon Jordan, Aissi cum sel qu'em poder de senhor 27 e·l vostre pretz es tan gent enansatz.",Aissi cum sel qu'em poder de senhor 27 «e·l vostre pretz es tan gent enansatz»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aissi_cum_sel_qu_em_poder_de_senhor,Aissi cum sel qu'em poder de senhor,Raimon Jordan,http://dbpedia.org/resource/Raimon_Jordan,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PROPIAMENTE ... CONTARLA,"'non la si (om) potrebbe adeguatamente dire, esprimere (la loda)'. La stessa iperbole, e il medesimo andamento (che vale come firma interna) (Bettarini), in Dante da Maiano, Uno voler mi tragge 'l cor sovente 7-8 ché sua bieltà già ben dir propiamente / non si porria, tant'è sovrabbondosa. La stampa Giuntina legge hom no 'l poria contarla; e De Robertis stampa om no·l poria contar là spiegando: il vostro pregio è a tale altezza dove, a contarlo, a dirlo, non si arriverebbe. Preferisco invece lasciare intatto il rimante ed eliminare il clitico l(o) (un copista avrà preso il più vicino pregio, o loco, come complemento oggetto retto da poria contar, mentre il complemento oggetto è loda)","Uno voler mi tragge 'l cor sovente 7-8 «ché sua bieltà già ben dir propiamente / non si porria, tant'è sovrabbondosa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Uno_voler_mi_tragge_l_cor_sovente,Uno voler mi tragge 'l cor sovente,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PROPIAMENTE,"forma dissimilata normale nel fiorentino (cfr. Castellani 1980, II, p. 224), e ben attestata nella lirica, da Giacomo da Lentini a Cavalcanti",propiamente,CONCORDANZA GENERICA,,,Giacomo da Lentini,http://dbpedia.org/resource/Giacomo_da_Lentini,http://purl.org/bncf/tid/26261,CONCEPT +PROPIAMENTE,"forma dissimilata normale nel fiorentino (cfr. Castellani 1980, II, p. 224), e ben attestata nella lirica, da Giacomo da Lentini a Cavalcanti",propiamente,CONCORDANZA GENERICA,,,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +PERÒ ... DISPARLA,"'perciò affermo (dico) che chiunque crede di lodarvi adeguatamente con le parole vaneggia'. Ovvia iperbole: allo scopo di lodare si dice che nessuna lode è sufficiente e che non bisogna neppure provarci; è la stessa agudeza usata da Guinizelli nel missivo a Guittone, O caro padre meo 1-2 O caro padre meo, de vostra laude / non bisogna ch'alcun omo se 'mbarchi","O caro padre meo 1-2 «O caro padre meo, de vostra laude / non bisogna ch'alcun omo se 'mbarchi»",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/O_caro_padre_meo,O caro padre meo,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DISPARLA,"hapax (salvo un molto dubbio [dis]parlare ricostruito in Chiaro, Quando l'arciere avisa suo guardare 8: ma il manoscritto ha parlare) coniato per mantenere la rima: 'parla a vanvera, delira'.",Quando l'arciere avisa suo guardare 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quando_l_arciere_avisa_suo_guardare,Quando l'arciere avisa suo guardare,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DITE CH'AMARE,"formula riepilogativa ben adatta a un sonetto responsivo, per riprendere il filo del missivo e replicare: cfr. Guittone, Amico caro meo, vetar non oso 9 Dici che tua donzella ha te gioi data (ma anche Dante, alludendo a ciò che Virgilio ha scritto, non detto, in If II 13 Tu dici che di Silvïo il parente).","Amico caro meo, vetar non oso 9 «Dici che tua donzella ha te gioi data»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amico_caro_meo_vetar_non_oso,"Amico caro meo, vetar non oso",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LO DOL ... DOLE,"'il dolore d'amore che più duole', con bisticcio analogo a quello del verso precedente tra amare e amato (ed è lo stesso che aprirà l'ultimo sonetto della serie, Lasso, lo dol che più mi dole e serra: e per casi analoghi, che avvicinano il Maianese al gusto di Guittone e dei suoi allievi fiorentini, cfr. i rimandi di Bettarini in nota a Da doglia e da rancura lo meo core 12).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +UMIL ... DISGRATO,"non già 'non vi sia sgradita un'umile preghiera (umil prego)' bensì 'prego umilmente (umil prego) che non vi sia sgradito', con umil riferito al soggetto dell'enunciato e prego non sostantivo ('preghiera') ma prima persona del verbo, alla luce dell'identica formula in Dante da Maiano, Sì m'abbellio la vostra gran plagenza 9 Onde umil priego voi, viso gioioso, / che non vi grevi. Per la transizione con onde, che tira le somme di quanto detto e procede alla richiesta, cfr. Anonimo, A scuro loco (L 311) 7 unde dimando a voi, che siete spero / pales'e altero, pertinente anche per il successivo chiari: il corrispondente è luce che illumina con il suo sapere","Sì m'abbellio la vostra gran plagenza 9 «Onde umil priego voi, viso gioioso, / che non vi grevi»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_m_abbellio_la_vostra_gran_plagenza,Sì m'abbellio la vostra gran plagenza,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +UMIL ... DISGRATO,"non già 'non vi sia sgradita un'umile preghiera (umil prego)' bensì 'prego umilmente (umil prego) che non vi sia sgradito', con umil riferito al soggetto dell'enunciato e prego non sostantivo ('preghiera') ma prima persona del verbo, alla luce dell'identica formula in Dante da Maiano, Sì m'abbellio la vostra gran plagenza 9 Onde umil priego voi, viso gioioso, / che non vi grevi. Per la transizione con onde, che tira le somme di quanto detto e procede alla richiesta, cfr. Anonimo, A scuro loco (L 311) 7 unde dimando a voi, che siete spero / pales'e altero, pertinente anche per il successivo chiari: il corrispondente è luce che illumina con il suo sapere","Anonimo, A scuro loco (L 311) 7 «unde di- mando a voi, che siete spero / pales'e altero»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_scuro_loco,A scuro loco,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +VOSTRO SAVER,"sineddoche comune nelle rime di corrispondenza (e prima – come tuttora – nell'uso epistolare e in generale nel linguaggio formale: dove ci si appella alla vostra clemenza o, in quello che oramai è un epiteto fisso, alla vostra eccellenza, e simili): 'il vostro sapere', cioè 'voi (che siete sapiente)'; la stessa formula in Anonimo a Bonagiunta, Peroché sète paragon di sagio (V 781) 9 Consiglio chero al vostro gran savere",Peroché sète paragon di sagio (V 781) 9 «Consiglio chero al vostro gran savere»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Peroche_sete_paragon_di_sagio,Peroché sète paragon di sagio,Anonimo a Bonagiunta,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anonimo_a_Bonagiunta,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NOMO,"metaplasmo ben attestato nei poeti siciliani, in Guittone d'Arezzo e nel Dante lirico (Serianni 2001, p. 142): ma è una di quelle forme cercate di proposito per necessità di rima (per casi analoghi cfr. Giunta 2002b, p. 204).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/26261,CONCEPT +NOMO,"metaplasmo ben attestato nei poeti siciliani, in Guittone d'Arezzo e nel Dante lirico (Serianni 2001, p. 142): ma è una di quelle forme cercate di proposito per necessità di rima (per casi analoghi cfr. Giunta 2002b, p. 204).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +CONOSCO BEN,"'so bene' (e ben, come osserva De Robertis, ha valore correlativo-avversativo: di contro al non canoscendo dell'incipit): giuntura già tipica dei trovatori (eu conosc ben) che arriva sino a Petrarca e oltre (cfr. la nota a Dante da Maiano, Amor mi fa 9)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +SCIENZ'À ... NOMO,"'ha sapienza assai rinomata': cfr. Compagni, Cronica: fu cavaliere di grande animo e nome (citato in GDLI, s.v. nome); la Giuntina legge ch'è scienza di gran nomo (e così BarbiMaggini).","Compagni, Cronica: «fu cavaliere di grande animo e nome»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/page/Cronica_delle_cose_occorrenti_ne'_tempi_suoi,Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi,Dino Compagni,http://dbpedia.org/resource/Dino_Compagni,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +SACCI BEN,"anche questa è una formula introduttiva ricorrente nelle lettere in prosa e nei testi di corrispondenza in versi: oltre al sacciate ben di Qual che voi siate 5 cfr. per esempio il joc tra Lambert Ferri e Philippot Verdière, Biau Phelipot Vrediere, je vous proi 11 Lambert Ferri, sachiés bien (Långfors 1926, n. CIII); tanto basta a escludere la congettura (del resto superflua, dato che il passo è, una volta tanto, limpido) di Pézard 1967a, p. 58: sòcci ben, 'je m'y connais'. 10-1","joc tra Lambert Ferri e Philippot Verdière, Biau Phelipot Vrediere, je vous proi 11 «Lambert Ferri, sachiés bien»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Biau_Phelipot_Vrediere_je_vous_proi,"Biau Phelipot Vrediere, je vous proi",Lambert Ferri,http://dbpedia.org/resource/Lambert_Ferri,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHÉ ... CHIAMA,"'perché un simile dolore domina tutti gli altri, e a tutti presiede'; lo stesso concetto per esempio in Guilhem Gausmar, N'Eble, chauzes en la meillor 15-6 qe jes no·s fai a comparar / dolors d'amador ab dolor","Guilhem Gausmar, N'Eble, chauzes en la meillor 15-6 «qe jes no·s fai a com- parar / dolors d'amador ab dolor»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/N_Eble_chauzes_en_la_meillor,"N'Eble, chauzes en la meillor",Guilhem Gausmar,http://it.dbpedia.org/page/Guilhem_Gausmar,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CAPO,"non 'signore, superiore' (BarbiMaggini), né 'cima, colmo' (De Robertis), ma piuttosto – conforme a uno dei significati del lat. caput – 'principio, fonte, origine', come per esempio nei passi seguenti: [i sette vizî capitali] sono capo di tutti li altri vizî, e nasconne quanti mali si fanno nel mondo (Giamboni, Trattato, p. 125); cupidità è capo di tutti mali e radice di tutti peccati (Pucci, Libro, p. 99).","Bono Giamboni, Libro LXI 3 «sì come quella che ben li sapea»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_de_vizi_e_delle_virtudi,Libro de' Vizi e delle Virtudi,Bono Giamboni,http://it.dbpedia.org/page/Bono_Giamboni,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +LASSO,"'Ahimé' (cfr. fr. hélas); incipit analoghi nello stesso Dante da Maiano, Lasso, el pensero e lo voler non stagna e Las, ço qe m'es al cor plus fins e gars",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lasso_el_pensero_e_lo_voler_non_stagna,"Lasso, el pensero e lo voler non stagna",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LASSO,"'Ahimé' (cfr. fr. hélas); incipit analoghi nello stesso Dante da Maiano, Lasso, el pensero e lo voler non stagna e Las, ço qe m'es al cor plus fins e gars",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Las_co_qe_m_es_al_cor_plus_fins_e_gars,"Las, ço qe m'es al cor plus fins e gars",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DOL ... DOLE,allitterazioni simili sono tipiche dello stile di Dante da Maiano: cfr. Lo vostro fermo dir 10 e Da doglia e da rancura lo meo core 13 mi donerà dolor doglioso,Lo vostro fermo dir 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_vostro_fermo_dir,Lo vostro fermo dir,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DOL ... DOLE,allitterazioni simili sono tipiche dello stile di Dante da Maiano: cfr. Lo vostro fermo dir 10 e Da doglia e da rancura lo meo core 13 mi donerà dolor doglioso,Da doglia e da rancura lo meo core 13,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Da_doglia_e_da_rancura_lo_meo_core,Da doglia e da rancura lo meo core,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PER ME ... SERRA,"'al posto mio occorrerebbe uno più saggio, tanto quanto (lo è) il vostro sapere, che chiude, determina ogni questione'. FosterBoyde propongono di leggere per me più saggio converriasi c'omo, intendendo 'ci vorrebbe al posto mio qualcuno più saggio di quanto possa essere un uomo': ma così resterebbe isolato il vostro saver del verso successivo, costringendo ad altri più onerosi emendamenti. Quanto al significato del passo, lo stesso locus modestiae (""la mia scienza non è sufficiente"") si trova per esempio nel responsivo di Lapo Salterelli a Dino Compagni, Vostra quistione 3-4 Onde convienmi provedenza maggio / che mio senno non porta",Vostra quistione 3-4 «Onde convienmi provedenza maggio / che mio senno non porta»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Vostra_quistione,Vostra quistione,Lapo Salterelli,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lapo_Salterelli,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +D'AUTORITÀ MOSTRANDO,"l'argumentum ab auctoritate è uno dei modi arguendi elencati dai giurisperiti medievali, stante il fatto che cuilibet doctissimo in arte sua est credendum: cfr. Caprioli 1965, pp. 372 e 410. Dunque sembra calzante la spiegazione di BarbiMaggini: qui si chiedono il ragionamento filosofico e la citazione di autori, come in Pd XXVI 25-6 ""per filosofici argomenti / e per autorità"", e anche come nella lettera a Cino: Et fides huius ... ratione potest et autoritate muniri (Ep III 3). La formula per auctoritat s'incontra in un poemetto provenzale edito da Contini 1940a: Mostrar volh per auctoritat / a conoyser lo traspassat (vv. 301-2), ma qui sembra significare 'normativamente, fornendo regole certe'. 10-1",«cuilibet doctissimo in arte sua est credendum»,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT +D'AUTORITÀ MOSTRANDO,"l'argumentum ab auctoritate è uno dei modi arguendi elencati dai giurisperiti medievali, stante il fatto che cuilibet doctissimo in arte sua est credendum: cfr. Caprioli 1965, pp. 372 e 410. Dunque sembra calzante la spiegazione di BarbiMaggini: qui si chiedono il ragionamento filosofico e la citazione di autori, come in Pd XXVI 25-6 ""per filosofici argomenti / e per autorità"", e anche come nella lettera a Cino: Et fides huius ... ratione potest et autoritate muniri (Ep III 3). La formula per auctoritat s'incontra in un poemetto provenzale edito da Contini 1940a: Mostrar volh per auctoritat / a conoyser lo traspassat (vv. 301-2), ma qui sembra significare 'normativamente, fornendo regole certe'. 10-1",«Mostrar volh per auctoritat / a conoyser lo traspassat»,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +ASSEGNANDO,"'esponendo determinatamente' (Contini); come altre espressioni usate in questa tenzone, è un verbo che a Dante da Maiano giunge probabilmente dal linguaggio del joc partit: cfr. quello tra Adam de la Halle e Jehan de Grieviler, Assignés chi, Griviler, jugement (Långfors 1926, n",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Assignes_chi_Griviler_jugement,"Assignés chi, Griviler, jugement",Adam de la Halle,http://dbpedia.org/resource/Adam_de_la_Halle,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +AMOR ... AMARE,"un avvio analogo in Dante da Maiano, Gaia donna piacente e dilettosa 25 Amor mi fa sovente tormentare (Bettarini, con altri rimandi); e il bisticcio ricorda naturalmente la tecnica delle precedenti tenzoni (Qual che voi siate 13 chi non è amato, s'elli è amadore, e simili).",Gaia donna piacente e dilettosa 25 «Amor mi fa sovente tormentare»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gaia_donna_piacente_e_dilettosa,Gaia donna piacente e dilettosa,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DISTRETTO,"'legato, costretto': è uno dei verbi più comuni per descrivere l'innamoramento, a cominciare dal famoso incipit di Giacomo da Lentini Meravigliosamente / un amor mi distringe",«Meravigliosamente / un amor mi distringe»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meravigliosamente,Meravigliosamente,Giacomo da Lentini,http://dbpedia.org/resource/Giacomo_da_Lentini,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +CHE SOLO UN'ORA ... PENSARE,"'neppure per un'ora potrei (porria) separare il mio cuore dal pensiero di lui' (con cuore complemento oggetto), oppure 'neppure per un'ora il mio cuore potrebbe (porria) separarsi dal pensiero di lui' (con cuore soggetto). Questa seconda opzione preferisce Bettarini, che cita a riscontro l'incipit Da doglia e da rancura lo meo core / veggio partire. Tuttavia, partire il coraggio (oggetto) è una formula ricorrente in Dante da Maiano, e i passi seguenti fanno semmai propendere per la prima parafrasi: La dilettosa cera 29-30 Partirò lo coraggio / da sì dolze penare?, Lasso, merzé cherere 18 s'eo già mai partisse lo mio core, Non perch'eo v'aggia, donna, fatto offesa 13 da tale error partite lo coraggio",«Da doglia e da rancura lo meo core / veggio partire»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Da_doglia_e_da_rancura_lo_meo_core,Da doglia e da rancura lo meo core,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHE SOLO UN'ORA ... PENSARE,"'neppure per un'ora potrei (porria) separare il mio cuore dal pensiero di lui' (con cuore complemento oggetto), oppure 'neppure per un'ora il mio cuore potrebbe (porria) separarsi dal pensiero di lui' (con cuore soggetto). Questa seconda opzione preferisce Bettarini, che cita a riscontro l'incipit Da doglia e da rancura lo meo core / veggio partire. Tuttavia, partire il coraggio (oggetto) è una formula ricorrente in Dante da Maiano, e i passi seguenti fanno semmai propendere per la prima parafrasi: La dilettosa cera 29-30 Partirò lo coraggio / da sì dolze penare?, Lasso, merzé cherere 18 s'eo già mai partisse lo mio core, Non perch'eo v'aggia, donna, fatto offesa 13 da tale error partite lo coraggio",La dilettosa cera 29-30 «Partirò lo coraggio / da sì dolze penare?»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_dilettosa_cera,La dilettosa cera,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHE SOLO UN'ORA ... PENSARE,"'neppure per un'ora potrei (porria) separare il mio cuore dal pensiero di lui' (con cuore complemento oggetto), oppure 'neppure per un'ora il mio cuore potrebbe (porria) separarsi dal pensiero di lui' (con cuore soggetto). Questa seconda opzione preferisce Bettarini, che cita a riscontro l'incipit Da doglia e da rancura lo meo core / veggio partire. Tuttavia, partire il coraggio (oggetto) è una formula ricorrente in Dante da Maiano, e i passi seguenti fanno semmai propendere per la prima parafrasi: La dilettosa cera 29-30 Partirò lo coraggio / da sì dolze penare?, Lasso, merzé cherere 18 s'eo già mai partisse lo mio core, Non perch'eo v'aggia, donna, fatto offesa 13 da tale error partite lo coraggio","Lasso, merzé cherere 18 «s'eo già mai partisse lo mio core»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lasso_merze_cherere,"Lasso, merzé cherere",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHE SOLO UN'ORA ... PENSARE,"'neppure per un'ora potrei (porria) separare il mio cuore dal pensiero di lui' (con cuore complemento oggetto), oppure 'neppure per un'ora il mio cuore potrebbe (porria) separarsi dal pensiero di lui' (con cuore soggetto). Questa seconda opzione preferisce Bettarini, che cita a riscontro l'incipit Da doglia e da rancura lo meo core / veggio partire. Tuttavia, partire il coraggio (oggetto) è una formula ricorrente in Dante da Maiano, e i passi seguenti fanno semmai propendere per la prima parafrasi: La dilettosa cera 29-30 Partirò lo coraggio / da sì dolze penare?, Lasso, merzé cherere 18 s'eo già mai partisse lo mio core, Non perch'eo v'aggia, donna, fatto offesa 13 da tale error partite lo coraggio","Non perch'eo v'aggia, donna, fatto offesa 13 «da tale error partite lo co- raggio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_perch_eo_v_aggia_donna_fatto_offesa,"Non perch'eo v'aggia, donna, fatto offesa",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SOLO UN'ORA,iperbole che Dante da Maiano usa anche in Ver' la mia donna 2 ch'un'ora non l'ardisco di cherere (Bettarini),Ver' la mia donna 2 «ch'un'ora non l'ardisco di cherere»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ver_la_mia_donna_son_si_temoroso,Ver' la mia donna son sì temoroso,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +D'OVIDIO ... GUARIRE,"'Ho provato a fare ciò (prolettico) che Ovidio consiglia per guarire il mal d'amore'. Una formula analoga, in analogo contesto (l'innamorato tenta ogni rimedio per guarire dall'amore), in Anonimo, Un Corzo di Corzan 5-6 E ciò che Galïen ci lasciò scritto, / aggio provato per voler campare (ed. Bruni Bettarini 1974, p. 95)","Un Corzo di Corzan 5-6 «E ciò che Galïen ci lasciò scritto, / aggio provato per voler campare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Un_Corzo_di_Corzan,Un Corzo di Corzan,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +E ... VERACEMENTE,"al lettore moderno il verso ricorda Petrarca (Rvf 1, 9 Ma ben veggio or sì). In realtà, come accennato in nota a Non canoscendo 3, formule asseverative come questa sono comuni già nella poesia trobadorica: ben conosc e sai, ieu conosc e sai ques vers, e soprattutto – anche per l'ulteriore rafforzamento attraverso l'avverbio – ben sai e conosc veramen (cfr. Cnyrim 1888, p. 7). Nei sonetti italiani, la formula modula spesso, come qui, il passaggio tra fronte e sirma: oltre al sonetto-prologo dei Fragmenta cfr. lo stesso Dante da Maiano, Primer ch'eo vidi 9 E bene veggio omai che lo meo core e O lasso, che mi val 9 E ben conosco troppo folleggiando (Bettarini), e il sonetto doppio di Lupo degli Uberti Gentil madonna, la vertù d'amore 13 Ben me cognosco eo non sufficiente","ben conosc e sai, ieu conosc e sai ques vers / ben sai e conosc veramen",CONCORDANZA STRINGENTE,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +E ... VERACEMENTE,"al lettore moderno il verso ricorda Petrarca (Rvf 1, 9 Ma ben veggio or sì). In realtà, come accennato in nota a Non canoscendo 3, formule asseverative come questa sono comuni già nella poesia trobadorica: ben conosc e sai, ieu conosc e sai ques vers, e soprattutto – anche per l'ulteriore rafforzamento attraverso l'avverbio – ben sai e conosc veramen (cfr. Cnyrim 1888, p. 7). Nei sonetti italiani, la formula modula spesso, come qui, il passaggio tra fronte e sirma: oltre al sonetto-prologo dei Fragmenta cfr. lo stesso Dante da Maiano, Primer ch'eo vidi 9 E bene veggio omai che lo meo core e O lasso, che mi val 9 E ben conosco troppo folleggiando (Bettarini), e il sonetto doppio di Lupo degli Uberti Gentil madonna, la vertù d'amore 13 Ben me cognosco eo non sufficiente",Primer ch'eo vidi 9 «E bene veggio omai che lo meo core»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Primer_ch_eo_vidi,Primer ch'eo vidi,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +E ... VERACEMENTE,"al lettore moderno il verso ricorda Petrarca (Rvf 1, 9 Ma ben veggio or sì). In realtà, come accennato in nota a Non canoscendo 3, formule asseverative come questa sono comuni già nella poesia trobadorica: ben conosc e sai, ieu conosc e sai ques vers, e soprattutto – anche per l'ulteriore rafforzamento attraverso l'avverbio – ben sai e conosc veramen (cfr. Cnyrim 1888, p. 7). Nei sonetti italiani, la formula modula spesso, come qui, il passaggio tra fronte e sirma: oltre al sonetto-prologo dei Fragmenta cfr. lo stesso Dante da Maiano, Primer ch'eo vidi 9 E bene veggio omai che lo meo core e O lasso, che mi val 9 E ben conosco troppo folleggiando (Bettarini), e il sonetto doppio di Lupo degli Uberti Gentil madonna, la vertù d'amore 13 Ben me cognosco eo non sufficiente","O lasso, che mi val 9 «E ben conosco troppo folleg- giando»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/O_lasso_che_mi_val,"O lasso, che mi val",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +E ... VERACEMENTE,"al lettore moderno il verso ricorda Petrarca (Rvf 1, 9 Ma ben veggio or sì). In realtà, come accennato in nota a Non canoscendo 3, formule asseverative come questa sono comuni già nella poesia trobadorica: ben conosc e sai, ieu conosc e sai ques vers, e soprattutto – anche per l'ulteriore rafforzamento attraverso l'avverbio – ben sai e conosc veramen (cfr. Cnyrim 1888, p. 7). Nei sonetti italiani, la formula modula spesso, come qui, il passaggio tra fronte e sirma: oltre al sonetto-prologo dei Fragmenta cfr. lo stesso Dante da Maiano, Primer ch'eo vidi 9 E bene veggio omai che lo meo core e O lasso, che mi val 9 E ben conosco troppo folleggiando (Bettarini), e il sonetto doppio di Lupo degli Uberti Gentil madonna, la vertù d'amore 13 Ben me cognosco eo non sufficiente","Gentil madonna, la vertù d'amore 13 «Ben me cognosco eo non sufficiente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gentil_madonna_la_vertu_d_amore,"Gentil madonna, la vertù d'amore",Lupo degli Uberti,http://it.dbpedia.org/resource/Sennuccio_del_Bene,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHE 'NVERSO ... SOFFERENTE,"come si è detto nella premessa, l'idea che contro l'amore non ci sia rimedio e che la cosa migliore sia sottometterglisi è topica; ma va citato fra i tanti questo passo di Uc Brunenc, vicinissimo alle parole di Dante da Maiano (cfr. in particolare 13 ben servir): Cortesamen mou en mon cor mesclanza 15-6 c'Amor no venz menaza ni bobanz, / mas gens servirs e precs e bona fes","Cortesamen mou en mon cor mesclanza 15-6 «c'Amor no venz menaza ni bobanz, / mas gens servirs e precs e bona fes»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cortesamen_mou_en_mon_cor_mesclanza,Cortesamen mou en mon cor mesclanza,Uc Brunenc,http://dbpedia.org/resource/Uc_Brunet,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MERZEDE ... SOFFERENTE,"l'unica arma possibile contro l'amore è la pietà della donna o la sopportazione dell'amante; un incipit dello stesso Dante da Maiano combina insieme i vv. 8 e 12 di questo sonetto: Amor m'aucide, né da lui difesa / non trovo mai che di merzé chiamare; e cfr. Cnyrim 1888, p. 25: val mais merces qe rasos / en amor, co dis Salomos","«Amor m'aucide, né da lui difesa / non trovo mai che di merzé chiamare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amor_m_aucide_ne_da_lui_difesa,"Amor m'aucide, né da lui difesa",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +BEN SERVIR,"è il servizio d'amore, la devozione disinteressata e senza riserve alla donna amata; cfr. l'incipit di Dante da Maiano Lasso, per ben servir son adastiato; e per l'associazione con la mercé, cfr. l'incipit di Giacomo da Lentini Poi no mi val merzé né ben servire (Bettarini)","Lasso, per ben servir son adastiato",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lasso_per_ben_servir_son_adastiato,"Lasso, per ben servir son adastiato",Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +BEN SERVIR,"è il servizio d'amore, la devozione disinteressata e senza riserve alla donna amata; cfr. l'incipit di Dante da Maiano Lasso, per ben servir son adastiato; e per l'associazione con la mercé, cfr. l'incipit di Giacomo da Lentini Poi no mi val merzé né ben servire (Bettarini)",Poi no mi val merzé né ben servire,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poi_no_mi_val_merze_ne_ben_servire,Poi no mi val merzé né ben servire,Giacomo da Lentini,http://dbpedia.org/resource/Giacomo_da_Lentini,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +N'HAVE OMO PARTE,"'si (omo) partecipa dell'amore'. Per la formula, cfr. l'a. fr. avoir part (AFW, s.v. part, coll. 3545); per l'immagine, cfr. Dante, Cavalcando l'altr'ier 13-4 allor presi di lui [di Amore] sì gran parte, / ch'elli disparve; Chiaro, Qualunque m'adimanda 13 cui trova bon, [Amore] di sé li dona parte.","Qualunque m'adimanda 13 «cui trova bon, [Amore] di sé li dona parte»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qualunque_m_adimanda,Qualunque m'adimanda,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LARGO CORE,"'generosità, larghezza' (come in Rinuccino, Nonn-è larghezza dare, al mio parvente 4 ""largo core"").","Rinuccino, Nonn-è larghezza dare, al mio parvente 4 «largo core»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Nonn-e_larghezza_dare_al_mio_parvente,"Nonn-è larghezza dare, al mio parvente",Rinuccino Guidotti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rinuccino_Guidotti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +VINCONO AMORE,"non 'sconfiggono' ma, come nel passo di Uc Brunenc citato in nota a Amor mi fa 10-2, o come in Pd XX 99, 'conquistano', cioè 'rendono benigno, mansueto'. Vale a dire che sono le grazie e le virtù quelle che vincono – cioè avvincono, soggiogano, propiziano – Amore, non le attitudini avverse (resistenza, sconoscenza), e lo vincono attraverso il piacer di lor, il bene e il bello che è loro proprio.","Cortesamen mou en mon cor mesclanza 15-6 «c'Amor no venz menaza ni bobanz, / mas gens servirs e precs e bona fes»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cortesamen_mou_en_mon_cor_mesclanza,Cortesamen mou en mon cor mesclanza,Uc Brunenc,http://dbpedia.org/resource/Uc_Brunet,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +ACCIDENTE,"Barbi – Maggini si domandano se sia sostantivo o piuttosto aggettivo riferito a vertute, lo stesso di 'accidentale', e optano per questa seconda spiegazione. Ma sarà invece sostantivo: ciò che, secondo il vocabolario aristotelico, può congiungersi con un ente ma che non inerisce alla sua essenza.",accidente,CONCORDANZA GENERICA,,,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +E NON ... POSSENTE,"bisogna cedere all'amore, non contrastarlo. È un topos, e oltre ai passi citati nella premessa si vedano i seguenti, simili a questi versi danteschi non solo nel concetto ma anche nella formulazione: Raimon de Miraval, Res contr'Amor non es guirens 1-4 Res contr'Amor non es guirens [non serve] / lai on sos poders s'atura; / que no vol autra mesura / mas c'om sega totz sos talens; Bernart de Ventadorn, Amors, e que·us es veyaire? 35-7 que nuls om no pot ni auza / enves Amor contrastar; / car Amors vens tota chauza; Monte Andrea, Eo non mi credo, 'n om, tanto savere 7 Di contastarlo, alcun no po' ssavere; Anonimo, Posto m'avea 'n chuor veracemente 6-8 dunqua mi convien far lo su' piacere, / e ciaschun uomo similgliantemente, / ché nullo contra llui pote valere (ed. Molteni – Monaci 1877, p. 263)","Raimon de Miraval, Res contr'Amor non es guirens 1-4 «Res contr'Amor non es guirens [non serve] / lai on sos poders s'atura; / que no vol autra mesura / mas c'om sega totz sos talens»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Res_contr_Amor_non_es_guirens,Res contr'Amor non es guirens,Raimon de Miraval,http://dbpedia.org/resource/Raimon_de_Miraval,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +E NON ... POSSENTE,"bisogna cedere all'amore, non contrastarlo. È un topos, e oltre ai passi citati nella premessa si vedano i seguenti, simili a questi versi danteschi non solo nel concetto ma anche nella formulazione: Raimon de Miraval, Res contr'Amor non es guirens 1-4 Res contr'Amor non es guirens [non serve] / lai on sos poders s'atura; / que no vol autra mesura / mas c'om sega totz sos talens; Bernart de Ventadorn, Amors, e que·us es veyaire? 35-7 que nuls om no pot ni auza / enves Amor contrastar; / car Amors vens tota chauza; Monte Andrea, Eo non mi credo, 'n om, tanto savere 7 Di contastarlo, alcun no po' ssavere; Anonimo, Posto m'avea 'n chuor veracemente 6-8 dunqua mi convien far lo su' piacere, / e ciaschun uomo similgliantemente, / ché nullo contra llui pote valere (ed. Molteni – Monaci 1877, p. 263)","Bernart de Ventadorn, Amors, e que·us es veyaire? 35-7 «que nuls om no pot ni auza / enves Amor contrastar; / car Amors vens tota chauza»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amors_e_que_us_es_veyaire?,"Amors, e que·us es veyaire?",Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +E NON ... POSSENTE,"bisogna cedere all'amore, non contrastarlo. È un topos, e oltre ai passi citati nella premessa si vedano i seguenti, simili a questi versi danteschi non solo nel concetto ma anche nella formulazione: Raimon de Miraval, Res contr'Amor non es guirens 1-4 Res contr'Amor non es guirens [non serve] / lai on sos poders s'atura; / que no vol autra mesura / mas c'om sega totz sos talens; Bernart de Ventadorn, Amors, e que·us es veyaire? 35-7 que nuls om no pot ni auza / enves Amor contrastar; / car Amors vens tota chauza; Monte Andrea, Eo non mi credo, 'n om, tanto savere 7 Di contastarlo, alcun no po' ssavere; Anonimo, Posto m'avea 'n chuor veracemente 6-8 dunqua mi convien far lo su' piacere, / e ciaschun uomo similgliantemente, / ché nullo contra llui pote valere (ed. Molteni – Monaci 1877, p. 263)","Monte Andrea, Eo non mi credo, 'n om, tanto savere 7 «Di contastarlo, alcun no po' ssavere»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Eo_non_mi_credo_n_om_tanto_savere,"Eo non mi credo, 'n om, tanto savere",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/page/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +E NON ... POSSENTE,"bisogna cedere all'amore, non contrastarlo. È un topos, e oltre ai passi citati nella premessa si vedano i seguenti, simili a questi versi danteschi non solo nel concetto ma anche nella formulazione: Raimon de Miraval, Res contr'Amor non es guirens 1-4 Res contr'Amor non es guirens [non serve] / lai on sos poders s'atura; / que no vol autra mesura / mas c'om sega totz sos talens; Bernart de Ventadorn, Amors, e que·us es veyaire? 35-7 que nuls om no pot ni auza / enves Amor contrastar; / car Amors vens tota chauza; Monte Andrea, Eo non mi credo, 'n om, tanto savere 7 Di contastarlo, alcun no po' ssavere; Anonimo, Posto m'avea 'n chuor veracemente 6-8 dunqua mi convien far lo su' piacere, / e ciaschun uomo similgliantemente, / ché nullo contra llui pote valere (ed. Molteni – Monaci 1877, p. 263)","Posto m'avea 'n chuor veracemente 6-8 «dunqua mi convien far lo su' piacere, / e ciaschun uomo similgliantemente, / ché nullo contra llui pote vale- re»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Posto_m_avea_n_chuor_veracemente,Posto m'avea 'n chuor veracemente,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SE ... LEGGI,"'Se tu che mi leggi sei l'amico Lippo'; l'avvio sul nome del destinatario seguito dall'epiteto amico ricorda i sonetti-lettera di Guittone e dei guittoniani: Messer Bottaccio amico, ogni animale, Messer Giovanni amico, 'n vostro amore (cfr. Leonardi 1994, p. 84, e la nota relativa per altre apostrofi dello stesso tenore)","Messer Bottaccio amico, ogni animale",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Messer_Bottaccio_amico_ogni_animale,"Messer Bottaccio amico, ogni animale",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SE ... LEGGI,"'Se tu che mi leggi sei l'amico Lippo'; l'avvio sul nome del destinatario seguito dall'epiteto amico ricorda i sonetti-lettera di Guittone e dei guittoniani: Messer Bottaccio amico, ogni animale, Messer Giovanni amico, 'n vostro amore (cfr. Leonardi 1994, p. 84, e la nota relativa per altre apostrofi dello stesso tenore)","Messer Giovanni amico, 'n vostro amore",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Messer_Giovanni_amico_n_vostro_amore,"Messer Giovanni amico, 'n vostro amore",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DA PARTE ... SCRITTO,"il testo non soltanto parla direttamente al destinatario ma si presenta a nome del suo artefice (vengo da parte di, come un visitatore che dichiari subito le credenziali) e lo designa con una perifrasi: analogo il caso di Dino Frescobaldi, Voi che piangete nello stato amaro 8-10 (parla la canzone) io son mandata solamente a voi / da parte di colui / a cui non viene diletto di pace (BarbiMaggini).",Voi che piangete nello stato amaro 8-10 (parla la canzone) «io son mandata solamente a voi / da parte di colui / a cui non viene diletto di pace»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Voi_che_piangete_nello_stato_amaro,Voi che piangete nello stato amaro,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +IN TUA BALÌA MI METTO,"'mi affido a te, mi metto sotto la tua autorità e al tuo servizio', dunque senza la sfumatura negativa che la formula ha nell'italiano moderno ('essere soggetto, proprio malgrado, a un potere soverchiante'). È formula epistolare, o da poesia di corrispondenza (Monte, A me nom piace di, tal triega, fare 14 A voi, amico, mi do tutto im balia), e corrisponde alla locuzione a. fr. en baillie, prov. en bailia: cfr. Cella 2003, p. 336.","Monte, A me nom piace di, tal triega, fare 14 «A voi, amico, mi do tutto im balia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_me_nom_piace_di_tal_triega_fare,"A me nom piace di, tal triega, fare",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/page/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SALUTE,"non plurale di saluta (così Contini), che non è né fiorentino né toscano (cfr. Rohlfs § 353), ma plurale analogico su quelli della prima declinazione (cfr. Rohlfs § 366), come a Firenze era normale (le salute in Boccaccio e Villani, annota Contini, ma già per esempio nell'Intelligenza 292, 9 dolzi e soavi salute). Come può fare un intermediario, un messaggero in carne e ossa, il testo porta insomma i saluti dell'autore al destinatario","Intelligenza 292, 9 «dolzi e soavi salute»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_intelligenza,L'intelligenza,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +QUALI ELEGGI,"'quelle che vuoi, che scegli', con espansione della salutatio analoga a quella impiegata da Gianni Alfani in un missivo a Cavalcanti, Guido, quel Gianni 1-2 Guido, quel Gianni ch'a te fu l'altrieri / salute, quanto piace alle tue risa. E l'una e l'altra formula trasportano nella poesia modelli epistolografici, anche volgari: Ser Bindo, notaro della guardia di Prato, li capitani della parte di Tiççana salute quelle che più vi piacciano; o salute a vostro piacere (Fantappiè 2000, I, pp. 561-3); oppure salute quelle che piue vi piaceno (Castellani 1956, p. 84).","Guido, quel Gianni 1-2 «Guido, quel Gianni ch'a te fu l'altrieri / salute, quanto piace alle tue risa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Guido_quel_Gianni,"Guido, quel Gianni",Gianni Alfani,http://dbpedia.org/resource/Gianni_Alfani,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER CORTESIA ... DEGGI,"'Ti prego, per cortesia, di ascoltarmi'. Le richieste d'ascolto, in poesia come in prosa, erano sempre accompagnate da formule come queste: più spesso per tuo, per vostro onore (e per tuo onor legge in effetti, col ms. Vaticano, l'ed. Barbi), ma talvolta anche, come in questo caso, per cortesia: Se intendere me volì per cortexia (Laudario dei Battuti LV 1). E le si può senz'altro interpretare come tracce seppur remote di oralità, e cioè di una poesia d'arte assai vicina, nei suoi modi espressivi, alla poesia popolare destinata all'esecuzione in pubblico: Per cortesia, deggiatemi ascoltare dice l'autore del cantare di Florio e Biancifiore (ed. Balduino 1970, I 5); e per questi tratti cfr. in generale Serianni 2005",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,(?),,,WORK +DE L'ASCOLTAR ... LO 'NTELLETTO,"'prego che tu chieda alla tua mente e al tuo intelletto di ascoltare', secondo il costrutto richiedere uno di qualcosa (De Robertis). Consueta associazione tra facoltà sensoriali (l'udito, altrove la vista) e facoltà dello spirito cui le prime vengono attribuite per metafora, come per dire ""ascolta, ma con la mente ben sveglia, non solo con le orecchie ma anche col cervello"". Lo stesso invito ad ascoltare con la mente si trova per esempio in Dino Frescobaldi, Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento 69-70 Se ascolterete, nel vostro 'ntelletto / voi udirete (Brugnolo). Quanto alla coppia mente-intelletto (forse distinguibili come 'memoria' e 'raziocinio', ma qui piuttosto semplice endiadi per 'ragione, cervello'), cfr. Chiaro, Di lungia parte aducemi l'amore 13-5 L'avenente e 'l mio cor fan compagnia, / e chiamano la mente e lo 'ntelletto / che vegnano a veder chi segnor n'era (Menichetti). La reggenza – richiedere dell'ascoltare – è quella stessa del prov. e dell'a. fr. requerre (cfr. Levy, s.v.4; Godefroy, s.v.1).","Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento 69-70 «Se ascolterete, nel vostro 'ntelletto / voi udirete»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poscia_che_dir_conviemmi_cio_ch_io_sento,Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DE L'ASCOLTAR ... LO 'NTELLETTO,"'prego che tu chieda alla tua mente e al tuo intelletto di ascoltare', secondo il costrutto richiedere uno di qualcosa (De Robertis). Consueta associazione tra facoltà sensoriali (l'udito, altrove la vista) e facoltà dello spirito cui le prime vengono attribuite per metafora, come per dire ""ascolta, ma con la mente ben sveglia, non solo con le orecchie ma anche col cervello"". Lo stesso invito ad ascoltare con la mente si trova per esempio in Dino Frescobaldi, Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento 69-70 Se ascolterete, nel vostro 'ntelletto / voi udirete (Brugnolo). Quanto alla coppia mente-intelletto (forse distinguibili come 'memoria' e 'raziocinio', ma qui piuttosto semplice endiadi per 'ragione, cervello'), cfr. Chiaro, Di lungia parte aducemi l'amore 13-5 L'avenente e 'l mio cor fan compagnia, / e chiamano la mente e lo 'ntelletto / che vegnano a veder chi segnor n'era (Menichetti). La reggenza – richiedere dell'ascoltare – è quella stessa del prov. e dell'a. fr. requerre (cfr. Levy, s.v.4; Godefroy, s.v.1).","Di lungia parte aducemi l'amore 13-5 «L'avenente e 'l mio cor fan compagnia, / e chiamano la mente e lo 'ntelletto / che vegnano a veder chi segnor n'era»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Di_lungia_parte_aducemi_l_amore,Di lungia parte aducemi l'amore,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DAVANTI AL TU' CONSPETTO,"'davanti a te' (lat. in conspectum), formula ovvia nei testi comitatori o di corrispondenza, che fisicamente si presentano ai loro destinatari: Dante, A ciascun'alma presa 1-2 A ciascun'alma presa e gentil core / nel cui cospetto ven lo dir presente; Cino, Omo, lo cui nome per effetto (sonetto che accompagna alcuni messi, identificabili o con gli spiriti amorosi del poeta [così Marti] o con testi poetici incaricati di parlare all'amata) 5-6 lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier; la citata stanza di Lapo Gianni Se tu, martorïata 2-3 va' plorando / avanti a quella donna ove ti mena; Corona I 5-6 i' prego quei, nel cui cospetto vène, / che ciaschedun proveggia per amore.","Omo, lo cui nome per effetto 5-6 «lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Omo_lo_cui_nome_per_effetto,"Omo, lo cui nome per effetto",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DAVANTI AL TU' CONSPETTO,"'davanti a te' (lat. in conspectum), formula ovvia nei testi comitatori o di corrispondenza, che fisicamente si presentano ai loro destinatari: Dante, A ciascun'alma presa 1-2 A ciascun'alma presa e gentil core / nel cui cospetto ven lo dir presente; Cino, Omo, lo cui nome per effetto (sonetto che accompagna alcuni messi, identificabili o con gli spiriti amorosi del poeta [così Marti] o con testi poetici incaricati di parlare all'amata) 5-6 lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier; la citata stanza di Lapo Gianni Se tu, martorïata 2-3 va' plorando / avanti a quella donna ove ti mena; Corona I 5-6 i' prego quei, nel cui cospetto vène, / che ciaschedun proveggia per amore.","Se tu, martorïata 2-3 «va' plorando / avanti a quella donna ove ti mena»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_tu_martoriata_mia_Soffrenza,"Se tu, martorïata mia Soffrenza",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DAVANTI AL TU' CONSPETTO,"'davanti a te' (lat. in conspectum), formula ovvia nei testi comitatori o di corrispondenza, che fisicamente si presentano ai loro destinatari: Dante, A ciascun'alma presa 1-2 A ciascun'alma presa e gentil core / nel cui cospetto ven lo dir presente; Cino, Omo, lo cui nome per effetto (sonetto che accompagna alcuni messi, identificabili o con gli spiriti amorosi del poeta [così Marti] o con testi poetici incaricati di parlare all'amata) 5-6 lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier; la citata stanza di Lapo Gianni Se tu, martorïata 2-3 va' plorando / avanti a quella donna ove ti mena; Corona I 5-6 i' prego quei, nel cui cospetto vène, / che ciaschedun proveggia per amore.","Corona I 5-6 «i' prego quei, nel cui cospetto vène, / che ciaschedun proveggia per amore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_corona_amorosa,La corona amorosa (o corona di casistica amorosa),,,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DAVANTI AL TU' CONSPETTO,"'davanti a te' (lat. in conspectum), formula ovvia nei testi comitatori o di corrispondenza, che fisicamente si presentano ai loro destinatari: Dante, A ciascun'alma presa 1-2 A ciascun'alma presa e gentil core / nel cui cospetto ven lo dir presente; Cino, Omo, lo cui nome per effetto (sonetto che accompagna alcuni messi, identificabili o con gli spiriti amorosi del poeta [così Marti] o con testi poetici incaricati di parlare all'amata) 5-6 lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier; la citata stanza di Lapo Gianni Se tu, martorïata 2-3 va' plorando / avanti a quella donna ove ti mena; Corona I 5-6 i' prego quei, nel cui cospetto vène, / che ciaschedun proveggia per amore.","Corona I 5-6 «i' prego quei, nel cui cospetto vène, / che ciaschedun proveggia per amore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_corona_amorosa,La corona amorosa (o corona di casistica amorosa),,,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NONCALER,"(ed. Barbi non caler, ed. De Robertis non-caler; ma è senz'altro univerbabile: 'indifferenza', come nel francese moderno nonchalance): il gallicismo mettere a non-calere 'trascurare' in toscano si diffuse attraverso Guittone ... per esempio in Chiaro, e non-caler sostantivato perdura, attraverso arditi sintagmi, in Dante (Contini 1960, p. 494).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +NONCALER,"(ed. Barbi non caler, ed. De Robertis non-caler; ma è senz'altro univerbabile: 'indifferenza', come nel francese moderno nonchalance): il gallicismo mettere a non-calere 'trascurare' in toscano si diffuse attraverso Guittone ... per esempio in Chiaro, e non-caler sostantivato perdura, attraverso arditi sintagmi, in Dante (Contini 1960, p. 494).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +LO QUAL,"possibile, nella sintassi dell'italiano antico, l'avvio di periodo con un pronome relativo che si riferisce a un soggetto non immediatamente contiguo (qui l'io del v. 10): cfr. per esempio Giacomino da Verona, De Ierusalem celesti 50-3 un angel kerubin /cununaspaaenmank'èdefogodivin,/ecoronaàencòtutade iacentin: / lo qual no ge lassa andar; e soprattutto Cino, Omo, lo cui nome per effetto 1-6 Omo, lo cui nome per effetto / importa povertà di gioi d'amore / e riccor di tristizia e di dolore, / ci manda a voi, come Pietà v'ha detto; / lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Jerusalem_celesti,De Jerusalem celesti,Giacomino da Verona,http://it.dbpedia.org/page/Giacomino_da_Verona,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +LO QUAL,"possibile, nella sintassi dell'italiano antico, l'avvio di periodo con un pronome relativo che si riferisce a un soggetto non immediatamente contiguo (qui l'io del v. 10): cfr. per esempio Giacomino da Verona, De Ierusalem celesti 50-3 un angel kerubin /cununaspaaenmank'èdefogodivin,/ecoronaàencòtutade iacentin: / lo qual no ge lassa andar; e soprattutto Cino, Omo, lo cui nome per effetto 1-6 Omo, lo cui nome per effetto / importa povertà di gioi d'amore / e riccor di tristizia e di dolore, / ci manda a voi, come Pietà v'ha detto; / lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier","Omo, lo cui nome per effetto 1-6 «Omo, lo cui nome per effetto / importa povertà di gioi d'amore / e riccor di tristizia e di dolore, / ci manda a voi, come Pietà v'ha detto; / lo qual venuto nel vostro cospetto / sarebbe volentier»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Omo_lo_cui_nome_per_effetto,"Omo, lo cui nome per effetto",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +COR GENTIL,"giuntura che ricorda ovviamente Guinizelli, Al cor gentil rempaira sempre amore, e si trova poi ampiamente nella lirica stilnovista, e già prima nei trovatori. Questa è però una rara occorrenza della formula in un testo di corrispondenza, e in tale contesto gentile sarà dunque da intendersi, piuttosto che nel significato più comune in antico, 'nobile', in quello moderno di 'cortese, sollecito'",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_cor_gentil_rempaira_sempre_amore(Guinizzelli),Al cor gentil rempaira sempre amore,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +RIPOSA,"'alberga, dimora'; per la clausola, cfr. Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 13 E se vertù d'amore in voi riposa (Iovine).","Donna, se 'l prego 13 «E se vertù d'amore in voi riposa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_se_l_prego,"Donna, se 'l prego",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LÀ ... DISÏOSA,"'dovunque vuole': anche questa immagine è ripresa in Quirini, Io t'apresento 10 [vada] là dove desia (Duso)",Io t'apresento 10 «[vada] là dove desia»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_t_apresento_questa_donzeletta,Io t'apresento questa donzeletta,Giovanni Quirini,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Giovanni_Quirini,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LO MEO ... RACCOMANDI,"la raccomandazione al destinatario è un luogo comune, prima che delle poesie di corrispondenza, delle normali lettere in prosa, in calce o, come nel caso seguente, nella salutatio iniziale: A voi signori Nove ... frate Bencivenni vostro camarlingo vi si racchomanda (Castellani 1956, p. 152); perciò non è eccessivo dire – anche considerando che la raccomandazione si ripete all'ultimo verso – che l'intero testo ha i tratti di una lettera in rima. Per il motivo del dono-raccomandazione del cuore cfr. ad esempio Corona XXV 7 però voi raccomando il mi' fin core (Maffia Scariati 2002a e rimandi). Nell'esordio della canzone Luntan vi son di Carnino Ghiberti (vv. 1-3) il motivo della separazione tra il corpo e il cuore, che sta presso l'amata, è associato, come in Dante, a quello della dimoranza: Luntan vi son, ma presso v'è lo core, / con gran merzede tuttora cherendo / che non vi grevi lunga dimoranza (13)",salutatio iniziale: «A voi signori Nove ... frate Bencivenni vostro camarlingo vi si racchomanda»,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/2921,CONCEPT +LO MEO ... RACCOMANDI,"la raccomandazione al destinatario è un luogo comune, prima che delle poesie di corrispondenza, delle normali lettere in prosa, in calce o, come nel caso seguente, nella salutatio iniziale: A voi signori Nove ... frate Bencivenni vostro camarlingo vi si racchomanda (Castellani 1956, p. 152); perciò non è eccessivo dire – anche considerando che la raccomandazione si ripete all'ultimo verso – che l'intero testo ha i tratti di una lettera in rima. Per il motivo del dono-raccomandazione del cuore cfr. ad esempio Corona XXV 7 però voi raccomando il mi' fin core (Maffia Scariati 2002a e rimandi). Nell'esordio della canzone Luntan vi son di Carnino Ghiberti (vv. 1-3) il motivo della separazione tra il corpo e il cuore, che sta presso l'amata, è associato, come in Dante, a quello della dimoranza: Luntan vi son, ma presso v'è lo core, / con gran merzede tuttora cherendo / che non vi grevi lunga dimoranza (13)","«Luntan vi son, ma presso v'è lo core, / con gran merzede tuttora cherendo / che non vi grevi lunga dimoranza» (1- 3)",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Luntan_vi_son,Luntan vi son,Carnino Ghiberti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Carnino_Ghiberti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +AMOR ... DATO,"la consegna del cuore alla donna può aver luogo per intercessione di Amore perché è lui che ne dispone. In Flamenca 7377-8, l'amante chiede: Ma douza res, mos cors que fai?, e l'amata risponde: Amix, en luec del mieu estai; ma il motivo è poi più volte dantesco: per esempio in Vn IX 5 (parla Amore) e però quello cuore che io ti facea avere a lei, io l'ho meco. Un avvio assai prossimo a questo – tanto da far ritenere plausibile, e anzi probabile, l'attribuzione a Dante – ha la ballata Po' vedi te 2-3 Amor, che t'acompagna / ti racomanda 'l cor che ti tien cara (ed. Casu i.c.s.). Adotto qui la lezione di Barbi, che integra un che a quella, ipometra, del testimone unico: vi raccomandi amor vi l'ha dato. De Robertis legge invece vi raccomando: Amor vi l'ha dato; ma la lezione di Barbi sembra ben congruente con l'idea delle due astrazioni che affiancano la donna: Amore le sta da un lato ... e Mercé l'accompagna dall'altro (BarbiMaggini); e di una raccomandazione da parte di Amore (non da parte dell'amante) parla appunto la ballata appena citata","Flamenca 7377-8, l'amante chiede: «Ma douza res, mos cors que fai?», e l'amata risponde: «Amix, en luec del mieu estai»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +ALLUNGATO,"'allontanato' (prov. alongat); è verbo caratteristico dei ""canti di lontananza"" italiani: cfr. Lemmo Orlandi, Lontana dimoranza 10 che non alungi me contra il volere; Chiaro, Di lontana riviera 7-8 or che sono alungato, / dimoro senza core. 7-8",Lontana dimoranza 10 «che non alungi me contra il volere»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lontana_dimoranza,Lontana dimoranza,Lemmo Orlandi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lemmo_Orlandi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +ALLUNGATO,"'allontanato' (prov. alongat); è verbo caratteristico dei ""canti di lontananza"" italiani: cfr. Lemmo Orlandi, Lontana dimoranza 10 che non alungi me contra il volere; Chiaro, Di lontana riviera 7-8 or che sono alungato, / dimoro senza core. 7-8","Di lontana riviera 7-8 «or che sono alungato, / dimoro senza core»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Di_lontana_riviera,Di lontana riviera,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MI TIEN ... SPERANZA,"come si è accennato nella premessa, questo non è un canto di lontananza dolente, come più spesso accade, ma euforico. Il poeta pregusta il ritorno ed è accompagnato dal dolce ricordo dell'amata; così (e si vedano le solite parole-chiave allungarsi, adimoranza, ecc.) è lieto l'allontanamento (come in Uc de Saint-Circ, Gent ant saubut miei uoill vensser mon cor 25 E s'ieu m'en loing, plus m'estai pres del cor; o in Guittone, Con più m'allungo 1-2 Con più m'allungo, più m'è prossimana / la fazzon dolce de la donna mia); ed è lieta l'idea del ritorno (come in Chiaro, Adimorando 'n istrano paese 9-11 rimembiando la tornata ... / lasciava pene e grande pensamento)","Gent ant saubut miei uoill vensser mon cor 25 «E s'ieu m'en loing, plus m'estai pres del cor»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gent_ant_saubut_miei_uoill,Gent ant saubut miei uoill vensser mon cor,Uc de Saint Circ,http://dbpedia.org/resoure/Uc_de_Saint_Circ,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MI TIEN ... SPERANZA,"come si è accennato nella premessa, questo non è un canto di lontananza dolente, come più spesso accade, ma euforico. Il poeta pregusta il ritorno ed è accompagnato dal dolce ricordo dell'amata; così (e si vedano le solite parole-chiave allungarsi, adimoranza, ecc.) è lieto l'allontanamento (come in Uc de Saint-Circ, Gent ant saubut miei uoill vensser mon cor 25 E s'ieu m'en loing, plus m'estai pres del cor; o in Guittone, Con più m'allungo 1-2 Con più m'allungo, più m'è prossimana / la fazzon dolce de la donna mia); ed è lieta l'idea del ritorno (come in Chiaro, Adimorando 'n istrano paese 9-11 rimembiando la tornata ... / lasciava pene e grande pensamento)","Con più m'allungo 1-2 «Con più m'allungo, più m'è prossimana / la fazzon dolce de la donna mia»",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Con_piu_m_allungo,"Con più m'allungo, più m'è prossimana",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MI TIEN ... SPERANZA,"come si è accennato nella premessa, questo non è un canto di lontananza dolente, come più spesso accade, ma euforico. Il poeta pregusta il ritorno ed è accompagnato dal dolce ricordo dell'amata; così (e si vedano le solite parole-chiave allungarsi, adimoranza, ecc.) è lieto l'allontanamento (come in Uc de Saint-Circ, Gent ant saubut miei uoill vensser mon cor 25 E s'ieu m'en loing, plus m'estai pres del cor; o in Guittone, Con più m'allungo 1-2 Con più m'allungo, più m'è prossimana / la fazzon dolce de la donna mia); ed è lieta l'idea del ritorno (come in Chiaro, Adimorando 'n istrano paese 9-11 rimembiando la tornata ... / lasciava pene e grande pensamento)",Adimorando 'n istrano paese 9-11 «rimembiando la tornata ... / la- sciava pene e grande pensamento»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Adimorando_n_istrano_paese,Adimorando 'n istrano paese,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MI TIEN GIÀ CONFORTATO,"per quest'uso fraseologico di tenere, cfr. la nota a *; quanto al conforto che reca l'idea del ritorno, cfr. Dame d'honour plesant et gracieuxe 21-2 Et combien la partie soit dolereuxe, / je me confort de mon brief revenir (ed. Apel, n. 62).","Dame d'honour plesant et gracieuxe 21-2 «Et combien la partie soit dolereuxe, / je me confort de mon brief revenir»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dame_d_honour_plesant_et_gracieuxe,Dame d'honour plesant et gracieuxe,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +ADIMORANZA,"vale tanto in riferimento allo spazio (la dimora, il soggiorno lontano dall'amata) quanto in riferimento al tempo (la mora è l'indugio, l'attesa); e in genere, all'opposto rispetto a qui, della dimoranza si lamenta la lunghezza (nel tempo) o la lontananza (nello spazio): Azemar lo Negre, Era·m don Dieus que repaire 31-2 Per la longa demoransa / qu'ieu fau say; Bonagiunta, Avegna 37-8 Credo che non feràe / lontana dimoransa / lo core meo (con la nota di Menichetti 2002, p. 99); Chiaro, Oi lasso, lo mio partire 18-9 per lungo adimorare / verà in gioia lo voler mio. Quest'ultimo passo spiega anche, probabilmente, perché una parte della tradizione, e in questa tradizione Dante, rappresenti il congedo dall'amata come un fatto positivo: perché, come spiega Lullo nella Blanquerna, eguals coses son propinquitat e lunyetat enfre l'amich e l'amat, e una miscela di vicinanza e di lontananza fa l'amore perfetto, così come una buona bevanda si forma da ingredienti diversi, e il buon clima dal temperarsi del caldo e del freddo (citato in Spitzer 1970, p. 120).",Era·m don Dieus que repaire 31-2 «Per la longa demoransa / qu'ieu fau say»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Era_m_don_Dieus_que_repaire,Era·m don Dieus que repaire,Azemar lo Negre,http://dbpedia.org/resource/Ademar_lo_Negre,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +ADIMORANZA,"vale tanto in riferimento allo spazio (la dimora, il soggiorno lontano dall'amata) quanto in riferimento al tempo (la mora è l'indugio, l'attesa); e in genere, all'opposto rispetto a qui, della dimoranza si lamenta la lunghezza (nel tempo) o la lontananza (nello spazio): Azemar lo Negre, Era·m don Dieus que repaire 31-2 Per la longa demoransa / qu'ieu fau say; Bonagiunta, Avegna 37-8 Credo che non feràe / lontana dimoransa / lo core meo (con la nota di Menichetti 2002, p. 99); Chiaro, Oi lasso, lo mio partire 18-9 per lungo adimorare / verà in gioia lo voler mio. Quest'ultimo passo spiega anche, probabilmente, perché una parte della tradizione, e in questa tradizione Dante, rappresenti il congedo dall'amata come un fatto positivo: perché, come spiega Lullo nella Blanquerna, eguals coses son propinquitat e lunyetat enfre l'amich e l'amat, e una miscela di vicinanza e di lontananza fa l'amore perfetto, così come una buona bevanda si forma da ingredienti diversi, e il buon clima dal temperarsi del caldo e del freddo (citato in Spitzer 1970, p. 120).",Avegna 37-8 «Credo che non feràe / lontana dimoransa / lo core meo»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Avegna_che_partensa,Avegna che partensa,Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +ADIMORANZA,"vale tanto in riferimento allo spazio (la dimora, il soggiorno lontano dall'amata) quanto in riferimento al tempo (la mora è l'indugio, l'attesa); e in genere, all'opposto rispetto a qui, della dimoranza si lamenta la lunghezza (nel tempo) o la lontananza (nello spazio): Azemar lo Negre, Era·m don Dieus que repaire 31-2 Per la longa demoransa / qu'ieu fau say; Bonagiunta, Avegna 37-8 Credo che non feràe / lontana dimoransa / lo core meo (con la nota di Menichetti 2002, p. 99); Chiaro, Oi lasso, lo mio partire 18-9 per lungo adimorare / verà in gioia lo voler mio. Quest'ultimo passo spiega anche, probabilmente, perché una parte della tradizione, e in questa tradizione Dante, rappresenti il congedo dall'amata come un fatto positivo: perché, come spiega Lullo nella Blanquerna, eguals coses son propinquitat e lunyetat enfre l'amich e l'amat, e una miscela di vicinanza e di lontananza fa l'amore perfetto, così come una buona bevanda si forma da ingredienti diversi, e il buon clima dal temperarsi del caldo e del freddo (citato in Spitzer 1970, p. 120).","Oi lasso, lo mio partire 18-9 «per lungo adimorare / verà in gioia lo voler mio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Oi_lasso_lo_mio_partire,"Oi lasso, lo mio partire",Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +ADIMORANZA,"vale tanto in riferimento allo spazio (la dimora, il soggiorno lontano dall'amata) quanto in riferimento al tempo (la mora è l'indugio, l'attesa); e in genere, all'opposto rispetto a qui, della dimoranza si lamenta la lunghezza (nel tempo) o la lontananza (nello spazio): Azemar lo Negre, Era·m don Dieus que repaire 31-2 Per la longa demoransa / qu'ieu fau say; Bonagiunta, Avegna 37-8 Credo che non feràe / lontana dimoransa / lo core meo (con la nota di Menichetti 2002, p. 99); Chiaro, Oi lasso, lo mio partire 18-9 per lungo adimorare / verà in gioia lo voler mio. Quest'ultimo passo spiega anche, probabilmente, perché una parte della tradizione, e in questa tradizione Dante, rappresenti il congedo dall'amata come un fatto positivo: perché, come spiega Lullo nella Blanquerna, eguals coses son propinquitat e lunyetat enfre l'amich e l'amat, e una miscela di vicinanza e di lontananza fa l'amore perfetto, così come una buona bevanda si forma da ingredienti diversi, e il buon clima dal temperarsi del caldo e del freddo (citato in Spitzer 1970, p. 120).",«eguals coses son propinquitat e lunyetat enfre l'amich e l'amat»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Blanquerna,Blanquerna,Ramon Llull,http://dbpedia.org/resource/Ramon_Llull,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +MI VOLGE ... LA MENTE,"la memoria fa rivolgere indietro verso il suo paese il poeta desideroso di rivedere la donna amata (D. Consoli in ED, s.v. volgere): e sarà un volgersi piuttosto ideale che fisico (il pensiero, l'animo si volge indietro, come in If I 25-6 così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, / si volse a retro). Una situazione analoga per esempio in Raimon Jordan, Lo clar temps vei brunezir 26-7 e lai vir soven / mos huelhs, tan l'am finamen; o in Falquet de Romans, Ieu no mudaria 28-9 e n'estau en pessamen / que ves son pays me vire",Lo clar temps vei brunezir,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_clar_temps_vei_brunezir,Lo clar temps vei brunezir,Raimon Jordan,http://live.dbpedia.org/page/Raimon_Jordan,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MI VOLGE ... LA MENTE,"la memoria fa rivolgere indietro verso il suo paese il poeta desideroso di rivedere la donna amata (D. Consoli in ED, s.v. volgere): e sarà un volgersi piuttosto ideale che fisico (il pensiero, l'animo si volge indietro, come in If I 25-6 così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, / si volse a retro). Una situazione analoga per esempio in Raimon Jordan, Lo clar temps vei brunezir 26-7 e lai vir soven / mos huelhs, tan l'am finamen; o in Falquet de Romans, Ieu no mudaria 28-9 e n'estau en pessamen / que ves son pays me vire",Ieu no mudaria 28-9 «e n'estau en pessamen / que ves son pays me vire»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ieu_no_mudaria,Ieu no mudaria,Falquet de Romans,http://dbpedia.org/resource/Falquet_de_Romans,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SEMBIANZA,"il poeta vede l'immagine della donna nel pensiero; FosterBoyde rinviano alla canzone di lontananza di Caccia da Siena Per forza di piacer lontana cosa 14-6 Sembianza ch'a lo cor mi ripresenta, / madonna, il mi' richero, / fra me stando in pensero (Contini 1960, I, p. 357).","Per forza di piacer lontana cosa 14-6 «Sembianza ch'a lo cor mi ripresenta, / madonna, il mi' richero, / fra me stando in pensero»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_forza_di_piacer_lontana_cosa,Per forza di piacer lontana cosa,Caccia da Siena,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Caccia_da_Siena,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NE LO ... ADIMORANDO,"'nel mio viaggiare e nel mio stare lontano'. L'associazione tra andare e stare si trova nella citata Lontana dimoranza 15-6 Così del rimanere / e de l'andar sono diverse pene, e anche in Dante, Doglia mi reca 34 lieta va e soggiorna.",Lontana dimoranza 15-6 «Così del rimanere / e de l'andar sono diverse pene»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lontana_dimoranza,Lontana dimoranza,Lemmo Orlandi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lemmo_Orlandi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DOLCE,"è aggettivo consueto per designare un luogo amato e rimpianto (o una cosa amata e rimpianta: per esempio il dolce lume di Cavalcante in If X 69): biasmo la dolze Toscana / che mi diparte lo core (Federico II, citato da Mattalia), Dolze e gaia terra fiorentina (Chiaro, citato da Contini); e del resto già per i guerrieri della Chanson de Roland la patria lontana è France dulce, la bele (Contini).",«biasmo la dolze Toscana / che mi diparte lo core»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dolze_meo_drudo_e_vatene,"Dolze meo drudo, e vatène",Federico II,"http://dbpedia.org/resource/Frederick_II,_Holy_Roman_Emperor",http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +DOLCE,"è aggettivo consueto per designare un luogo amato e rimpianto (o una cosa amata e rimpianta: per esempio il dolce lume di Cavalcante in If X 69): biasmo la dolze Toscana / che mi diparte lo core (Federico II, citato da Mattalia), Dolze e gaia terra fiorentina (Chiaro, citato da Contini); e del resto già per i guerrieri della Chanson de Roland la patria lontana è France dulce, la bele (Contini).",«Dolze e gaia terra fiorentina»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ahi_dolze_e_gaia_terra_fiorentina,Ahi dolze e gaia terra fiorentina,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +FORZA D'AMORE,"sintagma già trobadorico: Gaucelm Faidit, N'Albert, eu sui en gran error 20 que forsa d'amor li fez far; e cfr. Guido Novello da Polenta, Quando specchiate, donna, el vostro viso 11 co la forza d'amore / el ten.",«que forsa d'amor li fez far»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/N_Albert_eu_sui_en_gran_error,"N'Albert, eu sui en gran error",Gaucelm Faidit,http://dbpedia.org/resource/Gaucelm_Faidit,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +FORZA D'AMORE,"sintagma già trobadorico: Gaucelm Faidit, N'Albert, eu sui en gran error 20 que forsa d'amor li fez far; e cfr. Guido Novello da Polenta, Quando specchiate, donna, el vostro viso 11 co la forza d'amore / el ten.",«co la forza d'amore / el ten»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quando_specchiate_donna,"Quando specchiate, donna, el vostro viso",Guido Novello da Polenta,http://dbpedia.org/resource/Guido_II_da_Polenta,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +TANTO DI VALORE,"'tanto valore', con genitivo di quantità, secondo l'uso latino e francese; il valore è il nerbo, la forza vitale: forza vitale che quasi sempre vien meno, nella poesia stilnovista, come riflesso di una passione estenuante (cfr. Dante, Sì lungiamente 5; Cavalcanti, L'anima mia 5 e 10).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +TANTO DI VALORE,"'tanto valore', con genitivo di quantità, secondo l'uso latino e francese; il valore è il nerbo, la forza vitale: forza vitale che quasi sempre vien meno, nella poesia stilnovista, come riflesso di una passione estenuante (cfr. Dante, Sì lungiamente 5; Cavalcanti, L'anima mia 5 e 10).",L'anima mia versi 5 e 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_anima_mia,L'anima mia vilment' è sbigotita,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LUNGAMENTE,"'a lungo'. È uno dei luoghi comuni della lirica cortese: l'attesa a cui Amore e la donna costringono l'amante è troppo lunga (Dante, Sì lungiamente m'ha tenuto Amore), e l'amante non può pazientare ancora (così in questo passo e, per esempio, in Dante da Maiano, Rimembrivi oramai 2)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +LUNGAMENTE,"'a lungo'. È uno dei luoghi comuni della lirica cortese: l'attesa a cui Amore e la donna costringono l'amante è troppo lunga (Dante, Sì lungiamente m'ha tenuto Amore), e l'amante non può pazientare ancora (così in questo passo e, per esempio, in Dante da Maiano, Rimembrivi oramai 2)",Rimembrivi oramai verso 2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rimembrivi_oramai,Rimembrivi oramai del greve ardore,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PIACCIAVI MANDAR,"formula di cortesia consueta nell'epistolografia e nel dialogo più retoricamente atteggiato (ma anche nell'omiletica: cfr. Laudario di Santa Maria della Scala XVIII 5 Piacciati, bel Gesù, d'alluminare); ha il senso di 'vi prego di, siate così cortese da', come in Pg I 70 Or ti piaccia gradir la sua venuta",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/2921,CONCEPT +PIACCIAVI MANDAR,"formula di cortesia consueta nell'epistolografia e nel dialogo più retoricamente atteggiato (ma anche nell'omiletica: cfr. Laudario di Santa Maria della Scala XVIII 5 Piacciati, bel Gesù, d'alluminare); ha il senso di 'vi prego di, siate così cortese da', come in Pg I 70 Or ti piaccia gradir la sua venuta","Laudario di Santa Maria della Scala XVIII 5 Piacciati, bel Gesù, d'alluminare",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Laudario_Santa_Maria_della_Scala,Laudario di Santa Maria della Scala,,,http://purl.org/bncf/tid/18842,WORK +SOL ... ATTENDE,"il soccorso può venire solo dall'amata, secondo un'idea già trobadorica: cfr. Folchetto di Marsiglia, Tant m'abellis l'amoros pessamens 14-5 si de lieis cui desire / non ai socors, ni d'aillor no l'aten; Gaucelm Faidit, Anc no·m parti de solatz ni de chan 22-3 Autre socors non aten ni deman / mas sol de lieis, s'ieu aver lo pogues","Tant m'abellis l'amoros pessamens versi14-15 si de lieis cui desire / non ai socors, ni d'aillor no l'aten",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tan_m_abellis,Tan m'abellis l'amoros pensamen,Folchetto di Marsiglia,http://dbpedia.org/resource/Folquet_de_Marselha,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SOL ... ATTENDE,"il soccorso può venire solo dall'amata, secondo un'idea già trobadorica: cfr. Folchetto di Marsiglia, Tant m'abellis l'amoros pessamens 14-5 si de lieis cui desire / non ai socors, ni d'aillor no l'aten; Gaucelm Faidit, Anc no·m parti de solatz ni de chan 22-3 Autre socors non aten ni deman / mas sol de lieis, s'ieu aver lo pogues","Anc no·m parti de solatz ni de chan versi 22-23 «Autre socors non aten ni deman / mas sol de lieis, s'ieu aver lo pogues»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anc_no_m_parti_de_solatz,Anc no⋅m parti de solatz ni de chan,Gaucelm Faidit,http://dbpedia.org/resource/Gaucelm_Faidit,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +BUON ... DIFENDE,"il signore, soccorrendo il vassallo, fa il proprio interesse, difende il proprio onore. Similitudine ""feudale"" molto diffusa, comprensibilmente, fra i trovatori: cfr. per esempio Peire Ramon de Tolosa, De fin'amor son tuit mei pessamen 35-6 pero qant homs als seus secor e val, / bella domna, fai son pro veramen; Rigaut de Berbezilh, Ben volria saber d'Amor 9-12 Ia aten hom d'alcun seingnor, / cui hom serv de cor lialmen, / quan locs ni aizes lo·il consen, / de far ben a son servidor (e in generale cfr. gli esempi di ingratitudine citati da Cnyrim 1888, nn. 224-40). Ma la similitudine resta vitale anche tra gli italiani, pur in un tutto diverso contesto sociale: cfr. Rinaldo d'Aquino, In gioi mi tegno tutta la mia pena 19-21 [Amore] non mente a quelli che son suoi, / anti li dona gioi, / come fa buon segnore a suo servente","De fin'amor son tuit mei pessamen versi 35-36 pero qant homs als seus secor e val, / bella domna, fai son pro veramen",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_fin_amor_son_tuit_mei_pessamen,De fin'amor son tuit mei pessamen,Peire Ramon de Tolosa,http://dbpedia.org/resource/Peire_Raimon_de_Tolosa,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +BUON ... DIFENDE,"il signore, soccorrendo il vassallo, fa il proprio interesse, difende il proprio onore. Similitudine ""feudale"" molto diffusa, comprensibilmente, fra i trovatori: cfr. per esempio Peire Ramon de Tolosa, De fin'amor son tuit mei pessamen 35-6 pero qant homs als seus secor e val, / bella domna, fai son pro veramen; Rigaut de Berbezilh, Ben volria saber d'Amor 9-12 Ia aten hom d'alcun seingnor, / cui hom serv de cor lialmen, / quan locs ni aizes lo·il consen, / de far ben a son servidor (e in generale cfr. gli esempi di ingratitudine citati da Cnyrim 1888, nn. 224-40). Ma la similitudine resta vitale anche tra gli italiani, pur in un tutto diverso contesto sociale: cfr. Rinaldo d'Aquino, In gioi mi tegno tutta la mia pena 19-21 [Amore] non mente a quelli che son suoi, / anti li dona gioi, / come fa buon segnore a suo servente","Ben volria saber d'Amor versi 9-12 Ia aten hom d'alcun seingnor, / cui hom serv de cor lialmen, / quan locs ni aizes lo·il consen, / de far ben a son servidor",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ben_volria_saber_d_Amor,Ben volria saber d'Amor,Rigaut de Berbezilh,http://dbpedia.org/resource/Rigaut_de_Berbezilh,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +BUON ... DIFENDE,"il signore, soccorrendo il vassallo, fa il proprio interesse, difende il proprio onore. Similitudine ""feudale"" molto diffusa, comprensibilmente, fra i trovatori: cfr. per esempio Peire Ramon de Tolosa, De fin'amor son tuit mei pessamen 35-6 pero qant homs als seus secor e val, / bella domna, fai son pro veramen; Rigaut de Berbezilh, Ben volria saber d'Amor 9-12 Ia aten hom d'alcun seingnor, / cui hom serv de cor lialmen, / quan locs ni aizes lo·il consen, / de far ben a son servidor (e in generale cfr. gli esempi di ingratitudine citati da Cnyrim 1888, nn. 224-40). Ma la similitudine resta vitale anche tra gli italiani, pur in un tutto diverso contesto sociale: cfr. Rinaldo d'Aquino, In gioi mi tegno tutta la mia pena 19-21 [Amore] non mente a quelli che son suoi, / anti li dona gioi, / come fa buon segnore a suo servente","In gioi mi tegno tutta la mia pena versi 19-21 [Amore] non mente a quelli che son suoi, / anti li dona gioi, / come fa buon segnore a suo servente",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_gioi_mi_tegno_tutta_la_mia_pena,In gioi mi tegno tut[t]a la mia pena,Rinaldo d'Aquino,http://it.dbpedia.org/resource/Rinaldo_d'Aquino,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +ONOR,"troppo acuta la spiegazione di Contini: onore nel senso feudale (e provenzale) di 'possesso, giurisdizione'; sarà più semplicemente 'il buon nome, la dignità', come conferma il confronto con un passo degli Esordii di varie maniere citato da BarbiMaggini: Vituperio sempiternale sarà al segnore se per la ingiuria de' suoi subditi non si muove a l'arme ... Lo segnore riceve dispregio nella ingiuria de' vassalli se lle sue mani se stancano de fare vendetta.",Vituperio sempiternale sarà al segnore se per la ingiuria de' suoi subditi non si muove a l'arme ... Lo segnore riceve dispregio nella ingiuria de' vassalli se lle sue mani se stancano de fare vendetta,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Esordii_di_varie_maniere,Esordii di varie maniere,,,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +E CERTO,"per questa formula asseverativa cfr. Guido delle Colonne, Amor, che lungiamente m'hai menato 22-3 ""E certo no gli è troppo disinore / quand'omo è vinto""","Amor, che lungiamente m'hai menato versi 22-23 E certo no gli è troppo disinore / quand'omo è vinto",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amor_che_lungiamente,"Amor, che lungiamente m'hai menato",Guido delle Colonne,http://dbpedia.org/resource/Guido_delle_Colonne,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +LA SUA ... INCENDE,"il dolore del cuore brucia (lat. incendere), secondo una metafora trita (cfr. Giacomo da Lentini, Meravigliosamente 28 al cor m'ard'una doglia).",Meravigliosamente verso 28 al cor m'ard'una doglia,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meravigliosamente,Meravigliosamente,Giacomo da Lentini,http://dbpedia.org/resource/Giacomo_da_Lentini,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).","Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lancan_folhon_bosc_e_jarric,Lancan folhon bosc e jarric,Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).",Tan mou de cortesa razo verso 41 qu'inz el cor remir sa faisso,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tan_mou_de_corteza_razo,Tan mou de cortesa razo,Folchetto di Marsiglia,http://dbpedia.org/resource/Folquet_de_Marselha,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).","Meravigliosamente versi 10-11 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Meravigliosamente,Meravigliosamente,Giacomo da Lentini,http://dbpedia.org/resource/Giacomo_da_Lentini,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).",D'un'amorosa voglia mi convene verso 11,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/D_un_amorosa_voglia,D'un'amorosa voglia mi convene,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).",Di voi mi stringe tanto lo desire verso 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Di_voi_mi_stringe_tanto_lo_disire,Di voi mi stringe tanto lo disire,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).","Signor, e' non passò mai peregrino versi 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Signor_e_non_passo_mai_peregrino,"Signor, e' non passò mai peregrino",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).","Detto versi 256-259 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Detto_d'Amore,Detto d'Amore,Dante Alighieri,http://dbpedia.org/resource/Dante_Alighieri,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LÀ ... SÈTE,"'siete dipinta là dentro'. L'immagine della donna dipinta nel cuore è, come si è accennato, una delle più frequenti nella lirica antica. Quanto ai trovatori, cfr. per esempio Bernart de Ventadorn, Lancan folhon bosc e jarric 39-40 e port el cor, on que m'estei, / sa beutat e sa fachura, o Folchetto, Tan mou de cortesa razo 41 qu'inz el cor remir sa faisso (e in generale Meneghetti 1984, pp. 173-4). Quanto agli italiani, il topos ricorre decine di volte a partire da Giacomo da Lentini (Meravigliosamente 10-1 In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete), sicché i rimandi sono superflui (elenchi di Menichetti 1965 in nota a Chiaro, D'un'amorosa voglia mi convene 11, Bettarini 1969a in nota a Dante da Maiano, Di voi mi stringe tanto lo desire 13 che 'n cor vi porto pinta tuttavia); ma si vedano in particolare questi versi di Cino e del Detto d'Amore in cui, come nel nostro passo, è Amore stesso a dipingere l'amata nel cuore: Cino, Signor, e' non passò mai peregrino 9-10 [Amore] coll'altra [mano] nella mia mente pinge, / a simil di piacer sì bella foggia; Detto 256-9 M'Amor l'à sì punto / nella mia mente pinta, / ch'i' la mi veggio pinta / nel cor. Circa la matrice religiosa dell'immagine (la figura nel cuore è quella della Madonna e di Gesù) cfr. Mancini 1988, pp. 68-9 e, per esempio, Giovanni di Ford: ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui (citato da Lazzerini 2001, p. 135 nota 4).","""ut quasi auream nobis fabricemus in corde nostro imaginem sponsi tui"" Super extremam partem Cantici canticorum sermones CXX, sermo 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cantici_canticorum_sermones,Super extremam partem Cantici canticorum sermones CXX,Giovanni di Ford,http://dbpedia.org/resource/John_of_Ford,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK +PER ... CARI,"'ci ama di più perché siamo fatti a sua immagine': agudeza che eguaglia la metaforica immagine della donna nel cuore e l'idea che l'uomo sia stato creato a immagine di Dio (Gn 1, 27 Et creavit Deus hominem ad imaginem suam)","Gn 1, 27 Et creavit Deus hominem ad imaginem suam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SE DIR VOLESTE,"Dante immagina le parole della donna, ovvero, come si fa in una lettera, precorre le sue obiezioni; lo stesso procedimento per esempio in Berenguer de Palol, Bona dona, cuy ricx pretz fai valer 17 ""E si de vos dizetz que·m dezesper""","Bona dona, cuy ricx pretz fai valer verso 17 E si de vos dizetz que·m dezesper",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bona_dona,"Bona dona, cuy ricx pretz fai valer",Berenguier de Palazol,http://dbpedia.org/resource/Berenguier_de_Palazol,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SAPPIATE CHE,"posto che la canzone simula di essere un messaggio scritto direttamente all'amata, non stupisce che il poeta adoperi giri di frase che sono consueti nelle lettere in prosa (in questa classe ricadrà per esempio l'inciso come avete inteso del v. 55): sappiate che va dunque accostato a formule fisse come cointo vi sia o anco sapiate e simili (cfr. Castellani 1982, pp. 196 e 201). Ma appunto, la poesia come tenzone tacita si è appropriata di questi moduli, ed ecco alcuni versi vicinissimi a questi di Dante sia dal punto di vista retorico sia dal punto di vista del contenuto: Nova danza più fina 27-31 Immantenente mi mandate / di voi asicurando / ca, se tropo vi tardirete, / amor vostro lepando, / sacciate ben mi perderete! (ed. PSS, III, p. 1131); e fra i trovatori cfr. Cercamon, Ab lo temps qe fai refreschar 44-5 e sapchas ... / qu'eu non puesc lonjamen estar (ed. Tortoreto 1981)","Nova danza più fina versi 27-31 Immantenente mi mandate / di voi asicurando / ca, se tropo vi tardirete, / amor vostro lepando, / sacciate ben mi perderete!",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Nova_danza_piu_fina,Nova danza più fina,,,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +SAPPIATE CHE,"posto che la canzone simula di essere un messaggio scritto direttamente all'amata, non stupisce che il poeta adoperi giri di frase che sono consueti nelle lettere in prosa (in questa classe ricadrà per esempio l'inciso come avete inteso del v. 55): sappiate che va dunque accostato a formule fisse come cointo vi sia o anco sapiate e simili (cfr. Castellani 1982, pp. 196 e 201). Ma appunto, la poesia come tenzone tacita si è appropriata di questi moduli, ed ecco alcuni versi vicinissimi a questi di Dante sia dal punto di vista retorico sia dal punto di vista del contenuto: Nova danza più fina 27-31 Immantenente mi mandate / di voi asicurando / ca, se tropo vi tardirete, / amor vostro lepando, / sacciate ben mi perderete! (ed. PSS, III, p. 1131); e fra i trovatori cfr. Cercamon, Ab lo temps qe fai refreschar 44-5 e sapchas ... / qu'eu non puesc lonjamen estar (ed. Tortoreto 1981)",Ab lo temps qe fai refreschar versi 44-45 e sapchas ... / qu'eu non puesc lonjamen estar,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ab_lo_temps_qe_fai_refreschar,Ab lo temps qe fai refreschar,Cercamon,http://dbpedia.org/resource/Cercamon,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +L'ATTENDER IO NON POSSO,"il soccorso non può tardare, altrimenti l'amante morirà: cfr. Bonagiunta, S'eo sono innamorato e duro pene 21-3 E se tardate più, saciate eo pèro, / tant'ho nel core affanno, pena e vita: / non pò, se non da voi, esser sanato; e in generale su questo topos cfr. il repertorio di Cnyrim 1888, nn. 476-83","S'eo sono innamorato e duro pene versi 21-23 E se tardate più, saciate eo pèro, / tant'ho nel core affanno, pena e vita: / non pò, se non da voi, esser sanato",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_eo_sono_innamorato_e_duro_pene,S'eo sono innamorato e duro pene,Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +TUTTI ... PROVI,"'l'uomo deve (de', con apocope sillabica) sostenere su di sé (adosso) ogni peso (carchi 'some') sino a quello che può ucciderlo, prima di mettere alla prova il suo migliore amico'; è la triste saggezza contenuta ad esempio in questo proverbio: ""Chi è misero e mendico, provi tutti e poi l'amico"" (Giusti – Capponi 2001, ad indicem).","""Chi è misero e mendico, provi tutti e poi l'amico""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chi_e_misero_e_mendico,"Chi è misero e mendico, provi tutti e poi l'amico",,,http://purl.org/bncf/tid/2665,WORK +E VOI ... AMO,"avvio simile a Guinizelli, Madonna, il fino amor 56-7 Ma voi pur sète quella / che possedete i monti del valore (De Robertis)","Madonna, il fino amor versi 56-57 Ma voi pur sète quella / che possedete i monti del valore",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Madonna_l_fino_amore,"Madonna, 'l fino amore",Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER VOI SERVIR,"con la forma tonica del pronome tra la preposizione e l'infinito, come si trova nella sintassi antica sia in provenzale (cfr. Jensen 1994, §§ 225 e 839: de liey servir sui volontos) sia in italiano (Fiore V 5 E solo a lui servir la mia credenza; Io sento sì 27 che sol per lei servir mi tegno caro; e cfr. Rohlfs § 470). Per quest'iperbole di dedizione ('voglio vivere solo per servirvi') cfr. per esempio Arnaut de Mareuil, Aissi cum cel c'am'e non es amaz 12-4 per qu'eu me soi, del tot a vos donaz, / bona dona, que d'al non ai talan / mas de servir vostre cors benestan e Chiaro, Lo 'namorato core 57-8 ca sol per voi servire / voria valer, più che per mia piagenza. 44-5",de liey servir sui volontos verso 37,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_plus_leu_qu_ieu_sai_far_chansos,Al plus leu qu'ieu sai far chansos,Guillem de Cabestany,http://dbpedia.org/resource/Guillem_de_Cabestany,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PER VOI SERVIR,"con la forma tonica del pronome tra la preposizione e l'infinito, come si trova nella sintassi antica sia in provenzale (cfr. Jensen 1994, §§ 225 e 839: de liey servir sui volontos) sia in italiano (Fiore V 5 E solo a lui servir la mia credenza; Io sento sì 27 che sol per lei servir mi tegno caro; e cfr. Rohlfs § 470). Per quest'iperbole di dedizione ('voglio vivere solo per servirvi') cfr. per esempio Arnaut de Mareuil, Aissi cum cel c'am'e non es amaz 12-4 per qu'eu me soi, del tot a vos donaz, / bona dona, que d'al non ai talan / mas de servir vostre cors benestan e Chiaro, Lo 'namorato core 57-8 ca sol per voi servire / voria valer, più che per mia piagenza. 44-5","Aissi cum cel c'am'e non es amaz versi 12-14 per qu'eu me soi, del tot a vos donaz, / bona dona, que d'al non ai talan / mas de servir vostre cors benestan",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aissi_cum_cel_c_am_e_non_es_amaz,Aissi cum cel c'am'e non es amaz,Arnaut de Mareuil,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_de_Mareuil,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PER VOI SERVIR,"con la forma tonica del pronome tra la preposizione e l'infinito, come si trova nella sintassi antica sia in provenzale (cfr. Jensen 1994, §§ 225 e 839: de liey servir sui volontos) sia in italiano (Fiore V 5 E solo a lui servir la mia credenza; Io sento sì 27 che sol per lei servir mi tegno caro; e cfr. Rohlfs § 470). Per quest'iperbole di dedizione ('voglio vivere solo per servirvi') cfr. per esempio Arnaut de Mareuil, Aissi cum cel c'am'e non es amaz 12-4 per qu'eu me soi, del tot a vos donaz, / bona dona, que d'al non ai talan / mas de servir vostre cors benestan e Chiaro, Lo 'namorato core 57-8 ca sol per voi servire / voria valer, più che per mia piagenza. 44-5","Lo 'namorato core versi 57-58 ca sol per voi servire / voria valer, più che per mia piagenza",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_namorato_core,Lo 'namorato core,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUELLE COSE ... VOGLIO,"tipico che l'appello alla donna venga presentato come richiesta di cose lecite e onorevoli; cfr. fra i trovatori Guiraut d'Espanha, S'ieu en pascor non chantava 50 ni non vuelh ren don sos pretz valgues mens; in Italia, Lupo degli Uberti, Movo canto amoroso novamente 22-4 dira'le tosto tosto che non m'attalenta / altro che solo ciò che a·llei contenta: / e quanto vuol, vogl'eo similemente e Guittone, Amor tanto altamente 83-4 che 'n nulla cosa / che lei non sia gioiosa e' non so' vago",S'ieu en pascor non chantava verso 50 ni non vuelh ren don sos pretz valgues mens,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_ieu_en_pascor_non_chantava,S'ieu en pascor non chantava,Guiraut de Tholoza,http://it.dbpedia.org/resource/Guiraut_de_Tholoza,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +QUELLE COSE ... VOGLIO,"tipico che l'appello alla donna venga presentato come richiesta di cose lecite e onorevoli; cfr. fra i trovatori Guiraut d'Espanha, S'ieu en pascor non chantava 50 ni non vuelh ren don sos pretz valgues mens; in Italia, Lupo degli Uberti, Movo canto amoroso novamente 22-4 dira'le tosto tosto che non m'attalenta / altro che solo ciò che a·llei contenta: / e quanto vuol, vogl'eo similemente e Guittone, Amor tanto altamente 83-4 che 'n nulla cosa / che lei non sia gioiosa e' non so' vago","Movo canto amoroso novamente 22-4 dira'le tosto tosto che non m'attalenta / altro che solo ciò che a·llei contenta: / e quanto vuol, vogl'eo similemente",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Movo_canto_amoroso_novamente,Movo canto amoroso novamente,Lupo degli Uberti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lupo_degli_Uberti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUELLE COSE ... VOGLIO,"tipico che l'appello alla donna venga presentato come richiesta di cose lecite e onorevoli; cfr. fra i trovatori Guiraut d'Espanha, S'ieu en pascor non chantava 50 ni non vuelh ren don sos pretz valgues mens; in Italia, Lupo degli Uberti, Movo canto amoroso novamente 22-4 dira'le tosto tosto che non m'attalenta / altro che solo ciò che a·llei contenta: / e quanto vuol, vogl'eo similemente e Guittone, Amor tanto altamente 83-4 che 'n nulla cosa / che lei non sia gioiosa e' non so' vago",Amor tanto altamente versi 83-84 che 'n nulla cosa / che lei non sia gioiosa e' non so' vago,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amor_tanto_altamente,Amor tanto altamente,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DARMI ... OSA,"cfr. Raimon de Castelnou, De servir bon senhor 16 qu'elha·m pot ben donar so qu'ieu non ay (ed. Giannetti 1988)",De servir bon senhor verso16 qu'elha·m pot ben donar so qu'ieu non ay,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_servir_bon_senhor,De servir bon senhor,Raimon de Castelnou,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Raimon_de_Castelnou,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +UMANO,"'benevolo': cfr. Marcabru, L'autrier 35 Si fossetz un pauc humana!; Federico II, Poich'a voi piace, Amore 39-40 La vostra ciera umana / mi dà conforto e facemi alegrare.",L'autrier verso 35 Si fossetz un pauc humana!,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_autrier_jost_una_sebissa,L'autrier jost' una sebissa,Marcabru,http://dbpedia.org/resource/Marcabru,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +UMANO,"'benevolo': cfr. Marcabru, L'autrier 35 Si fossetz un pauc humana!; Federico II, Poich'a voi piace, Amore 39-40 La vostra ciera umana / mi dà conforto e facemi alegrare.","Poich'a voi piace, Amore verso 39-40 La vostra ciera umana / mi dà conforto e facemi alegrare",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poich_a_voi_piace_Amore,"Poich'a voi piace, Amore",Federico II di Svevia,"http://dbpedia.org/resource/Frederick_II,_Holy_Roman_Emperor",http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +DUNQUE ... MOVA,"conclusione riassuntiva su dunque, come non sconviene a una poesia-lettera, e implorazione: col dunque collega (piuttosto discorsivamente che poeticamente) ciò che ha detto con quello che chiede (Barbi – Maggini). Per l'attacco cfr. Paganino da Sarzana, Contra lo meo volere (L 073) 46-7 Dunqua vostro valore / e mercede mi vaglia (De Robertis); per la richiesta del saluto cfr. Arnaut de Mareuil, Domna, gencer que non sai dir 205-6 Sie·us play, rendetz me ma salut, / pus Amors m'a per vos vencut",Contra lo meo volere (L 073) verso 46-47 Dunqua vostro valore / e mercede mi vaglia,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Contra_lo_meo_volere,Contra lo meo volere,Paganino da Sarzana,http://it.dbpedia.org/page/Paganino_da_Serzana,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +DUNQUE ... MOVA,"conclusione riassuntiva su dunque, come non sconviene a una poesia-lettera, e implorazione: col dunque collega (piuttosto discorsivamente che poeticamente) ciò che ha detto con quello che chiede (Barbi – Maggini). Per l'attacco cfr. Paganino da Sarzana, Contra lo meo volere (L 073) 46-7 Dunqua vostro valore / e mercede mi vaglia (De Robertis); per la richiesta del saluto cfr. Arnaut de Mareuil, Domna, gencer que non sai dir 205-6 Sie·us play, rendetz me ma salut, / pus Amors m'a per vos vencut","Domna, gencer que non sai dir 205-6 Sie·us play, rendetz me ma salut, / pus Amors m'a per vos vencut",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Domna_genser_qu_eu_no_sai_dir,"Domna, genser qu'eu no sai dir",Arnaut de Mareuil,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_de_Mareuil,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DENTRO AL COR,"obiettivo del saluto è il cuore dell'amante, come in Bernardo da Bologna, A quella amorosetta foresella 1-2 A quella amorosetta foresella / passò sì 'l core la vostra salute.",A quella amorosetta foresella versi 1-2 A quella amorosetta foresella / passò sì 'l core la vostra salute,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_quella_amorosetta_foresella,A quella amorosetta foresella,Bernardo da Bologna,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bernardo_da_Bologna,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CANZONE ... VAI,"'Canzone, fa' in fretta, prendi la via breve, non attardarti: sai infatti che c'è ancora poco tempo perché ciò per cui tu vai, l'obiettivo della tua missione (la salvezza della vita, il soccorso) possa realizzarsi'. La canzone, che presenta la richiesta di soccorso, deve affrettarsi nell'andare dalla donna amata, perché la vita del poeta è agli sgoccioli, e la salute rischia di arrivare troppo tardi: idea scontata, che si trova per esempio anche nel congedo dell'anonima trecentesca Subbitamente Amor, con la sua fiaccola 71-5 die [alla donna] che 'l tardato don non è laudabile; / e dopo tal notabile, / per ritornare a me ti mette a correre, / che tu sai ben, se stessi lungo termine, / mi troveresti facto escha di vermine (ed. Mignani 1974)","Subbitamente Amor, con la sua fiaccola 71-5 die [alla donna] che 'l tardato don non è laudabile; / e dopo tal notabile, / per ritornare a me ti mette a correre, / che tu sai ben, se stessi lungo termine, / mi troveresti facto escha di vermine",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Subbitamente_Amor_con_la_sua_fiaccola,"Subbitamente Amor, con la sua fiaccola",,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NON ... MIEI,"come si è osservato nella premessa, il motivo della maledizione contro gli occhi, rei di aver guardato ciò che non dovevano e di aver aperto le porte all'amore, è un topos della poesia amorosa di ogni tempo (Dante lo svolge meglio che altrove nel § XXXVII della Vita Nova): oltre ai passi già citati cfr. per esempio Chrétien de Troyes, Cligès, 475-6 Oeil, vos m'avez traïe! / Par vos m'a mes cuers enhaïe","Cligès, 475-6 Oeil, vos m'avez traïe! / Par vos m'a mes cuers enhaïe",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cligès,Cligès,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +SED ELLI / NON S'ACCECASSER,"se la maledizione contro gli occhi è normale nella lirica antica, molto meno lo è il fatto che dalla maledizione si passi all'idea dell'accecamento, e qui è possibile che accanto al cliché lirico riviva la memoria di chi a se stesso tolse gli occhi, Democrito (Petrarca, Triumphus Famae IIa 37), oppure di Edipo (che Dante ricorda in Cv III VIII 10 Onde alcuno già si trasse li occhi, perché la vergogna d'entro non paresse di fuori; sì come dice Stazio poeta del tebano Edipo). Né si deve dimenticare che l'esperienza del fatto era, al tempo di Dante, molto più comune di quanto non sia oggi, posto che, e basta sfogliare le cronache, l'accecare, o abbacinare, era una delle pene inflitte nel Medioevo (BarbiMaggini)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Thebaid_(Latin_poem),Thebais,Stazio,http://dbpedia.org/resource/Statius,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +DICO BEN,"'dichiaro, assicuro', con ben che rafforza il verbo, come in Com più vi fere Amor 3 ben lo vi protesto, o in Aimeric de Belenoi, Tant es d'amor honratz sos seignoratges 13 e dic vos ben, si la forsa fos mia","ant es d'amor honratz sos seignoratges verso 13 e dic vos ben, si la forsa fos mia",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tant_es_d_amor_honratz,Tant es d'amor honratz sos seignoratges,Aimeric de Belenoi,http://dbpedia.org/resource/Aimeric_de_Belenoi,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +EO STESSO LI UCCIDRÒ,"una conclusione analoga in Onesto, S'io non temesse la Ragione prima 13-4 Eo stesso m'ancidrò, ché non pensava / ch'oscuro le fosse ciò ch'omo vede (De Robertis); la forma sincopata uccidrà si trova per esempio anche in Cino",,CONCORDANZA GENERICA,,,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +EO STESSO LI UCCIDRÒ,"una conclusione analoga in Onesto, S'io non temesse la Ragione prima 13-4 Eo stesso m'ancidrò, ché non pensava / ch'oscuro le fosse ciò ch'omo vede (De Robertis); la forma sincopata uccidrà si trova per esempio anche in Cino","S'io non temesse la Ragione prima versi 13-14 Eo stesso m'ancidrò, ché non pensava / ch'oscuro le fosse ciò ch'omo vede",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_io_non_temesse,S'io non temesse la Ragione prima,Onesto degli Onesti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onesto_degli_Onesti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +GUIDO,"è Guido Cavalcanti, come si evince, oltre che dalle rubriche e dal sonetto di risposta riportato sopra, dalla menzione di Vanna al v.",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +PRESI PER INCANTAMENTO,"'rapiti per virtù magica': traduce una formula ricorrente nei romanzi arturiani, par enchantement (cfr. AFW, s.v., e Chiamenti 1998a, p. 7 nota 1).",,CONCORDANZA GENERICA,http://dbpedia.org/resource/Matter_of_Britain,Materia di Britannia,,,http://purl.org/bncf/tid/3572,CONCEPT +IN UN TALENTO,"è formula già trobadorica per dire 'in concordia, in comunione d'intenti', come le analoghe d'un voler o d'un acordamen (cfr. Minetti 1980, p. 17): per esempio in Giraut de Borneil, Nulha res a chantar no·m falh 17-8 ""car si s'encontron d'un voler / dui fin amic e d'un talan""; o in Enric, Amic Arver, d'una res vos deman 3 ""ce d'un talent e d'un cor son amdus"" (ed. Marshall 1989).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +IN UN TALENTO,"è formula già trobadorica per dire 'in concordia, in comunione d'intenti', come le analoghe d'un voler o d'un acordamen (cfr. Minetti 1980, p. 17): per esempio in Giraut de Borneil, Nulha res a chantar no·m falh 17-8 ""car si s'encontron d'un voler / dui fin amic e d'un talan""; o in Enric, Amic Arver, d'una res vos deman 3 ""ce d'un talent e d'un cor son amdus"" (ed. Marshall 1989).",Nulha res a chantar no·m falh 17-8 «car si s'encontron d'un voler / dui fin amic e d'un talan»;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Nulha_res_a_chantar,Nulha res a chantar no·m falh,Giraut de Bornelh,http://dbpedia.org/resource/Giraut_de_Bornelh,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +IN UN TALENTO,"è formula già trobadorica per dire 'in concordia, in comunione d'intenti', come le analoghe d'un voler o d'un acordamen (cfr. Minetti 1980, p. 17): per esempio in Giraut de Borneil, Nulha res a chantar no·m falh 17-8 ""car si s'encontron d'un voler / dui fin amic e d'un talan""; o in Enric, Amic Arver, d'una res vos deman 3 ""ce d'un talent e d'un cor son amdus"" (ed. Marshall 1989).","Amic Arver, d'una res vos deman verso 3 ce d'un talent e d'un cor son amdus",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amic_Arver,"Amic Arver, d'una res vos deman",Enric,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Enric,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DI STAR ... DISIO,"perché, come scrive Sallustio nel De coniuratione Catilinae (XX), idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est.","De coniuratione Catilinae (XX), idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/De_Catilinae_coniuratione,De Catilinae coniuratione,Sallustio,http://dbpedia.org/resource/Sallust,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +VANNA,"ipocoristico di Giovanna, la donna amata da Cavalcanti, come risulta dalla prosa della Vn XXIV 3 (io vidi venire verso me una gentile donna, la quale ... fue già molto donna di questo primo mio amico. E lo nome di questa donna era Giovanna), dal sonetto dantesco Io mi senti' svegliar 9 (io vidi monna Vanna e monna Bice), nonché forse – detto in cifra, posto che Giovanezza può ben essere senhal di Giovanna – dal sonetto cavalcantiano Sol per pietà ti prego, Giovanezza (cfr. Giunta 1995, pp. 175-8)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sol_per_pieta_ti_prego,"Sol per pietà ti prego, Giovanezza",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LAGIA,"per simmetria, la donna amata da Lapo, che viene menzionata anche nel sonetto Amore e monna Lagia e Guido ed io e in Cavalcanti, Dante, un sospiro messagger del core 6.","Dante, un sospiro messagger del core 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dante_un_sospiro,"Dante, un sospiro messagger del core",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUELLA ... TRENTA,"la perifrasi doveva essere trasparente per il destinatario del sonetto, ma non lo è per noi. Nella Vita Nova (VI 2), Dante narra di aver composto un serventese in cui erano elencate (elencate, non disposte in una classifica dalla più alla meno bella) le sessanta donne più belle di Firenze. E presi li nomi di sessanta le più belle donne de la cittade ove la mia donna fue posta da l'altissimo sire, e compuosi una pistola sotto forma di serventese ... [E] in alcuno altro numero non sofferse lo nome de la mia donna stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne. Il numer de le trenta di Guido, i' vorrei sembra essere legato a quell'episodio e a quel serventese, che pure non si è conservato (ma il genere encomiastico e galante cui doveva appartenere ha una sicura consistenza tra Provenza e Italia nei secoli XII e XIII: si pensi al Carros di Raimbaut de Vaqueiras o alla Treva di Guilhelm de la Tor; e propaggini s'incontrano sin nella Firenze del Trecento, in Pucci, Boccaccio, Sacchetti: cfr. Breschi 2004, pp. 102-3). Sul numer de le trenta vorrebbe dire insomma, secondo i commentatori, che la donna che Dante si augura come compagna di navigazione figurava al trentesimo posto in quella lista (e dunque non può essere identificata con Beatrice, che è in su lo nove, in nona posizione). Il fatto che una poesia faccia riferimento a un episodio sul quale il lettore difficilmente può essere informato (chi potrebbe capire questo verso senza conoscere, prima, la Vita Nova?) potrebbe spiegarsi forse con la circostanza che Guido, i' vorrei è un testo di corrispondenza, e nei testi di corrispondenza questo codice ristretto aveva una sua ragion d'essere. Ciò detto, l'espressione non è affatto liquida. Mazzoni1 1941, p. 133, osserva che il numer delle trenta era una maniera normale e consueta allora per dire trenta, e la stessa cosa dicono BarbiMaggini: trattandosi di donne, non poteva dire il poeta ""il numero di trenta donne""? E questo appunto dice ""il numero de le trenta"", secondo un uso comunissimo di metter davanti al numero l'articolo, spesso per un sostantivo sottinteso per il senso. Ma gli esempi citati dagli studiosi non sono del tutto pertinenti, perché in essi l'articolo precede frazioni d'interi: Cristo de li dodici Apostoli ne menò seco li tre (Dante); sono le isole chiamate Orcadas, delle quali sono le venti deserte e le tredici coltivate (Orosio). Di fatto, il corpus TLIO non registra esempi che facciano davvero al caso nostro. Dall'altra parte, però, è degno di nota il fatto che di trenta donne come termine di confronto per la bellezza parli anche Arnaut Daniel in una sua canzone: Can chai la fueilla 41-4 Tan par es genta / sela que·m te joios / las genzors trenta / venz de belas faissos; che trente dames vengano chiamate a testimoni nella canzone di donna antico-francese Quant vient en mai que l'on dit as lons jors 21 (ed. Mölk 1989, p. 78); e soprattutto che nel descort anonimo En aquest son gai e leugier si legga: la contessa valenta, / qar prez li es daz / et autriaz, / tant qe val las meilhors trenta (citato da Manetti 2006, pp. 63-4). Bisogna pensare allora a un'antonomasia, come dire 'più bella delle trenta donne più belle'? E allora il senso di sul numer de le trenta non sarebbe 'al trentesimo posto della serie' ma 'sopra, più in alto delle trenta [donne più belle]', cioè 'la più bella di tutte'? È questa l'interpretazione più probabile, e c'è ragione di ritenere – con Manetti – che trenta stia qui e altrove come numero indeterminato, per dire tante, tutte (oggi diremmo cento, mille). Quanto al costrutto sul numero di, sembra molto più plausibile (più probabile, cioè, delle altre soluzioni prospettate sin qui) ciò che osserva Manetti: l'espressione da isolare ..., più che sul numer di 'al di sopra di' (o esser sul numer di 'superare'), di cui effettivamente non reperisco altri esempi nel corpus TLIO, sarà piuttosto ""numer(o) + di + articolo + sostantivo"", col significato di 'insieme di cose o persone' (intendendo è sul come 'sta al di sopra del') (p. 64).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Il_carroccio_amoroso,Il carroccio amoroso,Raimbaut de Vaqueiras,http://dbpedia.org/resource/Raimbaut_de_Vaqueiras,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +QUELLA ... TRENTA,"la perifrasi doveva essere trasparente per il destinatario del sonetto, ma non lo è per noi. Nella Vita Nova (VI 2), Dante narra di aver composto un serventese in cui erano elencate (elencate, non disposte in una classifica dalla più alla meno bella) le sessanta donne più belle di Firenze. E presi li nomi di sessanta le più belle donne de la cittade ove la mia donna fue posta da l'altissimo sire, e compuosi una pistola sotto forma di serventese ... [E] in alcuno altro numero non sofferse lo nome de la mia donna stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne. Il numer de le trenta di Guido, i' vorrei sembra essere legato a quell'episodio e a quel serventese, che pure non si è conservato (ma il genere encomiastico e galante cui doveva appartenere ha una sicura consistenza tra Provenza e Italia nei secoli XII e XIII: si pensi al Carros di Raimbaut de Vaqueiras o alla Treva di Guilhelm de la Tor; e propaggini s'incontrano sin nella Firenze del Trecento, in Pucci, Boccaccio, Sacchetti: cfr. Breschi 2004, pp. 102-3). Sul numer de le trenta vorrebbe dire insomma, secondo i commentatori, che la donna che Dante si augura come compagna di navigazione figurava al trentesimo posto in quella lista (e dunque non può essere identificata con Beatrice, che è in su lo nove, in nona posizione). Il fatto che una poesia faccia riferimento a un episodio sul quale il lettore difficilmente può essere informato (chi potrebbe capire questo verso senza conoscere, prima, la Vita Nova?) potrebbe spiegarsi forse con la circostanza che Guido, i' vorrei è un testo di corrispondenza, e nei testi di corrispondenza questo codice ristretto aveva una sua ragion d'essere. Ciò detto, l'espressione non è affatto liquida. Mazzoni1 1941, p. 133, osserva che il numer delle trenta era una maniera normale e consueta allora per dire trenta, e la stessa cosa dicono BarbiMaggini: trattandosi di donne, non poteva dire il poeta ""il numero di trenta donne""? E questo appunto dice ""il numero de le trenta"", secondo un uso comunissimo di metter davanti al numero l'articolo, spesso per un sostantivo sottinteso per il senso. Ma gli esempi citati dagli studiosi non sono del tutto pertinenti, perché in essi l'articolo precede frazioni d'interi: Cristo de li dodici Apostoli ne menò seco li tre (Dante); sono le isole chiamate Orcadas, delle quali sono le venti deserte e le tredici coltivate (Orosio). Di fatto, il corpus TLIO non registra esempi che facciano davvero al caso nostro. Dall'altra parte, però, è degno di nota il fatto che di trenta donne come termine di confronto per la bellezza parli anche Arnaut Daniel in una sua canzone: Can chai la fueilla 41-4 Tan par es genta / sela que·m te joios / las genzors trenta / venz de belas faissos; che trente dames vengano chiamate a testimoni nella canzone di donna antico-francese Quant vient en mai que l'on dit as lons jors 21 (ed. Mölk 1989, p. 78); e soprattutto che nel descort anonimo En aquest son gai e leugier si legga: la contessa valenta, / qar prez li es daz / et autriaz, / tant qe val las meilhors trenta (citato da Manetti 2006, pp. 63-4). Bisogna pensare allora a un'antonomasia, come dire 'più bella delle trenta donne più belle'? E allora il senso di sul numer de le trenta non sarebbe 'al trentesimo posto della serie' ma 'sopra, più in alto delle trenta [donne più belle]', cioè 'la più bella di tutte'? È questa l'interpretazione più probabile, e c'è ragione di ritenere – con Manetti – che trenta stia qui e altrove come numero indeterminato, per dire tante, tutte (oggi diremmo cento, mille). Quanto al costrutto sul numero di, sembra molto più plausibile (più probabile, cioè, delle altre soluzioni prospettate sin qui) ciò che osserva Manetti: l'espressione da isolare ..., più che sul numer di 'al di sopra di' (o esser sul numer di 'superare'), di cui effettivamente non reperisco altri esempi nel corpus TLIO, sarà piuttosto ""numer(o) + di + articolo + sostantivo"", col significato di 'insieme di cose o persone' (intendendo è sul come 'sta al di sopra del') (p. 64).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tregua,Tregua,Guilhem de la Tor,http://dbpedia.org/resource/Guilhem_de_la_Tor,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +QUELLA ... TRENTA,"la perifrasi doveva essere trasparente per il destinatario del sonetto, ma non lo è per noi. Nella Vita Nova (VI 2), Dante narra di aver composto un serventese in cui erano elencate (elencate, non disposte in una classifica dalla più alla meno bella) le sessanta donne più belle di Firenze. E presi li nomi di sessanta le più belle donne de la cittade ove la mia donna fue posta da l'altissimo sire, e compuosi una pistola sotto forma di serventese ... [E] in alcuno altro numero non sofferse lo nome de la mia donna stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne. Il numer de le trenta di Guido, i' vorrei sembra essere legato a quell'episodio e a quel serventese, che pure non si è conservato (ma il genere encomiastico e galante cui doveva appartenere ha una sicura consistenza tra Provenza e Italia nei secoli XII e XIII: si pensi al Carros di Raimbaut de Vaqueiras o alla Treva di Guilhelm de la Tor; e propaggini s'incontrano sin nella Firenze del Trecento, in Pucci, Boccaccio, Sacchetti: cfr. Breschi 2004, pp. 102-3). Sul numer de le trenta vorrebbe dire insomma, secondo i commentatori, che la donna che Dante si augura come compagna di navigazione figurava al trentesimo posto in quella lista (e dunque non può essere identificata con Beatrice, che è in su lo nove, in nona posizione). Il fatto che una poesia faccia riferimento a un episodio sul quale il lettore difficilmente può essere informato (chi potrebbe capire questo verso senza conoscere, prima, la Vita Nova?) potrebbe spiegarsi forse con la circostanza che Guido, i' vorrei è un testo di corrispondenza, e nei testi di corrispondenza questo codice ristretto aveva una sua ragion d'essere. Ciò detto, l'espressione non è affatto liquida. Mazzoni1 1941, p. 133, osserva che il numer delle trenta era una maniera normale e consueta allora per dire trenta, e la stessa cosa dicono BarbiMaggini: trattandosi di donne, non poteva dire il poeta ""il numero di trenta donne""? E questo appunto dice ""il numero de le trenta"", secondo un uso comunissimo di metter davanti al numero l'articolo, spesso per un sostantivo sottinteso per il senso. Ma gli esempi citati dagli studiosi non sono del tutto pertinenti, perché in essi l'articolo precede frazioni d'interi: Cristo de li dodici Apostoli ne menò seco li tre (Dante); sono le isole chiamate Orcadas, delle quali sono le venti deserte e le tredici coltivate (Orosio). Di fatto, il corpus TLIO non registra esempi che facciano davvero al caso nostro. Dall'altra parte, però, è degno di nota il fatto che di trenta donne come termine di confronto per la bellezza parli anche Arnaut Daniel in una sua canzone: Can chai la fueilla 41-4 Tan par es genta / sela que·m te joios / las genzors trenta / venz de belas faissos; che trente dames vengano chiamate a testimoni nella canzone di donna antico-francese Quant vient en mai que l'on dit as lons jors 21 (ed. Mölk 1989, p. 78); e soprattutto che nel descort anonimo En aquest son gai e leugier si legga: la contessa valenta, / qar prez li es daz / et autriaz, / tant qe val las meilhors trenta (citato da Manetti 2006, pp. 63-4). Bisogna pensare allora a un'antonomasia, come dire 'più bella delle trenta donne più belle'? E allora il senso di sul numer de le trenta non sarebbe 'al trentesimo posto della serie' ma 'sopra, più in alto delle trenta [donne più belle]', cioè 'la più bella di tutte'? È questa l'interpretazione più probabile, e c'è ragione di ritenere – con Manetti – che trenta stia qui e altrove come numero indeterminato, per dire tante, tutte (oggi diremmo cento, mille). Quanto al costrutto sul numero di, sembra molto più plausibile (più probabile, cioè, delle altre soluzioni prospettate sin qui) ciò che osserva Manetti: l'espressione da isolare ..., più che sul numer di 'al di sopra di' (o esser sul numer di 'superare'), di cui effettivamente non reperisco altri esempi nel corpus TLIO, sarà piuttosto ""numer(o) + di + articolo + sostantivo"", col significato di 'insieme di cose o persone' (intendendo è sul come 'sta al di sopra del') (p. 64).",Can chai la fueilla 41-4 «Tan par es genta / sela que·m te joios / las genzors trenta / venz de belas faissos»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Can_chai_la_fueilla,Can chai la fueilla,Arnaut Daniel,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_Daniel,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +QUELLA ... TRENTA,"la perifrasi doveva essere trasparente per il destinatario del sonetto, ma non lo è per noi. Nella Vita Nova (VI 2), Dante narra di aver composto un serventese in cui erano elencate (elencate, non disposte in una classifica dalla più alla meno bella) le sessanta donne più belle di Firenze. E presi li nomi di sessanta le più belle donne de la cittade ove la mia donna fue posta da l'altissimo sire, e compuosi una pistola sotto forma di serventese ... [E] in alcuno altro numero non sofferse lo nome de la mia donna stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne. Il numer de le trenta di Guido, i' vorrei sembra essere legato a quell'episodio e a quel serventese, che pure non si è conservato (ma il genere encomiastico e galante cui doveva appartenere ha una sicura consistenza tra Provenza e Italia nei secoli XII e XIII: si pensi al Carros di Raimbaut de Vaqueiras o alla Treva di Guilhelm de la Tor; e propaggini s'incontrano sin nella Firenze del Trecento, in Pucci, Boccaccio, Sacchetti: cfr. Breschi 2004, pp. 102-3). Sul numer de le trenta vorrebbe dire insomma, secondo i commentatori, che la donna che Dante si augura come compagna di navigazione figurava al trentesimo posto in quella lista (e dunque non può essere identificata con Beatrice, che è in su lo nove, in nona posizione). Il fatto che una poesia faccia riferimento a un episodio sul quale il lettore difficilmente può essere informato (chi potrebbe capire questo verso senza conoscere, prima, la Vita Nova?) potrebbe spiegarsi forse con la circostanza che Guido, i' vorrei è un testo di corrispondenza, e nei testi di corrispondenza questo codice ristretto aveva una sua ragion d'essere. Ciò detto, l'espressione non è affatto liquida. Mazzoni1 1941, p. 133, osserva che il numer delle trenta era una maniera normale e consueta allora per dire trenta, e la stessa cosa dicono BarbiMaggini: trattandosi di donne, non poteva dire il poeta ""il numero di trenta donne""? E questo appunto dice ""il numero de le trenta"", secondo un uso comunissimo di metter davanti al numero l'articolo, spesso per un sostantivo sottinteso per il senso. Ma gli esempi citati dagli studiosi non sono del tutto pertinenti, perché in essi l'articolo precede frazioni d'interi: Cristo de li dodici Apostoli ne menò seco li tre (Dante); sono le isole chiamate Orcadas, delle quali sono le venti deserte e le tredici coltivate (Orosio). Di fatto, il corpus TLIO non registra esempi che facciano davvero al caso nostro. Dall'altra parte, però, è degno di nota il fatto che di trenta donne come termine di confronto per la bellezza parli anche Arnaut Daniel in una sua canzone: Can chai la fueilla 41-4 Tan par es genta / sela que·m te joios / las genzors trenta / venz de belas faissos; che trente dames vengano chiamate a testimoni nella canzone di donna antico-francese Quant vient en mai que l'on dit as lons jors 21 (ed. Mölk 1989, p. 78); e soprattutto che nel descort anonimo En aquest son gai e leugier si legga: la contessa valenta, / qar prez li es daz / et autriaz, / tant qe val las meilhors trenta (citato da Manetti 2006, pp. 63-4). Bisogna pensare allora a un'antonomasia, come dire 'più bella delle trenta donne più belle'? E allora il senso di sul numer de le trenta non sarebbe 'al trentesimo posto della serie' ma 'sopra, più in alto delle trenta [donne più belle]', cioè 'la più bella di tutte'? È questa l'interpretazione più probabile, e c'è ragione di ritenere – con Manetti – che trenta stia qui e altrove come numero indeterminato, per dire tante, tutte (oggi diremmo cento, mille). Quanto al costrutto sul numero di, sembra molto più plausibile (più probabile, cioè, delle altre soluzioni prospettate sin qui) ciò che osserva Manetti: l'espressione da isolare ..., più che sul numer di 'al di sopra di' (o esser sul numer di 'superare'), di cui effettivamente non reperisco altri esempi nel corpus TLIO, sarà piuttosto ""numer(o) + di + articolo + sostantivo"", col significato di 'insieme di cose o persone' (intendendo è sul come 'sta al di sopra del') (p. 64).",Quant vient en mai que l'on dit as lons jors verso 21,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quant_vient_en_mai,Quant vient en mai que l'on dit as lons jors,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +QUELLA ... TRENTA,"la perifrasi doveva essere trasparente per il destinatario del sonetto, ma non lo è per noi. Nella Vita Nova (VI 2), Dante narra di aver composto un serventese in cui erano elencate (elencate, non disposte in una classifica dalla più alla meno bella) le sessanta donne più belle di Firenze. E presi li nomi di sessanta le più belle donne de la cittade ove la mia donna fue posta da l'altissimo sire, e compuosi una pistola sotto forma di serventese ... [E] in alcuno altro numero non sofferse lo nome de la mia donna stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne. Il numer de le trenta di Guido, i' vorrei sembra essere legato a quell'episodio e a quel serventese, che pure non si è conservato (ma il genere encomiastico e galante cui doveva appartenere ha una sicura consistenza tra Provenza e Italia nei secoli XII e XIII: si pensi al Carros di Raimbaut de Vaqueiras o alla Treva di Guilhelm de la Tor; e propaggini s'incontrano sin nella Firenze del Trecento, in Pucci, Boccaccio, Sacchetti: cfr. Breschi 2004, pp. 102-3). Sul numer de le trenta vorrebbe dire insomma, secondo i commentatori, che la donna che Dante si augura come compagna di navigazione figurava al trentesimo posto in quella lista (e dunque non può essere identificata con Beatrice, che è in su lo nove, in nona posizione). Il fatto che una poesia faccia riferimento a un episodio sul quale il lettore difficilmente può essere informato (chi potrebbe capire questo verso senza conoscere, prima, la Vita Nova?) potrebbe spiegarsi forse con la circostanza che Guido, i' vorrei è un testo di corrispondenza, e nei testi di corrispondenza questo codice ristretto aveva una sua ragion d'essere. Ciò detto, l'espressione non è affatto liquida. Mazzoni1 1941, p. 133, osserva che il numer delle trenta era una maniera normale e consueta allora per dire trenta, e la stessa cosa dicono BarbiMaggini: trattandosi di donne, non poteva dire il poeta ""il numero di trenta donne""? E questo appunto dice ""il numero de le trenta"", secondo un uso comunissimo di metter davanti al numero l'articolo, spesso per un sostantivo sottinteso per il senso. Ma gli esempi citati dagli studiosi non sono del tutto pertinenti, perché in essi l'articolo precede frazioni d'interi: Cristo de li dodici Apostoli ne menò seco li tre (Dante); sono le isole chiamate Orcadas, delle quali sono le venti deserte e le tredici coltivate (Orosio). Di fatto, il corpus TLIO non registra esempi che facciano davvero al caso nostro. Dall'altra parte, però, è degno di nota il fatto che di trenta donne come termine di confronto per la bellezza parli anche Arnaut Daniel in una sua canzone: Can chai la fueilla 41-4 Tan par es genta / sela que·m te joios / las genzors trenta / venz de belas faissos; che trente dames vengano chiamate a testimoni nella canzone di donna antico-francese Quant vient en mai que l'on dit as lons jors 21 (ed. Mölk 1989, p. 78); e soprattutto che nel descort anonimo En aquest son gai e leugier si legga: la contessa valenta, / qar prez li es daz / et autriaz, / tant qe val las meilhors trenta (citato da Manetti 2006, pp. 63-4). Bisogna pensare allora a un'antonomasia, come dire 'più bella delle trenta donne più belle'? E allora il senso di sul numer de le trenta non sarebbe 'al trentesimo posto della serie' ma 'sopra, più in alto delle trenta [donne più belle]', cioè 'la più bella di tutte'? È questa l'interpretazione più probabile, e c'è ragione di ritenere – con Manetti – che trenta stia qui e altrove come numero indeterminato, per dire tante, tutte (oggi diremmo cento, mille). Quanto al costrutto sul numero di, sembra molto più plausibile (più probabile, cioè, delle altre soluzioni prospettate sin qui) ciò che osserva Manetti: l'espressione da isolare ..., più che sul numer di 'al di sopra di' (o esser sul numer di 'superare'), di cui effettivamente non reperisco altri esempi nel corpus TLIO, sarà piuttosto ""numer(o) + di + articolo + sostantivo"", col significato di 'insieme di cose o persone' (intendendo è sul come 'sta al di sopra del') (p. 64).","En aquest son gai e leugier si legga: «la contessa valenta, / qar prez li es daz / et autriaz, / tant qe val las meilhors trenta»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/En_aquest_son_gai_e_leugier,En aquest son gai e leugier,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +RAGIONAR ... D'AMORE,"è una locuzione frequente nella lirica: cfr. l'incipit di Guido Orlandi Ragionando d'amore, quello di Dante Voi che savete ragionar d'amore, e gli altri luoghi indicati da Leonardi 1994, p. 88. Ma, dato il contesto, ciò che conta è che ragionar d'amore è la prediletta tra le occupazioni degli amanti, e ha sempre un posto nell'elenco dei loro immaginati piaceri: Cavalcanti, Biltà di donna 3 ""cantar d'augelli e ragionar d'amore""; Folgore, Di maggio sì vi do molti cavagli 13-4 ""baciarsi nella bocca e nelle guance; / d'amor e di goder vi si ragioni""; o più prosaicamente, ma sempre nel contesto di una lista di cose belle da fare tra amanti, Nicolò de' Rossi, Sì dolçe vita cum tanto dileto 5 ""rasonare d'amor, squerçar nel leto""",l'incipit di Guido Orlandi Ragionando d'amore,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ragionando_d_amore,Ragionando d'amore,Guido Orlandi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Guido_Orlandi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +RAGIONAR ... D'AMORE,"è una locuzione frequente nella lirica: cfr. l'incipit di Guido Orlandi Ragionando d'amore, quello di Dante Voi che savete ragionar d'amore, e gli altri luoghi indicati da Leonardi 1994, p. 88. Ma, dato il contesto, ciò che conta è che ragionar d'amore è la prediletta tra le occupazioni degli amanti, e ha sempre un posto nell'elenco dei loro immaginati piaceri: Cavalcanti, Biltà di donna 3 ""cantar d'augelli e ragionar d'amore""; Folgore, Di maggio sì vi do molti cavagli 13-4 ""baciarsi nella bocca e nelle guance; / d'amor e di goder vi si ragioni""; o più prosaicamente, ma sempre nel contesto di una lista di cose belle da fare tra amanti, Nicolò de' Rossi, Sì dolçe vita cum tanto dileto 5 ""rasonare d'amor, squerçar nel leto""",Biltà di donna 3 «cantar d'augelli e ragionar d'amore»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bilta_di_donna,Biltà di donna e di saccente core,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +RAGIONAR ... D'AMORE,"è una locuzione frequente nella lirica: cfr. l'incipit di Guido Orlandi Ragionando d'amore, quello di Dante Voi che savete ragionar d'amore, e gli altri luoghi indicati da Leonardi 1994, p. 88. Ma, dato il contesto, ciò che conta è che ragionar d'amore è la prediletta tra le occupazioni degli amanti, e ha sempre un posto nell'elenco dei loro immaginati piaceri: Cavalcanti, Biltà di donna 3 ""cantar d'augelli e ragionar d'amore""; Folgore, Di maggio sì vi do molti cavagli 13-4 ""baciarsi nella bocca e nelle guance; / d'amor e di goder vi si ragioni""; o più prosaicamente, ma sempre nel contesto di una lista di cose belle da fare tra amanti, Nicolò de' Rossi, Sì dolçe vita cum tanto dileto 5 ""rasonare d'amor, squerçar nel leto""",Di maggio sì vi do molti cavagli 13-4 «baciarsi nella bocca e nelle guance; / d'amor e di goder vi si ragioni»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Sonetti_de%27_mesi,Sonetti de' mesi,Folgore di San Gimignano,http://dbpedia.org/resource/Folgóre_da_San_Gimignano,http://perunaenciclopediadantescadigitale/resource/poesia_comico_realistica,WORK +RAGIONAR ... D'AMORE,"è una locuzione frequente nella lirica: cfr. l'incipit di Guido Orlandi Ragionando d'amore, quello di Dante Voi che savete ragionar d'amore, e gli altri luoghi indicati da Leonardi 1994, p. 88. Ma, dato il contesto, ciò che conta è che ragionar d'amore è la prediletta tra le occupazioni degli amanti, e ha sempre un posto nell'elenco dei loro immaginati piaceri: Cavalcanti, Biltà di donna 3 ""cantar d'augelli e ragionar d'amore""; Folgore, Di maggio sì vi do molti cavagli 13-4 ""baciarsi nella bocca e nelle guance; / d'amor e di goder vi si ragioni""; o più prosaicamente, ma sempre nel contesto di una lista di cose belle da fare tra amanti, Nicolò de' Rossi, Sì dolçe vita cum tanto dileto 5 ""rasonare d'amor, squerçar nel leto""","Sì dolçe vita cum tanto dileto 5 «ra- sonare d'amor, squerçar nel leto»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_dolce_vita,Sì dolçe vita cum tanto dileto,Niccolò de' Rossi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Niccolo_de_Rossi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PORTARE,"'indossare, avere sul capo'; lo stesso sintagma in Guinizelli, Donna, l'amor mi sforza 45 [voglio] ghirlanda portare.","Donna, l'amor mi sforza verso 45 [voglio] ghirlanda portare",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_l_amor_mi_sforza,"Donna, l'amor mi sforza",Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +GENTILE,"'delicata, leggiadra', in rima con umìle e sottile come nella fronte di Cavalcanti, Pegli occhi fere.","in rima con umìle e sottile come nella fronte di Cavalcanti, Pegli occhi fere",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pegli_occhi_fere,Pegli occhi fere un spirito sottile,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VOLARE,"l'immagine dell'angelo che rotea sulla donna ricorda la similitudine dell'aquila in Pd XIX 91-7 Quale sovresso il nido si rigira, / poi ch'ha pasciuti la cicogna i figli, / e come quel ch'è pasto la rimira; / cotal si fece, e sì levai i cigli, / la benedetta imagine, che l'ali / movea sospinte da tanti consigli. / Roteando cantava, e dicea (e quest'ultima coppia di verbi è da confrontare in particolare con i vv. 8-9 della nostra ballata: e 'l suo cantar sottile / dicea). Ma ancora più vicina a questo passo è una descrizione di Giovanni del Virgilio, Festa dies fuerat sancto celebrata Iohanni 5-6 Ingredior templum varia de gente repletum; / intus et exterius pervolitabat Amor (ed. De Bartholomaeis 1926, p. 73).",Festa dies fuerat sancto celebrata Iohanni 5-6 «Ingre- dior templum varia de gente repletum; / intus et exterius pervolita- bat Amor»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Diaffonus,Diaffonus,Giovanni del Virgilio,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Giovanni_del_Virgilio,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +UMÌLE,"aggettivo passe-partout tipico dello Stilnovo, a volte nel senso di 'benevolo, benigno' (Cavalcanti, S'io prego 6), a volte nel senso di 'dolce, soave' (Dante, Sì lungiamente 14 ""e sì è cosa umil, che nol si crede""): e qui vanno bene entrambi i significati ('generoso', invece, secondo Dronke 1965-66, I, p. 161: ""I would interpret the angiolel d'amore umile that flies above the lady's garland as an angel of generous love""; ma è parafrasi troppo libera).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_io_prego,S'io prego questa donna che Pietate,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +UMÌLE,"aggettivo passe-partout tipico dello Stilnovo, a volte nel senso di 'benevolo, benigno' (Cavalcanti, S'io prego 6), a volte nel senso di 'dolce, soave' (Dante, Sì lungiamente 14 ""e sì è cosa umil, che nol si crede""): e qui vanno bene entrambi i significati ('generoso', invece, secondo Dronke 1965-66, I, p. 161: ""I would interpret the angiolel d'amore umile that flies above the lady's garland as an angel of generous love""; ma è parafrasi troppo libera).","Cavalcanti, S'io prego 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_io_prego,S'io prego questa donna che Pietate,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SOTTILE,"specie nel linguaggio degli stilnovisti, l'aggettivo ha una gamma di significati più ampia a paragone di quella odierna: può voler dire, tra l'altro, (1) 'profondo, acuto, difficile da penetrare, da afferrare' (Mattalia, che ricorda le formule dantesche pensiero sottile, ingegno sottile, nonché Cv IV II 13, a commento del verso ""rima aspr'e sottile"": ""e dice sottile quanto a la sentenza de le parole, che sottilmente argomentando e disputando procedono""); oppure (2) 'melodioso, modulato con acuta dolcezza' (BarbiMaggini, Contini). Escluderei il primo significato, perché qui si parla di cantare e non di ingegno o pensiero sottile. Più plausibile il secondo. Tuttavia, sottile può anche voler dire 'che appena si può sentire, flebile', e questo cantare sottovoce non sconverrebbe a un ""angiolel d'amore umìle"", e in generale all'atmosfera del testo (e per 'cantare sottilmente' in questa precisa accezione cfr. AFW, s.v. sotil, col. 987: ""Eurïels cante dous et bas ... soutivement et coi sains cry"").",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +DIRÒ A ... MIA,"le edizioni Barbi e De Robertis leggono allor dirò la donna mia / che port'in testa, intendendo 'dirò che la mia donna...', con prolessi del soggetto della proposizione oggettiva (la donna mia), come per esempio in Cavalcanti, Posso degli occhi 24 che mostri quella che t'ha fatto onore. Ma a(l)la donna mia, non la donna mia, è la lezione dei codici: è a lei, a Fioretta, che il poeta immagina di parlare.",Posso degli occhi verso 24 che mostri quella che t'ha fatto onore,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Posso_degli_occhi,Posso degli occhi miei novella dire,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER CRESCER DISIRE,"'per aumentare la mia passione' (Barbi – Maggini); crescere poteva essere infatti usato transitivamente (oggi forse solo nella locuzione crescere i figli), come in antico francese (Roman de la Rose 9056 Pour sa biauté croistre) e in provenzale (Jausbert de Puycibot, Partitz de joy e d'amor 4 Mas per creisser ma dolor); per l'italiano, cfr. Ageno 1964, pp. 28-9",Roman de la Rose verso 9056 Pour sa biauté croistre,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Roman_de_la_Rose,Roman de la Rose,Jean de Meung,http://dbpedia.org/resource/Jean_de_Meun,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +PER CRESCER DISIRE,"'per aumentare la mia passione' (Barbi – Maggini); crescere poteva essere infatti usato transitivamente (oggi forse solo nella locuzione crescere i figli), come in antico francese (Roman de la Rose 9056 Pour sa biauté croistre) e in provenzale (Jausbert de Puycibot, Partitz de joy e d'amor 4 Mas per creisser ma dolor); per l'italiano, cfr. Ageno 1964, pp. 28-9",Partitz de joy e d'amor verso 4 «Mas per creisser ma dolor»),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Partitz_de_joi_e_d_amor,Partitz de joi e d'amor,Jausbert de Puycibot,http://dbpedia.org/resource/Jausbert_de_Puycibot,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CORONATA D'AMORE,"la parafrasi non è scontata. Può essere (1) coronata d'amore (con la minuscola) nel senso in cui si poteva dire 'coronato di pregio' (cfr. Monte, D'amor son preso, sì che me ritrarne 12 di Fin Presgio portate la corona) o di gloria, vale a dire in possesso della gloria e del pregio sommi: dunque, qui, 'amorosissima, regina dell'amore'. Oppure può essere (2) 'incoronata dal dio d'Amore', e i reperti figurativi ricordati nella premessa potrebbero far propendere per questa seconda ipotesi: incoronata, inghirlandata dalle mani stesse dell'Amore (e il motivo non sarebbe privo di paralleli anche in poesia: cfr. il madrigale di Giovanni da Firenze Quando la stella 3-10 Amor gentil m'apparse ne la mente: / ... / una ghirlanda 'n su le trezze bionde / di foglie verdi pose con le fronde, ed. Corsi 1970, pp. 20-1). O infine il senso può essere (3) 'con Amore che le fa corona', come nell'inno Urbs beata Hierusalem la città è detta angelis coronata (AH, II, p. 73, v. 5): sarebbe Amore in persona a rendere omaggio alla donna, e non il suo angiolel umìle descritto ai vv. 6-7. Ed è forse questo il significato più probabile. 18-9","D'amor son preso, sì che me ritrarne verso 12 «di Fin Presgio portate la corona»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/D_Amor_son_preso,"D'Amor son preso, sì che me ritrarne",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CORONATA D'AMORE,"la parafrasi non è scontata. Può essere (1) coronata d'amore (con la minuscola) nel senso in cui si poteva dire 'coronato di pregio' (cfr. Monte, D'amor son preso, sì che me ritrarne 12 di Fin Presgio portate la corona) o di gloria, vale a dire in possesso della gloria e del pregio sommi: dunque, qui, 'amorosissima, regina dell'amore'. Oppure può essere (2) 'incoronata dal dio d'Amore', e i reperti figurativi ricordati nella premessa potrebbero far propendere per questa seconda ipotesi: incoronata, inghirlandata dalle mani stesse dell'Amore (e il motivo non sarebbe privo di paralleli anche in poesia: cfr. il madrigale di Giovanni da Firenze Quando la stella 3-10 Amor gentil m'apparse ne la mente: / ... / una ghirlanda 'n su le trezze bionde / di foglie verdi pose con le fronde, ed. Corsi 1970, pp. 20-1). O infine il senso può essere (3) 'con Amore che le fa corona', come nell'inno Urbs beata Hierusalem la città è detta angelis coronata (AH, II, p. 73, v. 5): sarebbe Amore in persona a rendere omaggio alla donna, e non il suo angiolel umìle descritto ai vv. 6-7. Ed è forse questo il significato più probabile. 18-9",Quando la stella versi 3-10 «Amor gentil m'apparse ne la mente: / ... / una ghirlanda 'n su le trezze bionde / di foglie verdi pose con le fronde»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quando_la_stella,Quando la stella,Giovanni da Cascia,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_da_Cascia,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CORONATA D'AMORE,"la parafrasi non è scontata. Può essere (1) coronata d'amore (con la minuscola) nel senso in cui si poteva dire 'coronato di pregio' (cfr. Monte, D'amor son preso, sì che me ritrarne 12 di Fin Presgio portate la corona) o di gloria, vale a dire in possesso della gloria e del pregio sommi: dunque, qui, 'amorosissima, regina dell'amore'. Oppure può essere (2) 'incoronata dal dio d'Amore', e i reperti figurativi ricordati nella premessa potrebbero far propendere per questa seconda ipotesi: incoronata, inghirlandata dalle mani stesse dell'Amore (e il motivo non sarebbe privo di paralleli anche in poesia: cfr. il madrigale di Giovanni da Firenze Quando la stella 3-10 Amor gentil m'apparse ne la mente: / ... / una ghirlanda 'n su le trezze bionde / di foglie verdi pose con le fronde, ed. Corsi 1970, pp. 20-1). O infine il senso può essere (3) 'con Amore che le fa corona', come nell'inno Urbs beata Hierusalem la città è detta angelis coronata (AH, II, p. 73, v. 5): sarebbe Amore in persona a rendere omaggio alla donna, e non il suo angiolel umìle descritto ai vv. 6-7. Ed è forse questo il significato più probabile. 18-9",Urbs beata Hierusalem la città è detta «angelis coronata»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Urbs_beata_Jerusalem_dicta_pacis_visio,Urbs beata Jerusalem dicta pacis visio,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LE PAROLETTE ... BALLATA,"formula riassuntiva, nella stanza di congedo, circa ciò che il poeta ha fatto, come in questo virelai:Or sus, vous dormés trop, ma dame joliete 50-1 De vous que j'aim ... / ay fait cest virelay (ed. Apel, n. 212)","Or sus, vous dormés trop, ma dame joliete versi 50-51 «De vous que j'aim ... / ay fait cest virelay»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Or_sus_vous_dormes_trop,"Or sus, vous dormés trop",,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PER LEGGIADRIA,"non sembrano pertinenti qui i significati più comuni di leggiadria: in negativo, 'vanità, leggerezza' (cfr. il glossario provenzale-italiano pubblicato da Castellani 1980, dove legeria è tradotto con vanità [III, p. 114] e lieve core e biesia [leggera, stolta] volentà [p. 124]); in positivo, 'signorilità, nobiltà di costumi'. BarbiMaggini intendono, credo giustamente, 'per ornamento, per ingentilire' (una cosa o un ambiente), come in Giovanni Villani, Cronica V 29 per leggiadria portano ... le penne del gufo in capo",Cronica V 29 «per leggiadria portano ... le penne del gufo in capo»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nova_Cronica,Nova Cronica,Giovanni Villani,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_Villani,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +ELLE,"ripresa pronominale del soggetto già espresso al v. 18 (""le parolette""), com'è possibile trovare specie se tra soggetto e verbo è intercalata una proposizione incidentale o un complemento: cfr. Chiaro, Da che mi conven fare 88-9 ""ch'io non poria far quella / che degna non foss'ella""; Si. Gui. da Pistoia, Tanto saggio e bon poi me somegli (L 346) 7 ""Deo, com'el tu' don a me piac'egli"".",Da che mi conven fare versi 88-89 ch'io non poria far quella / che degna non foss'ella,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Da_che_mi_conven_fare,Da che mi conven fare,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +ELLE,"ripresa pronominale del soggetto già espresso al v. 18 (""le parolette""), com'è possibile trovare specie se tra soggetto e verbo è intercalata una proposizione incidentale o un complemento: cfr. Chiaro, Da che mi conven fare 88-9 ""ch'io non poria far quella / che degna non foss'ella""; Si. Gui. da Pistoia, Tanto saggio e bon poi me somegli (L 346) 7 ""Deo, com'el tu' don a me piac'egli"".","Tanto saggio e bon poi me somegli (L 346) 7 «Deo, com'el tu' don a me piac'egli»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tanto_saggio_e_bon_poi_me_somegli,Tanto saggio e bon poi me somegli,Si. Gui. da Pistoia,tp://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_gui_da_pistoia,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +QUAL ... CANTERÀ,"le menzioni del canto nelle ballate antiche sono rare; tra i pochi esempi, cfr. l'antichissima Sovrana ballata placente 37-8 Vaten', balata novella, / en Pisa, cantante 'mpromera (PSS, III, p. 1143); Guido Novello da Polenta, Dixem'Amor: Questa donna più vol te 5 faite cantar davanti a la soa fazza; e per la cerimonia dell'incontro tra la ballata e l'amata cfr. 8-10 e quando gionge, pregote che fazza / a soa fegura bella / reverenza ed onor","Sovrana ballata placente versi 37-38 «Vaten', balata novella, / en Pisa, cantante 'mpromera»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sovrana_ballata_placente,Sovrana ballata placente,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +QUAL ... CANTERÀ,"le menzioni del canto nelle ballate antiche sono rare; tra i pochi esempi, cfr. l'antichissima Sovrana ballata placente 37-8 Vaten', balata novella, / en Pisa, cantante 'mpromera (PSS, III, p. 1143); Guido Novello da Polenta, Dixem'Amor: Questa donna più vol te 5 faite cantar davanti a la soa fazza; e per la cerimonia dell'incontro tra la ballata e l'amata cfr. 8-10 e quando gionge, pregote che fazza / a soa fegura bella / reverenza ed onor",Dixem'Amor: Questa donna più vol te verso 5 faite cantar davanti a la soa fazza,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dixem_Amor,Dixem'Amor: Questa donna più vol te,Guido Novello da Polenta,http://dbpedia.org/resource/Guido_II_da_Polenta,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +QUAL ... CANTERÀ,"le menzioni del canto nelle ballate antiche sono rare; tra i pochi esempi, cfr. l'antichissima Sovrana ballata placente 37-8 Vaten', balata novella, / en Pisa, cantante 'mpromera (PSS, III, p. 1143); Guido Novello da Polenta, Dixem'Amor: Questa donna più vol te 5 faite cantar davanti a la soa fazza; e per la cerimonia dell'incontro tra la ballata e l'amata cfr. 8-10 e quando gionge, pregote che fazza / a soa fegura bella / reverenza ed onor","versi 8-10 e quando gionge, pregote che fazza / a soa fegura bella / reverenza ed onor",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dixem_Amor,Dixem'Amor: Questa donna più vol te,Guido Novello da Polenta,http://dbpedia.org/resource/Guido_II_da_Polenta,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHE ... ONORE,"fare onore significava 'fare buona accoglienza, onorare', come in Pd XXV 103-5 E come surge e va ed entra in ballo / vergine lieta, sol per fare onore / a la novizia; e l'idea che la destinataria del canto debba, al canto, fare onore si trova anche in Lupo degli Uberti, Movo canto amoroso novamente 47-8 tu dëi sperar d'aver onore, / poi che tu vai a donna conoscente","Movo canto amoroso novamente 47-8 tu dëi sperar d'aver onore, / poi che tu vai a donna conoscente",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Movo_canto_amoroso_novamente,Movo canto amoroso novamente,Lupo degli Uberti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lupo_degli_Uberti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MADONNA,"l'avvio con appello alla donna, o a madonna, molto diffuso in generale, è però caratteristico soprattutto della ballata (cfr. Pagnotta 1995, pp. 369-70), genere al quale la stanza esparsa è prossima sia per le dimensioni sia, forse (vedi il caso di Lo meo servente core), per la speciale disponibilità a esser musicata (cfr. Casu i.c.s.). Di solito, all'invocazione segue la lode di una prerogativa dell'amata (qui, il fatto di portare Amore negli occhi): cfr. Bonagiunta, Donna, vostre belleze 1-3 Donna, vostre belleze, / c'avete, col bel viso, / m'hanno sì priso. Ma molto vicine a quella dantesca sono piuttosto queste invocazioni ""al mezzo"", che svolgono l'identico motivo captatorio: la donna è tanto saggia (in Dante, buona) che certamente soccorrerà il poeta (ovvero, 4 sarete amica di pietate): Memoriali bolognesi, Donna, vostr'adorneçe 25-30 Dona, lo gram savere / ch'in vui regna chotanto / me dà ferma credença / che del meo dolere / me darà çogla e canto / la vostra chanoscença. E ancora più precisamente, sia per il contenuto (l'amante confida, confortato da Amore, che la donna sarà pietosa: ed è la stessa situazione descritta da Dante) sia per la forma, cfr. Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 19-20 Donna, Ragion d'Amor mi dà speranza, / che voi serete ver' me sì gentile. 1-2","Don- na, vostre belleze 1-3 «Donna, vostre belleze, / c'avete, col bel viso, / m'hanno sì priso».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_vostre_belleze,"Donna, vostre belleze",Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MADONNA,"l'avvio con appello alla donna, o a madonna, molto diffuso in generale, è però caratteristico soprattutto della ballata (cfr. Pagnotta 1995, pp. 369-70), genere al quale la stanza esparsa è prossima sia per le dimensioni sia, forse (vedi il caso di Lo meo servente core), per la speciale disponibilità a esser musicata (cfr. Casu i.c.s.). Di solito, all'invocazione segue la lode di una prerogativa dell'amata (qui, il fatto di portare Amore negli occhi): cfr. Bonagiunta, Donna, vostre belleze 1-3 Donna, vostre belleze, / c'avete, col bel viso, / m'hanno sì priso. Ma molto vicine a quella dantesca sono piuttosto queste invocazioni ""al mezzo"", che svolgono l'identico motivo captatorio: la donna è tanto saggia (in Dante, buona) che certamente soccorrerà il poeta (ovvero, 4 sarete amica di pietate): Memoriali bolognesi, Donna, vostr'adorneçe 25-30 Dona, lo gram savere / ch'in vui regna chotanto / me dà ferma credença / che del meo dolere / me darà çogla e canto / la vostra chanoscença. E ancora più precisamente, sia per il contenuto (l'amante confida, confortato da Amore, che la donna sarà pietosa: ed è la stessa situazione descritta da Dante) sia per la forma, cfr. Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 19-20 Donna, Ragion d'Amor mi dà speranza, / che voi serete ver' me sì gentile. 1-2","Donna, vostr'adorneçe 25-30 «Dona, lo gram save- re / ch'in vui regna chotanto / me dà ferma credença / che del meo dolere / me darà çogla e canto / la vostra chanoscença»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Memoriali_bolognesi,Memoriali bolognesi,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +MADONNA,"l'avvio con appello alla donna, o a madonna, molto diffuso in generale, è però caratteristico soprattutto della ballata (cfr. Pagnotta 1995, pp. 369-70), genere al quale la stanza esparsa è prossima sia per le dimensioni sia, forse (vedi il caso di Lo meo servente core), per la speciale disponibilità a esser musicata (cfr. Casu i.c.s.). Di solito, all'invocazione segue la lode di una prerogativa dell'amata (qui, il fatto di portare Amore negli occhi): cfr. Bonagiunta, Donna, vostre belleze 1-3 Donna, vostre belleze, / c'avete, col bel viso, / m'hanno sì priso. Ma molto vicine a quella dantesca sono piuttosto queste invocazioni ""al mezzo"", che svolgono l'identico motivo captatorio: la donna è tanto saggia (in Dante, buona) che certamente soccorrerà il poeta (ovvero, 4 sarete amica di pietate): Memoriali bolognesi, Donna, vostr'adorneçe 25-30 Dona, lo gram savere / ch'in vui regna chotanto / me dà ferma credença / che del meo dolere / me darà çogla e canto / la vostra chanoscença. E ancora più precisamente, sia per il contenuto (l'amante confida, confortato da Amore, che la donna sarà pietosa: ed è la stessa situazione descritta da Dante) sia per la forma, cfr. Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 19-20 Donna, Ragion d'Amor mi dà speranza, / che voi serete ver' me sì gentile. 1-2","Donna, vostr'adorneçe 25-30 «Dona, lo gram save- re / ch'in vui regna chotanto / me dà ferma credença / che del meo dolere / me darà çogla e canto / la vostra chanoscença» in Memoriali bolognesi",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_vostr_adornece,Donna vostr' adorneçe,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MADONNA,"l'avvio con appello alla donna, o a madonna, molto diffuso in generale, è però caratteristico soprattutto della ballata (cfr. Pagnotta 1995, pp. 369-70), genere al quale la stanza esparsa è prossima sia per le dimensioni sia, forse (vedi il caso di Lo meo servente core), per la speciale disponibilità a esser musicata (cfr. Casu i.c.s.). Di solito, all'invocazione segue la lode di una prerogativa dell'amata (qui, il fatto di portare Amore negli occhi): cfr. Bonagiunta, Donna, vostre belleze 1-3 Donna, vostre belleze, / c'avete, col bel viso, / m'hanno sì priso. Ma molto vicine a quella dantesca sono piuttosto queste invocazioni ""al mezzo"", che svolgono l'identico motivo captatorio: la donna è tanto saggia (in Dante, buona) che certamente soccorrerà il poeta (ovvero, 4 sarete amica di pietate): Memoriali bolognesi, Donna, vostr'adorneçe 25-30 Dona, lo gram savere / ch'in vui regna chotanto / me dà ferma credença / che del meo dolere / me darà çogla e canto / la vostra chanoscença. E ancora più precisamente, sia per il contenuto (l'amante confida, confortato da Amore, che la donna sarà pietosa: ed è la stessa situazione descritta da Dante) sia per la forma, cfr. Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 19-20 Donna, Ragion d'Amor mi dà speranza, / che voi serete ver' me sì gentile. 1-2","Donna, se 'l prego 19-20 «Donna, Ragion d'Amor mi dà speranza, / che voi se- rete ver' me sì gentile».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_se_l_prego,"Donna, se 'l prego de la mente mia",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SIGNOR ... OCCHI,"l'idea che Amore (il signore) soggiorni negli occhi dell'amata è tradizionale, ma tra i poeti dello Stilnovo affiora come vera e propria metafora ossessiva: tra le decine di esempi possibili cfr. Dante, Le dolci rime 18-9 quel signore / ch'a la mia donna ne li occhi dimora [Cv IV] e Cavalcanti, O tu, che porti 1-2 O tu, che porti nelli occhi sovente / Amor. Quanto al senso di questa metafora, Amore negli occhi è talvolta indice di mitezza, talvolta di una forza minacciosa, e in questo caso dell'una e dell'altra cosa: vince ogni resistenza ma promette pietà.","O tu, che porti versi 1-2 O tu, che porti nelli occhi sovente / Amor",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/O_tu_che_porti,"O tu, che porti nelli occhi sovente",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +AMICA DI PIETATE,"perifrasi consueta in luogo dell'aggettivo corrispondente (per pietosa: come amico della ventura sta per fortunato): cfr. Cino, Bella e gentile, amica di pietate. Pietà è, nell'uso moderno, lo stesso che 'compassione, pena', ma Dante in Cv II X 6 terrà a descriverla come virtù attiva: non è pietade quella che crede la volgar gente, cioè dolersi de l'altrui male ..., anzi è una nobile disposizione d'animo, apparecchiata di ricevere amore, misericordia e altre caritative passioni; e qui sarà appunto la propensione della donna a confortare e soccorrere il poeta. 5-8",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bella_e_gentile_amica_di_pietate,"Bella e gentile, amica di pietate",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.",Ben an mort mi e lor 9-10 «qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ben_an_mort_mi_e_lor,Ben an mort mi e lor,Folchetto di Marsiglia,http://dbpedia.org/resource/Folquet_de_Marselha,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.","Qui sap, sofrent, esperare 51-3 «E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser mer- ces»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qui_sap_sofrent_esperare,"Qui sap, sofrent, esperare",Guilhem de la Tor,http://dbpedia.org/resource/Guilhem_de_la_Tor,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.",Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 «que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Los_mals_d_Amor,Los mals d'Amor ai eu ben totz apres,Perdigon,http://dbpedia.org/resource/Perdigon,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.","Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 «mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzi- men [con indulgenza]»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quan_si_cargo_l_ram_de_vert_fueill,Quan si cargo·l ram de vert fueill,Aimeric de Sarlat,http://dbpedia.org/resource/Aimeric_de_Sarlat,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.","Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 «lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tan_aut_me_creis_Amors,Tan aut me creis Amors en ferm talan,Gaucelm Faidit,http://dbpedia.org/resource/Gaucelm_Faidit,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.","Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 «ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di sa- vere, / ben de' merzé trovarvi umil talento»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Madonna_io_nonn_audivi_dicer_mai,"Madonna, io nonn-audivi dicer mai",Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PERÒ CHE ... A SÉ,"la bontà (che ispira pietà, misericordia a chi la detiene) non può mancare là dove ci sono la bellezza e la disposizione ad amare. Come s'è detto nella premessa, Dante svolge qui un motivo ben diffuso, in ampia gamma di varianti, nella lirica romanza. Si sostituiscano alla bontate di cui parla Dante la mercé, o la pietà, o l'umiltà personificate e alla biltate un numero n di valori positivi e si vedrà come l'identico motivo – o meglio l'identico modulo retorico, dato che a contare non è tanto il contenuto dei termini quanto il rapporto d'implicazione che sussiste tra i termini medesimi – sia presente in Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor 9-10 qu'ieu non cre jes que merces aus faillir / lai on Dieus volc totz autres bes aizir; in Guilhem de la Tor, Qui sap, sofrent, esperare 51-3 E, pos tuit li ben estar / son en vos, ben es ma fes / qe·i degues esser merces; in Perdigon, Los mals d'Amor ai eu ben totz apres 31-3 que so non cuich que ges esser pogues / que lai on es totz autres bes pausatz / que no·i degues esser Humilitatz; in Aimeric de Sarlat, Quan si cargo·l ram de vert fueill 43-4 mas en vos es tot aisso [tutte le doti che il poeta ha elencato] ab joven, / esser hi deu merces, ab chauzimen [con indulgenza]; in Gaucelm Faidit, Tan aut me creis Amors en ferm talan 26-8 lai on es beutatz et pretz valens / non deu faillir merces ni chauzimens / ni guizardos de fin joi, ses duptansa. E, per venire agli italiani, in Chiaro, Madonna, io nonn-audivi dicer mai 9-11 ché·llà dov'è bieltate e piacimento, / pregio ed onore e modo di savere, / ben de' merzé trovarvi umil talento; e in Tomaso da Faenza (che traduce Folchetto), Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute.","Ispesso di gioia nascie ed inconinza 51-2 «fallire non poria / merzé, ove son tute altre vertute».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ispesso_di_gioia_nascie_ed_inconinza,Ispesso di gioia nascie ed inconinza,Tommaso da Faenza,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tommaso_da_Faenza,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +HA IN COMPAGNIA,"al posto di 'insieme', è perifrasi che i poeti romanzi usano in particolare per esprimere il possesso di virtù o vizi (non si dice insomma è buono ma ha Bontà con sé, nella sua compagnia): cfr. Peire Cardenal, Qui ve gran maleza faire 13-4 ""e granz cobeitatz entieira / li fai conpaignia""; e non è da escludersi che qui – data l'idea del vincere (2) e del combattimento (10) – in compagnia rimandi al campo semantico della milizia, 'tra le sue schiere, nel suo esercito'",Qui ve gran maleza faire 13-4 «e granz cobeitatz entieira / li fai conpaignia»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qui_ve_gran_maleza_faire,Qui ve gran maleza faire,Peire Cardenal,http://dbpedia.org/resource/Peire_Cardenal,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PRINCIPIO,"è, come ricordano FosterBoyde, un termine del linguaggio aristotelico e scolastico (nella Summa theologica di Tommaso principium è id a quo aliquid procedit); e sulla forza d'attrazione del principio cui ciascuna cosa [desidera] ritornare cfr. Cv IV XII 14",principium è «id a quo aliquid procedit»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PRINCIPIO,"è, come ricordano FosterBoyde, un termine del linguaggio aristotelico e scolastico (nella Summa theologica di Tommaso principium è id a quo aliquid procedit); e sulla forza d'attrazione del principio cui ciascuna cosa [desidera] ritornare cfr. Cv IV XII 14",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +CONFORTO ... SPERANZA,"'persisto a sperare, alimento la mia speranza'. Come molto spesso accade in poesia, e in Dante in ispecie, al posto del verbo (spero ancora) c'è una perifrasi in cui la speranza viene come personificata, o eguagliata a una creatura reale che ha bisogno di cura e conforto onde non perdersi; cfr. per esempio Rinaldo d'Aquino, In un gravoso 8-9 conforto mia speranza, / pensando che s'avanza (BarbiMaggini), o Dante da Maiano (?), Tutto ch'eo poco vaglia 57 conforto el meo coraggio (Bettarini).","In un gravoso 8-9 «conforto mia speranza, / pensando che s'avanza»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_un_gravoso_affanno,In un gravoso affanno,Rinaldo d'Aquino,http://it.dbpedia.org/resource/Rinaldo_d'Aquino,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +CONFORTO ... SPERANZA,"'persisto a sperare, alimento la mia speranza'. Come molto spesso accade in poesia, e in Dante in ispecie, al posto del verbo (spero ancora) c'è una perifrasi in cui la speranza viene come personificata, o eguagliata a una creatura reale che ha bisogno di cura e conforto onde non perdersi; cfr. per esempio Rinaldo d'Aquino, In un gravoso 8-9 conforto mia speranza, / pensando che s'avanza (BarbiMaggini), o Dante da Maiano (?), Tutto ch'eo poco vaglia 57 conforto el meo coraggio (Bettarini).",Tutto ch'eo poco vaglia verso 57 conforto el meo coraggio,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tutto_ch_eo_vaglia,Tutto ch'eo poco vaglia,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NOVO COLORE,"come osservano BarbiMaggini, il colore nuovo sembrerebbe indice di gioia e rinnovamento, come in Tre donne 98 fatti di color novi; e c'è anche l'idea di freschezza e gioventù, come in Guido Novello da Polenta, Era l'aire sereno e lo bel tempo 5-6 Ben fusti zoia, tal che·mm'apparisti / e col novo color del tuo bel viso.","Era l'aire sereno e lo bel tempo versi 5-6 Ben fusti zoia, tal che·mm'apparisti / e col novo color del tuo bel viso",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Era_l_aire_sereno,Era l'aire sereno e lo bel tempo,Guido Novello da Polenta,http://dbpedia.org/resource/Guido_II_da_Polenta,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CERCÒ,"'circondò': cfr. DEI s.v. cercare2, dal lat. tardo circare; e per lo scambio frequente tra cercare e cerchiare nei testi antichi (cerchiò leggeva l'ed. Barbi) cfr. GAVI s.v. cerchiare. Se è una metafora – se non è una ghirlanda ma un pensiero, una situazione – è la stessa di If III 31 d'error la testa cinta o di Gherarduccio Garisendi, Dolze d'amore amico, e' ve riscrivo 11 d'amor la mente cinta (Contini).","Dolze d'amore amico, e' ve riscrivo 11 d'amor la mente cinta",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dolze_d_amore_amico,"Dolze d'amore amico, e' ve riscrivo",Gherarducci Garisendi,tp://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gherarduccio_Garisendi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MERCÉ ... CORTESIA,"formula di ringraziamento e congedo simile a quella che chiude il sonetto Omo non fu ch'amasse lealmente 14 merzé cherendo a vostra cortesia (Corona IX); o il sonetto di Bonagiunta Tutto lo mondo si mantien per fiore 14 vostra mercé, madonna, fior aulente; o, di Dante, la canzone Donna pietosa 84 Voi mi chiamaste allor, vostra merzede",Omo non fu ch'amasse lealmente 14 merzé cherendo a vostra cortesia (Corona IX),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_corona_amorosa,La corona amorosa (o corona di casistica amorosa),Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MERCÉ ... CORTESIA,"formula di ringraziamento e congedo simile a quella che chiude il sonetto Omo non fu ch'amasse lealmente 14 merzé cherendo a vostra cortesia (Corona IX); o il sonetto di Bonagiunta Tutto lo mondo si mantien per fiore 14 vostra mercé, madonna, fior aulente; o, di Dante, la canzone Donna pietosa 84 Voi mi chiamaste allor, vostra merzede","Tutto lo mondo si mantien per fiore 14 vostra mercé, madonna, fior aulente",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tutto_lo_mondo,Tutto lo mondo si mantien per fiore,Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +VÏOLETTA,"senhal floreale, come Fioretta, e vezzeggiativo come per le altre protagoniste o destinatarie delle liriche dantesche, Lisetta e la pargoletta; e con una di queste, o con la donna gentile, o la donna dello schermo, Violetta (che in uno dei testimoni della ballata, la stampa Giuntina, è chiamata invece Nuvoletta) potrà forse essere, ed è stata, identificata (ma, ripeto, senza imbastire ipotesi circa la cronologia degli amori di Dante). A parte l'analogo avvio di Dino Frescobaldi, Deh, giovanetta, de' begli occhi tuoi, il verso intero sembra anticipare l'apparizione di Matelda in Pg XXVIII 43 Deh, bella donna, che a' raggi d'amore (un'apparizione che, come quella di Violetta, è descritta come improvvisa: e là m'apparve, sì com'elli appare / subitamente cosa che disvia / per maraviglia tutto altro pensare)","avvio di Dino Frescobaldi, Deh, giovanetta, de' begli occhi tuoi verso 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Deh_giovanetta,"Deh, giovanetta! de' begli occhi tuoi",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +(I)N OMBRA D'AMORE,"probabilmente 'con le sembianze d'amore', intendendo ombra in uno dei sensi del lat. umbra, cioè appunto 'immagine, simulacro' (per traslato, l'antico francese aveva en ombre de 'al posto, in rappresentanza di'; cfr. Godefroy, s.v. ombre: Ma cousine en ombre de moy / fis couchier avec le roy, il faisoient guerre en l'ombre et nom dou roy de Navarre). L'identificazione tra la donna e Amore torna altrove in Dante (Io mi senti' svegliar 14 quell'ha nome Amor, sì mi somiglia) e nei suoi contemporanei (Cavalcanti, Era in penser d'amor 22 fatta di gioco in figura d'amore); ma un'invenzione analoga si trova già per esempio in Ildegarda di Bingen: E udii una voce che mi disse: ""la fanciulla che vedi è Amore"" (citato in Dronke 1965-66, I, p. 67).","Cavalcanti, Era in penser d'amor 22 «fatta di gioco in figura d'amore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Era_in_penser_d_amor,Era in penser d'amor quand' i' trovai,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +(I)N OMBRA D'AMORE,"probabilmente 'con le sembianze d'amore', intendendo ombra in uno dei sensi del lat. umbra, cioè appunto 'immagine, simulacro' (per traslato, l'antico francese aveva en ombre de 'al posto, in rappresentanza di'; cfr. Godefroy, s.v. ombre: Ma cousine en ombre de moy / fis couchier avec le roy, il faisoient guerre en l'ombre et nom dou roy de Navarre). L'identificazione tra la donna e Amore torna altrove in Dante (Io mi senti' svegliar 14 quell'ha nome Amor, sì mi somiglia) e nei suoi contemporanei (Cavalcanti, Era in penser d'amor 22 fatta di gioco in figura d'amore); ma un'invenzione analoga si trova già per esempio in Ildegarda di Bingen: E udii una voce che mi disse: ""la fanciulla che vedi è Amore"" (citato in Dronke 1965-66, I, p. 67).","E udii una voce che mi disse: ""la fanciulla che vedi è Amore"" lettere di Ildegarda, in the letters of hildegard of bingen, vol 1, 85r",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epistolarum_liber,Epistolarum Liber,Ildegarda di Bingen,http://dbpedia.org/resource/Hildegard_of_Bingen,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +AGGI PIETÀ,"preghiera di misericordia, che ricorda ovviamente Ps 50, 3 Miserere mei Deus, secundum misericordiam tuam, e gli sviluppi liturgici del passo (cfr. per esempio l'Ordo ad virginem benedicendam XII 40 Miserere mei, Deus, miserere mei, quoniam in te confidit anima mea, ed. Andrieu 1938-41, I, p. 164)","Ps 50, 3 Miserere mei Deus, secundum misericordiam tuam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +AGGI PIETÀ,"preghiera di misericordia, che ricorda ovviamente Ps 50, 3 Miserere mei Deus, secundum misericordiam tuam, e gli sviluppi liturgici del passo (cfr. per esempio l'Ordo ad virginem benedicendam XII 40 Miserere mei, Deus, miserere mei, quoniam in te confidit anima mea, ed. Andrieu 1938-41, I, p. 164)","Miserere mei, Deus, miserere mei, quoniam in te confidit anima mea Ps 56,2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DEL COR ... FERISTI,"l'immagine è già biblica: Ct 4, 9 vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum (Gorni 1993, p. 224, da vedere anche per altri possibili echi scritturali). Ma la ferita è, come osserva Casu i.c.s., una costante immaginativa del giovane Dante: cfr. E' m'incresce di me 7 quel cor che i belli occhi feriro; I' mi son pargoletta 22-3 però ch'io ricevetti tal ferita / da un ch'io vidi dentro a li occhi sui. E in particolare, il confronto proposto da Casu con l'anonima (ma può ben darsi dantesca) Po' vede te sì nobile e legiadra è interessante perché la situazione – l'incontro subitaneo degli sguardi, onde la ferita – è la stessa: di costu' che feristi: / quando tuoi occhi co·mmiei si scontrâro (5-6).","Ct 4, 9 «vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DEL COR ... FERISTI,"l'immagine è già biblica: Ct 4, 9 vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum (Gorni 1993, p. 224, da vedere anche per altri possibili echi scritturali). Ma la ferita è, come osserva Casu i.c.s., una costante immaginativa del giovane Dante: cfr. E' m'incresce di me 7 quel cor che i belli occhi feriro; I' mi son pargoletta 22-3 però ch'io ricevetti tal ferita / da un ch'io vidi dentro a li occhi sui. E in particolare, il confronto proposto da Casu con l'anonima (ma può ben darsi dantesca) Po' vede te sì nobile e legiadra è interessante perché la situazione – l'incontro subitaneo degli sguardi, onde la ferita – è la stessa: di costu' che feristi: / quando tuoi occhi co·mmiei si scontrâro (5-6).",«di costu' che feristi: / quando tuoi occhi co·mmiei si scontrâro» (versi 5-6),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Po_vede_te_si_nobile_e_legiadra,Po' vede te sì nobile e legiadra,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SPERA IN TE,"cfr. Ps 9, 11 Sperent in te qui noverunt nomen tuum (citato in Pd XXV 73 e 93 Sperent in te di sopra noi s'udì), e Ps 30, 2 In te domine speravi, non confundar in aeternum.","Ps 9, 11 «Sperent in te qui noverunt nomen tuum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +SPERA IN TE,"cfr. Ps 9, 11 Sperent in te qui noverunt nomen tuum (citato in Pd XXV 73 e 93 Sperent in te di sopra noi s'udì), e Ps 30, 2 In te domine speravi, non confundar in aeternum.","Ps 30, 2 «In te domine speravi, non confundar in aeternum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +FORMA ... UMANA,"iperbole corrente già nota nella lirica antica, ma ben congruente con l'ideale stilnovista della donna-angelo, pegno del divino: cfr. Vn II 8 ella non parea figliola d'uomo mortale, ma di deo; Cavalcanti, Fresca rosa novella 32-4 Oltra natura umana / vostra fina piasenza / fece Dio. 6-7",Fresca rosa novella versi 32-34 «Oltra natura umana / vostra fina piasenza / fece Dio»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Fresca_rosa_novella,Fresca rosa novella,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +FOCO ... VIDI,"la bellezza (piacer) ha l'effetto di infiammare la mente del riguardante; la stessa dinamica è descritta in Amor che nella mente 63 Sua bieltà piove fiammelle di foco [Cv III], e poco diversamente in Donne ch'avete 52-3 escono spirti d'amore inflammati, / che feron li occhi a quel che allor la guati. Alle spalle c'è la metafora tradizionale che associa lo sguardo alla fiamma (Apc 19, 12 Oculi ... eius sicut flamma ignis): metafora, com'è detto nella nota al v. 8, che trovava un fondamento, una giustificazione nella filosofia naturale","Apc 19, 12 «Oculi ... eius sicut flamma ignis»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Revelation,Apocalisse,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SPIRITO COCENTE,"non lo spirito infiammato d'amore (BarbiMaggini), né l'ardore d'amore e di caritate di Cv III VIII 16, né Dante's spirit, now on fire (FosterBoyde), né atto generatore di fuoco (De Robertis) ma, secondo una concezione che risale almeno ad Aristotele, e che associa quattro dei cinque sensi ai quattro elementi naturali, lo spirito igneo che permette di vedere: omnes autem visum igni tribuunt, quod cuiusdam affectionis causam ignorent. Nam presso agitatoque oculo igneus fulgor apparet (De sensu 437a 23-5).","«omnes autem visum igni tribuunt, quod cuiusdam affectionis cau- sam ignorent. Nam presso agitatoque oculo igneus fulgor apparet» (De sensu 437a 23-5)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sense_and_Sensibilia_(Aristotle),De sensu et sensato (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +(I)N PARTE ... DOVE,"Contini e BarbiMaggini propendono per il significato di 'parzialmente', come in Pg XI 84 l'onore è tutto or suo, e mio in parte; ma è meglio intendere (con Mattalia e De Robertis) 'dove, nel luogo in cui', prendendo in parte là come un sintagma fisso (qui spezzato dal verbo in rima, mi sana) per il semplice 'là': cfr. Cavalcanti, Se vedi Amore 2 in parte là 've Lapo sia presente. Ed è anzi probabile che il sintagma abbia valore piuttosto temporale che spaziale, 'ogni volta che', come sembra essere il caso di Sì lungiamente 13-4, dove Dante descrive la sensazione di deliquio che lo assale ovunque, cioè ogni volta che la donna lo vede: Questo m'avvene ovunque ella mi vede, / e sì è cosa umil, che nol si crede.","Cavalcanti, Se vedi Amore verso 2 «in parte là 've Lapo sia presente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_vedi_Amore,"Se vedi Amore, assai ti priego, Dante",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MI RIDI,"'mi sorridi' (posto che nella lingua antica il riso è spesso il sorriso). Virtù risanatrice del sorriso dell'amata, come in Pd VII 17-8 cominciò, raggiandomi d'un riso / tal, che nel foco faria l'om felice, o in Cavalcanti, Io vidi li occhi 5-6 e se non fosse che la donna rise, / i' parlerei di tal guisa doglioso.","Io vidi li occhi versi 5-6 «e se non fosse che la donna rise, / i' parlerei di tal guisa doglioso».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_vidi_li_occhi,Io vidi li occhi dove Amor si mise,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DEH NON GUARDARE,"ripete una formula scritturale (Dt 9, 27 ne aspicias duritiam populi huius) che, annessa al rito della Comunione (Ne respicias peccata mea, sed fidem Ecclesiae tuae, ed. Botte – Mohrmann 1953), diventò poi una sorta di topos negli autori cristiani: Domine, non aspicias peccata mea, sed fidem huius hominis (Gregorio Magno, Dialogi II XXXII 3). Nella poesia volgare serve a professare umiltà sia davanti a Dio o alla Vergine (Guiraut Riquier, Humils, forfaitz, repres e penedens 6-7 que no gardetz cum soy forfaitz vas vos: / si·us plai, gardatz l'ops de m'arma marrida) sia, come qui, davanti all'amata; altri luoghi simili in Menichetti 2002, p.","Dt 9, 27 «ne aspicias duritiam populi huius»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Deuteronomy,Deuteronomio,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DEH NON GUARDARE,"ripete una formula scritturale (Dt 9, 27 ne aspicias duritiam populi huius) che, annessa al rito della Comunione (Ne respicias peccata mea, sed fidem Ecclesiae tuae, ed. Botte – Mohrmann 1953), diventò poi una sorta di topos negli autori cristiani: Domine, non aspicias peccata mea, sed fidem huius hominis (Gregorio Magno, Dialogi II XXXII 3). Nella poesia volgare serve a professare umiltà sia davanti a Dio o alla Vergine (Guiraut Riquier, Humils, forfaitz, repres e penedens 6-7 que no gardetz cum soy forfaitz vas vos: / si·us plai, gardatz l'ops de m'arma marrida) sia, come qui, davanti all'amata; altri luoghi simili in Menichetti 2002, p.","«Domine, non aspicias peccata mea, sed fidem huius hominis» (Gregorio Magno, Dialogi II XXXII 3).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Dialoghi_(Gregorio_Magno),Dialoghi (Gregorio Magno),Gregorio Magno,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_I,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +DEH NON GUARDARE,"ripete una formula scritturale (Dt 9, 27 ne aspicias duritiam populi huius) che, annessa al rito della Comunione (Ne respicias peccata mea, sed fidem Ecclesiae tuae, ed. Botte – Mohrmann 1953), diventò poi una sorta di topos negli autori cristiani: Domine, non aspicias peccata mea, sed fidem huius hominis (Gregorio Magno, Dialogi II XXXII 3). Nella poesia volgare serve a professare umiltà sia davanti a Dio o alla Vergine (Guiraut Riquier, Humils, forfaitz, repres e penedens 6-7 que no gardetz cum soy forfaitz vas vos: / si·us plai, gardatz l'ops de m'arma marrida) sia, come qui, davanti all'amata; altri luoghi simili in Menichetti 2002, p.","«Ne respicias peccata mea, sed fidem Ecclesiae tuae» Rito della comunione",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Mass_(liturgy),Celebrazione eucaristica,,,http://purl.org/bncf/tid/18842,WORK +DEH NON GUARDARE,"ripete una formula scritturale (Dt 9, 27 ne aspicias duritiam populi huius) che, annessa al rito della Comunione (Ne respicias peccata mea, sed fidem Ecclesiae tuae, ed. Botte – Mohrmann 1953), diventò poi una sorta di topos negli autori cristiani: Domine, non aspicias peccata mea, sed fidem huius hominis (Gregorio Magno, Dialogi II XXXII 3). Nella poesia volgare serve a professare umiltà sia davanti a Dio o alla Vergine (Guiraut Riquier, Humils, forfaitz, repres e penedens 6-7 que no gardetz cum soy forfaitz vas vos: / si·us plai, gardatz l'ops de m'arma marrida) sia, come qui, davanti all'amata; altri luoghi simili in Menichetti 2002, p.","Humils, forfaitz, repres e penedens versi 6-7 «que no gardetz cum soy forfaitz vas vos: / si·us plai, gardatz l'ops de m'ar- ma marrida»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Humils_forfaitz_repres_e_penedens,"Humils, forfaitz, repres e penedens",Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MILLE ... DOLORE,"'moltissime donne, arrivate troppo tardi (a soccorrere gli amanti), hanno provato pena per il dolore altrui'. Per convincere la donna a mostrarsi pietosa il poeta le ricorda che un soccorso tardivo sarebbe inutile; cfr. Chiaro, Non già per gioia ch'aggia mi conforto 54-6 però che alungiare po' mia vita, / se non provede nanti che perita / sïa, che mi varà poi lo pentere? (Barbi – Maggini), e la nota a La dispietata mente 66-8. Ma bisogna soprattutto osservare che il motivo del soccorso tardivo è diffuso, oltre che nella lirica d'arte, anche nella tradizione popolare; è quasi un proverbio da usarsi per convincere l'amante ritrosa: cfr. Bronzini 1996, pp. 688-9 (lo adopera, per esempio, Poliziano come chiusa di un suo rispetto: ma 'l tuo pentir fia tardo all'ultima ora; / però non aspettar, donna, ch'i' mora). Ciò constatato, si può allora respingere la spiegazione proposta da Foster – Boyde sulla base di un passo del De amore che illustra la sorte ultraterrena delle donne che hanno respinto i loro amanti: 'Abbi pietà di me, o sarai punita dopo la morte in una sorta di inferno degli amanti'","Non già per gioia ch'aggia mi conforto 54-6 «però che alungiare po' mia vita, / se non provede nanti che perita / sïa, che mi varà poi lo pentere?»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_gia_per_gioia,Non già per gioia ch'aggia mi conforto,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MILLE ... DOLORE,"'moltissime donne, arrivate troppo tardi (a soccorrere gli amanti), hanno provato pena per il dolore altrui'. Per convincere la donna a mostrarsi pietosa il poeta le ricorda che un soccorso tardivo sarebbe inutile; cfr. Chiaro, Non già per gioia ch'aggia mi conforto 54-6 però che alungiare po' mia vita, / se non provede nanti che perita / sïa, che mi varà poi lo pentere? (Barbi – Maggini), e la nota a La dispietata mente 66-8. Ma bisogna soprattutto osservare che il motivo del soccorso tardivo è diffuso, oltre che nella lirica d'arte, anche nella tradizione popolare; è quasi un proverbio da usarsi per convincere l'amante ritrosa: cfr. Bronzini 1996, pp. 688-9 (lo adopera, per esempio, Poliziano come chiusa di un suo rispetto: ma 'l tuo pentir fia tardo all'ultima ora; / però non aspettar, donna, ch'i' mora). Ciò constatato, si può allora respingere la spiegazione proposta da Foster – Boyde sulla base di un passo del De amore che illustra la sorte ultraterrena delle donne che hanno respinto i loro amanti: 'Abbi pietà di me, o sarai punita dopo la morte in una sorta di inferno degli amanti'","Abbi pietà di me, o sarai punita dopo la morte in una sorta di inferno degli amanti'",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_amore_(Andreas_Capellanus),De amore,Andrea Cappellano,http://dbpedia.org/resource/Andreas_Capellanus,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +MI TIRA,"nella lirica antica l'amore è visto spesso come una forza fatale, che trascina, tira l'amante contro la sua volontà: cfr. Epistolae duorum amantium 113 Urget Amor sua castra sequi (ed. Konsgen 1974); il rondeau Je prins conget d'amours en souspirant 4 Je prins conget: Amours me va tirant (ed. Apel, n. 253); fra i trovatori, in una cornice molto simile, Uc Brunenc, Ara·m nafront li sospir 27-32 anz quan cug mon pessamen / virar en nul autre albir, / Amors ab son poderatge / vai enan sazir mon pes [pensiero] / e tol me so q'ai empres / e torna·m al sieu viatge [sentiero, cammino]; e in Italia, Mino del Pavesaio, Quanto ti piace, Amore, m'affann'e tira, e lo stesso Dante, La dispietata mente 4 (i)l disio amoroso, che mi tira.",Epistolae duorum amantium 113 «Urget Amor sua castra sequi»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://fr.dbpedia.org/page/Epistolae_duorum_amantium,Epistolae duorum amantium,,,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +MI TIRA,"nella lirica antica l'amore è visto spesso come una forza fatale, che trascina, tira l'amante contro la sua volontà: cfr. Epistolae duorum amantium 113 Urget Amor sua castra sequi (ed. Konsgen 1974); il rondeau Je prins conget d'amours en souspirant 4 Je prins conget: Amours me va tirant (ed. Apel, n. 253); fra i trovatori, in una cornice molto simile, Uc Brunenc, Ara·m nafront li sospir 27-32 anz quan cug mon pessamen / virar en nul autre albir, / Amors ab son poderatge / vai enan sazir mon pes [pensiero] / e tol me so q'ai empres / e torna·m al sieu viatge [sentiero, cammino]; e in Italia, Mino del Pavesaio, Quanto ti piace, Amore, m'affann'e tira, e lo stesso Dante, La dispietata mente 4 (i)l disio amoroso, che mi tira.",Je prins conget d'amours en souspirant 4 «Je prins conget: Amours me va tirant»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Je_prins_conget_d_amours,Je prins conget d'amours en souspirant,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MI TIRA,"nella lirica antica l'amore è visto spesso come una forza fatale, che trascina, tira l'amante contro la sua volontà: cfr. Epistolae duorum amantium 113 Urget Amor sua castra sequi (ed. Konsgen 1974); il rondeau Je prins conget d'amours en souspirant 4 Je prins conget: Amours me va tirant (ed. Apel, n. 253); fra i trovatori, in una cornice molto simile, Uc Brunenc, Ara·m nafront li sospir 27-32 anz quan cug mon pessamen / virar en nul autre albir, / Amors ab son poderatge / vai enan sazir mon pes [pensiero] / e tol me so q'ai empres / e torna·m al sieu viatge [sentiero, cammino]; e in Italia, Mino del Pavesaio, Quanto ti piace, Amore, m'affann'e tira, e lo stesso Dante, La dispietata mente 4 (i)l disio amoroso, che mi tira.","Ara·m nafront li sospir 27-32 anz quan cug mon pessamen / virar en nul autre albir, / Amors ab son poderatge / vai enan sazir mon pes [pensiero] / e tol me so q'ai empres / e torna·m al sieu viatge [sentiero, cammino]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aram_nafront_li_sospir,Ara·m nafront li sospir,Uc Brunenc,http://dbpedia.org/resource/Uc_Brunet,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MI TIRA,"nella lirica antica l'amore è visto spesso come una forza fatale, che trascina, tira l'amante contro la sua volontà: cfr. Epistolae duorum amantium 113 Urget Amor sua castra sequi (ed. Konsgen 1974); il rondeau Je prins conget d'amours en souspirant 4 Je prins conget: Amours me va tirant (ed. Apel, n. 253); fra i trovatori, in una cornice molto simile, Uc Brunenc, Ara·m nafront li sospir 27-32 anz quan cug mon pessamen / virar en nul autre albir, / Amors ab son poderatge / vai enan sazir mon pes [pensiero] / e tol me so q'ai empres / e torna·m al sieu viatge [sentiero, cammino]; e in Italia, Mino del Pavesaio, Quanto ti piace, Amore, m'affann'e tira, e lo stesso Dante, La dispietata mente 4 (i)l disio amoroso, che mi tira.","Quanto ti piace, Amore, m'affann'e tira",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quanto_ti_piace_Amore,"Quanto ti piace, Amore, m'affann'e tira",Mino del Pavesaio,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Mino_del_Pavesaio,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +ANCIDE,"da aucidere, forse per scambio grafico fra n e u (Manni 2003, p. 145 nota 63) o forse esito nasalizzato di alcide, aucide (come antro, altro), è tipico della lirica meridionale e prestilnovista",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/26261,CONCEPT +LAGHI,"lagare per 'lasciare, permettere' è voce viva soprattutto nei dialetti settentrionali (ma si trova più volte per esempio anche in Giordano da Pisa; e cfr. Castellani 1980, III, p. 97) e si accompagna di solito ad altro verbo: Lagaime star nel contrasto di Raimbaut de Vaqueiras (citato da BarbiMaggini); messer Martellino, deh lagaci vedere in Sacchetti (citato in GDLI, s.v.).",lagare,CONCORDANZA GENERICA,,,Giordano da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Jordan_of_Pisa,http://purl.org/bncf/tid/1546,CONCEPT +LAGHI,"lagare per 'lasciare, permettere' è voce viva soprattutto nei dialetti settentrionali (ma si trova più volte per esempio anche in Giordano da Pisa; e cfr. Castellani 1980, III, p. 97) e si accompagna di solito ad altro verbo: Lagaime star nel contrasto di Raimbaut de Vaqueiras (citato da BarbiMaggini); messer Martellino, deh lagaci vedere in Sacchetti (citato in GDLI, s.v.).",Lagaime star VI 14,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Domna_tant_vos_ai_preiada,"Domna, tant vos ai preiada",Raimbaut de Vaqueiras,http://dbpedia.org/resource/Raimbaut_de_Vaqueiras,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +COTANTO ... SOSPIRA,"'quanto più si sospira, tanto più si sa, si capisce', ovvero il grado di conoscenza dell'amore è proporzionale al grado dell'innamoramento: chi più soffre per amore più sa. Giustamente BarbiMaggini ricordano Tanto gentile 11 (i)ntender no la può chi no la prova; ma è il topos già biblico della conoscenza commisurata all'esperienza, motivo poi diffusissimo nella letteratura sacra e profana: cfr. Colombo 1984.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia,CONCEPT +FERO,"'fiero, feroce'. Come documentano BarbiMaggini, l'immagine dell'Amore che soggiorna nella mente è cara soprattutto ai poeti dello Stilnovo, Cino, Cavalcanti (Se Mercé 5-6 sospiri / che nascon de la mente ov'è Amore), e soprattutto Dante, in un testo che s'è detto avere con questo altri punti di contatto: Per quella via 1-2 Per quella via che la Bellezza corre / quando a destare Amor va nella mente.",,CONCORDANZA GENERICA,,,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +FERO,"'fiero, feroce'. Come documentano BarbiMaggini, l'immagine dell'Amore che soggiorna nella mente è cara soprattutto ai poeti dello Stilnovo, Cino, Cavalcanti (Se Mercé 5-6 sospiri / che nascon de la mente ov'è Amore), e soprattutto Dante, in un testo che s'è detto avere con questo altri punti di contatto: Per quella via 1-2 Per quella via che la Bellezza corre / quando a destare Amor va nella mente.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_merce_fosse,Se Mercé fosse amica a' miei disiri,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SOTTILE,"piuttosto che 'dolce, delicata' (BarbiMaggini), significherà 'flebile', come (forse) in Per una ghirlandetta 8. A riprova, nel volgarizzamento delle Heroides di Filippo Ceffi il fantasma di Sicheo parla a Didone con ""voce sottile"", espressione che traduce ""Ipse sono tenui dixit"" di Ovidio (VII 102).",«voce sottile»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Heroides_volgarizzamento,"Heroides, volgarizzamento",Filippo Ceffi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Filippo_Ceffi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/epica_latina_commenti,WORK +SOTTILE,"piuttosto che 'dolce, delicata' (BarbiMaggini), significherà 'flebile', come (forse) in Per una ghirlandetta 8. A riprova, nel volgarizzamento delle Heroides di Filippo Ceffi il fantasma di Sicheo parla a Didone con ""voce sottile"", espressione che traduce ""Ipse sono tenui dixit"" di Ovidio (VII 102).",«Ipse sono tenui dixit» di Ovidio (VII 102),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Heroides,Heroides,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +IRA,"non nell'accezione moderna del termine ('rabbia, collera violenta') bensì in un senso prossimo ad ""angoscia"": è un provenzalismo frequente, osserva Contini, ma come in altri casi è l'intera espressione a richiamare la lingua dei trovatori (traire alcun d'ira): cfr. d'ira e d'esmai m'a traih (Bernart de Ventadorn, citato in Levy, s.v. traire2)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +IRA,"non nell'accezione moderna del termine ('rabbia, collera violenta') bensì in un senso prossimo ad ""angoscia"": è un provenzalismo frequente, osserva Contini, ma come in altri casi è l'intera espressione a richiamare la lingua dei trovatori (traire alcun d'ira): cfr. d'ira e d'esmai m'a traih (Bernart de Ventadorn, citato in Levy, s.v. traire2)",«d'ira e d'esmai m'a traih»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_tantas_bonas_chansos,A ! tantas bonas chansos,Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PENSARE,"è il cossire dei trovatori, il cruccio, il pensiero carico d'angoscia: cfr. per esempio l'anonimo Se pur saveste, donna, lo cor meo (P 135) 6 sospiro, penso, doglio e mi lamento (citato da BarbiMaggini).","Se pur saveste, donna, lo cor meo (P 135) 6 sospiro, penso, doglio e mi lamento",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_pur_saveste_donna_lo_cor_meo,"Se pur saveste, donna, lo cor meo",,,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +CERTO ... TRANQUILLARE,"'Certamente il viaggio ci sembrerà più breve, passando il tempo in modo così piacevole'. Ricorda, come osserva anche De Robertis, l'invito che Licida rivolge a Meri, di cantare insieme per rendere il cammino più piacevole: Aut si, nox pluviam ne colligat ante, veremur, / cantantes licet usque (minus via laedet) eamus; / cantantes ut eamus, ego hoc te fasce levabo (Egl. IX 63-5)","Aut si, nox pluviam ne colligat ante, veremur, / cantantes licet usque (minus via laedet) eamus; / cantantes ut eamus, ego hoc te fasce levabo (Egl. IX 63-5)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Eclogues,Eglogae,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +VÏAGGIO,"ricorda altri cammini percorsi pensando all'amore, come quelli elencati sopra nella premessa o, in Toscana, Piero Asino degli Uberti, Per un camin pensando gia d'Amore 1-2 Per un camin pensando gia d'Amore, / com'egli è fiore ed ha gran signoria (ed. Contini 1960, I, p. 475)","Per un camin pensando gia d'Amore 1-2 Per un camin pensando gia d'Amore, / com'egli è fiore ed ha gran signoria",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_un_camin_pensando,Per un camin pensando gia d'Amore,Piero Asino degli Uberti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Piero_Asino_degli_Uberti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DOLZE,"forma gallicizzante ben diffusa nella lirica italiana sin dalla scuola federiciana: cfr. Serianni 2001, pp. 75-6",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/26261,CONCEPT +SUO VALORE,"per l'idea della conversazione sulla donna amata come svago durante il viaggio cfr. Peire Bremon, Mei oill an gran manentia 33-6 Dieus, com gran merce faria / us sieus garsos, si·m seguia / per las terras on irei, / qe·m parles tot jorn de lei!.","Mei oill an gran manentia 33-6 Dieus, com gran merce faria / us sieus garsos, si·m seguia / per las terras on irei, / qe·m parles tot jorn de lei!",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Mei_oill_an_gran_manentia,Mei oill an gran manentia,Peire Bremon lo Tort,http://dbpedia.org/resource/Peire_Bremon_lo_Tort,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +OR INCOMINCIA,"cede la parola ad Amore, come Menalca a Mopso nella quinta egloga di Virgilio: ""Incipe, Mopse, prior, si quos aut Phyllidis ignes / aut Alconis habes laudes aut iurgia Codri, / incipe"" (10-2)","Menalca a Mopso nella quinta egloga di Virgilio: Incipe, Mopse, prior, si quos aut Phyllidis ignes / aut Alconis habes laudes aut iurgia Codri, / incipe (10-2)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Eclogues,Eglogae,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +LEPRI LEVARE,"non lepri levarsi, uscire dal covo, con lepri soggetto (così tutti i commentatori), ma 'stanare le lepri', considerato che levare è sempre usato transitivamente in tutti gli esempi utili (GDLI, s.v.64): cfr. Folgore, A la brigata nobile e cortese 6 bracchi levar, correr veltri a bandono, e questi passi che trovo nei dizionari: con molti cani furono alla foresta, e tanto ciercaro che levaro lo porco (Lancia); Una bianca colomba levai (Boccaccio); co' miei bracchetti io la levai (Lorenzo)","A la brigata nobile e cortese 6 «bracchi levar, correr veltri a bandono»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Sonetti_de%27_mesi,Sonetti de' mesi,Folgore di San Gimignano,http://dbpedia.org/resource/Folgóre_da_San_Gimignano,http://perunaenciclopediadantescadigitale/resource/poesia_comico_realistica,WORK +VELTRI,"mentre i bracchi fiutano la preda, i veltri la stanano e l'afferrano (perciò bracchi e veltri sono appaiati anche nella descrizione della caccia di Daurel e Beton 337 Fais encoblar los veltres e·ls bracos)",Daurel e Beton 337 Fais encoblar los veltres e·ls bracos,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Daurel_e_Betó,Daurel e Betó,,,http://purl.org/bncf/tid/6986,WORK +AMOROSI PENSAMENTI,"'pensieri d'amore', come nell'incipit di Folchetto citato in VE II VI 6, Tan m'abellis l'amoros pessamens.",incipit di Folchetto,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tan_m_abellis,Tan m'abellis l'amoros pensamen,Folchetto di Marsiglia,http://dbpedia.org/resource/Folquet_de_Marselha,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +OR ECCO,"formula interiettiva che s'incontra anche altrove, in poesia (Lapo Gianni, Eo sono Amor 38 deh or ecco donna di gran valentia), ma che è prima un tratto del parlato, come si vede da un sermone di Angelo da Porta Sole nel quale il racconto in latino della via crucis fa spazio alle grida (in volgare) dei torturatori: Maledicti Iudei ... salutabant eum et spuebant in faciem eius, dicentes: Ave rex Iudeorum, quasi dicerent ... or ecco bon rege, or ecco bon propheta, or ecco figlio de Dio, qui ita flagellatur et verberatur (citato in Delcorno 1995, p. 42)",Eo sono Amor 38 «deh or ecco donna di gran valentia»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Eo_sono_Amor,Eo sono Amor,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SELVAGGIA DILETTANZA,"un piacere barbaro, non degno di una persona leggiadra.","(Carm. I I 25-6) del «venator tenerae coniugis inmemor» che, assor- to nella caccia, «manet sub Iove frigido»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Odes_(Horace),Carmina (Orazio),Orazio,http://dbpedia.org/resource/Horace,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +LASCIAR ... SEMBIANZA,"ricorda da vicino il ritratto oraziano (Carm. I I 25-6) del venator tenerae coniugis inmemor che, assorto nella caccia, manet sub Iove frigido (l'osservazione è di G. Maruca, Metamorfosi di un motivo oraziano nel sonetto Sonar bracchetti di Dante [Appunti per uno studio su Orazio e Dante], in Spolia. Journal of Medieval Studies, sezione di Filologia dantesca, www.spolia.it)",Ab la verdura 56,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ab_la_verdura,Ab la verdura,Guiraut de Calanso,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_de_Calanso,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +TEMENDO NON,"è il costrutto latino timeo ne (esempi in volgare in Segre 1991, p. 144).","Gravoso affanno 30 tu mi facesti, Amore; und'ho pesanza",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gravoso_affanno_e_pena,Gravoso affanno e pena,Lemmo Orlandi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lemmo_Orlandi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +COM PIÙ,"'Quanto più', come in provenzale: cfr. Marcabru, L'altrier, jost'una sebissa 33 con plus vos gart, m'etz belaire","L'altrier, jost'una sebissa verso 33 «con plus vos gart, m'etz belaire»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_autrier_jost_una_sebissa,L'autrier jost' una sebissa,Marcabru,http://dbpedia.org/resource/Marcabru,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +VI FERE ... VINCASTRI,"l'immagine di Amore che malmena l'amante con bastoni (i vincastri sono, precisamente, rami o bastoni usati per sferzare gli animali: il termine ritornerà in If XXIV 14, anche lì in rima con impiastro) non sembra presente nella poesia italiana anteriore a Dante. Si trova invece in Tibullo, I VIII 5-6 ipsa Venus magico religatum bracchia nodo / perdocuit multis non sine verberibus e III IV 66 saevus Amor docuit verbera posse pati; e, spesso, nella lirica trobadorica: cfr. Guiraut d'Espanha, Si no·m secor dona gaire 6 fin'Amor que·m destrenh e·m malmena e Qui en pascor no chanta no·m par gays 3-4 pel verjan / d'amor que bat; Jausbert de Puycibot, Hueimais de vos non aten 40 Quar mi malmenatz (sogg. Amore); Peire Vidal, Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal 13 Be·m bat Amors ab las vergas qu'ieu cuelh.","Tibullo, I VIII 5-6 «ipsa Venus magico religatum bracchia nodo / perdocuit multis non sine verberibus»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Elegie_(Tibullo),Elegie (Tibullo),Tibullo,http://dbpedia.org/resource/Tibullus,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +VI FERE ... VINCASTRI,"l'immagine di Amore che malmena l'amante con bastoni (i vincastri sono, precisamente, rami o bastoni usati per sferzare gli animali: il termine ritornerà in If XXIV 14, anche lì in rima con impiastro) non sembra presente nella poesia italiana anteriore a Dante. Si trova invece in Tibullo, I VIII 5-6 ipsa Venus magico religatum bracchia nodo / perdocuit multis non sine verberibus e III IV 66 saevus Amor docuit verbera posse pati; e, spesso, nella lirica trobadorica: cfr. Guiraut d'Espanha, Si no·m secor dona gaire 6 fin'Amor que·m destrenh e·m malmena e Qui en pascor no chanta no·m par gays 3-4 pel verjan / d'amor que bat; Jausbert de Puycibot, Hueimais de vos non aten 40 Quar mi malmenatz (sogg. Amore); Peire Vidal, Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal 13 Be·m bat Amors ab las vergas qu'ieu cuelh.",III IV 66 «saevus Amor docuit verbera posse pati»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Elegie_(Tibullo),Elegie (Tibullo),Tibullo,http://dbpedia.org/resource/Tibullus,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +VI FERE ... VINCASTRI,"l'immagine di Amore che malmena l'amante con bastoni (i vincastri sono, precisamente, rami o bastoni usati per sferzare gli animali: il termine ritornerà in If XXIV 14, anche lì in rima con impiastro) non sembra presente nella poesia italiana anteriore a Dante. Si trova invece in Tibullo, I VIII 5-6 ipsa Venus magico religatum bracchia nodo / perdocuit multis non sine verberibus e III IV 66 saevus Amor docuit verbera posse pati; e, spesso, nella lirica trobadorica: cfr. Guiraut d'Espanha, Si no·m secor dona gaire 6 fin'Amor que·m destrenh e·m malmena e Qui en pascor no chanta no·m par gays 3-4 pel verjan / d'amor que bat; Jausbert de Puycibot, Hueimais de vos non aten 40 Quar mi malmenatz (sogg. Amore); Peire Vidal, Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal 13 Be·m bat Amors ab las vergas qu'ieu cuelh.","Guiraut d'Espanha, Si no·m secor dona gaire 6 «fin'Amor que·m destrenh e·m malmena»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_no_m_secor_dona_gaire,Si no·m secor dona gaire,Guiraut de Tholoza,http://it.dbpedia.org/resource/Guiraut_de_Tholoza,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +VI FERE ... VINCASTRI,"l'immagine di Amore che malmena l'amante con bastoni (i vincastri sono, precisamente, rami o bastoni usati per sferzare gli animali: il termine ritornerà in If XXIV 14, anche lì in rima con impiastro) non sembra presente nella poesia italiana anteriore a Dante. Si trova invece in Tibullo, I VIII 5-6 ipsa Venus magico religatum bracchia nodo / perdocuit multis non sine verberibus e III IV 66 saevus Amor docuit verbera posse pati; e, spesso, nella lirica trobadorica: cfr. Guiraut d'Espanha, Si no·m secor dona gaire 6 fin'Amor que·m destrenh e·m malmena e Qui en pascor no chanta no·m par gays 3-4 pel verjan / d'amor que bat; Jausbert de Puycibot, Hueimais de vos non aten 40 Quar mi malmenatz (sogg. Amore); Peire Vidal, Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal 13 Be·m bat Amors ab las vergas qu'ieu cuelh.",Qui en pascor no chanta no·m par gays 3-4 «pel verjan / d'amor que bat»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qui_en_pascor_no_chanta,Qui en pascor no chanta no·m par gays,Guiraut de Tholoza,http://it.dbpedia.org/resource/Guiraut_de_Tholoza,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +VI FERE ... VINCASTRI,"l'immagine di Amore che malmena l'amante con bastoni (i vincastri sono, precisamente, rami o bastoni usati per sferzare gli animali: il termine ritornerà in If XXIV 14, anche lì in rima con impiastro) non sembra presente nella poesia italiana anteriore a Dante. Si trova invece in Tibullo, I VIII 5-6 ipsa Venus magico religatum bracchia nodo / perdocuit multis non sine verberibus e III IV 66 saevus Amor docuit verbera posse pati; e, spesso, nella lirica trobadorica: cfr. Guiraut d'Espanha, Si no·m secor dona gaire 6 fin'Amor que·m destrenh e·m malmena e Qui en pascor no chanta no·m par gays 3-4 pel verjan / d'amor que bat; Jausbert de Puycibot, Hueimais de vos non aten 40 Quar mi malmenatz (sogg. Amore); Peire Vidal, Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal 13 Be·m bat Amors ab las vergas qu'ieu cuelh.",Hueimais de vos non aten 40 «Quar mi malmenatz»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Hueimais_de_vos_non_aten,Hueimais de vos non aten,Jausbert de Puycibot,http://dbpedia.org/resource/Jausbert_de_Puycibot,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +VI FERE ... VINCASTRI,"l'immagine di Amore che malmena l'amante con bastoni (i vincastri sono, precisamente, rami o bastoni usati per sferzare gli animali: il termine ritornerà in If XXIV 14, anche lì in rima con impiastro) non sembra presente nella poesia italiana anteriore a Dante. Si trova invece in Tibullo, I VIII 5-6 ipsa Venus magico religatum bracchia nodo / perdocuit multis non sine verberibus e III IV 66 saevus Amor docuit verbera posse pati; e, spesso, nella lirica trobadorica: cfr. Guiraut d'Espanha, Si no·m secor dona gaire 6 fin'Amor que·m destrenh e·m malmena e Qui en pascor no chanta no·m par gays 3-4 pel verjan / d'amor que bat; Jausbert de Puycibot, Hueimais de vos non aten 40 Quar mi malmenatz (sogg. Amore); Peire Vidal, Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal 13 Be·m bat Amors ab las vergas qu'ieu cuelh.","Peire Vidal, Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal 13 «Be·m bat Amors ab las vergas qu'ieu cuelh».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Plus_que_l_paubres,"Plus que·l paubres, quan jai el ric ostal",Peire Vidal,http://dbpedia.org/resource/Peire_Vidal,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +UBIDIRLO,"obbedienza e servizio sono i doveri dell'amante cortese: cfr. Bonagiunta, Sperando lungamente in acrescenza 7-8 E non è alcun paraglio, / che a l'ubidir si possa asimigliare","Sperando lungamente in acrescenza 7-8 «E non è alcun paraglio, / che a l'ubidir si possa asimigliare».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sperando_lungamente_in_acrescenza,Sperando lungamente in acrescenza,Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +QUANDO FIE STAGION,"'quando sarà (fie) il momento opportuno', come in provenzale a sazo, de sazo 'a tempo debito' (cfr. Levy, s.v.8-10) e, per esempio in Bono Giamboni, a le stagioni",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +QUANDO FIE STAGION,"'quando sarà (fie) il momento opportuno', come in provenzale a sazo, de sazo 'a tempo debito' (cfr. Levy, s.v.8-10) e, per esempio in Bono Giamboni, a le stagioni","""a le stagioni"" (CAPITOLO XXX - De le schiere della Gola e de' suoi capitani)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_de_vizi_e_delle_virtudi,Libro de' vizi e delle virtudi,Bono Giamboni,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bono_Giamboni,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +(I) MPIASTRI,"'lenimenti, impacchi': siamo sempre all'interno della metafora dell'Amore che colpisce l'amante, lasciandogli ferite che devono essere medicate. Per il concetto (il premio per l'amante arriverà a tempo debito) cfr. Anonimo, Con gran disio pensando lungamente 43-4 allotta che 'l servente aspetta '·bbene, / tempo rivene che merita ogni 'escoglio (ed. PSS, II, p. 1004). In Chrétien de Troyes, al contrario, la metafora è usata non per affermare ma per negare la misericordia di Amore, che rifiuta alla vittima i suoi medicamenti (anplastre): Le chevalier de la charrete 1344-6 Amors molt sovent li escrieve [fa sanguinare] / la plaie que feite li a; / onques anplastre n'i lïa.","Con gran disio pensando lungamen- te 43-4 «allotta che 'l servente aspetta '·bbene, / tempo rivene che merita ogni 'escoglio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Con_gran_disio,Con gran disio pensando lungamente,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +(I) MPIASTRI,"'lenimenti, impacchi': siamo sempre all'interno della metafora dell'Amore che colpisce l'amante, lasciandogli ferite che devono essere medicate. Per il concetto (il premio per l'amante arriverà a tempo debito) cfr. Anonimo, Con gran disio pensando lungamente 43-4 allotta che 'l servente aspetta '·bbene, / tempo rivene che merita ogni 'escoglio (ed. PSS, II, p. 1004). In Chrétien de Troyes, al contrario, la metafora è usata non per affermare ma per negare la misericordia di Amore, che rifiuta alla vittima i suoi medicamenti (anplastre): Le chevalier de la charrete 1344-6 Amors molt sovent li escrieve [fa sanguinare] / la plaie que feite li a; / onques anplastre n'i lïa.",Le chevalier de la charrete 1344-6 «Amors molt sovent li escrieve [fa sanguinare] / la plaie que feite li a; / onques anplastre n'i lïa»,CONCORDANZA STRINGENTE,"http://dbpedia.org/resource/Lancelot,_the_Knight_of_the_Cart",Lancelot ou le Chevalier à la charrette,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +AGRESTO,"'aspro al gusto, acerbo', e per traslato 'crudele, doloroso', come in Proverbia 342 qe me sia stae agreste (allo stesso modo, con lo stesso slittamento, Dante potrà usare l'aggettivo agra per definire una tempesta in If XXIV 147). 7-8",Proverbia 342 «qe me sia stae agreste»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Proverbia_super_natura_feminarum,Proverbia super natura feminarum,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +(I)L MAL ... BEN,"periodo un po' contorto, perché Dante misura insieme peso e dolcezza, e che dunque si deve parafrasare con una certa libertà: 'l'amore è causa di male e di bene: ma il peso del male è poca cosa (neanche la sesta parte) rispetto alla dolcezza del bene'. Affermazioni analoghe circa la proporzione tra il bene e il male, in amore, sono frequenti sia fra i trovatori (Albertet de Sisteron, Gaucelm Faidit, eu vos deman 13-4 mas eu dic que·l bes amoros / es majer que·l mals, per un dos) sia fra i poeti italiani (Guido delle Colonne, La mia gran pena 25-7 e per un cento m'ave più di savore / lo ben c'Amore mi face sentire / per lo gran mal che m'à fatto soffrire). Quanto alla proporzione indicata da Dante, di uno a sei, la si trova, in altro contesto e con altri fattori, in un poemetto anonimo per le feste di maggio: Compagno, Dio ti salvi – E tu ben venga 186-7 Chi potrebbe pur contare il sesto / di quel che agli occhi miei fu manifesto? (ed. Guasti 1908, p. 14)","Albertet de Siste- ron, Gaucelm Faidit, eu vos deman 13-4 «mas eu dic que·l bes amo- ros / es majer que·l mals, per un dos»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gaucelm_Faidit_eu_vos_deman,"Gaucelm Faidit, eu vos deman",Albertet de Sisteron,http://dbpedia.org/resource/Albertet_de_Sestaro,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +(I)L MAL ... BEN,"periodo un po' contorto, perché Dante misura insieme peso e dolcezza, e che dunque si deve parafrasare con una certa libertà: 'l'amore è causa di male e di bene: ma il peso del male è poca cosa (neanche la sesta parte) rispetto alla dolcezza del bene'. Affermazioni analoghe circa la proporzione tra il bene e il male, in amore, sono frequenti sia fra i trovatori (Albertet de Sisteron, Gaucelm Faidit, eu vos deman 13-4 mas eu dic que·l bes amoros / es majer que·l mals, per un dos) sia fra i poeti italiani (Guido delle Colonne, La mia gran pena 25-7 e per un cento m'ave più di savore / lo ben c'Amore mi face sentire / per lo gran mal che m'à fatto soffrire). Quanto alla proporzione indicata da Dante, di uno a sei, la si trova, in altro contesto e con altri fattori, in un poemetto anonimo per le feste di maggio: Compagno, Dio ti salvi – E tu ben venga 186-7 Chi potrebbe pur contare il sesto / di quel che agli occhi miei fu manifesto? (ed. Guasti 1908, p. 14)",La mia gran pena 25-7 «e per un cento m'ave più di savore / lo ben c'Amore mi face sentire / per lo gran mal che m'à fatto soffrire»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_mia_gran_pena,La mia gran pena e lo gravoso affanno,Guido delle Colonne,http://dbpedia.org/resource/Guido_delle_Colonne,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +(I)L MAL ... BEN,"periodo un po' contorto, perché Dante misura insieme peso e dolcezza, e che dunque si deve parafrasare con una certa libertà: 'l'amore è causa di male e di bene: ma il peso del male è poca cosa (neanche la sesta parte) rispetto alla dolcezza del bene'. Affermazioni analoghe circa la proporzione tra il bene e il male, in amore, sono frequenti sia fra i trovatori (Albertet de Sisteron, Gaucelm Faidit, eu vos deman 13-4 mas eu dic que·l bes amoros / es majer que·l mals, per un dos) sia fra i poeti italiani (Guido delle Colonne, La mia gran pena 25-7 e per un cento m'ave più di savore / lo ben c'Amore mi face sentire / per lo gran mal che m'à fatto soffrire). Quanto alla proporzione indicata da Dante, di uno a sei, la si trova, in altro contesto e con altri fattori, in un poemetto anonimo per le feste di maggio: Compagno, Dio ti salvi – E tu ben venga 186-7 Chi potrebbe pur contare il sesto / di quel che agli occhi miei fu manifesto? (ed. Guasti 1908, p. 14)","Compagno, Dio ti salvi – E tu ben venga 186-7 «Chi potrebbe pur contare il sesto / di quel che agli oc- chi miei fu manifesto?»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Le_feste_di_San_Giovanni,Le feste di San Giovanni,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +IL SESTO,"l'articolo determinativo era normale sia in italiano sia in provenzale per l'espressione delle frazioni (cfr. Jensen 1994, § 142: ""non diz lo cente de la beutat"", ""auretz de l'aver lo quint"").",«non diz lo cente de la beutat» vv.69-70,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +IL SESTO,"l'articolo determinativo era normale sia in italiano sia in provenzale per l'espressione delle frazioni (cfr. Jensen 1994, § 142: ""non diz lo cente de la beutat"", ""auretz de l'aver lo quint"").",«auretz de l'aver lo quint»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Song_of_the_Albigensian_Crusade,Canso de la Crosada,Guilhèm de Tudèla,http://dbpedia.org/resoruce/William_of_Tudela,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PUNTO,"'colpito, ferito'. Di aculeum amoris parla Andrea Cappellano nel De amore, p. 235, e il motivo si trova spesso nei prestilnovisti: cfr. Meo Abbracciavacca, Considerando 55 Non era quasi punto [da Amore] più che fèra. Ma l'aequivocatio su punto ricorda in particolare Guittone, Ora parrà 5-7 ch'a om tenuto saggio audo contare / che trovare non sa né valer punto / omo d'Amor non punto.","aculeum amoris De amore, p. 235",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_amore_(Andreas_Capellanus),De amore,Andrea Cappellano,http://dbpedia.org/resource/Andreas_Capellanus,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +PUNTO,"'colpito, ferito'. Di aculeum amoris parla Andrea Cappellano nel De amore, p. 235, e il motivo si trova spesso nei prestilnovisti: cfr. Meo Abbracciavacca, Considerando 55 Non era quasi punto [da Amore] più che fèra. Ma l'aequivocatio su punto ricorda in particolare Guittone, Ora parrà 5-7 ch'a om tenuto saggio audo contare / che trovare non sa né valer punto / omo d'Amor non punto.",Considerando 55 «Non era quasi punto [da Amore] più che fèra»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Considerando_l_altera_valenza,Considerando l'altèra valenza,Meo Abbracciavacca,http://dbpedia.org/resource/Meo_Abbracciavacca,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +PUNTO,"'colpito, ferito'. Di aculeum amoris parla Andrea Cappellano nel De amore, p. 235, e il motivo si trova spesso nei prestilnovisti: cfr. Meo Abbracciavacca, Considerando 55 Non era quasi punto [da Amore] più che fèra. Ma l'aequivocatio su punto ricorda in particolare Guittone, Ora parrà 5-7 ch'a om tenuto saggio audo contare / che trovare non sa né valer punto / omo d'Amor non punto.","Guittone, Ora parrà 5-7 «ch'a om tenuto saggio audo contare / che trovare non sa né valer punto / omo d'Amor non punto»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ora_parra_s_eo_savero_cantare,Ora parrá s'eo saverò cantare,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +COME ... TROVARE,"c'è una relazione di causa ed effetto tra l'innamoramento e il canto, ovvero: l'eccellenza poetica (il vostro buon trovare) consegue all'innamoramento e ne è la prova. Vale la pena di osservarlo in primo luogo perché su quest'idea si fonda la convinzione, diffusissima già fra i trovatori, che il canto d'amore è sincero o non è: Bernart de Ventadorn, Chantars no pot gaire valet 1-2 Chantars no pot gaire valer, / si d'ins dal cor no mou lo chans; e in secondo luogo perché si tratta del punto di vista opposto rispetto a quello – esemplare del rigorismo cristiano come l'altro lo è dell'etica cortese – difeso da Guittone d'Arezzo nella suddetta Ora parrà s'eo saverò cantare, dove si dice appunto che si può essere buoni poeti anche senza essere innamorati. Sul problema della corrispondenza tra sentimento e poesia nella letteratura medievale cfr. ora anche per la bibliografia Lucken 2003","Bernart de Ventadorn, Chantars no pot gaire valet 1-2 «Chantars no pot gaire valer, / si d'ins dal cor no mou lo chans»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chantars_no_pot_gaire_valet,Chantars no pot gaire valet,Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DIMOSTRA,"non tanto 'prova' quanto 'dà a vedere', come nel missivo di Monte Andrea a Lapo del Rosso So bene, amico: molto tra'ti 'nanti 5-6 perché lo dimostri con tuoi canti [che sei innamorato], / non credo che risponda a ciò lo core.","So bene, amico: molto tra'ti 'nanti 5-6 «per- ché lo dimostri con tuoi canti [che sei innamorato], / non credo che risponda a ciò lo core»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/So_bene_amico,"So bene, amico: molto tra'ti 'nanti",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +GITTALITI A' PIEDI,"'gettati ai suoi piedi'; è un segno di deferenza tradizionale (cfr. per esempio Act 10, 25 procidens ad pedes adoravit) che nella poesia cortese esprime in genere la devozione per l'amata: cfr. Peire Ramon de Tolosa, Us noels pessamens m'estai 32 denan sos pes l'irai cazer; Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 [Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi; quanto invece alla poesia di corrispondenza cfr. l'anonimo Vanne, sonetto, in ca' de Lambertini (P 142) 5 E sì come s'aven, vo' che lo 'nchini (il poeta vuole cioè che il sonetto si prostri di fronte al destinatario).","Act 10, 25 «procidens ad pedes adoravit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +GITTALITI A' PIEDI,"'gettati ai suoi piedi'; è un segno di deferenza tradizionale (cfr. per esempio Act 10, 25 procidens ad pedes adoravit) che nella poesia cortese esprime in genere la devozione per l'amata: cfr. Peire Ramon de Tolosa, Us noels pessamens m'estai 32 denan sos pes l'irai cazer; Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 [Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi; quanto invece alla poesia di corrispondenza cfr. l'anonimo Vanne, sonetto, in ca' de Lambertini (P 142) 5 E sì come s'aven, vo' che lo 'nchini (il poeta vuole cioè che il sonetto si prostri di fronte al destinatario).","Peire Ramon de Tolosa, Us noels pessamens m'estai 32 «denan sos pes l'irai cazer»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Us_noels_pessamens,Us noels pessamens m'estai,Peire Ramon de Tolosa,http://dbpedia.org/resource/Peire_Raimon_de_Tolosa,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +GITTALITI A' PIEDI,"'gettati ai suoi piedi'; è un segno di deferenza tradizionale (cfr. per esempio Act 10, 25 procidens ad pedes adoravit) che nella poesia cortese esprime in genere la devozione per l'amata: cfr. Peire Ramon de Tolosa, Us noels pessamens m'estai 32 denan sos pes l'irai cazer; Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 [Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi; quanto invece alla poesia di corrispondenza cfr. l'anonimo Vanne, sonetto, in ca' de Lambertini (P 142) 5 E sì come s'aven, vo' che lo 'nchini (il poeta vuole cioè che il sonetto si prostri di fronte al destinatario).","Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 «[Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ahi_lasso_taupino,"Ahi lasso taupino!, altro che lasso",Onesto degli Onesti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onesto_degli_Onesti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +GITTALITI A' PIEDI,"'gettati ai suoi piedi'; è un segno di deferenza tradizionale (cfr. per esempio Act 10, 25 procidens ad pedes adoravit) che nella poesia cortese esprime in genere la devozione per l'amata: cfr. Peire Ramon de Tolosa, Us noels pessamens m'estai 32 denan sos pes l'irai cazer; Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 [Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi; quanto invece alla poesia di corrispondenza cfr. l'anonimo Vanne, sonetto, in ca' de Lambertini (P 142) 5 E sì come s'aven, vo' che lo 'nchini (il poeta vuole cioè che il sonetto si prostri di fronte al destinatario).","Vanne, sonetto, in ca' de Lambertini (P 142) 5 «E sì come s'aven, vo' che lo 'nchini»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Vanne_sonetto_in_ca_de_Lambertini,"Vanne, sonetto, in ca' de Lambertini",Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +E ... STATO,"un'analoga formula di transizione (""Una volta fatto questo, procedi a..."") e un analogo galateo (il saluto, l'inchino) in Lapo Gianni, Ballata, poi che ti compuose Amore 15-8 Quando cortesemente avrai parlato / con bello inchino e con dolce salute / ... / aprendi suo risponso angelicato. Ma il modulo – quando + futuro anteriore o, come qui, passato prossimo con valore di futuro anteriore, poi il messaggio da riferire – è già trobadorico: cfr. Peyre Trabustal e Raynaut de Tres Sauses, Amix Raynaut, una donna valent 51-2 E cant m'auras a lui recomandat, / e tu li dis de ma part humilement (ed. Meyer 1871, p. 130), e in generale si ripresenta simile ogni volta che il poeta incarica il proprio testo di parlare: Dante, Ballata, i' voi 15-17 Con dolze sono, quando sè con lui, / comincia este parole / appresso che averai chesta pietate.","Lapo Gianni, Ballata, poi che ti compuose Amore 15-8 «Quando cortesemente avrai parlato / con bello inchino e con dolce salute / ... / aprendi suo risponso angelicato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ballata_poi_che_ti_compuose,"Ballata, poi che ti compuose Amore",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +E ... STATO,"un'analoga formula di transizione (""Una volta fatto questo, procedi a..."") e un analogo galateo (il saluto, l'inchino) in Lapo Gianni, Ballata, poi che ti compuose Amore 15-8 Quando cortesemente avrai parlato / con bello inchino e con dolce salute / ... / aprendi suo risponso angelicato. Ma il modulo – quando + futuro anteriore o, come qui, passato prossimo con valore di futuro anteriore, poi il messaggio da riferire – è già trobadorico: cfr. Peyre Trabustal e Raynaut de Tres Sauses, Amix Raynaut, una donna valent 51-2 E cant m'auras a lui recomandat, / e tu li dis de ma part humilement (ed. Meyer 1871, p. 130), e in generale si ripresenta simile ogni volta che il poeta incarica il proprio testo di parlare: Dante, Ballata, i' voi 15-17 Con dolze sono, quando sè con lui, / comincia este parole / appresso che averai chesta pietate.","Peyre Trabustal e Raynaut de Tres Sauses, Amix Raynaut, una donna va- lent 51-2 «E cant m'auras a lui recomandat, / e tu li dis de ma part humilement»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amix_Raynaut_una_donna_valent,"Amix Raynaut, una donna valent",Peyre Trabustal,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Peyre_Trabustal,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +RISALUTRAI,"'risaluterai', con sincope vocalica come spesso nelle forme del futuro (ma qui si trattava soprattutto di far tornare la misura del verso). Il significato di risalutare nella lingua antica è, in realtà, 'rendere il saluto': Giamboni, Libro LXIII 5 Elle tutte la risalutaro, e dissero... (e cfr. GDLI, s.v.2). Qui il senso sembra invece 'ripeterai il saluto, cioè l'augurio di salute', e l'invito potrebbe trovare una spiegazione in passi come i seguenti, nei quali si raccomanda appunto di iterare il saluto: Baudri de Bourgueil, Suscipe, virgo decens 52 Praesenta nostrum terque quaterque vale; Alcuino, Cartula, perge cito 38-9 Ante pedes regis totas expande camenas, / dicito multoties: ""Salve, rex optime, salve"". O forse, semplicemente, Dante parla di un saluto più formale, porto da vicino, dopo quello di cui ha detto al v. 2, che il sonetto deve porgere appena visto Meuccio, e dunque da lontano, prima di correre da lui","Giamboni, Libro LXIII 5 «Elle tutte la risalutaro, e dissero...»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_de_vizi_e_delle_virtudi,Libro de' vizi e delle virtudi,Bono Giamboni,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bono_Giamboni,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +RISALUTRAI,"'risaluterai', con sincope vocalica come spesso nelle forme del futuro (ma qui si trattava soprattutto di far tornare la misura del verso). Il significato di risalutare nella lingua antica è, in realtà, 'rendere il saluto': Giamboni, Libro LXIII 5 Elle tutte la risalutaro, e dissero... (e cfr. GDLI, s.v.2). Qui il senso sembra invece 'ripeterai il saluto, cioè l'augurio di salute', e l'invito potrebbe trovare una spiegazione in passi come i seguenti, nei quali si raccomanda appunto di iterare il saluto: Baudri de Bourgueil, Suscipe, virgo decens 52 Praesenta nostrum terque quaterque vale; Alcuino, Cartula, perge cito 38-9 Ante pedes regis totas expande camenas, / dicito multoties: ""Salve, rex optime, salve"". O forse, semplicemente, Dante parla di un saluto più formale, porto da vicino, dopo quello di cui ha detto al v. 2, che il sonetto deve porgere appena visto Meuccio, e dunque da lontano, prima di correre da lui","Baudri de Bourgueil, Suscipe, vir- go decens 52 «Praesenta nostrum terque quaterque vale»",CONCORDANZA STRINGENTE,"http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Suscipe,_virgo_decens","Suscipe, virgo decens",Baudri de Bourgueil,http://dbpedia.org/resource/Baldric_of_Dol,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +RISALUTRAI,"'risaluterai', con sincope vocalica come spesso nelle forme del futuro (ma qui si trattava soprattutto di far tornare la misura del verso). Il significato di risalutare nella lingua antica è, in realtà, 'rendere il saluto': Giamboni, Libro LXIII 5 Elle tutte la risalutaro, e dissero... (e cfr. GDLI, s.v.2). Qui il senso sembra invece 'ripeterai il saluto, cioè l'augurio di salute', e l'invito potrebbe trovare una spiegazione in passi come i seguenti, nei quali si raccomanda appunto di iterare il saluto: Baudri de Bourgueil, Suscipe, virgo decens 52 Praesenta nostrum terque quaterque vale; Alcuino, Cartula, perge cito 38-9 Ante pedes regis totas expande camenas, / dicito multoties: ""Salve, rex optime, salve"". O forse, semplicemente, Dante parla di un saluto più formale, porto da vicino, dopo quello di cui ha detto al v. 2, che il sonetto deve porgere appena visto Meuccio, e dunque da lontano, prima di correre da lui","Alcuino, Cartula, perge cito 38-9 «Ante pedes regis totas expande camenas, / dicito multoties: ""Salve, rex optime, salve""»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Carmina_(Alcuino),Carmina (Alcuino),Alcuino,http://dbpedia.org/resource/Alcuin,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +ACONTARSI,"'fare conoscenza, stringere amicizia' (a. fr. acointier, prov. acointar); per la costruzione col dativo BarbiMaggini citano a confronto Chiaro, Amore, io non mi doglio 9-10 i' m'acontai di pria / a voi","Chiaro, Amore, io non mi doglio 9-10 «i' m'acontai di pria / a voi»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amore_io_non_mi_doglio,"Amore, io non mi doglio",Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DEGLI OCCHI ... GENTIL,"'Dagli occhi della donna che amo esce una luce così pura'. La seconda quartina di Di donne io vidi inizia con le stesse parole e riferisce lo stesso evento miracoloso: la luce che emana dalla donna trasfigura ciò su cui si posa: Degli occhi suoi gittava una lumiera / la qual parea un spirito 'nfiammato (5-6). E il motivo è poi ampiamente stilnovistico: cfr. Dino Frescobaldi, Donna, dagli occhi tuoi 1-2 Donna, dagli occhi tuoi par che si mova / un lume che mi passa entro la mente (altri esempi in BarbiMaggini)","Donna, dagli occhi tuoi 1-2 «Donna, dagli occhi tuoi par che si mova / un lume che mi passa entro la mente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_dagli_occhi_tuoi,"Donna, dagli occhi tuoi par che si mova",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LUME,"per quest'idea dello sguardo come luce si tenga sempre presente la concezione platonica della visione come emissione di fuoco (cfr. la premessa a Deh, Vïoletta), la stessa che affiora più chiaramente, sempre in Dante, in Donne ch'avete 51-4 De li occhi suoi, come ch'ella li mova, / escono spirti d'amore inflammati, / che feron li occhi a qual che allor la guati, / e passan sì che 'l cor ciascun retrova",,CONCORDANZA GENERICA,,,Platone,http://dbpedia.org/resource/Plato,http://purl.org/bncf/tid/8332,CONCEPT +RAZZI,"la forma con l'affricata dentale razzi in luogo di raggi è di origine settentrionale, ma non è rara nel fiorentino antico, e la si trova per esempio in Chiaro Davanzati e in Francesco da Barberino: cfr. Merlo. Per l'idea dello sguardo come raggio che ferisce il cuore cfr. per esempio l'anonima Amors m'a fach novelamen asire 5-6 vostr'esgardar per·ls ols al cor mi raya / un rai d'amor chi·m noris e·m cadela (ed. Gambino 2003, p. 138)",,CONCORDANZA GENERICA,,,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +RAZZI,"la forma con l'affricata dentale razzi in luogo di raggi è di origine settentrionale, ma non è rara nel fiorentino antico, e la si trova per esempio in Chiaro Davanzati e in Francesco da Barberino: cfr. Merlo. Per l'idea dello sguardo come raggio che ferisce il cuore cfr. per esempio l'anonima Amors m'a fach novelamen asire 5-6 vostr'esgardar per·ls ols al cor mi raya / un rai d'amor chi·m noris e·m cadela (ed. Gambino 2003, p. 138)",,CONCORDANZA GENERICA,,,Francesco da Barberino,http://it.dbpedia.org/resource/Francesco_da_Barberino,http://purl.org/bncf/tid/9214,CONCEPT +RAZZI,"la forma con l'affricata dentale razzi in luogo di raggi è di origine settentrionale, ma non è rara nel fiorentino antico, e la si trova per esempio in Chiaro Davanzati e in Francesco da Barberino: cfr. Merlo. Per l'idea dello sguardo come raggio che ferisce il cuore cfr. per esempio l'anonima Amors m'a fach novelamen asire 5-6 vostr'esgardar per·ls ols al cor mi raya / un rai d'amor chi·m noris e·m cadela (ed. Gambino 2003, p. 138)",Amors m'a fach novelamen asire 5-6 «vo- str'esgardar per·ls ols al cor mi raya / un rai d'amor chi·m noris e·m cadela»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amors_m_a_fach_novelamen_asire,Amors m'a fach novelamen asire,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +FA TREMARE,"nell'immaginario stilnovista il tremore è la conseguenza visibile di un'affezione dello spirito: Voi che 'ntendendo 21-2 e segnoreggia me di tal virtute, / che 'l cor ne trema che di fuori appare [Cv II]; Cavalcanti, Io temo che la mia disaventura 4 fa tremar la mente di paura e vari altri esempi simili nei commenti).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +FA TREMARE,"nell'immaginario stilnovista il tremore è la conseguenza visibile di un'affezione dello spirito: Voi che 'ntendendo 21-2 e segnoreggia me di tal virtute, / che 'l cor ne trema che di fuori appare [Cv II]; Cavalcanti, Io temo che la mia disaventura 4 fa tremar la mente di paura e vari altri esempi simili nei commenti).","Cavalcanti, Io temo che la mia disaventura 4 «fa tremar la mente di paura»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_temo,Io temo che la mia disaventura,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +POSCIA ... VINTO,"per esprimere questo concetto, un poeta siciliano avrebbe usato forse la similitudine della farfalla che si brucia al fuoco; meno legato a questo repertorio, Dante scarta la mediazione dell'allegoria e riconosce semplicemente la sua debolezza: non può evitare di tornare al luogo della sua tortura. Per il motivo dell'impulso irresistibile a rivedere la donna amata, i suoi occhi, cfr. Cino, Audite la cagion de' miei sospiri 12-4 Miranla gli occhi miei sì volentieri, / che contra 'l mi' voler mi fanno gire / per veder lei, cui sol guardar non oso; ma è, soprattutto, lo stesso riflesso di Dante nella Vita Nova: E certo molte volte non potendo lagrimare né disfogare la mia tristizia, io andava per vedere questa pietosa donna (XXXVI 2)","Cino, Audite la cagion de' miei sospiri 12-4 «Miranla gli occhi miei sì volentieri, / che contra 'l mi' voler mi fanno gire / per veder lei, cui sol guardar non oso»;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Audite_la_cagion_de_miei_sospiri,Audite la cagion de' miei sospiri,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PERDO ... PROVE,"'soccombo, fallisco in ogni mio tentativo' (s'intende: di resistere alla tentazione di andare a vedere la donna amata); perder prova 'fallire' è una locuzione fissa (vari esempi in Guinizelli, Dante da Maiano, Chiaro e altri)",perder prova,CONCORDANZA GENERICA,,,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +PERDO ... PROVE,"'soccombo, fallisco in ogni mio tentativo' (s'intende: di resistere alla tentazione di andare a vedere la donna amata); perder prova 'fallire' è una locuzione fissa (vari esempi in Guinizelli, Dante da Maiano, Chiaro e altri)",perder prova 'fallire',CONCORDANZA GENERICA,,,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +PERDO ... PROVE,"'soccombo, fallisco in ogni mio tentativo' (s'intende: di resistere alla tentazione di andare a vedere la donna amata); perder prova 'fallire' è una locuzione fissa (vari esempi in Guinizelli, Dante da Maiano, Chiaro e altri)",perder prova 'fallire',CONCORDANZA GENERICA,,,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +NE ... MORE,"ricalca le parole di Gesù sulla croce: In manus tuas commendo spiritum meum (Lc 23, 46): formula memorabile, che si trova spesso nella liturgia (cfr. Leroquais 1927, I, p. 390 e II, p. 107) e, naturalmente, nel viatico (cfr. Ordo commendationis anime: Commendamus tibi, domine, animam famuli tui ed. Andrieu 1938-41, II, pp. 495-505). Non solo, essa ispirò anche il concetto e le parole della commendatio laica, ossia l'omaggio del vassallo al signore (cfr. per esempio Dhuoda: genitor tuus ... in manus domini te commendavit Karoli regis, ed. Riché 1975, p. 86 e a questo campo semantico, meglio che a quello religioso, sembrerebbe rimandare il v. 5, col riferimento al giogo di una segnoria); e infine – e siamo appunto al caso dantesco – filtrò nella lirica amorosa, là dove si simula la morte per amore (e non è strano allora che soccorrano esempi soprattutto da Cavalcanti, il poeta dell'amore doloroso): O tu, che porti 3-4 questo mio spirto che vien di lontano / ti raccomanda l'anima dolente; Perch'i' no spero 27-8 a la tu' amistate / quest'anima che trema raccomando","«In manus tuas commendo spiritum meum» (Lc 23, 46",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +NE ... MORE,"ricalca le parole di Gesù sulla croce: In manus tuas commendo spiritum meum (Lc 23, 46): formula memorabile, che si trova spesso nella liturgia (cfr. Leroquais 1927, I, p. 390 e II, p. 107) e, naturalmente, nel viatico (cfr. Ordo commendationis anime: Commendamus tibi, domine, animam famuli tui ed. Andrieu 1938-41, II, pp. 495-505). Non solo, essa ispirò anche il concetto e le parole della commendatio laica, ossia l'omaggio del vassallo al signore (cfr. per esempio Dhuoda: genitor tuus ... in manus domini te commendavit Karoli regis, ed. Riché 1975, p. 86 e a questo campo semantico, meglio che a quello religioso, sembrerebbe rimandare il v. 5, col riferimento al giogo di una segnoria); e infine – e siamo appunto al caso dantesco – filtrò nella lirica amorosa, là dove si simula la morte per amore (e non è strano allora che soccorrano esempi soprattutto da Cavalcanti, il poeta dell'amore doloroso): O tu, che porti 3-4 questo mio spirto che vien di lontano / ti raccomanda l'anima dolente; Perch'i' no spero 27-8 a la tu' amistate / quest'anima che trema raccomando","Ordo commendationis anime: «Commendamus tibi, domine, animam famuli tui»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ordo_commendationis_anime,Ordo commendationis anime,,,http://purl.org/bncf/tid/18842,WORK +NE ... MORE,"ricalca le parole di Gesù sulla croce: In manus tuas commendo spiritum meum (Lc 23, 46): formula memorabile, che si trova spesso nella liturgia (cfr. Leroquais 1927, I, p. 390 e II, p. 107) e, naturalmente, nel viatico (cfr. Ordo commendationis anime: Commendamus tibi, domine, animam famuli tui ed. Andrieu 1938-41, II, pp. 495-505). Non solo, essa ispirò anche il concetto e le parole della commendatio laica, ossia l'omaggio del vassallo al signore (cfr. per esempio Dhuoda: genitor tuus ... in manus domini te commendavit Karoli regis, ed. Riché 1975, p. 86 e a questo campo semantico, meglio che a quello religioso, sembrerebbe rimandare il v. 5, col riferimento al giogo di una segnoria); e infine – e siamo appunto al caso dantesco – filtrò nella lirica amorosa, là dove si simula la morte per amore (e non è strano allora che soccorrano esempi soprattutto da Cavalcanti, il poeta dell'amore doloroso): O tu, che porti 3-4 questo mio spirto che vien di lontano / ti raccomanda l'anima dolente; Perch'i' no spero 27-8 a la tu' amistate / quest'anima che trema raccomando",Dhuoda: «genitor tuus ... in manus domini te commendavit Karoli regis»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_manualis,Liber manualis,Dhuoda,http://dbpedia.org/resource/Dhuoda,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +NE ... MORE,"ricalca le parole di Gesù sulla croce: In manus tuas commendo spiritum meum (Lc 23, 46): formula memorabile, che si trova spesso nella liturgia (cfr. Leroquais 1927, I, p. 390 e II, p. 107) e, naturalmente, nel viatico (cfr. Ordo commendationis anime: Commendamus tibi, domine, animam famuli tui ed. Andrieu 1938-41, II, pp. 495-505). Non solo, essa ispirò anche il concetto e le parole della commendatio laica, ossia l'omaggio del vassallo al signore (cfr. per esempio Dhuoda: genitor tuus ... in manus domini te commendavit Karoli regis, ed. Riché 1975, p. 86 e a questo campo semantico, meglio che a quello religioso, sembrerebbe rimandare il v. 5, col riferimento al giogo di una segnoria); e infine – e siamo appunto al caso dantesco – filtrò nella lirica amorosa, là dove si simula la morte per amore (e non è strano allora che soccorrano esempi soprattutto da Cavalcanti, il poeta dell'amore doloroso): O tu, che porti 3-4 questo mio spirto che vien di lontano / ti raccomanda l'anima dolente; Perch'i' no spero 27-8 a la tu' amistate / quest'anima che trema raccomando","Cavalcanti, il poeta dell'amore doloroso): O tu, che porti 3-4 «questo mio spirto che vien di lontano / ti raccomanda l'anima dolente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/O_tu_che_porti,"O tu, che porti nelli occhi sovente",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NE ... MORE,"ricalca le parole di Gesù sulla croce: In manus tuas commendo spiritum meum (Lc 23, 46): formula memorabile, che si trova spesso nella liturgia (cfr. Leroquais 1927, I, p. 390 e II, p. 107) e, naturalmente, nel viatico (cfr. Ordo commendationis anime: Commendamus tibi, domine, animam famuli tui ed. Andrieu 1938-41, II, pp. 495-505). Non solo, essa ispirò anche il concetto e le parole della commendatio laica, ossia l'omaggio del vassallo al signore (cfr. per esempio Dhuoda: genitor tuus ... in manus domini te commendavit Karoli regis, ed. Riché 1975, p. 86 e a questo campo semantico, meglio che a quello religioso, sembrerebbe rimandare il v. 5, col riferimento al giogo di una segnoria); e infine – e siamo appunto al caso dantesco – filtrò nella lirica amorosa, là dove si simula la morte per amore (e non è strano allora che soccorrano esempi soprattutto da Cavalcanti, il poeta dell'amore doloroso): O tu, che porti 3-4 questo mio spirto che vien di lontano / ti raccomanda l'anima dolente; Perch'i' no spero 27-8 a la tu' amistate / quest'anima che trema raccomando",Perch'i' no spero 27-8 «a la tu' amistate / quest'anima che trema raccomando»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Perch_i_no_spero,Perch'i' no spero di tornar giammai,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUALUNQUE ... SIA,"'qualsiasi cosa vuoi che accada di me, quella voglio che sia'. Si tratta, come nell'incipit, di un'ovvia allusione a parole del Vangelo: e più che a Mc 14, 36 (non quod ego volo sed quod tu), alla risposta di Maria all'angelo in Lc 1, 38 ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum. E così come per il passo riecheggiato nell'incipit anche in questo caso l'adattamento del brano evangelico al contesto cortese s'incontra anche altrove nella poesia delle origini. BarbiMaggini rinviano a Voi che 'ntendendo 52 Amor, segnor verace, / ecco l'ancella tua; fa che ti piace [Cv II]; e a Cino, L'anima mia, che si va peregrina 5-6 davante li si pon meschina, / dicendo: ""Io voglio, Amor, ciò che tu vuoi"". Ma, nella generazione prestilnovista, cfr. già per esempio Paolo Lanfranchi, Un nobil 7-8 Ella dicea: ""Tu m'hai in tua bailia; / fa' di me, o amor, ciò che ti pare","Lc 1, 38 «ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUALUNQUE ... SIA,"'qualsiasi cosa vuoi che accada di me, quella voglio che sia'. Si tratta, come nell'incipit, di un'ovvia allusione a parole del Vangelo: e più che a Mc 14, 36 (non quod ego volo sed quod tu), alla risposta di Maria all'angelo in Lc 1, 38 ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum. E così come per il passo riecheggiato nell'incipit anche in questo caso l'adattamento del brano evangelico al contesto cortese s'incontra anche altrove nella poesia delle origini. BarbiMaggini rinviano a Voi che 'ntendendo 52 Amor, segnor verace, / ecco l'ancella tua; fa che ti piace [Cv II]; e a Cino, L'anima mia, che si va peregrina 5-6 davante li si pon meschina, / dicendo: ""Io voglio, Amor, ciò che tu vuoi"". Ma, nella generazione prestilnovista, cfr. già per esempio Paolo Lanfranchi, Un nobil 7-8 Ella dicea: ""Tu m'hai in tua bailia; / fa' di me, o amor, ciò che ti pare","Mc 14, 36 («non quod ego volo sed quod tu»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +QUALUNQUE ... SIA,"'qualsiasi cosa vuoi che accada di me, quella voglio che sia'. Si tratta, come nell'incipit, di un'ovvia allusione a parole del Vangelo: e più che a Mc 14, 36 (non quod ego volo sed quod tu), alla risposta di Maria all'angelo in Lc 1, 38 ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum. E così come per il passo riecheggiato nell'incipit anche in questo caso l'adattamento del brano evangelico al contesto cortese s'incontra anche altrove nella poesia delle origini. BarbiMaggini rinviano a Voi che 'ntendendo 52 Amor, segnor verace, / ecco l'ancella tua; fa che ti piace [Cv II]; e a Cino, L'anima mia, che si va peregrina 5-6 davante li si pon meschina, / dicendo: ""Io voglio, Amor, ciò che tu vuoi"". Ma, nella generazione prestilnovista, cfr. già per esempio Paolo Lanfranchi, Un nobil 7-8 Ella dicea: ""Tu m'hai in tua bailia; / fa' di me, o amor, ciò che ti pare","Cino, L'anima mia, che si va peregrina 5-6 «davante li si pon meschina, / dicendo: ""Io voglio, Amor, ciò che tu vuoi""».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_anima_mia_che_si_va_peregrina,"L'anima mia, che si va peregrina",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUALUNQUE ... SIA,"'qualsiasi cosa vuoi che accada di me, quella voglio che sia'. Si tratta, come nell'incipit, di un'ovvia allusione a parole del Vangelo: e più che a Mc 14, 36 (non quod ego volo sed quod tu), alla risposta di Maria all'angelo in Lc 1, 38 ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum. E così come per il passo riecheggiato nell'incipit anche in questo caso l'adattamento del brano evangelico al contesto cortese s'incontra anche altrove nella poesia delle origini. BarbiMaggini rinviano a Voi che 'ntendendo 52 Amor, segnor verace, / ecco l'ancella tua; fa che ti piace [Cv II]; e a Cino, L'anima mia, che si va peregrina 5-6 davante li si pon meschina, / dicendo: ""Io voglio, Amor, ciò che tu vuoi"". Ma, nella generazione prestilnovista, cfr. già per esempio Paolo Lanfranchi, Un nobil 7-8 Ella dicea: ""Tu m'hai in tua bailia; / fa' di me, o amor, ciò che ti pare","Un nobil 7-8 «Ella dicea: ""Tu m'hai in tua bailia; / fa' di me, o amor, ciò che ti pare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Un_nobil_e_gentil_imaginare,Un nobil e gentil imaginare,Paolo Lanfranchi da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Paolo_Lanfranchi_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +TORTO,"'ingiustizia'. Anche questa, l'essere nemica di ogni ingiustizia, è una qualità che compete piuttosto a una dea o a una santa che a una creatura terrena (ricorda un po' l'epiteto di Lucia in If II 100 nimica di ciascun crudele); la stessa formula, con anche il verbo dispiacere, si trova per esempio in Iacopone, Coll'occhi c'aio nel capo 24 l'alma no'l vede, ma sente che li desplace onne rio. 10-1","Iacopone, Coll'occhi c'aio nel capo 24 «l'alma no'l vede, ma sente che li desplace onne rio».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Coll_occhi_c_aio_nel_capo,Coll'occhi c'aio nel capo,Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +PERÒ LA MORTE ... AMARA,"'perciò la morte, che non ho meritato, mi entra nel cuore molto più amara', ossia, convertendo come sempre l'astratto in concreto, 'muoio con molta maggiore amarezza'. Il ragionamento è sottile: il poeta si duole della propria morte non solo perché non l'ha meritata, ma anche perché questa sproporzione tra merito e pena è, in sé, un'ingiustizia, e la donna amata, come si dice al v. 9, è nemica delle ingiustizie: onde il dispiacere che questa morte ingiusta le arrecherà. Per l'immagine della morte che entra nel cuore cfr. Bernardo, io veggio 9-10 Questo assedio grande ha posto Morte, / per conquider la vita, intorno al core","Bernardo, io veggio 9-10 «Questo assedio grande ha posto Morte, / per conquider la vita, intorno al core».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_veggio,"Bernardo, io veggio ch'una donna vene",Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MENTR(E),"'finché', come in provenzale: cfr. Falquet de Romans, Quan ben mi soi perpensatz 28-9 ""Doncx gara com obraras, / mentre que vida-t soste"".","Falquet de Romans, Quan ben mi soi perpensatz 28-9 «Doncx gara com obraras, / mentre que vida-t soste».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quan_ben_mi_soi_perpensatz,Quan ben mi soi perpensatz,Falquet de Romans,http://dbpedia.org/resource/Falquet_de_Romans,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CONSOLATO IN PACE,"'pacificato': cfr. Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 66 io sconsolato me n'andrò in pace (Iovine).","Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 66 «io sconsolato me n'andrò in pace»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_se_l_prego,"Donna, se 'l prego de la mente mia",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +M'INCRESCE,"'ho compassione' (Contini), come più avanti al v. 70; il poeta prova pietà per se stesso, come per esempio in Cavalcanti, A me stesso di me 1-2 A me stesso di me pietate vène / per la dolente angoscia ch'i' mi veggio (Contini)","Cavalcanti, A me stesso di me 1-2 «A me stesso di me pietate vène / per la dolente angoscia ch'i' mi veggio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_me_stesso,A me stesso di me pietate vène,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PIANI,"'amichevoli', nella lingua dello Stilnovo spesso in associazione (di solito in coppia) con aggettivi che indicano mansuetudine, gentilezza: benigna e piana (Di donne io vidi 10), giovane e piana (Donne ch'avete 60)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +MA POI,"la donna cambia repentinamente atteggiamento quando vede che l'uomo si fa avanti. Una dinamica analoga, come notano BarbiMaggini, è descritta in Amor, tu vedi 4-6 poi s'accorse ch'ell'era mia donna / per lo tuo raggio che al volto mi luce, / d'ogni crudelità si fece donna (e si aggiunga, di Dante, In abito di saggia 5-9: la poesia nasce insomma dalla riflessione sulla differenza tra un passato felice e un presente doloroso). Ma si tratta di una situazionetipo già nei trovatori: cfr. Arnaut Catalan, Lanqan vinc en Lombardia 9-16 Autan, qan vas leis venia, / m'era sos bels cors ioios, / dous e de bella paria, / e francs e de bell respos. / E pos saup qe ses enian / l'amava e la temia, / anc pueis no·m fes bell semblan / aissi con far lo·m solia","Arnaut Catalan, Lanqan vinc en Lombardia 9-16 «Autan, qan vas leis venia, / m'era sos bels cors ioios, / dous e de bella paria, / e francs e de bell respos. / E pos saup qe ses enian / l'amava e la temia, / anc pueis no·m fes bell semblan / aissi con far lo·m solia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lanqan_vinc_en_Lombardia,Lanqan vinc en Lombardia,Arnaut Catalan,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_Catalan,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +(I)NSEGNE D'AMOR,"'vessilli, stendardi', all'interno della metafora per cui l'amore è una milizia e l'amante un soldato, giusta per esempio Ovidio, Ars amatoria II 233-4 Militiae species amor est: discedite, segnes; / non sunt haec timidis signa tuenda viris; o Tibullo, I I 75-6 Hic ego dux milesque bonus: vos, signa tubaeque [di Amore, appunto], / ite procul. L'immagine ricorre spesso negli stilnovisti: cfr. Gianni Alfani, Donne, la donna mia 13-4 [il cuore] non si sciolse mai per altra insegna / che vedesse d'Amor (cioè per un'altra donna)","Ovidio, Ars amatoria II 233-4 «Militiae species amor est: discedite, segnes; / non sunt haec timidis signa tuenda viris»; o Ti- bullo, I I 75-6 «Hic ego dux milesque bonus: vos, signa tubaeque [di Amore, appunto], / ite procul»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ars_Amatoria,Ars amatoria,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +(I)NSEGNE D'AMOR,"'vessilli, stendardi', all'interno della metafora per cui l'amore è una milizia e l'amante un soldato, giusta per esempio Ovidio, Ars amatoria II 233-4 Militiae species amor est: discedite, segnes; / non sunt haec timidis signa tuenda viris; o Tibullo, I I 75-6 Hic ego dux milesque bonus: vos, signa tubaeque [di Amore, appunto], / ite procul. L'immagine ricorre spesso negli stilnovisti: cfr. Gianni Alfani, Donne, la donna mia 13-4 [il cuore] non si sciolse mai per altra insegna / che vedesse d'Amor (cioè per un'altra donna)","Gianni Alfani, Donne, la donna mia 13-4 «[il cuore] non si sciolse mai per altra insegna / che vedesse d'Amor»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donne_la_donna_mia,"Donne, la donna mia ha d'un disdegno",Gianni Alfani,http://it.dbpedia.org/resource/Gianni_Alfani,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PUR UNA FÏATA,"'neppure una volta'; molto simile, nelle parole non nel concetto, un passo di Lapo Gianni, Angioletta in sembianza 15-7 Non fuoro gli occhi miei / ne la sua vista una fïata ancora, / ch'egli avesser vigore.","Lapo Gianni, Angioletta in sembianza 15-7 «Non fuoro gli occhi miei / ne la sua vista una fïata an- cora, / ch'egli avesser vigore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Angioletta_in_sembianza,Angioletta in sembianza,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LO CORE ... SPOSATA,"l'idea che il cuore sia la sede dell'anima, già aristotelica, è poi comune nella tradizione medica medievale (cfr. Siraisi 1981, pp. 171 e 318): e Dante dirà appunto che è ne la secretissima camera de lo cuore che risiede lo spirito de la vita, l'anima (Vn II 4). Anche l'immagine del matrimonio [Cv IV] è topica in letteratura, ma l'unione si dà piuttosto tra l'anima e il corpo: Le dolci rime 123 [L'anima] ch'al corpo si sposa; Il libro di Sidrac lo corpo e l'anima sono due isposi che molto s'amano e che giammai non si vorrebbero partire (citato da BarbiMaggini).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +LO CORE ... SPOSATA,"l'idea che il cuore sia la sede dell'anima, già aristotelica, è poi comune nella tradizione medica medievale (cfr. Siraisi 1981, pp. 171 e 318): e Dante dirà appunto che è ne la secretissima camera de lo cuore che risiede lo spirito de la vita, l'anima (Vn II 4). Anche l'immagine del matrimonio [Cv IV] è topica in letteratura, ma l'unione si dà piuttosto tra l'anima e il corpo: Le dolci rime 123 [L'anima] ch'al corpo si sposa; Il libro di Sidrac lo corpo e l'anima sono due isposi che molto s'amano e che giammai non si vorrebbero partire (citato da BarbiMaggini).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/770,CONCEPT +LO CORE ... SPOSATA,"l'idea che il cuore sia la sede dell'anima, già aristotelica, è poi comune nella tradizione medica medievale (cfr. Siraisi 1981, pp. 171 e 318): e Dante dirà appunto che è ne la secretissima camera de lo cuore che risiede lo spirito de la vita, l'anima (Vn II 4). Anche l'immagine del matrimonio [Cv IV] è topica in letteratura, ma l'unione si dà piuttosto tra l'anima e il corpo: Le dolci rime 123 [L'anima] ch'al corpo si sposa; Il libro di Sidrac lo corpo e l'anima sono due isposi che molto s'amano e che giammai non si vorrebbero partire (citato da BarbiMaggini).",Il libro di Sidrac «lo corpo e l'anima sono due isposi che molto s'amano e che giammai non si vorrebbero partire»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Sydrac,Il libro di Sidrac,,,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +PARTIR,"è il verbo usato regolarmente quando si parla dell'uscita dell'anima dal corpo, sia nelle iperboli della lirica cortese (cfr. Li occhi dolenti 29-30 Partissi de la sua bella persona / piena di grazia l'anima gentile) sia nella poesia religiosa (cfr. Iacopone [?], Sorelle, prègovo per mi' amore 22-3 l'alma k'era de te gaudente / mo·sse departe dal cor dolente, ed. Bettarini 1969b)","(cfr. Iacopone [?], Sorelle, prègovo per mi' amore 22-3 «l'alma k'era de te gaudente / mo·sse departe dal cor dolente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sorelle_pregovo,"Sorelle, prègovo per mi' amore",,,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +LA CONVIENE,"costruzione del verbo con l'accusativo al posto del dativo (le conviene), come in antico francese e in italiano ... fino ai tempi del Boccaccio (Contini); per l'idea di necessità che il verbo porta con sé cfr. Chiaro, Amore, io non mi doglio 48-9 ""Già son venuto al passo / che mi conven morire inamorato"".","Chiaro, Amore, io non mi doglio 48-9 «Già son venuto al passo / che mi conven morire inamorato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amore_io_non_mi_doglio,"Amore, io non mi doglio",Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +INNAMORATA ... PIANGENDO,"la lirica stilnovista tende spesso a far gravare sulle membra, o sulle funzioni vitali, il peso delle passioni: Voi che 'ntendendo 30-2 L'anima piange, sì ancor len dole, / e dice: ""Oh lassa a me, come si fugge / questo piatoso che m'ha consolata!"" [Cv II]",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +CHÉ ... AMORE,"che polivalente (cfr. D'Achille 1990, pp. 224-6), a metà tra ripresa relativa ('la quale sconsolata viene cacciata') e congiunzione causale ('dal momento che Amore la caccia'). L'idea di Amore crudele ispira un filone cospicuo della lirica duecentesca (cfr. Giunta 1998, p. 247), e in particolare, per l'effrazione di Amore che allontana l'anima dal corpo spegnendo la vita, cfr. Gianni Alfani, Donne, la donna mia 15-7 [la donna] tese / lo su' arco ad Amore, / col qual ne pinge l'anima de fòre; e lo stesso Dante, Con l'altre donne 9-11 [Amore] fere tra ' miei spiriti paurosi, / e quale ancide, e qual pinge di fore, / sì che solo remane a veder vui.","Gianni Alfani, Don- ne, la donna mia 15-7 «[la donna] tese / lo su' arco ad Amore, / col qual ne pinge l'anima de fòre»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donne_la_donna_mia,"Donne, la donna mia ha d'un disdegno",Gianni Alfani,http://it.dbpedia.org/resource/Gianni_Alfani,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +RISTRETTA,"'asserragliata' (soggetto è l'anima); immagine bellica, che richiama la dinamica dell'assedio e della resistenza che gli assediati e i loro alleati (con quella vita) oppongono agli assalitori (qui Amore) nella città o nella fortezza (qui il cuore): Matteo Villani, Cronica V 18 Messer Galeotto si ristrinse co' suoi combattendo co' nemici","Matteo Villani, Cronica V 18 «Messer Galeotto si ristrinse co' suoi combattendo co' nemici»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nova_Cronica,Nova Cronica,Giovanni Villani,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_Villani,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +QUELLA VITA,"la vita è sentita come un bene quantificabile, che può scemare e non solo, di colpo, annullarsi, sicché si può essere più o meno vivi (cfr. per esempio Cino, Novellamente 10-1 quel poco che di vita / gli rimase): dunque, diremmo oggi, 'forza vitale'.","Cino, Novellamente 10-1 «quel poco che di vita / gli rimase»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Novellamente_Amor,Novellamente Amor mi giura e dice,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SPESSAMENTE ABRACCIA,"'continua ad abbracciare' (per la scempia cfr. la nota a La dispietata mente 37). Visione antropomorfa dell'anima, che abbraccia gli spiriti, come in Lapo Gianni, Nel vostro viso 13-4 e 'l cor con allegrezza / l'abraccia, poi ch'e' 'l fece virtuoso.","Lapo Gianni, Nel vostro viso 13-4 «e 'l cor con allegrezza / l'abraccia, poi ch'e' 'l fece virtuoso»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Nel_vostro_viso_angelico_amoroso,Nel vostro viso angelico amoroso,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SPIRITI,"nella fisiologia antica e medievale sono i sottilissimi fluidi generati nel cuore che regolano le funzioni del corpo e, più in generale, la vita psicofisica (dunque anche la meccanica delle passioni): quando proviamo le emozioni di paura o tristezza, il sangue e gli spiritus lasciano le membra e tornano al o verso il cuore (Thorndike 1923-41, III, p. 448); e di spiriti trattati come esseri in carne e ossa è notoriamente piena la lirica stilnovista, da Dante a Cino a – soprattutto – Cavalcanti",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +SPIRITI,"nella fisiologia antica e medievale sono i sottilissimi fluidi generati nel cuore che regolano le funzioni del corpo e, più in generale, la vita psicofisica (dunque anche la meccanica delle passioni): quando proviamo le emozioni di paura o tristezza, il sangue e gli spiritus lasciano le membra e tornano al o verso il cuore (Thorndike 1923-41, III, p. 448); e di spiriti trattati come esseri in carne e ossa è notoriamente piena la lirica stilnovista, da Dante a Cino a – soprattutto – Cavalcanti",,CONCORDANZA GENERICA,,,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +SPIRITI,"nella fisiologia antica e medievale sono i sottilissimi fluidi generati nel cuore che regolano le funzioni del corpo e, più in generale, la vita psicofisica (dunque anche la meccanica delle passioni): quando proviamo le emozioni di paura o tristezza, il sangue e gli spiritus lasciano le membra e tornano al o verso il cuore (Thorndike 1923-41, III, p. 448); e di spiriti trattati come esseri in carne e ossa è notoriamente piena la lirica stilnovista, da Dante a Cino a – soprattutto – Cavalcanti",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +L'IMAGINE,"non c'entra tanto l'idea della donna che sta in cima ai pensieri, come nel sonetto Due donne (citato da BarbiMaggini) o in Così nel mio parlar 16-7 (come fior di fronda, / così de la mia mente tien la cima), quanto la dottrina classica della reminiscenza come immagine della cosa veduta e conservata nella memoria: cfr. Aristotele, De memoria et reminiscentia 450a 1-5; e Agostino, De trinitate XI VII 11 Sed cum cogitatur, ex illa quam memoria tenet, exprimitur in acie cogitantis, et reminiscendo formatur ea species, quae quasi proles est eius quam memoria tenet. Quanto a Dante, il rinvio più pertinente è quello di Contini a Vn II 9, dove si trova la stessa idea espressa qui ai vv. 43-4: la sua imagine ... continuatamente meco stava","Aristotele, De memoria et reminiscentia 450a 1-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_memoria_et_reminiscentia(Aristotele),De memoria et reminiscentia (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +L'IMAGINE,"non c'entra tanto l'idea della donna che sta in cima ai pensieri, come nel sonetto Due donne (citato da BarbiMaggini) o in Così nel mio parlar 16-7 (come fior di fronda, / così de la mia mente tien la cima), quanto la dottrina classica della reminiscenza come immagine della cosa veduta e conservata nella memoria: cfr. Aristotele, De memoria et reminiscentia 450a 1-5; e Agostino, De trinitate XI VII 11 Sed cum cogitatur, ex illa quam memoria tenet, exprimitur in acie cogitantis, et reminiscendo formatur ea species, quae quasi proles est eius quam memoria tenet. Quanto a Dante, il rinvio più pertinente è quello di Contini a Vn II 9, dove si trova la stessa idea espressa qui ai vv. 43-4: la sua imagine ... continuatamente meco stava","Agostino, De trinitate XI VII 11 «Sed cum cogitatur, ex illa quam memoria tenet, exprimitur in acie cogitantis, et reminiscendo formatur ea species, quae quasi proles est eius quam memoria tenet»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Trinity,De trinitate libri XV,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +PESA,"'dispiace', secondo una metafora corrente: cfr. Guittone, Certo, Guitton, de lo mal tuo mi pesa (e la nota di Leonardi 1994, p. 177)","Guittone, Certo, Guitton, de lo mal tuo mi pesa",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Certo_Guitton,"Certo, Guitton, de lo mal tuo mi pesa",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +RIDA,"'sorrida'; per la clausola cfr. Dino Frescobaldi, Quest'è la giovanetta ch'Amor guida 5 Vielle dinanzi Amor, che par che rida (Brugnolo). 49-50","Dino Frescobaldi, Quest'è la giovanetta ch'Amor guida 5 «Vielle dinanzi Amor, che par che rida»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quest_e_la_giovanetta,Quest'è la giovanetta ch'Amor guida,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MICIDIALI,"per la forza omicida degli occhi cfr. per esempio Amor, da che convien 45 li occhi che m'ancidono a gran torto e l'episodio narrato in Vn XIV 4-6, in cui Dante incrocia lo sguardo di Beatrice restando folgorato. L'immagine viene dai poeti siciliani: Rinaldo d'Aquino (sguardi micidiali), Piero della Vigna (cogli occhi suo' micidari)",sguardi micidiali v.34,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amorosa_donna_fina,Amorosa donna fina,Rinaldo d'Aquino,http://it.dbpedia.org/resource/Rinaldo_d'Aquino,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +MICIDIALI,"per la forza omicida degli occhi cfr. per esempio Amor, da che convien 45 li occhi che m'ancidono a gran torto e l'episodio narrato in Vn XIV 4-6, in cui Dante incrocia lo sguardo di Beatrice restando folgorato. L'immagine viene dai poeti siciliani: Rinaldo d'Aquino (sguardi micidiali), Piero della Vigna (cogli occhi suo' micidari)",cogli occhi suo' micidari v.14,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Uno_piasente_isguardo,Uno piasente isguardo,Pier della Vigna,http://dbpedia.org/resource/Pietro_della_Vigna,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +VANNE,"'Vattene'. L'innesto di battute di discorso diretto attribuite alle membra o, come qui, alle passioni personificate è tipico della lirica stilnovista; cfr. lo stesso Dante, Era venuta 8 e [Amore] diceva a' sospiri: ""Andate fore"". In particolare, l'invito rivolto all'anima perché fugga via si trova quasi identico in Dino Frescobaldi, Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento 39-41 [Amore] apre verso questo fianco aperto / dicendo: ""Fuggi!"" all'anima, ""ché sai / che campar nol potrai"".","Dino Frescobaldi, Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento vv.39-41 «[Amore] apre verso questo fianco aperto / dicendo: ""Fuggi!"" all'anima, ""ché sai / che campar nol potrai""».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poscia_che_dir_conviemmi,Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DESIRE,"è l'immagine della donna amata, trattata come un personaggio che, insediato nella mente, parla e agisce: per questa identificazione cfr. O dolci rime 14 dicendo: ""Ov'è 'l disio de li occhi miei?"" (il disio essendo appunto la donna gentile). La personificazione del desiderio, se non davvero topica, non è rara nella poesia del tempo di Dante: cfr. Guido Novello da Polenta, Un penser ne la mente mia se chiude 5-7 nel mezo del meo core / ha un desio, che la vostra persona / entro vel pose co le man d'Amore; Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 59-61 e la speranza vede scapigliata / sopra 'l disio ch'ieri / d'angoscia cadde tramortito e steso.","Guido Novello da Polenta, Un penser ne la mente mia se chiude 5-7 «nel mezo del meo core / ha un desio, che la vostra persona / entro vel pose co le man d'Amore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Un_penser_ne_la_mia_mente,Un penser ne la mente mia se chiude,Guido Novello da Polenta,http://dbpedia.org/resource/Guido_II_da_Polenta,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DESIRE,"è l'immagine della donna amata, trattata come un personaggio che, insediato nella mente, parla e agisce: per questa identificazione cfr. O dolci rime 14 dicendo: ""Ov'è 'l disio de li occhi miei?"" (il disio essendo appunto la donna gentile). La personificazione del desiderio, se non davvero topica, non è rara nella poesia del tempo di Dante: cfr. Guido Novello da Polenta, Un penser ne la mente mia se chiude 5-7 nel mezo del meo core / ha un desio, che la vostra persona / entro vel pose co le man d'Amore; Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 59-61 e la speranza vede scapigliata / sopra 'l disio ch'ieri / d'angoscia cadde tramortito e steso.","Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 59-61 «e la speranza vede scapigliata / sopra 'l disio ch'ieri / d'angoscia cadde tramortito e steso»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Morte_avversara_poich_io_son_contento,"Morte avversara, poich'io son contento",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LO GIORNO,"avvio narrativo analogo a Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 19 Morte, lo giorno ch'io gli occhi levai (Brugnolo)","Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 19 «Morte, lo giorno ch'io gli oc- chi levai»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Morte_avversara_poich_io_son_contento,"Morte avversara, poich'io son contento",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NEL MONDO VENNE,"non 'fece la sua comparsa in società', come alcuni hanno proposto pensando a Vn II 2, quando Dante incontra Beatrice giovanissima, ma proprio 'nacque', come in Monte, Ai come spento son, oïmè lasso 11 quell'or ch'io prima in questo mondo venni.","Monte, Ai come spento son, oïmè lasso 11 «quell'or ch'io prima in questo mondo venni».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ai_come_spento_son,"Ai come spento son, oïmè lasso",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LIBRO DELLA MENTE,"il libro della memoria, cioè la memoria stessa (dato che mente può significare anche 'memoria'): la mente, scrive Ugo di San Vittore, est quod liber, et quasi in libro scribitur, quod in mente per memoriam retentum non deletur (citato da Singleton 1968, pp. 40-1 nota 1). Per la storia del topos cfr. tra l'altro Curtius 1997, pp. 361-3; Dronke 1974, pp. 123-4; Branca 1969; Fenzi 2005; la stessa metafora apre, come si sa, la Vita Nova (In quella parte del libro de la mia memoria) e torna poi più volte nell'opera dantesca (cfr. A. Maierù in ED, s.v. memoria)","Ugo di San Vittore, «est quod liber, et quasi in libro scribitur, quod in mente per memoriam retentum non deletur»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Explanatio_super_Canticum_Marie,Explanatio super Canticum Mariae,Ugo da San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +SOSTENNE ... NOVA,"'subì', o meglio 'fece esperienza di un'eccezionale, inaudita (nova) passione'. È un sintagma fisso nel repertorio sacro (Pseudo-Uguccione, Storia 197 [Cristo] sostene fiera passione, in CLPIO, pp. 59-68) e laudistico (Ore plangamo 83 Pro vuy sostinni la passione, ed. Varanini 1972, pp. 30-7; e ivi, p. 70: sì sostenne passïone), quindi nella letteratura profana (Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 41 e sostenni passione in ciascun membro). Quanto a passione, come osserva Auerbach 1987, p. 143, il termine pathos significa, nella terminologia psicologica aristotelica, tutto ciò che viene percepito, ricevuto o sofferto passivamente: impressione sensoriale e percezione, sensazione ed esperienza, sentimento più o meno forte. La parola passione si è dunque potuta intendere come 'malattia' fino al Rinascimento, come 'patimenti (passione) di Cristo' fino ad oggi, e come 'sentimento' o 'sensazione', secondo i casi, nella tradizione psicologica dell'aristotelismo, la cui terminologia si è conservata con straordinaria tenacia. Contrariamente a quanto sembra ritenere Auerbach, che cita e commenta questo verso di E' m'incresce di me, il significato di passione nel passo dantesco è appunto il primo dei tre indicati: sofferenza, accidente, improvvisa affezione delle facoltà vitali, e insomma pathos, senza alcun rapporto con la mistica morte per amore (Auerbach 1987, p. 152) o con l'attuale più comune accezione del termine ('forte e attiva propensione verso qualcuno o qualcosa'). È un fenomeno che riguarda innanzitutto il corpo, poi l'anima, come spiega Tommaso: passio non accidit coniuncto ex corpore et anima nisi ratione corporis (De veritate, qu. 26 a. 2 ad 4); passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis. Quae quidem invenitur in actibus appetitus sensitivi (ST I-IIae, qu. XXII a. 3 resp.): moto dell'appetito sensitivo che implica una transmutatio corporalis in deterius, ovvero un'alterazione del composto anima-corpo (cfr. Sciuto 1999, p. 78).","(Pseudo-Uguccione, Storia 197 «[Cristo] sostene fiera passione», in CLPIO, pp. 59-68)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Istoria_(Uguccione_ps),Istoria,Uguccione (ps.),http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Uguccione_(ps),http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +SOSTENNE ... NOVA,"'subì', o meglio 'fece esperienza di un'eccezionale, inaudita (nova) passione'. È un sintagma fisso nel repertorio sacro (Pseudo-Uguccione, Storia 197 [Cristo] sostene fiera passione, in CLPIO, pp. 59-68) e laudistico (Ore plangamo 83 Pro vuy sostinni la passione, ed. Varanini 1972, pp. 30-7; e ivi, p. 70: sì sostenne passïone), quindi nella letteratura profana (Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 41 e sostenni passione in ciascun membro). Quanto a passione, come osserva Auerbach 1987, p. 143, il termine pathos significa, nella terminologia psicologica aristotelica, tutto ciò che viene percepito, ricevuto o sofferto passivamente: impressione sensoriale e percezione, sensazione ed esperienza, sentimento più o meno forte. La parola passione si è dunque potuta intendere come 'malattia' fino al Rinascimento, come 'patimenti (passione) di Cristo' fino ad oggi, e come 'sentimento' o 'sensazione', secondo i casi, nella tradizione psicologica dell'aristotelismo, la cui terminologia si è conservata con straordinaria tenacia. Contrariamente a quanto sembra ritenere Auerbach, che cita e commenta questo verso di E' m'incresce di me, il significato di passione nel passo dantesco è appunto il primo dei tre indicati: sofferenza, accidente, improvvisa affezione delle facoltà vitali, e insomma pathos, senza alcun rapporto con la mistica morte per amore (Auerbach 1987, p. 152) o con l'attuale più comune accezione del termine ('forte e attiva propensione verso qualcuno o qualcosa'). È un fenomeno che riguarda innanzitutto il corpo, poi l'anima, come spiega Tommaso: passio non accidit coniuncto ex corpore et anima nisi ratione corporis (De veritate, qu. 26 a. 2 ad 4); passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis. Quae quidem invenitur in actibus appetitus sensitivi (ST I-IIae, qu. XXII a. 3 resp.): moto dell'appetito sensitivo che implica una transmutatio corporalis in deterius, ovvero un'alterazione del composto anima-corpo (cfr. Sciuto 1999, p. 78).",Ore plangamo 83 «Pro vuy sostinni la passione»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lamentatio_beate_Marie_de_filio,Lamentatio beate Marie de Filio,,,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +SOSTENNE ... NOVA,"'subì', o meglio 'fece esperienza di un'eccezionale, inaudita (nova) passione'. È un sintagma fisso nel repertorio sacro (Pseudo-Uguccione, Storia 197 [Cristo] sostene fiera passione, in CLPIO, pp. 59-68) e laudistico (Ore plangamo 83 Pro vuy sostinni la passione, ed. Varanini 1972, pp. 30-7; e ivi, p. 70: sì sostenne passïone), quindi nella letteratura profana (Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 41 e sostenni passione in ciascun membro). Quanto a passione, come osserva Auerbach 1987, p. 143, il termine pathos significa, nella terminologia psicologica aristotelica, tutto ciò che viene percepito, ricevuto o sofferto passivamente: impressione sensoriale e percezione, sensazione ed esperienza, sentimento più o meno forte. La parola passione si è dunque potuta intendere come 'malattia' fino al Rinascimento, come 'patimenti (passione) di Cristo' fino ad oggi, e come 'sentimento' o 'sensazione', secondo i casi, nella tradizione psicologica dell'aristotelismo, la cui terminologia si è conservata con straordinaria tenacia. Contrariamente a quanto sembra ritenere Auerbach, che cita e commenta questo verso di E' m'incresce di me, il significato di passione nel passo dantesco è appunto il primo dei tre indicati: sofferenza, accidente, improvvisa affezione delle facoltà vitali, e insomma pathos, senza alcun rapporto con la mistica morte per amore (Auerbach 1987, p. 152) o con l'attuale più comune accezione del termine ('forte e attiva propensione verso qualcuno o qualcosa'). È un fenomeno che riguarda innanzitutto il corpo, poi l'anima, come spiega Tommaso: passio non accidit coniuncto ex corpore et anima nisi ratione corporis (De veritate, qu. 26 a. 2 ad 4); passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis. Quae quidem invenitur in actibus appetitus sensitivi (ST I-IIae, qu. XXII a. 3 resp.): moto dell'appetito sensitivo che implica una transmutatio corporalis in deterius, ovvero un'alterazione del composto anima-corpo (cfr. Sciuto 1999, p. 78).","Lapo Gian- ni, Donna, se 'l prego 41 «e sostenni passione in ciascun membro»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_se_l_prego,"Donna, se 'l prego de la mente mia",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SOSTENNE ... NOVA,"'subì', o meglio 'fece esperienza di un'eccezionale, inaudita (nova) passione'. È un sintagma fisso nel repertorio sacro (Pseudo-Uguccione, Storia 197 [Cristo] sostene fiera passione, in CLPIO, pp. 59-68) e laudistico (Ore plangamo 83 Pro vuy sostinni la passione, ed. Varanini 1972, pp. 30-7; e ivi, p. 70: sì sostenne passïone), quindi nella letteratura profana (Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 41 e sostenni passione in ciascun membro). Quanto a passione, come osserva Auerbach 1987, p. 143, il termine pathos significa, nella terminologia psicologica aristotelica, tutto ciò che viene percepito, ricevuto o sofferto passivamente: impressione sensoriale e percezione, sensazione ed esperienza, sentimento più o meno forte. La parola passione si è dunque potuta intendere come 'malattia' fino al Rinascimento, come 'patimenti (passione) di Cristo' fino ad oggi, e come 'sentimento' o 'sensazione', secondo i casi, nella tradizione psicologica dell'aristotelismo, la cui terminologia si è conservata con straordinaria tenacia. Contrariamente a quanto sembra ritenere Auerbach, che cita e commenta questo verso di E' m'incresce di me, il significato di passione nel passo dantesco è appunto il primo dei tre indicati: sofferenza, accidente, improvvisa affezione delle facoltà vitali, e insomma pathos, senza alcun rapporto con la mistica morte per amore (Auerbach 1987, p. 152) o con l'attuale più comune accezione del termine ('forte e attiva propensione verso qualcuno o qualcosa'). È un fenomeno che riguarda innanzitutto il corpo, poi l'anima, come spiega Tommaso: passio non accidit coniuncto ex corpore et anima nisi ratione corporis (De veritate, qu. 26 a. 2 ad 4); passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis. Quae quidem invenitur in actibus appetitus sensitivi (ST I-IIae, qu. XXII a. 3 resp.): moto dell'appetito sensitivo che implica una transmutatio corporalis in deterius, ovvero un'alterazione del composto anima-corpo (cfr. Sciuto 1999, p. 78).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +SOSTENNE ... NOVA,"'subì', o meglio 'fece esperienza di un'eccezionale, inaudita (nova) passione'. È un sintagma fisso nel repertorio sacro (Pseudo-Uguccione, Storia 197 [Cristo] sostene fiera passione, in CLPIO, pp. 59-68) e laudistico (Ore plangamo 83 Pro vuy sostinni la passione, ed. Varanini 1972, pp. 30-7; e ivi, p. 70: sì sostenne passïone), quindi nella letteratura profana (Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 41 e sostenni passione in ciascun membro). Quanto a passione, come osserva Auerbach 1987, p. 143, il termine pathos significa, nella terminologia psicologica aristotelica, tutto ciò che viene percepito, ricevuto o sofferto passivamente: impressione sensoriale e percezione, sensazione ed esperienza, sentimento più o meno forte. La parola passione si è dunque potuta intendere come 'malattia' fino al Rinascimento, come 'patimenti (passione) di Cristo' fino ad oggi, e come 'sentimento' o 'sensazione', secondo i casi, nella tradizione psicologica dell'aristotelismo, la cui terminologia si è conservata con straordinaria tenacia. Contrariamente a quanto sembra ritenere Auerbach, che cita e commenta questo verso di E' m'incresce di me, il significato di passione nel passo dantesco è appunto il primo dei tre indicati: sofferenza, accidente, improvvisa affezione delle facoltà vitali, e insomma pathos, senza alcun rapporto con la mistica morte per amore (Auerbach 1987, p. 152) o con l'attuale più comune accezione del termine ('forte e attiva propensione verso qualcuno o qualcosa'). È un fenomeno che riguarda innanzitutto il corpo, poi l'anima, come spiega Tommaso: passio non accidit coniuncto ex corpore et anima nisi ratione corporis (De veritate, qu. 26 a. 2 ad 4); passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis. Quae quidem invenitur in actibus appetitus sensitivi (ST I-IIae, qu. XXII a. 3 resp.): moto dell'appetito sensitivo che implica una transmutatio corporalis in deterius, ovvero un'alterazione del composto anima-corpo (cfr. Sciuto 1999, p. 78).","«passio non accidit coniuncto ex corpore et anima nisi ratione corporis» (De veritate, qu. 26 a. 2 ad 4)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Tommaso),Quaestiones disputatae de veritate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SOSTENNE ... NOVA,"'subì', o meglio 'fece esperienza di un'eccezionale, inaudita (nova) passione'. È un sintagma fisso nel repertorio sacro (Pseudo-Uguccione, Storia 197 [Cristo] sostene fiera passione, in CLPIO, pp. 59-68) e laudistico (Ore plangamo 83 Pro vuy sostinni la passione, ed. Varanini 1972, pp. 30-7; e ivi, p. 70: sì sostenne passïone), quindi nella letteratura profana (Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 41 e sostenni passione in ciascun membro). Quanto a passione, come osserva Auerbach 1987, p. 143, il termine pathos significa, nella terminologia psicologica aristotelica, tutto ciò che viene percepito, ricevuto o sofferto passivamente: impressione sensoriale e percezione, sensazione ed esperienza, sentimento più o meno forte. La parola passione si è dunque potuta intendere come 'malattia' fino al Rinascimento, come 'patimenti (passione) di Cristo' fino ad oggi, e come 'sentimento' o 'sensazione', secondo i casi, nella tradizione psicologica dell'aristotelismo, la cui terminologia si è conservata con straordinaria tenacia. Contrariamente a quanto sembra ritenere Auerbach, che cita e commenta questo verso di E' m'incresce di me, il significato di passione nel passo dantesco è appunto il primo dei tre indicati: sofferenza, accidente, improvvisa affezione delle facoltà vitali, e insomma pathos, senza alcun rapporto con la mistica morte per amore (Auerbach 1987, p. 152) o con l'attuale più comune accezione del termine ('forte e attiva propensione verso qualcuno o qualcosa'). È un fenomeno che riguarda innanzitutto il corpo, poi l'anima, come spiega Tommaso: passio non accidit coniuncto ex corpore et anima nisi ratione corporis (De veritate, qu. 26 a. 2 ad 4); passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis. Quae quidem invenitur in actibus appetitus sensitivi (ST I-IIae, qu. XXII a. 3 resp.): moto dell'appetito sensitivo che implica una transmutatio corporalis in deterius, ovvero un'alterazione del composto anima-corpo (cfr. Sciuto 1999, p. 78).","«passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis. Quae quidem invenitur in actibus ap- petitus sensitivi» (ST I-IIae, qu. XXII a. 3 resp.): moto dell'appetito sensitivo che implica una transmutatio corporalis in deterius",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +A TUTTE ... FRENO,"l'arresto delle funzioni vitali, il venir meno della coscienza, ricorda la diminutio o privatio sensus et motus che, nel linguaggio della medicina medievale, descrive le conseguenze dell'epilessia (cfr. De Renzi 1852-59, II, pp. 110-1; altre fonti in Tonelli 2004, pp. 73-4). E si parla di un freno perché nella loro normale attività le facoltà si considerano invece libere, cioè capaci di funzionare, alla luce non tanto di Vn II 6 (dopo l'apparizione di Beatrice) Heu miser! Quia frequenter impeditus ero deinceps, quanto di Vn XV 1-2, dove si discorre delle virtù libere, cioè delle facoltà attive: ""Ecco che tu fossi domandato da lei: che avrestù da rispondere, ponendo che tu avessi libera ciascuna tua vertude in quanto tu le rispondessi?"" E a costui rispondea un altro umile pensero, e dicea: ""S'io non perdessi le mie virtudi ...""",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/770,CONCEPT +VIRTÙ,"da Galeno e dai medici arabi viene una divisione ternaria delle forze vitali, o facoltà, o virtù, ciascuna situata in uno dei tre organi principali: la virtù naturale nel fegato, la virtù vitale nel cuore, la virtù psichica nel cervello (cfr. Jacquart 2003, p. 74). Dunque qui s'intenda la parola virtù al modo in cui la intende per esempio Dino del Garbo nel suo commento a Cavalcanti: nell'anima sunt virtutes que sunt potentie naturales eius ..., sicut sunt intellectus, voluntas, fantasia, extimativa, memoria et virtus sensitiva (ed. Fenzi 1999, § 47).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Galeno,http://dbpedia.org/resource/Galen,http://purl.org/bncf/tid/770,CONCEPT +VIRTÙ,"da Galeno e dai medici arabi viene una divisione ternaria delle forze vitali, o facoltà, o virtù, ciascuna situata in uno dei tre organi principali: la virtù naturale nel fegato, la virtù vitale nel cuore, la virtù psichica nel cervello (cfr. Jacquart 2003, p. 74). Dunque qui s'intenda la parola virtù al modo in cui la intende per esempio Dino del Garbo nel suo commento a Cavalcanti: nell'anima sunt virtutes que sunt potentie naturales eius ..., sicut sunt intellectus, voluntas, fantasia, extimativa, memoria et virtus sensitiva (ed. Fenzi 1999, § 47).","Dino del Garbo nel suo commento a Cavalcanti: nell'anima «sunt virtutes que sunt potentie na- turales eius ..., sicut sunt intellectus, voluntas, fantasia, extimativa, memoria et virtus sensitiva»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Scriptum_super_cantilena,Scriptum super cantilena guidonis de cavalcantibus,Dino del Garbo,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dino_del_Garbo,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +PER ... PERCOSSE,"ricorda il trasumanare descritto in Pd XXXIII 140-1 la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne. Ma qui si tratta più precisamente di quello che oggi chiamiamo colpo di fulmine, inteso non come metafora ma alla lettera: ci s'innamora perché una luce, un lampo colpisce il cuore; cfr. Dino Frescobaldi, Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento 46-9 Poi che nel cuor la percossa m'è giunta, / ed io rimango così nella vita / com'uom da cui partita / fosse ogn'altra vertù forte e sicura","Dino Fresco- baldi, Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento 46-9 «Poi che nel cuor la percossa m'è giunta, / ed io rimango così nella vita / com'uom da cui partita / fosse ogn'altra vertù forte e sicura»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poscia_che_dir_conviemmi,Poscia che dir conviemmi ciò ch'io sento,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SE ... ERRA,"zeppa per dire 'se il ricordo non mi tradisce, se non sbaglio', ma restando all'interno della metafora per cui il poeta copia o cita dal libro della memoria (mentre altrove, ferma restando la formula, sarà il libro vero e proprio dal quale l'autore ricava o dice di ricavare la sua storia: Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal 4548-9 Et se les paroles sont voires / si con li livres lo devise; Roman de la Rose 2987 Sachez, se la letre ne ment; Fiore CXII 4 co·le lor man, se·llo Scritto non erra; e così del resto anche in If XXVIII 12 come Livio scrive, che non erra).","Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal 4548-9 «Et se les paroles sont voires / si con li livres lo devise»; Roman de la Rose 2987 «Sachez, se la letre ne ment»",CONCORDANZA STRINGENTE,"http://dbpedia.org/resource/Perceval,_the_Story_of_the_Grail",Le Roman de Perceval ou le conte du Graal,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +LO SPIRITO MAGGIOR,"'lo spirito della vita', che ha sede nel cuore (Vn II 4). Per la dottrina che spiega il nome di maggiore cfr. Avicenna, De viribus cordis (citato in Jacquart 2003, p. 80): spiritus generales plures sunt numero, nihilominus unus ipsorum generatione primus est, qui secundum sententiam potiorem philosophorum generatur in corde et exinde procedendo manat et penetrat in cetera principalia membra in quibus, quando sufficienter permanserit, adipiscitur ibi complexionem particularem et propriam","Avicenna, De viribus cordis (citato in Jacquart 2003, p. 80): «spiri- tus generales plures sunt numero, nihilominus unus ipsorum genera- tione primus est, qui secundum sententiam potiorem philosophorum generatur in corde et exinde procedendo manat et penetrat in cete- ra principalia membra in quibus, quando sufficienter permanserit, adipiscitur ibi complexionem particularem et propriam».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/The_Canon_of_Medicine,Liber canonis medicinae,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +CHE PARVE ... FOSSE,"'che sembrò davvero (ben) che per lui la morte fosse arrivata in questo mondo'. De Robertis rinvia a questo passo molto simile di Lapo Gianni: Angelica figura novamente 11-4 e quando 'l sentîr giugner sì argoglioso, / e la presta percossa così forte, / temetter che la Morte / in quel punt'overasse 'l su' valore.","Lapo Gianni: Angelica figura novamente 11-4 «e quando 'l sentîr giugner sì argoglioso, / e la presta percossa così forte, / temetter che la Morte / in quel punt'overasse 'l su' valore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Angelica_figura_novamente,Angelica figura novamente,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUANDO ... BILTATE,"'Quando vidi la grande bellezza' (dopo il presentimento infantile, Dante incontra la donna): ma detto con enfasi, con il verbo delle epifanie celesti (e che nella Vita Nova e nelle Rime si applica a Beatrice: Vn II 5 Apparuit iam beatitudo vestra), e con una metonimia che isola il tratto più straordinario della donna, la sua gran biltate (per la forma, cfr. la nota a Madonna, quel signor 6); quasi perfetta la corrispondenza con Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 36 quando m'apparve vostra gran bellezza (Iovine).","Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 36 «quando m'apparve vostra gran bellezza»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_se_l_prego,"Donna, se 'l prego de la mente mia",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUELLA VIRTÙ,"secondo Contini, Mattalia, BarbiMaggini e FosterBoyde è la virtù intellettiva o ragionativa, alla luce di Cv III II 11-4, dove Dante riprende dal De anima di Aristotele la teoria delle tre potenze (non virtù!), la vegetativa, la sensitiva e (somma perché soltanto umana e divina) la ragionativa. Ma questa virtù che ha deciso il destino del poeta mirando nel piacere della donna sarà invece semplicemente la vista. Che sia essa la virtù, il senso superiore, è infatti nozione corrente nell'antichità e nel Medioevo, cfr. per esempio Bernardo Silvestre, De mundi universitate 41-4 Sol oculus mundi quantum communibus astris / praeminet et coelum vindicat usque suum, / non aliter sensus alios obscurat honore / visus, et in solo lumine totus homo est (citato in Gregory 1955, p. 172, con altri rimandi); Alano da Lilla, Anticlaudianus IV 95-6 (dove i cinque sensi sono paragonati a cinque cavalli) Primus equs cultu, forma cursuque sodales / prevenit et reliquos proprio summit honori (e la nota di Chiurco 2004, p. 370); e le osservazioni e i testi citati da Thorndike 1923-41, III, p. 448 e Lewis 1969, p. 94.","a teoria del- le tre potenze (non virtù!), la vegetativa, la sensitiva e (somma per- ché soltanto umana e divina) la ragionativa.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +QUELLA VIRTÙ,"secondo Contini, Mattalia, BarbiMaggini e FosterBoyde è la virtù intellettiva o ragionativa, alla luce di Cv III II 11-4, dove Dante riprende dal De anima di Aristotele la teoria delle tre potenze (non virtù!), la vegetativa, la sensitiva e (somma perché soltanto umana e divina) la ragionativa. Ma questa virtù che ha deciso il destino del poeta mirando nel piacere della donna sarà invece semplicemente la vista. Che sia essa la virtù, il senso superiore, è infatti nozione corrente nell'antichità e nel Medioevo, cfr. per esempio Bernardo Silvestre, De mundi universitate 41-4 Sol oculus mundi quantum communibus astris / praeminet et coelum vindicat usque suum, / non aliter sensus alios obscurat honore / visus, et in solo lumine totus homo est (citato in Gregory 1955, p. 172, con altri rimandi); Alano da Lilla, Anticlaudianus IV 95-6 (dove i cinque sensi sono paragonati a cinque cavalli) Primus equs cultu, forma cursuque sodales / prevenit et reliquos proprio summit honori (e la nota di Chiurco 2004, p. 370); e le osservazioni e i testi citati da Thorndike 1923-41, III, p. 448 e Lewis 1969, p. 94.","Bernardo Silvestre, De mundi universitate 41-4 «Sol oculus mundi quantum communibus astris / praeminet et coelum vindicat usque suum, / non aliter sensus alios obscurat honore / visus, et in solo lumine totus homo est»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cosmographia_(Bernard_Silvestris),De mundi universitate,Bernardo Silvestre,http://dbpedia.org/resource/Bernard_Silvestris,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +QUELLA VIRTÙ,"secondo Contini, Mattalia, BarbiMaggini e FosterBoyde è la virtù intellettiva o ragionativa, alla luce di Cv III II 11-4, dove Dante riprende dal De anima di Aristotele la teoria delle tre potenze (non virtù!), la vegetativa, la sensitiva e (somma perché soltanto umana e divina) la ragionativa. Ma questa virtù che ha deciso il destino del poeta mirando nel piacere della donna sarà invece semplicemente la vista. Che sia essa la virtù, il senso superiore, è infatti nozione corrente nell'antichità e nel Medioevo, cfr. per esempio Bernardo Silvestre, De mundi universitate 41-4 Sol oculus mundi quantum communibus astris / praeminet et coelum vindicat usque suum, / non aliter sensus alios obscurat honore / visus, et in solo lumine totus homo est (citato in Gregory 1955, p. 172, con altri rimandi); Alano da Lilla, Anticlaudianus IV 95-6 (dove i cinque sensi sono paragonati a cinque cavalli) Primus equs cultu, forma cursuque sodales / prevenit et reliquos proprio summit honori (e la nota di Chiurco 2004, p. 370); e le osservazioni e i testi citati da Thorndike 1923-41, III, p. 448 e Lewis 1969, p. 94.","Alano da Lilla, Anticlaudianus IV 95-6 (dove i cinque sensi sono paragonati a cinque cavalli) «Primus equs cultu, forma cursuque sodales / prevenit et reliquos proprio summit honori»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anticlaudianus,Anticlaudianus,Alano di Lilla,http://dbpedia.org/resource/Alain_de_Lille,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +NEL PIACERE,"'nella bellezza': cfr. Cino (a Dante), Avegna ched el m'aggia più per tempo 57-8 Mirate nel piacere, dove dimora / la vostra donna.","Cino (a Dante), Avegna ched el m'aggia più per tempo 57-8 «Mirate nel piacere, dove dimora / la vostra donna»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Avegna_ched_el_m_aggia,Avegna ched el m'aggia più per tempo,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PIANGENDO DISSE,"parole e lacrime vanno spesso insieme, già nella poesia dei trovatori (cfr. Vatteroni 2005), e in luoghi celebri come If V 126 dirò come colui che piange e dice o XXXIII 9 parlar e lagrimar vedrai insieme; ma per il costrutto cfr. più esattamente Vn II 6 [lo spirito naturale] piangendo disse queste parole.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +IN VECE ... PAURA,"'in vece, in rappresentanza di una donna che io ho visto, la sua bella immagine che già temo': il ricordo della donna impresso nella mente domina su tutte le facoltà vitali, come in Cavalcanti, Voi che per li occhi 7 riman figura sol en segnoria; e non diversa è la dinamica descritta in Giacomo da Lentini, Or come pote 11-2 Così per li occhi mi pass'a lo core / non la persona, ma la sua figura (BarbiMaggini).","Cavalcanti, Voi che per li occhi 7 «riman figura sol en segnoria»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Voi_che_per_li_occhi,Voi che per li occhi mi passaste 'l core,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +IN VECE ... PAURA,"'in vece, in rappresentanza di una donna che io ho visto, la sua bella immagine che già temo': il ricordo della donna impresso nella mente domina su tutte le facoltà vitali, come in Cavalcanti, Voi che per li occhi 7 riman figura sol en segnoria; e non diversa è la dinamica descritta in Giacomo da Lentini, Or come pote 11-2 Così per li occhi mi pass'a lo core / non la persona, ma la sua figura (BarbiMaggini).","Or come pote 11-2 «Così per li occhi mi pass'a lo core / non la persona, ma la sua figura»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Or_come_pote,Or come pote sì gran donna intrare,Giacomo da Lentini,http://dbpedia.org/resource/Giacomo_da_Lentini,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +GIOVANI DONNE,"nuovo conclusivo appello alle donne, molto simile a quello che conclude Onesto, Ai lasso, taupino, altro che lasso 42-50 (parla alla canzone) Vanne alle donne e gittati a lor piedi, / che preghin quella che aggia merzede / un poco, per Deo, della mia lassa vita, / ... / ma quanto per me posso le perdono.","Onesto, Ai lasso, taupino, altro che lasso 42-50 (parla alla canzone) «Vanne alle donne e gittati a lor piedi, / che preghin quella che aggia merzede / un poco, per Deo, della mia lassa vita, / ... / ma quanto per me posso le perdono».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ahi_lasso_taupino,"Ahi lasso taupino!, altro che lasso",Onesto degli Onesti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onesto_degli_Onesti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +(I)NNANZI A VOI PERDONO,"come in un testamento, in cui si lasciano i propri beni (qui i detti miei) e si perdona chi ci ha fatto del male (quella bella cosa). E qui in effetti le donne sono le testimoni di un atto all'interno del quale il congedo funge da dispositivo, e più precisamente sono le esecutrici testamentarie del poeta, ed egli fa queste dichiarazioni – come suona la locuzione dei verbali giudiziari e degli atti notarili – coram vobis, cioè appunto innanzi a voi (cfr. Dinanzi a voi ... io dico et spongo, Castellani 1987, p. 10). Per il motivo del perdono in punto di morte cfr. Dino Frescobaldi, Per gir verso la spera, la finice 22 a costei nel mi' finir perdono (Brugnolo).","Dino Frescobaldi, Per gir verso la spera, la finice 22 «a costei nel mi' finir per- dono»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_gir_verso_la_spera,"Per gir verso la spera, la finice",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +BELLA COSA,"perifrasi di gusto provenzale (dove cosa è 'creatura'): cfr. Folchetto, Us volers outracuidatz 61 A! dousa res covinens; e in Italia per esempio Cino, Veduto han gli occhi miei sì bella cosa.","Folchetto, Us volers outracuidatz 61 «A! dousa res covinens»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Us_volers_outracuidatz,Us volers outracuidatz,Folchetto di Marsiglia,http://dbpedia.org/resource/Folquet_de_Marselha,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +BELLA COSA,"perifrasi di gusto provenzale (dove cosa è 'creatura'): cfr. Folchetto, Us volers outracuidatz 61 A! dousa res covinens; e in Italia per esempio Cino, Veduto han gli occhi miei sì bella cosa.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Veduto_han_gli_occhi_miei,Veduto han gli occhi miei sì bella cosa,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LO DOLOROSO AMOR,"avvio discorsivo, piuttosto da prosa che da poesia, ovvero da poesia che ripete le medesime strutture sintattiche della prosa, ed è un modulo prestilnovista: cfr. Guittone, La dolorosa mente ched eo porto, o Noffo, Le dolorose pene che 'l meo core (ma anche lo stesso Dante, La dispietata mente che pur mira).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_dolorosa_mente,"La dolorosa mente, ched eo porto",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LO DOLOROSO AMOR,"avvio discorsivo, piuttosto da prosa che da poesia, ovvero da poesia che ripete le medesime strutture sintattiche della prosa, ed è un modulo prestilnovista: cfr. Guittone, La dolorosa mente ched eo porto, o Noffo, Le dolorose pene che 'l meo core (ma anche lo stesso Dante, La dispietata mente che pur mira).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Le_dolorose_pene,Le dolorose pene che 'l meo core,Noffo Bonaguide,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Noffo_Bonaguide,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +A FIN DI MORTE,"'a un passo dalla morte, sul punto di morire' (vari esempi analoghi in BarbiMaggini e nel corpus TLIO: Sai che per quello io ne venni in fine di morte [Sacchetti]; e finis mortis, con questo significato, si trova già nel latino medievale: cfr. per esempio Rolandino, Vita di Ezzelino III XV 35-6 usque ad finem mortis)","Rolandino, Vita di Ezzelino III XV 35-6 «usque ad finem mortis»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chronica_in_factis_et_circa_facta_Marchiae_Trivixane,Chronica in factis et circa facta Marchiae Trivixane,Rolandino da Padova,http://dbpedia.org/resource/Rolandino_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +COLPO,"metonimia per 'ferita' d'amore: cfr. Dino Frescobaldi, No spero di trovar giammai pietate 9 I' non ritrovo lor, ma 'l colpo aperto (Brugnolo)","Dino Frescobaldi, No spero di trovar giammai pietate 9 «I' non ritrovo lor, ma 'l colpo aperto»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/No_spero_di_trovar_giammai_pietate,No spero di trovar giammai pietate,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +LA QUAL ... GIOCO,"'il quale dolore è provocato dalla passione (foco) che mi ha allontanato dalla vita spensierata (gioco) che conducevo' (cfr. v. 3). È, tra le metafore usate da Dante nelle Rime, una di quelle che suonano più arcaiche, per le sue molte occorrenze tra i poeti siciliani e i siculo-toscani (esempi in BarbiMaggini).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/26261,CONCEPT +E 'L VIVER ... POCO,"'ormai la mia vita sarà breve', come in Cino, A vano sguardo e a falsi sembianti 13 io so ben che 'l mio viver fia poco (BarbiMaggini). Quanto alla lezione, sono superflui sia le parentesi dell'ed. Barbi (e 'l viver mio (omai esser de' poco)) sia i trattini dell'ed. De Robertis (e 'l viver mio – omai de' esser poco –). Non si tratta di un inciso, una zeppa, ma di una previsione simmetrica a quella del v. 11, dunque: altro mai che male io non aspetto, / e 'l viver mio omai de' esser poco.","Cino, A vano sguardo e a falsi sembianti 13 «io so ben che 'l mio vi- ver fia poco»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_vano_sguardo_e_a_falsi_sembianti,A vano sguardo e a falsi sembianti,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +FIN ... DICE,"non è strano che la vita venga personificata e prenda la parola. BarbiMaggini citano la dubbia Non piango tanto 9-11 Sì che 'n questo pensando si conduce / la vita a morte, e spesso la richiama / dicendo: ""Sola tu sè la mia luce"", ma più pertinente è lo pseudo-Dante di Poscia ch'io ho perduto ogni speranza 73-4 Piange la vita mia, però che morto / sè, signor mio (ed. Pelaez 1895, p. 216). Più difficile è capire il significato del verso. La lezione a testo si potrebbe parafrasare come segue: 'dice sospirando muoio per Beatrice fino alla mia morte'. Non è però ben chiaro il senso del dettaglio fin a la morte mia. Il viver mio ripeterebbe questa frase – muoio per Beatrice – per tutto il tempo che gli resta? Ci sarebbe qui un ricordo delle parole di Gesù in Mt 26, 38 Tristis est anima mea usque ad mortem, che però hanno tutt'altro significato? Si potrebbe leggere allora e 'l viver mio omai de' esser poco: / ""fina la morte mia!"", sospira, e dice..., e il senso sarebbe: 'e la mia vita sarà ormai breve: cessa quest'agonia (morte), sospira, e dice...' (soggetto il viver mio, la vita). Finare per finire è normale nella lingua antica, anche se mai attestato nelle opere certe di Dante; cfr. per esempio Dino Frescobaldi, Amore, i' veggio ben che tua virtute 51 la vita di costui conven che moia. Si resta in dubbio","Poscia ch'io ho perduto ogni speranza 73-4 «Piange la vita mia, però che morto / sè, signor mio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poscia_ch_io_ho_perduto_ogni_speranza,Poscia ch'io ho perduto ogni speranza,Sennuccio del Bene,http://it.dbpedia.org/resource/Sennuccio_del_Bene/html,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +FIN ... DICE,"non è strano che la vita venga personificata e prenda la parola. BarbiMaggini citano la dubbia Non piango tanto 9-11 Sì che 'n questo pensando si conduce / la vita a morte, e spesso la richiama / dicendo: ""Sola tu sè la mia luce"", ma più pertinente è lo pseudo-Dante di Poscia ch'io ho perduto ogni speranza 73-4 Piange la vita mia, però che morto / sè, signor mio (ed. Pelaez 1895, p. 216). Più difficile è capire il significato del verso. La lezione a testo si potrebbe parafrasare come segue: 'dice sospirando muoio per Beatrice fino alla mia morte'. Non è però ben chiaro il senso del dettaglio fin a la morte mia. Il viver mio ripeterebbe questa frase – muoio per Beatrice – per tutto il tempo che gli resta? Ci sarebbe qui un ricordo delle parole di Gesù in Mt 26, 38 Tristis est anima mea usque ad mortem, che però hanno tutt'altro significato? Si potrebbe leggere allora e 'l viver mio omai de' esser poco: / ""fina la morte mia!"", sospira, e dice..., e il senso sarebbe: 'e la mia vita sarà ormai breve: cessa quest'agonia (morte), sospira, e dice...' (soggetto il viver mio, la vita). Finare per finire è normale nella lingua antica, anche se mai attestato nelle opere certe di Dante; cfr. per esempio Dino Frescobaldi, Amore, i' veggio ben che tua virtute 51 la vita di costui conven che moia. Si resta in dubbio","Gesù in Mt 26, 38 «Tristis est anima mea usque ad mortem»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +FIN ... DICE,"non è strano che la vita venga personificata e prenda la parola. BarbiMaggini citano la dubbia Non piango tanto 9-11 Sì che 'n questo pensando si conduce / la vita a morte, e spesso la richiama / dicendo: ""Sola tu sè la mia luce"", ma più pertinente è lo pseudo-Dante di Poscia ch'io ho perduto ogni speranza 73-4 Piange la vita mia, però che morto / sè, signor mio (ed. Pelaez 1895, p. 216). Più difficile è capire il significato del verso. La lezione a testo si potrebbe parafrasare come segue: 'dice sospirando muoio per Beatrice fino alla mia morte'. Non è però ben chiaro il senso del dettaglio fin a la morte mia. Il viver mio ripeterebbe questa frase – muoio per Beatrice – per tutto il tempo che gli resta? Ci sarebbe qui un ricordo delle parole di Gesù in Mt 26, 38 Tristis est anima mea usque ad mortem, che però hanno tutt'altro significato? Si potrebbe leggere allora e 'l viver mio omai de' esser poco: / ""fina la morte mia!"", sospira, e dice..., e il senso sarebbe: 'e la mia vita sarà ormai breve: cessa quest'agonia (morte), sospira, e dice...' (soggetto il viver mio, la vita). Finare per finire è normale nella lingua antica, anche se mai attestato nelle opere certe di Dante; cfr. per esempio Dino Frescobaldi, Amore, i' veggio ben che tua virtute 51 la vita di costui conven che moia. Si resta in dubbio","Dino Frescobaldi, Amore, i' veggio ben che tua virtute 51 «la vita di costui conven che moia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amore_i_veggio_ben_che_tua_virtute,"Amore, i' veggio ben che tua virtute",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +COR AGRO,"la stessa clausola di Arnaut Daniel, En breu brisara·l temps braus 8 al prims d'efrancar cor agre (Perugi 1978, pp. 69-74, anche per altri confronti con Arnaut).","Arnaut Daniel, En breu brisara·l temps braus 8 «al prims d'efrancar cor agre»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/En_breu_brisara,En breu brisara∙l temps braus,Arnaut Daniel,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_Daniel,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +VEDRÒ SCRITTO,"i trattati medici sull'amore registravano cambiamenti fisiologici – l'accelerazione del polso e del respiro, l'improvviso rossore, ecc. – nei soggetti che udissero d'improvviso il nome dell'amata (Wack 1990, p. 135): ed è del resto un fatto di comune esperienza. Qui il nome è letto, non udito: come se, scritto il nome di Beatrice alla fine della prima stanza, il dolore del poeta si fosse all'improvviso risvegliato dando l'avvio alle considerazioni che seguono nel testo.",,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Trattati_medici_sull_amore,Trattati medici sull'amore,,,http://purl.org/bncf/tid/770,CONCEPT +DIVERRÒ ... PERSONA,"semplicemente 'diventerò così magro' (la persona è il corpo, come in If V 101 prese costui de la bella persona). Anche questa materialità, questo indugio sugli effetti che l'amore ha sul corpo, è – come notano Barbi – Maggini – inconsueta per Dante. Ma il poeta poteva attingere a un'ampia tradizione letteraria, da Ovidio (Ars amatoria I 733 Arguat et macies animum) ad Arrigo da Settimello (I 71 Quod patior, pallor loquitur maciesque figurat), dal Roman de la Rose (9272-3 Si que trestouz en amegris / de maltalent ed de soussi) ai trovatori (Peire Ramon de Tolosa, Pos vezem boscs e broils floritz 41 Per ma domna maigrisc e sec), ai comico-realistici italiani (Meo dei Tolomei, I' son sì magro 1-2 I' son sì magro che quasi traluco / de la persona: identico a Dante anche nella formulazione). E una spiegazione fisiologica del dimagrimento per amore si leggerà in Marsilio Ficino, El libro dell'amore VI IX 11-2 per lungo amore gli huomini pallidi e magri divengono, perché la forza della natura non può bene due opere diverse insieme fare. La intentione dello amante tutta si rivolta nella assidua cogitatione della persona amata, e quivi tutta la forza e la naturale complessione è attenta, e però el cibo nello stomaco male si cuoce.",Ovidio (Ars amatoria I 733 «Arguat et macies animum»),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ars_Amatoria,Ars amatoria,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +DIVERRÒ ... PERSONA,"semplicemente 'diventerò così magro' (la persona è il corpo, come in If V 101 prese costui de la bella persona). Anche questa materialità, questo indugio sugli effetti che l'amore ha sul corpo, è – come notano Barbi – Maggini – inconsueta per Dante. Ma il poeta poteva attingere a un'ampia tradizione letteraria, da Ovidio (Ars amatoria I 733 Arguat et macies animum) ad Arrigo da Settimello (I 71 Quod patior, pallor loquitur maciesque figurat), dal Roman de la Rose (9272-3 Si que trestouz en amegris / de maltalent ed de soussi) ai trovatori (Peire Ramon de Tolosa, Pos vezem boscs e broils floritz 41 Per ma domna maigrisc e sec), ai comico-realistici italiani (Meo dei Tolomei, I' son sì magro 1-2 I' son sì magro che quasi traluco / de la persona: identico a Dante anche nella formulazione). E una spiegazione fisiologica del dimagrimento per amore si leggerà in Marsilio Ficino, El libro dell'amore VI IX 11-2 per lungo amore gli huomini pallidi e magri divengono, perché la forza della natura non può bene due opere diverse insieme fare. La intentione dello amante tutta si rivolta nella assidua cogitatione della persona amata, e quivi tutta la forza e la naturale complessione è attenta, e però el cibo nello stomaco male si cuoce.","Arrigo da Settimello (I 71 «Quod patior, pallor loquitur maciesque figurat»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_diversitate_fortunae_et_philosophiae_consolatione,De diversitate fortunae et philosophiae consolatione,Arrigo da Settimello,http://dbpedia.org/resource/Henry_of_Settimello,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DIVERRÒ ... PERSONA,"semplicemente 'diventerò così magro' (la persona è il corpo, come in If V 101 prese costui de la bella persona). Anche questa materialità, questo indugio sugli effetti che l'amore ha sul corpo, è – come notano Barbi – Maggini – inconsueta per Dante. Ma il poeta poteva attingere a un'ampia tradizione letteraria, da Ovidio (Ars amatoria I 733 Arguat et macies animum) ad Arrigo da Settimello (I 71 Quod patior, pallor loquitur maciesque figurat), dal Roman de la Rose (9272-3 Si que trestouz en amegris / de maltalent ed de soussi) ai trovatori (Peire Ramon de Tolosa, Pos vezem boscs e broils floritz 41 Per ma domna maigrisc e sec), ai comico-realistici italiani (Meo dei Tolomei, I' son sì magro 1-2 I' son sì magro che quasi traluco / de la persona: identico a Dante anche nella formulazione). E una spiegazione fisiologica del dimagrimento per amore si leggerà in Marsilio Ficino, El libro dell'amore VI IX 11-2 per lungo amore gli huomini pallidi e magri divengono, perché la forza della natura non può bene due opere diverse insieme fare. La intentione dello amante tutta si rivolta nella assidua cogitatione della persona amata, e quivi tutta la forza e la naturale complessione è attenta, e però el cibo nello stomaco male si cuoce.",Roman de la Rose (9272-3 «Si que trestouz en amegris / de maltalent ed de soussi»),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Roman_de_la_Rose,Roman de la Rose,Jean de Meung,http://dbpedia.org/resource/Jean_de_Meun,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +DIVERRÒ ... PERSONA,"semplicemente 'diventerò così magro' (la persona è il corpo, come in If V 101 prese costui de la bella persona). Anche questa materialità, questo indugio sugli effetti che l'amore ha sul corpo, è – come notano Barbi – Maggini – inconsueta per Dante. Ma il poeta poteva attingere a un'ampia tradizione letteraria, da Ovidio (Ars amatoria I 733 Arguat et macies animum) ad Arrigo da Settimello (I 71 Quod patior, pallor loquitur maciesque figurat), dal Roman de la Rose (9272-3 Si que trestouz en amegris / de maltalent ed de soussi) ai trovatori (Peire Ramon de Tolosa, Pos vezem boscs e broils floritz 41 Per ma domna maigrisc e sec), ai comico-realistici italiani (Meo dei Tolomei, I' son sì magro 1-2 I' son sì magro che quasi traluco / de la persona: identico a Dante anche nella formulazione). E una spiegazione fisiologica del dimagrimento per amore si leggerà in Marsilio Ficino, El libro dell'amore VI IX 11-2 per lungo amore gli huomini pallidi e magri divengono, perché la forza della natura non può bene due opere diverse insieme fare. La intentione dello amante tutta si rivolta nella assidua cogitatione della persona amata, e quivi tutta la forza e la naturale complessione è attenta, e però el cibo nello stomaco male si cuoce.","(Peire Ramon de Tolosa, Pos vezem boscs e broils floritz 41 «Per ma domna maigrisc e sec»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pos_vezem_boscs_e_broils_floritz,Pos vezem boscs e broils floritz,Peire Ramon de Tolosa,http://dbpedia.org/resource/Peire_Raimon_de_Tolosa,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DIVERRÒ ... PERSONA,"semplicemente 'diventerò così magro' (la persona è il corpo, come in If V 101 prese costui de la bella persona). Anche questa materialità, questo indugio sugli effetti che l'amore ha sul corpo, è – come notano Barbi – Maggini – inconsueta per Dante. Ma il poeta poteva attingere a un'ampia tradizione letteraria, da Ovidio (Ars amatoria I 733 Arguat et macies animum) ad Arrigo da Settimello (I 71 Quod patior, pallor loquitur maciesque figurat), dal Roman de la Rose (9272-3 Si que trestouz en amegris / de maltalent ed de soussi) ai trovatori (Peire Ramon de Tolosa, Pos vezem boscs e broils floritz 41 Per ma domna maigrisc e sec), ai comico-realistici italiani (Meo dei Tolomei, I' son sì magro 1-2 I' son sì magro che quasi traluco / de la persona: identico a Dante anche nella formulazione). E una spiegazione fisiologica del dimagrimento per amore si leggerà in Marsilio Ficino, El libro dell'amore VI IX 11-2 per lungo amore gli huomini pallidi e magri divengono, perché la forza della natura non può bene due opere diverse insieme fare. La intentione dello amante tutta si rivolta nella assidua cogitatione della persona amata, e quivi tutta la forza e la naturale complessione è attenta, e però el cibo nello stomaco male si cuoce.","Meo dei Tolomei, I' son sì magro 1-2 «I' son sì magro che quasi traluco / de la persona»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/I_son_si_magro,"I' son sì magro, che quasi traluco",Cecco Angiolieri,http://dbpedia.org/resource/Cecco_Angiolieri,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +QUAL ... PAVENTO,"'chi mi vedrà resterà spaventato': il motivo della consunzione anche fisica è, come si è visto, tradizionale, ma caratteristico degli stilnovisti è l'immaginare attorno allo spettacolo del loro dolore un pubblico di testimoni: cfr. Vn IV 1 io divenni in picciolo tempo poi di sì fraile e debole condizione, che a molti amici pesava de la mia vista; e, citato da BarbiMaggini, Cino, Sì mi stringe l'amore 87 ogn'uom mi mira per iscontraffatto.","Cino, Sì mi stringe l'amore 87 «ogn'uom mi mira per iscontraffatto».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_mi_stringe_l_amore,Sì mi stringe l'amore,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VENTO ... MENI,"Barbi – Maggini intendono che il poeta si ridurrà a tale, che al più piccolo urto, alla prima contrarietà, non potrà resistere; e aggiungono: così par da intendere il vento per evitare l'iperbole realistica delle conseguenze. In realtà, l'iperbole è giustificata non solo dall'allegoria di If V, in cui i lussuriosi vengono descritti come prede della bufera infernal che mena li spirti con la sua rapina (31-2), ma anche e soprattutto dall'immagine biblica folium quod vento rapitur (Iob 13, 25), fortunatissima nel Medioevo sia nella poesia latina (Archipoeta, Estuans intrinsecus 4 Folio sum similis, de quo ludunt venti [Carmina Burana, 191.1]; Salimbene de Adam, Cronica I, p. 123: Factus de materia vilis elementi / folio sum similis, de quo ludunt venti) sia tra i lirici romanzi, i quali la adoperano per esprimere la forza irrazionale della passione (vari esempi in Ziltener 1972, p. 135); e per altri passi danteschi simili cfr. Gorni 1997.","«folium quod vento rapitur» (Iob 13, 25)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Job,Libro di Giobbe,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +VENTO ... MENI,"Barbi – Maggini intendono che il poeta si ridurrà a tale, che al più piccolo urto, alla prima contrarietà, non potrà resistere; e aggiungono: così par da intendere il vento per evitare l'iperbole realistica delle conseguenze. In realtà, l'iperbole è giustificata non solo dall'allegoria di If V, in cui i lussuriosi vengono descritti come prede della bufera infernal che mena li spirti con la sua rapina (31-2), ma anche e soprattutto dall'immagine biblica folium quod vento rapitur (Iob 13, 25), fortunatissima nel Medioevo sia nella poesia latina (Archipoeta, Estuans intrinsecus 4 Folio sum similis, de quo ludunt venti [Carmina Burana, 191.1]; Salimbene de Adam, Cronica I, p. 123: Factus de materia vilis elementi / folio sum similis, de quo ludunt venti) sia tra i lirici romanzi, i quali la adoperano per esprimere la forza irrazionale della passione (vari esempi in Ziltener 1972, p. 135); e per altri passi danteschi simili cfr. Gorni 1997.","Estuans intrinsecus 4 «Folio sum similis, de quo ludunt venti» [Carmina Burana, 191.1]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Estuans_intrinsecus,Estuans intrinsecus,Archipoeta,http://dbpedia.org/resource/Archpoet,http://purl.org/bncf/tid/19431,WORK +VENTO ... MENI,"Barbi – Maggini intendono che il poeta si ridurrà a tale, che al più piccolo urto, alla prima contrarietà, non potrà resistere; e aggiungono: così par da intendere il vento per evitare l'iperbole realistica delle conseguenze. In realtà, l'iperbole è giustificata non solo dall'allegoria di If V, in cui i lussuriosi vengono descritti come prede della bufera infernal che mena li spirti con la sua rapina (31-2), ma anche e soprattutto dall'immagine biblica folium quod vento rapitur (Iob 13, 25), fortunatissima nel Medioevo sia nella poesia latina (Archipoeta, Estuans intrinsecus 4 Folio sum similis, de quo ludunt venti [Carmina Burana, 191.1]; Salimbene de Adam, Cronica I, p. 123: Factus de materia vilis elementi / folio sum similis, de quo ludunt venti) sia tra i lirici romanzi, i quali la adoperano per esprimere la forza irrazionale della passione (vari esempi in Ziltener 1972, p. 135); e per altri passi danteschi simili cfr. Gorni 1997.","Salimbene de Adam, Cronica I, p. 123: «Factus de materia vilis elementi / folio sum similis, de quo ludunt venti»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cronica(Salimbene_de_Adam),Cronica,Salimbene de Adam,http://dbpedia.org/resource/Salimbene_di_Adam,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +VENTO ... MENI,"Barbi – Maggini intendono che il poeta si ridurrà a tale, che al più piccolo urto, alla prima contrarietà, non potrà resistere; e aggiungono: così par da intendere il vento per evitare l'iperbole realistica delle conseguenze. In realtà, l'iperbole è giustificata non solo dall'allegoria di If V, in cui i lussuriosi vengono descritti come prede della bufera infernal che mena li spirti con la sua rapina (31-2), ma anche e soprattutto dall'immagine biblica folium quod vento rapitur (Iob 13, 25), fortunatissima nel Medioevo sia nella poesia latina (Archipoeta, Estuans intrinsecus 4 Folio sum similis, de quo ludunt venti [Carmina Burana, 191.1]; Salimbene de Adam, Cronica I, p. 123: Factus de materia vilis elementi / folio sum similis, de quo ludunt venti) sia tra i lirici romanzi, i quali la adoperano per esprimere la forza irrazionale della passione (vari esempi in Ziltener 1972, p. 135); e per altri passi danteschi simili cfr. Gorni 1997.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +PENSANDO,"queste soste in cui il poeta riflette sulla sua sorte in amore non sono rare nella lirica romanza: cfr. l'anonima Pres soi ses faillencha 4-5 e quan m'en pren sovenencha / d'amor conssi·m vai; Carnino Ghiberti, Disïoso cantare 13-4 Membrando a chui sono dato / a sì alto aservire. E in Io sento sì d'Amor di Dante il motivo apre, come qui, la stanza: Quand'io penso un gentil desio ch'è nato / del gran disio ch'io porto, / ... / parmi esser di merzede oltrapagato (49-52)",Pres soi ses faillencha 4-5 «e quan m'en pren sovenencha / d'amor conssi·m vai»;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pres_soi_ses_faillencha,Pres soi ses faillencha,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PENSANDO,"queste soste in cui il poeta riflette sulla sua sorte in amore non sono rare nella lirica romanza: cfr. l'anonima Pres soi ses faillencha 4-5 e quan m'en pren sovenencha / d'amor conssi·m vai; Carnino Ghiberti, Disïoso cantare 13-4 Membrando a chui sono dato / a sì alto aservire. E in Io sento sì d'Amor di Dante il motivo apre, come qui, la stanza: Quand'io penso un gentil desio ch'è nato / del gran disio ch'io porto, / ... / parmi esser di merzede oltrapagato (49-52)","Carnino Ghiberti, Disïoso cantare 13-4 «Membrando a chui sono dato / a sì alto aservire»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Disioso_cantare,Disïoso cantare,Carnino Ghiberti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Carnino_Ghiberti,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +SE ... RENDE,"'se non la perdona', ma nel preciso senso di compensare, riequilibrare un torto, come in questo passo degli Statuti senesi citato da BarbiMaggini: nonostante che per l'offeso ... fusse renduta pace all'offenditore (s'intende che nel verso di Dante un compenso al peccare dell'amante potrebbe venire soltanto dalla grazia divina)",Statuti senesi citato da Barbi – Maggini: «nonostante che per l'offeso ... fus- se renduta pace all'offenditore»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Statuti_senesi,Statuti senesi,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +NELL'ALTRO,"un'espressione molto simile, che oppone la pena terrena alla soddisfazione celeste, in Chiaro, Gravosa dimoranza 17-9 forse ch'a l'altro mondo avraggio gioco, / ché lo tormento in esto mondo avere / è per l'altro tenere.","Chiaro, Gravosa dimoranza 17-9 «forse ch'a l'altro mondo avraggio gioco, / ché lo tormento in esto mondo avere / è per l'altro tenere»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gravosa_dimoranza,Gravosa dimoranza,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MORTE,"l'invocazione alla morte non è rara nella lirica amorosa, in particolare tra gli stilnovisti, ma di solito serve a rendere più drammatica l'espressione del dolore: il poeta, per esempio, soffre troppo e chiede perciò alla morte di affrettarsi. Qui la Morte, personificata (come in Bernardo, i' veggio 9), ha il ruolo inedito di messaggera presso la donna amata: dovrà domandarle perché nasconde il suo sguardo e riferire la risposta al poeta (lo stesso ruolo che nella ballata di Cavalcanti Perch'i' no spero, per altri aspetti simile a questa canzone, spetta alla ballata stessa: 2-4 ballatetta, in Toscana, / va tu, leggera e piana, / dritt'a la donna mia)","Cavalcanti Perch'i' no spero, per altri aspetti simile a questa canzone, spetta alla ballata stessa: 2-4 «ballatetta, in Tosca- na, / va tu, leggera e piana, / dritt'a la donna mia»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Perch_i_no_spero,Perch'i' no spero di tornar giammai,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DISCIGLI,"lezione congetturale (i manoscritti hanno distilli, disciogli, dispogli, spogli) che i commentatori avvicinano all'a. fr. essillier 'rovinare, straziare', o a (e)sciliare 'staccare, separare' (dalla vita?). Ma dato che nella canzone si parla di occhi, e di uno sguardo prima concesso e ora tolto, è meglio pensare al termine che nella falconeria indicava l'accecamento dei rapaci: ciliare significava cucire le palpebre inferiori del falcone sollevandole sull'occhio, per renderlo docile (la procedura è descritta in Federico II, De arte venandi II 28-9); e deciliari significava scucirle, una volta concluso l'addestramento (cfr. il glossario del De arte venandi, e DEI, s.v. discigliare). Insomma il poeta, che all'inizio della canzone ha lamentato il fatto che la luce (degli occhi) gli fosse tolta, pregherebbe qui la Morte di dirgli le ragioni di questa sua cecità prima che gli occhi 'gli vengano aperti' (nella morte, appunto). Che Dante qui usi un termine della falconeria non stupirebbe: la sesta stanza di Doglia mi reca e vari passi della Commedia mostrano quanto egli fosse addentro all'argomento. E si può aggiungere che la stessa spiegazione vale anche per Detto 177-8 la sua fronte, e le ciglia, / bieltà d'ogn'altr'eciglia, dove eciglia 'distrugge' (a. fr. essiller) è congettura di Parodi accolta da Contini: e invece sarà ciglia, cioè 'chiude, cancella' (com'è cancellata la vista dei falconi ciliati).","Federico II, De arte venandi II 28-9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_arte_venandi_cum_avibus,De arte venandi cum avibus,Federico II di Svevia,"http://dbpedia.org/resource/Frederick_II,_Holy_Roman_Emperor",http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +DISCIGLI,"lezione congetturale (i manoscritti hanno distilli, disciogli, dispogli, spogli) che i commentatori avvicinano all'a. fr. essillier 'rovinare, straziare', o a (e)sciliare 'staccare, separare' (dalla vita?). Ma dato che nella canzone si parla di occhi, e di uno sguardo prima concesso e ora tolto, è meglio pensare al termine che nella falconeria indicava l'accecamento dei rapaci: ciliare significava cucire le palpebre inferiori del falcone sollevandole sull'occhio, per renderlo docile (la procedura è descritta in Federico II, De arte venandi II 28-9); e deciliari significava scucirle, una volta concluso l'addestramento (cfr. il glossario del De arte venandi, e DEI, s.v. discigliare). Insomma il poeta, che all'inizio della canzone ha lamentato il fatto che la luce (degli occhi) gli fosse tolta, pregherebbe qui la Morte di dirgli le ragioni di questa sua cecità prima che gli occhi 'gli vengano aperti' (nella morte, appunto). Che Dante qui usi un termine della falconeria non stupirebbe: la sesta stanza di Doglia mi reca e vari passi della Commedia mostrano quanto egli fosse addentro all'argomento. E si può aggiungere che la stessa spiegazione vale anche per Detto 177-8 la sua fronte, e le ciglia, / bieltà d'ogn'altr'eciglia, dove eciglia 'distrugge' (a. fr. essiller) è congettura di Parodi accolta da Contini: e invece sarà ciglia, cioè 'chiude, cancella' (com'è cancellata la vista dei falconi ciliati).","deciliari, il glossario del De arte venandi, e DEI, s.v. discigliare",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_arte_venandi_cum_avibus,De arte venandi cum avibus,Federico II di Svevia,"http://dbpedia.org/resource/Frederick_II,_Holy_Roman_Emperor",http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +SE ... RICOLTA,"'Se la luce del suo sguardo fosse raccolta da qualcun altro'. BarbiMaggini obiettano che questo spunto non starebbe bene, soprattutto perché l'ultimo verso accenna a ""minor dolore"" (e allora ci vorrebbe l'opposto), e parafrasano altrimenti: Se quella luce, dopo essersi celata alla vista altrui (e quindi anche al poeta), fosse tornata a farsi rivedere. In effetti, nella lirica di Dante e dei suoi contemporanei c'è poco spazio per quella passione eminentemente sociale che è la gelosia. Le figure topiche dell'amore trobadorico – i lauzengiers, i rivali in amore – qui mancano: pur ben presenti nella poesia stilnovista, gli altri non sono i rivali ma i testimoni o gli alleati. Qui però non sembra possibile interpretazione diversa da 'se altri raccogliesse il suo sguardo', cioè 'se lei guarda (ovvero ama) qualcun altro': e il minor dolore che il poeta sentirà morendo dipenderà dalla coscienza di non poter fare nulla per cambiare la situazione (e l'eventualità che la donna ami aillors è ovviamente contemplata non solo nella realtà ma anche nel codice cortese: cfr. Uc de Saint-Circ, Anc mais non vi temps ni sazo 42 c'am aillors e·n ai jelosia).","Uc de Saint-Circ, Anc mais non vi temps ni sazo 42 «c'am aillors e·n ai jelosia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anc_mais_non_vi_temps_ni_sazo,Anc mais non vi temps ni sazo,Uc de Saint Circ,http://dbpedia.org/resource/Uc_de_Saint_Circ,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DI DONNE IO VIDI,"cfr. Guido e Iacopo Cavalcanti, Io vidi donne co la donna mia (De Robertis)","Guido e Iacopo Cavalcanti, Io vidi donne co la donna mia",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/I_vidi_donne,I' vidi donne co la donna mia,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VENIA,"la visione in moto (moto verso l'amante che attende e guarda) della donna amata è un motivo ricorrente dell'immaginario stilnovista; cfr. Cavalcanti, Chi è questa che ven, ch'ogn'om la mira e Io non pensava 16 [la donna] di tante bellezze adorna vène","Cavalcanti, Chi è questa che ven, ch'ogn'om la mira e Io non pensava 16 «[la donna] di tante bellezze adorna vène».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chi_e_questa_che_ven,"Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VEGGENDOSI ... LATO,"come si è accennato nella premessa, il motivo della donna che appare accompagnata da Amore è tipico dei poeti dello Stilnovo, quasi un marchio di scuola: cfr. per esempio Cino, Tutto mi salva 4 con lei va Amor, che con lei nato pare; Dino Frescobaldi, Amor, se tu sè vago di costei 5 E poi, s'i' veggio te [Amore] venir con lei; Dante, Videro li occhi miei 13-4 Ben è con quella donna quello Amore / lo qual mi face andar così piangendo; ma cfr. in particolare Cavalcanti, Chi è questa che vèn 1-3 Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira / ... / e mena seco Amor; e nello stesso sonetto si veda anche l'immagine dello sguardo che illumina e atterrisce (come qui ai vv. 5-6), O Deo, che sembra quando li occhi gira (5): di fatto, anche al di là della quartina iniziale, questo sonetto cavalcantiano e Di donne io vidi sono variazioni su un identico tema (altri esempi in Fenzi 1994, p. 204 nota 9)","Cino, Tutto mi salva 4 «con lei va Amor, che con lei nato pare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tutto_mi_salva,Tutto mi salva il dolce salutare,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VEGGENDOSI ... LATO,"come si è accennato nella premessa, il motivo della donna che appare accompagnata da Amore è tipico dei poeti dello Stilnovo, quasi un marchio di scuola: cfr. per esempio Cino, Tutto mi salva 4 con lei va Amor, che con lei nato pare; Dino Frescobaldi, Amor, se tu sè vago di costei 5 E poi, s'i' veggio te [Amore] venir con lei; Dante, Videro li occhi miei 13-4 Ben è con quella donna quello Amore / lo qual mi face andar così piangendo; ma cfr. in particolare Cavalcanti, Chi è questa che vèn 1-3 Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira / ... / e mena seco Amor; e nello stesso sonetto si veda anche l'immagine dello sguardo che illumina e atterrisce (come qui ai vv. 5-6), O Deo, che sembra quando li occhi gira (5): di fatto, anche al di là della quartina iniziale, questo sonetto cavalcantiano e Di donne io vidi sono variazioni su un identico tema (altri esempi in Fenzi 1994, p. 204 nota 9)","Dino Frescobaldi, Amor, se tu sè vago di costei 5 «E poi, s'i' veggio te [Amore] venir con lei»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amor_se_tu_vago_di_costei,"Amor, se tu se' vago di costei",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VEGGENDOSI ... LATO,"come si è accennato nella premessa, il motivo della donna che appare accompagnata da Amore è tipico dei poeti dello Stilnovo, quasi un marchio di scuola: cfr. per esempio Cino, Tutto mi salva 4 con lei va Amor, che con lei nato pare; Dino Frescobaldi, Amor, se tu sè vago di costei 5 E poi, s'i' veggio te [Amore] venir con lei; Dante, Videro li occhi miei 13-4 Ben è con quella donna quello Amore / lo qual mi face andar così piangendo; ma cfr. in particolare Cavalcanti, Chi è questa che vèn 1-3 Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira / ... / e mena seco Amor; e nello stesso sonetto si veda anche l'immagine dello sguardo che illumina e atterrisce (come qui ai vv. 5-6), O Deo, che sembra quando li occhi gira (5): di fatto, anche al di là della quartina iniziale, questo sonetto cavalcantiano e Di donne io vidi sono variazioni su un identico tema (altri esempi in Fenzi 1994, p. 204 nota 9)","Cavalcanti, Chi è questa che vèn 1-3 «Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira / ... / e mena seco Amor»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chi_e_questa_che_ven,"Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VEGGENDOSI ... LATO,"come si è accennato nella premessa, il motivo della donna che appare accompagnata da Amore è tipico dei poeti dello Stilnovo, quasi un marchio di scuola: cfr. per esempio Cino, Tutto mi salva 4 con lei va Amor, che con lei nato pare; Dino Frescobaldi, Amor, se tu sè vago di costei 5 E poi, s'i' veggio te [Amore] venir con lei; Dante, Videro li occhi miei 13-4 Ben è con quella donna quello Amore / lo qual mi face andar così piangendo; ma cfr. in particolare Cavalcanti, Chi è questa che vèn 1-3 Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira / ... / e mena seco Amor; e nello stesso sonetto si veda anche l'immagine dello sguardo che illumina e atterrisce (come qui ai vv. 5-6), O Deo, che sembra quando li occhi gira (5): di fatto, anche al di là della quartina iniziale, questo sonetto cavalcantiano e Di donne io vidi sono variazioni su un identico tema (altri esempi in Fenzi 1994, p. 204 nota 9)","vv. 5-6), «O Deo, che sembra quan- do li occhi gira» (5)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chi_e_questa_che_ven,"Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DEGLI ... LUMIERA,"la stessa immagine si trova all'inizio di un altro sonetto dantesco, Degli occhi della mia donna 1-2: Degli occhi della mia donna si move / un lume, e in Donne ch'avete 51-2 De li occhi suoi, come ch'ella li mova, / escono spirti d'amore inflammati. In generale, l'idea del potere connesso allo sguardo della donna è topico, ed è anche uno dei punti di contatto più evidenti tra la retorica dell'amore cortese e quella dell'amore sacro. Ildegarda di Bingen descrive per esempio così, in una lettera, il volto di una fanciulla che – come rivela una voce – è la personificazione della Caritas: Vidi etiam quasi pulcherrimam puellam in tanto fulgore splendidae faciei fulgentem, ut eam perfecte intueri non possem ... Et audivi vocem mihi dicentem: ""Puella haec quam vides, Charitas est, quae in aeternitate habitaculum habet"" (citato in Dronke 1965-66, I, p. 68; analogamente, profanamente, in Io mi senti' svegliar Beatrice à nome Amor, tanto è simile al dio)","«Vidi etiam quasi pulcherrimam puellam in tanto fulgo- re splendidae faciei fulgentem, ut eam perfecte intueri non possem ... Et audivi vocem mihi dicentem: ""Puella haec quam vides, Cha- ritas est, quae in aeternitate habitaculum habet""»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epistolarum_liber,Epistolarum Liber,Ildegarda di Bingen,http://dbpedia.org/resource/Hildegard_of_Bingen,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +"GUARDA', E VIDI","rappresentazione in due tempi ('rivolsi lo sguardo e vidi') dell'atto della visione, come altrove in Dante: Vn XIV 4 levai li occhi, e mirando le donne, vidi tra loro la gentilissima Beatrice; Io mi senti' svegliar 8-9 guardando in quella parte onde venia / io vidi monna Vanna e monna Bice; Fiore IX 3-4 ed i' mi riguardai dal dritto lato, / e sì vidi Ragion. Ma certo il modulo richiama alla memoria, anche per quello che si è detto circa l'angiol figurato, analoghe miracolose visioni bibliche scandite in due tempi (prima la fissazione dello sguardo quindi l'appercezione dell'oggetto): Ier 4, 23 aspexi terram, et ecce vacua erat.","Ier 4, 23 «aspexi terram, et ecce vacua erat».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Jeremiah,Libro di Geremia,Geremia,http://dbpedia.org/resource/Jeremiah,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +ED ... VIRTUTE,"gli effetti miracolosi che la donna ha sui riguardanti formano uno dei motivi più caratteristici della lirica stilnovista: qui il riflesso è la virtù; altrove la sua vista o il suo saluto nobilitano (Donne ch'avete 35-6 e qual soffrisse di starla a vedere / diverria nobil cosa, o si morria); altrove inducono gentilezza negli oggetti su cui lei porta la sua attenzione (Negli occhi porta 1-2 Negli occhi porta la mia donna Amore, / per che si fa gentil ciò ch'ella mira); altrove riempiono i cuori di gioia (Cino, Tutto mi salva il dolce salutare 11 sì ch'ogni gentil cor deven giocondo)","Cino, Tutto mi salva il dolce salutare 11 «sì ch'ogni gentil cor deven giocondo»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tutto_mi_salva,Tutto mi salva il dolce salutare,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CREDO CHE,"senza alcuna sfumatura di dubbio: 'ritengo' dunque 'so, affermo', in una formula dichiarativa diffusa tanto nella prosa (Guittone, Lettere V 3 ""ma credo che piacesse a Lui"") quanto nella lirica antica (Cino, Guardando a voi, in parlare e 'n sembianti 5 ""Credo ch'a prova ogni vertù v'amanti""; Dante, Perché ti vedi 6 ""credo che 'l facci per esser sicura""); e riflette un uso già del latino classico: cfr. Virgilio, Aen. IV 12 ""Credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum""","Guittone, Lettere V 3 «ma credo che piacesse a Lui»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lettere(Guittone_d_Arezzo),Lettere (Guittone d'Arezzo),Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +CREDO CHE,"senza alcuna sfumatura di dubbio: 'ritengo' dunque 'so, affermo', in una formula dichiarativa diffusa tanto nella prosa (Guittone, Lettere V 3 ""ma credo che piacesse a Lui"") quanto nella lirica antica (Cino, Guardando a voi, in parlare e 'n sembianti 5 ""Credo ch'a prova ogni vertù v'amanti""; Dante, Perché ti vedi 6 ""credo che 'l facci per esser sicura""); e riflette un uso già del latino classico: cfr. Virgilio, Aen. IV 12 ""Credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum""","Cino, Guardando a voi, in parlare e 'n sembian- ti 5 «Credo ch'a prova ogni vertù v'amanti»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Guardando_a_voi,"Guardando a voi, in parlare e 'n sembianti",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CREDO CHE,"senza alcuna sfumatura di dubbio: 'ritengo' dunque 'so, affermo', in una formula dichiarativa diffusa tanto nella prosa (Guittone, Lettere V 3 ""ma credo che piacesse a Lui"") quanto nella lirica antica (Cino, Guardando a voi, in parlare e 'n sembianti 5 ""Credo ch'a prova ogni vertù v'amanti""; Dante, Perché ti vedi 6 ""credo che 'l facci per esser sicura""); e riflette un uso già del latino classico: cfr. Virgilio, Aen. IV 12 ""Credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum""","Virgilio, Aen. IV 12 «Credo equidem, nec vana fi- des, genus esse deorum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +VENNE ... SALUTE,"'per la nostra salvezza' (senza articolo, come spesso davanti al possessivo: cfr. la nota a Non canoscendo 12). È difficile trovare in tutta la lirica di Dante un passo che più chiaramente di questo contenga l'idea di Beatrice come alter Christus. E, come notano FosterBoyde, qui riecheggia il Credo: qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de caelis.",Credo: «qui propter nos ho- mines et propter nostram salutem descendit de caelis»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Credo,Credo,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +LAOND'È ... PROSSIMANA,"il motivo dell'effetto beatifico, trasfigurante dell'amata anche sulle donne che l'accompagnano è caratteristico dello Stilnovo (cfr. Donne ch'avete 31-2 qual vuol gentil donna parere / vada con lei), ma già ben noto ai trovatori e ai trovieri: Conte d'Angiò, Domna, vos m'avez et Amors 14-6 Meravill me com hom del mon / puosc'haver freig ni chault ni son / ni ira, que vos i siaz (ed. Kolsen 1917, p. 22); Bretel, Le tournoi 1258-60 sa bontéz et sa persone / amande et essauce et ensaigne / tous cex qui sont en sa compaigne","Conte d'Angiò, Domna, vos m'avez et Amors 14-6 «Meravill me com hom del mon / puosc'haver freig ni chault ni son / ni ira, que vos i siaz»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Domna_vos_m_avez_et_amors,"Domna, vos m'avez et Amors",Carlo I d'Angiò,http://dbpedia.org/resource/Charles_I_of_Naples,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +LAOND'È ... PROSSIMANA,"il motivo dell'effetto beatifico, trasfigurante dell'amata anche sulle donne che l'accompagnano è caratteristico dello Stilnovo (cfr. Donne ch'avete 31-2 qual vuol gentil donna parere / vada con lei), ma già ben noto ai trovatori e ai trovieri: Conte d'Angiò, Domna, vos m'avez et Amors 14-6 Meravill me com hom del mon / puosc'haver freig ni chault ni son / ni ira, que vos i siaz (ed. Kolsen 1917, p. 22); Bretel, Le tournoi 1258-60 sa bontéz et sa persone / amande et essauce et ensaigne / tous cex qui sont en sa compaigne","Bretel, Le tournoi 1258-60 «sa bontéz et sa persone / amande et essauce et ensaigne / tous cex qui sont en sa compaigne»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://fr.dbpedia.org/resource/Le_Tournoi_de_Chauvency,Le Tournoi de Chauvency,Jacques Bretel,http://fr.dbpedia.org/page/Jacques_Bretel,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +ONDE VENITE,"per il costrutto cfr. Cino Onde vieni, Amor 1-5 Onde vieni, Amor, così soave? / ... / Dillomi, ché la mente se n'è accorta; per l'appello, tipicamente dantesco, a un pubblico di ascoltatori o di passanti (e insomma per il gusto quasi teatrale che porta a convertire l'introspezione in un dialogo simulato) cfr. Vn XL 9 Deh peregrini che pensosi andate","Cino Onde vieni, Amor 1-5 «Onde vieni, Amor, così soave? / ... / Dillomi, ché la mente se n'è accorta»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onde_vieni_amor,"Onde vieni, Amor, così soave",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +"DITEMEL, S'A VOI PIACE","formulazioni molto simili, sia nella richiesta sia nell'esortazione a dire, si trovano per esempio in Guittone, Lettere XIV 30 ""O chi vi move a cosa tanto diversa? Ditelmi, se vi piace, in vostra iscusa; ché natura né legge..."" (ed è prosa, ma prosa poetica: Ditelmi apre un endecasillabo); o nel brano di Francesco da Barberino citato nel commento a Voi donne (""Ditelmi, cavalier, per cortesia""); ma quanto al modello discorsivo sacro che con ogni probabilità sta dietro la formula usata da Dante (anche in Voi che portate 7 ""Ditelmi, donne, che 'l mi dice il core) cfr. la premessa a questo sonetto""","Guittone, Lettere XIV 30 «O chi vi move a cosa tanto diversa? Ditelmi, se vi piace, in vostra iscusa; ché natura né legge...»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lettere(Guittone_d_Arezzo),Lettere (Guittone d'Arezzo),Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +MI TRAE A FERIRE,"'mira a colpirmi', vicino a uno dei significati che traire ha in provenzale: ""totz le monz trai a la una"" (Flamenca, citato in Levy, s.v.43: 'hinzielen auf'); ed era una locuzione fissa, come testimoniano vari esempi nella Tavola Ritonda: ""si traggono a ferire"", ""l'uno trae a ferire l'altro"" (BarbiMaggini).",«totz le monz trai a la una»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +GUARDATE ... CONSUMATO,"è l'appello topico agli ascoltatori o agli astanti perché considerino la disgrazia di chi parla, e all'origine c'è un passo famoso delle Lamentazioni: O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus (1, 12), ripreso infinite volte nella liturgia e nella tradizione letteraria","Lamentazioni: «O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus» (1, 12)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Lamentations,Lamentationes,Geremia,http://dbpedia.org/resource/Jeremiah,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +PIETOSO ATTO MOSTRATE,"'avete un atteggiamento mesto': cfr. Piangete, amanti 3-4 Amor sente a Pietà donne chiamare, / mostrando amaro duolo per li occhi fore. Ma tutta la prima quartina è da confrontare soprattutto con la lauda Ancor non saçça, in cui le donne chiedono a Maria, di ritorno dalla crocefissione di Gesù, perché è tanto triste: 1-4 Ancor non sacça la condictïone, / sorella, perké vai cotanto trista, / non è lo core sença afflictïone, / sì·ll'ài mustrato e·mmustri ne la vista (ed. Bettarini 1969b); e per l'invito a non celare la verità (qui 4 non mel celate) cfr. nella stessa lauda 21-2 Per Deo, non me celare to coraio, / dimme ki si', o perké vai dolente.","1-4 «Ancor non sacça la condictïone, / sorella, perké vai cotanto trista, / non è lo core sença afflictïone, / sì·ll'ài mustrato e·mmustri ne la vista»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ancor_non_sacca,Ancor non sacça la condictïone,Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +PIETOSO ATTO MOSTRATE,"'avete un atteggiamento mesto': cfr. Piangete, amanti 3-4 Amor sente a Pietà donne chiamare, / mostrando amaro duolo per li occhi fore. Ma tutta la prima quartina è da confrontare soprattutto con la lauda Ancor non saçça, in cui le donne chiedono a Maria, di ritorno dalla crocefissione di Gesù, perché è tanto triste: 1-4 Ancor non sacça la condictïone, / sorella, perké vai cotanto trista, / non è lo core sença afflictïone, / sì·ll'ài mustrato e·mmustri ne la vista (ed. Bettarini 1969b); e per l'invito a non celare la verità (qui 4 non mel celate) cfr. nella stessa lauda 21-2 Per Deo, non me celare to coraio, / dimme ki si', o perké vai dolente.","21-2 «Per Deo, non me celare to coraio, / dimme ki si', o perké vai dolente».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ancor_non_sacca,Ancor non sacça la condictïone,Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +PIETOSO ATTO MOSTRATE,"'avete un atteggiamento mesto': cfr. Piangete, amanti 3-4 Amor sente a Pietà donne chiamare, / mostrando amaro duolo per li occhi fore. Ma tutta la prima quartina è da confrontare soprattutto con la lauda Ancor non saçça, in cui le donne chiedono a Maria, di ritorno dalla crocefissione di Gesù, perché è tanto triste: 1-4 Ancor non sacça la condictïone, / sorella, perké vai cotanto trista, / non è lo core sença afflictïone, / sì·ll'ài mustrato e·mmustri ne la vista (ed. Bettarini 1969b); e per l'invito a non celare la verità (qui 4 non mel celate) cfr. nella stessa lauda 21-2 Per Deo, non me celare to coraio, / dimme ki si', o perké vai dolente.",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,,,,WORK +SÌ VINTA,"'così addolorata, prostrata' (l'ed. Barbi manteneva le forme non anafonetiche venta e penta date dai due testimoni manoscritti, nessuno dei quali fiorentino: forme comuni per esempio in Guittone d'Arezzo o in Folgore. Ma la stampa Giuntina ha vinta e pinta).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +SÌ VINTA,"'così addolorata, prostrata' (l'ed. Barbi manteneva le forme non anafonetiche venta e penta date dai due testimoni manoscritti, nessuno dei quali fiorentino: forme comuni per esempio in Guittone d'Arezzo o in Folgore. Ma la stampa Giuntina ha vinta e pinta).",,CONCORDANZA GENERICA,,,Folgore di San Gimignano,http://dbpedia.org/resource/Folgóre_da_San_Gimignano,http://perunaenciclopediadantescadigitale/resource/poesia_comico_realistica,CONCEPT +NEL ... PINTA,"la stessa clausola in Guittone, Voglia de dir giusta ragion m'ha porta 20 sua piagenza in cor m'è penta (e per l'idea della donna dipinta del cuore cfr. la nota a La dispietata mente 22).","Guittone, Voglia de dir giusta ragion m'ha porta 20 «sua piagenza in cor m'è penta»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Voglia_de_dir_giusta_ragion,Voglia de dir giusta ragion m'ha porta,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DEH ... CELATE,"l'intero appello del poeta, ma questo verso in particolare, va confrontato a quello di Maria nella lauda ""Oimè trista tapinella"" 211-6 ""O sorelle, che ben fate / che la trista richerete, / per mio amor, no·l mi celate, / se novella ne sapete: / sì mi dicete, per Dio, / se vedeste 'l figliol mio!"" (Laudario di Santa Maria della Scala VI). E cfr. nell'incipit di un'altra lauda l'appello ai pietosi, ai compiangenti: ""Gente ch'avete di me pietansa"" (ivi, VII)","lauda «Oimè tri- sta tapinella» 211-6 «O sorelle, che ben fate / che la trista richerete, / per mio amor, no·l mi celate, / se novella ne sapete: / sì mi dicete, per Dio, / se vedeste 'l figliol mio!»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Laudario_di_Santa_Maria_della_Scala,Laudario di Santa Maria della Scala,,,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +DEH ... CELATE,"l'intero appello del poeta, ma questo verso in particolare, va confrontato a quello di Maria nella lauda ""Oimè trista tapinella"" 211-6 ""O sorelle, che ben fate / che la trista richerete, / per mio amor, no·l mi celate, / se novella ne sapete: / sì mi dicete, per Dio, / se vedeste 'l figliol mio!"" (Laudario di Santa Maria della Scala VI). E cfr. nell'incipit di un'altra lauda l'appello ai pietosi, ai compiangenti: ""Gente ch'avete di me pietansa"" (ivi, VII)","altra lauda l'appello ai pietosi, ai compiangenti: «Gente ch'avete di me pietansa» (ivi, VII)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Laudario_di_Santa_Maria_della_Scala,Laudario di Santa Maria della Scala,,,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +CONQUISA,"'vinta, prostrata', come in Cavalcanti, Quando di morte 10 l'afanno che m'ha già quasi conquiso; per la forma cfr. la nota ad Anonimo, Dante Alleghier 10","Cavalcanti, Quando di morte 10 «l'afanno che m'ha già quasi conquiso»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quando_di_morte,Quando di morte mi conven trar vita,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +EL,"forma non fiorentina, che a Dante verrà dai poeti siculo-toscani",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/26261,CONCEPT +VOGLIO ... TECO,"come accade spesso, il poeta non dice ""divenni malinconico"", ma ""la Malinconia decise di stare con me, di insediarsi nel mio cuore""; allo stesso modo, poniamo, Iacopone non scrive ""fui tentato dalla vanagloria"" bensì e la Vanagloria me fo entorno; / volìa far meco soiorno (Fede, spen e caritate 202-3). La formula ricorda per esempio l'invito di Dante in Voi che portate 10 piacciavi di restar qui meco alquanto, o quello di If X 24 piacciati di restare in questo loco; ma è notevole soprattutto la corrispondenza con il passo di una lettera di Lorenzo di Aquileia nel quale la Retorica, immaginata come un angelo, prende per mano lo scrivente asserens se velle mecum aliquantulum residere (ed. De Luca 1951, p. 230).","Iacopone non scrive ""fui tentato dalla vanagloria"" bensì «e la Vanagloria me fo entorno; / volìa far meco soiorno» (Fede, spen e caritate 202-3)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Fede_spen_,"Fede, spen e caritate",Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +MENASSE ... COMPAGNIA,"questo genere di ""ritratti di famiglia"" in cui a una personificazione principale se ne affiancano altre ""di complemento"" è tipico della letteratura allegorica: cfr. anche per la struttura del verso Fiore XIII 3-4 Lo Dio d'Amor sì vi mandò Franchezza, / co·llei Pietà, per sua ambasceria; ma lo stesso principio è applicato in Due donne 3-4 l'una ha in sé cortesia e valore, / prudenza e onestà in compagnia; e, a parte Dante, precisamente di compagni si parla in Flamenca 236 Pres es mortz e Jois sos compain",Flamenca 236 «Pres es mortz e Jois sos compain»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MENASSE ... COMPAGNIA,"questo genere di ""ritratti di famiglia"" in cui a una personificazione principale se ne affiancano altre ""di complemento"" è tipico della letteratura allegorica: cfr. anche per la struttura del verso Fiore XIII 3-4 Lo Dio d'Amor sì vi mandò Franchezza, / co·llei Pietà, per sua ambasceria; ma lo stesso principio è applicato in Due donne 3-4 l'una ha in sé cortesia e valore, / prudenza e onestà in compagnia; e, a parte Dante, precisamente di compagni si parla in Flamenca 236 Pres es mortz e Jois sos compain",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,CONCEPT +DOLORE ED IRA,"la stessa coppia di Fiore CLI 6 ira e dolori e gran tormento (De Robertis, con altri esempi duecenteschi); e lo stesso trittico (si aggiunge appunto malinconia) nel sonetto I'ho ira e pensieri e tanta doglia 9-11 In tutto m'ha fallato ogni allegrezza / ed adosso m'ha messo ira e dolore / con malinconia tanta e ispessa (ed. Di Benedetto 1965, p. 42); ma l'associazione di ira e malinconia o tristezza era tradizionale: de tristitia ira oritur scrive Ildegarda di Bingen (citata da Tonelli 2004, p. 100, con ampia discussione sull'intreccio tra i due sentimenti nella letteratura antica)",«de tristitia ira oritur»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epistolarum_liber,Epistolarum Liber,Ildegarda di Bingen,http://dbpedia.org/resource/Hildegard_of_Bingen,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +IRA,"non tanto, come intenderemmo oggi, 'rabbia', quanto piuttosto 'angoscia' (""ira d'amor me fai languir"" scrive per esempio Peire Bremon lo Tort, En abril, quant vei verdejar 17: ed è appunto, come qui, l'angoscia, il dolore che viene dall'amore frustrato)","«ira d'amor me fai languir» scrive per esempio Peire Bremon lo Tort, En abril, quant vei verdejar 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/En_abril_quant_vei_verdejar,"En abril, quant vei verdejar",Peire Bremon lo Tort,http://dbpedia.org/resource/Peire_Bremon_lo_Tort,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MI RISPOSE ... GRECO,"i greci erano i superbi per antonomasia, e riflesso di questa loro cattiva fama sono il verbo ingrecare e le locuzioni prender greco, salire in greco: cfr. per esempio Brunetto Latini, Tesoretto 2582 in greco salisti 'insuperbisti'; e si vedano i molti altri esempi raccolti da BarbiMaggini e Ageno 2000, pp. 158-9. Tuttavia, osserva la Ageno, non mancano ..., come spesso per i nomi etnici, altri significati di greco, e per esempio 'doppio, fallace, sleale'. E ne resta traccia nei proverbi: ""Graeca fides, nulla fides"" (cfr. Prati 1936, pp. 222-4), ""Chi si fida di greco non ha il cervel seco"" (Giusti 2001, p. 178); e superbia e malignità si trovano insieme in un incipit dell'Anonimo Genovese, Quasi ogni greco per comun 1-2 Quasi ogni greco per comun / è lairaor, necho e superbo. Pertinente per il nostro contesto sembrerebbe la locuzione anconetana fà el gregu 'fare lo gnorri', registrata in Spotti 1929, p. 71, in linea con l'opinione di Mazzoni1 1941, pp. 134-5, secondo cui qui si alluderebbe non a greci spietati bensì a greci che non capiscono o fingono di non capire chi non parli la lingua loro. Si pensi per analogia all'espressione Albanese messere 'Sono albanese, signore' (dunque non capisco), che si adopera, scrive il Varchi nell'Ercolano, quando alcuno, dimandato d'alcuna cosa, non risponde a proposito (ed. Sorella 1995, II, p. 617, e cfr. il glossario). Si oscilla insomma tra 'superbia', 'atteggiamento scostante', 'noncuranza', ma il senso sembrerebbe essere questo: Malinconia non dà retta all'invito di Dante, non pensa affatto ad andare via, e anzi si ferma a conversare. Una diversa lettura ha proposto Tonelli 2004, pp. 104-9: Malinconia risponderebbe come un greco perché la parola e il concetto (l'ipostasi della malinconia) sono greci: Graeci enim – spiega Vincenzo di Beauvais – nigrum melan vocant. Possibile, ma non probabile, anche perché la conversazione con questa greca ha di fatto luogo: nella battuta registrata al v. 2 e poi nel lungo ragionare del v. 7. Sottili, infine, ma non convincenti le ipotesi avanzate da Most 2006 e da Manica 1998.","Brunetto Latini, Tesoretto 2582 «in greco salisti» 'insuperbisti';",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +MI RISPOSE ... GRECO,"i greci erano i superbi per antonomasia, e riflesso di questa loro cattiva fama sono il verbo ingrecare e le locuzioni prender greco, salire in greco: cfr. per esempio Brunetto Latini, Tesoretto 2582 in greco salisti 'insuperbisti'; e si vedano i molti altri esempi raccolti da BarbiMaggini e Ageno 2000, pp. 158-9. Tuttavia, osserva la Ageno, non mancano ..., come spesso per i nomi etnici, altri significati di greco, e per esempio 'doppio, fallace, sleale'. E ne resta traccia nei proverbi: ""Graeca fides, nulla fides"" (cfr. Prati 1936, pp. 222-4), ""Chi si fida di greco non ha il cervel seco"" (Giusti 2001, p. 178); e superbia e malignità si trovano insieme in un incipit dell'Anonimo Genovese, Quasi ogni greco per comun 1-2 Quasi ogni greco per comun / è lairaor, necho e superbo. Pertinente per il nostro contesto sembrerebbe la locuzione anconetana fà el gregu 'fare lo gnorri', registrata in Spotti 1929, p. 71, in linea con l'opinione di Mazzoni1 1941, pp. 134-5, secondo cui qui si alluderebbe non a greci spietati bensì a greci che non capiscono o fingono di non capire chi non parli la lingua loro. Si pensi per analogia all'espressione Albanese messere 'Sono albanese, signore' (dunque non capisco), che si adopera, scrive il Varchi nell'Ercolano, quando alcuno, dimandato d'alcuna cosa, non risponde a proposito (ed. Sorella 1995, II, p. 617, e cfr. il glossario). Si oscilla insomma tra 'superbia', 'atteggiamento scostante', 'noncuranza', ma il senso sembrerebbe essere questo: Malinconia non dà retta all'invito di Dante, non pensa affatto ad andare via, e anzi si ferma a conversare. Una diversa lettura ha proposto Tonelli 2004, pp. 104-9: Malinconia risponderebbe come un greco perché la parola e il concetto (l'ipostasi della malinconia) sono greci: Graeci enim – spiega Vincenzo di Beauvais – nigrum melan vocant. Possibile, ma non probabile, anche perché la conversazione con questa greca ha di fatto luogo: nella battuta registrata al v. 2 e poi nel lungo ragionare del v. 7. Sottili, infine, ma non convincenti le ipotesi avanzate da Most 2006 e da Manica 1998.","""Graeca fides, nulla fides""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Proverbi,Proverbi,,,http://purl.org/bncf/tid/2660,WORK +MI RISPOSE ... GRECO,"i greci erano i superbi per antonomasia, e riflesso di questa loro cattiva fama sono il verbo ingrecare e le locuzioni prender greco, salire in greco: cfr. per esempio Brunetto Latini, Tesoretto 2582 in greco salisti 'insuperbisti'; e si vedano i molti altri esempi raccolti da BarbiMaggini e Ageno 2000, pp. 158-9. Tuttavia, osserva la Ageno, non mancano ..., come spesso per i nomi etnici, altri significati di greco, e per esempio 'doppio, fallace, sleale'. E ne resta traccia nei proverbi: ""Graeca fides, nulla fides"" (cfr. Prati 1936, pp. 222-4), ""Chi si fida di greco non ha il cervel seco"" (Giusti 2001, p. 178); e superbia e malignità si trovano insieme in un incipit dell'Anonimo Genovese, Quasi ogni greco per comun 1-2 Quasi ogni greco per comun / è lairaor, necho e superbo. Pertinente per il nostro contesto sembrerebbe la locuzione anconetana fà el gregu 'fare lo gnorri', registrata in Spotti 1929, p. 71, in linea con l'opinione di Mazzoni1 1941, pp. 134-5, secondo cui qui si alluderebbe non a greci spietati bensì a greci che non capiscono o fingono di non capire chi non parli la lingua loro. Si pensi per analogia all'espressione Albanese messere 'Sono albanese, signore' (dunque non capisco), che si adopera, scrive il Varchi nell'Ercolano, quando alcuno, dimandato d'alcuna cosa, non risponde a proposito (ed. Sorella 1995, II, p. 617, e cfr. il glossario). Si oscilla insomma tra 'superbia', 'atteggiamento scostante', 'noncuranza', ma il senso sembrerebbe essere questo: Malinconia non dà retta all'invito di Dante, non pensa affatto ad andare via, e anzi si ferma a conversare. Una diversa lettura ha proposto Tonelli 2004, pp. 104-9: Malinconia risponderebbe come un greco perché la parola e il concetto (l'ipostasi della malinconia) sono greci: Graeci enim – spiega Vincenzo di Beauvais – nigrum melan vocant. Possibile, ma non probabile, anche perché la conversazione con questa greca ha di fatto luogo: nella battuta registrata al v. 2 e poi nel lungo ragionare del v. 7. Sottili, infine, ma non convincenti le ipotesi avanzate da Most 2006 e da Manica 1998.","""Chi si fida di greco non ha il cervel seco""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Proverbi,Proverbi,,,http://purl.org/bncf/tid/2660,WORK +MI RISPOSE ... GRECO,"i greci erano i superbi per antonomasia, e riflesso di questa loro cattiva fama sono il verbo ingrecare e le locuzioni prender greco, salire in greco: cfr. per esempio Brunetto Latini, Tesoretto 2582 in greco salisti 'insuperbisti'; e si vedano i molti altri esempi raccolti da BarbiMaggini e Ageno 2000, pp. 158-9. Tuttavia, osserva la Ageno, non mancano ..., come spesso per i nomi etnici, altri significati di greco, e per esempio 'doppio, fallace, sleale'. E ne resta traccia nei proverbi: ""Graeca fides, nulla fides"" (cfr. Prati 1936, pp. 222-4), ""Chi si fida di greco non ha il cervel seco"" (Giusti 2001, p. 178); e superbia e malignità si trovano insieme in un incipit dell'Anonimo Genovese, Quasi ogni greco per comun 1-2 Quasi ogni greco per comun / è lairaor, necho e superbo. Pertinente per il nostro contesto sembrerebbe la locuzione anconetana fà el gregu 'fare lo gnorri', registrata in Spotti 1929, p. 71, in linea con l'opinione di Mazzoni1 1941, pp. 134-5, secondo cui qui si alluderebbe non a greci spietati bensì a greci che non capiscono o fingono di non capire chi non parli la lingua loro. Si pensi per analogia all'espressione Albanese messere 'Sono albanese, signore' (dunque non capisco), che si adopera, scrive il Varchi nell'Ercolano, quando alcuno, dimandato d'alcuna cosa, non risponde a proposito (ed. Sorella 1995, II, p. 617, e cfr. il glossario). Si oscilla insomma tra 'superbia', 'atteggiamento scostante', 'noncuranza', ma il senso sembrerebbe essere questo: Malinconia non dà retta all'invito di Dante, non pensa affatto ad andare via, e anzi si ferma a conversare. Una diversa lettura ha proposto Tonelli 2004, pp. 104-9: Malinconia risponderebbe come un greco perché la parola e il concetto (l'ipostasi della malinconia) sono greci: Graeci enim – spiega Vincenzo di Beauvais – nigrum melan vocant. Possibile, ma non probabile, anche perché la conversazione con questa greca ha di fatto luogo: nella battuta registrata al v. 2 e poi nel lungo ragionare del v. 7. Sottili, infine, ma non convincenti le ipotesi avanzate da Most 2006 e da Manica 1998.","Anonimo Genovese, Quasi ogni greco per comun 1-2 «Quasi ogni greco per comun / è lairaor, necho e super- bo».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quasi_ogni_greco_per_comun,Quasi ogni greco per comun,Anonimo Genovese,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anonimo_Genovese,http://purl.org/bncf/tid/2664,WORK +MI RISPOSE ... GRECO,"i greci erano i superbi per antonomasia, e riflesso di questa loro cattiva fama sono il verbo ingrecare e le locuzioni prender greco, salire in greco: cfr. per esempio Brunetto Latini, Tesoretto 2582 in greco salisti 'insuperbisti'; e si vedano i molti altri esempi raccolti da BarbiMaggini e Ageno 2000, pp. 158-9. Tuttavia, osserva la Ageno, non mancano ..., come spesso per i nomi etnici, altri significati di greco, e per esempio 'doppio, fallace, sleale'. E ne resta traccia nei proverbi: ""Graeca fides, nulla fides"" (cfr. Prati 1936, pp. 222-4), ""Chi si fida di greco non ha il cervel seco"" (Giusti 2001, p. 178); e superbia e malignità si trovano insieme in un incipit dell'Anonimo Genovese, Quasi ogni greco per comun 1-2 Quasi ogni greco per comun / è lairaor, necho e superbo. Pertinente per il nostro contesto sembrerebbe la locuzione anconetana fà el gregu 'fare lo gnorri', registrata in Spotti 1929, p. 71, in linea con l'opinione di Mazzoni1 1941, pp. 134-5, secondo cui qui si alluderebbe non a greci spietati bensì a greci che non capiscono o fingono di non capire chi non parli la lingua loro. Si pensi per analogia all'espressione Albanese messere 'Sono albanese, signore' (dunque non capisco), che si adopera, scrive il Varchi nell'Ercolano, quando alcuno, dimandato d'alcuna cosa, non risponde a proposito (ed. Sorella 1995, II, p. 617, e cfr. il glossario). Si oscilla insomma tra 'superbia', 'atteggiamento scostante', 'noncuranza', ma il senso sembrerebbe essere questo: Malinconia non dà retta all'invito di Dante, non pensa affatto ad andare via, e anzi si ferma a conversare. Una diversa lettura ha proposto Tonelli 2004, pp. 104-9: Malinconia risponderebbe come un greco perché la parola e il concetto (l'ipostasi della malinconia) sono greci: Graeci enim – spiega Vincenzo di Beauvais – nigrum melan vocant. Possibile, ma non probabile, anche perché la conversazione con questa greca ha di fatto luogo: nella battuta registrata al v. 2 e poi nel lungo ragionare del v. 7. Sottili, infine, ma non convincenti le ipotesi avanzate da Most 2006 e da Manica 1998.","""fà el gregu""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Proverbi,Proverbi,,,http://purl.org/bncf/tid/2660,WORK +RAGIONANDO,"'conversando'. Sembrerebbe non potersi riferire che a ella (e non all'io soggetto del verso successivo: nel qual caso sarebbe un modo tortuoso per dire che l'io 'riflette tra sé e sé'); ma la costruzione è anomala. Contini cita a confronto gli esempi seguenti: Allora Pernam incomincioe a chiamare merciede, e chierendo mercede lo ree Marco l'uccise (Tristano riccardiano); E così stando [Bertino] un giorno co' ferri in gamba al sole, lo saccardo cominciò a figurare il detto Bertino (Sacchetti). Ma sono casi in cui il soggetto della subordinata, cui si riferisce il gerundio, è anche complemento oggetto della reggente che segue, il che non si dà nel nostro verso","Allora Pernam incomincioe a chiamare merciede, e chierendo mercede lo ree Marco l'uccise» (Tristano riccardiano)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tristano_riccardiano,Tristano riccardiano,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +GUARDAI ... VENIA,"è l'attacco che introduce le visioni miracolose, quasi a mimare la durata dell'azione (cfr. Di donne 8 guarda', e vidi un angiol figurato): Dn 7, 11 aspiciebam ... et vidi quoniam interfecta esset bestia. La scena ricorda l'arrivo di Ragione nel Fiore IX 4-6 Ed i' mi riguardai dal dritto lato, / e sì vidi Ragion col viso piano / venir verso di me, e anche più precisamente Io mi senti' svegliar 3-4 e poi vidi venir da lungi Amore / allegro sì, che appena il conoscia. Dante a parte, un quadro molto simile (apparizione di Amore mentre il poeta non lo aspetta, e dialogo con lui) è descritto in Noffo, Vedete s'è pietoso 13-6 E stando in tal manera / Amor m'aparve scorto; / in su' dolce parlare / mi disse umilemente.","Dn 7, 11 «aspiciebam ... et vidi quoniam interfecta esset bestia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +GUARDAI ... VENIA,"è l'attacco che introduce le visioni miracolose, quasi a mimare la durata dell'azione (cfr. Di donne 8 guarda', e vidi un angiol figurato): Dn 7, 11 aspiciebam ... et vidi quoniam interfecta esset bestia. La scena ricorda l'arrivo di Ragione nel Fiore IX 4-6 Ed i' mi riguardai dal dritto lato, / e sì vidi Ragion col viso piano / venir verso di me, e anche più precisamente Io mi senti' svegliar 3-4 e poi vidi venir da lungi Amore / allegro sì, che appena il conoscia. Dante a parte, un quadro molto simile (apparizione di Amore mentre il poeta non lo aspetta, e dialogo con lui) è descritto in Noffo, Vedete s'è pietoso 13-6 E stando in tal manera / Amor m'aparve scorto; / in su' dolce parlare / mi disse umilemente.","Noffo, Vedete s'è pietoso 13-6 «E stando in tal manera / Amor m'aparve scorto; / in su' dolce parlare / mi disse umilemente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Vedete_s_e_pietoso,Vedete s'è pietoso,Noffo Bonaguide,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Noffo_Bonaguide,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DI NUOVO,"'con abiti nuovi'. BarbiMaggini documentano come in occasione dei funerali fosse consuetudine – sanzionata dalle leggi suntuarie – farsi confezionare un abito nuovo (il nero era ed è il colore del lutto); per la formula cfr. Jehans de Nuevile, L'autrier par un matinet 31-2 Touse, mout bien de nouvel / vos vestirai; Novellino LXXIV 11 Allora il signore ... fecelo sciogliere e vestire di nuovo","Jehans de Nuevile, L'autrier par un matinet 31-2 «Touse, mout bien de nou- vel / vos vestirai»;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_autrier_par_un_matinet,L'autrier par un matinet,Jehan de Nuevile,http://dbpedia.org/resource/Jehan_de_Nuevile,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DI NUOVO,"'con abiti nuovi'. BarbiMaggini documentano come in occasione dei funerali fosse consuetudine – sanzionata dalle leggi suntuarie – farsi confezionare un abito nuovo (il nero era ed è il colore del lutto); per la formula cfr. Jehans de Nuevile, L'autrier par un matinet 31-2 Touse, mout bien de nouvel / vos vestirai; Novellino LXXIV 11 Allora il signore ... fecelo sciogliere e vestire di nuovo",Novellino LXXIV 11 «Allora il signore ... fece- lo sciogliere e vestire di nuovo»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +NEL SUO CAPO,"con in in luogo di su, come in antico francese e in provenzale: En son chief ot chapel / de roses frès novel (ed. Raynaud 1881-83, II, p. 134, n. XXXV 7-8); Bertran de Born, Non puosc mudar mon chantar non esparga 16 l'escut al col e capel en ma testa. Il cappello poteva essere (ed è, nel secondo degli esempi citati) una semplice ghirlanda: ed avea in suo chapo uno chapello, cioè una ghirlanda, di branche di quercia (Fatti dei Romani, citato in Schiaffini 1926, p. 212). Ma qui sembra più probabile che si tratti di un cappello di stoffa nel senso moderno: di quelli che si potevano portare per lutto (cfr. i passi citati da BarbiMaggini; e la ghirlanda sconverrebbe invece all'occasione tragica) oppure, come mi suggerisce Pär Larson, di quelli che portavano i pellegrini, come nell'iconografia di san Giacomo.",«En son chief ot chapel / de roses frès novel»,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +NEL SUO CAPO,"con in in luogo di su, come in antico francese e in provenzale: En son chief ot chapel / de roses frès novel (ed. Raynaud 1881-83, II, p. 134, n. XXXV 7-8); Bertran de Born, Non puosc mudar mon chantar non esparga 16 l'escut al col e capel en ma testa. Il cappello poteva essere (ed è, nel secondo degli esempi citati) una semplice ghirlanda: ed avea in suo chapo uno chapello, cioè una ghirlanda, di branche di quercia (Fatti dei Romani, citato in Schiaffini 1926, p. 212). Ma qui sembra più probabile che si tratti di un cappello di stoffa nel senso moderno: di quelli che si potevano portare per lutto (cfr. i passi citati da BarbiMaggini; e la ghirlanda sconverrebbe invece all'occasione tragica) oppure, come mi suggerisce Pär Larson, di quelli che portavano i pellegrini, come nell'iconografia di san Giacomo.","Bertran de Born, Non puosc mudar mon chantar non esparga 16 «l'escut al col e capel en ma testa».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_puosc_mudar,Non puosc mudar un chantar non esparja,Bertran de Born,http://dbpedia.org/resource/Bertran_de_Born,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NEL SUO CAPO,"con in in luogo di su, come in antico francese e in provenzale: En son chief ot chapel / de roses frès novel (ed. Raynaud 1881-83, II, p. 134, n. XXXV 7-8); Bertran de Born, Non puosc mudar mon chantar non esparga 16 l'escut al col e capel en ma testa. Il cappello poteva essere (ed è, nel secondo degli esempi citati) una semplice ghirlanda: ed avea in suo chapo uno chapello, cioè una ghirlanda, di branche di quercia (Fatti dei Romani, citato in Schiaffini 1926, p. 212). Ma qui sembra più probabile che si tratti di un cappello di stoffa nel senso moderno: di quelli che si potevano portare per lutto (cfr. i passi citati da BarbiMaggini; e la ghirlanda sconverrebbe invece all'occasione tragica) oppure, come mi suggerisce Pär Larson, di quelli che portavano i pellegrini, come nell'iconografia di san Giacomo.","«ed avea in suo chapo uno cha- pello, cioè una ghirlanda, di branche di quercia» (Fatti dei Romani,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Fatti_dei_Romani,Fatti dei Romani,,,http://purl.org/bncf/tid/11172,WORK +GUAI E PENSERO,"'motivi per lagnarmi (guai) e cruccio, pena (pensero: come il pensare di Deh, ragioniamo 2)'. Come s'è visto più volte (cfr. qui la nota al v. 2), è tipico della poesia medievale il descrivere sentimenti ed emozioni come un possesso piuttosto che come uno stato, qualcosa che si ha, non qualcosa che si è (cfr. per esempio Roman de la Rose 4053 Si en ai duel et desconfort). Sul tema, a parte gli studi di Lewis 1969, pp. 44-107, e Curtius 1997 (in particolare i capitoli sulla Topica, sulla Dea Natura e su Poesia e filosofia), si veda Roncaglia 1957, p. 35, che trova appunto in Marcabru i primi esempi romanzi di questo genere di personificazioni.",Roman de la Rose 4053 «Si en ai duel et desconfort»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Roman_de_la_Rose,Roman de la Rose,Jean de Meung,http://dbpedia.org/resource/Jean_de_Meun,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +GUAI E PENSERO,"'motivi per lagnarmi (guai) e cruccio, pena (pensero: come il pensare di Deh, ragioniamo 2)'. Come s'è visto più volte (cfr. qui la nota al v. 2), è tipico della poesia medievale il descrivere sentimenti ed emozioni come un possesso piuttosto che come uno stato, qualcosa che si ha, non qualcosa che si è (cfr. per esempio Roman de la Rose 4053 Si en ai duel et desconfort). Sul tema, a parte gli studi di Lewis 1969, pp. 44-107, e Curtius 1997 (in particolare i capitoli sulla Topica, sulla Dea Natura e su Poesia e filosofia), si veda Roncaglia 1957, p. 35, che trova appunto in Marcabru i primi esempi romanzi di questo genere di personificazioni.",,CONCORDANZA GENERICA,,,Marcabru,http://dbpedia.org/resource/Marcabru,,CONCEPT +CHI UDISSE,"modulo colloquiale che presenta l'iperbole (sembra che la moglie di Forese abbia svernato tra i ghiacci) quasi come un dato oggettivo, qualcosa su cui tutti si troverebbero d'accordo. Ed è, in poesia, un tipico esordio ""comico"": cfr. per esempio Onesto, Chi vuol veder mille persone grame (De Robertis)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anc_no_m_parti_de_solatz,Chi vuol vedere mille persone grame,Onesto degli Onesti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onesto_degli_Onesti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +BICCI VOCATO FORESE,"il nome Bicci, diminutivo di Biccicocco (e di Obizzo?), non è raro nella Toscana medievale (ci sono, nel Trecento, i pittori Bicci di Lorenzo e Lorenzo di Bicci, e dei figli di un Biccicocco si parla nella Cronica di Dino Compagni e in quella di Paolino Pieri). Vocato significa 'soprannominato', e il soprannome, o il diminutivo, l'avevano quasi tutti in un'età nella quale in fatto di nomi e cognomi esistevano regole molto fluide, e a decidere era l'uso, non l'anagrafe, e un uso spesso oscillante (si veda la discussione a proposito di Lapo o Lippo nella premessa a Guido, i' vorrei). E non è naturalmente un'abitudine soltanto popolare né soltanto fiorentina, se già nel Vangelo si trovano Iesus qui vocatur Christus e Simonem qui vocatur Petrus (Mt 1, 16 e 4, 18). Qui il nome (Forese) sembrerebbe stare al posto del soprannome (Bicci), e perciò Del Lungo osservava: cioè, Forese vocato Bicci, di soprannome Bicci ...: traspone scherzevolmente nome e soprannome. BarbiMaggini oppongono che se vocato si adoperava comunemente per indicare il soprannome o il nomignolo ..., non è raro neppur l'uso contrario, per esprimere il nome vero o il nome intero dopo il soprannome o l'accorciativo: ad esempio ""Domina Scotta vochata Catherina"" ... ""Dea vocata Taddea"" ... ""pro Tello vocato domino Castello de Gianfigliazzis"". Ma queste sembrano essere piuttosto le eccezioni che la regola. Nella grande maggioranza dei casi vocato precede, com'è normale a lume di logica, il soprannome col quale una persona era comunemente conosciuta: in Serianni 1977, glossario, s.v. vocato, si trovano così Lapo vochato Ferrovecchio, Ghino chiamato Volpe, Tura chiamato Bistraffo; in Castellani 1952, II, p. 604, Manetto vochato Vecchio, Ventura vochato Friano; e poi Dino vocato Pecora (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, p. 60), Giano vocato Capellacçio (Consigli, p. 342, ma passim), Corso vocato Lana (Mazzoni2 1964, p. 51), e cfr. gli esempi allegati in GDLI, s.v.5 (donna fu di Meo vocato il Saccente, Iacopo di Corso vocato Baia). Insomma, si resta in dubbio; ma senza un sottinteso ironico non si capirebbe il perché di tanta precisione, da parte di Dante, nel designare l'amico.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cronica(Salimbene_de_Adam),Cronica,Salimbene de Adam,http://dbpedia.org/resource/Salimbene_di_Adam,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +BICCI VOCATO FORESE,"il nome Bicci, diminutivo di Biccicocco (e di Obizzo?), non è raro nella Toscana medievale (ci sono, nel Trecento, i pittori Bicci di Lorenzo e Lorenzo di Bicci, e dei figli di un Biccicocco si parla nella Cronica di Dino Compagni e in quella di Paolino Pieri). Vocato significa 'soprannominato', e il soprannome, o il diminutivo, l'avevano quasi tutti in un'età nella quale in fatto di nomi e cognomi esistevano regole molto fluide, e a decidere era l'uso, non l'anagrafe, e un uso spesso oscillante (si veda la discussione a proposito di Lapo o Lippo nella premessa a Guido, i' vorrei). E non è naturalmente un'abitudine soltanto popolare né soltanto fiorentina, se già nel Vangelo si trovano Iesus qui vocatur Christus e Simonem qui vocatur Petrus (Mt 1, 16 e 4, 18). Qui il nome (Forese) sembrerebbe stare al posto del soprannome (Bicci), e perciò Del Lungo osservava: cioè, Forese vocato Bicci, di soprannome Bicci ...: traspone scherzevolmente nome e soprannome. BarbiMaggini oppongono che se vocato si adoperava comunemente per indicare il soprannome o il nomignolo ..., non è raro neppur l'uso contrario, per esprimere il nome vero o il nome intero dopo il soprannome o l'accorciativo: ad esempio ""Domina Scotta vochata Catherina"" ... ""Dea vocata Taddea"" ... ""pro Tello vocato domino Castello de Gianfigliazzis"". Ma queste sembrano essere piuttosto le eccezioni che la regola. Nella grande maggioranza dei casi vocato precede, com'è normale a lume di logica, il soprannome col quale una persona era comunemente conosciuta: in Serianni 1977, glossario, s.v. vocato, si trovano così Lapo vochato Ferrovecchio, Ghino chiamato Volpe, Tura chiamato Bistraffo; in Castellani 1952, II, p. 604, Manetto vochato Vecchio, Ventura vochato Friano; e poi Dino vocato Pecora (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, p. 60), Giano vocato Capellacçio (Consigli, p. 342, ma passim), Corso vocato Lana (Mazzoni2 1964, p. 51), e cfr. gli esempi allegati in GDLI, s.v.5 (donna fu di Meo vocato il Saccente, Iacopo di Corso vocato Baia). Insomma, si resta in dubbio; ma senza un sottinteso ironico non si capirebbe il perché di tanta precisione, da parte di Dante, nel designare l'amico.","«Iesus qui vocatur Christus» Mt 1, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +BICCI VOCATO FORESE,"il nome Bicci, diminutivo di Biccicocco (e di Obizzo?), non è raro nella Toscana medievale (ci sono, nel Trecento, i pittori Bicci di Lorenzo e Lorenzo di Bicci, e dei figli di un Biccicocco si parla nella Cronica di Dino Compagni e in quella di Paolino Pieri). Vocato significa 'soprannominato', e il soprannome, o il diminutivo, l'avevano quasi tutti in un'età nella quale in fatto di nomi e cognomi esistevano regole molto fluide, e a decidere era l'uso, non l'anagrafe, e un uso spesso oscillante (si veda la discussione a proposito di Lapo o Lippo nella premessa a Guido, i' vorrei). E non è naturalmente un'abitudine soltanto popolare né soltanto fiorentina, se già nel Vangelo si trovano Iesus qui vocatur Christus e Simonem qui vocatur Petrus (Mt 1, 16 e 4, 18). Qui il nome (Forese) sembrerebbe stare al posto del soprannome (Bicci), e perciò Del Lungo osservava: cioè, Forese vocato Bicci, di soprannome Bicci ...: traspone scherzevolmente nome e soprannome. BarbiMaggini oppongono che se vocato si adoperava comunemente per indicare il soprannome o il nomignolo ..., non è raro neppur l'uso contrario, per esprimere il nome vero o il nome intero dopo il soprannome o l'accorciativo: ad esempio ""Domina Scotta vochata Catherina"" ... ""Dea vocata Taddea"" ... ""pro Tello vocato domino Castello de Gianfigliazzis"". Ma queste sembrano essere piuttosto le eccezioni che la regola. Nella grande maggioranza dei casi vocato precede, com'è normale a lume di logica, il soprannome col quale una persona era comunemente conosciuta: in Serianni 1977, glossario, s.v. vocato, si trovano così Lapo vochato Ferrovecchio, Ghino chiamato Volpe, Tura chiamato Bistraffo; in Castellani 1952, II, p. 604, Manetto vochato Vecchio, Ventura vochato Friano; e poi Dino vocato Pecora (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, p. 60), Giano vocato Capellacçio (Consigli, p. 342, ma passim), Corso vocato Lana (Mazzoni2 1964, p. 51), e cfr. gli esempi allegati in GDLI, s.v.5 (donna fu di Meo vocato il Saccente, Iacopo di Corso vocato Baia). Insomma, si resta in dubbio; ma senza un sottinteso ironico non si capirebbe il perché di tanta precisione, da parte di Dante, nel designare l'amico.","«Simonem qui vocatur Petrus» (Mt 4, 18).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +POTREBBE ... VERNATA,"'direbbe forse che ha trascorso l'inverno' (vernare è anche nel Fiore XXXIII 12 ivi vernai co molto disconforto). Adotto la lezione di Pellegrini, mentre Barbi e De Robertis leggono ell'ha forse vernata. È ben vero, infatti, che nella sintassi antica si danno casi di accordo tra il participio passato nei tempi composti formati con avere e il relativo soggetto (cfr. Oli 1958; Bongrani 1979 e F. Brambilla Ageno in ED, Appendice, s.v. Concordanze, p. 333, a commento di questo passo), ma resta un'anomalia non necessaria, se la soluzione adottata ha il conforto, per esempio, di passi come i seguenti che traggo dal corpus TLIO: ccc cavalieri ... ch'erano vernati in Maremma (Villani), Magone, figliuolo d'Amilcare, della minore isola de' Balcani dove vernato era (Livio volgarizzato).",«ccc cavalieri ... ch'erano vernati in Maremma» (Villani),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nova_Cronica,Nova Cronica,Giovanni Villani,http://dbpedia.org/resource/Giovanni_Villani,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +CRISTALLO,"si credeva infatti che il cristallo altro non fosse che ghiaccio portato a temperature bassissime, quali si trovano appunto nei paesi del freddo perenne; BarbiMaggini citano tra gli altri Cecco d'Ascoli (Acerba III XVIII 3265-6 Nasce nell'alpe del settentrione / cristallo fatto dell'antica neve) e Manzoni: dato che anche don Ferrante sa come dal ghiaccio lentamente indurato, con l'andar de' secoli, si formi il cristallo",Cecco d'Ascoli (Acerba III XVIII 3265-6 «Nasce nell'alpe del settentrione / cristallo fatto dell'antica neve»),CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/L'Acerba,Acerba etas,Cecco d'Ascoli,http://it.dbpedia.org/resource/Cecco_d'Ascoli,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +DI MEZZO ... INFREDDATA,"l'immagine si trova già – ma in un contesto molto diverso, usata come adynaton o paradosso – in Giacomo da Lentini, Dolce coninzamento 39-40 tant'è di mal usaggio / che di stat'à gelore, quindi nella poesia burlesca: Rustico, Io fo ben boto a Dio 5 Non vedi che di mezzo luglio tosse?",Dolce coninzamento 39-40 «tant'è di mal usaggio / che di stat'à gelore»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dolce_coninzamento,Dolce coninzamento,Giacomo da Lentini,http://dbpedia.org/resource/Giacomo_da_Lentini,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +DI MEZZO ... INFREDDATA,"l'immagine si trova già – ma in un contesto molto diverso, usata come adynaton o paradosso – in Giacomo da Lentini, Dolce coninzamento 39-40 tant'è di mal usaggio / che di stat'à gelore, quindi nella poesia burlesca: Rustico, Io fo ben boto a Dio 5 Non vedi che di mezzo luglio tosse?","Rustico, Io fo ben boto a Dio 5 «Non vedi che di mezzo luglio tosse?».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_fo_ben_boto_a_Dio,Io fo ben boto a Dio,Rustico Filippi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rustico_Filippi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LA TRUOVI,anche questa aversio attraverso la quale il poeta si finge un interlocutore (così subito dopo or sappi) è tipica dello stile basso del parlato o della poesia burlesca. fa perché (merzé) la sua coperta è troppo corta',,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19431,CONCEPT +CORTONESE,"letteralmente 'di Cortona', cittadina in provincia di Arezzo: ma qui Cortona, come osserva Contini, sta a pigione, cioè per il bisticcio che permette corto (giochi di parole analoghi, del resto vivi ancor oggi nel parlato popolare, sono elencati da BarbiMaggini). Il bisticcio, a sua volta, si spiega col doppio senso di natura sessuale: la moglie di Forese non è ben 'coperta' dal marito perché questi non è abbastanza dotato. I commentatori citano vari esempi della metafora, da Boccaccio a Machiavelli (e coprire si usa ancor oggi per i cani), ma già prima di Dante se ne hanno esempi fra i trovatori: cfr. SW, s.v. copertor; Crespo 1970; e Poli 1997, pp. 313 e 333-4.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +OMOR,"'umori, fluidi corporei' (u > o, come in Toscana romore, nodrire: cfr. Rohlfs § 132). I medici medievali ritenevano che il segreto della buona salute stesse nel giusto equilibrio tra i quattro umori del corpo: il corpo umano necessita di quattro umori: flegma, collera, sangue, melancolia, e questi secondo le proporzioni naturali: in caso contrario il corpo si ammala (De Renzi 1852-59, III, p. 439). In genere il flegma è sovrabbondante negli anziani, a scapito del sangue, ed essendo esso l'umore più freddo e umido, ecco spiegata la loro particolare sensibilità al freddo e la loro tendenza a contrarre febbre, raffreddore, tosse (Maestro Mauro, Regulae urinarum, in De Renzi 1852-59, III, p. 8: flegma aliquando habundat cum febre). Si confronti per esempio Flos medicinae scholae Salerni 1829-30 vis senis est fragilis, que debilis est calor ejus, / humores dat hepar gelidos, tardos et aquosos (ed. De Renzi 1852-59, IV, p. 386); o il De retardatione accidentium senectutis di Ruggero Bacone: Senectus et senii accidentia proveniunt ex debilitate caloris naturalis, et debilitatis caloris naturalis provenit ex dissolutione naturalis humiditatis et augmento extranee (ed. Little – Withington 1928, p. 6); e, al di fuori del campo medico, Roman de la Rose 405-6 Ces vieilles genz ont tost froidure, / bien savez que c'est lor nature.","(Maestro Mauro, Regulae urinarum, in De Renzi 1852-59, III, p. 8: «flegma aliquando habundat cum febre»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anc_no_m_parti_de_solatz,Regulae urinarum,Maestro Mauro,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Maestro_Mauro,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +OMOR,"'umori, fluidi corporei' (u > o, come in Toscana romore, nodrire: cfr. Rohlfs § 132). I medici medievali ritenevano che il segreto della buona salute stesse nel giusto equilibrio tra i quattro umori del corpo: il corpo umano necessita di quattro umori: flegma, collera, sangue, melancolia, e questi secondo le proporzioni naturali: in caso contrario il corpo si ammala (De Renzi 1852-59, III, p. 439). In genere il flegma è sovrabbondante negli anziani, a scapito del sangue, ed essendo esso l'umore più freddo e umido, ecco spiegata la loro particolare sensibilità al freddo e la loro tendenza a contrarre febbre, raffreddore, tosse (Maestro Mauro, Regulae urinarum, in De Renzi 1852-59, III, p. 8: flegma aliquando habundat cum febre). Si confronti per esempio Flos medicinae scholae Salerni 1829-30 vis senis est fragilis, que debilis est calor ejus, / humores dat hepar gelidos, tardos et aquosos (ed. De Renzi 1852-59, IV, p. 386); o il De retardatione accidentium senectutis di Ruggero Bacone: Senectus et senii accidentia proveniunt ex debilitate caloris naturalis, et debilitatis caloris naturalis provenit ex dissolutione naturalis humiditatis et augmento extranee (ed. Little – Withington 1928, p. 6); e, al di fuori del campo medico, Roman de la Rose 405-6 Ces vieilles genz ont tost froidure, / bien savez que c'est lor nature.","Flos medicinae scholae Salerni 1829-30 «vis senis est fragilis, que debilis est calor ejus, / humo- res dat hepar gelidos, tardos et aquosos»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Regimen_sanitatis_Salernitanum,Regimen Sanitatis Salernitanum,,,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +OMOR,"'umori, fluidi corporei' (u > o, come in Toscana romore, nodrire: cfr. Rohlfs § 132). I medici medievali ritenevano che il segreto della buona salute stesse nel giusto equilibrio tra i quattro umori del corpo: il corpo umano necessita di quattro umori: flegma, collera, sangue, melancolia, e questi secondo le proporzioni naturali: in caso contrario il corpo si ammala (De Renzi 1852-59, III, p. 439). In genere il flegma è sovrabbondante negli anziani, a scapito del sangue, ed essendo esso l'umore più freddo e umido, ecco spiegata la loro particolare sensibilità al freddo e la loro tendenza a contrarre febbre, raffreddore, tosse (Maestro Mauro, Regulae urinarum, in De Renzi 1852-59, III, p. 8: flegma aliquando habundat cum febre). Si confronti per esempio Flos medicinae scholae Salerni 1829-30 vis senis est fragilis, que debilis est calor ejus, / humores dat hepar gelidos, tardos et aquosos (ed. De Renzi 1852-59, IV, p. 386); o il De retardatione accidentium senectutis di Ruggero Bacone: Senectus et senii accidentia proveniunt ex debilitate caloris naturalis, et debilitatis caloris naturalis provenit ex dissolutione naturalis humiditatis et augmento extranee (ed. Little – Withington 1928, p. 6); e, al di fuori del campo medico, Roman de la Rose 405-6 Ces vieilles genz ont tost froidure, / bien savez que c'est lor nature.","De retardatione accidentium senectutis di Ruggero Ba- cone: «Senectus et senii accidentia proveniunt ex debilitate caloris naturalis, et debilitatis caloris naturalis provenit ex dissolutione na- turalis humiditatis et augmento extranee»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_retardatione_accidentium_senectutis,De retardatione accidentium senectutis,Ruggero Bacone,http://dbpedia.org/resource/Roger_Bacon,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +OMOR,"'umori, fluidi corporei' (u > o, come in Toscana romore, nodrire: cfr. Rohlfs § 132). I medici medievali ritenevano che il segreto della buona salute stesse nel giusto equilibrio tra i quattro umori del corpo: il corpo umano necessita di quattro umori: flegma, collera, sangue, melancolia, e questi secondo le proporzioni naturali: in caso contrario il corpo si ammala (De Renzi 1852-59, III, p. 439). In genere il flegma è sovrabbondante negli anziani, a scapito del sangue, ed essendo esso l'umore più freddo e umido, ecco spiegata la loro particolare sensibilità al freddo e la loro tendenza a contrarre febbre, raffreddore, tosse (Maestro Mauro, Regulae urinarum, in De Renzi 1852-59, III, p. 8: flegma aliquando habundat cum febre). Si confronti per esempio Flos medicinae scholae Salerni 1829-30 vis senis est fragilis, que debilis est calor ejus, / humores dat hepar gelidos, tardos et aquosos (ed. De Renzi 1852-59, IV, p. 386); o il De retardatione accidentium senectutis di Ruggero Bacone: Senectus et senii accidentia proveniunt ex debilitate caloris naturalis, et debilitatis caloris naturalis provenit ex dissolutione naturalis humiditatis et augmento extranee (ed. Little – Withington 1928, p. 6); e, al di fuori del campo medico, Roman de la Rose 405-6 Ces vieilles genz ont tost froidure, / bien savez que c'est lor nature.","Roman de la Rose 405-6 «Ces vieilles genz ont tost froidure, / bien savez que c'est lor nature»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Roman_de_la_Rose,Roman de la Rose,Jean de Meung,http://dbpedia.org/resource/Jean_de_Meun,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +NIDO,"parlando di povertà, potrebbe essere la casa, e difetto la mancanza di mezzi che la moglie di Forese, Nella, patisce. Ma qui sembra scoperta l'allusione all'insufficienza di Forese come amante: cfr. Boccaccio, Decameron III 4 [Don Felice], vedendo la moglie così fresca e rotondetta, s'avvisò qual dovesse essere quella cosa della quale ella patisse difetto; e soprattutto Amorosa visione XLII 44-5 assai malcontenta / credo la faccia nel marital nido. Nido è 6","«Sed quia magis ledatur si abstineat omnino a coitu vel vir vel mu- lier. Dico quod mulier, quia per coitum fit de ipsis multa expurga- tio superfluitatum, etiam sperma ipsius est impurius quam sperma virorum, et citius convertitur in venenosam materiam, unde incur- runt multas egritudines» (Petrus de Sancto Floro, Concordanciae, p. 30)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Concordanciae,Concordanciae,Petrus de Sancto Floro,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Petrus_de_Sancto_Floro,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +NIDO,"parlando di povertà, potrebbe essere la casa, e difetto la mancanza di mezzi che la moglie di Forese, Nella, patisce. Ma qui sembra scoperta l'allusione all'insufficienza di Forese come amante: cfr. Boccaccio, Decameron III 4 [Don Felice], vedendo la moglie così fresca e rotondetta, s'avvisò qual dovesse essere quella cosa della quale ella patisse difetto; e soprattutto Amorosa visione XLII 44-5 assai malcontenta / credo la faccia nel marital nido. Nido è 6","«quod si [superfluitates – cioè le eccedenze del cibo] neque coitu neque pollutione exeant ... in vasis suis calefiunt et febres faciunt» (Costantino Africano, Pantegni, p. 25r).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_pantegni,Liber Pantegni,Costantino l'Africano,http://dbpedia.org/resource/Constantine_the_African,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +L'ALTRA NOTTE,"indica indeterminatamente una delle notti precedenti al giorno in cui siamo (BarbiMaggini), dunque 'qualche notte fa'; cfr. Cecco Angiolieri, Per sì gran somma ho 'mpegnate risa 9 l'altro giorno così mi parve in sogno.",Per sì gran somma ho 'mpegnate risa 9 «l'altro giorno così mi parve in sogno»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_si_gran_somma,Per sì gran somma ho 'mpegnate le risa,Cecco Angiolieri,http://dbpedia.org/resource/Cecco_Angiolieri,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +INCONTANENTE ... DÌ,"'non appena fu giorno'. De Robertis legge ma incontanente dì ed i' fui mosso; ma mentre quest'uso assoluto dell'avverbio non sembra attestato, il costrutto incontanente (o immantinente) che era comunissimo: encontenente ch'eo fui ionto (Iacopone), incontanente che peccò, sì morì (Giordano da Pisa), immantanente che 'l sole è tramonto (Zucchero Bencivenni); e vari altri esempi di incontanente che in prosatori duecenteschi raccoglie Mortara 1851, p. 4 nota 16",«encontenente ch'eo fui ionto»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Un_arbore,Un arbore è da Deo plantato,Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +UDITE,"come l'appello a un tu, nel missivo (la truovi, or sappi), anche questo è un tratto colloquiale, da poesia giullaresca che abbia o simuli di avere un pubblico di fronte a sé (cfr. la nota a Voi che savete 2)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19431,CONCEPT +LEGATO ... SALAMON,per il senso dell'espressione si veda la premessa al sonetto; le uniche due altre occorrenze dell'immagine nella poesia antica sono segnalate da BarbiMaggini: nell'anonima ballata trecentesca Era tutta soletta 41-2 sentendomi legato / col nodo Salamone; e in una lettera di Lapo Mazzei: mi deste nodo Salomone alla carità ch'io v'avea,Era tutta soletta 41-2 «sentendomi legato / col nodo Salamone»,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Era_tutta_soletta,Era tutta soletta,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +MI SEGNA',"si segna, perché ha visto un fantasma, e come scrive Iacopo da Varazze ""hoc signum crucis maxime demones odiunt et timent"" (Vita di San Giuliano, p. 215; e cfr. Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal 114 ""por aus [i demoni] se doit en saignier""); e si segna rivolto verso oriente, cioè verso i luoghi santi, perché tale era la consuetudine per gli oranti: cfr. Agostino, De sermone Domini in monte II V 18 ""cum ad orationem stamus, ad orientem convertimur, unde coelum surgit"" (citati, con altri esempi, in Dölger 1920, pp. 125 e 184).","«hoc signum crucis maxime demones odiunt et timent» (Vita di San Giuliano,",CONCORDANZA GENERICA,http://dbpedia.org/resource/Golden_Legend,Legenda aurea,Jacopo da Varazze,http://dbpedia.org/resource/Jacobus_de_Voragine,http://purl.org/bncf/tid/24527,WORK +MI SEGNA',"si segna, perché ha visto un fantasma, e come scrive Iacopo da Varazze ""hoc signum crucis maxime demones odiunt et timent"" (Vita di San Giuliano, p. 215; e cfr. Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal 114 ""por aus [i demoni] se doit en saignier""); e si segna rivolto verso oriente, cioè verso i luoghi santi, perché tale era la consuetudine per gli oranti: cfr. Agostino, De sermone Domini in monte II V 18 ""cum ad orationem stamus, ad orientem convertimur, unde coelum surgit"" (citati, con altri esempi, in Dölger 1920, pp. 125 e 184).","Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal 114 «por aus [i demoni] se doit en saignier»)",CONCORDANZA GENERICA,"http://dbpedia.org/resource/Perceval,_the_Story_of_the_Grail",Le Roman de Perceval ou le conte du Graal,Chrétien de Troyes,http://dbpedia.org/resource/Chrétien_de_Troyes,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +MI SEGNA',"si segna, perché ha visto un fantasma, e come scrive Iacopo da Varazze ""hoc signum crucis maxime demones odiunt et timent"" (Vita di San Giuliano, p. 215; e cfr. Chrétien de Troyes, Le Conte du Graal 114 ""por aus [i demoni] se doit en saignier""); e si segna rivolto verso oriente, cioè verso i luoghi santi, perché tale era la consuetudine per gli oranti: cfr. Agostino, De sermone Domini in monte II V 18 ""cum ad orationem stamus, ad orientem convertimur, unde coelum surgit"" (citati, con altri esempi, in Dölger 1920, pp. 125 e 184).","Agostino, De sermone Domi- ni in monte II V 18 «cum ad orationem stamus, ad orientem convertimur, unde coelum surgit»",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sermones(Agostino),Sermones (Agostino),Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK +NOVELLO,"è l'epiteto che si aggiungeva al nome proprio o al soprannome quando l'interessato si chiamava come un avo, o un altro membro della famiglia (qui un altro Bicci o Biccicocco): cfr. per esempio Palma Novella, in Rolandino, Vita di Ezzelino, p.","«Palma Novella», in Rolandino, Vita di Ezzelino, p. 44.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chronica_in_factis_et_circa_facta_Marchiae_Trivixane,Chronica in factis et circa facta Marchiae Trivixane,Rolandino da Padova,http://dbpedia.org/resource/Rolandino_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +CHÉ ... CARNE,"si pensa, per quanto si dice nella seconda quartina, che qui Dante alluda al fatto che la pelle (cuoio) del castrato diventava pergamena, e la pergamena – questo intenderebbe Dante – servirà a registrare i debiti che Forese ha contratto o contrarrà per pagarsi le ricche pietanze (la carne). Ma la spiegazione non è affatto sicura, tanto il piano letterale sarebbe lontano da quello metaforico. Come che sia, si tenga presente (con De Robertis) che vendetta della carne viene dalla Bibbia, Sir 7, 19 Humilia valde spiritum tuum, quoniam vindicta carnis impii ignis et vermes (sicché la carne, se Dante aveva in mente questo passo, potrebbe essere non tanto quella delle starne e dell'agnello quanto quella dell'impius Forese: o l'una e l'altra insieme, con un doppiosenso da virtuoso), e che il passo del Siracide doveva essere congeniale al memento mori, come ammonimento ai viziosi (tale appunto sembra essere Forese); così lo glossa il Passavanti nel Trattato dell'umilità: Va garzone, giovane, altiero e senza freno, quando t'allegri co' compagni, e vai in brigata sanza temperanza, seguitando i voleri: e poni mente ai sepolcri pieni di bruttura (Specchio, II, p. 68)","«vendetta della carne» viene dalla Bibbia, Sir 7, 19 «Humilia valde spiritum tuum, quoniam vindicta carnis impii ignis et vermes»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +MA ... DETTO,"con sfumatura avversativa, 'Vero è però, mi dicono, che...' (ed è un tratto colloquiale che non a caso si trova nella poesia burlesca o di vituperio: cfr. Cavalcanti, Novelle ti so dire 12 ma ben è ver che ti largâr lo pegno)","Cavalcanti, Novelle ti so dire 12 «ma ben è ver che ti largâr lo pegno»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Novelle_ti_so_dire_odi_Nerone,"Novelle ti so dire, odi, Nerone",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SAN GAL,"il celebre spedale posto fuori della porta a San Gallo, oltre la seconda cerchia, sulla strada che portava a Bologna (BarbiMaggini): accoglieva, com'era l'uso, non soltanto gli infermi ma anche i poveri, i vecchi e gli orfani, e costoro erano spesso beneficiari di lasciti testamentari (cfr. Carabellese 1895, p. 418). Dante avrebbe attinto a piene mani dalle risorse dell'ospedale di San Gallo, tanto da lasciarlo spogliato, senza mezzi per provvedere agli altri assistiti. Questo il probabile senso dell'allusione: ma se si resta sul piano letterale l'accusa suona come se Dante avesse spogliato il santo stesso, come se avesse rubato in chiesa (in una tenzone tra Guilhalmet e un anonimo priore l'ironia ruota appunto attorno a un santo che il priore non ha adeguatamente vestito, ha lasciato nudo: Senher prior, lo sains es rancuros 1-3 Senher prior, lo sains es rancuros, / quar enaisi l'aves tengut aitan / paubre e nut). Sulla storia dell'ospedale negli anni di Dante cfr. Passerini 1853, pp. 659-75, e Davidsohn 1956-68, II, pp. 168-9","Senher prior, lo sains es rancuros 1-3 «Senher prior, lo sains es rancuros, / quar enaisi l'aves tengut aitan / paubre e nut»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Senher_prior_lo_sains_es_rancuros,"Senher prior, lo sains es rancuros",Guillalmet,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Guillalmet,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SE DIO TI SALVI,"formula di scongiuro diffusa già in provenzale: Daurel e Beton 71 Si Dieu vos sal, amicx, Giraut de Borneil, Totztems me sol plus jois plazer 58 Si Dieus me salva Mon Senhor, e poi comunissima in italiano (decine di esempi nel corpus TLIO: e ne resta traccia nell'onomastica, nei vari Diotisalvi, Dietisalvi e simili). La formula ha valore non ipotetico ma ottativo: 'così ti possa proteggere'","Daurel e Beton 71 «Si Dieu vos sal, amicx»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Daurel_e_Betó,Daurel e Betó,,,http://purl.org/bncf/tid/6986,WORK +SE DIO TI SALVI,"formula di scongiuro diffusa già in provenzale: Daurel e Beton 71 Si Dieu vos sal, amicx, Giraut de Borneil, Totztems me sol plus jois plazer 58 Si Dieus me salva Mon Senhor, e poi comunissima in italiano (decine di esempi nel corpus TLIO: e ne resta traccia nell'onomastica, nei vari Diotisalvi, Dietisalvi e simili). La formula ha valore non ipotetico ma ottativo: 'così ti possa proteggere'","Giraut de Borneil, Totztems me sol plus jois plazer 58 «Si Dieus me salva Mon Senhor»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Totztems_me_sol_plus_jois_plazer,Totztems me sol plus jois plazer,Giraut de Bornelh,http://dbpedia.org/resource/Giraut_de_Bornelh,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +E GIÀ MI PAR VEDERE,"formula della prosa o della poesia colloquiale, per la familiarità e l'ironia che sottende: cfr. Meo dei Tolomei, Se ttu sè pro' e forte, Ciampolino 12 Ma già ti veggio cambiar nel visaggio","Meo dei Tolomei, Se ttu sè pro' e forte, Ciampolino 12 «Ma già ti veggio cambiar nel visaggio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_tu_se_pro_e_forte,"Se tu se' pro' e forte, Ciampolino",Meo de' Tolomei,http://it.dbpedia.org/resource/Meo_de'_Tolomei/html,http://perunaenciclopediadantescadigitale/resource/poesia_comico_realistica,WORK +IN TERZO,"'come terzo'; era locuzione dell'uso: cfr. Novellino XLI 2 sedere con loro in quarto; Chiaro, Io non posso celare né covrire 31-2 così con voi potess'io in quell'ora / essere in terzo",Novellino XLI 2 «sedere con loro in quarto»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +IN TERZO,"'come terzo'; era locuzione dell'uso: cfr. Novellino XLI 2 sedere con loro in quarto; Chiaro, Io non posso celare né covrire 31-2 così con voi potess'io in quell'ora / essere in terzo","Chiaro, Io non posso celare né covrire 31-2 «così con voi potess'io in quell'ora / essere in ter- zo»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_non_posso_celare,Io non posso celare né covrire,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +A FORZA ... ALTRUI,"convenire indica una necessità ineluttabile: 'non puoi fare a meno di'; e torre l'altrui era una locuzione fissa, come documentano i brani citati da BarbiMaggini: [i ladri] stanno avvisati di torre l'altrui (Sacchetti). Ciò detto, l'interpretazione del verso cambia a seconda che si colleghi a forza con torre oppure con ti convien. Nel primo caso il senso sarebbe 'ti tocca rubare la roba altrui con la forza', e sarebbe la rapina violenta, opposta all'imbolare che è furto fatto di nascosto; cfr. Mengaldo 1961, dove trovo questi esempi: per forza l'atrui to (Anonimo Genovese), ruba per forza (Petrarca); e cfr. il Novellino: tòrre per forza è ruberia, non furto. Nel secondo caso il senso sarebbe 'è inevitabile (a forza) che tu rubi la roba degli altri'. Sono plausibili tutt'e due le letture, ma io propenderei per la seconda sia perché mi pare più calzante nel contesto ('e certo, per forza che devi rubare! Hai mangiato così tanto, hai tanti di quei debiti...') sia perché le parole di Dante sono quasi identiche a quelle che userà Paolo da Certaldo nel suo volgarizzamento di una lettera di San Bernardo: L'uomo ch'è ghiotto gli conviene per forza esere ladro (ed. Zaccarello i.c.s., § XIX).","Novellino: «tòrre per forza è ruberia, non furto»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +A FORZA ... ALTRUI,"convenire indica una necessità ineluttabile: 'non puoi fare a meno di'; e torre l'altrui era una locuzione fissa, come documentano i brani citati da BarbiMaggini: [i ladri] stanno avvisati di torre l'altrui (Sacchetti). Ciò detto, l'interpretazione del verso cambia a seconda che si colleghi a forza con torre oppure con ti convien. Nel primo caso il senso sarebbe 'ti tocca rubare la roba altrui con la forza', e sarebbe la rapina violenta, opposta all'imbolare che è furto fatto di nascosto; cfr. Mengaldo 1961, dove trovo questi esempi: per forza l'atrui to (Anonimo Genovese), ruba per forza (Petrarca); e cfr. il Novellino: tòrre per forza è ruberia, non furto. Nel secondo caso il senso sarebbe 'è inevitabile (a forza) che tu rubi la roba degli altri'. Sono plausibili tutt'e due le letture, ma io propenderei per la seconda sia perché mi pare più calzante nel contesto ('e certo, per forza che devi rubare! Hai mangiato così tanto, hai tanti di quei debiti...') sia perché le parole di Dante sono quasi identiche a quelle che userà Paolo da Certaldo nel suo volgarizzamento di una lettera di San Bernardo: L'uomo ch'è ghiotto gli conviene per forza esere ladro (ed. Zaccarello i.c.s., § XIX).",«per forza l'atrui to»,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Anonimo Genovese,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anonimo_Genovese,,WORK +E GIÀ,"'E ormai' (o anche, con funzione attualizzante, ben intonata al tono di tutto lo scambio, 'Ed ecco che'): cfr. Meo dei Tolomei, Io son sì magro che quasi traluco 5 e già del mi' poco i' me conduco","Meo dei Tolomei, Io son sì magro che quasi traluco 5 «e già del mi' poco i' me conduco»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/I_son_si_magro_che_quasi_trasluco,"I' son sì magro, che quasi traluco",Meo de' Tolomei,http://it.dbpedia.org/resource/Meo_de'_Tolomei/html,http://perunaenciclopediadantescadigitale/resource/poesia_comico_realistica,WORK +DA LUI,"non si rivolge più frontalmente a Forese ma dipinge un quadro nel quale questi figura come personaggio, temuto ed evitato dalla gente; ed è, il guardarsi, l'atteggiamento che si raccomanda in presenza di ladri notori: cfr. Meo dei Tolomei, A nulla guisa mi posso soffrire 91 ma conseglio ad ogn'om che se guarde (da Min Zeppa, che appunto ha fama di ladro); quanto alla borsa del verso successivo cfr. Sacchetti, Trecentonovelle LXIX 6 Buon buono! Legatevi le borse, brigata, che ecco il Passera!.","Meo dei Tolomei, A nulla guisa mi posso soffrire 91 «ma conseglio ad ogn'om che se guarde»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_nulla_guisa_mi_posso_soffrire,A nulla guisa mi posso soffrire,Meo de' Tolomei,http://it.dbpedia.org/resource/Meo_de'_Tolomei/html,http://perunaenciclopediadantescadigitale/resource/poesia_comico_realistica,WORK +PIUVICO LADRON,"'ladro di chiara fama'. La locuzione ricorre nei documenti ufficiali e negli statuti: cfr. per esempio se fosse piuvico e famoso ladrone, sia punito e condempnato (Lo statuto signorile di Chiarentana, Ed. Salem Elsheikh 1990, p. 35); La pruova di queste cose [i misfatti dell'accusato] sì è Dio e la piuvica fama (Serianni 1977, p. 454; la piuvica fama poteva cioè essere invocata davanti al tribunale come aggravante ai danni dell'imputato, come oggi i precedenti penali). E la si trova anche come insulto: mal ladro piuvicho, ladro piublico (Fantappiè 2000, II, pp. 35 e 46)","«se fosse piuvico e famoso ladrone, sia punito e condempnato» (Lo statu- to signorile di Chiarentana, Ed. Salem Elsheikh 1990, p. 35)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_statuto_signorile_di_Chiarentana,Lo statuto signorile di Chiarentana,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK +DI BICCI ... CONTARE,"'Di Bicci-Forese e dei suoi fratelli posso dire, posso raccontare'; per la sintassi del verso cfr. Cadenet, Non sai cal conseill mi prenda 61 ""De ma filla la comtessa puosc dir"" (ed. Appel 1920)","Cadenet, Non sai cal conseill mi prenda 61 «De ma filla la comtessa puosc dir»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_sai_cal_conseill_mi_prenda,Non sai cal conseill mi prenda,Cadenet,http://dbpedia.org/resource/Cadenet_(troubadour),http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +TI CARICA ... DI BASTONE,"'ti dà un sacco di bastonate'; di in luogo di con è normale nella sintassi antica per indicare lo strumento con cui si compie un'azione; cfr. Giordano da Pisa: ""quanto batti il nemico tuo di mano, o di bastone, o di ferro"" (corpus TLIO). Da notare, perché rara nella poesia antica, la voce sdrucciola in cesura, affine per esempio a Fiore LIV 9 ""ma nella lettera non metter nome"".","Giordano da Pisa: «quanto batti il nemico tuo di mano, o di bastone, o di ferro»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaresimale_fiorentino,Quaresimale fiorentino,Giordano da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Jordan_of_Pisa,http://purl.org/bncf/tid/18842,WORK +VOI CHE SAVETE,"come si è detto nella premessa, questo appello è solo formalmente simile ad altri di Guittone (Voi che penate di saver lo core), o Cavalcanti (Voi che per li occhi mi passaste il core), o dello stesso Dante (Voi che portate la sembianza umile), dato che qui si tratta della convocazione di un pubblico selezionato, cioè degli intendenti d'amore (anche per il ritmo il termine di paragone più prossimo è dunque piuttosto Donne ch'avete intelletto d'amore). Ma sarebbe un errore limitare i riscontri al campo della lirica, perché forma e sostanza dell'appello ricordano piuttosto gli esordi cantareschi, con l'indirizzo ai lettori, o meglio agli ascoltatori (udite), e l'enunciazione, in breve, del tema di cui si andrà a dire (la ballata mia pietosa, / che parla di...); cfr. per esempio: Cantare di madonna Elena Cavalieri e donzelli e mercatanti, / per cortezia, venitemi ascoltare. / ... / E sì dirò d'Elena imperadrice, che fu più bella che 'l cantar non dice (ed. Fontana 1992, p. 2); oppure l'inizio della Prise d'Orange: Oëz, seignor ... Si comme Orenge brisa li cuens Guillelmes (ed. Régnier 1967)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Voi_che_penate_di_saver_lo_core,Voi che penate di saver lo core,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +VOI CHE SAVETE,"come si è detto nella premessa, questo appello è solo formalmente simile ad altri di Guittone (Voi che penate di saver lo core), o Cavalcanti (Voi che per li occhi mi passaste il core), o dello stesso Dante (Voi che portate la sembianza umile), dato che qui si tratta della convocazione di un pubblico selezionato, cioè degli intendenti d'amore (anche per il ritmo il termine di paragone più prossimo è dunque piuttosto Donne ch'avete intelletto d'amore). Ma sarebbe un errore limitare i riscontri al campo della lirica, perché forma e sostanza dell'appello ricordano piuttosto gli esordi cantareschi, con l'indirizzo ai lettori, o meglio agli ascoltatori (udite), e l'enunciazione, in breve, del tema di cui si andrà a dire (la ballata mia pietosa, / che parla di...); cfr. per esempio: Cantare di madonna Elena Cavalieri e donzelli e mercatanti, / per cortezia, venitemi ascoltare. / ... / E sì dirò d'Elena imperadrice, che fu più bella che 'l cantar non dice (ed. Fontana 1992, p. 2); oppure l'inizio della Prise d'Orange: Oëz, seignor ... Si comme Orenge brisa li cuens Guillelmes (ed. Régnier 1967)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Voi_che_per_li_occhi,Voi che per li occhi mi passaste 'l core,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VOI CHE SAVETE,"come si è detto nella premessa, questo appello è solo formalmente simile ad altri di Guittone (Voi che penate di saver lo core), o Cavalcanti (Voi che per li occhi mi passaste il core), o dello stesso Dante (Voi che portate la sembianza umile), dato che qui si tratta della convocazione di un pubblico selezionato, cioè degli intendenti d'amore (anche per il ritmo il termine di paragone più prossimo è dunque piuttosto Donne ch'avete intelletto d'amore). Ma sarebbe un errore limitare i riscontri al campo della lirica, perché forma e sostanza dell'appello ricordano piuttosto gli esordi cantareschi, con l'indirizzo ai lettori, o meglio agli ascoltatori (udite), e l'enunciazione, in breve, del tema di cui si andrà a dire (la ballata mia pietosa, / che parla di...); cfr. per esempio: Cantare di madonna Elena Cavalieri e donzelli e mercatanti, / per cortezia, venitemi ascoltare. / ... / E sì dirò d'Elena imperadrice, che fu più bella che 'l cantar non dice (ed. Fontana 1992, p. 2); oppure l'inizio della Prise d'Orange: Oëz, seignor ... Si comme Orenge brisa li cuens Guillelmes (ed. Régnier 1967)","Prise d'Orange: «Oëz, seignor ... Si comme Orenge brisa li cuens Guillelmes»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Prise_d_Orange,Prise d'Orange,,,http://purl.org/bncf/tid/6986,WORK +RAGIONAR D'AMORE,"'parlare' ma anche 'giudicare d'amore'; è una formula frequente specie nello Stilnovo: cfr. Guido, i' vorrei 12; Dino Frescobaldi, Giovane, che così leggiadramente 2 mi fai di te sì ragionar d'amore (Brugnolo).","Dino Frescobaldi, Giovane, che così leggiadramente 2 «mi fai di te sì ragionar d'amore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Giovane_che_cosi_leggiadramente,"Giovane, che cosí leggiadramente",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +UDITE,"l'esortazione ad ascoltare si trova in testi di ogni sorta (e l'indirizzo ai sapienti è già biblico: Iob 34, 2-3 Audite, sapientes, verba mea, et eruditi auscultate me), ma di nuovo occorre pensare soprattutto a quei testi narrativi nei quali il poeta simula di avere (o non simula: ha di fatto) di fronte a sé un uditorio (vi dedica un paragrafo Chaytor 2008, pp. 15-7): Le couronnement de Louis 1-3 Oiez, seignor, que Deus vos seit aidanz! / Plaist vos oïr d'une estoire vaillant / bone chançon, corteise et avenant? (ed. Langlois 1920); Adam de la Halle, Li jus de pelerin, p. 110: Or pais, pais, segnieur, et a moi entendés); Cantare di Fiorio e Biancifiore 1-5 O buona gente, io vi voglio pregare / che lo meo detto sia bene ascoltato: / ... / per cortesia deggiatemi ascoltare (ed. Balduino 1970)","Iob 34, 2-3 «Audite, sapientes, verba mea, et eruditi auscultate me»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Job,Libro di Giobbe,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +UDITE,"l'esortazione ad ascoltare si trova in testi di ogni sorta (e l'indirizzo ai sapienti è già biblico: Iob 34, 2-3 Audite, sapientes, verba mea, et eruditi auscultate me), ma di nuovo occorre pensare soprattutto a quei testi narrativi nei quali il poeta simula di avere (o non simula: ha di fatto) di fronte a sé un uditorio (vi dedica un paragrafo Chaytor 2008, pp. 15-7): Le couronnement de Louis 1-3 Oiez, seignor, que Deus vos seit aidanz! / Plaist vos oïr d'une estoire vaillant / bone chançon, corteise et avenant? (ed. Langlois 1920); Adam de la Halle, Li jus de pelerin, p. 110: Or pais, pais, segnieur, et a moi entendés); Cantare di Fiorio e Biancifiore 1-5 O buona gente, io vi voglio pregare / che lo meo detto sia bene ascoltato: / ... / per cortesia deggiatemi ascoltare (ed. Balduino 1970)","Le couronnement de Louis 1-3 «Oiez, seignor, que Deus vos seit aidanz! / Plaist vos oïr d'une estoire vail- lant / bone chançon, corteise et avenant?»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Li_coronemenz_Looïs,Le Couronnement de Louis,,,http://purl.org/bncf/tid/6986,WORK +UDITE,"l'esortazione ad ascoltare si trova in testi di ogni sorta (e l'indirizzo ai sapienti è già biblico: Iob 34, 2-3 Audite, sapientes, verba mea, et eruditi auscultate me), ma di nuovo occorre pensare soprattutto a quei testi narrativi nei quali il poeta simula di avere (o non simula: ha di fatto) di fronte a sé un uditorio (vi dedica un paragrafo Chaytor 2008, pp. 15-7): Le couronnement de Louis 1-3 Oiez, seignor, que Deus vos seit aidanz! / Plaist vos oïr d'une estoire vaillant / bone chançon, corteise et avenant? (ed. Langlois 1920); Adam de la Halle, Li jus de pelerin, p. 110: Or pais, pais, segnieur, et a moi entendés); Cantare di Fiorio e Biancifiore 1-5 O buona gente, io vi voglio pregare / che lo meo detto sia bene ascoltato: / ... / per cortesia deggiatemi ascoltare (ed. Balduino 1970)","Adam de la Halle, Li jus de pelerin, p. 110: «Or pais, pais, segnieur, et a moi entendés»);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Li_jus_de_pelerin,Li jus de pelerin,Adam de la Halle,http://dbpedia.org/resource/Adam_de_la_Halle,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +UDITE,"l'esortazione ad ascoltare si trova in testi di ogni sorta (e l'indirizzo ai sapienti è già biblico: Iob 34, 2-3 Audite, sapientes, verba mea, et eruditi auscultate me), ma di nuovo occorre pensare soprattutto a quei testi narrativi nei quali il poeta simula di avere (o non simula: ha di fatto) di fronte a sé un uditorio (vi dedica un paragrafo Chaytor 2008, pp. 15-7): Le couronnement de Louis 1-3 Oiez, seignor, que Deus vos seit aidanz! / Plaist vos oïr d'une estoire vaillant / bone chançon, corteise et avenant? (ed. Langlois 1920); Adam de la Halle, Li jus de pelerin, p. 110: Or pais, pais, segnieur, et a moi entendés); Cantare di Fiorio e Biancifiore 1-5 O buona gente, io vi voglio pregare / che lo meo detto sia bene ascoltato: / ... / per cortesia deggiatemi ascoltare (ed. Balduino 1970)","Cantare di Fiorio e Biancifiore 1-5 «O buona gente, io vi voglio pregare / che lo meo detto sia bene ascoltato: / ... / per cortesia deggiatemi ascoltare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cantare_di_Florio_e_Biancifiore,Cantare di Florio e Biancifiore,,,http://purl.org/bncf/tid/2664,WORK +M'HA TOLTO IL COR,"'mi ha fatto innamorare di sé', ma alla lettera 'ha sottratto il mio cuore', secondo un motivo già topico nella tradizione occidentale, dal Cantico dei cantici ai trovatori (cfr. ora Lazzerini 1998, pp. 172-3)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +M'HA TOLTO IL COR,"'mi ha fatto innamorare di sé', ma alla lettera 'ha sottratto il mio cuore', secondo un motivo già topico nella tradizione occidentale, dal Cantico dei cantici ai trovatori (cfr. ora Lazzerini 1998, pp. 172-3)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +CHINARE ... PAURA,"è lo stesso atteggiamento di soggezione che sta al centro dei sonetti Se 'l viso mio a la terra si china e Questa donna ch'andar mi fa pensoso (e questo in particolare svolge l'identica topica degli occhi); il verso ricalca Cavalcanti, Io temo che la mia disaventura 4 che fa tremar la mente di paura (De Robertis). 7-8",Io temo che la mia disaventura 4 «che fa tremar la mente di paura»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_temo,Io temo che la mia disaventura,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +TRAE ... CORE,"perché è il cuore il luogo in cui le lacrime e i sospiri si formano, generati dagli spiriti che lì si concentrano in seguito alla percezione di cose tristi: cfr. Cavalcanti, S'io prego 10 piange ne' li sospir che nel cor trova, e per la spiegazione fisiologica Siraisi 1981, p.","Cavalcanti, S'io prego 10 «piange ne' li sospir che nel cor trova»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_io_prego,S'io prego questa donna che Pietate,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CHE ... DARDI,"'che mi ha ferito con le sue frecce'. Come osserva A. Niccoli (in ED, s.v.), la costruzione partitiva di sentire si ha soprattutto quando il verbo ha un significato prossimo a 'risentire', come in If XXVI 8-9 tu sentirai ... / di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna o in Pd VI 66 sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo. D'altra parte, sentire d'amore (o simili) nel senso di 'partecipare del sentimento amoroso, averne esperienza' è un costrutto ricorrente nella lirica antica: cfr. Amor che nella mente 26 quando Amor fa sentir de la sua pace [bv III]; Chiaro, Non già per gioia ch'aggia mi conforto 50 Va', canzonetta, a chi sente d'amore, e gli esempi citati in GDLI, s.v.9.","Chiaro, Non già per gioia ch'aggia mi conforto 50 «Va', canzonetta, a chi sen- te d'amore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_gia_per_gioia,Non già per gioia ch'aggia mi conforto,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +A QUELLA ... SI MIRA,"i commentatori intendono 'così come fa una donna onesta quando si specchia'. Ma l'aggettivo retta 'onesta' associato alla donna (e a una donna che si guarda allo specchio) non convince del tutto: se è vero che l'epiteto drecha, adrecha si trova qualche volta riferito alla donna, nella lirica dei trovatori, è anche vero che di donne rette non si trovano altri esempi nei testi italiani antichi. Va considerata allora (con Zingarelli e ora con Martelli 2004, pp. 261-2) la possibilità che retta non sia aggettivo che qualifica la donna bensì sostantivo complemento oggetto di face, dal momento che far retta poteva significare 'far riparo, difesa, ergere una barriera'; cfr. GDLI, s.v. retta4, con esempi a partire da Matteo Villani: messer Malatesta non poté fare retta contro al legato (e soprattutto, citato da Martelli, Lorenzo il Magnifico: A' tuoi colpi non posso più far retta). Qui l'espressione sarebbe calzante per esprimere un contegno riservato e pudico: 'a quel modo che una donna fa riparo (con la mano) quando si specchia (si mira: ma non direi, come propone Martelli, che qui il si possa essere non mediale ma passivante: 'è mirata')'. Ma dall'altra parte, è ammissibile un iperbato così forte, 'riparo la donna fa'? Quale che sia la giusta interpretazione (donna retta o donna che fa retta), vale circa la sintassi del verso l'osservazione di F. Brambilla Ageno in ED, Appendice, s.v. Pronome relativo, p. 201: molto raramente si verifica nella prosa e nella poesia dantesca il fenomeno, frequentissimo nelle scritture di tono popolare, dell'omissione del relativo ...; in poesia possiamo citare solo Rime LXXX 19, cioè il passo in questione (ma l'anomalia si sanerebbe intendendo i vv. 19-20 come una proposizione esplicativa rispetto a ciò che precede, e separandoli coi due punti: 'per vederli quando vuole: in quello stesso modo la donna...')",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +ISPERO,"non tanto 'spero' secondo l'accezione moderna quanto 'credo, mi aspetto', nel senso che il verbo poteva avere in latino (e come nell'incipit di Cavalcanti, Perch'i' no spero di tornar giammai). 22-4","'incipit di Cavalcanti, Perch'i' no spero di tornar giammai",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Perch_i_no_spero,Perch'i' no spero di tornar giammai,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +POSCIA CH(E),"con valore piuttosto causale che temporale, 'dal momento che', come per esempio in questo incipit di Cavalcanti: Poi che di doglia cor conven ch'i' porti (e il periodo si chiude con una sovrordinata che spiega, come qui il canterò del v. 7, di che cosa parlerà il testo: dirò com'ho perduto ogni valore)",ncipit di Cavalcanti: Poi che di doglia cor conven ch'i' porti,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poi_che_di_doglia,Poi che di doglia cor conven ch'i' porti,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DEL TUTTO,"'interamente': anche per la personificazione e l'avvio causale cfr. Guiraudo lo Ros, Era sabrai s'a ges de cortezia 3 pus que Merces m'a del tot oblidat.",Era sabrai s'a ges de cortezia 3 «pus que Mer- ces m'a del tot oblidat»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ara_sabrai_s_a_ges_de_cortezia,Ara sabrai s'a ges de cortezia,Guiraut lo Ros,http://dbpedia.org/resource/Guiraudo_lo_Ros,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NON ... GRATO,"precisazioni simili sono frequenti nella lirica quando il poeta vuole sottolineare l'ineluttabilità di un evento (di solito lo sbocciare della passione: Fiore I 7-8 Alló·gli piacque [al dio d'Amore], non per voglia mia, / che di cinque saette mi piagasse), o il suo scemare (Guinizelli [?], Di fermo sofferire 6-9 non perché 'l meo desire / del soler sia cangiato / ... / ma perch'eo). Se poi si considera la struttura retorica e non il contenuto, si nota che lo schema sintattico è tipicamente dantesco: O voi che per la via 7-9 Amor, non già per mia poca bontate, / ma per sua nobiltate, / mi pose in vita sì dolce e soave; Donne ch'avete 3-4 non perch'io creda sua laude finire, / ma ragionar",Di fermo sofferire 6-9 «non perché 'l meo desire / del soler sia cangiato / ... / ma perch'eo»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Di_fermo_sofferire,Di fermo sofferire,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER MIO GRATO,"come osserva Contini, è il prov. per mon grat (del resto già ambientato in Italia: cfr. Chiaro, Allegrosi cantari 9 per mio grato): 'conformemente alla mia volontà o gradimento'.","Chiaro, Allegrosi cantari 9 «per mio grato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Allegrosi_cantari,Allegrosi cantari,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PIETOSO ... PIANTO,"'ebbe tanta pietà del mio cuore che non sopportò di sentire il suo pianto'. Contini osserva che il pianto va inteso per un pianto poetico, per l'usato parlare di Le dolci rime; ma qui non si parla di versi lacrimevoli bensì di un pianto reale, e si dice 'pianto del cuore' perché secondo la fisiologia medievale è dal cuore che si originano le lacrime, nate dalla distillazione del sangue: cfr. tra l'altro Peri 1996, pp. 60-1 e 77, e qui la nota a Donne, io non so 8-9. Dunque non è una metafora ma quasi una definizione formale quella che si legge in Bernart de Ventadorn, Can vei la flor, l'erba vert e la folha 43 l'aiga del cor, c'amdos los olhs me molha (e così si spiega anche, per esempio, l'immagine usata da Cavalcanti, S'io prego 10-1 piange ne' li sospir che nel cor trova, / sì che bagnati di pianti escon fòre)","Bernart de Ventadorn, Can vei la flor, l'erba vert e la folha 43 «l'aiga del cor, c'amdos los olhs me molha»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Can_vei_la_flor_l_erba_vert_e_la_folha,"Can vei la flor, l'erba vert e la folha",Bernart de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Bernart_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PIETOSO ... PIANTO,"'ebbe tanta pietà del mio cuore che non sopportò di sentire il suo pianto'. Contini osserva che il pianto va inteso per un pianto poetico, per l'usato parlare di Le dolci rime; ma qui non si parla di versi lacrimevoli bensì di un pianto reale, e si dice 'pianto del cuore' perché secondo la fisiologia medievale è dal cuore che si originano le lacrime, nate dalla distillazione del sangue: cfr. tra l'altro Peri 1996, pp. 60-1 e 77, e qui la nota a Donne, io non so 8-9. Dunque non è una metafora ma quasi una definizione formale quella che si legge in Bernart de Ventadorn, Can vei la flor, l'erba vert e la folha 43 l'aiga del cor, c'amdos los olhs me molha (e così si spiega anche, per esempio, l'immagine usata da Cavalcanti, S'io prego 10-1 piange ne' li sospir che nel cor trova, / sì che bagnati di pianti escon fòre)","S'io prego 10-1 «piange ne' li sospir che nel cor trova, / sì che bagnati di pianti escon fòre»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_io_prego,S'io prego questa donna che Pietate,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CANTERÒ,"dichiarazione dell'argomento, come in più canti della Commedia e in molte canzoni romanze (tra le dantesche, per esempio, cfr. Donne ch'avete 11 tratterò del suo stato gentile e Li occhi dolenti 12 dicerò di lei piangendo)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +CON NOME ... LEGGIADRIA,"'con il nome che designa un valore, cioè (con il nome) di leggiadria'. Nella lingua antica leggiadria può avere significato sia positivo (eleganza, raffinatezza, levità) sia negativo (alterigia, o colpevole leggerezza), e a volte le due cose stanno insieme, nel senso che l'alterigia può essere una conseguenza della raffinatezza, come nella novella di messer Polo Traversaro nel Novellino (XLI). Qui non ci sono ombre: la leggiadria è per Dante un valore interamente positivo. Lo stesso tema – che cosa sia la leggiadria – è svolto, in forme molto più semplici e disimpegnate, come scialba collana di precetti, nel sonetto probabilmente trecentesco Volete udire in che sta leggiadria? (ed. Thomas 1880, p. 110)",novella di messer Polo Traversaro nel Novellino (XLI),CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +CON NOME ... LEGGIADRIA,"'con il nome che designa un valore, cioè (con il nome) di leggiadria'. Nella lingua antica leggiadria può avere significato sia positivo (eleganza, raffinatezza, levità) sia negativo (alterigia, o colpevole leggerezza), e a volte le due cose stanno insieme, nel senso che l'alterigia può essere una conseguenza della raffinatezza, come nella novella di messer Polo Traversaro nel Novellino (XLI). Qui non ci sono ombre: la leggiadria è per Dante un valore interamente positivo. Lo stesso tema – che cosa sia la leggiadria – è svolto, in forme molto più semplici e disimpegnate, come scialba collana di precetti, nel sonetto probabilmente trecentesco Volete udire in che sta leggiadria? (ed. Thomas 1880, p. 110)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Volete_udire_in_che_sta_leggiadria,Volete udire in che sta leggiadria?,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +VERACE ... DIMORA,"'segno veritiero che indica dove sta la virtù'; e l'insegna pare proprio quella che si affigge sulle case per dire chi vi dimora (qui appunto la vertù): cfr. Laudario di Santa Maria della Scala, Piangiamo cogli occhi e collo core 93-4 quella è bem vera insegna / ke noi ama di buon cuore","Laudario di Santa Ma- ria della Scala, Piangiamo cogli occhi e collo core 93-4 «quella è bem vera insegna / ke noi ama di buon cuore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Laudario_di_Santa_Maria_della_Scala,Laudario di Santa Maria della Scala,,,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +VERTÙ,"è la virtù morale in genere (BarbiPernicone), come in Le dolci rime 86-7 [la virtù è] un abito eligente / lo qual dimora in mezzo solamente (traduzione di Aristotele, Etica Nicomachea 1106b 37-8 [Virtus est] habitus electivus in medietate existens). 17-9","Aristotele, Etica Nicomachea 1106b 37-8 «[Virtus est] habitus electivus in medietate existens»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SONO CHE ... GENTIL' CORAGGI,"La seconda stanza inizia la rassegna dei ""falsi leggiadri"". I primi a essere criticati da Dante sono gli scialacquatori, che perdono il loro denaro in spese inutili fatte per il solo desiderio di essere ammirati, o per mantenere i propri lussi viziosi: cibo, sesso, bei vestiti. Lo sfarzo offendeva a quei tempi molto di più di quanto non faccia oggi, e tutta l'opera di Dante ce lo mostra particolarmente sensibile a questo tema: lo si vede per esempio nell'indignazione di Cacciaguida per le gonne e le cinture delle donne fiorentine, o nell'invettiva di Cv IV XXVII 14 contro coloro che si credono larghezza fare spendendo in cose vane denaro mal guadagnato: Non altrimenti si dee ridere, tiranni, de le vostre messioni, che del ladro che menasse a la sua casa li convitati, e la tovaglia furata di su l'altare ... ponesse in su la mensa. E la formula con cui qui inizia la stanza ricorda da vicino la traduzione dal De officiis che lì subito segue: Sono molti, certo desiderosi d'essere apparenti, e gloriosi, che tolgono a li altri per dare a li altri, credendosi buoni essere tenuti. La vita del Comune doveva dare infinita materia per riflessioni come queste: si pensi ai potlatch delle brigate spenderecce o, per contro, alle leggi suntuarie che punivano pro bono pacis l'ostentazione delle ricchezze (cfr. Carpi 2004, pp. 147-8).","«Sono molti, certo desiderosi d'essere apparenti, e gloriosi, che tol- gono a li altri per dare a li altri, credendosi buoni essere tenuti»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SONO CHE,"è il sunt qui o sunt quidam caratteristico della prosa latina argomentativa (Boezio, De consolatione III 2 Sunt qui ... Sunt etiam qui), e che Dante adopera in più luoghi del Convivio: Sono molti che per ritrarre (I XI 15). Coordinato, nello svolgimento del discorso, a E altri son che, per esser ridenti del v. 39, questo elenco di reprobi, con breve caratterizzazione, ricalca un procedimento tipico della satira, vale a dire l'introduzione non di personaggi ma di tipi individuati per l'uno o per l'altro difetto: cfr. per esempio Giovenale, II 93-9 Ille... [e segue la descrizione di un vizio, o di un vezzo ridicolo]; ille... eccetera","Boezio, De consolatione III 2 «Sunt qui ... Sunt etiam qui»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SONO CHE,"è il sunt qui o sunt quidam caratteristico della prosa latina argomentativa (Boezio, De consolatione III 2 Sunt qui ... Sunt etiam qui), e che Dante adopera in più luoghi del Convivio: Sono molti che per ritrarre (I XI 15). Coordinato, nello svolgimento del discorso, a E altri son che, per esser ridenti del v. 39, questo elenco di reprobi, con breve caratterizzazione, ricalca un procedimento tipico della satira, vale a dire l'introduzione non di personaggi ma di tipi individuati per l'uno o per l'altro difetto: cfr. per esempio Giovenale, II 93-9 Ille... [e segue la descrizione di un vizio, o di un vezzo ridicolo]; ille... eccetera","Giovenale, II 93-9 «Ille... [e segue la descrizione di un vizio, o di un vezzo ridicolo]; ille...»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK +CAPERE ... STANNO,"'entrare, risiedere nel luogo dove stanno i buoni', cioè 'essere annoverati tra i buoni', con una metafora simile a quella usata da Dante da Maiano per definire i saggi: Per pruova 7 ciascun c'àve in canoscenza loco. L'idea si trova già in Brunetto Latini (Tesoretto 1720-3 chi non dura fatica / sì che possa valere, / non si creda capere / tra gli uomini valenti [BarbiPernicone]), e soprattutto in Bonagiunta, Similemente onore 59-67 tant'è [l'uomo] da blasmare / quant'ha potensa / e intendensa / e non fa messione / per venire in orransa, / in lontana contansa, / e per potere / tra i bon' capere / e conquistar l'onore: in un passo che contiene le stesse parole usate da Dante ma ha un significato quasi opposto, dato che, mentre Bonagiunta esorta a spendere per tra i bon' capere, Dante al contrario invita a non credere che questo scopo possa essere raggiunto attraverso una stolta messione (i dettagli in Menichetti 1978a; Menichetti 1978; Giunta 1998, pp. 274-8). Di messione Dante parlerà ancora nel Convivio elogiando i reali benefici di alcuni nobili famosi, benefici che hanno garantito loro (ed è appunto il motivo svolto in questi versi) il grato ricordo non solo dei beneficati ma di tutti i valentuomini: Quando de le loro messioni si fa menzione, certo non solamente quelli che ciò farebbero volentieri, ma quelli prima morire vorrebbero che ciò fare, amore hanno a la memoria di costoro (IV XI 14)",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,,WORK +CAPERE ... STANNO,"'entrare, risiedere nel luogo dove stanno i buoni', cioè 'essere annoverati tra i buoni', con una metafora simile a quella usata da Dante da Maiano per definire i saggi: Per pruova 7 ciascun c'àve in canoscenza loco. L'idea si trova già in Brunetto Latini (Tesoretto 1720-3 chi non dura fatica / sì che possa valere, / non si creda capere / tra gli uomini valenti [BarbiPernicone]), e soprattutto in Bonagiunta, Similemente onore 59-67 tant'è [l'uomo] da blasmare / quant'ha potensa / e intendensa / e non fa messione / per venire in orransa, / in lontana contansa, / e per potere / tra i bon' capere / e conquistar l'onore: in un passo che contiene le stesse parole usate da Dante ma ha un significato quasi opposto, dato che, mentre Bonagiunta esorta a spendere per tra i bon' capere, Dante al contrario invita a non credere che questo scopo possa essere raggiunto attraverso una stolta messione (i dettagli in Menichetti 1978a; Menichetti 1978; Giunta 1998, pp. 274-8). Di messione Dante parlerà ancora nel Convivio elogiando i reali benefici di alcuni nobili famosi, benefici che hanno garantito loro (ed è appunto il motivo svolto in questi versi) il grato ricordo non solo dei beneficati ma di tutti i valentuomini: Quando de le loro messioni si fa menzione, certo non solamente quelli che ciò farebbero volentieri, ma quelli prima morire vorrebbero che ciò fare, amore hanno a la memoria di costoro (IV XI 14)",Per pruova 7 «ciascun c'àve in canoscenza loco»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_pruova_di_saper,Per pruova di saper com' vale o quanto,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CAPERE ... STANNO,"'entrare, risiedere nel luogo dove stanno i buoni', cioè 'essere annoverati tra i buoni', con una metafora simile a quella usata da Dante da Maiano per definire i saggi: Per pruova 7 ciascun c'àve in canoscenza loco. L'idea si trova già in Brunetto Latini (Tesoretto 1720-3 chi non dura fatica / sì che possa valere, / non si creda capere / tra gli uomini valenti [BarbiPernicone]), e soprattutto in Bonagiunta, Similemente onore 59-67 tant'è [l'uomo] da blasmare / quant'ha potensa / e intendensa / e non fa messione / per venire in orransa, / in lontana contansa, / e per potere / tra i bon' capere / e conquistar l'onore: in un passo che contiene le stesse parole usate da Dante ma ha un significato quasi opposto, dato che, mentre Bonagiunta esorta a spendere per tra i bon' capere, Dante al contrario invita a non credere che questo scopo possa essere raggiunto attraverso una stolta messione (i dettagli in Menichetti 1978a; Menichetti 1978; Giunta 1998, pp. 274-8). Di messione Dante parlerà ancora nel Convivio elogiando i reali benefici di alcuni nobili famosi, benefici che hanno garantito loro (ed è appunto il motivo svolto in questi versi) il grato ricordo non solo dei beneficati ma di tutti i valentuomini: Quando de le loro messioni si fa menzione, certo non solamente quelli che ciò farebbero volentieri, ma quelli prima morire vorrebbero che ciò fare, amore hanno a la memoria di costoro (IV XI 14)","Brunet- to Latini (Tesoretto 1720-3 «chi non dura fatica / sì che possa valere, / non si creda capere / tra gli uomini valenti»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +CAPERE ... STANNO,"'entrare, risiedere nel luogo dove stanno i buoni', cioè 'essere annoverati tra i buoni', con una metafora simile a quella usata da Dante da Maiano per definire i saggi: Per pruova 7 ciascun c'àve in canoscenza loco. L'idea si trova già in Brunetto Latini (Tesoretto 1720-3 chi non dura fatica / sì che possa valere, / non si creda capere / tra gli uomini valenti [BarbiPernicone]), e soprattutto in Bonagiunta, Similemente onore 59-67 tant'è [l'uomo] da blasmare / quant'ha potensa / e intendensa / e non fa messione / per venire in orransa, / in lontana contansa, / e per potere / tra i bon' capere / e conquistar l'onore: in un passo che contiene le stesse parole usate da Dante ma ha un significato quasi opposto, dato che, mentre Bonagiunta esorta a spendere per tra i bon' capere, Dante al contrario invita a non credere che questo scopo possa essere raggiunto attraverso una stolta messione (i dettagli in Menichetti 1978a; Menichetti 1978; Giunta 1998, pp. 274-8). Di messione Dante parlerà ancora nel Convivio elogiando i reali benefici di alcuni nobili famosi, benefici che hanno garantito loro (ed è appunto il motivo svolto in questi versi) il grato ricordo non solo dei beneficati ma di tutti i valentuomini: Quando de le loro messioni si fa menzione, certo non solamente quelli che ciò farebbero volentieri, ma quelli prima morire vorrebbero che ciò fare, amore hanno a la memoria di costoro (IV XI 14)","Bonagiunta, Similemente onore 59-67 «tant'è [l'uomo] da blasmare / quant'ha potensa / e intendensa / e non fa messione / per venire in orransa, / in lontana contansa, / e per potere / tra i bon' capere / e conquistar l'onore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Similemente_onore,Similemente onore,Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CAPERE ... BONI,"per la formula cfr. Berenguer de Palol, Totz temoros e doptans 3 sol puesc'entre·ls bos caber. 23-5","Berenguer de Palol, Totz temoros e doptans 3 «sol puesc'entre·ls bos caber».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Totz_temoros_e_doptans,Totz temoros e doptans,Berenguier de Palazol,http://dbpedia.org/resource/Berenguier_de_Palazol,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHE DOPO MORTE ... CONOSCENZA,"'i quali buoni, dopo la morte, continuano a vivere nella memoria (mente) delle persone sagge'. Quest'idea ""foscoliana"" della buona fama, misurata sulla persistenza del ricordo dei migliori tra i migliori, affiora spesso anche nelle parole degli scrittori medievali (ed è come il rovescio della retorica ascetica del contemptus mundi): così certi personaggi della Commedia pregano Dante di ricordare il loro nome, di rinverdire la loro fama in terra; e cfr. per esempio, per questi versi, Guiraut Riquier, Quar dreytz ni fes 42-4 pus mortz pres / a los valens, / lurs pretz viu ab lauzors","Guiraut Riquier, Quar dreytz ni fes 42-4 «pus mortz pres / a los valens, / lurs pretz viu ab lauzors»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quar_dreytz_ni_fes,Quar dreytz ni fes,Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MESSIONE,"metre significava 'spendere' in provenzale; e fra i trovatori messio was the regular term for the bounty bestowed by a generous patron on the troubadour (Toynbee 1902, p. 143 nota 1). Qui, come nei passi succitati di Bonagiunta e del Convivio, è semplicemente 'dono, elargizione'. Per attirare la lode dei buoni, sostiene Dante, la messione dev'essere fatta in vista di uno scopo utile e ragionevole, e non lo sono quelli elencati nella sirma: cibi, lussuria, abiti preziosi. È insomma la distinzione tra la virtù della liberalità e il vizio della prodigalità, già topica nei trovatori, e per esempio al centro delle canzoni Qui ha talen de donar di Bonifacio Calvo (ed. Horan 1966) e Qui vol esser agradans e plazens di Guilhem de Montanhagol (25-7 Homes trob'om larcx e mal conoyssens / pero non es largueza mas folhors / qui dona si que no·l siegua lauzors)",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +MESSIONE,"metre significava 'spendere' in provenzale; e fra i trovatori messio was the regular term for the bounty bestowed by a generous patron on the troubadour (Toynbee 1902, p. 143 nota 1). Qui, come nei passi succitati di Bonagiunta e del Convivio, è semplicemente 'dono, elargizione'. Per attirare la lode dei buoni, sostiene Dante, la messione dev'essere fatta in vista di uno scopo utile e ragionevole, e non lo sono quelli elencati nella sirma: cibi, lussuria, abiti preziosi. È insomma la distinzione tra la virtù della liberalità e il vizio della prodigalità, già topica nei trovatori, e per esempio al centro delle canzoni Qui ha talen de donar di Bonifacio Calvo (ed. Horan 1966) e Qui vol esser agradans e plazens di Guilhem de Montanhagol (25-7 Homes trob'om larcx e mal conoyssens / pero non es largueza mas folhors / qui dona si que no·l siegua lauzors)",,CONCORDANZA GENERICA,,,Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +MESSIONE,"metre significava 'spendere' in provenzale; e fra i trovatori messio was the regular term for the bounty bestowed by a generous patron on the troubadour (Toynbee 1902, p. 143 nota 1). Qui, come nei passi succitati di Bonagiunta e del Convivio, è semplicemente 'dono, elargizione'. Per attirare la lode dei buoni, sostiene Dante, la messione dev'essere fatta in vista di uno scopo utile e ragionevole, e non lo sono quelli elencati nella sirma: cibi, lussuria, abiti preziosi. È insomma la distinzione tra la virtù della liberalità e il vizio della prodigalità, già topica nei trovatori, e per esempio al centro delle canzoni Qui ha talen de donar di Bonifacio Calvo (ed. Horan 1966) e Qui vol esser agradans e plazens di Guilhem de Montanhagol (25-7 Homes trob'om larcx e mal conoyssens / pero non es largueza mas folhors / qui dona si que no·l siegua lauzors)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qui_ha_talen_de_donar,Qui ha talen de donar,Bonifaci Calvo,http://dbpedia.org/resource/Bonifaci_Calvo,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MESSIONE,"metre significava 'spendere' in provenzale; e fra i trovatori messio was the regular term for the bounty bestowed by a generous patron on the troubadour (Toynbee 1902, p. 143 nota 1). Qui, come nei passi succitati di Bonagiunta e del Convivio, è semplicemente 'dono, elargizione'. Per attirare la lode dei buoni, sostiene Dante, la messione dev'essere fatta in vista di uno scopo utile e ragionevole, e non lo sono quelli elencati nella sirma: cibi, lussuria, abiti preziosi. È insomma la distinzione tra la virtù della liberalità e il vizio della prodigalità, già topica nei trovatori, e per esempio al centro delle canzoni Qui ha talen de donar di Bonifacio Calvo (ed. Horan 1966) e Qui vol esser agradans e plazens di Guilhem de Montanhagol (25-7 Homes trob'om larcx e mal conoyssens / pero non es largueza mas folhors / qui dona si que no·l siegua lauzors)",Qui vol esser agradans e plazens di Guilhem de Montanha- gol (25-7 «Homes trob'om larcx e mal conoyssens / pero non es lar- gueza mas folhors / qui dona si que no·l siegua lauzors»).,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qui_vol_esser_agradans_e_plazen,Qui vol esser agradans e plazens,Guillem de Montanhagol,http://dbpedia.org/resource/Guilhem_de_Montanhagol,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +TENERE,"da intendere nel preciso senso di 'risparmiare, non spendere' che il verbo ha già in provenzale: cfr. Guillem Augier Novella, Laig faill cor e sabers e senz 4 teners [il denaro] es nienz. Chi sa, chi è veramente liberale, non dà a casaccio ma dosa le sue messioni favorendo chi davvero merita: è lo stesso precetto che si legge in Tommaso, Sententia, IV lectio 2 liberalis non dat quibuscumque, sed retinet ad hoc quod possit dare quibus oportet, et loco et tempore debito. 28-31",Laig faill cor e sabers e senz 4 «teners [il denaro] es nienz»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Laig_faill_cor_e_sabers_e_senz,Laig faill cor e sabers e senz,Guillem Augier Novella,http://dbpedia.org/resource/Guillem_Augier_Novella,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +TENERE,"da intendere nel preciso senso di 'risparmiare, non spendere' che il verbo ha già in provenzale: cfr. Guillem Augier Novella, Laig faill cor e sabers e senz 4 teners [il denaro] es nienz. Chi sa, chi è veramente liberale, non dà a casaccio ma dosa le sue messioni favorendo chi davvero merita: è lo stesso precetto che si legge in Tommaso, Sententia, IV lectio 2 liberalis non dat quibuscumque, sed retinet ad hoc quod possit dare quibus oportet, et loco et tempore debito. 28-31","Tommaso, Sententia, IV lectio 2 «liberalis non dat quibuscumque, sed retinet ad hoc quod possit dare quibus oportet, et loco et tempore debito»",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DELLA GENTE / C'HANNO,"normale nelle lingue galloromanze, si dà anche nell'italiano antico l'accordo di gente, singolare collettivo, con un predicato plurale.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +QUAL ... FALLENZA,"'Chi negherà che è una colpa, un errore' (prov. falhensa).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +DIVORAR ... INTENDERE,"la censura della gola e quella della lussuria vanno di conserva, perché si credeva che il cibo e le bevande superflue stimolassero gli appetiti sessuali; sono dunque due facce della stessa intemperanza: cfr. Tommaso, In Ethicam, IV lectio I § 656 vocamus enim quandoque prodigos illos qui incontinenter vivunt et consumunt divitias suas intemperantia, sive ciborum, sive venereorum (e più avanti, nella lectio IV, il nome di intemperanti è dato a coloro che scialacquano denaro in cibos et in venerea); e san Bernardo nella lettera ad clericos de conversione associa appunto in un unico capitolo appetitus gulae et libidinis actus (VIII 13). Ma era poi nozione corrente, diffusa non solo tra i filosofi: cfr. Anonimo Genovese, Se alcun perdon poesse aver 198-9 Che la gora conseigo liga / la luxuria e noriga","Tommaso, In Ethicam, IV lectio I § 656 «vocamus enim quandoque prodigos illos qui incontinenter vivunt et consumunt divitias suas intemperantia, sive ciborum, sive venereorum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DIVORAR ... INTENDERE,"la censura della gola e quella della lussuria vanno di conserva, perché si credeva che il cibo e le bevande superflue stimolassero gli appetiti sessuali; sono dunque due facce della stessa intemperanza: cfr. Tommaso, In Ethicam, IV lectio I § 656 vocamus enim quandoque prodigos illos qui incontinenter vivunt et consumunt divitias suas intemperantia, sive ciborum, sive venereorum (e più avanti, nella lectio IV, il nome di intemperanti è dato a coloro che scialacquano denaro in cibos et in venerea); e san Bernardo nella lettera ad clericos de conversione associa appunto in un unico capitolo appetitus gulae et libidinis actus (VIII 13). Ma era poi nozione corrente, diffusa non solo tra i filosofi: cfr. Anonimo Genovese, Se alcun perdon poesse aver 198-9 Che la gora conseigo liga / la luxuria e noriga","lectio IV, il nome di intemperanti è dato a coloro che scialacquano denaro «in cibos et in venerea»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DIVORAR ... INTENDERE,"la censura della gola e quella della lussuria vanno di conserva, perché si credeva che il cibo e le bevande superflue stimolassero gli appetiti sessuali; sono dunque due facce della stessa intemperanza: cfr. Tommaso, In Ethicam, IV lectio I § 656 vocamus enim quandoque prodigos illos qui incontinenter vivunt et consumunt divitias suas intemperantia, sive ciborum, sive venereorum (e più avanti, nella lectio IV, il nome di intemperanti è dato a coloro che scialacquano denaro in cibos et in venerea); e san Bernardo nella lettera ad clericos de conversione associa appunto in un unico capitolo appetitus gulae et libidinis actus (VIII 13). Ma era poi nozione corrente, diffusa non solo tra i filosofi: cfr. Anonimo Genovese, Se alcun perdon poesse aver 198-9 Che la gora conseigo liga / la luxuria e noriga",Sermo de conversione ad clericos - «appetitus gulae et libidinis actus» (VIII 13),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sermones_(Bernardo_di_Chiaravalle),Sermones (Bernardo di Chiaravalle),Bernardo di Chiaravalle,http://dbpedia.org/resource/Bernard_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +DIVORAR ... INTENDERE,"la censura della gola e quella della lussuria vanno di conserva, perché si credeva che il cibo e le bevande superflue stimolassero gli appetiti sessuali; sono dunque due facce della stessa intemperanza: cfr. Tommaso, In Ethicam, IV lectio I § 656 vocamus enim quandoque prodigos illos qui incontinenter vivunt et consumunt divitias suas intemperantia, sive ciborum, sive venereorum (e più avanti, nella lectio IV, il nome di intemperanti è dato a coloro che scialacquano denaro in cibos et in venerea); e san Bernardo nella lettera ad clericos de conversione associa appunto in un unico capitolo appetitus gulae et libidinis actus (VIII 13). Ma era poi nozione corrente, diffusa non solo tra i filosofi: cfr. Anonimo Genovese, Se alcun perdon poesse aver 198-9 Che la gora conseigo liga / la luxuria e noriga",Se alcun perdon poesse aver 198-9 «Che la gora conseigo liga / la luxuria e noriga».,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_alcun_perdon_poesse_aver,Se alcun perdon poesse aver,Anonimo Genovese,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anonimo_Genovese,http://purl.org/bncf/tid/2664,WORK +ORNARSI ... SAGGI,"'adornarsi, vestirsi sontuosamente come se si dovesse vendere al mercato degli stupidi'; non saggio è un sintagma lessicalizzato già in provenzale (non savis) e nella lirica italiana pre-dantesca: cfr. Guittone, Figlio mio 3 lauda sua volonter non-saggio, l'aude (diversamente l'ed. Rossi: volenter-non saggio). 36-8","Figlio mio 3 «lauda sua volonter non-saggio, l'aude» (diversamente l'ed. Rossi: «volenter-non saggio»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Figlio_mio_dilettoso,"Figlio mio dilettoso, in faccia laude",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHÉ ... CORAGGI,"bisogna giudicare gli uomini non per come si vestono ma per la loro intelligenza e nobiltà d'animo. Idea ovvia, che riecheggia non tanto la saggezza classica (ma si confronti questo passo di Boezio, De consolatione II 5, così simile nel linguaggio e nel tono: Quam vero late patet vester hic error, qui ornari posse aliquid ornamentis existimatis alienis! At id fieri nequit) quanto la moralità e il rigorismo cristiano così come si riflettono nella predicazione (Giordano da Pisa, Prediche, p. 123: quel ricco fu dannato ... propter vestimentorum excellentiam ... Unde diceno i santi che la troppa excellentia dei vestimenti è peccato mortale) o nella poesia morale (Bonichi, Guai a chi nel tormento 57-8 Sagg'è chi l'om non giudica per vesta, / ma per lo far che 'n lui si sente e vede). Ma anche al di fuori di quest'àmbito, il motivo si trova già nella poesia dei trovatori, dove dà materia ai nostalgici del buon tempo antico indignati dal vano lusso dei signori (cfr. Jeanroy 1934, I, pp. 83-4). Ed è insomma un motivo ampiamente ""occidentale"" se non umano tout court: laddove esista una società minimamente articolata, dunque l'obbligo di vestirsi secondo determinati usi, là è anche possibile che la necessità dia luogo a ostentazione, e alla critica dei moralisti. È da notare, tuttavia, che nell'età di Dante si osserva effettivamente un incremento del lusso, dovuto al fatto che il nuovo ceto affluente amava esibire la sua ricchezza: a partire dalla seconda metà del XIII secolo divennero oggetto di un consumo più diffuso, rispetto ai secoli precedenti, ornamenti e vesti dalle nuove, ardite e mutevoli fogge (Muzzarelli 1996, p. 9). Dante riprende dunque un tema tradizionale e censura un tipo umano che è sempre esistito e sempre esisterà, ma è possibile che un mutamento dei costumi ci fosse davvero stato (agli occhi del poeta un peggioramento, un rilassamento, uno sciocco desiderio di lusso), e che si rispecchi in questo passo di Poscia ch'Amor o nelle parole di Cv III IV 8 contro i cattivi malnati, che pongono lo studio loro in azzimare la loro persona, o in più luoghi della Commedia","De consolatione II 5, così simile nel linguaggio e nel tono: «Quam vero late patet vester hic error, qui ornari pos- se aliquid ornamentis existimatis alienis! At id fieri nequit»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +CHÉ ... CORAGGI,"bisogna giudicare gli uomini non per come si vestono ma per la loro intelligenza e nobiltà d'animo. Idea ovvia, che riecheggia non tanto la saggezza classica (ma si confronti questo passo di Boezio, De consolatione II 5, così simile nel linguaggio e nel tono: Quam vero late patet vester hic error, qui ornari posse aliquid ornamentis existimatis alienis! At id fieri nequit) quanto la moralità e il rigorismo cristiano così come si riflettono nella predicazione (Giordano da Pisa, Prediche, p. 123: quel ricco fu dannato ... propter vestimentorum excellentiam ... Unde diceno i santi che la troppa excellentia dei vestimenti è peccato mortale) o nella poesia morale (Bonichi, Guai a chi nel tormento 57-8 Sagg'è chi l'om non giudica per vesta, / ma per lo far che 'n lui si sente e vede). Ma anche al di fuori di quest'àmbito, il motivo si trova già nella poesia dei trovatori, dove dà materia ai nostalgici del buon tempo antico indignati dal vano lusso dei signori (cfr. Jeanroy 1934, I, pp. 83-4). Ed è insomma un motivo ampiamente ""occidentale"" se non umano tout court: laddove esista una società minimamente articolata, dunque l'obbligo di vestirsi secondo determinati usi, là è anche possibile che la necessità dia luogo a ostentazione, e alla critica dei moralisti. È da notare, tuttavia, che nell'età di Dante si osserva effettivamente un incremento del lusso, dovuto al fatto che il nuovo ceto affluente amava esibire la sua ricchezza: a partire dalla seconda metà del XIII secolo divennero oggetto di un consumo più diffuso, rispetto ai secoli precedenti, ornamenti e vesti dalle nuove, ardite e mutevoli fogge (Muzzarelli 1996, p. 9). Dante riprende dunque un tema tradizionale e censura un tipo umano che è sempre esistito e sempre esisterà, ma è possibile che un mutamento dei costumi ci fosse davvero stato (agli occhi del poeta un peggioramento, un rilassamento, uno sciocco desiderio di lusso), e che si rispecchi in questo passo di Poscia ch'Amor o nelle parole di Cv III IV 8 contro i cattivi malnati, che pongono lo studio loro in azzimare la loro persona, o in più luoghi della Commedia","Giordano da Pisa, Prediche, p. 123: «quel ricco fu dannato ... propter vestimentorum excellentiam ... Unde diceno i santi che la troppa excellentia dei vestimenti è peccato mortale»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaresimale_fiorentino,Quaresimale fiorentino,Giordano da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Jordan_of_Pisa,http://purl.org/bncf/tid/18842,WORK +CHÉ ... CORAGGI,"bisogna giudicare gli uomini non per come si vestono ma per la loro intelligenza e nobiltà d'animo. Idea ovvia, che riecheggia non tanto la saggezza classica (ma si confronti questo passo di Boezio, De consolatione II 5, così simile nel linguaggio e nel tono: Quam vero late patet vester hic error, qui ornari posse aliquid ornamentis existimatis alienis! At id fieri nequit) quanto la moralità e il rigorismo cristiano così come si riflettono nella predicazione (Giordano da Pisa, Prediche, p. 123: quel ricco fu dannato ... propter vestimentorum excellentiam ... Unde diceno i santi che la troppa excellentia dei vestimenti è peccato mortale) o nella poesia morale (Bonichi, Guai a chi nel tormento 57-8 Sagg'è chi l'om non giudica per vesta, / ma per lo far che 'n lui si sente e vede). Ma anche al di fuori di quest'àmbito, il motivo si trova già nella poesia dei trovatori, dove dà materia ai nostalgici del buon tempo antico indignati dal vano lusso dei signori (cfr. Jeanroy 1934, I, pp. 83-4). Ed è insomma un motivo ampiamente ""occidentale"" se non umano tout court: laddove esista una società minimamente articolata, dunque l'obbligo di vestirsi secondo determinati usi, là è anche possibile che la necessità dia luogo a ostentazione, e alla critica dei moralisti. È da notare, tuttavia, che nell'età di Dante si osserva effettivamente un incremento del lusso, dovuto al fatto che il nuovo ceto affluente amava esibire la sua ricchezza: a partire dalla seconda metà del XIII secolo divennero oggetto di un consumo più diffuso, rispetto ai secoli precedenti, ornamenti e vesti dalle nuove, ardite e mutevoli fogge (Muzzarelli 1996, p. 9). Dante riprende dunque un tema tradizionale e censura un tipo umano che è sempre esistito e sempre esisterà, ma è possibile che un mutamento dei costumi ci fosse davvero stato (agli occhi del poeta un peggioramento, un rilassamento, uno sciocco desiderio di lusso), e che si rispecchi in questo passo di Poscia ch'Amor o nelle parole di Cv III IV 8 contro i cattivi malnati, che pongono lo studio loro in azzimare la loro persona, o in più luoghi della Commedia","Guai a chi nel tormento 57-8 «Sagg'è chi l'om non giudica per vesta, / ma per lo far che 'n lui si sente e vede»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Guai_a_chi_nel_tormento,Guai a chi nel tormento,Bindo Bonichi,http://it.dbpedia.org/resource/Bindo_Bonichi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHÉ ... CORAGGI,"bisogna giudicare gli uomini non per come si vestono ma per la loro intelligenza e nobiltà d'animo. Idea ovvia, che riecheggia non tanto la saggezza classica (ma si confronti questo passo di Boezio, De consolatione II 5, così simile nel linguaggio e nel tono: Quam vero late patet vester hic error, qui ornari posse aliquid ornamentis existimatis alienis! At id fieri nequit) quanto la moralità e il rigorismo cristiano così come si riflettono nella predicazione (Giordano da Pisa, Prediche, p. 123: quel ricco fu dannato ... propter vestimentorum excellentiam ... Unde diceno i santi che la troppa excellentia dei vestimenti è peccato mortale) o nella poesia morale (Bonichi, Guai a chi nel tormento 57-8 Sagg'è chi l'om non giudica per vesta, / ma per lo far che 'n lui si sente e vede). Ma anche al di fuori di quest'àmbito, il motivo si trova già nella poesia dei trovatori, dove dà materia ai nostalgici del buon tempo antico indignati dal vano lusso dei signori (cfr. Jeanroy 1934, I, pp. 83-4). Ed è insomma un motivo ampiamente ""occidentale"" se non umano tout court: laddove esista una società minimamente articolata, dunque l'obbligo di vestirsi secondo determinati usi, là è anche possibile che la necessità dia luogo a ostentazione, e alla critica dei moralisti. È da notare, tuttavia, che nell'età di Dante si osserva effettivamente un incremento del lusso, dovuto al fatto che il nuovo ceto affluente amava esibire la sua ricchezza: a partire dalla seconda metà del XIII secolo divennero oggetto di un consumo più diffuso, rispetto ai secoli precedenti, ornamenti e vesti dalle nuove, ardite e mutevoli fogge (Muzzarelli 1996, p. 9). Dante riprende dunque un tema tradizionale e censura un tipo umano che è sempre esistito e sempre esisterà, ma è possibile che un mutamento dei costumi ci fosse davvero stato (agli occhi del poeta un peggioramento, un rilassamento, uno sciocco desiderio di lusso), e che si rispecchi in questo passo di Poscia ch'Amor o nelle parole di Cv III IV 8 contro i cattivi malnati, che pongono lo studio loro in azzimare la loro persona, o in più luoghi della Commedia",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +VESTIMENTA,"continua il neutro plurale latino, come il successivo ornamenta; per il concetto cfr. Uguccione, Il libro 241-4 la gracia de Deu, nul om la pò trovar / ... / per bele vestimente","Uguccione, Il libro 241-4 «la gracia de Deu, nul om la pò trovar / ... / per bele vestimente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_(Uguccione_da_Lodi),Libro (Uguccione da Lodi),Uguccione da Lodi,http://it.dbpedia.org/resource/Uguccione_da_Lodi,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +ALTRUI,"impersonale, 'per le persone, per gli uomini in generale'. Intenderei 'che sono, per chi li porta (i vestiti), semplici abbellimenti, orpello': che è il senso (negativo) che ornamento ha per esempio in questo passo di Guittone Altra fiata aggio già, donne, parlato 150-2 ché laccio è lor [per i maschi] catun vostro ornamento. / Ben dona intendimento / che vender vol chi sua roba for pone","Guittone Altra fiata aggio già, donne, parlato 150-2 «ché laccio è lor [per i maschi] catun vostro orna- mento. / Ben dona intendimento / che vender vol chi sua roba for pone»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Altra_fiata_aggio_gia_donne_parlato,"Altra fiata aggio già, donne, parlato",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +E ALTRI SON ... SANZA INTELLETTO,"Nella terza stanza continua la rassegna dei vili e noiosi che qualcuno scambia per leggiadri. Leggiadria, scrive Dante, non è neppure quella di chi ride a sproposito, si dà arie nel parlare e nell'incedere e passa senza serietà da una donna all'altra. Una così minuziosa casistica potrà forse stupire: il discorso etico, tanto nei classici quanto nei moderni, non si sofferma di solito su questi dettagli, non prescrive o proscrive dei comportamenti ma piuttosto delle idee, delle disposizioni di spirito. Ma questo interesse per la più concreta delle prassi, cioè per il contegno dei corpi, per il modo di comportarsi, muoversi, parlare in mezzo agli altri uomini, è invece caratteristico della morale cristiana specie nella sua declinazione più rigoristica, quella monacale. Di qui per esempio la proibizione di camminar saltando, girar le spalle, tenere il capo dritto e il petto in fuori perché questi atteggiamenti ""elationem ostendunt"" (Pozzi 1996, p. 115). E di qui anche i frequenti anatemi contro il ridere. Ecco i tratti del superbo secondo san Bernardo: ""in signis scurrilitas, in fronte hilaritas, vanitas apparet in incessu. Pronus ad iocum, facilis ac promptus in risu"" (De gradibus humilitatis et superbiae XII 40). Si può dire perciò che in questi versi Dante recuperi e aggiorni, calandolo nel suo contesto cittadino, questa attitudine eminentemente cristiana al controllo degli atteggiamenti sociali.","an Bernardo: «in signis scurrilitas, in fronte hilaritas, vanitas apparet in incessu. Pronus ad iocum, facilis ac promptus in risu» (De gradibus humilitatis et superbiae XII 40).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_gradibus_humilitatis_et_superbiae,De gradibus humilitatis et superbiae,Bernardo di Chiaravalle,http://dbpedia.org/resource/Bernard_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +E ALTRI ... GIUDICATI,"'E ci sono altri che, per il fatto che ridono in continuazione, pretendono (voglion: non direi 'debbono', come intende Contini) di essere giudicati persone d'intelletto pronto'. Come ho detto, l'ostilità nei confronti del riso è una costante della tradizione giudaico-cristiana, a partire da Sir 21, 23 Fatuus in risu inaltat vocem suam; vir autem sapiens vix tacite ridebit e Ecl 7, 4-5 Melior est ira risu, quia per tristitiam vultus corrigitur animus delinquentis. Cor sapientium ubi tristitia est et cor stultorum ubi laetitia. Ma che occorra mantenere sobrietà anche nella gioia è un precetto che ha poi largo corso nella cultura laica: cfr. i passi raccolti in Cnyrim 1888, p. 42. Quanto a Dante, cfr. tra l'altro Cv III VIII 12 Onde ciò fare ne comanda lo Libro de le quattro vertù cardinali: ""Lo tuo riso sia sanza cachinno"", cioè sanza schiamazzare come gallina. 42-4","Sir 21, 23 «Fatuus in risu inaltat vocem suam; vir autem sapiens vix tacite ridebit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Sirach,Ecclesiastico,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +E ALTRI ... GIUDICATI,"'E ci sono altri che, per il fatto che ridono in continuazione, pretendono (voglion: non direi 'debbono', come intende Contini) di essere giudicati persone d'intelletto pronto'. Come ho detto, l'ostilità nei confronti del riso è una costante della tradizione giudaico-cristiana, a partire da Sir 21, 23 Fatuus in risu inaltat vocem suam; vir autem sapiens vix tacite ridebit e Ecl 7, 4-5 Melior est ira risu, quia per tristitiam vultus corrigitur animus delinquentis. Cor sapientium ubi tristitia est et cor stultorum ubi laetitia. Ma che occorra mantenere sobrietà anche nella gioia è un precetto che ha poi largo corso nella cultura laica: cfr. i passi raccolti in Cnyrim 1888, p. 42. Quanto a Dante, cfr. tra l'altro Cv III VIII 12 Onde ciò fare ne comanda lo Libro de le quattro vertù cardinali: ""Lo tuo riso sia sanza cachinno"", cioè sanza schiamazzare come gallina. 42-4","Ecl 7, 4-5 «Melior est ira risu, quia per tristitiam vultus corrigitur ani- mus delinquentis. Cor sapientium ubi tristitia est et cor stultorum ubi laetitia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ecclesiastes,Ecclesiaste,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +LO 'NTELLETTO ... VEDE,"per la metafora della mente che non vede cfr. Cv I IV 3 questi cotali ... non veggiono, per ciò che hanno chiusi li occhi de la ragione; e cfr. in I XI 3 la definizione della discrezione, che arieggia quella data da Tommaso nel commento all'Etica (cfr. la nota di Vasoli ad locum): Sì come la parte sensitiva de l'anima ha suoi occhi, con li quali apprende la differenza de le cose in quanto elle sono di fuori colorate, così la parte razionale ha suo occhio, con lo quale apprende la differenza de le cose in quanto sono ad alcuno fine ordinate",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SPIACENTI,"'altezzosi, arroganti'. Nella vita comunale l'apparire era ancora più importante di quanto non sia oggi, onde l'attenzione per l'abito e l'incedere. Come osserva Maire Vigueur 2004, p. 419, le grandi famiglie avevano l'abitudine, per segnare il loro territorio e marcare la loro influenza su questa o quella parte dello spazio urbano, di caracollare in gran tenuta per le strade del quartiere, di sfilare ai limiti del territorio nemico e talvolta di compiere persino qualche sporadica incursione al suo interno. E per esempio Dino Compagni, nella Cronica (I XX), fa un rapido ritratto dei Cerchi descrivendoli come uomini di basso stato, ma buoni mercatanti e gran ricchi, e vestiano bene, e teneano molti famigli e cavagli, e aveano bella apparenza.","Dino Compagni, nella Cronica (I XX), fa un rapido ritratto dei Cerchi descrivendoli come «uomini di basso stato, ma buoni mer- catanti e gran ricchi, e vestiano bene, e teneano molti famigli e cavagli, e aveano bella apparenza».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Cronica_delle_cose_occorrenti_ne_tempi_suoi,Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi,Dino Compagni,http://dbpedia.org/resource/Dino_Compagni,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +NON ... LEGGIADRO,"'non farebbero un passo per corteggiare una donna, com'è costume di un uomo davvero leggiadro'; per l'immagine cfr. Guittone, Ben si conosce lo servente e vede 7-8 né moveria per cosa alcuna il piede / in ciò ch'a lei già mai recasse infamia (e cfr. per altri esempi Fenzi 1966, pp. 236-7)","Guittone, Ben si conosce lo servente e vede 7-8 «né moveria per cosa alcuna il piede / in ciò ch'a lei già mai recasse in- famia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ben_si_conosce_lo_servente_e_vede,Ben si conosce lo servente e vede,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DONNEARE,"il domnei è il 'corteggiare' dei trovatori, che per esempio nella Cort d'Amor si oppone alle pose arroganti del ricco: chi osserva il domnei, spiega il poeta, conten se plus bellament / qe tals qe ha trop mais d'argent (273-8). Ma la villania ha invaso anche il territorio della fin'amor, e in questo senso le parole di Dante, a parte avere un indubbio radicamento nella vita, vanno lette sullo sfondo degli analoghi lamenti dei trovatori circa la decadenza della cortesia anche in quest'ambito cruciale: idee analoghe si trovano per esempio in Uc Brunenc, Puois l'adrechs temps ven chantan e rizen 27-8 que·l gai dompnei qu'om tenia entrenan / ant li pluzor vout en deschausimen (il deschausimen è la scortesia, l'oltraggio), e soprattutto in Giraut de Borneil, De chantar 45-8 Q'eissa chavalairia / val meinz, e drudaria, / pos gardet son pron ni son dan, / non fon mestiers de fin aman.","Uc Brunenc, Puois l'adrechs temps ven chantan e rizen 27-8 «que·l gai dompnei qu'om tenia entrenan / ant li pluzor vout en deschausimen»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Puois_l_adrechs_temps,Puois l'adrechs temps ven chantan e rizen,Uc Brunenc,http://dbpedia.org/resource/Uc_Brunet,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DONNEARE,"il domnei è il 'corteggiare' dei trovatori, che per esempio nella Cort d'Amor si oppone alle pose arroganti del ricco: chi osserva il domnei, spiega il poeta, conten se plus bellament / qe tals qe ha trop mais d'argent (273-8). Ma la villania ha invaso anche il territorio della fin'amor, e in questo senso le parole di Dante, a parte avere un indubbio radicamento nella vita, vanno lette sullo sfondo degli analoghi lamenti dei trovatori circa la decadenza della cortesia anche in quest'ambito cruciale: idee analoghe si trovano per esempio in Uc Brunenc, Puois l'adrechs temps ven chantan e rizen 27-8 que·l gai dompnei qu'om tenia entrenan / ant li pluzor vout en deschausimen (il deschausimen è la scortesia, l'oltraggio), e soprattutto in Giraut de Borneil, De chantar 45-8 Q'eissa chavalairia / val meinz, e drudaria, / pos gardet son pron ni son dan, / non fon mestiers de fin aman.","Giraut de Borneil, De chantar 45-8 «Q'eissa chavalairia / val meinz, e drudaria, / pos gardet son pron ni son dan, / non fon mestiers de fin aman»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_chantar_mi_for_antremes,De chantar mi for' antremes,Giraut de Bornelh,http://dbpedia.org/resource/Giraut_de_Bornelh,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +VILLAN DILETTO,"il mero piacere sessuale, forse con allusione al meretricio (cfr. Brunetto Latini, Tesoretto 1452-6 e molto m'è rubello / chi dispende in bordello / e va perdendo 'l giorno / in femine d'intorno); per il verbo, cfr. Iacopone, Fede, spen e caritate 139 pigliate de me deletto",esoretto 1452-6 «e molto m'è rubello / chi dispende in bordello / e va perdendo 'l giorno / in femine d'intorno»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +VILLAN DILETTO,"il mero piacere sessuale, forse con allusione al meretricio (cfr. Brunetto Latini, Tesoretto 1452-6 e molto m'è rubello / chi dispende in bordello / e va perdendo 'l giorno / in femine d'intorno); per il verbo, cfr. Iacopone, Fede, spen e caritate 139 pigliate de me deletto","Iacopone, Fede, spen e caritate 139 «pigliate de me delet- to»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Fede_spen_,"Fede, spen e caritate",Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +ANCOR ... SIA,"'Benché i cieli siano congiunti in modo tale che'. Secondo il pensiero medievale, stelle e pianeti non influenzano soltanto la vita degli individui ma improntano di sé anche le epoche e il corso degli eventi, sicché variando la posizione dei nove cieli varia l'influenza che questi hanno sulle cose terrestri: la contingenza ... dipende per un verso dalla materia che sovente è mal disposta a ricevere l'impronta del suggello celeste, e per l'altro dalla virtù stessa del cielo, per il variare delle diverse congiunzioni astrali (Nardi 1967, p. 43). È naturalmente dottrina già aristotelica: certum est per Aristotelem quod coelum non solum est causa universalis, sed particularis, omnium rerum inferiorum (Bacone, Opus maius, citato in Gregory 1992, p. 34), che il pensiero cristiano accoglie accordandola con la Rivelazione: virtutem quam habent caelum atque planetae dum futura praesignant atque motu invariabili volvuntur non a se sed a spiritu Domini id habent (Raimondo di Marsiglia, Liber cursuum planetarum, citato in Gregory 1992, p. 194)","«certum est per Aristotelem quod coelum non solum est causa universalis, sed particularis, omnium rerum inferiorum» (Bacone, Opus maius)",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Opus_Majus,Opus maius,Ruggero Bacone,http://dbpedia.org/resource/Roger_Bacon,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +ANCOR ... SIA,"'Benché i cieli siano congiunti in modo tale che'. Secondo il pensiero medievale, stelle e pianeti non influenzano soltanto la vita degli individui ma improntano di sé anche le epoche e il corso degli eventi, sicché variando la posizione dei nove cieli varia l'influenza che questi hanno sulle cose terrestri: la contingenza ... dipende per un verso dalla materia che sovente è mal disposta a ricevere l'impronta del suggello celeste, e per l'altro dalla virtù stessa del cielo, per il variare delle diverse congiunzioni astrali (Nardi 1967, p. 43). È naturalmente dottrina già aristotelica: certum est per Aristotelem quod coelum non solum est causa universalis, sed particularis, omnium rerum inferiorum (Bacone, Opus maius, citato in Gregory 1992, p. 34), che il pensiero cristiano accoglie accordandola con la Rivelazione: virtutem quam habent caelum atque planetae dum futura praesignant atque motu invariabili volvuntur non a se sed a spiritu Domini id habent (Raimondo di Marsiglia, Liber cursuum planetarum, citato in Gregory 1992, p. 194)","«virtutem quam habent caelum atque pla- netae dum futura praesignant atque motu invariabili volvuntur non a se sed a spiritu Domini id habent» (Raimondo di Marsiglia, Liber cursuum planetarum)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_cursuum_planetarum,Liber cursuum planetarum,Raimondo di Marsiglia,http://de.dbpedia.org/page/Raymond_von_Marseille,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK +PUNTO,"termine tecnico, che indica la disposizione dei pianeti nella volta celeste: cfr. per esempio questo passo di Rolandino da Padova citato in Gregory 1992, p. 346 nota 45: ""elegit Ecelinus hoc punctum et horam talem, credens celestes domos ... favere sibi"".","«elegit Ecelinus hoc punctum et horam talem, credens celestes domos ... favere sibi»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chronica_in_factis_et_circa_facta_Marchiae_Trivixane,Chronica in factis et circa facta Marchiae Trivixane,Rolandino da Padova,http://dbpedia.org/resource/Rolandino_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +CONTO,"'noto, familiare' (lat. cognitum), dunque 'amico' (cfr. TLIO, s.v.1), come nell'anonima canzone trecentesca Se mia vertute exprimere potesse 9-10 et per che sua notizia io abbo avuta / e più fïate li son conto stato (ed. Mignani 1974, pp. 149-51). 62-3",Se mia vertute exprimere potesse 9-10 «et per che sua notizia io abbo avuta / e più fïate li son conto stato»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_mia_vertute_exprimere_potesse,Se mia vertute exprimere potesse,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SOTTILE,"'ardua, concettosa': come in Le dolci rime 14 [dirò] con rima aspr'e sottile, dove Dante commenta: e dice sottile quanto a la sentenza de le parole, che sottilmente argomentando e disputando procedono (Cv IV II 13); con questo significato è già nel lessico dei trovatori: Peire Bremon, Ben farai canson plasen 1-4 Ben farai canson plasen, / si puosc, qu'er leus per cantar, / car dison ce mon trobar / comensiei trop sotilmen.","Ben farai canson plasen 1-4 «Ben farai canson plasen, / si puosc, qu'er leus per cantar, / car dison ce mon trobar / comensiei trop sotilmen».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ben_farai_canson_plasen,Ben farai canson plasen,Peire Bremon Ricas Novas,http://dbpedia.org/resource/Peire_Bremon_Ricas_Novas,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NON SO CUI,"'non so a beneficio di chi, non so con chi' (perché, come dirà l'ultimo verso, color che vivon fanno tutti contra); normale l'uso di cui al caso obliquo in luogo di chi (cfr. Rohlfs § 488). Una canzone pseudo-cavalcantiana inizia I' parlo, e non so a cui (ed. Cicciaporci 1813); ma la somiglianza – non solo per le parole ma anche per la sostanza delle cose dette – è soprattutto con Giraut de Borneil, Los aplechs 1-6 Los aplechs / ab qu'eu solh / chantar, e·l bo talan / ai eu, c'avi' antan; / mas car no trop ab cui, / no·m deport ni·m desdui.","inizia I' parlo, e non so a cui",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/I_parlo_e_non_so_a_cui,"I' parlo, e non so a cui",Cavalcanti (ps.),http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cavalcanti_(ps),http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NON SO CUI,"'non so a beneficio di chi, non so con chi' (perché, come dirà l'ultimo verso, color che vivon fanno tutti contra); normale l'uso di cui al caso obliquo in luogo di chi (cfr. Rohlfs § 488). Una canzone pseudo-cavalcantiana inizia I' parlo, e non so a cui (ed. Cicciaporci 1813); ma la somiglianza – non solo per le parole ma anche per la sostanza delle cose dette – è soprattutto con Giraut de Borneil, Los aplechs 1-6 Los aplechs / ab qu'eu solh / chantar, e·l bo talan / ai eu, c'avi' antan; / mas car no trop ab cui, / no·m deport ni·m desdui.","Giraut de Borneil, Los aplechs 1-6 «Los aplechs / ab qu'eu solh / chantar, e·l bo talan / ai eu, c'avi' antan; / mas car no trop ab cui, / no·m deport ni·m desdui»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Los_Aplechs,Los Aplechs,Giraut de Bornelh,http://dbpedia.org/resource/Giraut_de_Bornelh,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SARÀ ... ANNODA,"la formula ('virtù o qualcosa che si accompagna alla virtù') ricalca per esempio quella che Aristotele usa per definire l'amicizia nell'Etica Nicomachea 1155a 3-4 Est enim virtus quedam vel cum virtute. Per questo stesso uso astratto del verbo cfr. Peire Cardenal, Tal cuida be 7-8 malvestatz si noza [s'annoda] / en tal. 77-95",definire l'amicizia nell'Etica Nicomachea 1155a 3-4 «Est enim virtus quedam vel cum virtute»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SARÀ ... ANNODA,"la formula ('virtù o qualcosa che si accompagna alla virtù') ricalca per esempio quella che Aristotele usa per definire l'amicizia nell'Etica Nicomachea 1155a 3-4 Est enim virtus quedam vel cum virtute. Per questo stesso uso astratto del verbo cfr. Peire Cardenal, Tal cuida be 7-8 malvestatz si noza [s'annoda] / en tal. 77-95","Peire Cardenal, Tal cuida be 7-8 «malvestatz si noza [s'an- noda] / en tal».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tals_cuida_be,Tals cuida be,Peire Cardenal,http://dbpedia.org/resource/Peire_Cardenal,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NON È PURA ... FIGURA,"Quinta stanza. Definizione della leggiadria nella quale è da sottolineare soprattutto questo, perché più lontano dalla nostra forma mentis: la dottrina che nel Medioevo suddivide rigorosamente la società in ordini o status influenza anche la concezione del mondo morale, sicché esistono virtù adatte, consone ad alcune condizioni o mestieri e inadatte ad altri. Ciò spiega perché qui Dante cominci col dire a chi spetti e, prima ancora, a chi non spetti la leggiadria; portata ad absurdum, è l'idea espressa in Cv I VIII 5 (e anche qui la distinzione mette su fronti opposti cavalieri e scienziati): ma non è perfetto bene ..., come quando uno cavaliere donasse ad uno medico uno scudo, e quando uno medico donasse a uno cavaliere inscritti li Aphorismi. Quanto all'ordine dell'argomentazione, negare (la leggiadria non appartiene a...) e poi affermare (appartiene invece a...) è quanto Dante fa per esempio anche nella canzone-gemella Le dolci rime 15-7 ""riprovando 'l giudicio falso e vile / di quei che voglion che di gentilezza / sia principio ricchezza"". E la ragione di questo procedimento è spiegata da Dante stesso nel commento: ""prima si ripruova lo falso, e poi si tratta lo vero; e ciò perché così facendo la veritade meglio si fa apparire"". È con tutta evidenza la tecnica della quaestio, e ancora più a monte del metodo dialettico di Aristotele, il quale sempre prima combatteo con li avversari de la veritade e poi, quelli convinti, la veritade mostroe (Cv IV II 16).",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +PURA VIRTÙ,"lo zelo classificatorio dei medievali distingue anche tra virtù – o sentimenti, emozioni – pure e impure: cfr. per esempio Andrea Cappellano, De amore, p. 182: amor quidam est purus, et quidam dicitur esse mixtum","ndrea Cappellano, De amore, p. 182: «amor quidam est purus, et quidam dicitur esse mixtum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_amore_(Andreas_Capellanus),De amore,Andrea Cappellano,http://dbpedia.org/resource/Andreas_Capellanus,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +ABITO ... TENE,"è l'habitus nel senso aristotelico e ciceroniano di 'condizione, attitudine, disposizione' a compiere una certa azione o ad adoperare una certa facoltà: habitus dispositio di-citur secundum quam bene vel male disponitur dispositum (Aristotele, Metafisica 1022b 11-2). Quanto all'abito di scienza 'attitudine, disposizione alla conoscenza', cfr. Cv I I 2, dove Dante indica le cagioni che dentro a l'uomo e fuori da esso lui rimovono da l'abito di scienza (e cfr. la nota di Vasoli ad locum col rinvio all'Etica di Aristotele e al commento di Tommaso in cui si spiega in che senso la scienza sia habitus demonstrativus).",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +ABITO ... TENE,"è l'habitus nel senso aristotelico e ciceroniano di 'condizione, attitudine, disposizione' a compiere una certa azione o ad adoperare una certa facoltà: habitus dispositio di-citur secundum quam bene vel male disponitur dispositum (Aristotele, Metafisica 1022b 11-2). Quanto all'abito di scienza 'attitudine, disposizione alla conoscenza', cfr. Cv I I 2, dove Dante indica le cagioni che dentro a l'uomo e fuori da esso lui rimovono da l'abito di scienza (e cfr. la nota di Vasoli ad locum col rinvio all'Etica di Aristotele e al commento di Tommaso in cui si spiega in che senso la scienza sia habitus demonstrativus).","«habitus dispositio dicitur secundum quam bene vel male disponitur dispositum» (Aristotele, Metafisica 1022b 11-2).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ABITO ... TENE,"è l'habitus nel senso aristotelico e ciceroniano di 'condizione, attitudine, disposizione' a compiere una certa azione o ad adoperare una certa facoltà: habitus dispositio di-citur secundum quam bene vel male disponitur dispositum (Aristotele, Metafisica 1022b 11-2). Quanto all'abito di scienza 'attitudine, disposizione alla conoscenza', cfr. Cv I I 2, dove Dante indica le cagioni che dentro a l'uomo e fuori da esso lui rimovono da l'abito di scienza (e cfr. la nota di Vasoli ad locum col rinvio all'Etica di Aristotele e al commento di Tommaso in cui si spiega in che senso la scienza sia habitus demonstrativus).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +ABITO ... TENE,"è l'habitus nel senso aristotelico e ciceroniano di 'condizione, attitudine, disposizione' a compiere una certa azione o ad adoperare una certa facoltà: habitus dispositio di-citur secundum quam bene vel male disponitur dispositum (Aristotele, Metafisica 1022b 11-2). Quanto all'abito di scienza 'attitudine, disposizione alla conoscenza', cfr. Cv I I 2, dove Dante indica le cagioni che dentro a l'uomo e fuori da esso lui rimovono da l'abito di scienza (e cfr. la nota di Vasoli ad locum col rinvio all'Etica di Aristotele e al commento di Tommaso in cui si spiega in che senso la scienza sia habitus demonstrativus).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +MISCHIATA,"è vocabolo tecnico ... della terminologia filosofico-scolastica. San Tommaso nel commento all'Etica dice della continentia che, cum sit laudabilis, non est virtus, sed habet aliquid virtutis admixtum (BarbiPernicone); e cfr. la nota al v. 76. 85-8","«cum sit laudabilis, non est virtus, sed habet aliquid virtutis admixtum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +SOLLAZZO,"sul significato del termine per Dante si dilungano BarbiPernicone, commentando il luogo del Convivio in cui si parla della virtù chiamata Eutrapelia, la quale modera noi ne li sollazzi facendo, quelli usando debitamente (IV XVII 6). Ma la definizione a cui giungono (giochi e divertimenti in uso nella società mondana), se è forse calzante per quel brano del trattato, è poi troppo specifica per questo sollazzo, che avrà lo stesso grado di astrazione dell'amore e dell'opera perfetta: è il solatz dei trovatori, la virtù tipica dell'intelligenza e della cultura, o almeno di quella cortese, con uno spettro di significati che va da 'piacevole compagnia' a 'divertimento, gioia' (cfr. SW VII, pp. 772- 7; GAVI, s.v.; Wettstein 1974, p. 53; Fenzi 1991, pp. 249-80; la citazione da Violante 1995, p. 38). Anche Raimon de Miraval, come Dante, fa del sollazzo una prerogativa dei cavalieri: Dels quatre mestiers valens 1-4 Dels quatre mestiers valens / per que cavallier an pretz / es bel solatz avinens / us dels melhors; e lo stesso fa l'anonimo autore della Ragione nova d'amore, fornendo anche la definizione di sollazzo più calzante per il verso dantesco: El vero sollaçço è uno allegro sentimento de parlare e delecto de buono animo, el quale è una delle più delectevoli arti de cavalleria (p",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +SOLLAZZO,"sul significato del termine per Dante si dilungano BarbiPernicone, commentando il luogo del Convivio in cui si parla della virtù chiamata Eutrapelia, la quale modera noi ne li sollazzi facendo, quelli usando debitamente (IV XVII 6). Ma la definizione a cui giungono (giochi e divertimenti in uso nella società mondana), se è forse calzante per quel brano del trattato, è poi troppo specifica per questo sollazzo, che avrà lo stesso grado di astrazione dell'amore e dell'opera perfetta: è il solatz dei trovatori, la virtù tipica dell'intelligenza e della cultura, o almeno di quella cortese, con uno spettro di significati che va da 'piacevole compagnia' a 'divertimento, gioia' (cfr. SW VII, pp. 772- 7; GAVI, s.v.; Wettstein 1974, p. 53; Fenzi 1991, pp. 249-80; la citazione da Violante 1995, p. 38). Anche Raimon de Miraval, come Dante, fa del sollazzo una prerogativa dei cavalieri: Dels quatre mestiers valens 1-4 Dels quatre mestiers valens / per que cavallier an pretz / es bel solatz avinens / us dels melhors; e lo stesso fa l'anonimo autore della Ragione nova d'amore, fornendo anche la definizione di sollazzo più calzante per il verso dantesco: El vero sollaçço è uno allegro sentimento de parlare e delecto de buono animo, el quale è una delle più delectevoli arti de cavalleria (p",Dels quatre mestiers valens 1-4 «Dels quatre mestiers valens / per que cavallier an pretz / es bel solatz avinens / us dels melhors»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dels_quatre_mestiers_valens,Dels quatre mestiers valens,Raimon de Miraval,http://dbpedia.org/resource/Raimon_de_Miraval,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +L'OPERA PERFETTA,"è 'l'operazione, l'azione perfetta', il bene che l'operante esercita (BarbiPernicone: il pratico esercizio delle virtù morali), ed è formula neotestamentaria: cfr. Iac 1, 4 patientia autem opus [ma nei mss. anche operationem] perfectum habeat (quindi per esempio in Tommaso, Sententia, II lectio 6 et quia perfecta operatio non procedit nisi a perfecto agente). 91-2","Tommaso, Sententia, II lectio 6 «et quia perfecta operatio non procedit nisi a perfecto agente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +L'OPERA PERFETTA,"è 'l'operazione, l'azione perfetta', il bene che l'operante esercita (BarbiPernicone: il pratico esercizio delle virtù morali), ed è formula neotestamentaria: cfr. Iac 1, 4 patientia autem opus [ma nei mss. anche operationem] perfectum habeat (quindi per esempio in Tommaso, Sententia, II lectio 6 et quia perfecta operatio non procedit nisi a perfecto agente). 91-2","Iac 1, 4 «patien- tia autem opus [ma nei mss. anche operationem] perfectum habeat»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_of_James,Lettera di Giacomo,Giacomo,http://dbpedia.org/resource/James_the_Just,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DA QUESTO ... DURA,"'la vera leggiadria è retta, definita da questo terzetto di virtù, e grazie a esse si conserva'. Questo genere di definizioni articolate in trittici (e insomma in una formula come ""per fare la data cosa – virtù, vizio, azione, ecc. – occorrono x, y, z"") ripete un modulo argomentativo molto frequente nella prosa e nella poesia morale: cfr. l'identico schema all'inizio del primo sermone In die Pentecostes di san Bernardo: Porro ad faciendum bonum / quid in nobis Spiritus bonus operatur? / Profecto monet / et movet / et docet. / Monet memoriam, / rationem docet, / movet voluntatem. / In his enim tribus / tota consistit anima nostra (ed. Leclercq 1990, p. 110)","«Porro ad faciendum bo- num / quid in nobis Spiritus bonus operatur? / Profecto monet / et movet / et docet. / Monet memoriam, / rationem docet, / movet voluntatem. / In his enim tribus / tota consistit anima nostra»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sermones_(Bernardo_di_Chiaravalle),Sermones (Bernardo di Chiaravalle),Bernardo di Chiaravalle,http://dbpedia.org/resource/Bernard_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +IN ESSER DURA,"nelle definizioni formali delle virtù, delle disposizioni spirituali, delle passioni, s'indicava anche il modo in cui la cosa si mantiene, restando ciò che è: cfr. per esempio la Ragione nova d'amore, p",,CONCORDANZA STRINGENTE,,,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +IN ESSER DURA,"nelle definizioni formali delle virtù, delle disposizioni spirituali, delle passioni, s'indicava anche il modo in cui la cosa si mantiene, restando ciò che è: cfr. per esempio la Ragione nova d'amore, p",,CONCORDANZA GENERICA,,,Bonagiunta Orbicciani,http://dbpedia.org/resource/Bonagiunta_Orbicciani,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +SÌ COME IL SOLE ... FIGURA,"che il sole si definisca in virtù di tre qualità o componenti è, nel Medioevo, un luogo comune: cfr. per esempio il Secretum secretorum, dove si afferma che l'anima possiede tres vires ..., sicut lumen solis in partibus aeris (p. 130); o i commenti al metro III 9 della Consolatio: quello di Remigio di Auxerre, Sol triplicis naturae est: habet enim esse, habet calere, habet et splendescere (dove la congruenza con Dante è pressoché perfetta: luce, calore, essere-operare); o il commento anonimo studiato da Dronke 1974: Tu triplicis, id est solis, qui lucet, fovet, incendit (p. 157). Ma l'idea della triplice natura del sole trovava soprattutto un'ovvia applicazione nella teologia cristiana, e anche per cogliere in re la commistione delle retoriche, cioè la mutuazione, da parte di un laico, di un'immagine legata piuttosto alla sfera del sacro, bisogna sottolineare che qui Dante si serve di un paragone che sin dai Padri veniva adoperato per spiegare il mistero della Trinità: come questa è composta da tre persone legate in un'unica essenza, allo stesso modo le tre qualità del sole formano un sinolo, un'unità. Il paragone risale almeno ad Agostino: Ergo, quomodo in hoc sole tria quaedam licet animadvertere: quod est, quod fulget, quod illuminat: ita in illo secretissimo Deo quem vis intelligere, tria quaedam sunt: quod est, quod intelligitur, et quod cetera facit intelligi (Soliloqui I 8, in PL 32, 877); e si trova poi per esempio, con varianti, in Fulberto: In sole sunt tres naturaliter, sphaera, claritas, color. Sphaera solis naturaliter est splendens et calens. Summus Pater naturaliter est sapiens et amans; sphaera solis et splendor et calor non sunt tres soles, sed unus sol (citato in Ziltener 1972, pp. 101-2; e per altri esempi cfr. Stabile 2007, pp. 333-4)","Secretum secretorum - «tres vires ..., sicut lumen solis in partibus aeris»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Secretum_Secretorum,Secretum secretorum,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ COME IL SOLE ... FIGURA,"che il sole si definisca in virtù di tre qualità o componenti è, nel Medioevo, un luogo comune: cfr. per esempio il Secretum secretorum, dove si afferma che l'anima possiede tres vires ..., sicut lumen solis in partibus aeris (p. 130); o i commenti al metro III 9 della Consolatio: quello di Remigio di Auxerre, Sol triplicis naturae est: habet enim esse, habet calere, habet et splendescere (dove la congruenza con Dante è pressoché perfetta: luce, calore, essere-operare); o il commento anonimo studiato da Dronke 1974: Tu triplicis, id est solis, qui lucet, fovet, incendit (p. 157). Ma l'idea della triplice natura del sole trovava soprattutto un'ovvia applicazione nella teologia cristiana, e anche per cogliere in re la commistione delle retoriche, cioè la mutuazione, da parte di un laico, di un'immagine legata piuttosto alla sfera del sacro, bisogna sottolineare che qui Dante si serve di un paragone che sin dai Padri veniva adoperato per spiegare il mistero della Trinità: come questa è composta da tre persone legate in un'unica essenza, allo stesso modo le tre qualità del sole formano un sinolo, un'unità. Il paragone risale almeno ad Agostino: Ergo, quomodo in hoc sole tria quaedam licet animadvertere: quod est, quod fulget, quod illuminat: ita in illo secretissimo Deo quem vis intelligere, tria quaedam sunt: quod est, quod intelligitur, et quod cetera facit intelligi (Soliloqui I 8, in PL 32, 877); e si trova poi per esempio, con varianti, in Fulberto: In sole sunt tres naturaliter, sphaera, claritas, color. Sphaera solis naturaliter est splendens et calens. Summus Pater naturaliter est sapiens et amans; sphaera solis et splendor et calor non sunt tres soles, sed unus sol (citato in Ziltener 1972, pp. 101-2; e per altri esempi cfr. Stabile 2007, pp. 333-4)","III 9 della Consolatio: quello di Remigio di Auxerre, «Sol triplicis naturae est: habet enim esse, habet calere, habet et splendescere»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anc_no_m_parti_de_solatz,Commento a De consolatione philosophiae di Boezio,Remigio d'Auxerre,http://dbpedia.org/resource/Remigius_of_Auxerre,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +SÌ COME IL SOLE ... FIGURA,"che il sole si definisca in virtù di tre qualità o componenti è, nel Medioevo, un luogo comune: cfr. per esempio il Secretum secretorum, dove si afferma che l'anima possiede tres vires ..., sicut lumen solis in partibus aeris (p. 130); o i commenti al metro III 9 della Consolatio: quello di Remigio di Auxerre, Sol triplicis naturae est: habet enim esse, habet calere, habet et splendescere (dove la congruenza con Dante è pressoché perfetta: luce, calore, essere-operare); o il commento anonimo studiato da Dronke 1974: Tu triplicis, id est solis, qui lucet, fovet, incendit (p. 157). Ma l'idea della triplice natura del sole trovava soprattutto un'ovvia applicazione nella teologia cristiana, e anche per cogliere in re la commistione delle retoriche, cioè la mutuazione, da parte di un laico, di un'immagine legata piuttosto alla sfera del sacro, bisogna sottolineare che qui Dante si serve di un paragone che sin dai Padri veniva adoperato per spiegare il mistero della Trinità: come questa è composta da tre persone legate in un'unica essenza, allo stesso modo le tre qualità del sole formano un sinolo, un'unità. Il paragone risale almeno ad Agostino: Ergo, quomodo in hoc sole tria quaedam licet animadvertere: quod est, quod fulget, quod illuminat: ita in illo secretissimo Deo quem vis intelligere, tria quaedam sunt: quod est, quod intelligitur, et quod cetera facit intelligi (Soliloqui I 8, in PL 32, 877); e si trova poi per esempio, con varianti, in Fulberto: In sole sunt tres naturaliter, sphaera, claritas, color. Sphaera solis naturaliter est splendens et calens. Summus Pater naturaliter est sapiens et amans; sphaera solis et splendor et calor non sunt tres soles, sed unus sol (citato in Ziltener 1972, pp. 101-2; e per altri esempi cfr. Stabile 2007, pp. 333-4)","Agostino: «Ergo, quomodo in hoc sole tria quaedam licet animadvertere: quod est, quod fulget, quod illuminat: ita in illo secretissimo Deo quem vis intelligere, tria quae- dam sunt: quod est, quod intelligitur, et quod cetera facit intelligi» (Soliloqui I 8, in PL 32, 877)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Soliloquia,Soliloquia,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK +SÌ COME IL SOLE ... FIGURA,"che il sole si definisca in virtù di tre qualità o componenti è, nel Medioevo, un luogo comune: cfr. per esempio il Secretum secretorum, dove si afferma che l'anima possiede tres vires ..., sicut lumen solis in partibus aeris (p. 130); o i commenti al metro III 9 della Consolatio: quello di Remigio di Auxerre, Sol triplicis naturae est: habet enim esse, habet calere, habet et splendescere (dove la congruenza con Dante è pressoché perfetta: luce, calore, essere-operare); o il commento anonimo studiato da Dronke 1974: Tu triplicis, id est solis, qui lucet, fovet, incendit (p. 157). Ma l'idea della triplice natura del sole trovava soprattutto un'ovvia applicazione nella teologia cristiana, e anche per cogliere in re la commistione delle retoriche, cioè la mutuazione, da parte di un laico, di un'immagine legata piuttosto alla sfera del sacro, bisogna sottolineare che qui Dante si serve di un paragone che sin dai Padri veniva adoperato per spiegare il mistero della Trinità: come questa è composta da tre persone legate in un'unica essenza, allo stesso modo le tre qualità del sole formano un sinolo, un'unità. Il paragone risale almeno ad Agostino: Ergo, quomodo in hoc sole tria quaedam licet animadvertere: quod est, quod fulget, quod illuminat: ita in illo secretissimo Deo quem vis intelligere, tria quaedam sunt: quod est, quod intelligitur, et quod cetera facit intelligi (Soliloqui I 8, in PL 32, 877); e si trova poi per esempio, con varianti, in Fulberto: In sole sunt tres naturaliter, sphaera, claritas, color. Sphaera solis naturaliter est splendens et calens. Summus Pater naturaliter est sapiens et amans; sphaera solis et splendor et calor non sunt tres soles, sed unus sol (citato in Ziltener 1972, pp. 101-2; e per altri esempi cfr. Stabile 2007, pp. 333-4)","Fulberto: «In sole sunt tres naturaliter, sphaera, claritas, color. Sphaera solis naturaliter est splendens et calens. Summus Pater na- turaliter est sapiens et amans; sphaera solis et splendor et calor non sunt tres soles, sed unus sol»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Patrologiae_cursus_completus,Patrologiae cursus completus,Fulberto di Chartres,http://dbpedia.org/resource/Fulbert_of_Chartres,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +PIANETO,"'pianeta' (con metaplasmo di declinazione) è ogni corpo celeste che ruota intorno a un astro: così, nella concezione tolemaica, il sole (il gran pianeto) intorno alla terra (cfr. Guittone, La planeta 1-2 La planeta ... de lo chiar sole). 97-8","Guittone, La planeta 1-2 «La planeta ... de lo chiar sole»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_planeta_mi_pare_oscurata,La planeta mi pare oscurata,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SÌ ... DISPOSTA,"la materia assorbe la vita e la virù del sole a seconda della sua innata disposizione. È il principio fissato da Aristotele nel De anima 414a 11-2 Actus enim agentium in eo quod patitur atque disponitur esse, inesse videtur, e poi largamente diffuso nel pensiero antico e medievale: cfr. per esempio Liber de causis XX 158 Et diversificantur bonitates et dona ex concursu recipientis. Quod est: quia recipientia bonitates non recipiunt aequaliter, immo quaedam eorum recipiunt plus, quaedam vero minus. Dante cita il passo del De anima prima in Cv II IX 7, quindi in Cv IV XX 7 Ché, secondo dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, ""le cose convengono essere disposte a li loro agenti, e a ricevere li loro atti""; onde se l'anima è imperfettamente posta, non è disposta a ricevere questa benedetta e divina infusione (cfr. le note di Vasoli a questi passi). Con specifico riferimento alla potenza del sole, diversamente recepita dagli oggetti del cosmo, cfr. Alberto Magno, De caelo et mundo II tract. 3.6 omnis stella caeli illuminatur a sole sicut et luna. Sed est differens receptio luminis in ipsis, quia licet omnes conveniant in hoc quod recipiunt lumen, tamen differunt in virtute recipiendi, sicut differunt in nobilitate naturae.","De anima 414a 11-2 «Actus enim agentium in eo quod patitur atque disponitur esse, inesse videtur»,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Soul,De anima (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ ... DISPOSTA,"la materia assorbe la vita e la virù del sole a seconda della sua innata disposizione. È il principio fissato da Aristotele nel De anima 414a 11-2 Actus enim agentium in eo quod patitur atque disponitur esse, inesse videtur, e poi largamente diffuso nel pensiero antico e medievale: cfr. per esempio Liber de causis XX 158 Et diversificantur bonitates et dona ex concursu recipientis. Quod est: quia recipientia bonitates non recipiunt aequaliter, immo quaedam eorum recipiunt plus, quaedam vero minus. Dante cita il passo del De anima prima in Cv II IX 7, quindi in Cv IV XX 7 Ché, secondo dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, ""le cose convengono essere disposte a li loro agenti, e a ricevere li loro atti""; onde se l'anima è imperfettamente posta, non è disposta a ricevere questa benedetta e divina infusione (cfr. le note di Vasoli a questi passi). Con specifico riferimento alla potenza del sole, diversamente recepita dagli oggetti del cosmo, cfr. Alberto Magno, De caelo et mundo II tract. 3.6 omnis stella caeli illuminatur a sole sicut et luna. Sed est differens receptio luminis in ipsis, quia licet omnes conveniant in hoc quod recipiunt lumen, tamen differunt in virtute recipiendi, sicut differunt in nobilitate naturae.","Liber de causis XX 158 «Et diversificantur bonitates et dona ex concursu recipientis. Quod est: quia recipientia bonitates non recipiunt aequaliter, immo quaedam eorum recipiunt plus, quaedam vero minus».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +SÌ ... DISPOSTA,"la materia assorbe la vita e la virù del sole a seconda della sua innata disposizione. È il principio fissato da Aristotele nel De anima 414a 11-2 Actus enim agentium in eo quod patitur atque disponitur esse, inesse videtur, e poi largamente diffuso nel pensiero antico e medievale: cfr. per esempio Liber de causis XX 158 Et diversificantur bonitates et dona ex concursu recipientis. Quod est: quia recipientia bonitates non recipiunt aequaliter, immo quaedam eorum recipiunt plus, quaedam vero minus. Dante cita il passo del De anima prima in Cv II IX 7, quindi in Cv IV XX 7 Ché, secondo dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, ""le cose convengono essere disposte a li loro agenti, e a ricevere li loro atti""; onde se l'anima è imperfettamente posta, non è disposta a ricevere questa benedetta e divina infusione (cfr. le note di Vasoli a questi passi). Con specifico riferimento alla potenza del sole, diversamente recepita dagli oggetti del cosmo, cfr. Alberto Magno, De caelo et mundo II tract. 3.6 omnis stella caeli illuminatur a sole sicut et luna. Sed est differens receptio luminis in ipsis, quia licet omnes conveniant in hoc quod recipiunt lumen, tamen differunt in virtute recipiendi, sicut differunt in nobilitate naturae.","Alberto Magno, De caelo et mundo II tract. 3.6 «omnis stella caeli illuminatur a sole sicut et luna. Sed est differens receptio luminis in ipsis, quia licet omnes conveniant in hoc quod recipiunt lumen, tamen differunt in virtute recipiendi, sicut differunt in nobilitate naturae»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COR GENTILE,è la formula che apre la più famosa canzone di Guinizelli: il che serve a ricordare come nel terzetto che regge la leggiadria ci sia anche l'amore (v. 90),,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_cor_gentil_rempaira_sempre_amore(Guinizzelli),Al cor gentil rempaira sempre amore,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DONA E RICEVE ... CONTRA,"La settima stanza perfeziona la descrizione della leggiadria: e dal cielo si scende sulla terra, da ciò che essa è in essenza, filosoficamente, ai suoi effetti sulle azioni degli uomini che la posseggono (appunto, l'opera perfetta). Il leggiadro dà e prende liberalmente, è piacevole nella conversazione, ama ed è amato dai saggi, mentre è indifferente al giudizio di chi saggio non è; non è arrogante ma sa mostrare il suo valore quando occorre. Splendido modello di uomo, in un mondo che però fa tutto il contrario!","Pus s'enfulleysson li verjan 50 «ricx fora prenden e donan»; Bertran de Born, Anc no·s poc far maior anta 45 «e sai toli'e donava»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pus_s_enfulleysson_li_verjan,Pus s'enfulleysson li verjan,Marcabru,http://dbpedia.org/resource/Marcabru,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DONA E RICEVE,"in Cv IV XVII 4 Dante spiega che la liberalità è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. Ma l'idea che il magnanimo, il vero liberale, ""molto prenda e molto doni"" è una costante nell'immaginario dei popoli (L'obbligo di donare, l'obbligo di ricevere s'intitola un paragrafo del Saggio sul dono di Mauss), quindi un topos cortese: cfr. Marcabru, Pus s'enfulleysson li verjan 50 ricx fora prenden e donan; Bertran de Born, Anc no·s poc far maior anta 45 e sai toli'e donava (e per altri esempi cfr. Giunta 1995, p. 158, e Giunta 1998, p. 275)",Pus s'enfulleysson li verjan 50 «ricx fora prenden e donan»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pus_s_enfulleysson_li_verjan,Pus s'enfulleysson li verjan,Marcabru,http://dbpedia.org/resource/Marcabru,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DONA E RICEVE,"in Cv IV XVII 4 Dante spiega che la liberalità è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. Ma l'idea che il magnanimo, il vero liberale, ""molto prenda e molto doni"" è una costante nell'immaginario dei popoli (L'obbligo di donare, l'obbligo di ricevere s'intitola un paragrafo del Saggio sul dono di Mauss), quindi un topos cortese: cfr. Marcabru, Pus s'enfulleysson li verjan 50 ricx fora prenden e donan; Bertran de Born, Anc no·s poc far maior anta 45 e sai toli'e donava (e per altri esempi cfr. Giunta 1995, p. 158, e Giunta 1998, p. 275)","Bertran de Born, Anc no·s poc far maior anta 45 «e sai toli'e donava»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anc_no_s_poc_far_maior_anta,Anc no·s poc far maior anta,Bertran de Born,http://dbpedia.org/resource/Bertran_de_Born,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NÉ 'L SOLE ... AIUTO,"continua il paragone con il gran pianeto, salvo il fatto che, mentre nella stanza precedente era la leggiadria a essere eguagliata al sole, qui il paragone è tra il sole e l'uomo leggiadro: è lui che è nobile e generoso come il sole. 'Né si duole il sole per il fatto che illumina le stelle, né per il fatto di ricavare da esse un aiuto nella sua azione sulle cose terrestri (suo effetto)': perché, come osservano BarbiPernicone, l'influenza del sole varia a seconda della sua posizione rispetto alle costellazioni, e a quella delle costellazioni si somma. Era nozione corrente che gli astri non fossero dotati di luce propria ma riflettessero quella del sole: cfr. per esempio, oltre al brano di Alberto Magno citato nella nota al v. 101, lo pseudo-Galeno, p. 273: Metrodorus omnes stellas fixas lumen a sole accipere putat, e Moore 1903, p. 44; così si spiega per esempio la similitudine di Pd XXIII 28-30 vid'io sopra migliaia di lucerne / un sol che tutte quante l'accendea, / come fa 'l nostro le viste superne. È notevole (e in linea con quanto osservato a proposito della triplice natura del sole, vv. 93-5) il fatto che l'idea che l'astro, illuminando, resti integro era stata usata dagli scrittori cristiani per spiegare il concepimento di Cristo (traggo entrambi i brani da Ziltener 1972, p. 100 nota 2): Et sicut radius processit a stella, stella integra permanente, sic filius ex Vergine (Pier Damiani); sine sui corruptione sidus suum emittit radium (san Bernardo)","Alberto Magno, De caelo et mundo II tract. 3.6 «omnis stella caeli illuminatur a sole sicut et luna. Sed est differens receptio luminis in ipsis, quia licet omnes conveniant in hoc quod recipiunt lumen, tamen differunt in virtute recipiendi, sicut differunt in nobilitate naturae»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Coelo_et_Mundo(Alberto_Magno),De coelo et mundo,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +NÉ 'L SOLE ... AIUTO,"continua il paragone con il gran pianeto, salvo il fatto che, mentre nella stanza precedente era la leggiadria a essere eguagliata al sole, qui il paragone è tra il sole e l'uomo leggiadro: è lui che è nobile e generoso come il sole. 'Né si duole il sole per il fatto che illumina le stelle, né per il fatto di ricavare da esse un aiuto nella sua azione sulle cose terrestri (suo effetto)': perché, come osservano BarbiPernicone, l'influenza del sole varia a seconda della sua posizione rispetto alle costellazioni, e a quella delle costellazioni si somma. Era nozione corrente che gli astri non fossero dotati di luce propria ma riflettessero quella del sole: cfr. per esempio, oltre al brano di Alberto Magno citato nella nota al v. 101, lo pseudo-Galeno, p. 273: Metrodorus omnes stellas fixas lumen a sole accipere putat, e Moore 1903, p. 44; così si spiega per esempio la similitudine di Pd XXIII 28-30 vid'io sopra migliaia di lucerne / un sol che tutte quante l'accendea, / come fa 'l nostro le viste superne. È notevole (e in linea con quanto osservato a proposito della triplice natura del sole, vv. 93-5) il fatto che l'idea che l'astro, illuminando, resti integro era stata usata dagli scrittori cristiani per spiegare il concepimento di Cristo (traggo entrambi i brani da Ziltener 1972, p. 100 nota 2): Et sicut radius processit a stella, stella integra permanente, sic filius ex Vergine (Pier Damiani); sine sui corruptione sidus suum emittit radium (san Bernardo)","«Et sicut radius processit a stella, stella integra permanente, sic filius ex Vergine» (Pier Damiani);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sermones(Pier_Damiani),Sermones (Pier Damiani),Pier Damiani,http://dbpedia.org/resource/Peter_Damian,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +NÉ 'L SOLE ... AIUTO,"continua il paragone con il gran pianeto, salvo il fatto che, mentre nella stanza precedente era la leggiadria a essere eguagliata al sole, qui il paragone è tra il sole e l'uomo leggiadro: è lui che è nobile e generoso come il sole. 'Né si duole il sole per il fatto che illumina le stelle, né per il fatto di ricavare da esse un aiuto nella sua azione sulle cose terrestri (suo effetto)': perché, come osservano BarbiPernicone, l'influenza del sole varia a seconda della sua posizione rispetto alle costellazioni, e a quella delle costellazioni si somma. Era nozione corrente che gli astri non fossero dotati di luce propria ma riflettessero quella del sole: cfr. per esempio, oltre al brano di Alberto Magno citato nella nota al v. 101, lo pseudo-Galeno, p. 273: Metrodorus omnes stellas fixas lumen a sole accipere putat, e Moore 1903, p. 44; così si spiega per esempio la similitudine di Pd XXIII 28-30 vid'io sopra migliaia di lucerne / un sol che tutte quante l'accendea, / come fa 'l nostro le viste superne. È notevole (e in linea con quanto osservato a proposito della triplice natura del sole, vv. 93-5) il fatto che l'idea che l'astro, illuminando, resti integro era stata usata dagli scrittori cristiani per spiegare il concepimento di Cristo (traggo entrambi i brani da Ziltener 1972, p. 100 nota 2): Et sicut radius processit a stella, stella integra permanente, sic filius ex Vergine (Pier Damiani); sine sui corruptione sidus suum emittit radium (san Bernardo)",«sine sui corruptione sidus suum emittit radium» (san Bernardo),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sermones_(Bernardo_di_Chiaravalle),Sermones (Bernardo di Chiaravalle),Bernardo di Chiaravalle,http://dbpedia.org/resource/Bernard_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +IRA,non direi 'cruccio' (secondo l'uso provenzale) ma proprio l'ira che possono destare parole sciocche o aggressive.,"Brunetto Latini, «però non dir novella, / se non par buona e bella»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +NOVELLE,"ha sì il significato generico di 'affari, faccende', come in Quando 'l consiglio 3 (e cfr. GDLI, s.v.8), ma qui l'accostamento alle parole altrui fa pensare che si tratti appunto (come nega invece Contini) di 'discorsi, parole', come per esempio in Brunetto Latini, però non dir novella, / se non par buona e bella, e Francesco da Barberino, a tavola conviensi / novelle rie o laide non portare (entrambi citati in GDLI, s.v.3-6); e cfr. Dante stesso, If XXV 38 per che nostra novella ['conversazione, discorso'] si ristette.","«però non dir novella, / se non par buona e bella»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +NOVELLE,"ha sì il significato generico di 'affari, faccende', come in Quando 'l consiglio 3 (e cfr. GDLI, s.v.8), ma qui l'accostamento alle parole altrui fa pensare che si tratti appunto (come nega invece Contini) di 'discorsi, parole', come per esempio in Brunetto Latini, però non dir novella, / se non par buona e bella, e Francesco da Barberino, a tavola conviensi / novelle rie o laide non portare (entrambi citati in GDLI, s.v.3-6); e cfr. Dante stesso, If XXV 38 per che nostra novella ['conversazione, discorso'] si ristette.","Francesco da Barberino, «a tavola conviensi / novelle rie o laide non portare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Documenti_d_Amore,Documenti d'Amore,Francesco da Barberino,http://it.dbpedia.org/resource/Francesco_da_Barberino,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +LAUDE QUANTO BIASMO,"la stessa coppia di opposti si trova per esempio in Marcabru, Lo vers comens quan vei del fau 35, dove si dice che i malvagi non prezon blasme ni lau. 129-30","Lo vers comens quan vei del fau 35, dove si dice che i malvagi «non prezon blasme ni lau».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_ver_comenssa,Lo vers comenssa,Marcabru,http://dbpedia.org/resource/Marcabru,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +FRANCHIGIA,"il termine ha varie accezioni, anche distanti l'una dall'altra. Non sembra calzante, per troppa precisione, la parafrasi di Contini, indipendenza spirituale; secondo BarbiPernicone (che leggono franchezza) va intesa, più plausibilmente, come ardimento e coraggio nel cimentarsi in difficili o onorevoli imprese (ed è il senso che la parola ha in Brunetto Latini, Tesoretto 2154-5 e déi in ogne lato / mostrar tutta franchezza).","Brunetto Latini, Tesoretto 2154-5 «e déi in ogne lato / mo- strar tutta franchezza»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +ERRAI,"'m'innamorai (a mio danno)'. Nel solco dei poeti latini, provenzali e italiani avevano definito errors, errar, erranza ... l'amore e gli effetti dell'amore (Rico 1976, p. 124 nota 73, con un elenco di passi latini e trobadorici in cui errore va inteso in questa accezione, a cominciare da Virgilio, Egl. VIII 41 Ut vidi, ut perii, ut me malus abstulit error!: errore che Servio, nel suo commento a Virgilio, interpretava appunto come definitio amoris).",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +ERRAI,"'m'innamorai (a mio danno)'. Nel solco dei poeti latini, provenzali e italiani avevano definito errors, errar, erranza ... l'amore e gli effetti dell'amore (Rico 1976, p. 124 nota 73, con un elenco di passi latini e trobadorici in cui errore va inteso in questa accezione, a cominciare da Virgilio, Egl. VIII 41 Ut vidi, ut perii, ut me malus abstulit error!: errore che Servio, nel suo commento a Virgilio, interpretava appunto come definitio amoris).","Egl. VIII 41 «Ut vidi, ut perii, ut me malus abstulit error!»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Eclogues,Eglogae,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +IN ABITO DOLENTE,"non direi 'vestite a lutto' (De Robertis) ma piuttosto 'con atteggiamento addolorato'; Cino parla della veste di pietà in Moviti, Pietate, e va incarnata 2 ""e de la veste tua mena vestiti"".","Cino parla della veste di pietà in Moviti, Pietate, e va incarnata 2 «e de la veste tua mena vestiti»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Moviti_Pietate_e_va_incarnata,"Moviti, Pietate, e va incarnata",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUANDO ... VALORE,"una formula di raccomandazione e dedica quasi identica si trova in Cort d'Amor 267-8 Mais qant veires domna de pretz, / digas li vos...","Cort d'Amor 267-8 «Mais qant veires domna de pretz, / digas li vos...»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cort_d_Amor,Cort d'Amor,,,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +DONNA DI VALORE,"'di pregio, virtuosa', come in Voi che savete 4 la qual m'ha tolto il cor per suo valore; e per il sintagma cfr. ad esempio Si j'ain sans pancer folie 1-2 Si j'ain sans pancer folie / dame de vallour (ed. Gennrich 1921, 208).",Si j'ain sans pancer folie 1-2 «Si j'ain sans pancer folie / dame de vallour»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_j_ain_sans_pancer_folie,Si j'ain sans pancer folie,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +GITTATEVELI A' PIEDI,"al testo-messaggero è prescritta spesso quest'affettazione di umiltà e devozione: cfr. Cino, Moviti, Pietate 13 (parla ai messi) Gittatevi a' lor piedi, e dite; Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 [Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi (e cfr. la nota a Sonetto, se Meuccio 3); -li sta per il femminile, 'le', com'era normale nel toscano antico (cfr. Rohlfs § 457).","Cino, Moviti, Pietate 13 (parla ai messi) «Gittatevi a' lor piedi, e dite»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Moviti_Pietate_e_va_incarnata,"Moviti, Pietate, e va incarnata",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +GITTATEVELI A' PIEDI,"al testo-messaggero è prescritta spesso quest'affettazione di umiltà e devozione: cfr. Cino, Moviti, Pietate 13 (parla ai messi) Gittatevi a' lor piedi, e dite; Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 [Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi (e cfr. la nota a Sonetto, se Meuccio 3); -li sta per il femminile, 'le', com'era normale nel toscano antico (cfr. Rohlfs § 457).","Onesto, Ahi lasso taupino!, altro che lasso 42 «[Canzone,] va' a le donne e gettati a lor' piedi»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ahi_lasso_taupino,"Ahi lasso taupino!, altro che lasso",Onesto degli Onesti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onesto_degli_Onesti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +SE VOI ... MOSSE,"'se a causa di ciò che egli (il frate-sonetto) dice vi sentiste spronate, indotte a...'; per la forma passiva anziché medio-riflessiva del verbo cfr. Forese, L'altra notte 3 i' fui mosso e la nota relativa","Forese, L'altra notte 3 «i' fui mosso»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_altra_notte,L'altra notte mi venne una gran tosse,Forese Donati,http://dbpedia.org/resource/Forese_Donati,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CIMA DELLA MENTE,"i commentatori spiegano dicendo che il ragionar delle due donne sovrasta ogni altro pensiero, e citano a confronto l'analoga immagine di Così nel mio parlar 16-7 come fior di fronda / così della mia mente tien la cima. Ma non è la giusta spiegazione, perché cima della mente va presa quasi come una locuzione tecnica che traduce il latino apex mentis, cioè la parte più alta nobile dell'intelletto umano, anche detta sinderesi, e insomma la coscienza, il guardiano dell'ordine morale (Lottin 1948, II, p. 136): cfr. ad esempio Bonaventura, De itinerario I 6 sex sunt gradus potentiarum animae, per quos ascendimus ab imis ad summa, scilicet sensus, imaginatio, ratio, intellectus, intelligentia et apex mentis, seu synderesis scintilla; e nella trattatistica in volgare cfr. Brunetto Latini, Tresor I XV 2 L'entendement est la plus haute partie de l'ame, par qui nous vient raison et cognoissance (e cfr. A. Maierù in ED, s.v. mente, coll. 902 e 904).","De itinerario I 6 «sex sunt gradus potentiarum animae, per quos ascendimus ab imis ad summa, scilicet sensus, imaginatio, ratio, intellectus, intelligentia et apex mentis, seu synderesis scintilla»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Itinerarium_mentis_in_Deum,Itinerarium mentis in Deum,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +CIMA DELLA MENTE,"i commentatori spiegano dicendo che il ragionar delle due donne sovrasta ogni altro pensiero, e citano a confronto l'analoga immagine di Così nel mio parlar 16-7 come fior di fronda / così della mia mente tien la cima. Ma non è la giusta spiegazione, perché cima della mente va presa quasi come una locuzione tecnica che traduce il latino apex mentis, cioè la parte più alta nobile dell'intelletto umano, anche detta sinderesi, e insomma la coscienza, il guardiano dell'ordine morale (Lottin 1948, II, p. 136): cfr. ad esempio Bonaventura, De itinerario I 6 sex sunt gradus potentiarum animae, per quos ascendimus ab imis ad summa, scilicet sensus, imaginatio, ratio, intellectus, intelligentia et apex mentis, seu synderesis scintilla; e nella trattatistica in volgare cfr. Brunetto Latini, Tresor I XV 2 L'entendement est la plus haute partie de l'ame, par qui nous vient raison et cognoissance (e cfr. A. Maierù in ED, s.v. mente, coll. 902 e 904).","Brunetto La- tini, Tresor I XV 2 «L'entendement est la plus haute partie de l'ame, par qui nous vient raison et cognoissance»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +IN COMPAGNIA,"il corteggio delle virtù, cioè il fatto che le donne siano accompagnate ossia contraddistinte da una o due virtù caratteristiche, riflette sia la tendenza a trattare le qualità come ipostasi sia lo zelo nomenclatorio dei trattati morali antichi e medievali, dove una virtù partecipa sempre a una ""famiglia"" composta da altre virtù sorelle (cfr. Lottin 1948, III 1, pp. 187-8): così ad esempio in Fiore CCXXVI 5-6 E Franchezz'e Pietà da l'altro lato / sì andaron co·llei in compagnia, o nelle genealogie delle virtù tracciate da Bono Giamboni nella sua psicomachia (in particolare cfr. Libro XLIX).",Bono Giamboni nella sua psicomachia (in particolare cfr. Libro XLIX),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_de_vizi_e_delle_virtudi,Libro de' vizi e delle virtudi,Bono Giamboni,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bono_Giamboni,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +INTELLETTO,"al tribunale della Ragione si portano i conflitti che si agitano nell'anima; vengono subito in mente il Secretum di Petrarca e la canzone 360 (Quel'antiquo mio dolce empio signore), ma l'idea, l'allegoria è tradizionale: si pensi al conflictus di Filippo il Cancelliere citato nella premessa, o – al di fuori della ""letteratura"", a riprova di quanto la mentalità medievale trovasse congeniali personificazioni simili – a una lettera di Gilberto di Gembloux (XI-XII secolo) nella quale, proprio come nel nostro sonetto, i contrastanti sentimenti di chi scrive sono disciplinati da Ratio: Ratio velut arbitra istos diversitatum incursus diligenti examinatione librando discuciens horum ..., si non iustos honestatis fines excedant decernit (ed. McGuire 1986, p. 13).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quisquis_cordis_et_oculi,Quisquis cordis et oculi,Filippo il Cancelliere,http://dbpedia.org/resource/Philip_the_Chancellor,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +INTELLETTO,"al tribunale della Ragione si portano i conflitti che si agitano nell'anima; vengono subito in mente il Secretum di Petrarca e la canzone 360 (Quel'antiquo mio dolce empio signore), ma l'idea, l'allegoria è tradizionale: si pensi al conflictus di Filippo il Cancelliere citato nella premessa, o – al di fuori della ""letteratura"", a riprova di quanto la mentalità medievale trovasse congeniali personificazioni simili – a una lettera di Gilberto di Gembloux (XI-XII secolo) nella quale, proprio come nel nostro sonetto, i contrastanti sentimenti di chi scrive sono disciplinati da Ratio: Ratio velut arbitra istos diversitatum incursus diligenti examinatione librando discuciens horum ..., si non iustos honestatis fines excedant decernit (ed. McGuire 1986, p. 13).","una lettera di Gilberto di Gembloux (XI-XII secolo): «Ratio velut arbitra istos diversitatum incursus diligenti examinatione librando discuciens horum ..., si non iustos honestatis fines excedant decernit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gilberto_di_Gembloux,Epistolario (Gilberto di Gembloux),Gilberto di Gembloux,http://it.dbpedia.org/resource/Gilberto_di_Gembloux/html,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +IL FONTE ... PARLARE,"non, come si è spiegato nella premessa, Amore, bensì l'intelletto, cioè la mente mia entro la quale si svolge l'ipotetica diatriba: Fra i tre piani del linguaggio corrono rapporti di subordinazione ...: i termini del linguaggio mentale sono segni naturali delle cose, mentre i termini del linguaggio proferito e di quello scritto sono segni delle stesse cose, ma convenzionali, istituiti dall'uomo; il linguaggio proferito è subordinato a quello mentale, e quello scritto è subordinato al linguaggio proferito (Maierù 2002, p. 5; e cfr. Arens 1980). E insieme al brano agostiniano citato nella premessa, si confrontino questi passi degli altri maggiori filosofi cristiani, che precisano il concetto: Anselmo d'Aosta, Monologion § 10 Mentis autem sive rationis locutionem hic intelligo, non cum voces rerum significative cogitantur, sed cum res ipsae vel futurae vel iam existentes acie cogitationis in mente conspiciuntur ... Aut enim res loquimur signis sensibilibus, id est quae sensibus corporeis sentiri possunt sensibiliter utendo; aut eadem signa, quae foris sensibilia sunt, intra nos insensibiliter cogitando; aut ... res ipsas vel corporum imaginatione vel rationis intellectu pro rerum ipsarum diversitate intus in nostra mente dicendo (ed. Sciuto 1995); Tommaso, Quaestio de verbo, art. 1.7 Sed verbum quod est in voce, est effectus postremus ab intellectu progrediens; ivi, ad nonum Constat enim quod interius verbum significat omne illud quod intellegi potest, sive per essentiam sive per similitudinem intelligatur, et ideo omne intellectum, sive per similitudinem sive per essentiam intelligatur, potest verbum interius dici; pseudo-Tommaso, De differentia, p. 366: verbum est semper aliquid procedens ab intellectu, et in intellectu existens. Quanto alla metafora, l'associazione tra la fonte e la parola non è rara (la parola sgorga, come se fosse acqua, da una sorgente interiore): e si veda ad esempio, anche se in un senso diverso rispetto a quello che ha qui, Pd XXIV 56-7 [Beatrice] sembianze femmi perch'io spandessi / l'acqua di fuor del mio interno fonte",«Proinde verbum quod foris sonat signum est verbi quod intus lucet cui magis verbi competit nomen» (De trinitate XV XI 1-2),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_the_Trinity,De trinitate libri XV,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IL FONTE ... PARLARE,"non, come si è spiegato nella premessa, Amore, bensì l'intelletto, cioè la mente mia entro la quale si svolge l'ipotetica diatriba: Fra i tre piani del linguaggio corrono rapporti di subordinazione ...: i termini del linguaggio mentale sono segni naturali delle cose, mentre i termini del linguaggio proferito e di quello scritto sono segni delle stesse cose, ma convenzionali, istituiti dall'uomo; il linguaggio proferito è subordinato a quello mentale, e quello scritto è subordinato al linguaggio proferito (Maierù 2002, p. 5; e cfr. Arens 1980). E insieme al brano agostiniano citato nella premessa, si confrontino questi passi degli altri maggiori filosofi cristiani, che precisano il concetto: Anselmo d'Aosta, Monologion § 10 Mentis autem sive rationis locutionem hic intelligo, non cum voces rerum significative cogitantur, sed cum res ipsae vel futurae vel iam existentes acie cogitationis in mente conspiciuntur ... Aut enim res loquimur signis sensibilibus, id est quae sensibus corporeis sentiri possunt sensibiliter utendo; aut eadem signa, quae foris sensibilia sunt, intra nos insensibiliter cogitando; aut ... res ipsas vel corporum imaginatione vel rationis intellectu pro rerum ipsarum diversitate intus in nostra mente dicendo (ed. Sciuto 1995); Tommaso, Quaestio de verbo, art. 1.7 Sed verbum quod est in voce, est effectus postremus ab intellectu progrediens; ivi, ad nonum Constat enim quod interius verbum significat omne illud quod intellegi potest, sive per essentiam sive per similitudinem intelligatur, et ideo omne intellectum, sive per similitudinem sive per essentiam intelligatur, potest verbum interius dici; pseudo-Tommaso, De differentia, p. 366: verbum est semper aliquid procedens ab intellectu, et in intellectu existens. Quanto alla metafora, l'associazione tra la fonte e la parola non è rara (la parola sgorga, come se fosse acqua, da una sorgente interiore): e si veda ad esempio, anche se in un senso diverso rispetto a quello che ha qui, Pd XXIV 56-7 [Beatrice] sembianze femmi perch'io spandessi / l'acqua di fuor del mio interno fonte","Monologion § 10 «Mentis autem sive rationis locutionem hic intelligo, non cum voces rerum significative cogitantur, sed cum res ipsae vel fu- turae vel iam existentes acie cogitationis in mente conspiciuntur ... Aut enim res loquimur signis sensibilibus, id est quae sensibus cor- poreis sentiri possunt sensibiliter utendo; aut eadem signa, quae fo- ris sensibilia sunt, intra nos insensibiliter cogitando; aut ... res ipsas vel corporum imaginatione vel rationis intellectu pro rerum ipsarum diversitate intus in nostra mente dicendo»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Monologion/html,Monologion,Anselmo d'Aosta,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anselmo_Aosta,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +IL FONTE ... PARLARE,"non, come si è spiegato nella premessa, Amore, bensì l'intelletto, cioè la mente mia entro la quale si svolge l'ipotetica diatriba: Fra i tre piani del linguaggio corrono rapporti di subordinazione ...: i termini del linguaggio mentale sono segni naturali delle cose, mentre i termini del linguaggio proferito e di quello scritto sono segni delle stesse cose, ma convenzionali, istituiti dall'uomo; il linguaggio proferito è subordinato a quello mentale, e quello scritto è subordinato al linguaggio proferito (Maierù 2002, p. 5; e cfr. Arens 1980). E insieme al brano agostiniano citato nella premessa, si confrontino questi passi degli altri maggiori filosofi cristiani, che precisano il concetto: Anselmo d'Aosta, Monologion § 10 Mentis autem sive rationis locutionem hic intelligo, non cum voces rerum significative cogitantur, sed cum res ipsae vel futurae vel iam existentes acie cogitationis in mente conspiciuntur ... Aut enim res loquimur signis sensibilibus, id est quae sensibus corporeis sentiri possunt sensibiliter utendo; aut eadem signa, quae foris sensibilia sunt, intra nos insensibiliter cogitando; aut ... res ipsas vel corporum imaginatione vel rationis intellectu pro rerum ipsarum diversitate intus in nostra mente dicendo (ed. Sciuto 1995); Tommaso, Quaestio de verbo, art. 1.7 Sed verbum quod est in voce, est effectus postremus ab intellectu progrediens; ivi, ad nonum Constat enim quod interius verbum significat omne illud quod intellegi potest, sive per essentiam sive per similitudinem intelligatur, et ideo omne intellectum, sive per similitudinem sive per essentiam intelligatur, potest verbum interius dici; pseudo-Tommaso, De differentia, p. 366: verbum est semper aliquid procedens ab intellectu, et in intellectu existens. Quanto alla metafora, l'associazione tra la fonte e la parola non è rara (la parola sgorga, come se fosse acqua, da una sorgente interiore): e si veda ad esempio, anche se in un senso diverso rispetto a quello che ha qui, Pd XXIV 56-7 [Beatrice] sembianze femmi perch'io spandessi / l'acqua di fuor del mio interno fonte","Quaestio de verbo, art. 1.7 «Sed verbum quod est in voce, est effectus postremus ab intellectu progrediens»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Tommaso),Quaestiones disputatae de veritate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IL FONTE ... PARLARE,"non, come si è spiegato nella premessa, Amore, bensì l'intelletto, cioè la mente mia entro la quale si svolge l'ipotetica diatriba: Fra i tre piani del linguaggio corrono rapporti di subordinazione ...: i termini del linguaggio mentale sono segni naturali delle cose, mentre i termini del linguaggio proferito e di quello scritto sono segni delle stesse cose, ma convenzionali, istituiti dall'uomo; il linguaggio proferito è subordinato a quello mentale, e quello scritto è subordinato al linguaggio proferito (Maierù 2002, p. 5; e cfr. Arens 1980). E insieme al brano agostiniano citato nella premessa, si confrontino questi passi degli altri maggiori filosofi cristiani, che precisano il concetto: Anselmo d'Aosta, Monologion § 10 Mentis autem sive rationis locutionem hic intelligo, non cum voces rerum significative cogitantur, sed cum res ipsae vel futurae vel iam existentes acie cogitationis in mente conspiciuntur ... Aut enim res loquimur signis sensibilibus, id est quae sensibus corporeis sentiri possunt sensibiliter utendo; aut eadem signa, quae foris sensibilia sunt, intra nos insensibiliter cogitando; aut ... res ipsas vel corporum imaginatione vel rationis intellectu pro rerum ipsarum diversitate intus in nostra mente dicendo (ed. Sciuto 1995); Tommaso, Quaestio de verbo, art. 1.7 Sed verbum quod est in voce, est effectus postremus ab intellectu progrediens; ivi, ad nonum Constat enim quod interius verbum significat omne illud quod intellegi potest, sive per essentiam sive per similitudinem intelligatur, et ideo omne intellectum, sive per similitudinem sive per essentiam intelligatur, potest verbum interius dici; pseudo-Tommaso, De differentia, p. 366: verbum est semper aliquid procedens ab intellectu, et in intellectu existens. Quanto alla metafora, l'associazione tra la fonte e la parola non è rara (la parola sgorga, come se fosse acqua, da una sorgente interiore): e si veda ad esempio, anche se in un senso diverso rispetto a quello che ha qui, Pd XXIV 56-7 [Beatrice] sembianze femmi perch'io spandessi / l'acqua di fuor del mio interno fonte","ivi, ad nonum «Constat enim quod interius verbum significat omne illud quod intelle- gi potest, sive per essentiam sive per similitudinem intelligatur, et ideo omne intellectum, sive per similitudinem sive per essentiam in- telligatur, potest verbum interius dici»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Tommaso),Quaestiones disputatae de veritate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +IL FONTE ... PARLARE,"non, come si è spiegato nella premessa, Amore, bensì l'intelletto, cioè la mente mia entro la quale si svolge l'ipotetica diatriba: Fra i tre piani del linguaggio corrono rapporti di subordinazione ...: i termini del linguaggio mentale sono segni naturali delle cose, mentre i termini del linguaggio proferito e di quello scritto sono segni delle stesse cose, ma convenzionali, istituiti dall'uomo; il linguaggio proferito è subordinato a quello mentale, e quello scritto è subordinato al linguaggio proferito (Maierù 2002, p. 5; e cfr. Arens 1980). E insieme al brano agostiniano citato nella premessa, si confrontino questi passi degli altri maggiori filosofi cristiani, che precisano il concetto: Anselmo d'Aosta, Monologion § 10 Mentis autem sive rationis locutionem hic intelligo, non cum voces rerum significative cogitantur, sed cum res ipsae vel futurae vel iam existentes acie cogitationis in mente conspiciuntur ... Aut enim res loquimur signis sensibilibus, id est quae sensibus corporeis sentiri possunt sensibiliter utendo; aut eadem signa, quae foris sensibilia sunt, intra nos insensibiliter cogitando; aut ... res ipsas vel corporum imaginatione vel rationis intellectu pro rerum ipsarum diversitate intus in nostra mente dicendo (ed. Sciuto 1995); Tommaso, Quaestio de verbo, art. 1.7 Sed verbum quod est in voce, est effectus postremus ab intellectu progrediens; ivi, ad nonum Constat enim quod interius verbum significat omne illud quod intellegi potest, sive per essentiam sive per similitudinem intelligatur, et ideo omne intellectum, sive per similitudinem sive per essentiam intelligatur, potest verbum interius dici; pseudo-Tommaso, De differentia, p. 366: verbum est semper aliquid procedens ab intellectu, et in intellectu existens. Quanto alla metafora, l'associazione tra la fonte e la parola non è rara (la parola sgorga, come se fosse acqua, da una sorgente interiore): e si veda ad esempio, anche se in un senso diverso rispetto a quello che ha qui, Pd XXIV 56-7 [Beatrice] sembianze femmi perch'io spandessi / l'acqua di fuor del mio interno fonte","pseudo-Tommaso, De differentia, p. 366: «verbum est semper aliquid procedens ab intellectu, et in intellectu existens»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_differentia_verbi,De differentia verbi divini et humani,Tommaso (ps.),http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tommaso_(ps.),http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +GENTIL PARLARE,"cfr. Dante da Maiano, Convemmi dimostrar lo meo savere 3 poi lo dimanda lo gentil parlare, e la nota di Bettarini 1969a: è il gent parlar dei provenzali (si veda per tutti Arnaut de Mareuil ...: ""e·l gen parlar e·l deport e·l solatz"").","Dante da Maiano, Convemmi dimostrar lo meo savere 3 «poi lo dimanda lo gentil parlare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Convenni_dimostrar_lo_meo_savere,Convenni dimostrar lo meo savere,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +GENTIL PARLARE,"cfr. Dante da Maiano, Convemmi dimostrar lo meo savere 3 poi lo dimanda lo gentil parlare, e la nota di Bettarini 1969a: è il gent parlar dei provenzali (si veda per tutti Arnaut de Mareuil ...: ""e·l gen parlar e·l deport e·l solatz"").","""e·l gen parlar e·l deport e·l solatz""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_cum_li_peis_an_en_l_aiga_lor_vida,Si cum li peis an en l'aiga lor vida,Arnaut de Mareuil,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_de_Mareuil,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +MI SON,"la costruzione pronominale del verbo essere è comune nell'italiano letterario sin quasi ai giorni nostri: cfr. un'altra famosa autopresentazione in Pg XXIV 52-3 I' mi son un che, quando / Amor mi spira. E si confronti l'intera ripresa di I' mi son pargoletta con quella che apre una ballata forse di Cino: Io son chiamata nuova ballatella, / che vengo a voi cantando, / per contarvi novella / d'un vostro servo che si muore amando","Cino: «Io son chiamata nuova ballatella, / che vengo a voi cantando, / per contarvi novella / d'un vostro servo che si muore amando»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Io_son_chiamata_nuova_ballatella,"Io son chiamata nuova ballatella,",Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +BELLA E NOVA,"la stessa clausola per esempio in Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 14 ""spero d'aver la grazia bella e nova"" (Iovine, con altri rimandi). Secondo Contini nova significa 'giovane', ma così si ripeterebbe inutilmente l'informazione che è già contenuta in pargoletta; dunque è meglio intendere, con BarbiPernicone e De Robertis, ""non mai vista, e quindi da far meraviglia"".","Lapo Gianni, Donna, se 'l prego 14 «spero d'aver la grazia bella e nova»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_se_l_prego,"Donna, se 'l prego de la mente mia",Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +MOSTRARE ... DE LE BELLEZZE,"per la costruzione di mostrare con il partitivo cfr. per esempio Monte, Ai, Deo merzé, che fia di me, Amore 74-5 or, d'esti mali ..., li mostra (Minetti). Il motivo è quello tipicamente stilnovista della nascita celeste della donna, scesa in terra dal cielo (il loco ond'io fui) per dare agli uomini un segno del divino: cfr. Amor che nella mente 55-6 Cose appariscon ne lo suo aspetto / che mostran de' piacer di Paradiso [Cv III]","Ai, Deo merzé, che fia di me, Amore 74-5 «or, d'esti mali ..., li mostra»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ai_Deo_merze_che_fia_di_me_Amore,"Ai, Deo merzé, che fia di me, Amore",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DEL CIELO,"una creatura celeste (De Robertis cita Io 8, 23 ego de supernis sum ...; ego non sum de hoc mundo); per l'idea che un essere umano possa avere dignità d'angelo cfr. Cv III VII 6-7 è da porre e da credere fermamente, che sia alcuno [degli esseri umani] tanto nobile e di sì alta condizione che quasi non sia altro che angelo ... E cotale dico io che è questa donna, sì che la divina virtude, a guisa che discende ne l'angelo, discende in lei (e cfr. la nota di Vasoli ad locum)","Io 8, 23 «ego de supernis sum ...; ego non sum de hoc mundo»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +CHÉ ... VOI,"secondo un'iperbole tradizionale, la donna è chiamata culmine e somma di tutte le bellezze che la Natura può riunire in un essere umano. L'idea di fondo è che la Natura non ha fatto e non può fare niente di più bello: cfr. per esempio Guiraut Riquier, Tant vey, qu'es ab ioy, pretz mermatz 26-7 quar anc gensor creatura / no crey, que formes natura; Guittone, Lasso, pensando quanto 49-50 natura ha 'n lei miso / quanto più pò di bene; e Dante stesso, Donne ch'avete 49 ella è quanto de ben pò far natura. Nella battuta della pargoletta quest'idea-base viene esplicitata dicendo che la Natura ha riversato sulla donna tutte le sue grazie, e da questo punto di vista il confronto più pertinente è con questi versi di Ildeberto di Lavardin, Qui solet 7-10 Parcius elimans alias Natura puellas, / distulit in dotes esse benigna tuas. / In te fudit opes, et opus mirabile cernens, / est mirata suas hoc potuisse manus (ed. Scott1 1969). Ma l'iperbole si presenta, più precisamente, come un'affermazione negativa: alla donna non è stato negato alcunché di ciò che fa parte della bellezza. I passi seguenti sono dunque quelli che, svolgendo anch'essi questo modulo in forma di litote, si avvicinano di più alla lettera e al senso dei versi di Dante: Flamenca 554-5 Anc de nulla ren non si feis / Deus cant la formet tan genta; ma soprattutto A globo veteri 21-34 In hac pre ceteris / totius operis / Nature lucet opera. / Tot munera / nulli favoris contulit, / set extulit / hanc ultra cetera. // Et, que puellulis / avara singulis / solet partiri singula: / huic sedula / inpendit copiosius / et plenius / forme munuscula (Carmina Burana 67.2a-b). Sul motivo, cfr. in generale Malkiel 1977","Guiraut Riquier, Tant vey, qu'es ab ioy, pretz mermatz 26-7 «quar anc gensor creatura / no crey, que formes natura»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tant_vey_qu_es_ab_ioy_pretz_mermatz,"Tant vey, qu'es ab ioy, pretz mermatz",Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHÉ ... VOI,"secondo un'iperbole tradizionale, la donna è chiamata culmine e somma di tutte le bellezze che la Natura può riunire in un essere umano. L'idea di fondo è che la Natura non ha fatto e non può fare niente di più bello: cfr. per esempio Guiraut Riquier, Tant vey, qu'es ab ioy, pretz mermatz 26-7 quar anc gensor creatura / no crey, que formes natura; Guittone, Lasso, pensando quanto 49-50 natura ha 'n lei miso / quanto più pò di bene; e Dante stesso, Donne ch'avete 49 ella è quanto de ben pò far natura. Nella battuta della pargoletta quest'idea-base viene esplicitata dicendo che la Natura ha riversato sulla donna tutte le sue grazie, e da questo punto di vista il confronto più pertinente è con questi versi di Ildeberto di Lavardin, Qui solet 7-10 Parcius elimans alias Natura puellas, / distulit in dotes esse benigna tuas. / In te fudit opes, et opus mirabile cernens, / est mirata suas hoc potuisse manus (ed. Scott1 1969). Ma l'iperbole si presenta, più precisamente, come un'affermazione negativa: alla donna non è stato negato alcunché di ciò che fa parte della bellezza. I passi seguenti sono dunque quelli che, svolgendo anch'essi questo modulo in forma di litote, si avvicinano di più alla lettera e al senso dei versi di Dante: Flamenca 554-5 Anc de nulla ren non si feis / Deus cant la formet tan genta; ma soprattutto A globo veteri 21-34 In hac pre ceteris / totius operis / Nature lucet opera. / Tot munera / nulli favoris contulit, / set extulit / hanc ultra cetera. // Et, que puellulis / avara singulis / solet partiri singula: / huic sedula / inpendit copiosius / et plenius / forme munuscula (Carmina Burana 67.2a-b). Sul motivo, cfr. in generale Malkiel 1977","Guittone, Lasso, pensan- do quanto 49-50 «natura ha 'n lei miso / quanto più pò di bene»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lasso_pensando,"Lasso, pensando quanto",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CHÉ ... VOI,"secondo un'iperbole tradizionale, la donna è chiamata culmine e somma di tutte le bellezze che la Natura può riunire in un essere umano. L'idea di fondo è che la Natura non ha fatto e non può fare niente di più bello: cfr. per esempio Guiraut Riquier, Tant vey, qu'es ab ioy, pretz mermatz 26-7 quar anc gensor creatura / no crey, que formes natura; Guittone, Lasso, pensando quanto 49-50 natura ha 'n lei miso / quanto più pò di bene; e Dante stesso, Donne ch'avete 49 ella è quanto de ben pò far natura. Nella battuta della pargoletta quest'idea-base viene esplicitata dicendo che la Natura ha riversato sulla donna tutte le sue grazie, e da questo punto di vista il confronto più pertinente è con questi versi di Ildeberto di Lavardin, Qui solet 7-10 Parcius elimans alias Natura puellas, / distulit in dotes esse benigna tuas. / In te fudit opes, et opus mirabile cernens, / est mirata suas hoc potuisse manus (ed. Scott1 1969). Ma l'iperbole si presenta, più precisamente, come un'affermazione negativa: alla donna non è stato negato alcunché di ciò che fa parte della bellezza. I passi seguenti sono dunque quelli che, svolgendo anch'essi questo modulo in forma di litote, si avvicinano di più alla lettera e al senso dei versi di Dante: Flamenca 554-5 Anc de nulla ren non si feis / Deus cant la formet tan genta; ma soprattutto A globo veteri 21-34 In hac pre ceteris / totius operis / Nature lucet opera. / Tot munera / nulli favoris contulit, / set extulit / hanc ultra cetera. // Et, que puellulis / avara singulis / solet partiri singula: / huic sedula / inpendit copiosius / et plenius / forme munuscula (Carmina Burana 67.2a-b). Sul motivo, cfr. in generale Malkiel 1977","Ildeberto di Lavardin, Qui solet 7-10 «Parcius elimans alias Natura puellas, / distulit in dotes esse benigna tuas. / In te fudit opes, et opus mirabile cernens, / est mirata suas hoc potuisse ma- nus»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qui_solet,Qui solet,Ildeberto di Lavardin,http://dbpedia.org/resource/Hildebert,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +CHÉ ... VOI,"secondo un'iperbole tradizionale, la donna è chiamata culmine e somma di tutte le bellezze che la Natura può riunire in un essere umano. L'idea di fondo è che la Natura non ha fatto e non può fare niente di più bello: cfr. per esempio Guiraut Riquier, Tant vey, qu'es ab ioy, pretz mermatz 26-7 quar anc gensor creatura / no crey, que formes natura; Guittone, Lasso, pensando quanto 49-50 natura ha 'n lei miso / quanto più pò di bene; e Dante stesso, Donne ch'avete 49 ella è quanto de ben pò far natura. Nella battuta della pargoletta quest'idea-base viene esplicitata dicendo che la Natura ha riversato sulla donna tutte le sue grazie, e da questo punto di vista il confronto più pertinente è con questi versi di Ildeberto di Lavardin, Qui solet 7-10 Parcius elimans alias Natura puellas, / distulit in dotes esse benigna tuas. / In te fudit opes, et opus mirabile cernens, / est mirata suas hoc potuisse manus (ed. Scott1 1969). Ma l'iperbole si presenta, più precisamente, come un'affermazione negativa: alla donna non è stato negato alcunché di ciò che fa parte della bellezza. I passi seguenti sono dunque quelli che, svolgendo anch'essi questo modulo in forma di litote, si avvicinano di più alla lettera e al senso dei versi di Dante: Flamenca 554-5 Anc de nulla ren non si feis / Deus cant la formet tan genta; ma soprattutto A globo veteri 21-34 In hac pre ceteris / totius operis / Nature lucet opera. / Tot munera / nulli favoris contulit, / set extulit / hanc ultra cetera. // Et, que puellulis / avara singulis / solet partiri singula: / huic sedula / inpendit copiosius / et plenius / forme munuscula (Carmina Burana 67.2a-b). Sul motivo, cfr. in generale Malkiel 1977",Flamenca 554-5 «Anc de nulla ren non si feis / Deus cant la formet tan gen- ta»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHÉ ... VOI,"secondo un'iperbole tradizionale, la donna è chiamata culmine e somma di tutte le bellezze che la Natura può riunire in un essere umano. L'idea di fondo è che la Natura non ha fatto e non può fare niente di più bello: cfr. per esempio Guiraut Riquier, Tant vey, qu'es ab ioy, pretz mermatz 26-7 quar anc gensor creatura / no crey, que formes natura; Guittone, Lasso, pensando quanto 49-50 natura ha 'n lei miso / quanto più pò di bene; e Dante stesso, Donne ch'avete 49 ella è quanto de ben pò far natura. Nella battuta della pargoletta quest'idea-base viene esplicitata dicendo che la Natura ha riversato sulla donna tutte le sue grazie, e da questo punto di vista il confronto più pertinente è con questi versi di Ildeberto di Lavardin, Qui solet 7-10 Parcius elimans alias Natura puellas, / distulit in dotes esse benigna tuas. / In te fudit opes, et opus mirabile cernens, / est mirata suas hoc potuisse manus (ed. Scott1 1969). Ma l'iperbole si presenta, più precisamente, come un'affermazione negativa: alla donna non è stato negato alcunché di ciò che fa parte della bellezza. I passi seguenti sono dunque quelli che, svolgendo anch'essi questo modulo in forma di litote, si avvicinano di più alla lettera e al senso dei versi di Dante: Flamenca 554-5 Anc de nulla ren non si feis / Deus cant la formet tan genta; ma soprattutto A globo veteri 21-34 In hac pre ceteris / totius operis / Nature lucet opera. / Tot munera / nulli favoris contulit, / set extulit / hanc ultra cetera. // Et, que puellulis / avara singulis / solet partiri singula: / huic sedula / inpendit copiosius / et plenius / forme munuscula (Carmina Burana 67.2a-b). Sul motivo, cfr. in generale Malkiel 1977","A globo veteri 21-34 «In hac pre ceteris / totius operis / Nature lucet opera. / Tot munera / nulli favoris contulit, / set extulit / hanc ultra cetera. // Et, que puellulis / avara singulis / solet partiri singula: / huic sedula / inpendit copiosius / et plenius / forme munuscula» (Carmina Burana 67.2a-b)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Carmina_Burana,Carmina Burana,,,http://purl.org/bncf/tid/19431,WORK +NATURA,"la personificazione del concetto di Natura ha una lunga storia, in parte documentata da Curtius 1997 (La dea Natura), ma l'idea della Natura come mater generationis si sviluppa soprattutto nell'ambito della scuola neoplatonica di Bernardo Silvestre: ""Bernard's introduction of Natura into medieval Latin literature as an allegorical goddess presiding over the creation of the world and of man was something of an innovation"" (Stock 1972, p. 63). 11-2",,CONCORDANZA GENERICA,,,Bernardo Silvestre,http://dbpedia.org/resource/Bernard_Silvestris,http://purl.org/bncf/tid/8330,CONCEPT +CIASCUNA ... VERTUTE,"'Ogni stella riversa nei miei occhi la sua luce e la sua virtù'. Era credenza diffusa non soltanto che gli astri influenzassero i destini degli uomini, ma anche che possedessero virtù che potevano comunicare, insieme appunto alla luce del lume suo, alle cose terrene: minerali (come in Chi guarderà 14 come virtù di stella margherita), animali o esseri umani. Per l'immagine della virtù celeste che piove negli occhi della donna cfr. per esempio Cino, L'alta speranza che mi reca Amore 40 (i)l ciel piove dolcezza u' la dimora (ma la metafora è ben diffusa già fra i trovatori: cfr. Perugi 1995, p","Cino, L'alta speranza che mi reca Amore 40 «(i)l ciel piove dolcezza u' la dimora»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_alta_speranza,L'alta speranza che mi reca Amore,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NON ... CONOSCIUTE,"l'idea che la bellezza della donna possa essere conosciuta solo da un uomo innamorato è simile per esempio a quella espressa da Cavalcanti, Posso degli occhi 8-10 Non è la sua biltate canosciuta / da gente vile, ché lo suo colore / chiama intelletto di troppo valore. 16-7","Cavalcanti, Posso degli occhi 8-10 «Non è la sua bil- tate canosciuta / da gente vile, ché lo suo colore / chiama intelletto di troppo valore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Posso_degli_occhi,Posso degli occhi miei novella dire,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NEL VISO,"'negli occhi', come nel sonetto anonimo Dante Alleghier 14.",Dante Alleghier 14,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dante_Alleghier_d_ogni_senno_pregiato,"Dante Alleghier, d'ogni senno pregiato",Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +ANGIOLETTA ... APPARITA,"l'idea dell'apparizione improvvisa si associa sia a Beatrice sia alla donna gentile: cfr. Cv II X 3 uno smarrimento nel quale sè caduta vilmente per questa donna che è apparita. Ma è un motivo generalmente stilnovista: cfr. Lapo Gianni, Angioletta in sembianza 1-2 Angioletta in sembianza / novament'è apparita (Iovine)","Lapo Gianni, Angioletta in sembianza 1-2 «Angioletta in sembianza / novament'è apparita»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Angioletta_in_sembianza,Angioletta in sembianza,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NE SON ... VITA,"la vista della donna può uccidere: motivo diffuso nella tradizione romanza che riadatta al rapporto amanteamata il motivo biblico dell'impossibile, micidiale visione di Dio (cfr. Ex 33, 20 non poteris videre faciem meam: non enim videbit me homo et vivet).","Ex 33, 20 «non poteris videre faciem meam: non enim videbit me homo et vivet»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DA UN ... SUOI,"Amore negli occhi, secondo un'immagine tipica dello Stilnovo; per la clausola cfr. Amor, che movi 28-30 li raggi tuoi [di Amore] / ... / saliron tutti su ne gli occhi suoi",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +PERCHÉ TI VEDI,"il vedersi giovane e bella fa sì che la donna s'inorgoglisca, diventi spietata; è un motivo soprattutto stilnovista: Guinizelli, Tegno·l di folle 19-20 vassen disdegnosa, / ché si vede alta, bella e avenente; Cavalcanti, Gli occhi di quella 20-2 Ella si vede / tanto gentil, / che non pò 'maginare / ch'om d'esto mondo l'ardisca mirare. Per l'avvio con una proposizione causale si confronti questa ripresa, anch'essa tristica: Po' vede te sì nobile e legiadra, / Amor, che t'acompagna, / ti racomanda 'l cor che ti tien cara (ed. Casu i.c.s.); e Girardo da Castelfiorentino, Però che vede 1-4 Però che vede soa bellezza sola / la bella pola / ... / per me così sdegnosa vola","Guinizelli, Tegno·l di folle 19-20 «vassen disdegnosa, / ché si vede alta, bella e avenente»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tegno_de_folle_empresa_a_lo_ver_dire,Tegno de folle empresa a lo ver dire,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PERCHÉ TI VEDI,"il vedersi giovane e bella fa sì che la donna s'inorgoglisca, diventi spietata; è un motivo soprattutto stilnovista: Guinizelli, Tegno·l di folle 19-20 vassen disdegnosa, / ché si vede alta, bella e avenente; Cavalcanti, Gli occhi di quella 20-2 Ella si vede / tanto gentil, / che non pò 'maginare / ch'om d'esto mondo l'ardisca mirare. Per l'avvio con una proposizione causale si confronti questa ripresa, anch'essa tristica: Po' vede te sì nobile e legiadra, / Amor, che t'acompagna, / ti racomanda 'l cor che ti tien cara (ed. Casu i.c.s.); e Girardo da Castelfiorentino, Però che vede 1-4 Però che vede soa bellezza sola / la bella pola / ... / per me così sdegnosa vola","Cavalcanti, Gli occhi di quella 20-2 «Ella si vede / tanto gentil, / che non pò 'maginare / ch'om d'esto mondo l'ardisca mirare»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gli_occhi_di_quella,Gli occhi di quella gentil foresetta,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PERCHÉ TI VEDI,"il vedersi giovane e bella fa sì che la donna s'inorgoglisca, diventi spietata; è un motivo soprattutto stilnovista: Guinizelli, Tegno·l di folle 19-20 vassen disdegnosa, / ché si vede alta, bella e avenente; Cavalcanti, Gli occhi di quella 20-2 Ella si vede / tanto gentil, / che non pò 'maginare / ch'om d'esto mondo l'ardisca mirare. Per l'avvio con una proposizione causale si confronti questa ripresa, anch'essa tristica: Po' vede te sì nobile e legiadra, / Amor, che t'acompagna, / ti racomanda 'l cor che ti tien cara (ed. Casu i.c.s.); e Girardo da Castelfiorentino, Però che vede 1-4 Però che vede soa bellezza sola / la bella pola / ... / per me così sdegnosa vola","Girardo da Castelfiorentino, Però che vede 1-4 «Però che vede soa bellezza sola / la bella pola / ... / per me così sdegnosa vola»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pero_che_vede_soa_bellezza_sola,Però che vede soa bellezza sola,Gherardo da Castelfiorentino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gherardo_da_Castelfiorentino,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +GIOVINETTA E BELLA,"una clausola analoga in Cavalcanti, Ciascuna fresca 7 dice che questa gentiletta e bella","Cavalcanti, Ciascuna fresca 7 «dice che questa gentiletta e bella»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ciascuna_fresca_e_dolce_fontanella,Ciascuna fresca e dolce fontanella,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +GIOVINETTA,"il motivo della giovinezza della donna, già topico soprattutto nei generi oggettivi della lirica galloromanza, è ben presente in Dante e negli stilnovisti, e poi in particolare si comunica – certo anche per loro influenza – alla tradizione ballatistica: cfr. per esempio gli incipit di Matteo Frescobaldi Giovinetta, tu sai e Che farai, giovinetta.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +GIOVINETTA,"il motivo della giovinezza della donna, già topico soprattutto nei generi oggettivi della lirica galloromanza, è ben presente in Dante e negli stilnovisti, e poi in particolare si comunica – certo anche per loro influenza – alla tradizione ballatistica: cfr. per esempio gli incipit di Matteo Frescobaldi Giovinetta, tu sai e Che farai, giovinetta.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +PRES'HAI,"non sono rare, in Dante come e più che nei suoi contemporanei, queste perifrasi col verbo prendere seguito dal complemento oggetto in luogo del verbo corrispondente (nella famiglia studiata da Corti 2005, pp. 127-34): non 'ti sei inorgoglita' ma 'hai preso orgoglio', così come non 'fui deliziato' ma presi tanta dolcezza (Vn III 2). Fra i vari esempi da altri autori cfr. Dino Frescobaldi, Giovane, che così leggiadramente 7-8, con l'identica clausola: tu pigli tanta segnoria nel core.","Dino Fresco- baldi, Giovane, che così leggiadramente 7-8, con l'identica clausola: «tu pigli tanta segnoria nel core».",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Giovane_che_cosi_leggiadramente,"Giovane, che cosí leggiadramente",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CREDO CHE,"formula asseverativa, senza sfumatura di dubbio: cioè non 'ipotizzo che', 'forse (lo fa) perché', bensì 'ritengo che', 'certo (lo fa) perché', come altrove in Dante (Voi che savete 17 E certo i' credo che così li guardi) e, prima, in provenzale; cfr. per esempio Bertran d'Alamanon, De la sal de Proenza·m doill 17 mas cre q'el o fai per demor (ed. Salverda de Grave 1902)","Bertran d'Alamanon, De la sal de Proenza·m doill 17 «mas cre q'el o fai per demor»",CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_la_sal_de_Proenza_m_doill,De la sal de Proenza·m doill,Bertran d'Alamanon,http://it.dbpedia.org/resource/Bertran_de_Lamanon,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +AMORE ... MOVE,allitterazione di gusto guittoniano (Contini).,,CONCORDANZA GENERICA,,,Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,CONCEPT +CHI,"l'intera prima quartina è occupata da una proposizione interrogativa, come in Cavalcanti, Chi è questa che vèn, o Deh, spiriti miei",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Chi_e_questa_che_ven,"Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CHI,"l'intera prima quartina è occupata da una proposizione interrogativa, come in Cavalcanti, Chi è questa che vèn, o Deh, spiriti miei",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Deh_spiriti_miei,"Deh, spiriti miei, quando mi vedete",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SANZA PAURA,"lo sguardo della donna atterrisce, tanto che l'amante non osa incrociarlo; è un motivo già cavalcantiano, Gli occhi di quella 21-3 [Ella] non pò imaginare / ch'om d'esto mondo l'ardisca mirare / che non convegna lui tremare in pria. Sanza, in luogo di senza, è normale nel fiorentino antico (cfr. Manni 2003, pp. 141-2). 1-2",Gli occhi di quella 21-3 «[Ella] non pò imaginare / ch'om d'esto mondo l'ardisca mirare / che non convegna lui tremare in pria»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gli_occhi_di_quella,Gli occhi di quella gentil foresetta,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +S'ASPETTA ... LA MORTE,"'io non aspetto altro che la morte'; per il motivo, cfr. Cavalcanti, Li mie' foll'occhi 14 mai non déi sperare altro che morte, e poi Quirini, Ahi, glorïosa Vergene Maria 7-8 non aspetta / altro che morte per la sua folia (Duso)","Cavalcanti, Li mie' foll'occhi 14 «mai non déi sperare altro che morte»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Li_mie_foll_occhi,"Li mie' foll' occhi, che prima guardaro",Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +VEDETE,"apostrofe a un uditorio immaginario cui si chiede comprensione e compassione, un po' come in Le dolci rime 140 Vedete omai quanti son gl'ingannati [Cv IV], o meglio (col tu al posto del voi) come in Dino Frescobaldi, Deh, giovanetta, de' begli occhi tuoi 12 Vedi a che disperato punto i' vegno!","Dino Frescobaldi, Deh, giovanetta, de' begli occhi tuoi",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Deh_giovanetta,"Deh, giovanetta! de' begli occhi tuoi",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER DAR ... FIGURA,"il destino del poeta deve servire da esempio e monito agli altri amanti, perché non si azzardino a guardare la donna; per l'idea, cfr. Francesco Smera, Per gran soverchio di dolor mi movo 45-6 ""chotal sentença Dio chonceduta m'à, / credo, per dar di me al mondo assemplo"" (ed. Molteni – Monaci 1877, pp. 667)","Francesco Smera, Per gran soverchio di dolor mi movo 45-6 «chotal sentença Dio chonceduta m'à, / credo, per dar di me al mondo assemplo»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_gran_soverchio_di_dolor_mi_movo,Per gran soverchio di dolor mi movo,Francesco Ismera Beccanugi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Francesco_Ismera_Beccanugi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DI PERICOL TRATTO,"'salvato' o meglio, alla lettera, 'strappato dal pericolo', con l'idea di benefica violenza che si trova per esempio in I Th 1, 10 qui eripuit nos ab ira ventura, quindi nelle orazioni: Deus, qui famulos tuos a mundi periculis ereptos, ad plenius sectanda Filii vestigia vocare dignatus es (Pflieger 1964, s.v. periculum). Trarre di pericolo era una formula fissa: cfr. If VIII 98-9 m'hai sicurtà renduta e tratto / d'alto periglio; e Matteo Villani, Cronica X 25 per trarre il fratello di pericolo. E il pericolo era, nel linguaggio cristiano, lo smarrimento morale che porta alla dannazione, il danger de condemnation (Blaise 1975, s.v.): cfr. Ave, dolcissemu 4 liberame d'onne periculu (ed. Varanini 1972).","I Th 1, 10 «qui eripuit nos ab ira ventura»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Thessalonians,Prima lettera ai Tessalonicesi,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DI PERICOL TRATTO,"'salvato' o meglio, alla lettera, 'strappato dal pericolo', con l'idea di benefica violenza che si trova per esempio in I Th 1, 10 qui eripuit nos ab ira ventura, quindi nelle orazioni: Deus, qui famulos tuos a mundi periculis ereptos, ad plenius sectanda Filii vestigia vocare dignatus es (Pflieger 1964, s.v. periculum). Trarre di pericolo era una formula fissa: cfr. If VIII 98-9 m'hai sicurtà renduta e tratto / d'alto periglio; e Matteo Villani, Cronica X 25 per trarre il fratello di pericolo. E il pericolo era, nel linguaggio cristiano, lo smarrimento morale che porta alla dannazione, il danger de condemnation (Blaise 1975, s.v.): cfr. Ave, dolcissemu 4 liberame d'onne periculu (ed. Varanini 1972).","Ave, dolcissemu 4 «liberame d'onne periculu»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ave_dolcissemu_Iesu_Christo,"Ave, dolcissemu Iesu Christo",Pietro da Morrone,http://dbpedia.org/resource/Pope_Celestine_V,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +TRARRE ... LA VITA,"'attirare a me la morte': perifrasi artificiosa che non per caso si trova identica nel più artificioso dei duecentisti italiani, Monte Andrea: Or è nel campo entrato tal campione 61 Convene pur lo Contraro a me tiri; e Ai doloroso lasso, per cui s'amorta 15 lo contrad'ò del ben ne son certo.",Or è nel campo entrato tal campione 61 «Con- vene pur lo Contraro a me tiri»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Or_e_nel_campo_entrato_tal_campione,Or è nel campo entrato tal campione,Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +TRARRE ... LA VITA,"'attirare a me la morte': perifrasi artificiosa che non per caso si trova identica nel più artificioso dei duecentisti italiani, Monte Andrea: Or è nel campo entrato tal campione 61 Convene pur lo Contraro a me tiri; e Ai doloroso lasso, per cui s'amorta 15 lo contrad'ò del ben ne son certo.","Ai doloroso lasso, per cui s'amorta 15 «lo contrad'ò del ben ne son certo»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ai_doloroso_lasso,"Ai doloroso lasso, per cui s'amorta",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +COME ... MARGHERITA,"'così come la perla (margherita: ma può anche essere genericamente 'pietra preziosa') trae virtù dalla stella'. Si credeva che il sole e le stelle stampassero la loro impronta sui diversi minerali (vertù s'acquista per ragio di stella scrive Cecco d'Ascoli nell'Acerba II IV 1); della perla, in particolare, si diceva che tenesse lontane le epidemie, e la procedura perché la virtuosa fecondazione da parte degli astri avvenisse è descritta così nel Secretum secretorum: et ponantur in dicto electuario de margaritis bene tritis medium ""sub"" ...; deinde ponatur hoc electuarium totum sic confectum ... sub divo ad serenum, ut descendant virtutes spirituales in ipsum (pp. 103-4)",«vertù s'acquista per ragio di stella» scrive Cecco d'Ascoli nell'Acerba II IV 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/L'Acerba,Acerba etas,Cecco d'Ascoli,http://it.dbpedia.org/resource/Cecco_d'Ascoli,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +COME ... MARGHERITA,"'così come la perla (margherita: ma può anche essere genericamente 'pietra preziosa') trae virtù dalla stella'. Si credeva che il sole e le stelle stampassero la loro impronta sui diversi minerali (vertù s'acquista per ragio di stella scrive Cecco d'Ascoli nell'Acerba II IV 1); della perla, in particolare, si diceva che tenesse lontane le epidemie, e la procedura perché la virtuosa fecondazione da parte degli astri avvenisse è descritta così nel Secretum secretorum: et ponantur in dicto electuario de margaritis bene tritis medium ""sub"" ...; deinde ponatur hoc electuarium totum sic confectum ... sub divo ad serenum, ut descendant virtutes spirituales in ipsum (pp. 103-4)","Secretum secretorum: «et ponantur in dicto electuario de margaritis bene tritis medium ""sub"" ...; deinde ponatur hoc electuarium totum sic confectum ... sub divo ad serenum, ut descendant virtutes spirituales in ipsum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Secretum_Secretorum,Secretum secretorum,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +AMOR ... PROVA,"'Amore, che trai (movi) la tua virtù dal cielo, così come il sole trae dal cielo il suo splendore: e la forza del sole s'imprime, si concentra (s'apprende) là dove il suo raggio trova maggiore nobiltà; e così come esso mette in fuga (fuga, lat. fugare) l'oscurità e il gelo, allo stesso modo, o alto signore, tu allontani la viltà dai cuori, né l'ira può durar molto contro di te (fa lunga prova)'. Nella prima stanza Dante svolge le prime due parti del modulo tripartito di cui s'è detto nella premessa: l'invocazione e l'aretalogia. Seguirà più avanti, nella quarta stanza, la preghiera. Agli esempi di esordio con aretalogia succitati si aggiunga questo della Picatrix, notevole perché anche qui l'invocazione è ad Amore, ossia alla dea pagana che ispira ogni tipo di amore: O Venus, tu que es spiritus amoris et ordinacio amiciciarum et ornamentum coniunctionum! Ex te virtus saporis et amoris procedit, et de te amicicia bona et dilectio inter homines fluunt, et per te cumulantur spiritus mala querentes et bene querentes redundant. De te radix coniunctionum amoris inter homines et mulieres procedit (ed. Pingree 1986, pp. 131-2). L'incipit di Amor che movi è ripreso (e anzi quasi assunto esplicitamente a premessa del sillogismo che segue) nell'anonima Se Amor dal ciel ogni sua virtù move (ed. Zaccagnini 1940), che dalla canzone di Dante (vv. 9-10 e 47-9) ricava anche l'idea dell'Amore come dispensatore di ogni bene: dall'altro regno / descende Amor là onde in terra viene / ogni virtute e ogni grazia piove (3-5).","«O Venus, tu que es spiritus amoris et ordinacio amiciciarum et ornamentum coniunctionum! Ex te vir- tus saporis et amoris procedit, et de te amicicia bona et dilectio in- ter homines fluunt, et per te cumulantur spiritus mala querentes et bene querentes redundant. De te radix coniunctionum amoris inter homines et mulieres procedit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Picatrix,Picatrix,Maslama ibn Ahmad al-Majriti,http://it.dbpedia.org/resource/Maslama_ibn_Ahmad_al-Majriti/html,http://purl.org/bncf/tid/7170,WORK +DAL CIELO,"secondo BarbiPernicone si tratta del cielo di Venere, dal quale Amore, qui invocato da Dante, deriva la sua virtù; e allo stesso modo il sole riceverebbe la sua luce non direttamente da Dio, ma dall'operazione delle Intelligenze del cielo del Sole. In tal modo, dal cielo vorrebbe dire, rispettivamente, 'dal cielo dei Troni, Venere' (stando al Convivio; o dei Principati, stando alla Commedia), e 'dal cielo delle Potestà, il Sole'. È una spiegazione acuta, ma probabilmente non corretta. Se è ben vero che Dio non opera direttamente sulla realtà umana ma si serve delle intelligenze celesti, che amministrano la sua potenza attraverso le loro diverse influenze, Dante non dimentica mai che i cieli sono mossi a loro volta dal Primo motore immobile, ossia Dio (Vasoli, nota a Cv II III 9). L'Amore invocato da Dante (i Troni) e il Sole (Potestati) ricevono da Dio la loro luce e loro particolare virtù e la riflettono sul mondo terrestre, com'è spiegato diffusamente, tra l'altro, in Pd XIII 52-87 e in Cv III XIV 4-5. Dunque dal cielo non significa 'dai rispettivi cieli (di Venere e del Sole)' ma 'da Dio': e del resto è la stessa processione del moto e della luce descritta da Guinizzelli, Al cor gentil 41-4 Splende 'n la 'ntelligenzïa del cielo / Deo crïator più che 'n nostr'occhi 'l sole: / ella intende suo fattor oltra 'l cielo, / e 'l ciel volgiando, a Lui obedir tole.","Al cor gentil 41-4 «Splende 'n la 'ntelligenzïa del cielo / Deo crïator più che 'n nostr'occhi 'l sole: / ella intende suo fattor oltra 'l cielo, / e 'l ciel volgiando, a Lui obedir tole».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_cor_gentil_rempaira_sempre_amore(Guinizzelli),Al cor gentil rempaira sempre amore,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +COME ... SPLENDORE,"come l'Amore, nel cielo di Venere, ricava la sua potenza da Dio, così il sole riceve da Dio la sua luce, l'igneus vigor che rende possibile la vita nel mondo sublunare. Il sole era naturalmente il termine di paragone più ovvio quando si voleva dare figura alla forza che, dispiegandosi, feconda di sé il creato, fosse questa l'anima mundi neoplatonica (cfr. tra l'altro i commenti a Boezio citati in Courcelle 1939, pp. 36 e 55; in Nauta 2002; e in Dronke 1974, pp. 85-8 e 157), lo Spirito Santo (Arnaldo di Bonneval, Liber de cardinalibus operibus Christi, citato in Gregory 1955, p. 138: Hic Spiritus Sanctus omnium viventium anima, ita largitate sua se omnibus abundanter infundit, ut habeant omnia rationabilia et irrationabilia secundum genus suum ex eo quod sunt ...; et quasi sol omnia calefaciens subiecta, omnia nutrit) o, per l'appunto, l'Amore inteso come principio universale che lega tra loro gli elementi.",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/8330,CONCEPT +COME ... SPLENDORE,"come l'Amore, nel cielo di Venere, ricava la sua potenza da Dio, così il sole riceve da Dio la sua luce, l'igneus vigor che rende possibile la vita nel mondo sublunare. Il sole era naturalmente il termine di paragone più ovvio quando si voleva dare figura alla forza che, dispiegandosi, feconda di sé il creato, fosse questa l'anima mundi neoplatonica (cfr. tra l'altro i commenti a Boezio citati in Courcelle 1939, pp. 36 e 55; in Nauta 2002; e in Dronke 1974, pp. 85-8 e 157), lo Spirito Santo (Arnaldo di Bonneval, Liber de cardinalibus operibus Christi, citato in Gregory 1955, p. 138: Hic Spiritus Sanctus omnium viventium anima, ita largitate sua se omnibus abundanter infundit, ut habeant omnia rationabilia et irrationabilia secundum genus suum ex eo quod sunt ...; et quasi sol omnia calefaciens subiecta, omnia nutrit) o, per l'appunto, l'Amore inteso come principio universale che lega tra loro gli elementi.","Arnaldo di Bonneval, Liber de cardinalibus operibus Christi, citato in Gregory 1955, p. 138: «Hic Spiritus Sanctus omnium viventium anima, ita largitate sua se omni- bus abundanter infundit, ut habeant omnia rationabilia et irrationa- bilia secundum genus suum ex eo quod sunt ...; et quasi sol omnia calefaciens subiecta, omnia nutrit»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_cardinalibus_operibus_christi,De cardinalibus operibus Christi,Arnaldo di Bonneval,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Arnaldo_di_Bonneval,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +S'APPRENDE,"'si concentra, s'insedia', ma l'idea è anche quella della fiamma che prende là dove trova alimento, come nel famoso verso di Guinizelli, Al cor gentil 11 Foco d'amore in gentil cor s'aprende (onde Dante, If V 100 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende)","Guinizelli, Al cor gentil 11 «Foco d'amore in gentil cor s'aprende»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_cor_gentil_rempaira_sempre_amore(Guinizzelli),Al cor gentil rempaira sempre amore,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DOVE ... TROVA,"'là dove la sua luce trova un oggetto più propenso ad accoglierla'. La potenza degli astri – cioè delle Intelligenze angeliche – non incide sulla materia in modo uniforme ma si comunica soprattutto ai corpi più nobili. È la concezione che Dante illustra tra l'altro in generale in Cv III II 4 ciascuna forma ha essere de la divina natura in alcun modo ... E quanto la forma è più nobile, tanto più di questa natura tiene; e in particolare, con riferimento appunto al sole, in Cv III XIV 3 Onde vedemo lo sole che, discendendo lo raggio suo qua giù, reduce le cose a sua similitudine di lume, quanto esse per loro disposizione possono da la sua virtude lume ricevere (e cfr. la nota di Vasoli ad locum). Concezione tradizionale, che Dante ricava forse da Alberto Magno (cfr. i rimandi di Vasoli al De causis; Stabile 2007, p. 48; e in generale per la storia del concetto Thorndike 1923-41, II, p. 699). Quanto al paragone tra la bontà di Dio e la virtù del sole, diversamente recepite a seconda dell'attitudine dei corpi, cfr. Cv III VII 2-3 La divina bontade in tutte le cose discende ..., ma avvegna che questa bontade si muova da semplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, da le cose riceventi ..., e di ciò sensibile essemplo avere potemo dal sole. Vedemo la luce del sole, la quale è una, da uno fonte derivata, diversamente da le corpora essere ricevuta: constatazione cui segue una lunga citazione dal De intellectu et intelligibili di Alberto Magno, pertinente anche per la similitudine tra sole e Amore (la bontà divina, nel Convivio) svolta in questa prima stanza",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_causis_et_processu_universitatis,De causis et processu universitatis,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DOVE ... TROVA,"'là dove la sua luce trova un oggetto più propenso ad accoglierla'. La potenza degli astri – cioè delle Intelligenze angeliche – non incide sulla materia in modo uniforme ma si comunica soprattutto ai corpi più nobili. È la concezione che Dante illustra tra l'altro in generale in Cv III II 4 ciascuna forma ha essere de la divina natura in alcun modo ... E quanto la forma è più nobile, tanto più di questa natura tiene; e in particolare, con riferimento appunto al sole, in Cv III XIV 3 Onde vedemo lo sole che, discendendo lo raggio suo qua giù, reduce le cose a sua similitudine di lume, quanto esse per loro disposizione possono da la sua virtude lume ricevere (e cfr. la nota di Vasoli ad locum). Concezione tradizionale, che Dante ricava forse da Alberto Magno (cfr. i rimandi di Vasoli al De causis; Stabile 2007, p. 48; e in generale per la storia del concetto Thorndike 1923-41, II, p. 699). Quanto al paragone tra la bontà di Dio e la virtù del sole, diversamente recepite a seconda dell'attitudine dei corpi, cfr. Cv III VII 2-3 La divina bontade in tutte le cose discende ..., ma avvegna che questa bontade si muova da semplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, da le cose riceventi ..., e di ciò sensibile essemplo avere potemo dal sole. Vedemo la luce del sole, la quale è una, da uno fonte derivata, diversamente da le corpora essere ricevuta: constatazione cui segue una lunga citazione dal De intellectu et intelligibili di Alberto Magno, pertinente anche per la similitudine tra sole e Amore (la bontà divina, nel Convivio) svolta in questa prima stanza",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_intellectu_et_intelligibili(Alberto_Magno),De intellectu et intelligibili,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +DA TE ... MOVA,"Amore è il creatore, l'ispiratore di ogni cosa buona: E Dio fe' solo el mondo per amore, e solo per esso se mantene, e de tucti movimenti en la 'ngeneratione della natura e·ll'operationi si movono da tal volere (Ragione nova d'amore, p. XX).","«E Dio fe' solo el mondo per amore, e solo per esso se mantene, e de tucti movimenti en la 'ngeneratione della natura e·ll'operationi si movono da tal volere» (Ragione nova d'amore, p. XX)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ragione_nova_d_amore,Ragione nova d'amore,,,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SI TRAVAGLIA ... TUTTO,"può voler dire che l'intera umanità (il mondo tutto) è tesa con tutte le proprie forze alla ricerca dei distinti, e diversamente perfetti, oggetti d'amore (B. Bernabei in ED, s.v. travagliare), intendendo dunque travagliare nel senso di 'fare ogni sforzo, darsi da fare': affine al senso di contendere in Pg XVII 129 (di giugner lui [il bene] ciascun contende), o di nititur nel passo del De consolatione citato da BarbiPernicone: Omnis mortalium cura, quam multiplicium studiorum labor exercet, diverso quidem calle procedit, sed ad unum tamen beatitudinis finem nititur pervenire (III 2). Ma ci si deve domandare in primo luogo (con BarbiPernicone) se il mondo tutto non siano, invece, 'tutti gli esseri viventi', o addirittura 'tutto ciò che esiste', conforme all'affermazione di Pg XVII 91-2 Né creator né creatura mai / ... fu sanza amore. E in secondo luogo se il senso di travaglia non possa essere invece 'si muta, si trasforma', meno usuale del precedente ma attestato (Pd XXXIII 114; [il vivo lume] mutandom'io, a me si travagliava, Cino, S'io ismagato sono ed infralito 36 Deh, travagliar mi potess'io per arte): con riferimento, quindi, al Bene che, ispirato dall'Amore, sovrintende ai mutamenti della sfera sublunare (il mondo, appunto).","«Omnis mortalium cura, quam multiplicium studiorum labor exercet, diver- so quidem calle procedit, sed ad unum tamen beatitudinis finem niti- tur pervenire» (III 2)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +SI TRAVAGLIA ... TUTTO,"può voler dire che l'intera umanità (il mondo tutto) è tesa con tutte le proprie forze alla ricerca dei distinti, e diversamente perfetti, oggetti d'amore (B. Bernabei in ED, s.v. travagliare), intendendo dunque travagliare nel senso di 'fare ogni sforzo, darsi da fare': affine al senso di contendere in Pg XVII 129 (di giugner lui [il bene] ciascun contende), o di nititur nel passo del De consolatione citato da BarbiPernicone: Omnis mortalium cura, quam multiplicium studiorum labor exercet, diverso quidem calle procedit, sed ad unum tamen beatitudinis finem nititur pervenire (III 2). Ma ci si deve domandare in primo luogo (con BarbiPernicone) se il mondo tutto non siano, invece, 'tutti gli esseri viventi', o addirittura 'tutto ciò che esiste', conforme all'affermazione di Pg XVII 91-2 Né creator né creatura mai / ... fu sanza amore. E in secondo luogo se il senso di travaglia non possa essere invece 'si muta, si trasforma', meno usuale del precedente ma attestato (Pd XXXIII 114; [il vivo lume] mutandom'io, a me si travagliava, Cino, S'io ismagato sono ed infralito 36 Deh, travagliar mi potess'io per arte): con riferimento, quindi, al Bene che, ispirato dall'Amore, sovrintende ai mutamenti della sfera sublunare (il mondo, appunto).","Cino, S'io ismagato sono ed infralito 36 «Deh, travagliar mi potess'io per arte»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_io_ismagato_sono_ed_infralito,S'io ismagato sono ed infralito,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SANZA TE,"come osserva De Robertis, è la formula che caratterizza la richiesta del soccorso divino nell'Oratio che precede le ""letture"" nella liturgia della Messa del tempo dopo Pentecoste, via via quia sine te nihil potest humana infirmitas, sine te nihil est validum, nihil est sanctum, e simili.","Oratio liturgia della Messa - quia sine te nihil potest humana infirmitas, sine te nihil est vali- dum, nihil est sanctum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Anaphora_(liturgy),Canone della Messa,,,http://purl.org/bncf/tid/18842,WORK +QUANTO ... FARE,"in virtù dell'amore, aveva scritto Andrea Cappellano, universus regitur mundus, et sine ipso nihil boni aliquis operatur in orbe (De amore, p. 99). 13-5","«universus regitur mundus, et sine ipso nihil boni aliquis operatur in orbe» (De amore, p. 99).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_amore_(Andreas_Capellanus),De amore,Andrea Cappellano,http://dbpedia.org/resource/Andreas_Capellanus,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +FEREMI,"'mi colpisce', detto della luce come in Guinizelli, Al cor gentil 31 Fere lo sol lo fango tutto 'l giorno.","Guinizelli, Al cor gentil 31 «Fere lo sol lo fango tutto 'l giorno».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_cor_gentil_rempaira_sempre_amore(Guinizzelli),Al cor gentil rempaira sempre amore,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +COME ... STELLA,"'così come il raggio di luce colpisce (fere) le stelle'; stella è quasi un nome collettivo ('le stelle'), come in Cino, Sta nel piacer de la mia donna Amore 1-2 Sta nel piacer de la mia donna Amore / come nel sol lo raggio e in ciel la stella; e stelle sono chiamati, nel Medioevo, tutti i corpi celesti, tutti illuminati dal sole: del suo [del sole] lume tutte l'altre stelle s'informano (Cv II XIII 15)","Cino, Sta nel piacer de la mia donna Amore 1-2 «Sta nel piacer de la mia donna Amore / come nel sol lo raggio e in ciel la stella»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sta_nel_piacer_de_la_mia_donna_Amore,Sta nel piacer de la mia donna Amore,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +POI ... PRIMIERAMENTE,"l'indole, la disposizione naturale è influenzata, plasmata dalle intelligenze celesti, che imprimunt in eis [nelle anime] lumen suum (Alberto Magno, De somno et vigilia III I 6). Lo spiega con chiarezza Dino del Garbo nel suo commento a Cavalcanti: dispositio naturalis, per quam aliquis inclinatur ad incurrendum faciliter in aliquam passionem, ex principiis proprie nativitatis hominis contraitur et, inter ista principia nativitatis alicuius, precipua et principalia sunt corpora celestia (ed. Fenzi 1999, § 25). Per l'interpretazione di questi versi in relazione alla biografia di Dante cfr. la premessa al testo; per l'idea di un istantaneo governo o signoria di Amore sull'anima del poeta cfr. Vn II 7 D'allora [dal primo incontro con Beatrice] innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima","«imprimunt in eis [nelle anime] lumen suum» (Alberto Magno, De somno et vi- gilia III I 6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_somno_et_vigilia(Alberto_Magno),De somno et vigilia,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +POI ... PRIMIERAMENTE,"l'indole, la disposizione naturale è influenzata, plasmata dalle intelligenze celesti, che imprimunt in eis [nelle anime] lumen suum (Alberto Magno, De somno et vigilia III I 6). Lo spiega con chiarezza Dino del Garbo nel suo commento a Cavalcanti: dispositio naturalis, per quam aliquis inclinatur ad incurrendum faciliter in aliquam passionem, ex principiis proprie nativitatis hominis contraitur et, inter ista principia nativitatis alicuius, precipua et principalia sunt corpora celestia (ed. Fenzi 1999, § 25). Per l'interpretazione di questi versi in relazione alla biografia di Dante cfr. la premessa al testo; per l'idea di un istantaneo governo o signoria di Amore sull'anima del poeta cfr. Vn II 7 D'allora [dal primo incontro con Beatrice] innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima","«dispositio naturalis, per quam aliquis inclinatur ad incurrendum faciliter in aliquam passionem, ex principiis proprie nativitatis hominis contraitur et, inter ista principia nativitatis alicuius, precipua et principalia sunt corpora celestia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Scriptum_super_cantilena,Scriptum super cantilena guidonis de cavalcantibus,Dino del Garbo,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dino_del_Garbo,http://purl.org/bncf/tid/770,WORK +FATTA ANCELLA,"la stessa clausola in Lapo Gianni, Questa rosa novella 24 e in Dino Frescobaldi, In quella parte ove luce la stella 5",Questa rosa novella 24,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Questa_rosa_novella,Questa rosa novella,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +FATTA ANCELLA,"la stessa clausola in Lapo Gianni, Questa rosa novella 24 e in Dino Frescobaldi, In quella parte ove luce la stella 5","Dino Frescobaldi, In quella parte ove luce la stella 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_quella_parte_ove_luce_la_stella,In quella parte ove luce la stella,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER ... ENTRATA,"la donna e l'amore entrano nella mente attraverso lo sguardo: topos stilnovista che, in questa forma, ricorda soprattutto Dino Frescobaldi, Quest'è la giovanetta 1-2 Quest'è la giovanetta ch'Amor guida, / ch'entra per li occhi a ciascun che la vede (Brugnolo) e soprattutto Poscia ch'io veggio 5-6 Ché per lei m'è nella mente salita / una donna di gaia giovanezza","Dino Frescobaldi, Quest'è la giovanetta 1-2 «Quest'è la giovanetta ch'Amor guida, / ch'entra per li occhi a ciascun che la vede»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quest_e_la_giovanetta,Quest'è la giovanetta ch'Amor guida,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER ... ENTRATA,"la donna e l'amore entrano nella mente attraverso lo sguardo: topos stilnovista che, in questa forma, ricorda soprattutto Dino Frescobaldi, Quest'è la giovanetta 1-2 Quest'è la giovanetta ch'Amor guida, / ch'entra per li occhi a ciascun che la vede (Brugnolo) e soprattutto Poscia ch'io veggio 5-6 Ché per lei m'è nella mente salita / una donna di gaia giovanezza",Poscia ch'io veggio 5-6 «Ché per lei m'è nella mente salita / una donna di gaia giovanezza»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Poscia_ch_io_veggio_l_anima_partita,Poscia ch'io veggio l'anima partita,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +UN FOCO,"è il motivo topico di Amore che è, o che desta, un fuoco nella mente: e a parte gli infiniti esempi in poesia cfr. Remigio de' Girolami, De bono communi: ""Sicut et ignis cui amor assimilatur magis"" (ed. De Matteis 1977, p. 21).","Remigio de' Girolami, De bono communi: «Sicut et ignis cui amor assimilatur magis»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_bono_communi,De bono communi,Remigio dei Girolami,http://dbpedia.org/resource/Remigio_dei_Girolami,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK +COM'ACQUA ... ACCENDE,"si è a lungo inteso 'come la fiamma (soggetto) illumina col suo splendore l'acqua (oggetto) per la sua trasparenza'. La giusta interpretazione è invece 'così come l'acqua (soggetto), in virtù della sua chiarezza, può accendere una fiamma (oggetto)', ed è stata data per primo da Maggini, il quale ha osservato che al tempo di Dante si conosceva già il fenomeno dei raggi che passando attraverso un mezzo rifrangente, come una lente di cristallo o acqua limpida fra vetri, potevano concentrarsi in maniera da produrre calore e incendiare certe sostanze (citato in BarbiPernicone). Maggini citava a riscontro questi versi di Dino Compagni, La 'ntelligenza 5-7 Fra li due movimenti accidentali, / in mezzo stando vassei vetriali, / di sole e d'acqua si trae fiamma alquanta. Ma si trattava in effetti di una nozione tradizionale: chiosa di Tommaso ad Aristotele, Metaura, p. 173: Onde quando il sole è potente, ci vi ponesse 1 vasello d'acqua rotundo o guastada, e ponesse dirietro a·cquel vasello o guastada, colae dove ripercuotono i razzuoli del sole, della stoppa, potrebbe tanto il caldo del sole, che·ss'accendrebbe quella stoppa; Cecco d'Ascoli, Acerba IV V 55-6 Perché s'è l'acqua fredda in vitro messa / a posta al sole, arde al bianco panno?; Francesco Smera, Metti lo sol nell'acqua 1-4 Metti lo sol nell'acqua e trane il foco, / o del foco coll'acqua il sol li sciovra; / adoperavi il vetro assai o poco, / o l'esca fuor ke 'l prende e mette inn-ovra (ed. Pelaez 1895, pp. 136-7). Nel verso di Dante è però possibile che il riferimento non sia precisamente a un contenitore d'acqua bensì al cristallo, cioè a quello che si credeva essere ghiaccio portato al punto massimo di solidificazione. In questa forma, il paradosso è diffusissimo sia negli scritti dei naturalisti (cfr. i passi raccolti in Ziltener 1972, pp. 164-5, e per esempio Marbodo: il cristallo soli subiectus concipit ignem) sia in poesia (per esempio, più volte, in Peire Vidal e in Peirol, Tug miei cossir son d'amor e de chan 18-20 Si co·l solelhs pel freg cristal se lansa / de tal esfors qu'outra nais fuecs ardens, / altressi es amors piejer turmens); e cfr. in dettaglio Stabile 2007, pp. 40-4.","Dino Compagni, La 'ntelligenza 5-7 «Fra li due movimenti accidentali, / in mezzo stan- do vassei vetriali, / di sole e d'acqua si trae fiamma alquanta».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_ntelligenza,La 'ntelligenza,Dino Compagni,http://dbpedia.org/resource/Dino_Compagni,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/poesia_allegorica,WORK +COM'ACQUA ... ACCENDE,"si è a lungo inteso 'come la fiamma (soggetto) illumina col suo splendore l'acqua (oggetto) per la sua trasparenza'. La giusta interpretazione è invece 'così come l'acqua (soggetto), in virtù della sua chiarezza, può accendere una fiamma (oggetto)', ed è stata data per primo da Maggini, il quale ha osservato che al tempo di Dante si conosceva già il fenomeno dei raggi che passando attraverso un mezzo rifrangente, come una lente di cristallo o acqua limpida fra vetri, potevano concentrarsi in maniera da produrre calore e incendiare certe sostanze (citato in BarbiPernicone). Maggini citava a riscontro questi versi di Dino Compagni, La 'ntelligenza 5-7 Fra li due movimenti accidentali, / in mezzo stando vassei vetriali, / di sole e d'acqua si trae fiamma alquanta. Ma si trattava in effetti di una nozione tradizionale: chiosa di Tommaso ad Aristotele, Metaura, p. 173: Onde quando il sole è potente, ci vi ponesse 1 vasello d'acqua rotundo o guastada, e ponesse dirietro a·cquel vasello o guastada, colae dove ripercuotono i razzuoli del sole, della stoppa, potrebbe tanto il caldo del sole, che·ss'accendrebbe quella stoppa; Cecco d'Ascoli, Acerba IV V 55-6 Perché s'è l'acqua fredda in vitro messa / a posta al sole, arde al bianco panno?; Francesco Smera, Metti lo sol nell'acqua 1-4 Metti lo sol nell'acqua e trane il foco, / o del foco coll'acqua il sol li sciovra; / adoperavi il vetro assai o poco, / o l'esca fuor ke 'l prende e mette inn-ovra (ed. Pelaez 1895, pp. 136-7). Nel verso di Dante è però possibile che il riferimento non sia precisamente a un contenitore d'acqua bensì al cristallo, cioè a quello che si credeva essere ghiaccio portato al punto massimo di solidificazione. In questa forma, il paradosso è diffusissimo sia negli scritti dei naturalisti (cfr. i passi raccolti in Ziltener 1972, pp. 164-5, e per esempio Marbodo: il cristallo soli subiectus concipit ignem) sia in poesia (per esempio, più volte, in Peire Vidal e in Peirol, Tug miei cossir son d'amor e de chan 18-20 Si co·l solelhs pel freg cristal se lansa / de tal esfors qu'outra nais fuecs ardens, / altressi es amors piejer turmens); e cfr. in dettaglio Stabile 2007, pp. 40-4.","chiosa di Tommaso ad Aristotele, Metaura, p. 173: «Onde quando il sole è potente, ci vi po- nesse 1 vasello d'acqua rotundo o guastada, e ponesse dirietro a·cquel vasello o guastada, colae dove ripercuotono i razzuoli del sole, della stoppa, potrebbe tanto il caldo del sole, che·ss'accendrebbe quella stoppa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_metaura_d_aristotile,La Metaura di Aristotile,,,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK +COM'ACQUA ... ACCENDE,"si è a lungo inteso 'come la fiamma (soggetto) illumina col suo splendore l'acqua (oggetto) per la sua trasparenza'. La giusta interpretazione è invece 'così come l'acqua (soggetto), in virtù della sua chiarezza, può accendere una fiamma (oggetto)', ed è stata data per primo da Maggini, il quale ha osservato che al tempo di Dante si conosceva già il fenomeno dei raggi che passando attraverso un mezzo rifrangente, come una lente di cristallo o acqua limpida fra vetri, potevano concentrarsi in maniera da produrre calore e incendiare certe sostanze (citato in BarbiPernicone). Maggini citava a riscontro questi versi di Dino Compagni, La 'ntelligenza 5-7 Fra li due movimenti accidentali, / in mezzo stando vassei vetriali, / di sole e d'acqua si trae fiamma alquanta. Ma si trattava in effetti di una nozione tradizionale: chiosa di Tommaso ad Aristotele, Metaura, p. 173: Onde quando il sole è potente, ci vi ponesse 1 vasello d'acqua rotundo o guastada, e ponesse dirietro a·cquel vasello o guastada, colae dove ripercuotono i razzuoli del sole, della stoppa, potrebbe tanto il caldo del sole, che·ss'accendrebbe quella stoppa; Cecco d'Ascoli, Acerba IV V 55-6 Perché s'è l'acqua fredda in vitro messa / a posta al sole, arde al bianco panno?; Francesco Smera, Metti lo sol nell'acqua 1-4 Metti lo sol nell'acqua e trane il foco, / o del foco coll'acqua il sol li sciovra; / adoperavi il vetro assai o poco, / o l'esca fuor ke 'l prende e mette inn-ovra (ed. Pelaez 1895, pp. 136-7). Nel verso di Dante è però possibile che il riferimento non sia precisamente a un contenitore d'acqua bensì al cristallo, cioè a quello che si credeva essere ghiaccio portato al punto massimo di solidificazione. In questa forma, il paradosso è diffusissimo sia negli scritti dei naturalisti (cfr. i passi raccolti in Ziltener 1972, pp. 164-5, e per esempio Marbodo: il cristallo soli subiectus concipit ignem) sia in poesia (per esempio, più volte, in Peire Vidal e in Peirol, Tug miei cossir son d'amor e de chan 18-20 Si co·l solelhs pel freg cristal se lansa / de tal esfors qu'outra nais fuecs ardens, / altressi es amors piejer turmens); e cfr. in dettaglio Stabile 2007, pp. 40-4.","Cecco d'Ascoli, Acerba IV V 55-6 «Perché s'è l'acqua fred- da in vitro messa / a posta al sole, arde al bianco panno?»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/L'Acerba,Acerba etas,Cecco d'Ascoli,http://it.dbpedia.org/resource/Cecco_d'Ascoli,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +COM'ACQUA ... ACCENDE,"si è a lungo inteso 'come la fiamma (soggetto) illumina col suo splendore l'acqua (oggetto) per la sua trasparenza'. La giusta interpretazione è invece 'così come l'acqua (soggetto), in virtù della sua chiarezza, può accendere una fiamma (oggetto)', ed è stata data per primo da Maggini, il quale ha osservato che al tempo di Dante si conosceva già il fenomeno dei raggi che passando attraverso un mezzo rifrangente, come una lente di cristallo o acqua limpida fra vetri, potevano concentrarsi in maniera da produrre calore e incendiare certe sostanze (citato in BarbiPernicone). Maggini citava a riscontro questi versi di Dino Compagni, La 'ntelligenza 5-7 Fra li due movimenti accidentali, / in mezzo stando vassei vetriali, / di sole e d'acqua si trae fiamma alquanta. Ma si trattava in effetti di una nozione tradizionale: chiosa di Tommaso ad Aristotele, Metaura, p. 173: Onde quando il sole è potente, ci vi ponesse 1 vasello d'acqua rotundo o guastada, e ponesse dirietro a·cquel vasello o guastada, colae dove ripercuotono i razzuoli del sole, della stoppa, potrebbe tanto il caldo del sole, che·ss'accendrebbe quella stoppa; Cecco d'Ascoli, Acerba IV V 55-6 Perché s'è l'acqua fredda in vitro messa / a posta al sole, arde al bianco panno?; Francesco Smera, Metti lo sol nell'acqua 1-4 Metti lo sol nell'acqua e trane il foco, / o del foco coll'acqua il sol li sciovra; / adoperavi il vetro assai o poco, / o l'esca fuor ke 'l prende e mette inn-ovra (ed. Pelaez 1895, pp. 136-7). Nel verso di Dante è però possibile che il riferimento non sia precisamente a un contenitore d'acqua bensì al cristallo, cioè a quello che si credeva essere ghiaccio portato al punto massimo di solidificazione. In questa forma, il paradosso è diffusissimo sia negli scritti dei naturalisti (cfr. i passi raccolti in Ziltener 1972, pp. 164-5, e per esempio Marbodo: il cristallo soli subiectus concipit ignem) sia in poesia (per esempio, più volte, in Peire Vidal e in Peirol, Tug miei cossir son d'amor e de chan 18-20 Si co·l solelhs pel freg cristal se lansa / de tal esfors qu'outra nais fuecs ardens, / altressi es amors piejer turmens); e cfr. in dettaglio Stabile 2007, pp. 40-4.","Francesco Smera, Metti lo sol nell'acqua 1-4 «Metti lo sol nell'acqua e tra- ne il foco, / o del foco coll'acqua il sol li sciovra; / adoperavi il vetro assai o poco, / o l'esca fuor ke 'l prende e mette inn-ovra»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Metti_lo_sol_nell_acqua,Metti lo sol nell'acqua,Francesco Ismera Beccanugi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Francesco_Ismera_Beccanugi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +COM'ACQUA ... ACCENDE,"si è a lungo inteso 'come la fiamma (soggetto) illumina col suo splendore l'acqua (oggetto) per la sua trasparenza'. La giusta interpretazione è invece 'così come l'acqua (soggetto), in virtù della sua chiarezza, può accendere una fiamma (oggetto)', ed è stata data per primo da Maggini, il quale ha osservato che al tempo di Dante si conosceva già il fenomeno dei raggi che passando attraverso un mezzo rifrangente, come una lente di cristallo o acqua limpida fra vetri, potevano concentrarsi in maniera da produrre calore e incendiare certe sostanze (citato in BarbiPernicone). Maggini citava a riscontro questi versi di Dino Compagni, La 'ntelligenza 5-7 Fra li due movimenti accidentali, / in mezzo stando vassei vetriali, / di sole e d'acqua si trae fiamma alquanta. Ma si trattava in effetti di una nozione tradizionale: chiosa di Tommaso ad Aristotele, Metaura, p. 173: Onde quando il sole è potente, ci vi ponesse 1 vasello d'acqua rotundo o guastada, e ponesse dirietro a·cquel vasello o guastada, colae dove ripercuotono i razzuoli del sole, della stoppa, potrebbe tanto il caldo del sole, che·ss'accendrebbe quella stoppa; Cecco d'Ascoli, Acerba IV V 55-6 Perché s'è l'acqua fredda in vitro messa / a posta al sole, arde al bianco panno?; Francesco Smera, Metti lo sol nell'acqua 1-4 Metti lo sol nell'acqua e trane il foco, / o del foco coll'acqua il sol li sciovra; / adoperavi il vetro assai o poco, / o l'esca fuor ke 'l prende e mette inn-ovra (ed. Pelaez 1895, pp. 136-7). Nel verso di Dante è però possibile che il riferimento non sia precisamente a un contenitore d'acqua bensì al cristallo, cioè a quello che si credeva essere ghiaccio portato al punto massimo di solidificazione. In questa forma, il paradosso è diffusissimo sia negli scritti dei naturalisti (cfr. i passi raccolti in Ziltener 1972, pp. 164-5, e per esempio Marbodo: il cristallo soli subiectus concipit ignem) sia in poesia (per esempio, più volte, in Peire Vidal e in Peirol, Tug miei cossir son d'amor e de chan 18-20 Si co·l solelhs pel freg cristal se lansa / de tal esfors qu'outra nais fuecs ardens, / altressi es amors piejer turmens); e cfr. in dettaglio Stabile 2007, pp. 40-4.","Peire Vidal e in Peirol, Tug miei cossir son d'amor e de chan 18-20 «Si co·l solelhs pel freg cristal se lansa / de tal esfors qu'outra nais fuecs ardens, / altres- si es amors piejer turmens»)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tuiz_mei_cossir,Tuiz mei cossir son d'amor et de chan,Peire Vidal,http://dbpedia.org/resource/Peire_Vidal,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +IN GUISA ... SALUTE,"passo molto complesso. L'edizione Barbi leggeva in guisa ched è 'l sol segno di foco, intendendo che il fuoco tende a salire verso il sole come al suo obiettivo (segno: che è il significato che la parola ha per esempio in Io sento sì 29). E non molto diversa è la spiegazione di FosterBoyde: il sole-segno sarebbe a principle to which a thing may be referred as that which governs and accounts for it. A favore di questa lettura e di questa interpretazione può stare l'idea che il fuoco si dirige verso l'alto (illius natura talis est – scrive un anonimo commentatore di Boezio – ut superiora petat: cfr. Dronke 1974, p. 88), idea che Dante ripete in Pg XVIII 28-30 Poi, come 'l foco movesi in altura, / per la sua forma ch'è nata a salire / là dove più in sua matera dura. Vero è però che il luogo del fuoco in quanto elemento è, per Aristotele e per Dante, la sfera della luna (cfr. tra l'altro Cv III III 2). De Robertis legge diversamente: in guisa ch'è del sol segno di foco, lezione che prospetta una diversa parafrasi: 'al modo che del sole è manifestazione il fuoco che, nulla ad esso aggiungendo né sottraendo, ne rende evidente altrove, in altro soggetto, la benefica operazione'. Ma neppure questa parafrasi convince del tutto, perché al v. 42 ci vorrebbe allora del sol segno lo foco, e non di foco; e perché restano comunque poco chiari i versi successivi: perché il sole avrebbe altrove (ma dove?) effetto più salutare? Stabile 2007, pp. 56-7, propone la lezione che si è adottata anche qui: in guisa che del sol segno di foco; e parafrasa: allo stesso modo [che] il calore, che è segno di foco, rende conoscibile il potere del sole, manifestando nell'effetto l'ardore della fiamma. Ma anche in questo caso la spiegazione riesce un po' sforzata (che segno di foco possa stare per calore risulta soltanto dalla similitudine che apre Cv IV XXIX Poi che mostrato ha lo testo quelli segni li quali per ciascuna etade appaiono nel nobile uomo ..., e sanza li quali essere non puote, come lo sole sanza luce e lo fuoco sanza caldo). In questa impasse, è lecito almeno suggerire una spiegazione alternativa, e cioè che qui Dante alluda al mito di Fetonte circa l'origine della Via Lattea: il sole, scrive in Cv II XIV 5, alcuna fiata errò ne la sua via e ... arse lo luogo per lo quale passò. E si potrebbe quindi intendere così: 'al modo in cui lo è (sottinteso: conforto, prova del valore del sole) il segno di fuoco, la traccia di fuoco lasciata dal sole, il quale segno (la galassia delle stelle illuminate da lui) non dà né toglie a lui forza, ma fa sì che in un altro luogo (la galassia, appunto, le stelle) esso appaia più efficace, più forte nei suoi effetti (in quanto non illumina soltanto la terra ma anche le altre stelle, come Dante dice più volte nel Convivio)'",,CONCORDANZA GENERICA,,,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT +IN GUISA ... SALUTE,"passo molto complesso. L'edizione Barbi leggeva in guisa ched è 'l sol segno di foco, intendendo che il fuoco tende a salire verso il sole come al suo obiettivo (segno: che è il significato che la parola ha per esempio in Io sento sì 29). E non molto diversa è la spiegazione di FosterBoyde: il sole-segno sarebbe a principle to which a thing may be referred as that which governs and accounts for it. A favore di questa lettura e di questa interpretazione può stare l'idea che il fuoco si dirige verso l'alto (illius natura talis est – scrive un anonimo commentatore di Boezio – ut superiora petat: cfr. Dronke 1974, p. 88), idea che Dante ripete in Pg XVIII 28-30 Poi, come 'l foco movesi in altura, / per la sua forma ch'è nata a salire / là dove più in sua matera dura. Vero è però che il luogo del fuoco in quanto elemento è, per Aristotele e per Dante, la sfera della luna (cfr. tra l'altro Cv III III 2). De Robertis legge diversamente: in guisa ch'è del sol segno di foco, lezione che prospetta una diversa parafrasi: 'al modo che del sole è manifestazione il fuoco che, nulla ad esso aggiungendo né sottraendo, ne rende evidente altrove, in altro soggetto, la benefica operazione'. Ma neppure questa parafrasi convince del tutto, perché al v. 42 ci vorrebbe allora del sol segno lo foco, e non di foco; e perché restano comunque poco chiari i versi successivi: perché il sole avrebbe altrove (ma dove?) effetto più salutare? Stabile 2007, pp. 56-7, propone la lezione che si è adottata anche qui: in guisa che del sol segno di foco; e parafrasa: allo stesso modo [che] il calore, che è segno di foco, rende conoscibile il potere del sole, manifestando nell'effetto l'ardore della fiamma. Ma anche in questo caso la spiegazione riesce un po' sforzata (che segno di foco possa stare per calore risulta soltanto dalla similitudine che apre Cv IV XXIX Poi che mostrato ha lo testo quelli segni li quali per ciascuna etade appaiono nel nobile uomo ..., e sanza li quali essere non puote, come lo sole sanza luce e lo fuoco sanza caldo). In questa impasse, è lecito almeno suggerire una spiegazione alternativa, e cioè che qui Dante alluda al mito di Fetonte circa l'origine della Via Lattea: il sole, scrive in Cv II XIV 5, alcuna fiata errò ne la sua via e ... arse lo luogo per lo quale passò. E si potrebbe quindi intendere così: 'al modo in cui lo è (sottinteso: conforto, prova del valore del sole) il segno di fuoco, la traccia di fuoco lasciata dal sole, il quale segno (la galassia delle stelle illuminate da lui) non dà né toglie a lui forza, ma fa sì che in un altro luogo (la galassia, appunto, le stelle) esso appaia più efficace, più forte nei suoi effetti (in quanto non illumina soltanto la terra ma anche le altre stelle, come Dante dice più volte nel Convivio)'",«illius natura talis est – scrive un anonimo commentatore di Boezio – ut su- periora petat»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_anonimo_al_de_consolatione,Commento anonimo al De Consolatione di Boezio,,,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +LO QUALE ... VERTUTE,"'il quale fuoco non toglie né dà forza al sole'. L'idea che il sole comunichi i suoi effetti senza trovarsi per questo diminuito era corrente: cfr. Guinizelli, Al cor gentil 31-2 Fere lo sol lo fango tutto 'l giorno: / vile reman, né 'l sol perde calore (e poi lo stesso Dante, Poscia ch'Amor 115-20)","Guinizelli, Al cor gentil 31-2 «Fere lo sol lo fango tutto 'l giorno: / vile reman, né 'l sol perde calore»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Al_cor_gentil_rempaira_sempre_amore(Guinizzelli),Al cor gentil rempaira sempre amore,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DUNQUE,"trae le conseguenze di quello che ha appena detto con una formula di transizione da trattato o da exemplum; nei sonetti la si trova di solito all'inizio della sirma: cfr. Onesto, Davante voi, madonna, son venuto 9 Donqua, per Deo, non vi piacia ch'eo pera (ed. Giunta 2002b, pp. 54-5); Quirini, Se men d'orgoglio e se più di pietate 9 Donque, signor di natura benigna (Duso). 46-7","Onesto, Davante voi, madonna, son venuto 9 «Donqua, per Deo, non vi piacia ch'eo pera»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Davante_voi_madonna_son_venuto,"Davante voi, madonna, son venuto",Onesto degli Onesti,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Onesto_degli_Onesti,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +FALLE ... LEI,"'Fa' in modo che lei sappia, in virtù della tua dolcezza (ovvero: entrandole nel cuore e addolcendola, rendendola capace di capire e ricambiare l'amore del poeta), il grande desiderio che ho di vederla'. L'appello ad Amore perché faccia innamorare la donna è topico: cfr. Pucciandone Martelli, Madonna, voi isguardando senti' amore 65-7 Amor, merzé, a madonna sentire / fa' lo travaglio e l'ire / che per lei aggio e sento; e Meo Abbracciavacca, Amore amaro 11-2 falli sentir per certo ciò ch'eo sento. / Forse ch'avrà pietate del mio stato; ed è uno di quei casi in cui la retorica cortese s'incontra con quella sacra, influenzandola o venendone influenzata: Laudario di Santa Maria della Scala, Troppo perde el tempo chi ben non t'ama 196-7 Fammi questo dono ispeçiale: / ch'io tua dolceçça, amor, possa sentire (amore qui è Dio).","Pucciandone Martelli, Madonna, voi isguardan- do senti' amore 65-7 «Amor, merzé, a madonna sentire / fa' lo trava- glio e l'ire / che per lei aggio e sento»;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Madonna_voi_isguardando_senti_amore,"Madonna, voi isguardando senti' amore",Pucciandone Martelli,http://it.dbpedia.org/resource/Pucciandone_Martelli,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +FALLE ... LEI,"'Fa' in modo che lei sappia, in virtù della tua dolcezza (ovvero: entrandole nel cuore e addolcendola, rendendola capace di capire e ricambiare l'amore del poeta), il grande desiderio che ho di vederla'. L'appello ad Amore perché faccia innamorare la donna è topico: cfr. Pucciandone Martelli, Madonna, voi isguardando senti' amore 65-7 Amor, merzé, a madonna sentire / fa' lo travaglio e l'ire / che per lei aggio e sento; e Meo Abbracciavacca, Amore amaro 11-2 falli sentir per certo ciò ch'eo sento. / Forse ch'avrà pietate del mio stato; ed è uno di quei casi in cui la retorica cortese s'incontra con quella sacra, influenzandola o venendone influenzata: Laudario di Santa Maria della Scala, Troppo perde el tempo chi ben non t'ama 196-7 Fammi questo dono ispeçiale: / ch'io tua dolceçça, amor, possa sentire (amore qui è Dio).","Meo Abbracciavacca, Amore amaro 11-2 «falli sentir per certo ciò ch'eo sento. / Forse ch'avrà pietate del mio stato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Amore_amaro,Amore amaro,Meo Abbracciavacca,http://dbpedia.org/resource/Meo_Abbracciavacca,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +FALLE ... LEI,"'Fa' in modo che lei sappia, in virtù della tua dolcezza (ovvero: entrandole nel cuore e addolcendola, rendendola capace di capire e ricambiare l'amore del poeta), il grande desiderio che ho di vederla'. L'appello ad Amore perché faccia innamorare la donna è topico: cfr. Pucciandone Martelli, Madonna, voi isguardando senti' amore 65-7 Amor, merzé, a madonna sentire / fa' lo travaglio e l'ire / che per lei aggio e sento; e Meo Abbracciavacca, Amore amaro 11-2 falli sentir per certo ciò ch'eo sento. / Forse ch'avrà pietate del mio stato; ed è uno di quei casi in cui la retorica cortese s'incontra con quella sacra, influenzandola o venendone influenzata: Laudario di Santa Maria della Scala, Troppo perde el tempo chi ben non t'ama 196-7 Fammi questo dono ispeçiale: / ch'io tua dolceçça, amor, possa sentire (amore qui è Dio).","Laudario di Santa Maria della Scala, Troppo perde el tempo chi ben non t'ama 196-7 «Fammi questo dono ispeçiale: / ch'io tua dolceçça, amor, possa sentire» (amore qui è Dio).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Laudario_di_Santa_Maria_della_Scala,Laudario di Santa Maria della Scala,,,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +NON SOFFRIR,"'non accettare, non ammettere', come in Cino, Quando potrò io dir: Dolce mio dio 31-2 Signor mio, non sofferir ch'amando / da me si parta l'anima mia trista.","Cino, Quando potrò io dir: «Dolce mio dio» 31-2 «Signor mio, non sofferir ch'amando / da me si parta l'anima mia trista».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quando_potro_io_dir,Quando potrò io dir: Dolce mio dio,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PER GIOVANEZZA,"l'impulsività, il fare senza sapere e senza valutare bene le conseguenze del fatto (qui la morte dell'amante), era considerata tradizionalmente una peculiarità dei giovani (e lo è ancora, salvo che la si guarda oggi con occhio benevolo, laddove un tempo prevalevano il biasimo e il fastidio per un contegno irragionevole): Io ti voglio perdonare questa battaglia, perché io veggio che ttu l'ài presa per giovanezza e per poco senno che ttu ài (Tristano riccardiano, p. 86). In amore, però, l'incoscienza sconfina con la crudeltà, onde il topos dell'amante spietata perché troppo giovane e dunque incapace di amare: Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 27-30 Ma la sua nova e salvaggia etate, / crudele e lenta contro a mia fermezza, / per la sua giovinezza, / m'ha tempo, in vanità girando, tolto (Brugnolo); quanto a Dante, giovinezza e crudeltà sono associate per esempio in Io sento sì 46-7 e nella ballata Perché ti vedi giovinetta e bella.","«Io ti voglio perdonare questa battaglia, perché io veggio che ttu l'ài presa per giovanezza e per poco senno che ttu ài» (Tristano riccardiano, p. 86).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tristano_riccardiano,Tristano riccardiano,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/3572,WORK +PER GIOVANEZZA,"l'impulsività, il fare senza sapere e senza valutare bene le conseguenze del fatto (qui la morte dell'amante), era considerata tradizionalmente una peculiarità dei giovani (e lo è ancora, salvo che la si guarda oggi con occhio benevolo, laddove un tempo prevalevano il biasimo e il fastidio per un contegno irragionevole): Io ti voglio perdonare questa battaglia, perché io veggio che ttu l'ài presa per giovanezza e per poco senno che ttu ài (Tristano riccardiano, p. 86). In amore, però, l'incoscienza sconfina con la crudeltà, onde il topos dell'amante spietata perché troppo giovane e dunque incapace di amare: Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 27-30 Ma la sua nova e salvaggia etate, / crudele e lenta contro a mia fermezza, / per la sua giovinezza, / m'ha tempo, in vanità girando, tolto (Brugnolo); quanto a Dante, giovinezza e crudeltà sono associate per esempio in Io sento sì 46-7 e nella ballata Perché ti vedi giovinetta e bella.","Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 27-30 «Ma la sua nova e salvaggia etate, / cru- dele e lenta contro a mia fermezza, / per la sua giovinezza, / m'ha tempo, in vanità girando, tolto»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Morte_avversara_poich_io_son_contento,"Morte avversara, poich'io son contento",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +RICCO DONO,"giuntura già trobadorica, ric do(n), e che in Italia si trova per esempio (e cito casi in cui come qui è Amore il donatore) in Cino, S'io mi riputo di niente alquanto 9-10 Ancor m'ha fatto Amor più ricco dono, / che, o nell'anonimo di Sovente, Amore, agio visto manti 14 sì ricco dono Amor m'à donato.","Cino, S'io mi riputo di niente alquanto 9-10 «Ancor m'ha fatto Amor più ricco dono, / che», o nell'anonimo di Sovente, Amo- re, agio visto manti 14 «sì ricco dono Amor m'à donato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/S_io_mi_riputo_di_niente_alquanto,S'io mi riputo di niente alquanto,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NON DICO,"spiega, nei vv. 7-12, perché non può durare lungamente a soffrire; snodi discorsivi come questi, che al nostro gusto sembrano più adatti alla prosa, si trovano talvolta anche in poesia all'inizio della stanza o del periodo: cfr. Châtelain de Couci, La douce voiz 25 Je ne di pas que je face folage; Chiaro, La mia disiderosa e dolze vita 13 Non dico che lo cor mio senta male","Châtelain de Couci, La douce voiz 25 «Je ne di pas que je face fola- ge»;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_douce_voiz,La douce voiz du louseignol sauvage,Le Châtelain de Coucy,http://dbpedia.org/resource/Le_Chastelain_de_Couci,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NON DICO,"spiega, nei vv. 7-12, perché non può durare lungamente a soffrire; snodi discorsivi come questi, che al nostro gusto sembrano più adatti alla prosa, si trovano talvolta anche in poesia all'inizio della stanza o del periodo: cfr. Châtelain de Couci, La douce voiz 25 Je ne di pas que je face folage; Chiaro, La mia disiderosa e dolze vita 13 Non dico che lo cor mio senta male","Chiaro, La mia disiderosa e dolze vita 13 «Non dico che lo cor mio senta male»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_mia_disiderosa_e_dolze_vita,La mia disiderosa e dolze vita,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +OND(E),"'di cui' o meglio (il valore originario di onde è spaziale) 'da cui', e insomma 'questa è la ragione del mio dolore'. La sintassi del verso (con prendo nel senso di 'ho, mi viene') ricorda Chiaro, Gravosa dimoranza 51 e questo è ciò laond'io riprendo gioia (Menichetti)","Chia- ro, Gravosa dimoranza 51 «e questo è ciò laond'io riprendo gioia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gravosa_dimoranza,Gravosa dimoranza,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +OVUNQUE,"nella lingua antica gli avverbi di luogo hanno talvolta valore temporale (cfr. Dino Frescobaldi, L'alma mia trist'è seguitando 'l core 12 esser di lui ovunque il cor disia): si potrebbe intendere dunque 'in ogni momento in cui'. Qui, tuttavia, così come al v. 19, agli occhi è dato quasi il potere di sanare, dunque di agire sul corpo dell'amante, come un balsamo, e prima di tutto sul cuore: perciò non va escluso che il senso sia 'in ogni luogo di me in cui'. 17-9","Dino Frescobaldi, L'alma mia trist'è se- guitando 'l core 12 «esser di lui ovunque il cor disia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_alma_mia_trist_e_seguitando,L'alma mia trist'è seguitando 'l core,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +ENTRANO ... AMARO,"riprende il motivo degli occhi col quale si è chiusa la prima stanza secondo una tecnica (si ribadisce il concetto e lo si chiarisce meglio) già trobadorica, e che Dante adotta per esempio anche in E' m'incresce di me",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +RAGGI,"cfr. per esempio Lapo Gianni, Gentil donna cortese e dibonare 5-7 ""I' fu' sì tosto servente di voi, / come d'un raggio gentile amoroso / da' vostri occhi mi venne uno splendore"".","Lapo Gianni, Gentil donna cortese e dibonare 5-7 «I' fu' sì tosto servente di voi, / come d'un raggio gentile amoroso / da' vostri occhi mi venne uno splendore».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gentil_donna_cortese_e_dibonare,Gentil donna cortese e dibonare,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SÌ COME QUELLI,"per il costrutto, cfr. la nota a Qual che voi siate 11. Amore passa (o meglio è passato) attraverso gli occhi e si è insediato nel cuore dell'amante (è il motivo per esempio di Guinizelli, Lo vostro bel saluto).",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_vostro_bel_saluto,Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NULLO ... PIACER,"'nessun (nullo) amore è tanto oneroso (e dunque portato con più stoicismo) quanto quello che fa accettare (e non 'piacere' come parafrasano BarbiPernicone) la morte'. Il poeta è lieto di morire se questa è la volontà della donna: iperbole topica (tornerà in Amor, da che convien 7) con la quale, per esempio, Guinizelli chiude la canzone Tegno de folle 50 onde mi piace morir per su' amore. FosterBoyde citano a confronto per la struttura del periodo Io 15, 13 Maiorem hac dilectionem nemo habet ut animam suam quis ponat pro amicis suis",Guinizelli chiude la canzone Tegno de folle 50 «onde mi piace morir per su' amore».,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tegno_de_folle_empresa_a_lo_ver_dire,Tegno de folle empresa a lo ver dire,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +NULLO ... PIACER,"'nessun (nullo) amore è tanto oneroso (e dunque portato con più stoicismo) quanto quello che fa accettare (e non 'piacere' come parafrasano BarbiPernicone) la morte'. Il poeta è lieto di morire se questa è la volontà della donna: iperbole topica (tornerà in Amor, da che convien 7) con la quale, per esempio, Guinizelli chiude la canzone Tegno de folle 50 onde mi piace morir per su' amore. FosterBoyde citano a confronto per la struttura del periodo Io 15, 13 Maiorem hac dilectionem nemo habet ut animam suam quis ponat pro amicis suis","Io 15, 13 «Maiorem hac dilectionem nemo habet ut animam suam quis ponat pro amicis suis»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +FACE,"'fa', da interpretare come latinismo nelle scritture filosofiche e come sicilianismo (Contini) o insomma come ""poetismo"" nella lirica (in Chiaro è per esempio la forma prevalente)",,CONCORDANZA GENERICA,,,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,CONCEPT +PER ... S'ACCOGLIE,"per virtù di quella somma bellezza che come sintesi di singole bellezze si raccoglie (si aduna, si unifica) nel bel viso (BarbiPernicone); per tutto il passo cfr. Dino Frescobaldi, Un sol penser che mi ven ne la mente 39-41 In te convien che cresca ogni pesanza / tanto, quanto ogni tuo ben fu 'l disio / ch'era fermato nella sua bellezza (Brugnolo)","Dino Frescobal- di, Un sol penser che mi ven ne la mente 39-41 «In te convien che cresca ogni pesanza / tanto, quanto ogni tuo ben fu 'l disio / ch'era fermato nella sua bellezza» (Brugnolo).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Un_sol_penser_che_mi_ven_ne_la_mente,Un sol penser che mi ven ne la mente,Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +IO ... CONTENTO,"il pensiero del servizio d'amore è motivo di gioia, come in Cino, Tutte le pene 1-4 Tutte le pene ch'io sento d'Amore / mi son conforto acciò ch'io non ne moia, / pensando che m'ha fatto servidore / della mia gentil donna, o in Dante, Lo doloroso amor 29-30 Pensando a quel che d'amore ho provato / l'anima mia non chiede altro diletto","Cino, Tutte le pene 1-4 «Tutte le pene ch'io sen- to d'Amore / mi son conforto acciò ch'io non ne moia, / pensando che m'ha fatto servidore / della mia gentil donna»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tutte_le_pene_ch_io_sento_d_Amore,Tutte le pene ch'io sento d'Amore,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CONTRA TALENTO,"non 'a proprio malgrado' (Contini) bensì (con Mattalia e BarbiPernicone) 'contro il volere (della donna)', come in Guinizelli, Donna, l'amor mi sforza 37-8 Grave cos'è servire / signor contra talento.","Guinizelli, Donna, l'amor mi sforza 37-8 «Grave cos'è servire / signor contra talento».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_l_amor_mi_sforza,"Donna, l'amor mi sforza",Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +E ... TOGLIE,"'e se la giovinezza (della donna amata) mi nega la pietà', cioè 'se la donna che amo, perché giovane, non ha pietà'. La giovinezza è predicato di Beatrice in più luoghi della Vita Nova, ma poi anche della donna pietosa e delle altre amate e cantate da Dante: entro un codice nel quale – come si è spiegato nell'Introduzione – l'amore è vissuto piuttosto come passione irrazionale che come quieto sentimento, e come passione che conviene ai giovani. Per l'idea che la giovinezza sia nemica della pietà cfr. Amor che movi 56-7 non soffrir che costei / per giovanezza mi conduca a morte; Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 35 che se a merzede giovinetta è fera.","Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 35 «che se a merzede giovinetta è fera»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Morte_avversara_poich_io_son_contento,"Morte avversara, poich'io son contento",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +QUAND'IO PENSO,"l'uso transitivo di pensare era molto più frequente che non nell'italiano moderno (A. Niccoli in ED, s.v.), e il senso è 'porre mente' a qualcosa, 'prestarvi attenzione'; dunque 'Se io considero, rifletto su un gentile desiderio'. Soste simili, durante le quali il poeta rievoca con gioia e gratitudine la vicenda del suo amore, non sono rare nella lirica antica, di solito all'inizio della stanza e con funzione avversativa rispetto a ciò che si è appena detto (Soffro, e tuttavia, quando penso...): cfr. tra gli altri Arnaut de Mareuil, Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors 38-9 Mas quand ieu pens cals etz que·m faitz languir, / cossir l'onor et oblit la foudat; Guiraut Riquier, Razos m'aduy voler, qu'ieu chant soven 17-9 Quant pes, qui fuy, tro aic entendemen / en lieys amar, ez er aug mon resso, / qu'amors m'a dat per lieys engienh e sen; Guiraut de Calanso, Li mey dezir 15-24 E quan m'albir / del vostre cors plazen / ... / adoncs consir e pes, / tan suy joyos, / que be m'es avengut; Rinaldo d'Aquino, Per fin amore vao sì allegramente 46-8 ed eo mi laudo che più altamente / ca eo non ò servuto / Amor m'à coninzato a meritare","Arnaut de Mareuil, Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors 38-9 «Mas quand ieu pens cals etz que·m faitz languir, / cossir l'onor et oblit la fou- dat»; Guiraut Riquier, Razos m'aduy voler, qu'ieu chant soven 17-9 «Quant pes, qui fuy, tro aic entendemen / en lieys amar, ez er aug mon resso, / qu'amors m'a dat per lieys engienh e sen»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_m_destreignetz_dompna_vos_et_Amors,"Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors",Arnaut de Mareuil,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_de_Mareuil,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +QUAND'IO PENSO,"l'uso transitivo di pensare era molto più frequente che non nell'italiano moderno (A. Niccoli in ED, s.v.), e il senso è 'porre mente' a qualcosa, 'prestarvi attenzione'; dunque 'Se io considero, rifletto su un gentile desiderio'. Soste simili, durante le quali il poeta rievoca con gioia e gratitudine la vicenda del suo amore, non sono rare nella lirica antica, di solito all'inizio della stanza e con funzione avversativa rispetto a ciò che si è appena detto (Soffro, e tuttavia, quando penso...): cfr. tra gli altri Arnaut de Mareuil, Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors 38-9 Mas quand ieu pens cals etz que·m faitz languir, / cossir l'onor et oblit la foudat; Guiraut Riquier, Razos m'aduy voler, qu'ieu chant soven 17-9 Quant pes, qui fuy, tro aic entendemen / en lieys amar, ez er aug mon resso, / qu'amors m'a dat per lieys engienh e sen; Guiraut de Calanso, Li mey dezir 15-24 E quan m'albir / del vostre cors plazen / ... / adoncs consir e pes, / tan suy joyos, / que be m'es avengut; Rinaldo d'Aquino, Per fin amore vao sì allegramente 46-8 ed eo mi laudo che più altamente / ca eo non ò servuto / Amor m'à coninzato a meritare","Guiraut de Calanso, Li mey dezir 15-24 «E quan m'albir / del vostre cors plazen / ... / adoncs consir e pes, / tan suy joyos, / que be m'es avengut»;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Li_mey_dezir,Li mey dezir,Guiraut de Calanso,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_de_Calanso,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +QUAND'IO PENSO,"l'uso transitivo di pensare era molto più frequente che non nell'italiano moderno (A. Niccoli in ED, s.v.), e il senso è 'porre mente' a qualcosa, 'prestarvi attenzione'; dunque 'Se io considero, rifletto su un gentile desiderio'. Soste simili, durante le quali il poeta rievoca con gioia e gratitudine la vicenda del suo amore, non sono rare nella lirica antica, di solito all'inizio della stanza e con funzione avversativa rispetto a ciò che si è appena detto (Soffro, e tuttavia, quando penso...): cfr. tra gli altri Arnaut de Mareuil, Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors 38-9 Mas quand ieu pens cals etz que·m faitz languir, / cossir l'onor et oblit la foudat; Guiraut Riquier, Razos m'aduy voler, qu'ieu chant soven 17-9 Quant pes, qui fuy, tro aic entendemen / en lieys amar, ez er aug mon resso, / qu'amors m'a dat per lieys engienh e sen; Guiraut de Calanso, Li mey dezir 15-24 E quan m'albir / del vostre cors plazen / ... / adoncs consir e pes, / tan suy joyos, / que be m'es avengut; Rinaldo d'Aquino, Per fin amore vao sì allegramente 46-8 ed eo mi laudo che più altamente / ca eo non ò servuto / Amor m'à coninzato a meritare","Rinaldo d'Aquino, Per fin amore vao sì allegramente 46-8 «ed eo mi laudo che più altamente / ca eo non ò servuto / Amor m'à coninzato a meritare».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_fino_amore_vo_si_letamente,Per fino amore vo sì letamente,Rinaldo d'Aquino,http://it.dbpedia.org/resource/Rinaldo_d'Aquino,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +PARM(I) ... OLTRAPAGATO,"'mi sembra d'essere pagato più del debito' (pagato di merzé 'di misericordia'); non solo il superlativo con il prefisso oltra- (prov. outra-, oltra-) ma l'espressione intera è di gusto provenzale: cfr. Jausbert de Puycibot, Car no m'abellis solatz 11-2 ""E teing mi fort per pagatz / del mal qu'ieu sofria"", e in particolare, per il concetto, Anonimo, Non saccio a che coninzi lo meo dire (V 358) 3-4 ""per uno ciento, delo meo servire / ò ricievuto doppio pagamento""; e soprattutto, con analoga forma superlativa, 10 ""mi tengno sovrameritato"".","Jausbert de Puycibot, Car no m'abellis solatz 11-2 «E teing mi fort per pagatz / del mal qu'ieu sofria»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Car_no_m_abellis_solatz,Car no m'abellis solatz,Jausbert de Puycibot,http://dbpedia.org/resource/Jausbert_de_Puycibot,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PARM(I) ... OLTRAPAGATO,"'mi sembra d'essere pagato più del debito' (pagato di merzé 'di misericordia'); non solo il superlativo con il prefisso oltra- (prov. outra-, oltra-) ma l'espressione intera è di gusto provenzale: cfr. Jausbert de Puycibot, Car no m'abellis solatz 11-2 ""E teing mi fort per pagatz / del mal qu'ieu sofria"", e in particolare, per il concetto, Anonimo, Non saccio a che coninzi lo meo dire (V 358) 3-4 ""per uno ciento, delo meo servire / ò ricievuto doppio pagamento""; e soprattutto, con analoga forma superlativa, 10 ""mi tengno sovrameritato"".","Non saccio a che coninzi lo meo dire (V 358) 3-4 «per uno ciento, delo meo servire / ò ricievu- to doppio pagamento»; e soprattutto, con analoga forma superlativa, 10 «mi tengno sovrameritato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_saccio_a_che_corinzi_lo_meo_dire,Non saccio a che corinzi lo meo dire,,,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +ED ANCOR PIÙ,"'e non basta, e non solo'; formula di transizione ben diffusa nella lirica antica, sempre seguita da un che epesegetico: Chiaro, Per la grande abondanza ch'ïo sento 25-6 ed ancor più: che quando omo la vede / già mai non pò pensar di cosa ria; Monte, Tanto m'abonda matera, di soperchio 34 ed ancor più, ch'assai vizi ricopre; un'altra decina di esempi nel corpus TLIO). Perciò metto una virgola dopo più (ed. Barbi e De Robertis più ch'a torto; e il confronto vale a correggere per esempio questo passo di Decameron III V 11 e ancor più, ché ... in perpetuo v'amerò, dove non di ché causale si tratterà, ma appunto di un che consecutivo-epesegetico, come nei casi citati).","Chiaro, Per la grande abondanza ch'ïo sento 25-6 «ed ancor più: che quando omo la vede / già mai non pò pensar di cosa ria»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Per_la_grande_abondanza,Per la grande abondanza ch'ïo sento,Chiaro Davanzati,http://dbpedia.org/resource/Chiaro_Davanzati,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +ED ANCOR PIÙ,"'e non basta, e non solo'; formula di transizione ben diffusa nella lirica antica, sempre seguita da un che epesegetico: Chiaro, Per la grande abondanza ch'ïo sento 25-6 ed ancor più: che quando omo la vede / già mai non pò pensar di cosa ria; Monte, Tanto m'abonda matera, di soperchio 34 ed ancor più, ch'assai vizi ricopre; un'altra decina di esempi nel corpus TLIO). Perciò metto una virgola dopo più (ed. Barbi e De Robertis più ch'a torto; e il confronto vale a correggere per esempio questo passo di Decameron III V 11 e ancor più, ché ... in perpetuo v'amerò, dove non di ché causale si tratterà, ma appunto di un che consecutivo-epesegetico, come nei casi citati).","Monte, Tanto m'abonda matera, di soperchio 34 «ed ancor più, ch'assai vizi ricopre»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tanto_m_abonda_matera_di_soperchio,"Tanto m'abonda matera, di soperchio",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +IN PREGIO MONTI,"è il provenzale en pretz montar (LR, IV, p. 259, s.v. montar); la stessa metafora del pregio che sale e fa salire è usata da Dante da Maiano in Lo vostro fermo dir 5.",Dante da Maiano in Lo vostro fermo dir 5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_vostro_fermo_dir,Lo vostro fermo dir fino ed orrato,Dante da Maiano,http://dbpedia.org/resource/Dante_da_Maiano,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CH'AMOR ... DEGNO,"'perché (ché) Amore mi ha reso degno di tanto onore', cioè dell'essere uomo al servizio dell'amata; cfr. Lapo Gianni, Dolc'è il pensier che mi notrica 'l core 24 che·mmi fé degno di cotanto onore (Iovine). 65-7","Lapo Gianni, Dolc'è il pensier che mi notrica 'l core 24 «che·mmi fé degno di cotanto onore» (Iovine)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dolc_e_il_pensier,Dolc' è il pensier che mi notrica 'l core,Lapo Gianni,http://dbpedia.org/resource/Lapo_Gianni,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SANZA ... ORA,"la stessa iperbole in Noffo, Un spirito d'amor con intelletto 4 e sanza lui non viveria un'ora (BarbiPernicone).","Noffo, Un spirito d'amor con intelletto 4 «e sanza lui non viveria un'ora»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Un_spirito_d_amore,[Uno] spirito d'amor con intelletto,Noffo Bonaguide,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Noffo_Bonaguide,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +TANTE VOLTE ANCORA,"'mai', cioè 'L'ho vista tante volte, ma mai mi è capitato di non trovare...'. BarbiPernicone citano a confronto la ballata (contesa tra più autori, ma d'età stilnovista) Quanto più fiso 5-6 Parmi vedere, in lei, quand'io la guardo, / tuttor nova bellezza.","Quanto più fiso 5-6 «Parmi vedere, in lei, quand'io la guardo, / tut- tor nova bellezza».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quanto_piu_fiso_miro,Quanto più fiso miro,,,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +CANZON MIA BELLA,"primo congedo col quale il poeta ammonisce la canzone a stare coi buoni e non coi reprobi. È un motivo, questo della selezione del pubblico, ben tradizionale: si desidera che l'opera non cada nelle mani sbagliate, cfr. per esempio Flamenca 7094-6 Mais de iiii ves mi preguet / non venguesson entr'avols mans, / ni ja non las ausis vilans (e si parla dei versi di un salut), o il prologo del Tesoretto 83-108, che contiene raccomandazioni analoghe. Ma è un motivo poi quasi per eccellenza stilnovista, conforme al carattere dotto e raffinato della loro poesia: e tra i tanti esempi possibili si vedano soprattutto Cino, L'uom che conosce tegno ch'aggi ardire 43-6 Canzone, udir si può la tua ragione, / ma non intender sì che si' aprovata / se non da innamorata e gentil alma e Dante stesso, Donne ch'avete 63-7 E se non vuoli andar sì come vana, / non restare ove sia gente villana: / ingegnati, se puoi, d'esser palese / solo con donne o con omo cortese","Flamenca 7094-6 «Mais de iiii ves mi preguet / non venguesson entr'avols mans, / ni ja non las ausis vilans»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CANZON MIA BELLA,"primo congedo col quale il poeta ammonisce la canzone a stare coi buoni e non coi reprobi. È un motivo, questo della selezione del pubblico, ben tradizionale: si desidera che l'opera non cada nelle mani sbagliate, cfr. per esempio Flamenca 7094-6 Mais de iiii ves mi preguet / non venguesson entr'avols mans, / ni ja non las ausis vilans (e si parla dei versi di un salut), o il prologo del Tesoretto 83-108, che contiene raccomandazioni analoghe. Ma è un motivo poi quasi per eccellenza stilnovista, conforme al carattere dotto e raffinato della loro poesia: e tra i tanti esempi possibili si vedano soprattutto Cino, L'uom che conosce tegno ch'aggi ardire 43-6 Canzone, udir si può la tua ragione, / ma non intender sì che si' aprovata / se non da innamorata e gentil alma e Dante stesso, Donne ch'avete 63-7 E se non vuoli andar sì come vana, / non restare ove sia gente villana: / ingegnati, se puoi, d'esser palese / solo con donne o con omo cortese",prologo del Tesoretto 83-108,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +CANZON MIA BELLA,"primo congedo col quale il poeta ammonisce la canzone a stare coi buoni e non coi reprobi. È un motivo, questo della selezione del pubblico, ben tradizionale: si desidera che l'opera non cada nelle mani sbagliate, cfr. per esempio Flamenca 7094-6 Mais de iiii ves mi preguet / non venguesson entr'avols mans, / ni ja non las ausis vilans (e si parla dei versi di un salut), o il prologo del Tesoretto 83-108, che contiene raccomandazioni analoghe. Ma è un motivo poi quasi per eccellenza stilnovista, conforme al carattere dotto e raffinato della loro poesia: e tra i tanti esempi possibili si vedano soprattutto Cino, L'uom che conosce tegno ch'aggi ardire 43-6 Canzone, udir si può la tua ragione, / ma non intender sì che si' aprovata / se non da innamorata e gentil alma e Dante stesso, Donne ch'avete 63-7 E se non vuoli andar sì come vana, / non restare ove sia gente villana: / ingegnati, se puoi, d'esser palese / solo con donne o con omo cortese","Cino, L'uom che conosce tegno ch'aggi ardire 43-6 «Canzone, udir si può la tua ragione, / ma non intender sì che si' aprovata / se non da innamorata e gentil alma»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_uom_che_conosce,L'uom che conosce tegno ch'aggi ardire,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PERÒ ... T'ASOTTIGLI,"'perciò ti prego d'ingegnarti, di aguzzare la mente'; normale la costruzione assottigliarsi in (prender): cfr. Guinizelli, Pur a pensar 5 e 'n adagiarsi ciascun s'assottiglia.","Guinizelli, Pur a pensar 5 «e 'n adagiarsi ciascun s'assottiglia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pur_a_pensar_mi_par_gran_meraviglia,Pur a pensar mi par gran meraviglia,Guido Guinizzelli,http://dbpedia.org/resource/Guido_Guinizelli,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +CHÉ ... TENE,"'perché il buono si accompagna sempre al buono'. L'ed. Barbi leggeva, con parte della tradizione manoscritta, ché 'l buon col buon sempre camera tene. Nel corpus TLIO non si trovano esempi utili né di tener carriera né di tener camera. Il detto si trova però, in questa seconda forma, tra i Proverbi toscani raccolti da Giusti – Capponi 2001, p. 63: Il buono fa camera col buono; e con leggera variazione in Monosini 1604, p. 297: Il buon fa camerata col buono. Stando così le cose, sembrerebbe di dover tornare alla lezione fissata da Barbi, tener camera; ma sarebbe un errore, perché la formula, nella variante accolta da De Robertis, è attestata in provenzale: Levy, s.v. carriera, registra infatti due esempi di tener carriera nel senso di 'andare, dirigersi' (e De Robertis cita a riscontro Brunetto Latini, Tesoretto 2175 presi carriera). È dunque verosimile che la variante con far camera derivi ai paremiologi da questo stesso passo di Dante, cioè da un ramo della tradizione portatore di questa variante. Questo desiderio di indagare sulla compagnia nella quale si trova il cavaliere non deve sorprendere. In un universo sociale così ristretto (come ancor oggi nelle campagne), la buona fama di una persona si giudicava anche e soprattutto dagli amici che si sceglieva, onde precetti come i seguenti: Si legisse memoras / ethicam Catonis, / in qua scriptum legitur: / ""ambula cum bonis"" (Carmina Burana 19.2 1-4); En ce doit l'en resgarder les mours de celui a cui il done ..., et avec queles genz il habite et en quel compaingnie il vit (Tresor II XCV 11); convien ciascuno / usar coi buoni (Francesco da Barberino, Documenti I, p. 47); e del resto anche il nostro ""Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"". 92-4",«Il buono fa camera col buono»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Proverbi_toscani,Proverbi toscani,,,http://purl.org/bncf/tid/2660,WORK +CHÉ ... TENE,"'perché il buono si accompagna sempre al buono'. L'ed. Barbi leggeva, con parte della tradizione manoscritta, ché 'l buon col buon sempre camera tene. Nel corpus TLIO non si trovano esempi utili né di tener carriera né di tener camera. Il detto si trova però, in questa seconda forma, tra i Proverbi toscani raccolti da Giusti – Capponi 2001, p. 63: Il buono fa camera col buono; e con leggera variazione in Monosini 1604, p. 297: Il buon fa camerata col buono. Stando così le cose, sembrerebbe di dover tornare alla lezione fissata da Barbi, tener camera; ma sarebbe un errore, perché la formula, nella variante accolta da De Robertis, è attestata in provenzale: Levy, s.v. carriera, registra infatti due esempi di tener carriera nel senso di 'andare, dirigersi' (e De Robertis cita a riscontro Brunetto Latini, Tesoretto 2175 presi carriera). È dunque verosimile che la variante con far camera derivi ai paremiologi da questo stesso passo di Dante, cioè da un ramo della tradizione portatore di questa variante. Questo desiderio di indagare sulla compagnia nella quale si trova il cavaliere non deve sorprendere. In un universo sociale così ristretto (come ancor oggi nelle campagne), la buona fama di una persona si giudicava anche e soprattutto dagli amici che si sceglieva, onde precetti come i seguenti: Si legisse memoras / ethicam Catonis, / in qua scriptum legitur: / ""ambula cum bonis"" (Carmina Burana 19.2 1-4); En ce doit l'en resgarder les mours de celui a cui il done ..., et avec queles genz il habite et en quel compaingnie il vit (Tresor II XCV 11); convien ciascuno / usar coi buoni (Francesco da Barberino, Documenti I, p. 47); e del resto anche il nostro ""Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"". 92-4","Brunetto Latini, Tesoretto 2175 «presi carriera»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tesoretto(Brunetto_Latini),Tesoretto,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/6929,WORK +CHÉ ... TENE,"'perché il buono si accompagna sempre al buono'. L'ed. Barbi leggeva, con parte della tradizione manoscritta, ché 'l buon col buon sempre camera tene. Nel corpus TLIO non si trovano esempi utili né di tener carriera né di tener camera. Il detto si trova però, in questa seconda forma, tra i Proverbi toscani raccolti da Giusti – Capponi 2001, p. 63: Il buono fa camera col buono; e con leggera variazione in Monosini 1604, p. 297: Il buon fa camerata col buono. Stando così le cose, sembrerebbe di dover tornare alla lezione fissata da Barbi, tener camera; ma sarebbe un errore, perché la formula, nella variante accolta da De Robertis, è attestata in provenzale: Levy, s.v. carriera, registra infatti due esempi di tener carriera nel senso di 'andare, dirigersi' (e De Robertis cita a riscontro Brunetto Latini, Tesoretto 2175 presi carriera). È dunque verosimile che la variante con far camera derivi ai paremiologi da questo stesso passo di Dante, cioè da un ramo della tradizione portatore di questa variante. Questo desiderio di indagare sulla compagnia nella quale si trova il cavaliere non deve sorprendere. In un universo sociale così ristretto (come ancor oggi nelle campagne), la buona fama di una persona si giudicava anche e soprattutto dagli amici che si sceglieva, onde precetti come i seguenti: Si legisse memoras / ethicam Catonis, / in qua scriptum legitur: / ""ambula cum bonis"" (Carmina Burana 19.2 1-4); En ce doit l'en resgarder les mours de celui a cui il done ..., et avec queles genz il habite et en quel compaingnie il vit (Tresor II XCV 11); convien ciascuno / usar coi buoni (Francesco da Barberino, Documenti I, p. 47); e del resto anche il nostro ""Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"". 92-4","«Si legisse me- moras / ethicam Catonis, / in qua scriptum legitur: / ""ambula cum bonis""» (Carmina Burana 19.2 1-4)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Carmina_Burana,Carmina Burana,,,http://purl.org/bncf/tid/19431,WORK +CHÉ ... TENE,"'perché il buono si accompagna sempre al buono'. L'ed. Barbi leggeva, con parte della tradizione manoscritta, ché 'l buon col buon sempre camera tene. Nel corpus TLIO non si trovano esempi utili né di tener carriera né di tener camera. Il detto si trova però, in questa seconda forma, tra i Proverbi toscani raccolti da Giusti – Capponi 2001, p. 63: Il buono fa camera col buono; e con leggera variazione in Monosini 1604, p. 297: Il buon fa camerata col buono. Stando così le cose, sembrerebbe di dover tornare alla lezione fissata da Barbi, tener camera; ma sarebbe un errore, perché la formula, nella variante accolta da De Robertis, è attestata in provenzale: Levy, s.v. carriera, registra infatti due esempi di tener carriera nel senso di 'andare, dirigersi' (e De Robertis cita a riscontro Brunetto Latini, Tesoretto 2175 presi carriera). È dunque verosimile che la variante con far camera derivi ai paremiologi da questo stesso passo di Dante, cioè da un ramo della tradizione portatore di questa variante. Questo desiderio di indagare sulla compagnia nella quale si trova il cavaliere non deve sorprendere. In un universo sociale così ristretto (come ancor oggi nelle campagne), la buona fama di una persona si giudicava anche e soprattutto dagli amici che si sceglieva, onde precetti come i seguenti: Si legisse memoras / ethicam Catonis, / in qua scriptum legitur: / ""ambula cum bonis"" (Carmina Burana 19.2 1-4); En ce doit l'en resgarder les mours de celui a cui il done ..., et avec queles genz il habite et en quel compaingnie il vit (Tresor II XCV 11); convien ciascuno / usar coi buoni (Francesco da Barberino, Documenti I, p. 47); e del resto anche il nostro ""Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"". 92-4","«En ce doit l'en resgarder les mours de celui a cui il done ..., et avec queles genz il habite et en quel compaingnie il vit» (Tresor II XCV 11)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +CHÉ ... TENE,"'perché il buono si accompagna sempre al buono'. L'ed. Barbi leggeva, con parte della tradizione manoscritta, ché 'l buon col buon sempre camera tene. Nel corpus TLIO non si trovano esempi utili né di tener carriera né di tener camera. Il detto si trova però, in questa seconda forma, tra i Proverbi toscani raccolti da Giusti – Capponi 2001, p. 63: Il buono fa camera col buono; e con leggera variazione in Monosini 1604, p. 297: Il buon fa camerata col buono. Stando così le cose, sembrerebbe di dover tornare alla lezione fissata da Barbi, tener camera; ma sarebbe un errore, perché la formula, nella variante accolta da De Robertis, è attestata in provenzale: Levy, s.v. carriera, registra infatti due esempi di tener carriera nel senso di 'andare, dirigersi' (e De Robertis cita a riscontro Brunetto Latini, Tesoretto 2175 presi carriera). È dunque verosimile che la variante con far camera derivi ai paremiologi da questo stesso passo di Dante, cioè da un ramo della tradizione portatore di questa variante. Questo desiderio di indagare sulla compagnia nella quale si trova il cavaliere non deve sorprendere. In un universo sociale così ristretto (come ancor oggi nelle campagne), la buona fama di una persona si giudicava anche e soprattutto dagli amici che si sceglieva, onde precetti come i seguenti: Si legisse memoras / ethicam Catonis, / in qua scriptum legitur: / ""ambula cum bonis"" (Carmina Burana 19.2 1-4); En ce doit l'en resgarder les mours de celui a cui il done ..., et avec queles genz il habite et en quel compaingnie il vit (Tresor II XCV 11); convien ciascuno / usar coi buoni (Francesco da Barberino, Documenti I, p. 47); e del resto anche il nostro ""Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"". 92-4","«convien ciascuno / usar coi buoni» (Francesco da Barberino, Documenti I, p. 47);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Documenti_d_Amore,Documenti d'Amore,Francesco da Barberino,http://it.dbpedia.org/resource/Francesco_da_Barberino,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK +AVIEN ... SUONA,"'accade spesso che qualcuno si mette, si abbandona (altri si getta) in una compagnia di persone che altro non è se non una vivente smentita della buona fama che costui ha'. La stessa idea – tanto da far ritenere probabile una fonte comune – si trova in Albertano da Brescia, Trattati morali, III 14: sappi che per usanza e amistà di questi cotali [i sozzi appena citati], quelli ch'è buono huomo è tenuto rio, et per un medesmo è auto, se elli dadivero fosse rio (ed. Selmi 1873, p. 233)","Albertano da Brescia, Trattati morali, III 14: «sappi che per usanza e amistà di questi cotali [i sozzi appena citati], quelli ch'è buono huomo è tenuto rio, et per un medesmo è auto, se elli dadivero fosse rio»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Volgarizzamento_dei_trattati_morali,Volgarizzamento dei trattati morali,Andrea da Grosseto,http://dbpedia.org/resource/Andrea_da_Grosseto,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +A' TRE MEN REI,"i commentatori pensano che si tratti di tre persone individuate, posto anche che per uno di essi (il terzo) Dante ha voluto dare delle indicazioni che per i lettori contemporanei dovevano bastare a individuarlo (par certo, tuttavia, che tutti e tre dovessero essere cavalieri, se si tien conto di quanto è detto nell'ultima stanza) (BarbiPernicone, p. 513); e si sono fatti i nomi di Cavalcanti e di Betto Brunelleschi. Ma un'identificazione è ovviamente impossibile (e neppure è detto, nonostante quanto affermano BarbiPernicone, che si tratti di cavalieri: di un cavaliere si parla, ma genericamente, solo nel primo congedo); e in realtà ci si deve domandare se qui la formula non designi semplicemente un numero esiguo di non rei (e i vv. 99-100 vorrebbero dire che la corruzione è tale che dei tre buoni uno almeno è in mala setta, in cattiva compagnia). L'uso di tre per significare 'poche persone' sarebbe ampiamente documentato: cfr. tra l'altro Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 q'en cen baros non a tres / complitz de proesa; Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor; Flamenca 804-5 E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui; Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 el mon non a tres / que·l sapchan; il lai Le mantel mautaillié 630-1 Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté (ed. Lee 1986, p. 98); e anche in Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone, le tre persone non sono forse l'amante, l'amata e Amore, come spiegano i commentatori, ma appunto una perifrasi per dire 'pochi'. Comunque vada interpretata, l'espressione fa serie con altre dantesche in cui si segnalano le rare eccezioni virtuose in una plaga di iniquità: Pg XVI 121-2 Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (e qui i tre hanno un nome); e ovviamente If VI 73 Giusti son due, e non vi sono intesi (e qui direi, contro il parere prevalente tra i commentatori, che i due un nome non ce l'hanno, che non si tratta di un'allusione a chiave: così per esempio in Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa).","Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 «q'en cen baros non a tres / complitz de proesa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Far_vuoill_un_nou_sirventes,Far vuoill un nou sirventes,Falquet de Romans,http://dbpedia.org/resource/Falquet_de_Romans,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +A' TRE MEN REI,"i commentatori pensano che si tratti di tre persone individuate, posto anche che per uno di essi (il terzo) Dante ha voluto dare delle indicazioni che per i lettori contemporanei dovevano bastare a individuarlo (par certo, tuttavia, che tutti e tre dovessero essere cavalieri, se si tien conto di quanto è detto nell'ultima stanza) (BarbiPernicone, p. 513); e si sono fatti i nomi di Cavalcanti e di Betto Brunelleschi. Ma un'identificazione è ovviamente impossibile (e neppure è detto, nonostante quanto affermano BarbiPernicone, che si tratti di cavalieri: di un cavaliere si parla, ma genericamente, solo nel primo congedo); e in realtà ci si deve domandare se qui la formula non designi semplicemente un numero esiguo di non rei (e i vv. 99-100 vorrebbero dire che la corruzione è tale che dei tre buoni uno almeno è in mala setta, in cattiva compagnia). L'uso di tre per significare 'poche persone' sarebbe ampiamente documentato: cfr. tra l'altro Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 q'en cen baros non a tres / complitz de proesa; Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor; Flamenca 804-5 E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui; Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 el mon non a tres / que·l sapchan; il lai Le mantel mautaillié 630-1 Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté (ed. Lee 1986, p. 98); e anche in Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone, le tre persone non sono forse l'amante, l'amata e Amore, come spiegano i commentatori, ma appunto una perifrasi per dire 'pochi'. Comunque vada interpretata, l'espressione fa serie con altre dantesche in cui si segnalano le rare eccezioni virtuose in una plaga di iniquità: Pg XVI 121-2 Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (e qui i tre hanno un nome); e ovviamente If VI 73 Giusti son due, e non vi sono intesi (e qui direi, contro il parere prevalente tra i commentatori, che i due un nome non ce l'hanno, che non si tratta di un'allusione a chiave: così per esempio in Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa).","Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 «non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sinner,Sinner,Alfonso X di Castiglia,http://dbpedia.org/resource/Alfonso_X_of_Castile,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +A' TRE MEN REI,"i commentatori pensano che si tratti di tre persone individuate, posto anche che per uno di essi (il terzo) Dante ha voluto dare delle indicazioni che per i lettori contemporanei dovevano bastare a individuarlo (par certo, tuttavia, che tutti e tre dovessero essere cavalieri, se si tien conto di quanto è detto nell'ultima stanza) (BarbiPernicone, p. 513); e si sono fatti i nomi di Cavalcanti e di Betto Brunelleschi. Ma un'identificazione è ovviamente impossibile (e neppure è detto, nonostante quanto affermano BarbiPernicone, che si tratti di cavalieri: di un cavaliere si parla, ma genericamente, solo nel primo congedo); e in realtà ci si deve domandare se qui la formula non designi semplicemente un numero esiguo di non rei (e i vv. 99-100 vorrebbero dire che la corruzione è tale che dei tre buoni uno almeno è in mala setta, in cattiva compagnia). L'uso di tre per significare 'poche persone' sarebbe ampiamente documentato: cfr. tra l'altro Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 q'en cen baros non a tres / complitz de proesa; Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor; Flamenca 804-5 E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui; Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 el mon non a tres / que·l sapchan; il lai Le mantel mautaillié 630-1 Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté (ed. Lee 1986, p. 98); e anche in Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone, le tre persone non sono forse l'amante, l'amata e Amore, come spiegano i commentatori, ma appunto una perifrasi per dire 'pochi'. Comunque vada interpretata, l'espressione fa serie con altre dantesche in cui si segnalano le rare eccezioni virtuose in una plaga di iniquità: Pg XVI 121-2 Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (e qui i tre hanno un nome); e ovviamente If VI 73 Giusti son due, e non vi sono intesi (e qui direi, contro il parere prevalente tra i commentatori, che i due un nome non ce l'hanno, che non si tratta di un'allusione a chiave: così per esempio in Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa).",Flamenca 804-5 «E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Romance_of_Flamenca,Roman de Flamenca,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +A' TRE MEN REI,"i commentatori pensano che si tratti di tre persone individuate, posto anche che per uno di essi (il terzo) Dante ha voluto dare delle indicazioni che per i lettori contemporanei dovevano bastare a individuarlo (par certo, tuttavia, che tutti e tre dovessero essere cavalieri, se si tien conto di quanto è detto nell'ultima stanza) (BarbiPernicone, p. 513); e si sono fatti i nomi di Cavalcanti e di Betto Brunelleschi. Ma un'identificazione è ovviamente impossibile (e neppure è detto, nonostante quanto affermano BarbiPernicone, che si tratti di cavalieri: di un cavaliere si parla, ma genericamente, solo nel primo congedo); e in realtà ci si deve domandare se qui la formula non designi semplicemente un numero esiguo di non rei (e i vv. 99-100 vorrebbero dire che la corruzione è tale che dei tre buoni uno almeno è in mala setta, in cattiva compagnia). L'uso di tre per significare 'poche persone' sarebbe ampiamente documentato: cfr. tra l'altro Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 q'en cen baros non a tres / complitz de proesa; Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor; Flamenca 804-5 E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui; Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 el mon non a tres / que·l sapchan; il lai Le mantel mautaillié 630-1 Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté (ed. Lee 1986, p. 98); e anche in Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone, le tre persone non sono forse l'amante, l'amata e Amore, come spiegano i commentatori, ma appunto una perifrasi per dire 'pochi'. Comunque vada interpretata, l'espressione fa serie con altre dantesche in cui si segnalano le rare eccezioni virtuose in una plaga di iniquità: Pg XVI 121-2 Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (e qui i tre hanno un nome); e ovviamente If VI 73 Giusti son due, e non vi sono intesi (e qui direi, contro il parere prevalente tra i commentatori, che i due un nome non ce l'hanno, che non si tratta di un'allusione a chiave: così per esempio in Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa).","Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 «el mon non a tres / que·l sapchan»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ab_lo_temps_agradiu_gai,Ab lo temps agradiu gai,Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +A' TRE MEN REI,"i commentatori pensano che si tratti di tre persone individuate, posto anche che per uno di essi (il terzo) Dante ha voluto dare delle indicazioni che per i lettori contemporanei dovevano bastare a individuarlo (par certo, tuttavia, che tutti e tre dovessero essere cavalieri, se si tien conto di quanto è detto nell'ultima stanza) (BarbiPernicone, p. 513); e si sono fatti i nomi di Cavalcanti e di Betto Brunelleschi. Ma un'identificazione è ovviamente impossibile (e neppure è detto, nonostante quanto affermano BarbiPernicone, che si tratti di cavalieri: di un cavaliere si parla, ma genericamente, solo nel primo congedo); e in realtà ci si deve domandare se qui la formula non designi semplicemente un numero esiguo di non rei (e i vv. 99-100 vorrebbero dire che la corruzione è tale che dei tre buoni uno almeno è in mala setta, in cattiva compagnia). L'uso di tre per significare 'poche persone' sarebbe ampiamente documentato: cfr. tra l'altro Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 q'en cen baros non a tres / complitz de proesa; Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor; Flamenca 804-5 E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui; Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 el mon non a tres / que·l sapchan; il lai Le mantel mautaillié 630-1 Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté (ed. Lee 1986, p. 98); e anche in Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone, le tre persone non sono forse l'amante, l'amata e Amore, come spiegano i commentatori, ma appunto una perifrasi per dire 'pochi'. Comunque vada interpretata, l'espressione fa serie con altre dantesche in cui si segnalano le rare eccezioni virtuose in una plaga di iniquità: Pg XVI 121-2 Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (e qui i tre hanno un nome); e ovviamente If VI 73 Giusti son due, e non vi sono intesi (e qui direi, contro il parere prevalente tra i commentatori, che i due un nome non ce l'hanno, che non si tratta di un'allusione a chiave: così per esempio in Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa).","lai Le mantel mautaillié 630-1 «Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté» (ed. Lee 1986, p. 98)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glosae_super_Timaeum,Le mantel mautaillié,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +A' TRE MEN REI,"i commentatori pensano che si tratti di tre persone individuate, posto anche che per uno di essi (il terzo) Dante ha voluto dare delle indicazioni che per i lettori contemporanei dovevano bastare a individuarlo (par certo, tuttavia, che tutti e tre dovessero essere cavalieri, se si tien conto di quanto è detto nell'ultima stanza) (BarbiPernicone, p. 513); e si sono fatti i nomi di Cavalcanti e di Betto Brunelleschi. Ma un'identificazione è ovviamente impossibile (e neppure è detto, nonostante quanto affermano BarbiPernicone, che si tratti di cavalieri: di un cavaliere si parla, ma genericamente, solo nel primo congedo); e in realtà ci si deve domandare se qui la formula non designi semplicemente un numero esiguo di non rei (e i vv. 99-100 vorrebbero dire che la corruzione è tale che dei tre buoni uno almeno è in mala setta, in cattiva compagnia). L'uso di tre per significare 'poche persone' sarebbe ampiamente documentato: cfr. tra l'altro Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 q'en cen baros non a tres / complitz de proesa; Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor; Flamenca 804-5 E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui; Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 el mon non a tres / que·l sapchan; il lai Le mantel mautaillié 630-1 Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté (ed. Lee 1986, p. 98); e anche in Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone, le tre persone non sono forse l'amante, l'amata e Amore, come spiegano i commentatori, ma appunto una perifrasi per dire 'pochi'. Comunque vada interpretata, l'espressione fa serie con altre dantesche in cui si segnalano le rare eccezioni virtuose in una plaga di iniquità: Pg XVI 121-2 Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (e qui i tre hanno un nome); e ovviamente If VI 73 Giusti son due, e non vi sono intesi (e qui direi, contro il parere prevalente tra i commentatori, che i due un nome non ce l'hanno, che non si tratta di un'allusione a chiave: così per esempio in Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa).","Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 «quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Donna_di_voi_mi_lamento,"Donna, di voi mi lamento",Giacomino Pugliese,http://it.dbpedia.org/resource/Giacomino_Pugliese,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +A' TRE MEN REI,"i commentatori pensano che si tratti di tre persone individuate, posto anche che per uno di essi (il terzo) Dante ha voluto dare delle indicazioni che per i lettori contemporanei dovevano bastare a individuarlo (par certo, tuttavia, che tutti e tre dovessero essere cavalieri, se si tien conto di quanto è detto nell'ultima stanza) (BarbiPernicone, p. 513); e si sono fatti i nomi di Cavalcanti e di Betto Brunelleschi. Ma un'identificazione è ovviamente impossibile (e neppure è detto, nonostante quanto affermano BarbiPernicone, che si tratti di cavalieri: di un cavaliere si parla, ma genericamente, solo nel primo congedo); e in realtà ci si deve domandare se qui la formula non designi semplicemente un numero esiguo di non rei (e i vv. 99-100 vorrebbero dire che la corruzione è tale che dei tre buoni uno almeno è in mala setta, in cattiva compagnia). L'uso di tre per significare 'poche persone' sarebbe ampiamente documentato: cfr. tra l'altro Falquet de Romans, Far vuoill un nou sirventes 17-8 q'en cen baros non a tres / complitz de proesa; Alfonso el Sabio, Sinner 28-9 non cuid'eu que i á três / no mundo de tan gran valor; Flamenca 804-5 E dic vos ben non foron treis / que mieilz las [le armi] portesson de lui; Guiraut Riquier, Ab lo temps agradiu gai 38-9 el mon non a tres / que·l sapchan; il lai Le mantel mautaillié 630-1 Vous n'en poez que trois trouver / esprovees de leauté (ed. Lee 1986, p. 98); e anche in Giacomino Pugliese, Donna, di voi mi lamento 23-4 quella che voi mi mostraste / laov'avea tre persone, le tre persone non sono forse l'amante, l'amata e Amore, come spiegano i commentatori, ma appunto una perifrasi per dire 'pochi'. Comunque vada interpretata, l'espressione fa serie con altre dantesche in cui si segnalano le rare eccezioni virtuose in una plaga di iniquità: Pg XVI 121-2 Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (e qui i tre hanno un nome); e ovviamente If VI 73 Giusti son due, e non vi sono intesi (e qui direi, contro il parere prevalente tra i commentatori, che i due un nome non ce l'hanno, che non si tratta di un'allusione a chiave: così per esempio in Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa).","Raimon de Miraval, Era m'agr'ops que m'aizis 7-8 «c'a penas en conosc dos / vas Joi ses cal que faillenssa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ara_m_agr_ops_que_m_aizis,Ara m'agr' ops que m'aizis,Raimon de Miraval,http://dbpedia.org/resource/Raimon_de_Miraval,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +È FOLLE ... FOLLIA,"'è folle chi, per timore del disonore, non si allontana da un atto dissennato'. Contini cita Pons Fabre d'Uzès, Locx es c'om se deu alegrar 38-40 E fols [es] qui en fol se fia, / fols qui falh e no·s castia, / e fols qui sec totz sos volers; ma l'annominatio è topica fra i trovatori: cfr. per esempio Pistoleta, Bona domna, un conseill vos deman 25-6 Seingner, totz temps fols a foillia cor, / mas cel es fols qui la follia fa, e Cnyrim 1888, p. 39, nn. 549 sgg. 105-6","Pistoleta, Bona domna, un conseill vos deman 25-6 «Seingner, totz temps fols a foillia cor, / mas cel es fols qui la follia fa»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bona_domna_un_conseill_vos_deman,"Bona domna, un conseill vos deman",Pistoleta,http://dbpedia.org/resource/Pistoleta,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DANTE ALLEGHIER,"l'esordio con appello al nome e al cognome di Dante ricorre in altri sonetti di corrispondenza, forse anche perché isolabile in un emistichio: Dante Alighier, Cecco, tu' serv'e amico e Dante Alighier, s'i' so' buon begolardo (Cecco Angiolieri). 1-2",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dante_Allaghier_Cecco_l_tu_servo,"Dante Allaghier, Cecco, 'l tu' servo e amico",Cecco Angiolieri,http://dbpedia.org/resource/Cecco_Angiolieri,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DANTE ALLEGHIER,"l'esordio con appello al nome e al cognome di Dante ricorre in altri sonetti di corrispondenza, forse anche perché isolabile in un emistichio: Dante Alighier, Cecco, tu' serv'e amico e Dante Alighier, s'i' so' buon begolardo (Cecco Angiolieri). 1-2",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dante_Alighier_s_i_so_bon_begolardo,"Dante Alighier, s'i' so bon begolardo",Cecco Angiolieri,http://dbpedia.org/resource/Cecco_Angiolieri,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +POTESSE,"imperfetto, non tanto per accentuare il carattere ipotetico dell'azione (Contini) quanto perché l'azione espressa nella proposizione secondaria [qui la ricerca dell'uomo più ricco di senno] è conclusa nel passato e non ha relazione col presente (Rohlfs § 680): cfr. Novellino LXX 8 sè tu la più forte cosa ch'io mai trovasse. E si noti che l'uso del congiuntivo imperfetto in luogo del presente è tipico del senese di Cecco Angiolieri: cfr. Qual è senza danari innamorato 7 non ho di che pagar potesse un messo e Amor, poiché 'n sì greve passo venni 12-3 non potre' aver ramo / ch'i' renderti potesse.",Novellino LXX 8 «sè tu la più forte cosa ch'io mai trovasse»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK +POTESSE,"imperfetto, non tanto per accentuare il carattere ipotetico dell'azione (Contini) quanto perché l'azione espressa nella proposizione secondaria [qui la ricerca dell'uomo più ricco di senno] è conclusa nel passato e non ha relazione col presente (Rohlfs § 680): cfr. Novellino LXX 8 sè tu la più forte cosa ch'io mai trovasse. E si noti che l'uso del congiuntivo imperfetto in luogo del presente è tipico del senese di Cecco Angiolieri: cfr. Qual è senza danari innamorato 7 non ho di che pagar potesse un messo e Amor, poiché 'n sì greve passo venni 12-3 non potre' aver ramo / ch'i' renderti potesse.",Cecco Angiolieri: cfr. Qual è senza danari innamorato 7 «non ho di che pagar potesse un messo»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Qual_è_senza_danari_innamorato,Qual è senza danari innamorato,Cecco Angiolieri,http://dbpedia.org/resource/Cecco_Angiolieri,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +S'ERA ... DONNA,"'si era querelato, appellato a una donna'; ci si richiama a qualcuno di qualcosa o di qualcuno, come in Fiore VII 13 Ma di lui mi richiamo a Pietanza; o Anonimo, A te medesmo mi richiamo, amore 1-2 A te medesmo mi richiamo, amore, / di te (Molteni – Monaci 1877, p. 201). In origine è un modo di dire del linguaggio giudiziario (Bertoni 1927, pp. 156-7, ricorda la formula tel se claime a vos de tel; e cfr. il glossario di Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, s.v. richiamarsi 'appellarsi, lamentarsi di qualcosa presso l'autorità giudiziaria', e insomma 'citare in giudizio'); ma un modo di dire che si presta subito, nella poesia cortese, a esprimere lo sconforto dell'amante, che presenta il suo caso di fronte alla Pietà o ad Amore, nei passi appena citati, e altrove (come qui) di fronte alla donna stessa, che è allo stesso tempo giudice e imputata.","Anonimo, A te medesmo mi richiamo, amore 1-2 «A te medesmo mi richiamo, amore, / di te»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_te_medesmo_mi_richiamo_Amore,"A te medesmo mi richiamo, Amore",,,http://purl.org/bncf/tid/26261,WORK +S'ERA ... DONNA,"'si era querelato, appellato a una donna'; ci si richiama a qualcuno di qualcosa o di qualcuno, come in Fiore VII 13 Ma di lui mi richiamo a Pietanza; o Anonimo, A te medesmo mi richiamo, amore 1-2 A te medesmo mi richiamo, amore, / di te (Molteni – Monaci 1877, p. 201). In origine è un modo di dire del linguaggio giudiziario (Bertoni 1927, pp. 156-7, ricorda la formula tel se claime a vos de tel; e cfr. il glossario di Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, s.v. richiamarsi 'appellarsi, lamentarsi di qualcosa presso l'autorità giudiziaria', e insomma 'citare in giudizio'); ma un modo di dire che si presta subito, nella poesia cortese, a esprimere lo sconforto dell'amante, che presenta il suo caso di fronte alla Pietà o ad Amore, nei passi appena citati, e altrove (come qui) di fronte alla donna stessa, che è allo stesso tempo giudice e imputata.","Quaresimale fiorentino, s.v. richiamarsi 'appellarsi, lamentarsi di qualcosa presso l'autorità giudiziaria'",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaresimale_fiorentino,Quaresimale fiorentino,Giordano da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Jordan_of_Pisa,http://purl.org/bncf/tid/18842,WORK +S'ERA ... DONNA,"'si era querelato, appellato a una donna'; ci si richiama a qualcuno di qualcosa o di qualcuno, come in Fiore VII 13 Ma di lui mi richiamo a Pietanza; o Anonimo, A te medesmo mi richiamo, amore 1-2 A te medesmo mi richiamo, amore, / di te (Molteni – Monaci 1877, p. 201). In origine è un modo di dire del linguaggio giudiziario (Bertoni 1927, pp. 156-7, ricorda la formula tel se claime a vos de tel; e cfr. il glossario di Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, s.v. richiamarsi 'appellarsi, lamentarsi di qualcosa presso l'autorità giudiziaria', e insomma 'citare in giudizio'); ma un modo di dire che si presta subito, nella poesia cortese, a esprimere lo sconforto dell'amante, che presenta il suo caso di fronte alla Pietà o ad Amore, nei passi appena citati, e altrove (come qui) di fronte alla donna stessa, che è allo stesso tempo giudice e imputata.",tel se claime a vos de tel,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Linguaggio_giudiziario,Linguaggio giudiziario,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT +S'ERA ... DONNA,"'si era querelato, appellato a una donna'; ci si richiama a qualcuno di qualcosa o di qualcuno, come in Fiore VII 13 Ma di lui mi richiamo a Pietanza; o Anonimo, A te medesmo mi richiamo, amore 1-2 A te medesmo mi richiamo, amore, / di te (Molteni – Monaci 1877, p. 201). In origine è un modo di dire del linguaggio giudiziario (Bertoni 1927, pp. 156-7, ricorda la formula tel se claime a vos de tel; e cfr. il glossario di Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, s.v. richiamarsi 'appellarsi, lamentarsi di qualcosa presso l'autorità giudiziaria', e insomma 'citare in giudizio'); ma un modo di dire che si presta subito, nella poesia cortese, a esprimere lo sconforto dell'amante, che presenta il suo caso di fronte alla Pietà o ad Amore, nei passi appena citati, e altrove (come qui) di fronte alla donna stessa, che è allo stesso tempo giudice e imputata.",citare in giudizio,CONCORDANZA GENERICA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Linguaggio_giudiziario,Linguaggio giudiziario,,,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT +CADE,"'tocca', come in questo passo di Bono Giamboni: cadrebbe a lei di dirti in prima i suoi ammunimenti (citato in GDLI, s.v. cadere36)",Bono Giamboni: «cadrebbe a lei di dirti in prima i suoi ammunimenti»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Libro_de_vizi_e_delle_virtudi,Libro de' vizi e delle virtudi,Bono Giamboni,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Bono_Giamboni,http://purl.org/bncf/tid/23856,WORK +ALTA VENDETTA,formula fissa: elli ne faranno alta vendetta (Livio volgarizzato; e più di venti altre occorrenze nel corpus TLIO).,«elli ne faranno alta vendetta» (Livio volgarizzato),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Livio_volgarizzato,Livio volgarizzato,,,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK +COSÌ CHIAMATO,"non 'chiamato a questo modo' (come potrebbe far pensare il confronto con Cecco Angiolieri, Non si disperin quelli de lo 'nferno 3 el quale è Cecco, ch'è così chiamato) ma più probabilmente 'interpellato, chiamato in soccorso con le tue parole'.","Cecco Angiolieri, Non si disperin quelli de lo 'nferno 3 «el quale è Cecco, ch'è così chiamato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_si_disperin_quelli_de_lo_nferno,Non si disperin quelli de lo 'nferno,Cecco Angiolieri,http://dbpedia.org/resource/Cecco_Angiolieri,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +BRIEVE,"Barbi – Pernicone e Contini intendono 'speditamente, senza metter tempo in mezzo'; ma sarà invece piuttosto 'brevemente, con poche parole'. La replica sub brevitate è infatti raccomandata nell'epistolografia: cfr. Bichilino, Pomerium, pp. 100-1: Ecce breviter respondemus ... Absque prolixitate percipite responsivam. E in generale la brevità, nel rispondere e nello spiegare, è sentita anche nel Medioevo come un valore: la cagione ... dicerò, quanto potrò più brievemente (Vn XVII 2). Tanto più dunque questa misura doveva raccomandarsi in spazi ristretti come i sonetti o le coblas responsive: cfr. il joc partit di Guiraut Riquier, Aras s'esfors, N'Eveyos, vostre sen 9-10 D'est partimen, Guiraut Riquier, breumens / vos respondray; e soprattutto la tenzone Gui d'Uissel be·m pesa de vos 9-13 Dompna Na Maria, tenssos / e tot cant cuiava laissar, / mas aoras non puosc estar / qu'ieu non chant als vostres somos. / E respon eu a la dompna breumen, notevole non solo per il proposito di parlare breumen ma anche per la formula litotica non puosc estar que, molto prossima al più non posso soprastare di Dante","Bichilino, Pomerium, pp. 100-1: «Ecce breviter respondemus ... Absque prolixitate percipite responsivam»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pomerium_rethorice,Pomerium rethorice,Bichilino da Spello,http://it.dbpedia.org/resource/Bichilino_da_Spello/html,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +BRIEVE,"Barbi – Pernicone e Contini intendono 'speditamente, senza metter tempo in mezzo'; ma sarà invece piuttosto 'brevemente, con poche parole'. La replica sub brevitate è infatti raccomandata nell'epistolografia: cfr. Bichilino, Pomerium, pp. 100-1: Ecce breviter respondemus ... Absque prolixitate percipite responsivam. E in generale la brevità, nel rispondere e nello spiegare, è sentita anche nel Medioevo come un valore: la cagione ... dicerò, quanto potrò più brievemente (Vn XVII 2). Tanto più dunque questa misura doveva raccomandarsi in spazi ristretti come i sonetti o le coblas responsive: cfr. il joc partit di Guiraut Riquier, Aras s'esfors, N'Eveyos, vostre sen 9-10 D'est partimen, Guiraut Riquier, breumens / vos respondray; e soprattutto la tenzone Gui d'Uissel be·m pesa de vos 9-13 Dompna Na Maria, tenssos / e tot cant cuiava laissar, / mas aoras non puosc estar / qu'ieu non chant als vostres somos. / E respon eu a la dompna breumen, notevole non solo per il proposito di parlare breumen ma anche per la formula litotica non puosc estar que, molto prossima al più non posso soprastare di Dante","il joc partit di Guiraut Riquier, Aras s'esfors, N'Eve- yos, vostre sen 9-10 «D'est partimen, Guiraut Riquier, breumens / vos respondray»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aras_s_esfors_n_Eveyos_vostre_sens,"Aras s'esfors, n'Eveyos, vostre sens",Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +BRIEVE,"Barbi – Pernicone e Contini intendono 'speditamente, senza metter tempo in mezzo'; ma sarà invece piuttosto 'brevemente, con poche parole'. La replica sub brevitate è infatti raccomandata nell'epistolografia: cfr. Bichilino, Pomerium, pp. 100-1: Ecce breviter respondemus ... Absque prolixitate percipite responsivam. E in generale la brevità, nel rispondere e nello spiegare, è sentita anche nel Medioevo come un valore: la cagione ... dicerò, quanto potrò più brievemente (Vn XVII 2). Tanto più dunque questa misura doveva raccomandarsi in spazi ristretti come i sonetti o le coblas responsive: cfr. il joc partit di Guiraut Riquier, Aras s'esfors, N'Eveyos, vostre sen 9-10 D'est partimen, Guiraut Riquier, breumens / vos respondray; e soprattutto la tenzone Gui d'Uissel be·m pesa de vos 9-13 Dompna Na Maria, tenssos / e tot cant cuiava laissar, / mas aoras non puosc estar / qu'ieu non chant als vostres somos. / E respon eu a la dompna breumen, notevole non solo per il proposito di parlare breumen ma anche per la formula litotica non puosc estar que, molto prossima al più non posso soprastare di Dante","Gui d'Uissel be·m pesa de vos 9-13 «Dompna Na Maria, tenssos / e tot cant cuiava laissar, / mas aoras non puosc estar / qu'ieu non chant als vostres somos. / E respon eu a la dompna breumen»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Gui_d_Uissel_be_m_pesa_de_vos,Gui d'Uissel be·m pesa de vos,Maria de Ventadorn,http://dbpedia.org/resource/Maria_de_Ventadorn,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +AFFANNATO,"anche il dolersi del dolore altrui, nel rispondere a una lettera, è quasi un topos esordiale: cfr. per esempio Bichilino, Pomerium, p. 69: Peperit nobis vestrarum litterarum tenor materiem tristicie et doloris.","Bichilino, Pomerium, p. 69: «Peperit nobis vestrarum litterarum tenor materiem tristicie et doloris»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Pomerium_rethorice,Pomerium rethorice,Bichilino da Spello,http://it.dbpedia.org/resource/Bichilino_da_Spello/html,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK +CHE ... VETTA,"l'immagine non è del tutto chiara. Nell'antica Roma la vitta era una striscia, per lo più di lana, che cingeva la fronte e si annodava alla nuca: ed era, per esempio in Tibullo (I VI 678) e in Ovidio, l'ornamento della donna ingenua e onorata: cfr. Ars amatoria I 31 Este procul, vittae tenues, insigne pudoris. Nel Medioevo (ma ancora ben dentro l'età moderna, e in certe zone italiane si può dire fino a ieri) questa sorta di velo era una parte essenziale dell'abbigliamento delle donne, almeno da una certa età in poi: cfr. le Constitutiones del cardinal Latino (1279), in J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Zatta, Venetiis 1786, XXIV, col. 252: Adjicimus etiam, ut mulieres nuptae quae decimum octavum annum aetatis attingerint ... omnes in publico capitibus velatis incedant ... Adjicimus etiam, ut mulieres quae XXX aetatis suae annum attingerint, omnes in publico capitibus velatis incedant. E per tradizione, sia a Roma sia nel Medioevo cristiano, il velo era imposto anche alle donne sposate come segno di sottomissione all'uomo: Feminae, dum maritantur, ideo velantur, ut noverint se semper viris suis subditas esse et humiles (Decretalium collectiones, citato in Giunta 2005, p. 250). Ma qui è poco probabile che la fanciulla corteggiata dal corrispondente di Dante sia una giovane sposa, come hanno pensato alcuni. Di fatto, nel De virginibus velandis Tertulliano raccomanda che le fanciulle indossino il velo non appena raggiunta la pubertà, sul fondamento di I Cor 11, 10 debet mulier potestatem habere supra caput. Scrive Tertulliano: Ubi enim gradum fiximus de apostoli absoluta definitione, omnem mulierem etiam omnis aetatis intellegendam, responderi ex diverso habebat, ergo a nativitate et a primo nomine aetatis virginem operiri oportere. Non ita est autem, sed ex quo intelligere se coeperit et sensum naturae suae intrare et de virginis exire et pati novum illud quod alterius aetatis est (XI 2). Il velo copre la verginità: non durante i primi anni di vita, quando la donna è ancora, per così dire, asessuata, ma a partire dal momento in cui essa acquista la nozione di sé o, con le parole di Francesco da Barberino, quando la fanciulla ... si comincia alquanto a vergognare (Reggimento, p. 9). È difficile dire se le parole di Tertulliano corrispondano a una prassi, o se la inaugurino, e, nel caso, se essa valga anche per i tempi di Dante; ma la vetta di cui egli parla nel sonetto in questione potrebbe appunto essere quella che le giovani (e di una leggiadra giovinetta discorre in effetti il corrispondente di Dante) indossavano prima del matrimonio, a partire da quei sette anni che sanciscono la fine dell'infanzia. Che porti ancor vetta vorrà dire dunque 'che porti ancora la benda verginale, che sia ancora così giovane' (e valga infine una testimonianza molto più tarda, da Scarron, Romanzo buffo, Sellerio, Palermo 2005, p. 95: Le sue insistenze per vedere in viso Eleonora furono respinte: la ragazza portava il velo, come usano a Roma le fanciulle nobili prima di sposarsi).",Tibullo (I VI 67- 8),CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Elegie_(Tibullo),Elegie (Tibullo),Tibullo,http://dbpedia.org/resource/Tibullus,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +CHE ... VETTA,"l'immagine non è del tutto chiara. Nell'antica Roma la vitta era una striscia, per lo più di lana, che cingeva la fronte e si annodava alla nuca: ed era, per esempio in Tibullo (I VI 678) e in Ovidio, l'ornamento della donna ingenua e onorata: cfr. Ars amatoria I 31 Este procul, vittae tenues, insigne pudoris. Nel Medioevo (ma ancora ben dentro l'età moderna, e in certe zone italiane si può dire fino a ieri) questa sorta di velo era una parte essenziale dell'abbigliamento delle donne, almeno da una certa età in poi: cfr. le Constitutiones del cardinal Latino (1279), in J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Zatta, Venetiis 1786, XXIV, col. 252: Adjicimus etiam, ut mulieres nuptae quae decimum octavum annum aetatis attingerint ... omnes in publico capitibus velatis incedant ... Adjicimus etiam, ut mulieres quae XXX aetatis suae annum attingerint, omnes in publico capitibus velatis incedant. E per tradizione, sia a Roma sia nel Medioevo cristiano, il velo era imposto anche alle donne sposate come segno di sottomissione all'uomo: Feminae, dum maritantur, ideo velantur, ut noverint se semper viris suis subditas esse et humiles (Decretalium collectiones, citato in Giunta 2005, p. 250). Ma qui è poco probabile che la fanciulla corteggiata dal corrispondente di Dante sia una giovane sposa, come hanno pensato alcuni. Di fatto, nel De virginibus velandis Tertulliano raccomanda che le fanciulle indossino il velo non appena raggiunta la pubertà, sul fondamento di I Cor 11, 10 debet mulier potestatem habere supra caput. Scrive Tertulliano: Ubi enim gradum fiximus de apostoli absoluta definitione, omnem mulierem etiam omnis aetatis intellegendam, responderi ex diverso habebat, ergo a nativitate et a primo nomine aetatis virginem operiri oportere. Non ita est autem, sed ex quo intelligere se coeperit et sensum naturae suae intrare et de virginis exire et pati novum illud quod alterius aetatis est (XI 2). Il velo copre la verginità: non durante i primi anni di vita, quando la donna è ancora, per così dire, asessuata, ma a partire dal momento in cui essa acquista la nozione di sé o, con le parole di Francesco da Barberino, quando la fanciulla ... si comincia alquanto a vergognare (Reggimento, p. 9). È difficile dire se le parole di Tertulliano corrispondano a una prassi, o se la inaugurino, e, nel caso, se essa valga anche per i tempi di Dante; ma la vetta di cui egli parla nel sonetto in questione potrebbe appunto essere quella che le giovani (e di una leggiadra giovinetta discorre in effetti il corrispondente di Dante) indossavano prima del matrimonio, a partire da quei sette anni che sanciscono la fine dell'infanzia. Che porti ancor vetta vorrà dire dunque 'che porti ancora la benda verginale, che sia ancora così giovane' (e valga infine una testimonianza molto più tarda, da Scarron, Romanzo buffo, Sellerio, Palermo 2005, p. 95: Le sue insistenze per vedere in viso Eleonora furono respinte: la ragazza portava il velo, come usano a Roma le fanciulle nobili prima di sposarsi).","Ars amatoria I 31 «Este procul, vittae tenues, insigne pudoris»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ars_Amatoria,Ars amatoria,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK +CHE ... VETTA,"l'immagine non è del tutto chiara. Nell'antica Roma la vitta era una striscia, per lo più di lana, che cingeva la fronte e si annodava alla nuca: ed era, per esempio in Tibullo (I VI 678) e in Ovidio, l'ornamento della donna ingenua e onorata: cfr. Ars amatoria I 31 Este procul, vittae tenues, insigne pudoris. Nel Medioevo (ma ancora ben dentro l'età moderna, e in certe zone italiane si può dire fino a ieri) questa sorta di velo era una parte essenziale dell'abbigliamento delle donne, almeno da una certa età in poi: cfr. le Constitutiones del cardinal Latino (1279), in J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Zatta, Venetiis 1786, XXIV, col. 252: Adjicimus etiam, ut mulieres nuptae quae decimum octavum annum aetatis attingerint ... omnes in publico capitibus velatis incedant ... Adjicimus etiam, ut mulieres quae XXX aetatis suae annum attingerint, omnes in publico capitibus velatis incedant. E per tradizione, sia a Roma sia nel Medioevo cristiano, il velo era imposto anche alle donne sposate come segno di sottomissione all'uomo: Feminae, dum maritantur, ideo velantur, ut noverint se semper viris suis subditas esse et humiles (Decretalium collectiones, citato in Giunta 2005, p. 250). Ma qui è poco probabile che la fanciulla corteggiata dal corrispondente di Dante sia una giovane sposa, come hanno pensato alcuni. Di fatto, nel De virginibus velandis Tertulliano raccomanda che le fanciulle indossino il velo non appena raggiunta la pubertà, sul fondamento di I Cor 11, 10 debet mulier potestatem habere supra caput. Scrive Tertulliano: Ubi enim gradum fiximus de apostoli absoluta definitione, omnem mulierem etiam omnis aetatis intellegendam, responderi ex diverso habebat, ergo a nativitate et a primo nomine aetatis virginem operiri oportere. Non ita est autem, sed ex quo intelligere se coeperit et sensum naturae suae intrare et de virginis exire et pati novum illud quod alterius aetatis est (XI 2). Il velo copre la verginità: non durante i primi anni di vita, quando la donna è ancora, per così dire, asessuata, ma a partire dal momento in cui essa acquista la nozione di sé o, con le parole di Francesco da Barberino, quando la fanciulla ... si comincia alquanto a vergognare (Reggimento, p. 9). È difficile dire se le parole di Tertulliano corrispondano a una prassi, o se la inaugurino, e, nel caso, se essa valga anche per i tempi di Dante; ma la vetta di cui egli parla nel sonetto in questione potrebbe appunto essere quella che le giovani (e di una leggiadra giovinetta discorre in effetti il corrispondente di Dante) indossavano prima del matrimonio, a partire da quei sette anni che sanciscono la fine dell'infanzia. Che porti ancor vetta vorrà dire dunque 'che porti ancora la benda verginale, che sia ancora così giovane' (e valga infine una testimonianza molto più tarda, da Scarron, Romanzo buffo, Sellerio, Palermo 2005, p. 95: Le sue insistenze per vedere in viso Eleonora furono respinte: la ragazza portava il velo, come usano a Roma le fanciulle nobili prima di sposarsi).","De virginibus velandis Tertulliano «Ubi enim gradum fiximus de apostoli absoluta definitione, omnem mulierem etiam omnis aetatis intellegendam, responderi ex diverso habebat, ergo a nativitate et a primo nomine aetatis virginem operiri oportere. Non ita est autem, sed ex quo intelligere se coeperit et sensum naturae suae intrare et de virginis exire et pati novum illud quod alterius aetatis est» (XI 2)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_virginibus_velandis,De virginibus velandis,Tertulliano,http://dbpedia.org/resource/Tertullian,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK +CHE ... VETTA,"l'immagine non è del tutto chiara. Nell'antica Roma la vitta era una striscia, per lo più di lana, che cingeva la fronte e si annodava alla nuca: ed era, per esempio in Tibullo (I VI 678) e in Ovidio, l'ornamento della donna ingenua e onorata: cfr. Ars amatoria I 31 Este procul, vittae tenues, insigne pudoris. Nel Medioevo (ma ancora ben dentro l'età moderna, e in certe zone italiane si può dire fino a ieri) questa sorta di velo era una parte essenziale dell'abbigliamento delle donne, almeno da una certa età in poi: cfr. le Constitutiones del cardinal Latino (1279), in J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Zatta, Venetiis 1786, XXIV, col. 252: Adjicimus etiam, ut mulieres nuptae quae decimum octavum annum aetatis attingerint ... omnes in publico capitibus velatis incedant ... Adjicimus etiam, ut mulieres quae XXX aetatis suae annum attingerint, omnes in publico capitibus velatis incedant. E per tradizione, sia a Roma sia nel Medioevo cristiano, il velo era imposto anche alle donne sposate come segno di sottomissione all'uomo: Feminae, dum maritantur, ideo velantur, ut noverint se semper viris suis subditas esse et humiles (Decretalium collectiones, citato in Giunta 2005, p. 250). Ma qui è poco probabile che la fanciulla corteggiata dal corrispondente di Dante sia una giovane sposa, come hanno pensato alcuni. Di fatto, nel De virginibus velandis Tertulliano raccomanda che le fanciulle indossino il velo non appena raggiunta la pubertà, sul fondamento di I Cor 11, 10 debet mulier potestatem habere supra caput. Scrive Tertulliano: Ubi enim gradum fiximus de apostoli absoluta definitione, omnem mulierem etiam omnis aetatis intellegendam, responderi ex diverso habebat, ergo a nativitate et a primo nomine aetatis virginem operiri oportere. Non ita est autem, sed ex quo intelligere se coeperit et sensum naturae suae intrare et de virginis exire et pati novum illud quod alterius aetatis est (XI 2). Il velo copre la verginità: non durante i primi anni di vita, quando la donna è ancora, per così dire, asessuata, ma a partire dal momento in cui essa acquista la nozione di sé o, con le parole di Francesco da Barberino, quando la fanciulla ... si comincia alquanto a vergognare (Reggimento, p. 9). È difficile dire se le parole di Tertulliano corrispondano a una prassi, o se la inaugurino, e, nel caso, se essa valga anche per i tempi di Dante; ma la vetta di cui egli parla nel sonetto in questione potrebbe appunto essere quella che le giovani (e di una leggiadra giovinetta discorre in effetti il corrispondente di Dante) indossavano prima del matrimonio, a partire da quei sette anni che sanciscono la fine dell'infanzia. Che porti ancor vetta vorrà dire dunque 'che porti ancora la benda verginale, che sia ancora così giovane' (e valga infine una testimonianza molto più tarda, da Scarron, Romanzo buffo, Sellerio, Palermo 2005, p. 95: Le sue insistenze per vedere in viso Eleonora furono respinte: la ragazza portava il velo, come usano a Roma le fanciulle nobili prima di sposarsi).","I Cor 11, 10 «debet mulier potestatem habere supra caput»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +SECONDO ... HAI,"formula che si riallaccia alle parole del corrispondente, come in una tenzone di Uc de Saint-Circ, N'Ugo, vostre semblan digatz 17 ""Segon la razon qe·m contatz""","Uc de Saint-Circ, N'Ugo, vostre semblan digatz 17 «Segon la razon qe·m contatz»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/N_Ugo_vostre_semblan_digatz,"N'Ugo, vostre semblan digatz",Uc de Saint Circ,http://dbpedia.org/resource/Uc_de_Saint_Circ,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +S'I' LA RIGUARDO,"'se io la osservo' (l'intensità del guardare è nel suffisso rafforzativo ri-); la stessa formula ipotetica si trova per esempio in Guittone, Spietata donna 5-6 che lo tuo fero orgoglio no m'ofenda / s'eo ti riguardo, che con el m'aucidi!.","Guittone, Spietata donna 5-6 «che lo tuo fero orgoglio no m'ofenda / s'eo ti riguardo, che con el m'aucidi!».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Spietata_donna_e_fera,"Spietata donna e fera, ora te prenda",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NON ... FENICE,"'non potrò fare come la fenice', la quale, morta, rinasceva dalle sue ceneri. A parte i versi di Rigaut de Berbezilh citati nella premessa, ecco qualche altra occorrenza del topos dell'amante-fenice nella lirica italiana del Duecento: S'io potesse simile natura / fenicie contrafare, / volentieri lo faria (V 96.63-5); Monte, Ai, Deo merzé, che fia di me, Amore 14 Ma ben vorïa contrafar fenice; e lo stesso Cino, Anzi ch'Amore ne la mente guidi 1-3 Anzi ch'Amore ne la mente guidi / donna, ch'è poi del core ucciditrice, / conviensi dire a l'om: ""Non sei fenice"" (e cfr. per altri rimandi Menichetti 1965, pp. LI-LII).","Monte, Ai, Deo merzé, che fia di me, Amore 14 «Ma ben vorïa contrafar fenice»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ai_Deo_merze_che_fia_di_me_Amore,"Ai, Deo merzé, che fia di me, Amore",Monte Andrea,http://it.dbpedia.org/resource/Monte_Andrea,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +NON ... FENICE,"'non potrò fare come la fenice', la quale, morta, rinasceva dalle sue ceneri. A parte i versi di Rigaut de Berbezilh citati nella premessa, ecco qualche altra occorrenza del topos dell'amante-fenice nella lirica italiana del Duecento: S'io potesse simile natura / fenicie contrafare, / volentieri lo faria (V 96.63-5); Monte, Ai, Deo merzé, che fia di me, Amore 14 Ma ben vorïa contrafar fenice; e lo stesso Cino, Anzi ch'Amore ne la mente guidi 1-3 Anzi ch'Amore ne la mente guidi / donna, ch'è poi del core ucciditrice, / conviensi dire a l'om: ""Non sei fenice"" (e cfr. per altri rimandi Menichetti 1965, pp. LI-LII).","Cino, Anzi ch'Amore ne la mente guidi 1-3 «Anzi ch'Amore ne la mente guidi / donna, ch'è poi del core ucciditrice, / conviensi dire a l'om: ""Non sei fenice""»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anzi_ch_Amore_ne_la_mente_guidi,Anzi ch'Amore ne la mente guidi,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +"CHE FARÒ, DANTE?","modulo già diffuso fra i trovatori, sia nelle tenzoni sia nei testi monologici: Que farai donc?. In Italia è una formula di chiusura tipica dei sonetti di corrispondenza, quando il mittente chiede aiuto e consiglio al destinatario: Noffo, I' veggio star sul canto de la nave 9-11 Or che farò? Verrò io poi avanti? / O·ttornerò come dice l'Amore? / Consigliatemi; Anonimo a Quirini, Da l'una parte Amore mi reca e mena 12 Che farò adonque?: in entrambi i casi, come nel nostro sonetto, all'inizio della seconda terzina",,CONCORDANZA GENERICA,,,,,http://purl.org/bncf/tid/19683,CONCEPT +"CHE FARÒ, DANTE?","modulo già diffuso fra i trovatori, sia nelle tenzoni sia nei testi monologici: Que farai donc?. In Italia è una formula di chiusura tipica dei sonetti di corrispondenza, quando il mittente chiede aiuto e consiglio al destinatario: Noffo, I' veggio star sul canto de la nave 9-11 Or che farò? Verrò io poi avanti? / O·ttornerò come dice l'Amore? / Consigliatemi; Anonimo a Quirini, Da l'una parte Amore mi reca e mena 12 Che farò adonque?: in entrambi i casi, come nel nostro sonetto, all'inizio della seconda terzina","Noffo, I' veggio star sul canto de la nave 9-11 «Or che farò? Verrò io poi avanti? / O·ttornerò come dice l'Amore? / Consigliatemi»;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/I_veggio_star_sul_canto_de_la_nave,I' veggio star sul canto de la nave,Noffo Bonaguide,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Noffo_Bonaguide,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +I' HO VEDUTO GIÀ,"io vidi, io ho veduto è una delle formule che nella predicazione o nei trattati morali introduce gli exempla (ovvero: sicut ego vidi, ut ego vidi, ecc.): cfr. Welter 1927, p. 107; e si veda per esempio questo passo del Convivio (I XI 9-10): Questi sono da chiamare pecore e non uomini; ché se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre l'andrebbero dietro ... E io ne vidi già molte in un pozzo saltare; ed esempi analoghi non mancano nella Commedia). E quanto al nostro verso, Bertran de Born ricorre allo stesso genere di exemplum: Fuilhetas, ges autres vergiers 6 Q'ieu ai ja vist albre fuilhat. Ne consegue che la parafrasi più corretta non è 'io ho già visto' ma 'si è già dato il caso che'","Bertran de Born ricorre allo stesso genere di exemplum: Fuilhetas, ges autres vergiers 6 «Q'ieu ai ja vist albre fuilhat».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Fuilhetas_ges_autres_vergiers,"Fuilhetas, ges autres vergiers",Bertran de Born,http://dbpedia.org/resource/Bertran_de_Born,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +I' HO VEDUTO GIÀ,"io vidi, io ho veduto è una delle formule che nella predicazione o nei trattati morali introduce gli exempla (ovvero: sicut ego vidi, ut ego vidi, ecc.): cfr. Welter 1927, p. 107; e si veda per esempio questo passo del Convivio (I XI 9-10): Questi sono da chiamare pecore e non uomini; ché se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre l'andrebbero dietro ... E io ne vidi già molte in un pozzo saltare; ed esempi analoghi non mancano nella Commedia). E quanto al nostro verso, Bertran de Born ricorre allo stesso genere di exemplum: Fuilhetas, ges autres vergiers 6 Q'ieu ai ja vist albre fuilhat. Ne consegue che la parafrasi più corretta non è 'io ho già visto' ma 'si è già dato il caso che'","Guiraut Riquier, Aissi pert poder amors 21-3 «E ioys, quant pretz n'es partitz, / es arbres senes razitz / de tot frug desesperatz»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aissi_pert_poder_amors,Aissi pert poder amors,Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SENZA RADICE,"come metafora (e qui s'intende che anche Dante l'adopera come metafora, per dire qualcosa a proposito della donna amata da Cino) l'immagine si trova anche in Guiraut Riquier, Aissi pert poder amors 21-3 E ioys, quant pretz n'es partitz, / es arbres senes razitz / de tot frug desesperatz","Guiraut Riquier, Aissi pert poder amors 21-3 «E ioys, quant pretz n'es partitz, / es arbres senes razitz / de tot frug desesperatz»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Aissi_pert_poder_amors,Aissi pert poder amors,Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +CHE QUE' ... N'ELICE,"'che il sole fa nascere su di esso delle fronde'. Dante allude (come spesso nelle altre sue opere) al mito di Fetonte, il figlio del Sole, che insiste per guidare il carro del padre ma ne perde il controllo, precipitando nel Po: cfr. Ovidio, Met. II 1-33. Caratteristico dell'erudizione è l'occultamento dell'allusione colta entro una perifrasi: cfr. per esempio Quirini, Colui che perse la figura umana 1-2 Colui che perse la figura umana / e venne cervo (parlando di Atteone)","Ovidio, Met. II 1-33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK +N'ELICE,"'ne estrae, ne fa uscire' (lat. elicere: nel senso di 'far spuntare', riferito a una pianta, si trova in Cicerone, De senectute XV 51 [terra] elicit herbescentem ex eo [semine] viriditatem [Contini]); è la prima occorrenza del verbo in italiano (due soli altri esempi nel corpus TLIO, in Petrarca e Ricciardo da Battifolle).","Cicerone, De senectute XV 51 «[terra] elicit herbescentem ex eo [semine] viriditatem»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Cato_Maior_de_Senectute,De senectute,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK +FRUTTO NO,"in Nm 17, 8 il bastone di Aronne, il prescelto dal Signore, fiorisce e dà frutti: Mosè invenit germinasse virgam Aaron in domo Levi, et turgentibus gemmis eruperant flores; e il passo diede materia agli adynata dei poeti romanzi: cfr. Arnaut Daniel, Lo ferm voler ch'el cor m'intra 25 Pos flori la secha verja. Ma l'osservazione di Dante sembra tratta dal vero, senza il bisogno d'ispirazioni letterarie. Possibile è invece che l'accenno a un ceppo fiorito sia fatto a ragion veduta, parlando con un pistoiese; proprio a un simile prodigio, infatti, la leggenda faceva risalire la fondazione, nella seconda metà del Duecento, dello Spedale del Ceppo di Pistoia: La tradizione attribuisce la fondazione dell'ospedale ai pii coniugi Antimo e Bandinella, ammoniti in sogno da voce celeste che avrebbero dovuto edificare un ospedale nel punto in cui, sull'argine della Brana, avessero trovato un ceppo fiorito in pieno inverno, come infatti avvenne (Ferrali 1977, p. 35 nota 1). 5-6","Nm 17, 8 il bastone di Aronne, il prescelto dal Signore, fiorisce e dà frutti: Mosè «invenit germinasse virgam Aaron in domo Levi, et turgentibus gemmis eruperant flores»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Numbers,Libro dei Numeri,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +FRUTTO NO,"in Nm 17, 8 il bastone di Aronne, il prescelto dal Signore, fiorisce e dà frutti: Mosè invenit germinasse virgam Aaron in domo Levi, et turgentibus gemmis eruperant flores; e il passo diede materia agli adynata dei poeti romanzi: cfr. Arnaut Daniel, Lo ferm voler ch'el cor m'intra 25 Pos flori la secha verja. Ma l'osservazione di Dante sembra tratta dal vero, senza il bisogno d'ispirazioni letterarie. Possibile è invece che l'accenno a un ceppo fiorito sia fatto a ragion veduta, parlando con un pistoiese; proprio a un simile prodigio, infatti, la leggenda faceva risalire la fondazione, nella seconda metà del Duecento, dello Spedale del Ceppo di Pistoia: La tradizione attribuisce la fondazione dell'ospedale ai pii coniugi Antimo e Bandinella, ammoniti in sogno da voce celeste che avrebbero dovuto edificare un ospedale nel punto in cui, sull'argine della Brana, avessero trovato un ceppo fiorito in pieno inverno, come infatti avvenne (Ferrali 1977, p. 35 nota 1). 5-6","Arnaut Daniel, Lo ferm voler ch'el cor m'intra 25 «Pos flori la secha verja».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lo_ferm_voler,Lo ferm voler qu'el cor m'intra,Arnaut Daniel,http://dbpedia.org/resource/Arnaut_Daniel,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +PERÒ CHE ... NATURA,"'perché lo vieta la natura': senza articolo, com'è normale quando il sostantivo non può riferirsi a uno singolarmente degli individui di una specie (F. Brambilla Ageno in ED, Appendice, s.v. Articolo, p. 144); cfr. Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 67 Natura lo mi contradice (Brugnolo). 6-8","Dino Frescobaldi, Morte avversara, poich'io son contento 67 «Natura lo mi contradice»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Morte_avversara_poich_io_son_contento,"Morte avversara, poich'io son contento",Dino Frescobaldi,http://it.dbpedia.org/page/Dino_Frescobaldi,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +GIOVANE DONNA,"sulla giovinezza della donna nulla è detto esplicitamente nel missivo di Cino, che parla di donna gentil (2); può darsi che Dante la deduca dall'accenno finale al colore verde, inteso appunto come simbolico di quell'età. L'amore delle giovani è, per tradizione, infido: bisogna evitare – scrive Lemmo Orlandi (Fera cagione e dura 59-60) – di vana donna amare, / gioven troppo di tenpo e di savere","Lemmo Orlandi (Fera cagione e dura 59-60) – «di vana donna amare, / gioven trop- po di tenpo e di savere».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Fera_cagione_e_dura,Fera cagione e dura,Lemmo Orlandi,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lemmo_Orlandi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +TALOR ... GITA,"'talvolta, passando per gli occhi, è entrata (gita) dentro così in profondità (a dentro: e cioè nel cuore)'. L'idea che sia pericoloso permettere alla donna di penetrare dentro è analoga a quella espressa da Cino nei versi sopracitati: Anzi ch'Amore ne la mente guidi 1-3 Anzi ch'Amore ne la mente guidi / donna, ch'è poi del core ucciditrice, / conviensi dire a l'om: ""Non sei fenice""","Anzi ch'Amore ne la mente guidi 1-3 «Anzi ch'Amore ne la mente guidi / donna, ch'è poi del core ucciditrice, / conviensi dire a l'om: ""Non sei fenice""»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anzi_ch_Amore_ne_la_mente_guidi,Anzi ch'Amore ne la mente guidi,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +PERCH'IO ... RAGIONI,"avvio su una subordinata causale, come per esempio in Cavalcanti, Perch'i' no spero di tornar giammai o, nelle Rime stesse, Poscia ch'Amor: 'Dal momento che non trovo chi discorra (ragioni) con me'.",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Perch_i_no_spero,Perch'i' no spero di tornar giammai,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SIGNORE,"ricorda il saluto di Dante ai fedeli d'Amore, ""salute in lor segnor, cioè Amore"" (A ciascun'alma presa 4), e ciò che quel passo implica a livello ideale: una dedizione simile a quella che il cristiano ha nei confronti di Dio (cfr. Larson 2000); e si veda lo stesso Cino, Se tu sapessi ben com'io aspetto 5-6 ""io son distretto / di quel Signore cui servir m'agenzo""",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_tu_sapessi_ben_com_io_aspetto,Se tu sapessi ben com'io aspetto,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SIGNORE,"ricorda il saluto di Dante ai fedeli d'Amore, ""salute in lor segnor, cioè Amore"" (A ciascun'alma presa 4), e ciò che quel passo implica a livello ideale: una dedizione simile a quella che il cristiano ha nei confronti di Dio (cfr. Larson 2000); e si veda lo stesso Cino, Se tu sapessi ben com'io aspetto 5-6 ""io son distretto / di quel Signore cui servir m'agenzo""","Cino, Se tu sapessi ben com'io aspetto 5-6 «io son distretto / di quel Signore cui servir m'agenzo»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Se_tu_sapessi_ben_com_io_aspetto,Se tu sapessi ben com'io aspetto,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +SE ... DONI,"'se non il luogo in cui mi trovo, che è così barbaro (alla lettera 'cattivo') che il bene non trova nessuno che gli dia ricetto, alloggio (albergo)', ovvero 'dove tutti si comportano male'. Il loco, osservano BarbiPernicone, può essere Firenze, alla luce di Pg XXIV 79-80 però che 'l loco u' fui a viver posto / di giorno in giorno più di ben si spolpa. Vero è però che Dante parla in questi termini della sua città quando è già in esilio, e ha già assistito alla sua trista ruina: sicché è più probabile che si tratti – prima o dopo l'esilio – di un luogo isolato, lontano dalla civiltà come quello in cui è ambientata la canzone Amor, da che convien (e si vedano in particolare i vv. 67-8 Lasso! non donne qui, non genti accorte / veggio a cui mi lamenti del mio male). Per la metafora della virtù che non trova ospitalità cfr. per esempio Guilhem de Montanhagol, Non estarai, per ome qe·m casti 27 qu'estiers non vei on pretz trobe gandia ('altrimenti non vedo dove l'onore trovi riparo'); o Baudouin de Condé, Dis de Tunis 73-4 et Charités, par Avarisse, / n'a de recet ou se garisse [si ripari]. E per l'idea del poeta esule in una terra di ""non intendenti"" cfr. Cino, Ciò ch'io veggio di qua m'è mortal duolo 2-4 i' so' lunge e tra selvaggia gente, / la qual i' fuggo, e sto celatamente / perché mi trovi Amor col penser solo.","Guilhem de Montanhagol, Non estarai, per ome qe·m casti 27 «qu'estiers non vei on pretz trobe gandia» ('altrimenti non vedo dove l'onore trovi riparo');",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Non_estarai_per_ome_qe_m_casti,"Non estarai, per ome qe·m casti",Guillem de Montanhagol,http://dbpedia.org/resource/Guilhem_de_Montanhagol,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SE ... DONI,"'se non il luogo in cui mi trovo, che è così barbaro (alla lettera 'cattivo') che il bene non trova nessuno che gli dia ricetto, alloggio (albergo)', ovvero 'dove tutti si comportano male'. Il loco, osservano BarbiPernicone, può essere Firenze, alla luce di Pg XXIV 79-80 però che 'l loco u' fui a viver posto / di giorno in giorno più di ben si spolpa. Vero è però che Dante parla in questi termini della sua città quando è già in esilio, e ha già assistito alla sua trista ruina: sicché è più probabile che si tratti – prima o dopo l'esilio – di un luogo isolato, lontano dalla civiltà come quello in cui è ambientata la canzone Amor, da che convien (e si vedano in particolare i vv. 67-8 Lasso! non donne qui, non genti accorte / veggio a cui mi lamenti del mio male). Per la metafora della virtù che non trova ospitalità cfr. per esempio Guilhem de Montanhagol, Non estarai, per ome qe·m casti 27 qu'estiers non vei on pretz trobe gandia ('altrimenti non vedo dove l'onore trovi riparo'); o Baudouin de Condé, Dis de Tunis 73-4 et Charités, par Avarisse, / n'a de recet ou se garisse [si ripari]. E per l'idea del poeta esule in una terra di ""non intendenti"" cfr. Cino, Ciò ch'io veggio di qua m'è mortal duolo 2-4 i' so' lunge e tra selvaggia gente, / la qual i' fuggo, e sto celatamente / perché mi trovi Amor col penser solo.","Baudouin de Condé, Dis de Tunis 73-4 «et Charités, par Avarisse, / n'a de re- cet ou se garisse [si ripari]»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dit_de_Tunis,Dit de Tunis,Baudouin de Condé,http://fr.dbpedia.org/page/Baudouin_de_Condé,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +SE ... DONI,"'se non il luogo in cui mi trovo, che è così barbaro (alla lettera 'cattivo') che il bene non trova nessuno che gli dia ricetto, alloggio (albergo)', ovvero 'dove tutti si comportano male'. Il loco, osservano BarbiPernicone, può essere Firenze, alla luce di Pg XXIV 79-80 però che 'l loco u' fui a viver posto / di giorno in giorno più di ben si spolpa. Vero è però che Dante parla in questi termini della sua città quando è già in esilio, e ha già assistito alla sua trista ruina: sicché è più probabile che si tratti – prima o dopo l'esilio – di un luogo isolato, lontano dalla civiltà come quello in cui è ambientata la canzone Amor, da che convien (e si vedano in particolare i vv. 67-8 Lasso! non donne qui, non genti accorte / veggio a cui mi lamenti del mio male). Per la metafora della virtù che non trova ospitalità cfr. per esempio Guilhem de Montanhagol, Non estarai, per ome qe·m casti 27 qu'estiers non vei on pretz trobe gandia ('altrimenti non vedo dove l'onore trovi riparo'); o Baudouin de Condé, Dis de Tunis 73-4 et Charités, par Avarisse, / n'a de recet ou se garisse [si ripari]. E per l'idea del poeta esule in una terra di ""non intendenti"" cfr. Cino, Ciò ch'io veggio di qua m'è mortal duolo 2-4 i' so' lunge e tra selvaggia gente, / la qual i' fuggo, e sto celatamente / perché mi trovi Amor col penser solo.","Cino, Ciò ch'io veggio di qua m'è mortal duolo 2-4 «i' so' lunge e tra selvaggia gente, / la qual i' fuggo, e sto celatamente / perché mi trovi Amor col penser solo»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cio_ch_io_veggo_di_qua_m_e_mortal_duolo,Ciò ch'io veggo di qua m'è mortal duolo,Cino da Pistoia,http://dbpedia.org/resource/Cino_da_Pistoia,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DONNA ... VOLTO,"'Non c'è donna che mostri nel suo viso l'amore' (come invece, per esempio, la donna dell'anonimo Dante Alleghier 14 ""che porta propiamente Amor nel viso"")",anonimo Dante Alleghier 14 «che porta propiamente Amor nel viso»,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Dante_Alleghier_d_ogni_senno_pregiato,"Dante Alleghier, d'ogni senno pregiato",Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +AH ... RICOLTO,"'Ah, messer Cino, come il tempo è cambiato a danno nostro e delle nostre poesie, ora che il bene non trova nessuno che lo accolga'. Riecheggia questi versi un sonetto di Cecco d'Ascoli, La invidia a me à dato sì de morso 5-8 O messer Cino, io veggio ch'è discorso / il tempo omai che pianger sì convene, / poi che la setta che il vizio mantene / par che dal cielo ogni ora abbi soccorso","Cecco d'Ascoli, La invidia a me à dato sì de morso 5-8 «O messer Cino, io veggio ch'è discorso / il tempo omai che pianger sì convene, / poi che la setta che il vizio mantene / par che dal cielo ogni ora abbi soc- corso».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/La_invidia_a_me_a_dato_si_de_morso,La invidia a me à dato sì de morso,Cecco d'Ascoli,http://it.dbpedia.org/resource/Cecco_d'Ascoli,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +RIVOLTO,"secondo l'accezione del GDLI, s.v.10: mutato, trasformato, cambiato per lo più in qualcosa di completamente diverso. È il motivo tradizionale della decadenza dei tempi e della nostalgia per il passato; la stessa idea e lo stesso slancio interiettivo in Giraut de Borneil, Jois sia comensamens 64-6 Reis omnipotens, / alques chamjet la sazos / En c'om era bos!","Giraut de Borneil, Jois sia comensamens 64-6 «Reis omnipotens, / alques chamjet la sazos / En c'om era bos!»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Jois_sia_comensamens,Jois sia comensamens,Giraut de Bornelh,http://dbpedia.org/resource/Giraut_de_Bornelh,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +DIRI,"sostantivato e declinato, come in Le dolci rime 75 è manifesto i lor diri esser vani [Cv IV]; qui il senso sembra essere precisamente 'poesie', come in Cavalcanti, I' vegno 'l giorno 10 far mostramento che tu' dir mi piaccia","Cavalcanti, I' vegno 'l giorno 10 «far mostramento che tu' dir mi piaccia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/I_vegno_l_giorno,I' vegno 'l giorno a·tte 'nfinite volte,Guido Cavalcanti,http://dbpedia.org/resource/Guido_Cavalcanti,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +I' ... LO BEN,"'io non sento da nessuna parte il suono del bene', ovvero 'non sento dove risuoni il nome del bene, dove se ne parli': riprende l'immagine dell'albergo, della dimora offerta al bene, introdotta da Dante nel suo missivo (v. 8); e la virtù che non ha luogo e riparo è una metafora ricorrente: Raimbaut de Beljoc, A penre m'er lo conort del salvatge 24 Prez? E quil vol? Eu non sai ar on sia","Raimbaut de Beljoc, A penre m'er lo conort del salvatge 24 «Prez? E quil vol? Eu non sai ar on sia»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/A_penre_m_er_lo_conort_del_salvatge,A penre m'er lo conort del salvatge,Raimbaut de Beljoc,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Raimbaut_de_Beljoc,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +ALBERGO,"per l'idea delle virtù pellegrine e per l'uso traslato di albergare come 'dare ricetto al bene', cfr. Iacopone, L'omo fo creato vertüoso 220-6: albergane, cà simo de tua sorte, dicono le Beatitudini a Dio, e Dio risponde: non se trovò null'omo ancora degno / d'albergare sì nobele tesaro.","Iacopone, L'omo fo creato vertüoso 220-6: «albergane, cà simo de tua sorte», dicono le Beatitudini a Dio, e Dio risponde: «non se trovò null'omo anco- ra degno / d'albergare sì nobele tesaro».",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/L_omo_fo_creato_vertuoso,L'omo fo creato vertüoso,Jacopone da Todi,http://dbpedia.org/resource/Jacopone_da_Todi,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +DA ... OBLIO,"tutti fanno il male, come in Rm 3, 12 Non est qui faciat bonum, non est usque ad unum.","Rm 3, 12 «Non est qui faciat bonum, non est usque ad unum»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK +DEL CONTRARIO ... TRONI,"è stile ciniano, se si pensa al contraro che 'l valore ... del sonetto O voi che siete voce (Contini). La metafora è stata spiegata in modi diversi: secondo alcuni i troni sono tuoni, cioè la fama (BarbiMaggini: del bene dunque non si sente neppure la voce, del male si sentono i tuoni!); secondo De Robertis sono i fulmini, le saette: le manifestazioni del male; secondo altri sono 'scranni regali' (Marti: è qui nato il regno). Quale spiegazione preferire? Da un lato, il rumore dei troni intesi come tuoni sarebbe coerente con il ""suono del bene"" di cui si parla al primo verso. Dall'altro, però, ai troni come scranni fanno pensare sia la successiva menzione del regno de' dimoni (v. 8) sia, soprattutto, un'immagine della Bibbia che era certo ben presente a Dante e a Cino: Is 14, 13 Qui dicebas in corde tuo: ""in caelum conscendam, super astra Dei exaltabo solium meum"" (parla Lucifero); Am 6, 3 qui separati estis in diem malum, et adpropinquatis solio iniquitatis (un passo che nel De doctrina cristiana IV VII 18 Agostino interpreta come il presagio di un re iniquo). Senza poter escludere la prima, propenderei per questa seconda spiegazione: 'sono nati, hanno preso il potere i troni del male (il contrario del bene)'. Comunque sia, anche questo è un motivo ricorrente nei moralisti, il mondo alla rovescia in cui il male prospera e il bene vacilla: cfr. per esempio Inghilfredi, Greve puot'on piacere a tutta gente 51-3 Tant'ha lo mal lo ben da sé distinto, / ca chi più falla di lodo à corona / e chi ben opra di lui mal si sona; e Guiraut Riquier, Karitatz ez amors e fes 11-2 que·l mals es plazens e privatz, / tant que per paucx es faitz le bes.","«è stile ciniano, se si pensa al contraro che 'l valore ... del sonetto O voi che siete voce»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/O_voi_che_siete_voce,O voi che siete voce nel diserto,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://purl.org/bncf/tid/28954,WORK +DEL CONTRARIO ... TRONI,"è stile ciniano, se si pensa al contraro che 'l valore ... del sonetto O voi che siete voce (Contini). La metafora è stata spiegata in modi diversi: secondo alcuni i troni sono tuoni, cioè la fama (BarbiMaggini: del bene dunque non si sente neppure la voce, del male si sentono i tuoni!); secondo De Robertis sono i fulmini, le saette: le manifestazioni del male; secondo altri sono 'scranni regali' (Marti: è qui nato il regno). Quale spiegazione preferire? Da un lato, il rumore dei troni intesi come tuoni sarebbe coerente con il ""suono del bene"" di cui si parla al primo verso. Dall'altro, però, ai troni come scranni fanno pensare sia la successiva menzione del regno de' dimoni (v. 8) sia, soprattutto, un'immagine della Bibbia che era certo ben presente a Dante e a Cino: Is 14, 13 Qui dicebas in corde tuo: ""in caelum conscendam, super astra Dei exaltabo solium meum"" (parla Lucifero); Am 6, 3 qui separati estis in diem malum, et adpropinquatis solio iniquitatis (un passo che nel De doctrina cristiana IV VII 18 Agostino interpreta come il presagio di un re iniquo). Senza poter escludere la prima, propenderei per questa seconda spiegazione: 'sono nati, hanno preso il potere i troni del male (il contrario del bene)'. Comunque sia, anche questo è un motivo ricorrente nei moralisti, il mondo alla rovescia in cui il male prospera e il bene vacilla: cfr. per esempio Inghilfredi, Greve puot'on piacere a tutta gente 51-3 Tant'ha lo mal lo ben da sé distinto, / ca chi più falla di lodo à corona / e chi ben opra di lui mal si sona; e Guiraut Riquier, Karitatz ez amors e fes 11-2 que·l mals es plazens e privatz, / tant que per paucx es faitz le bes.","Is 14, 13 «Qui dicebas in corde tuo: ""in caelum conscen- dam, super astra Dei exaltabo solium meum""» (parla Lucifero)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DEL CONTRARIO ... TRONI,"è stile ciniano, se si pensa al contraro che 'l valore ... del sonetto O voi che siete voce (Contini). La metafora è stata spiegata in modi diversi: secondo alcuni i troni sono tuoni, cioè la fama (BarbiMaggini: del bene dunque non si sente neppure la voce, del male si sentono i tuoni!); secondo De Robertis sono i fulmini, le saette: le manifestazioni del male; secondo altri sono 'scranni regali' (Marti: è qui nato il regno). Quale spiegazione preferire? Da un lato, il rumore dei troni intesi come tuoni sarebbe coerente con il ""suono del bene"" di cui si parla al primo verso. Dall'altro, però, ai troni come scranni fanno pensare sia la successiva menzione del regno de' dimoni (v. 8) sia, soprattutto, un'immagine della Bibbia che era certo ben presente a Dante e a Cino: Is 14, 13 Qui dicebas in corde tuo: ""in caelum conscendam, super astra Dei exaltabo solium meum"" (parla Lucifero); Am 6, 3 qui separati estis in diem malum, et adpropinquatis solio iniquitatis (un passo che nel De doctrina cristiana IV VII 18 Agostino interpreta come il presagio di un re iniquo). Senza poter escludere la prima, propenderei per questa seconda spiegazione: 'sono nati, hanno preso il potere i troni del male (il contrario del bene)'. Comunque sia, anche questo è un motivo ricorrente nei moralisti, il mondo alla rovescia in cui il male prospera e il bene vacilla: cfr. per esempio Inghilfredi, Greve puot'on piacere a tutta gente 51-3 Tant'ha lo mal lo ben da sé distinto, / ca chi più falla di lodo à corona / e chi ben opra di lui mal si sona; e Guiraut Riquier, Karitatz ez amors e fes 11-2 que·l mals es plazens e privatz, / tant que per paucx es faitz le bes.","Am 6, 3 «qui separati estis in diem malum, et adpropinquatis solio ini- quitatis»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Amos,Libro di Amos,Non disponibile,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/work/devulgarieloquentiaautore/inesistente/64,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK +DEL CONTRARIO ... TRONI,"è stile ciniano, se si pensa al contraro che 'l valore ... del sonetto O voi che siete voce (Contini). La metafora è stata spiegata in modi diversi: secondo alcuni i troni sono tuoni, cioè la fama (BarbiMaggini: del bene dunque non si sente neppure la voce, del male si sentono i tuoni!); secondo De Robertis sono i fulmini, le saette: le manifestazioni del male; secondo altri sono 'scranni regali' (Marti: è qui nato il regno). Quale spiegazione preferire? Da un lato, il rumore dei troni intesi come tuoni sarebbe coerente con il ""suono del bene"" di cui si parla al primo verso. Dall'altro, però, ai troni come scranni fanno pensare sia la successiva menzione del regno de' dimoni (v. 8) sia, soprattutto, un'immagine della Bibbia che era certo ben presente a Dante e a Cino: Is 14, 13 Qui dicebas in corde tuo: ""in caelum conscendam, super astra Dei exaltabo solium meum"" (parla Lucifero); Am 6, 3 qui separati estis in diem malum, et adpropinquatis solio iniquitatis (un passo che nel De doctrina cristiana IV VII 18 Agostino interpreta come il presagio di un re iniquo). Senza poter escludere la prima, propenderei per questa seconda spiegazione: 'sono nati, hanno preso il potere i troni del male (il contrario del bene)'. Comunque sia, anche questo è un motivo ricorrente nei moralisti, il mondo alla rovescia in cui il male prospera e il bene vacilla: cfr. per esempio Inghilfredi, Greve puot'on piacere a tutta gente 51-3 Tant'ha lo mal lo ben da sé distinto, / ca chi più falla di lodo à corona / e chi ben opra di lui mal si sona; e Guiraut Riquier, Karitatz ez amors e fes 11-2 que·l mals es plazens e privatz, / tant que per paucx es faitz le bes.","Inghilfredi, Greve puot'on piacere a tutta gente 51-3 «Tant'ha lo mal lo ben da sé distinto, / ca chi più falla di lodo à corona / e chi ben opra di lui mal si sona»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Greve_puot_on_piacere_a_tutta_gente,Greve puot'on piacere a tutta gente,Inghilfredi,http://it.dbpedia.org/resource/Inghilfredi,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +DEL CONTRARIO ... TRONI,"è stile ciniano, se si pensa al contraro che 'l valore ... del sonetto O voi che siete voce (Contini). La metafora è stata spiegata in modi diversi: secondo alcuni i troni sono tuoni, cioè la fama (BarbiMaggini: del bene dunque non si sente neppure la voce, del male si sentono i tuoni!); secondo De Robertis sono i fulmini, le saette: le manifestazioni del male; secondo altri sono 'scranni regali' (Marti: è qui nato il regno). Quale spiegazione preferire? Da un lato, il rumore dei troni intesi come tuoni sarebbe coerente con il ""suono del bene"" di cui si parla al primo verso. Dall'altro, però, ai troni come scranni fanno pensare sia la successiva menzione del regno de' dimoni (v. 8) sia, soprattutto, un'immagine della Bibbia che era certo ben presente a Dante e a Cino: Is 14, 13 Qui dicebas in corde tuo: ""in caelum conscendam, super astra Dei exaltabo solium meum"" (parla Lucifero); Am 6, 3 qui separati estis in diem malum, et adpropinquatis solio iniquitatis (un passo che nel De doctrina cristiana IV VII 18 Agostino interpreta come il presagio di un re iniquo). Senza poter escludere la prima, propenderei per questa seconda spiegazione: 'sono nati, hanno preso il potere i troni del male (il contrario del bene)'. Comunque sia, anche questo è un motivo ricorrente nei moralisti, il mondo alla rovescia in cui il male prospera e il bene vacilla: cfr. per esempio Inghilfredi, Greve puot'on piacere a tutta gente 51-3 Tant'ha lo mal lo ben da sé distinto, / ca chi più falla di lodo à corona / e chi ben opra di lui mal si sona; e Guiraut Riquier, Karitatz ez amors e fes 11-2 que·l mals es plazens e privatz, / tant que per paucx es faitz le bes.","Guiraut Riquier, Karitatz ez amors e fes 11-2 «que·l mals es plazens e privatz, / tant que per paucx es faitz le bes»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Karitatz_ez_amors_e_fes,Karitatz ez amors e fes,Guiraut Riquier,http://dbpedia.org/resource/Guiraut_Riquier,http://purl.org/bncf/tid/19683,WORK +NON RISPONDE AL FIO,"il senso dev'essere grosso modo quello indicato da BarbiMaggini: [chi si astenesse dal bene] non farebbe cosa rispondente alle necessità imposte dalla situazione stessa che si deplora; ma l'espressione non risponde al fio non è chiara. Nell'italiano antico fio ha vari significati: 'stipendio, guadagno, canone' (cfr. Castellani 1952, glossario; e Castellani 1980, II, pp. 27-40), 'feudo, concessione' (cfr. Guittone, 1-3 Iddio, / riccore, amore 'n fio / ... ha voi non poco dato), e anche 'patto': e qui potrebbe essere appunto il patto che lega il cristiano a Dio obbligandolo alla virtù. 7-8","Guittone, 1-3 «Iddio, / riccore, amore 'n fio / ... ha voi non poco dato»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Messer_Berto_Frescubaldi_Iddio,"Messer Berto Frescubaldi, Iddio",Guittone d'Arezzo,http://live.dbpedia.org/resource/Guittone_d'Arezzo,http://purl.org/bncf/tid/3066,WORK +LO BEN ... DIMONI,"'il bene – lo sai – che predicava Dio, e non lo taceva (non cessava di operare in suo favore) nel regno dei demonî, all'inferno'. Contini osserva che il regno de' dimoni non sarà necessariamente l'inferno, ma la terra in preda al vizio e all'errore (e anche Marti: Cristo in terra, ridiventata ormai il regno de' dimoni, come allora; e De Robertis: l'inferno a cui s'è ridotta la terra). Ma qui Cino sembra alludere precisamente alla discesa di Gesù negli inferi così com'era stata tramandata dal più diffuso tra i Vangeli extra-canonici, quello di Nicodemo (cfr. Tischendorf 1876, pp. 402-4: parlando a Adamo e ai dannati che sta per riscattare Gesù esordisce: Pax tibi cum omnibus filiis tuis, iustis meis), e poi raccolta dagli agiografi (cfr. per esempio il cap. LII De resurrectione Domini della Leggenda Aurea), dai laudisti (cfr. la Lamentatio abruzzese e la Passione lombarda pubblicate in Varanini 1972, pp. 30-7 e p. 117) e dallo stesso Dante nella Comme-dia (la porta sanza serrame di If VIII 126)",cap. LII De resurrectione Domini,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Golden_Legend,Legenda aurea,Jacopo da Varazze,http://dbpedia.org/resource/Jacobus_de_Voragine,http://purl.org/bncf/tid/24527,WORK +LO BEN ... DIMONI,"'il bene – lo sai – che predicava Dio, e non lo taceva (non cessava di operare in suo favore) nel regno dei demonî, all'inferno'. Contini osserva che il regno de' dimoni non sarà necessariamente l'inferno, ma la terra in preda al vizio e all'errore (e anche Marti: Cristo in terra, ridiventata ormai il regno de' dimoni, come allora; e De Robertis: l'inferno a cui s'è ridotta la terra). Ma qui Cino sembra alludere precisamente alla discesa di Gesù negli inferi così com'era stata tramandata dal più diffuso tra i Vangeli extra-canonici, quello di Nicodemo (cfr. Tischendorf 1876, pp. 402-4: parlando a Adamo e ai dannati che sta per riscattare Gesù esordisce: Pax tibi cum omnibus filiis tuis, iustis meis), e poi raccolta dagli agiografi (cfr. per esempio il cap. LII De resurrectione Domini della Leggenda Aurea), dai laudisti (cfr. la Lamentatio abruzzese e la Passione lombarda pubblicate in Varanini 1972, pp. 30-7 e p. 117) e dallo stesso Dante nella Comme-dia (la porta sanza serrame di If VIII 126)",,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lamentatio_beate_Marie_de_filio,Lamentatio beate Marie de Filio,,,http://purl.org/bncf/tid/5665,WORK +LO BEN ... DIMONI,"'il bene – lo sai – che predicava Dio, e non lo taceva (non cessava di operare in suo favore) nel regno dei demonî, all'inferno'. Contini osserva che il regno de' dimoni non sarà necessariamente l'inferno, ma la terra in preda al vizio e all'errore (e anche Marti: Cristo in terra, ridiventata ormai il regno de' dimoni, come allora; e De Robertis: l'inferno a cui s'è ridotta la terra). Ma qui Cino sembra alludere precisamente alla discesa di Gesù negli inferi così com'era stata tramandata dal più diffuso tra i Vangeli extra-canonici, quello di Nicodemo (cfr. Tischendorf 1876, pp. 402-4: parlando a Adamo e ai dannati che sta per riscattare Gesù esordisce: Pax tibi cum omnibus filiis tuis, iustis meis), e poi raccolta dagli agiografi (cfr. per esempio il cap. LII De resurrectione Domini della Leggenda Aurea), dai laudisti (cfr. la Lamentatio abruzzese e la Passione lombarda pubblicate in Varanini 1972, pp. 30-7 e p. 117) e dallo stesso Dante nella Comme-dia (la porta sanza serrame di If VIII 126)","«Pax tibi cum omnibus filiis tuis, iustis meis»",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Nicodemus,Vangelo di Nicodemo,Nicodemo,http://dbpedia.org/resource/Nicodemus,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK diff --git a/common/utils.py b/common/utils.py new file mode 100644 index 0000000..50ec334 --- /dev/null +++ b/common/utils.py @@ -0,0 +1,90 @@ +def check_overlap(l): + for i in range(len(l)): + #print(f'### ITERATION at index i: {i}') + for j in range(i+1, len(l)): + len_i = len(range(l[i][0], l[i][1])) + len_j = len(range(l[j][0], l[j][1])) + #print(len_i) + #print(len_j) + if len_i < len_j: + x = l[i][:2] + y = l[j][:2] + else: + x = l[j][:2] + y = l[i][:2] + + rangex = range(x[0],x[1]) + rangey = range(y[0],y[1]) + #print(f'Target is: {x}\nY: {y}') + if rangex.start <= rangey.start: + if rangex.stop > rangey.start: + print('## Overlap!') + print(f'X: {rangex}\nY: {rangey}') + elif rangex.start >= rangey.start: + if rangex.start < rangey.stop: + print('## Overalp!') + print(f'X: {rangex}\nY: {rangey}') + + +def range_overlapping(x, y): + if x.start == x.stop or y.start == y.stop: + return False + return ((x.start < y.stop and x.stop > y.start) or + (x.stop > y.start and y.stop > x.start)) + + +def overlap(x, y): + if not range_overlapping(x, y): + return set() + return set(range(max(x.start, y.start), min(x.stop, y.stop)+1)) + + +def remove_overlapping(l, overlaps): + return + + +def solve_overlap(l): + #print(f'Input len: {len(l)}') + if len(l) == 0: + return [] + res_l = l.copy() + for i in range(len(l)): + #print(f'### ITERATION at index i: {i}') + for j in range(i+1, len(l)): + len_i = len(range(l[i][0], l[i][1])) + len_j = len(range(l[j][0], l[j][1])) + #print(len_i) + #print(len_j) + if len_i < len_j: + x = l[i][:2] + y = l[j][:2] + else: + x = l[j][:2] + y = l[i][:2] + #print(f'Target is: {x}\nY: {y}') + + rangex = range(x[0],x[1]) + rangey = range(y[0],y[1]) + + if rangex.start <= rangey.start: + if rangex.stop > rangey.start: + #print('## Overlap!') + #print(f'X: {rangex}\nY: {rangey}') + to_pop = l[i] + try: res_l.remove(to_pop) + except: print(f'{to_pop} NOT IN LIST') + elif rangex.start >= rangey.start: + if rangex.start < rangey.stop: + #print('## Overalp!') + #print(f'X: {rangex}\nY: {rangey}') + to_pop = l[i] + try: res_l.remove(to_pop) + except: print(f'{to_pop} NOT IN LIST') + #print('-'*25) + #print(f'Ouput len: {len(res_l)}') + return res_l + + +if __name__ == "__main__": + l = [[84, 106, "PER"], [108, 114, "LOC"], [119, 121, "MISC"], [123, 124, "MISC"], [164, 169, "PER"], [295, 298, "MISC"], [311, 312, "MISC"], [338, 345, "LOC"], [381, 384, "MISC"], [525, 530, "PER"], [804, 808, "PER"], [896, 906, "MISC"], [931, 936, "PER"], [960, 965, "PER"], [1006, 1029, "MISC"], [1031, 1032, "MISC"], [1083, 1084, "MISC"], [1121, 1122, "MISC"], [1163, 1173, "PER"], [1266, 1274, "PER"], [1297, 1300, "MISC"], [1462, 1463, "MISC"], [1500, 1501, "MISC"], [1569, 1579, "PER"], [1589, 1594, "PER"], [1822, 1830, "PER"], [1832, 1836, "MISC"], [1869, 1870, "MISC"], [1910, 1918, "MISC"], [1954, 1963, "LOC"], [1986, 1994, "MISC"], [1996, 2000, "MISC"], [2049, 2053, "MISC"], [2061, 2066, "MISC"], [2081, 2093, "MISC"], [2096, 2102, "LOC"], [2111, 2117, "LOC"], [2135, 2139, "LOC"], [2209, 2220, "MISC"], [2244, 2247, "MISC"], [2302, 2311, "MISC"], [2319, 2322, "MISC"], [2325, 2330, "PER"], [2337, 2340, "PER"], [2446, 2453, "LOC"], [2459, 2466, "PER"], [2715, 2723, "PER"], [2734, 2742, "PER"], [2775, 2782, "MISC"], [2821, 2828, "MISC"], [2831, 2840, "MISC"], [2843, 2845, "MISC"], [2857, 2869, "PER"], [2871, 2877, "LOC"], [2882, 2884, "MISC"], [2886, 2888, "MISC"], [2943, 2944, "MISC"], [3009, 3018, "MISC"]] + check_overlap(l) \ No newline at end of file diff --git a/diff_sent.txt b/diff_sent.txt new file mode 100644 index 0000000..37991ee --- /dev/null +++ b/diff_sent.txt @@ -0,0 +1,4 @@ +si tratta di Bonifacio II (1150-1207) che fu uno dei capi della IV Crociata conclusasi con la presa +di Costantinopoli (1204) e la creazione dell'Impero latino di Oriente (Bonifacio ebbe il regno di Te +ssalonica). I trovatori provenzali a lui contemporanei esaltarono l'ospitalità generosa della sua co +rte (Rambaut de Vaqueiras lo elogia paragonandolo proprio ad Alessandro Magno). diff --git a/entity_linker/KB_abs_merged.pickle b/entity_linker/KB_abs_merged.pickle new file mode 100644 index 0000000..950cacd Binary files /dev/null and b/entity_linker/KB_abs_merged.pickle differ diff --git a/entity_linker/KB_abs_reversed.pickle b/entity_linker/KB_abs_reversed.pickle new file mode 100644 index 0000000..a13f6ec Binary files /dev/null and b/entity_linker/KB_abs_reversed.pickle differ diff --git a/entity_linker/KB_builder.py b/entity_linker/KB_builder.py new file mode 100644 index 0000000..4836f9f --- /dev/null +++ b/entity_linker/KB_builder.py @@ -0,0 +1,105 @@ +import pandas as pd +import sparql +import warnings +from wikidata.client import Client # https://github.com/dahlia/wikidata +import tqdm +import json +import time + + +def testing_dbpedia(author): + endpoint = 'http://dbpedia.org/sparql' + s = sparql.Service(endpoint, "utf-8", "SELECT") + query_author = """SELECT ?names WHERE {{ + <{}> owl:sameAs ?names . + }}""".format(author) + + query_works = """SELECT ?works WHERE {{ + ?works dbo:author <{}> + }}""".format(author) + + result = s.query(query_author) + results_works = s.query(query_works) + return [result, results_works] + + +def testing_wikidata(entity_q): + """ + Notable work = P800 + Date of birth = P569 + Present in work = P1441 + """ + # DEBUGGING_ENTITY = 'Q1398' + # entity_q = DEBUGGING_ENTITY + + dict_works = {} + dict_present_in_works = {} + + client = Client() + entity = client.get(entity_q, load=True) + notable_work = client.get('P800') + present_in_work = client.get('P1441') + # date_of_birth = client.get('P569') + # birth = entity.get(date_of_birth) # TODO: debug this + aut_names = entity.label.texts + _works = entity.get(notable_work) + _present_in_work = entity.get(present_in_work) + if _works is not None: + for work in _works: + dict_works[work.id] = work.label.texts + if _present_in_work is not None: + for p_work in _present_in_work: + dict_present_in_works[p_work.id] = p_work.label.texts + return entity, aut_names, dict_works, dict_present_in_works + + +def print_results(results): + result, results_works = results[0], results[1] + print('# NAMES:') + for row in result: + values = sparql.unpack_row(row) + print(values[0]) + + print('# AUTHOR OF:') + for row in results_works: + values = sparql.unpack_row(row) + print(values[0]) + + +def extract_wikidata_endpoint(author_names, show_warnings=True): + r = [sparql.unpack_row(name)[0] for name in author_names if 'wikidata' in sparql.unpack_row(name)[0]] + try: + endpoint = r[0].split('/')[-1] + return endpoint + except IndexError: + if show_warnings: + warnings.warn('Entity has not a wikimdata endpoint ') + return None + + +# PSEUDO-MAIN ------------------------------------------------------ +stime = time.time() +convivio_df = pd.read_csv('../commentaries/data_parsed/convivio_DF.csv') +monarchia_df = pd.read_csv('../commentaries/data_parsed/monarchia_DF.csv') +rime_df = pd.read_csv('../commentaries/data_parsed/rime_DF.csv') +author_uri_list_convivio = list(set(convivio_df['author_uri'].dropna())) +author_uri_list_monarchia = list(set(monarchia_df['author_uri'].values)) +author_uri_list_rime = list(set(rime_df['author_uri'].values)) + +full_auth_list = author_uri_list_convivio + author_uri_list_monarchia + author_uri_list_rime +dict_res = {} +print(f'# Number of authors: {len(full_auth_list)}') +for auth in tqdm.tqdm(full_auth_list): + entity_q = testing_dbpedia(auth)[0] + wikidata_endp = extract_wikidata_endpoint(entity_q, show_warnings=False) + dict_res[wikidata_endp] = None + if wikidata_endp is not None: + _, names, works, other_works = testing_wikidata(wikidata_endp) + dict_res[wikidata_endp] = {'aut_name': names, + 'aut_works': works, + 'aut_present_work': other_works} + +with open('knowledge_base/KB_wikimedia.json', 'w+') as f: + json.dump(dict_res, f) + +print(f'# Process finished in: {round((time.time()-stime), 5)}') diff --git a/entity_linker/_merge_kbs.py b/entity_linker/_merge_kbs.py new file mode 100644 index 0000000..c7bf435 --- /dev/null +++ b/entity_linker/_merge_kbs.py @@ -0,0 +1,49 @@ +import pickle +from pprint import pprint +""" +with open('./KB_abs_convivio.pickle', 'rb') as infile: + kb1 = pickle.load(infile) +print(len(kb1)) + +with open('./KB_abs_monarchia.pickle', 'rb') as infile: + kb2 = pickle.load(infile) +print(len(kb2)) + + +def merge_dicts(iter_dict): + merged = {} + for i, dict in enumerate(iter_dict): + if i == 0: + merged = iter_dict[i] + continue + else: + for k, v in iter_dict[i].items(): + if k not in merged.keys(): + merged[k] = v + return merged + +merged = merge_dicts([kb1, kb2]) + +with open('./KB_abs_merged.pickle', 'wb') as infile: + pickle.dump(merged, infile) + +from pprint import pprint +pprint(merged['Giles_of_Rome']) +""" +with open('./KB_abs_merged.pickle', 'rb') as infile: + kb = pickle.load(infile) + +reversed_dict = {} +for key in kb.keys(): + name_list = kb[key]['names'] + to_add = {'name':'None', 'birth':'None', 'abstract':'None'} + for name in name_list: + to_add['name'] = key + to_add['birth'] = kb[key]['birth'] + to_add['abstract'] = kb[key]['abstract'] + reversed_dict[name] = to_add + +print(len(reversed_dict)) + +with open('./KB_abs_reversed.pickle', 'wb') as outfile: + pickle.dump(reversed_dict, outfile) \ No newline at end of file diff --git a/entity_linker/kb_fastText b/entity_linker/kb_fastText new file mode 100644 index 0000000..ae91031 Binary files /dev/null and b/entity_linker/kb_fastText differ diff --git a/entity_linker/kb_test b/entity_linker/kb_test new file mode 100644 index 0000000..41eeff4 Binary files /dev/null and b/entity_linker/kb_test differ diff --git a/entity_linker/knowledge_base.py b/entity_linker/knowledge_base.py new file mode 100644 index 0000000..6ad6490 --- /dev/null +++ b/entity_linker/knowledge_base.py @@ -0,0 +1,99 @@ +""" +Should also evaluate IF and HOW actual spaCy KB could be deoloyed in this scenario + +https://github.com/seatgeek/fuzzywuzzy?source=post_page--------------------------- +""" +# TODO: work on fuzzy matching. See https://github.com/gandersen101/spaczz + +from difflib import SequenceMatcher +from pprint import pprint +import pickle + + +class Knowledge_base: + + def __init__(self, kb_path): + with open(kb_path, 'rb') as infile: + data = pickle.load(infile) + + self.kb = data + #self.utt2ent = self._generate_utter_2_ent() + + + def link_entities(self, preds): + PER_preds = [pred[0] for pred in preds if pred[1] == 'PER'] + WORK_preds = [pred[0] for pred in preds if pred[1] == 'WORK_OF_ART'] + print(f'Candidate authors (i.e., entitites matched): {PER_preds}') + # print(f'Candidates work:\n{WORK_preds}') + + COMMEDIA_DATE = 1321 + + """ + for target in set(PER_preds): + if target in self.utt2ent.keys(): + print(target, self.utt2ent[target]) + """ + print('#'*50 + '\nChecking in KB...') + + # TODO: in the author dict I should insert also the single name (e.g., Tommaso --> Tommaso d'aquino) + + for target in set(PER_preds): + scores = [] + for auth in self.kb.keys(): + sim = self._similar(target, auth) + scores.append((auth, sim)) + + scores.sort(key=lambda tup: tup[1], reverse=True) + for i in range(3): + if scores[i][1] > .8: + print(f'Prediction: {target} - {scores[i]} - born in {self.kb[scores[i][0]]["birth"]}') + break + #elif scores[0][1] == 0: + # print(f'Author {target} not in KB ') + + return 0 + + """ + for target in set(PER_preds): + #print(f'TARGET: {target}') + + scores = [] + for auth in self.kb.keys(): + sim = self._similar(target, auth) + scores.append((auth, sim)) + + scores.sort(key=lambda tup: tup[1], reverse=True) + # pprint(scores[:3]) + + all_lang_scores = self._check_other_lang(scores[0], target) + + if all_lang_scores[0][1] >= 0.8: # with this threshold 'Tommaso' is not linked to 'Tommaso d'aquino' ... + print(f'TARGET: {target}') + print(f'{all_lang_scores[0][0]} was born in year: {self.kb[scores[0][0]]["birth"]}') + #print(all_lang_scores) + else: + continue + #print('Author not in KB') + print('-'*15) + + """ + def _generate_utter_2_ent(self): + 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Kwa-Johane", "ia": "Evangelio secundo Johannes", "ga": "Soisc\u00e9al Eoin", "ar": "\u0625\u0646\u062c\u064a\u0644 \u064a\u0648\u062d\u0646\u0627", "nl": "Evangelie volgens Johannes", "sv": "Johannesevangeliet", "pt": "Evangelho segundo Jo\u00e3o", "eo": "Evangelio la\u016d Johano", "tw": "Yohane", "ru": "\u0415\u0432\u0430\u043d\u0433\u0435\u043b\u0438\u0435 \u043e\u0442 \u0418\u043e\u0430\u043d\u043d\u0430", "sr": "\u0408\u0435\u0432\u0430\u043d\u0452\u0435\u0459\u0435 \u043f\u043e \u0408\u043e\u0432\u0430\u043d\u0443", "tr": "Yuhanna \u0130ncili", "hak": "Yok-hon-fuk-y\u00eem", "mk": "\u0415\u0432\u0430\u043d\u0433\u0435\u043b\u0438\u0435 \u0441\u043f\u043e\u0440\u0435\u0434 \u0408\u043e\u0432\u0430\u043d", "fi": "Evankeliumi Johanneksen mukaan", "uk": "\u0404\u0432\u0430\u043d\u0433\u0435\u043b\u0456\u0454 \u0432\u0456\u0434 \u0406\u0432\u0430\u043d\u0430", "be-tarask": "\u042d\u0432\u0430\u043d\u0433\u0435\u043b\u044c\u043b\u0435 \u043f\u0430\u0432\u043e\u0434\u043b\u0435 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l-Appostli", "ia": "Actos del Apostolos", "ga": "Gn\u00edomhartha na nAspal", "sv": "Apostlag\u00e4rningarna", "ar": "\u0633\u0641\u0631 \u0623\u0639\u0645\u0627\u0644 \u0627\u0644\u0631\u0633\u0644", "nl": "Handelingen van de apostelen", "pt": "Atos dos Ap\u00f3stolos", "eo": "Agoj de la Apostoloj", "ru": "\u0414\u0435\u044f\u043d\u0438\u044f \u0441\u0432\u044f\u0442\u044b\u0445 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u043e\u0432", "sr": "\u0414\u0435\u043b\u0430 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u0441\u043a\u0430", "tr": "El\u00e7ilerin i\u015fleri", "mk": "\u0414\u0435\u043b\u0430 \u043d\u0430 \u0441\u0432\u0435\u0442\u0438\u0442\u0435 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u0438", "hak": "S\u1e73\u0301-th\u00f9-h\u00e0ng-chhon", "fi": "Apostolien teot", "uk": "\u0414\u0456\u0457 \u0410\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u0456\u0432", "nn": "Apostelgjerningane", "sco": "Acks o the Apostles", "ln": "Mis\u00e1la ya Bantoma", "rm": "Fats dals apostels", "hr": "Djela 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Kunigahiden kirj", "la": "Liber I Regum", "cy": "Llyfr y Brenhinoedd", "cs": "1. kniha kr\u00e1lovsk\u00e1", "fa": "\u06a9\u062a\u0628 \u067e\u0627\u062f\u0634\u0627\u0647\u0627\u0646", "lt": "Karali\u0173 knygos", "zh": "\u5217\u738b\u7d00\u4e0a", "fy": "1 en 2 Keningen", "be-tarask": "\u0422\u0440\u044d\u0446\u044f\u044f \u043a\u043d\u0456\u0433\u0430 \u0426\u0430\u0440\u0441\u0442\u0432\u0430\u045e", "nb": "F\u00f8rste Kongebok", "be": "\u0422\u0440\u044d\u0446\u044f\u044f \u043a\u043d\u0456\u0433\u0430 \u0426\u0430\u0440\u0441\u0442\u0432\u0430\u045e", "yue": "\u5217\u738b\u7d00\u4e0a", "br": "Kenta\u00f1 Levr ar Rouaned", "sl": "Prva knjiga kraljev", "eu": "Erregeen I. Liburua", "bn": "\u09e7 \u09b0\u09be\u099c\u09be\u09ac\u09b2\u09bf", "mg": "Boky voalohan'ny Mpanjaka", "bg": "\u0422\u0440\u0435\u0442\u0430 \u043a\u043d\u0438\u0433\u0430 \u0426\u0430\u0440\u0441\u0442\u0432\u0430"}, "Q209720": {"eo": "2-a libro de la Kroniko", "de": "2. 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Paralipomenon", "ru": "\u0412\u0442\u043e\u0440\u0430\u044f \u043a\u043d\u0438\u0433\u0430 \u041f\u0430\u0440\u0430\u043b\u0438\u043f\u043e\u043c\u0435\u043d\u043e\u043d"}, "Q209748": {"fr": "Deuxi\u00e8me Livre des Maccab\u00e9es", "en": "2 Maccabees", "uk": "\u0414\u0440\u0443\u0433\u0430 \u043a\u043d\u0438\u0433\u0430 \u041c\u0430\u043a\u0430\u0432\u0435\u0457\u0432", "ko": "\ub9c8\uce74\ubca0\uc624\uae30 \ud558\uad8c", "ca": "Segon de Macabeus", "de": "2. Buch der Makkab\u00e4er", "it": "Secondo libro dei Maccabei", "hu": "Makkabeusok m\u00e1sodik k\u00f6nyve", "cs": "2. kniha Makabejsk\u00e1", "bar": "2. 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"Obero\u00f9 an Ebestel", "rw": "Ibyakozwe n\u2019Intumwa", "el": "\u03a0\u03c1\u03ac\u03be\u03b5\u03b9\u03c2 \u03c4\u03c9\u03bd \u0391\u03c0\u03bf\u03c3\u03c4\u03cc\u03bb\u03c9\u03bd", "cdo": "S\u00e9\u0324\u1e73-d\u00f9 H\u00e8ng-di\u00f4ng", "mt": "Atti ta' l-Appostli", "ia": "Actos del Apostolos", "ga": "Gn\u00edomhartha na nAspal", "sv": "Apostlag\u00e4rningarna", "ar": "\u0633\u0641\u0631 \u0623\u0639\u0645\u0627\u0644 \u0627\u0644\u0631\u0633\u0644", "nl": "Handelingen van de apostelen", "pt": "Atos dos Ap\u00f3stolos", "eo": "Agoj de la Apostoloj", "ru": "\u0414\u0435\u044f\u043d\u0438\u044f \u0441\u0432\u044f\u0442\u044b\u0445 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u043e\u0432", "sr": "\u0414\u0435\u043b\u0430 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u0441\u043a\u0430", "tr": "El\u00e7ilerin i\u015fleri", "mk": "\u0414\u0435\u043b\u0430 \u043d\u0430 \u0441\u0432\u0435\u0442\u0438\u0442\u0435 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u0438", "hak": "S\u1e73\u0301-th\u00f9-h\u00e0ng-chhon", "fi": "Apostolien teot", "uk": "\u0414\u0456\u0457 \u0410\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u0456\u0432", "nn": "Apostelgjerningane", "sco": "Acks o the Apostles", "ln": "Mis\u00e1la ya Bantoma", "rm": "Fats dals apostels", "hr": "Djela apostolska", "fur": "Ats dai Apuestui", "lmo": "At di Apostuj", "tl": "Ang Mga Gawa ng mga Apostol", "da": "Apostlenes Gerninger", "nan": "S\u00f9-t\u00f4\u0358 H\u0113ng-to\u0101n", "wa": "Ouve des Apoisses", "ko": "\uc0ac\ub3c4 \ud589\uc804", "he": "\u05de\u05e2\u05e9\u05d9 \u05d4\u05e9\u05dc\u05d9\u05d7\u05d9\u05dd", "be": "\u0414\u0437\u0435\u044f\u043d\u043d\u0456 \u0410\u043f\u043e\u0441\u0442\u0430\u043b\u0430\u045e", "fr": "Actes des Ap\u00f4tres", "ug": "\u06be\u06d5\u0632\u0631\u0649\u062a\u0649 \u0626\u06d5\u064a\u0633\u0627 \u0626\u06d5\u0644\u0686\u0649\u0644\u0649\u0631\u0649\u0646\u0649\u06ad \u067e\u0627\u0626\u0627\u0644\u0649\u064a\u06d5\u062a\u0644\u0649\u0631\u0649", "bar": "Apostlgschicht", "yo": "\u00cc\u1e63e \u00e0w\u1ecdn \u00c0p\u00f3st\u00e9l\u00ec", "lv": "Apustu\u013cu darbi", "it": "Atti degli Apostoli", "gl": "Feitos dos Ap\u00f3stolos", "id": "Kisah Para Rasul", "de": "Apostelgeschichte des Lukas", "ml": "\u0d05\u0d2a\u0d4d\u0d2a\u0d38\u0d4d\u0d24\u0d4b\u0d32\u0d28\u0d4d\u0d2e\u0d3e\u0d30\u0d41\u0d1f\u0d46 \u0d2a\u0d4d\u0d30\u0d35\u0d7c\u0d24\u0d4d\u0d24\u0d28\u0d19\u0d4d\u0d19\u0d7e", "ja": "\u4f7f\u5f92\u884c\u4f1d", "vi": "S\u00e1ch C\u00f4ng v\u1ee5 T\u00f4ng \u0111\u1ed3", "en": "Acts of the Apostles", "sh": "Djela apostolska", "scn": "Atti di l'Ap\u00f2stuli", "wo": "J\u00ebf ya", "ht": "Akd\u00e8zapot", "sk": "Skutky apo\u0161tolov", "hy": "\u0533\u0578\u0580\u056e\u0584 \u0561\u057c\u0561\u0584\u0565\u056c\u0578\u0581", "th": "\u0e01\u0e34\u0e08\u0e01\u0e32\u0e23\u0e02\u0e2d\u0e07\u0e2d\u0e31\u0e04\u0e23\u0e17\u0e39\u0e15", "ro": "Faptele Apostolilor", "ca": "Fets dels Ap\u00f2stols", "vep": "Apostoloiden tegod", "la": "Actus 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"Mis\u00e1la ya Bantoma", "rm": "Fats dals apostels", "hr": "Djela apostolska", "fur": "Ats dai Apuestui", "lmo": "At di Apostuj", "tl": "Ang Mga Gawa ng mga Apostol", "da": "Apostlenes Gerninger", "nan": "S\u00f9-t\u00f4\u0358 H\u0113ng-to\u0101n", "wa": "Ouve des Apoisses", "ko": "\uc0ac\ub3c4 \ud589\uc804", "he": "\u05de\u05e2\u05e9\u05d9 \u05d4\u05e9\u05dc\u05d9\u05d7\u05d9\u05dd", "be": "\u0414\u0437\u0435\u044f\u043d\u043d\u0456 \u0410\u043f\u043e\u0441\u0442\u0430\u043b\u0430\u045e", "fr": "Actes des Ap\u00f4tres", "ug": "\u06be\u06d5\u0632\u0631\u0649\u062a\u0649 \u0626\u06d5\u064a\u0633\u0627 \u0626\u06d5\u0644\u0686\u0649\u0644\u0649\u0631\u0649\u0646\u0649\u06ad \u067e\u0627\u0626\u0627\u0644\u0649\u064a\u06d5\u062a\u0644\u0649\u0631\u0649", "bar": "Apostlgschicht", "yo": "\u00cc\u1e63e \u00e0w\u1ecdn \u00c0p\u00f3st\u00e9l\u00ec", "lv": "Apustu\u013cu darbi", "it": "Atti degli Apostoli", "gl": "Feitos dos Ap\u00f3stolos", "id": "Kisah Para Rasul", "de": "Apostelgeschichte 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KnowledgeBase +import pickle +from pprint import pprint +import numpy as np +from tqdm import tqdm + +#with open('./KB_abs_reversed.pickle', 'rb') as infile: +with open('./KB_abs_merged.pickle', 'rb') as infile: + entities_dict = pickle.load(infile) + +print(f'Number of entities in original knowledge Base: {len(entities_dict)}') +#print(entities_dict.keys()) + +def load_word_vectors(model, path_to_vec, max_vec=100000): + with open(path_to_vec, 'r') as infile: + header = infile.readline() + n_row, n_dim = header.split() + model.vocab.reset_vectors(width=int(n_dim)) + count = 0 + for _, line in tqdm(enumerate(infile), total=max_vec): + count += 1 + line = line.rstrip() + pieces = line.rsplit(' ', int(n_dim)) + word = pieces[0] + #print("{} - {}".format(count, word)) + vector = np.asarray([float(v) for v in pieces[1:]], dtype='f') + model.vocab.set_vector(word, vector) + if count == max_vec: + break + + return model + +def generate_IDs(entities_dict_keys): + """ + Entities dictionary keys are english spelled names (if such an entities is + present in DBpedia - otherwise it is its italian spelling) + """ + IDs_2_ent = {'Q'+str(i+1) : name for i, name in enumerate(entities_dict_keys)} + IDs_2_abs = {} + for ID, ent in IDs_2_ent.items(): + IDs_2_abs[ID] = entities_dict[ent]['abstract'] + return IDs_2_ent, IDs_2_abs + +IDs_2_ent, IDs_2_abs = generate_IDs(entities_dict.keys()) +reverse_id = {v:k for k,v in IDs_2_ent.items()} + +#print(IDs_2_ent) +#print(entities_dict['Nicholas_of_Lyra']['names']) +#print(reverse_id) + +nlp = spacy.load('../model_fastText/') +nlp = load_word_vectors(nlp, '../embeddings/cc.it.300.vec', 50000) + +kb = KnowledgeBase(vocab=nlp.vocab, entity_vector_length=300) + +for qid in IDs_2_ent.keys(): + desc = nlp(IDs_2_abs[qid]) + desc_enc = desc.vector + kb.add_entity(entity=qid, entity_vector=desc_enc, freq=314) + +for qid, name in IDs_2_ent.items(): + kb.add_alias(alias=name, entities=[qid], probabilities=[1]) + other_lang_names = entities_dict[name]['names'] + if other_lang_names != 'NA': + for other_name in set(other_lang_names): + if other_name != name: + kb.add_alias(alias=other_name, entities=[qid], probabilities=[1]) + +#kb.dump('./kb_fastText_2') + +""" + +nlp = spacy.load('../model_fastText/') +nlp = load_word_vectors(nlp, '../embeddings/cc.it.300.vec', 50000) + +kb = KnowledgeBase(vocab=nlp.vocab, entity_vector_length=300) +""" + +desc = """Proveniente da una famiglia plebea legata alla nobilitas municipale, compì a Roma il cursus honorum, divenendo prima questore, poi tribuno della plebe ed infine + senatore della res publica. Dopo esser stato cacciato dal Senato per indegnità morale, partecipò alla guerra civile del 49 a.C. tra Cesare e Pompeo, schierato tra + le file cesariane. Dopo la sconfitta di Pompeo, Cesare lo ricompensò per la sua fedeltà conferendogli la pretura, riammettendolo in Senato e nominandolo governatore + della provincia dell'Africa Nova""" + +""" +kb.add_entity(entity='Q1', entity_vector=nlp(desc).vector, freq=314) + +kb.add_alias(alias='Salustio', entities=['Q1'], probabilities=[1]) + +kb.add_alias(alias='Sallustio', entities=['Q1'], probabilities=[1]) +""" +print(f'Cand for "Ricardo de San Víctor": {[c.entity_ for c in kb.get_candidates("Tommaso")]}') +print(f'Cand for "Riccardo di San Vittore": {[c.entity_ for c in kb.get_candidates("Thomas_Aquinas")]}') \ No newline at end of file diff --git a/entity_linker/output_monarchia.json b/entity_linker/output_monarchia.json new file mode 100644 index 0000000..493c2af --- /dev/null +++ b/entity_linker/output_monarchia.json @@ -0,0 +1 @@ +{"Q7198": {"aut_name": {"en": "Ovid", "it": "Publio Ovidio Nasone", "de": "Ovid", "ilo": "Ovidio", "be-tarask": "\u0410\u0432\u0456\u0434\u044b\u044e\u0441", 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Paralipomenon", "cy": "1 Cronicl"}, "Q131066": {"zh-hans": "\u5217\u738b\u7eaa", "zh-hant": "\u5217\u738b\u7d00", "zh-hk": "\u5217\u738b\u7d00", "zh-cn": "\u5217\u738b\u7eaa", "zh-sg": "\u5217\u738b\u7eaa", "zh-tw": "\u5217\u738b\u7d00", "jv": "I Para Raja", "pl": "1 Ksi\u0119ga Kr\u00f3lewska", "qu": "Qhapaqkunap huk \u00f1iqin qillqasqan", "gd": "1 R\u00ecghrean", "es": "I Reyes", "ta": "1 \u0b85\u0bb0\u0b9a\u0bb0\u0bcd\u0b95\u0bb3\u0bcd", "ms": "Kitab Raja-raja", "hu": "A kir\u00e1lyok els\u0151 \u00e9s m\u00e1sodik k\u00f6nyve", "ceb": "Mga Hari", "sw": "Kitabu cha Kwanza cha Wafalme", "et": "Kuningate raamatud", "el": "\u0393' \u0392\u03b1\u03c3\u03b9\u03bb\u03b5\u03b9\u03ce\u03bd", "rw": "Ibitabo by\u2019Abami", "cdo": "Li\u0115k-u\u00f2ng-g\u00e9-li\u014fk Si\u00f4ng", "sv": "F\u00f6rsta Kungaboken", "ar": "\u0633\u0641\u0631 \u0627\u0644\u0645\u0644\u0648\u0643 \u0627\u0644\u062b\u0627\u0646\u064a", "nl": "I Koningen", "pt": "I Reis", "eo": "1-a libro de la Re\u011doj", "yi": "\u05e1\u05e4\u05e8 \u05de\u05dc\u05db\u05d9\u05dd \u05d0", "ru": "\u0422\u0440\u0435\u0442\u044c\u044f \u043a\u043d\u0438\u0433\u0430 \u0426\u0430\u0440\u0441\u0442\u0432", "tr": "Krallar kitab\u0131", "hak": "Lie\u030dt-v\u00f2ng-ki-song", "fi": "Ensimm\u00e4inen kuninkaiden kirja", "uk": "\u041f\u0435\u0440\u0448\u0430 \u043a\u043d\u0438\u0433\u0430 \u0446\u0430\u0440\u0456\u0432", "nn": "F\u00f8rste kongebok", "hr": "Prva knjiga o Kraljevima", "tl": "Ikaapat na Aklat ng mga Hari", "da": "F\u00f8rste Kongebog", "an": "Primer libro d'os Reis", "nan": "Lia\u030dt-\u00f4ng-k\u00ed", "ko": "\uc5f4\uc655\uae30", "fr": "Premier livre des Rois", "he": "\u05e1\u05e4\u05e8 \u05de\u05dc\u05db\u05d9\u05dd \u05d0", "yo": "\u00ccw\u00e9 \u00e0w\u1ecdn \u1eccba", "bar": "1. 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"Evangelium secundum Lucam", "cy": "Yr Efengyl yn \u00f4l Luc", "sl": "Evangelij po Luku", "cs": "Evangelium podle Luk\u00e1\u0161e", "bg": "\u0415\u0432\u0430\u043d\u0433\u0435\u043b\u0438\u0435 \u043e\u0442 \u041b\u0443\u043a\u0430", "fa": "\u0627\u0646\u062c\u06cc\u0644 \u0644\u0648\u0642\u0627", "arc": "\u071f\u072a\u0718\u0719\u0718\u072c\u0710 \u0715\u0720\u0718\u0729\u0710", "nds": "Lukasevangelium", "lt": "Evangelija pagal Luk\u0105", "zh-hant": "\u8def\u52a0\u798f\u97f3", "sq": "Ungjilli i Luk\u00ebs", "nb": "Evangeliet etter Lukas", "ur": "\u0644\u0648\u0642\u0627 \u06a9\u06cc \u0627\u0646\u062c\u06cc\u0644", "ka": "\u10da\u10e3\u10d9\u10d0\u10e1 \u10e1\u10d0\u10ee\u10d0\u10e0\u10d4\u10d1\u10d0", "be-tarask": "\u042d\u0432\u0430\u043d\u0433\u0435\u043b\u044c\u043b\u0435 \u043f\u0430\u0432\u043e\u0434\u043b\u0435 \u041b\u0443\u043a\u0456", "af": "Lukas", "yue": "\u8def\u52a0\u798f\u97f3", "hsb": "Ewangelij po Luka\u0161u", "ga": "Soisc\u00e9al L\u00fac\u00e1is", "gom": 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"Marku", "pcd": "\u00c9vangile eslon Marc", "ckb": "\u0626\u06cc\u0646\u062c\u06cc\u0644\u06cc \u0645\u06d5\u0631\u0642\u06c6\u0633", "my": "\u101b\u103e\u1004\u103a\u1019\u102c\u1000\u102f\u1001\u101b\u1005\u103a\u101d\u1004\u103a", "wuu": "\u9a6c\u53ef\u798f\u97f3"}, "Q36766": {"zh": "\u7d04\u7ff0\u798f\u97f3", "jv": "Injil Yohanes", "bo": "\u0f04\u0f05\u0f0d\u0f0d \u0f61\u0f7c\u0f0b\u0f67\u0f0b\u0f53\u0f53\u0f0b\u0f42\u0fb1\u0f72\u0f66\u0f0b\u0f56\u0fb2\u0f72\u0f66\u0f0b\u0f54\u0f60\u0f72\u0f0b\u0f60\u0f55\u0fb2\u0f72\u0f53\u0f0b\u0f56\u0f5f\u0f44\u0f0b\u0f56\u0f5e\u0f74\u0f42\u0f66\u0f0b\u0f66\u0f7c\u0f0d\u0f0d", "pl": "Ewangelia Jana", "eu": "Joanen Ebanjelioa", "qu": "Huwanpa qillqasqan", "sm": "O le Evagelia a Ioane", "bs": "Evan\u0111elje po Ivanu", "es": "Evangelio de Juan", "ta": "\u0baf\u0bcb\u0bb5\u0bbe\u0ba9\u0bcd \u0ba8\u0bb1\u0bcd\u0b9a\u0bc6\u0baf\u0bcd\u0ba4\u0bbf", "af": "Evangelie volgens Johannes", "ceb": "Ebanghelyo ni Juan", "hu": "J\u00e1nos evang\u00e9liuma", 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"Juanva Pormannem Jezu Kristachem Xubhortoman", "gom-deva": "\u091c\u0941\u0906\u0935\u0902 \u092a\u0930\u092e\u093e\u0923\u0947\u0902 \u091c\u0947\u091c\u0942 \u0915\u094d\u0930\u093f\u0938\u094d\u0924\u093e\u091a\u0947\u0902 \u0936\u0941\u092d\u0935\u0930\u094d\u0924\u092e\u093e\u0928", "is": "J\u00f3hannesargu\u00f0spjall", "ext": "Ebanheliu sig\u00fan San Huan", "mg": "Filazantsara araka an'i Jaona", "zea": "Jewannes", "am": "\u12e8\u12ee\u1210\u1295\u1235 \u12c8\u1295\u130c\u120d", "nan": "Iok-h\u0101n Hok-im", "ast": "evanxeliu de Xuan", "sco": "Gospel o John", "pcd": "\u00c9vangile eslon Jean", "zu": "Johane", "my": "\u101b\u103e\u1004\u103a\u101a\u1031\u102c\u101f\u1014\u103a\u1001\u101b\u1005\u103a\u101d\u1004\u103a", "wuu": "\u7ea6\u7ff0\u798f\u97f3"}, "Q40309": {"zh": "\u4f7f\u5f92\u884c\u4f20", "jv": "Para Rasul", "eu": "Apostoluen Eginak", "pl": "Dzieje Apostolskie", "qu": "Apustulkunap rurasqankuna", "sm": "O Galuega a le au Aposetoro", "es": "Hechos de los Ap\u00f3stoles", "ta": "\u0b85\u0baa\u0bcd\u0baa\u0bcb\u0bb8\u0bcd\u0ba4\u0bb2\u0bb0\u0bcd \u0baa\u0ba3\u0bbf", "hu": "Az apostolok cselekedetei", "sw": "Matendo ya Mitume", "br": "Obero\u00f9 an Ebestel", "rw": "Ibyakozwe n\u2019Intumwa", "el": "\u03a0\u03c1\u03ac\u03be\u03b5\u03b9\u03c2 \u03c4\u03c9\u03bd \u0391\u03c0\u03bf\u03c3\u03c4\u03cc\u03bb\u03c9\u03bd", "cdo": "S\u00e9\u0324\u1e73-d\u00f9 H\u00e8ng-di\u00f4ng", "mt": "Atti ta' l-Appostli", "ia": "Actos del Apostolos", "ga": "Gn\u00edomhartha na nAspal", "sv": "Apostlag\u00e4rningarna", "ar": "\u0633\u0641\u0631 \u0623\u0639\u0645\u0627\u0644 \u0627\u0644\u0631\u0633\u0644", "nl": "Handelingen van de apostelen", "pt": "Atos dos Ap\u00f3stolos", "eo": "Agoj de la Apostoloj", "ru": "\u0414\u0435\u044f\u043d\u0438\u044f \u0441\u0432\u044f\u0442\u044b\u0445 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u043e\u0432", "sr": "\u0414\u0435\u043b\u0430 \u0430\u043f\u043e\u0441\u0442\u043e\u043b\u0441\u043a\u0430", "tr": "El\u00e7ilerin 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"sistematica", + "princ\u00ecpi", + "\u00ecpi", + "analoghe", + "ghe", + "semplificazioni", + "1965a", + "65a", + "espressi", + "appartengono", + "nemico", + "praticistica", + "philosophia", + "visione", + "equilibrata", + "Chistiano", + "chistiano", + "Ghisalberti", + "ghisalberti", + "2001", + "001", + "loci", + "proprietatum", + "elementorum", + "associate", + "integrare", + "propietadi", + "Brambilla", + "brambilla", + "Ageno", + "ageno", + "circulus", + "aequinoctialis", + "equatore", + "linea", + "divide", + "globo", + "obo", + "terrestre", + "eguali", + "avevano", + "astronomi", + "omi", + "astrologi", + "Alfragano", + "alfragano", + "aggregationis", + "Sacrobosco", + "sacrobosco", + "sphera", + "descrizione", + "zona", + "climatica", + "fascia", + "estende", + "sedicesimo", + "nord", + "funge", + "estremo", + "meridionale", + "estremit\u00e0", + "climate", + "terre", + "emerse", + "discoperta", + "acque", + "coprono", + "emisfero", + "australe", + "tr.1", + "r.1", + "xx.d", + "capp", + "app", + "ll", + "tr", + "occupato", + "opinione", + "riportata", + "condivisa", + "Infine", + "Lucano", + "lucano", + "nono", + "Farsaglia", + "farsaglia", + "ritirata", + "deserto", + "libico", + "sfuggire", + "signoria", + "fuggendo", + "Catone", + "catone", + "legioni", + "repubblicane", + "indicate", + "metonimia", + "popolo", + "imbattuti", + "Garamanti", + "garamanti", + "abitano", + "alti", + "solstitii", + "tii", + "signorum", + "percutit", + "orbem", + "bem", + "511", + "clima", + "N\u00e9", + "classica", + "associati", + "nudit\u00e0", + "contermine", + "Nasamoni", + "nasamoni", + "medesima", + "caratterizzazione", + "Garamantes", + "garamantes", + "ob", + "estus", + "aeris", + "nimietatem", + "vestimentis", + "operiri", + "manoscritto", + "associata", + "testare", + "lineare", + "dividere", + "parto", + "eguale", + "astronomo", + "astrologo", + "climatico", + "fasciare", + "estendere", + "fungere", + "emerso", + "coprire", + "occupare", + "condividere", + "librare", + "ritirato", + "attraversare", + "fuggire", + "legione", + "repubblicano", + "imbattuto", + "abitare", + "classico", + "associato" +] \ No newline at end of file diff --git a/model_fastText/vocab/vectors b/model_fastText/vocab/vectors new file mode 100644 index 0000000..ebadaa5 Binary files /dev/null and b/model_fastText/vocab/vectors differ diff --git a/preprocessing/ner_dataset_builder.py b/preprocessing/ner_dataset_builder.py new file mode 100644 index 0000000..4eb4fb4 --- /dev/null +++ b/preprocessing/ner_dataset_builder.py @@ -0,0 +1,284 @@ +import pandas as pd +import spacy +from spacy.util import minibatch, compounding +import regex as re +import pickle +from pprint import pprint +from common.utils import solve_overlap, check_overlap +import warnings +import jsonlines +import json +import random + +COMMENTARIES_PATH = './commentaries/' +DF_COMMENTARIES_PATH = './commentaries/data_parsed/' +df_commentary_monarchia = pd.read_csv(DF_COMMENTARIES_PATH + 'monarchia_DF.csv') +df_ner_unique = pd.read_csv(DF_COMMENTARIES_PATH + 'ner_unique_monarchia.csv') +""" +df_ner_unique ATM contains terms found in "De Monarchia". The .csv file should +contain all the occurrences of tagged terms across all of the (tagged) documents! +""" + + +class DataSetBuilder: + SPACY_MODEL_STD = 'it_core_news_sm' + + def __init__(self, commentaries_tr, commentaries_eva, NER=None): + self._commentaries_df = commentaries_tr + self._commentaries_eva = commentaries_eva + self.commentaries = None + self.clean_commentaries = None + self.commentaries_eva = None + self.clean_commentaries_eva = None + self.ner_lookup = None + self.ner_clean_lookup = None + self._NER = NER + self.TRAIN_DATA = None + self.get_commentaries() + + def get_commentaries(self): + commentaries_tr = self._commentaries_df['comment'].unique() + commentaries_ev = self._commentaries_eva['comment'].unique() + clean_commentaries = [] + for commentary in [commentaries_tr, commentaries_ev]: + commentary_list = [] + for comment in commentary: + cleaned = comment.replace('', '') + cleaned = cleaned.replace('', '') + commentary_list.append(cleaned) + clean_commentaries.append(commentary_list) + + self.commentaries = commentaries_tr + self.clean_commentaries = clean_commentaries[0] + self.commentaries_eva = commentaries_ev + self.clean_commentaries_eva = clean_commentaries[1] + return commentaries_tr, commentaries_ev, clean_commentaries + + def get_NER_lookup(self): + df_ner = self._NER + df_ner.dropna(inplace=True) + + """ + TODO: WRT Monatchia.xml - dropping some conflicting matches (i,e., Summa, + De regimine principum ad regem Cypri, Moralium, + Memoriale de prerogativa Imperii Romani, Tractatus) + """ + + conflicitng_matches = ['Summa', 'De regimine principum ad regem Cypri', + 'Moralium', + 'Memoriale de prerogativa Imperii Romani', + 'Tractatus'] + for conflict in conflicitng_matches: + #print(f'Dropping: {conflict}') + df_ner = df_ner.drop(df_ner[df_ner['match'] == conflict].index) + + NER_matches = df_ner['match'].values + NER_types = df_ner['type'].values + + ner_lookup = {} + for i, elem in enumerate(NER_matches): + if elem not in ner_lookup: + ner_lookup[elem] = NER_types[i] + + ner_clean_lookup = {} + for i, elem in enumerate(NER_matches): + _elem = elem.replace('', '') + _elem = _elem.replace('', '') + if _elem not in ner_clean_lookup: + ner_clean_lookup[_elem] = NER_types[i] + + self.ner_lookup = ner_lookup + self.ner_clean_lookup = ner_clean_lookup + + return ner_lookup, ner_clean_lookup + + + def _annotate_commentaries(self): + """ + Get all the matches in original (i.e., with tagged keywords ...) + in order to retrieve them later from the cleaned commentaries and avoid + conflict with subword keys + """ + matches_in_commentaries = [] + for comment in self.commentaries: + res = [] + for k in self.ner_lookup.keys(): + matches = re.finditer(k, comment, re.MULTILINE) + for i, match in enumerate(matches, start=1): + res.append([match.start(), match.end(), match.group()]) + matches_in_commentaries.append(res) + + matches_in_clean_commentaries = [] + + for i, match_list in enumerate(matches_in_commentaries): + res = [] + for k in match_list: + key = k[2] + clean_key = key.replace('', '') + clean_key = clean_key.replace('', '') + regex = f'\\b{clean_key}\\b' + matches = re.finditer(regex, self.clean_commentaries[i], re.MULTILINE) + for j, match in enumerate(matches, start=1): + res.append([match.start(), match.end(), match.group()]) + matches_in_clean_commentaries.append(res) + + return matches_in_commentaries, matches_in_clean_commentaries + + + def build_train_data(self): + from collections import OrderedDict + matches_raw, matches_clean = self._annotate_commentaries() + TRAIN_DATA = [] + for i, comment in enumerate(self.clean_commentaries): + text = comment + ent_dict = {'entities' : []} + for ent in matches_clean[i]: + _temp = (ent[0], ent[1], self.ner_clean_lookup[ent[2]]) + ent_dict['entities'].append(_temp) + ent_dict['entities'] = list(OrderedDict.fromkeys(ent_dict['entities'])) + TRAIN_DATA.append((text, ent_dict)) + + self.TRAIN_DATA = TRAIN_DATA + return TRAIN_DATA + + + def get_rehearsal_data(self): + revision_data = [] + print('# NB: TAGGING WITH standard spacy model!') + nlp_std = spacy.load(self.SPACY_MODEL_STD) + #nlp_std = spacy.load('./models/') + + for doc in nlp_std.pipe(self.clean_commentaries): + entities = [(e.start_char, e.end_char, e.label_) for e in doc.ents] + revision_data.append((doc, {'entities':entities})) + self.revision_data = revision_data + return revision_data + + + def train_model(self): + from toolz import partition_all # See Docs @ https://toolz.readthedocs.io/en/latest/ + import random + + nlp_std = spacy.load(self.SPACY_MODEL_STD) + + #revision_data = self.get_rehearsal_data() + + #REHEARSAL_DATA = self.TRAIN_DATA[:300] + revision_data[:150] + + REHEARSAL_DATA = self.import_dataset_doccano('./commentaries/data_parsed/doccano_data/file.json1') + print(f'Len TRAIN_DATA: {len(REHEARSAL_DATA)}') + + ner = nlp_std.get_pipe('ner') + for _, annotations in self.TRAIN_DATA: + for ent in annotations.get("entities"): + ner.add_label(ent[2]) + + pipe_exceptions = ["ner", "trf_wordpiecer", "trf_tok2vec"] + other_pipes = [pipe for pipe in nlp_std.pipe_names if pipe not in pipe_exceptions] + + optimizer = nlp_std.resume_training() + + with nlp_std.disable_pipes(*other_pipes) and warnings.catch_warnings(): + warnings.filterwarnings("once", category=UserWarning, module='spacy') + + n_epochs = 10 + #batch_size = 32 + print(f'\n## Begin Training') + for i in range(n_epochs): + print(f'Iteration {i+1}') + losses = {} + random.shuffle(REHEARSAL_DATA) + batches = minibatch(REHEARSAL_DATA, size=compounding(4.0, 32.0, 1.001)) + for batch in batches: + #for batch in partition_all(batch_size, REHEARSAL_DATA): + docs, golds = zip(*batch) + #texts, annotations = zip(*batch) + nlp_std.update(docs, golds, sgd=optimizer, losses=losses) + print(f'loss: {losses}') + + test_text = self.clean_commentaries[random.randint(1, len(self.commentaries))] + + def pprint_com(comment, l=100): + i = 0 + while len(comment) > i+100: + j = i+l + print(comment[i:j]) + i += 100 + print(comment[i:len(comment)]) + + print(f'SENTENCE:\n') + pprint_com(test_text) + doc = nlp_std(test_text) + print('\nFINED-TUNED NER MODEL PREDICTIONS:') + for ent in doc.ents: + print(ent.text, ent.label_) + + print('-'*50) + print('STANDARD NER MODEL PREDICTIONS:') + nlp_reloaded = spacy.load('it_core_news_sm') + doc_STD = nlp_reloaded(test_text) + for ent in doc_STD.ents: + print(ent.text, ent.label_) + + + def export_dataset_doccano(self, outputfile_name): + """ + Doccano JSONL data format: + {"text": "EU rejects German call to boycott British lamb.", "labels": [ [0, 2, "ORG"], [11, 17, "MISC"], ... ]} + {"text": "Peter Blackburn", "labels": [ [0, 15, "PERSON"] ]} + {"text": "President Obama", "labels": [ [10, 15, "PERSON"] ]} + """ + data = self.TRAIN_DATA + revision_data = self.get_rehearsal_data() + if data is not None: + output = self.merge_rehearsed(data, revision_data) + else: + output = [{'text': doc[0].text, 'labels': doc[1]['entities']} for doc in revision_data] + + with jsonlines.open(f'./commentaries/data_parsed/doccano_data/{outputfile_name}.jsonl', mode='w') as writer: + writer.write_all(output) + + + def merge_rehearsed(self, data, revision_data): + res = [] + revision_data = revision_data + for i, comment in enumerate(data): + _tmp = comment[1]['entities'] + revision_data[i][1]['entities'] + res.append({'text':comment[0], 'labels':_tmp}) + + labels_solved = [solve_overlap(l['labels']) for l in res] + + for l in labels_solved: + check_overlap(l) + # TODO: one "WORK OF ART" label got labelled as "\rnWORK_OF_ART" ??? + + for i, solved_ent in enumerate(labels_solved): + res[i]['labels'] = solved_ent + + return res + + + def import_dataset_doccano(self, path): + data = [] + with open(path) as infile: + content = infile.read().splitlines() + + for line in content: + json_data = json.loads(line) + ent = {'entities':[]} + ent['entities'] = json_data['labels'] + data.append((json_data['text'], ent)) + + self.TRAIN_DATA = data + return data + +if __name__ == '__main__': + data = DataSetBuilder(df_commentary, df_ner_unique) + + ner_lookup, ner_clean_lookup = data.get_NER_lookup() + data.get_commentaries() + #data.build_train_data() + #data.train_model() + #data.export_dataset_doccano() + #data.import_dataset_doccano('./commentaries/data_parsed/doccano_data/file.json1') + #data.train_model() diff --git a/preprocessing/xml_parser.py b/preprocessing/xml_parser.py new file mode 100644 index 0000000..c551f3d --- /dev/null +++ b/preprocessing/xml_parser.py @@ -0,0 +1,66 @@ +from xml.etree import ElementTree +from xml.etree.ElementTree import parse +from pprint import pprint +import pandas as pd + +XML_PATH = '../commentaries/' +abs_path = '/home/andrea/sviluppo/hdn/commentaries/rime-final.xml' +corpus = parse(abs_path, parser=ElementTree.XMLParser(encoding='utf-8')) # TODO: check correct encoding (e.g., ' mia provedença') +commentaries = corpus.find('Notes') + + + +def remove_whitespaces(text): + if text is None: + return + text = text.lstrip() + text = text.rstrip() + return text + +def clear_comment(comment): + comment = comment.replace('', '') + comment = comment.replace('', '') + comment = comment.replace('\\n', '') + comment = remove_whitespaces(comment) + return comment + +final_res = [] +for comment in commentaries.iterfind('Nota'): + _tmp = [] + text = _tmp.append(remove_whitespaces(comment.find('Testo').text)) + body = comment.find('Body') + _tmp.append(clear_comment(ElementTree.tostring(body, encoding='unicode'))) # ?? This is not the way I did it the first time ... + quotations = [] + #print(list(comment)) + for element in list(comment): + if element.tag == 'Citazione': + quotation = element + fragment = quotation.find('Frammento') + quot_type = quotation.find('Tipo') + info_quoted_work = quotation.find('InfoOperaCitata') + work_uri = info_quoted_work.find('OperaURI') + work_title = info_quoted_work.find('TitoloOpera') + quot_work_type = info_quoted_work.find('TipoOpera') + quot_theme = info_quoted_work.find('Area') + author_details = info_quoted_work.find('Autore') + work_author = author_details.find('Name') + author_uri = author_details.find('URI') + _to_append = [fragment, quot_type, work_uri, work_title, + work_author, author_uri, quot_theme, quot_work_type] + + for i, elem in enumerate(_to_append): + if elem is None: + _to_append[i] = '_EMPTY' + else: + _to_append[i] = remove_whitespaces(elem.text) + quotations.append(_to_append) + + for elem in quotations: + _to_append = _tmp + elem + final_res.append(_to_append) + +df_out = pd.DataFrame(final_res, columns=['text', 'comment', 'fragment', 'quot_type', + 'quot_uri', 'quot_title', 'quot_author', + 'author_uri', 'quot_theme', 'quot_work_type']) + +df_out.to_csv('../commentaries/data_parsed/rime_DF.csv', index=False) \ No newline at end of file