941 KiB
941 KiB
text,comment,fragment,quot_type,quot_uri,quot_title,quot_author,author_uri,quot_theme,quot_work_type OMNIUM HOMINUM,"per Brugnoli il solenne <i>incipit</i> ricalca certamente Sallustio, <i>Catilinae coniuratio</i>, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit; il luogo era noto a Dante probabilmente attraverso <i>monita</i> o forse per un tramite simile a Isidoro, <i>Etymologiae</i>, XI 15 che pure riporta in parte e per lo stesso scopo di D. il prologo di Sallustio (Giorgio Brugnoli, <i>Sallustio Crispo, Caio</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 1077)","Catilinae coniuratio, I 1: Omneis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope sese student summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit;",CITAZIONE ESPLICITA,http://it.dbpedia.org/resource/De_Catilinae_coniuratione,De Catilinae coniuratione,Sallustio,http://dbpedia.org/resource/Sallust,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, <i>Verità</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione <i>Vinay</i> di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di <i>quos</i>, salvo rifiutare d’intendere <i>natura superior</i> come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di <i>Mn</i> II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al <i>sapere</i> (cfr. <i>Conv</i>. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da <i>Nardi</i>, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della <i>Metafisica</i> aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a <i>sapere</i>”. Il “<i>sapere</i>” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di <i>sapere</i>. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del <i>Convivio</i> (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della <i>Monarchia</i>, e all’“impresso” del <i>Paradiso</i>, XVII, 76-7"". Alla <i>natura in mente primi motoris, qui Deus est</i> di <i>Mn</i> II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e <i>Imbach</i>; v. già <i>Pézard</i>: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita <i>Pd</i> VII 127 (ma è <i>Pd</i> VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di <i>Pg</i> XXV 70 rinvia <i>Kay</i>: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 <i>Cassell</i> sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, <i>Natura</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in <i>VE</i> I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",prologo della Metafisica aristotelica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, <i>Verità</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione <i>Vinay</i> di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di <i>quos</i>, salvo rifiutare d’intendere <i>natura superior</i> come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di <i>Mn</i> II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al <i>sapere</i> (cfr. <i>Conv</i>. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da <i>Nardi</i>, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della <i>Metafisica</i> aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a <i>sapere</i>”. Il “<i>sapere</i>” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di <i>sapere</i>. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del <i>Convivio</i> (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della <i>Monarchia</i>, e all’“impresso” del <i>Paradiso</i>, XVII, 76-7"". Alla <i>natura in mente primi motoris, qui Deus est</i> di <i>Mn</i> II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e <i>Imbach</i>; v. già <i>Pézard</i>: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita <i>Pd</i> VII 127 (ma è <i>Pd</i> VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di <i>Pg</i> XXV 70 rinvia <i>Kay</i>: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 <i>Cassell</i> sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, <i>Natura</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in <i>VE</i> I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",si legge tanto in Graziano quanto in Accursio,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK QUOS ... NATURA SUPERIOR,"per questo luogo e per l’idea che l’amore della verità è impresso dalla natura nell’uomo v. Alfonso Maierù, <i>Verità</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 961. Credo che abbia ragione <i>Vinay</i> di propendere per escludere un senso grammaticalmente restrittivo di <i>quos</i>, salvo rifiutare d’intendere <i>natura superior</i> come ""Dio"" (così, a mo’ di chiosa, si legge nell’Anonimo, p. 127: ""la natura di sopra, cioè Dio""), ritenendola una ""espressione generica in cui il “superior” non ha valore specifico come non lo ha in “preter superiorem influentiam”"" di <i>Mn</i> II vi 6; giudico però che non sia il caso di giungere fino all’uso di un genericissimo ""dall’alto"", né mi pare più appropriato tradurre ""una forza soprannaturale"" (Ronconi 1966). Che ""non di tutti gli uomini"" si parli qui, ""né della generica aspirazione umana al <i>sapere</i> (cfr. <i>Conv</i>. I, i, 1), ma soltanto di quelli che hanno speciale amore della verità"" è sostenuto da Ricci 1965, severamente ripreso da <i>Nardi</i>, p. 280, per il quale ""Dante arieggia il principio del prologo della <i>Metafisica</i> aristotelica: “Tutti gli uomini per natura aspirano a <i>sapere</i>”. Il “<i>sapere</i>” non è, come trovo affermato, “generica aspirazione umana”, poiché, per Aristotele, esso costituisce il fine supremo di tutti gli uomini, consistente nella speculazione della Sapienza che massimamente è in Dio, secondo le capacità di ciascuno. Sì che, per lui, alla conoscenza del vero tutti gli uomini sono sospinti dallo stesso impulso naturale impresso in tutti dalla “natura superiore”, e non soltanto in “quelli che hanno speciale amore della verità”. La verità, tanto per Aristotele come per Dante, è quella che compie il desiderio naturale di <i>sapere</i>. Questo “amore del vero” è impresso nell’uomo in quanto tale, e perciò in tutti gli uomini, dalla natura superiore, in quanto ciascuna cosa è, come si legge in principio del <i>Convivio</i> (I, i, 1, secondo i codici migliori), “da providenza di prima natura impinta”. “Impinta” corrisponde all’“impressit” della <i>Monarchia</i>, e all’“impresso” del <i>Paradiso</i>, XVII, 76-7"". Alla <i>natura in mente primi motoris, qui Deus est</i> di <i>Mn</i> II ii 2 rinviano Pizzica 1988 e <i>Imbach</i>; v. già <i>Pézard</i>: ""c’est en somme Dieu, la “nature naturante” des scholastiques"", che cita <i>Pd</i> VII 127 (ma è <i>Pd</i> VIII 127-8: ""La circular natura ch’è suggello / a la cera mortal""); a ""lo motor primo"" di <i>Pg</i> XXV 70 rinvia <i>Kay</i>: ""Dante means God, who created each man’s rational soul [...], which is the part of him that desires to know"". Rinviando a Tierney 1963 <i>Cassell</i> sottolinea il carattere autoritativo della terminologia dantesca, che dimostrerebbe già nell’esordio familiarità ""with a formula common in the study of law"", cioè con quell’identificazione di diritto divino e diritto naturale che si legge tanto in Graziano quanto in Accursio (e per la quale cfr. più oltre, I iii 2 e altrove, con i cruciali passaggi di III x 7 e III xiv 2). D’altro canto Enzo Volpini, <i>Natura</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 15, scrive che ""all’opposto ‘natura inferior’ designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare"" (come in <i>VE</i> I iv 6: ""imperio nature inferioris, que ministra et factura Dei est"").",si legge tanto in Graziano quanto in Accursio,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con <i>res publica</i> (rafforzato dal successivo richiamo alla <i>publica utilitas</i>). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la <i>publica utilitas</i> (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di <i>bonum commune</i>). <i>Cassell</i> vede qui un calco molto ravvicinato dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di <i>imbutus</i>: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (<i>Ps</i> 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la <i>De Psalmorum libro exegesis</i> che va sotto il nome del Venerabile Beda, <i>PL</i> 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di <i>documenta</i> in chiusura di <i>Mn</i> III XVI 8 e 10 (<i>phylosophica documenta</i>), ancora III XVI 8 (<i>documenta spiritualia</i>) e III XVI 12 (<i>universalia</i> <i>documenta</i>), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc <i>docimen</i> quod et <i>documen</i> invenitur, unde hoc <i>documentum</i>. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da <i>Vinay</i>, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende <i>res publica</i> come società, dando a <i>publicis documentis</i> il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al <i>De regimine Christiano</i> di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. <i>Nardi</i> sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da <i>Kay</i>, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare <i>Nardi</i>, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della <i>Politica</i> e dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","De Psalmorum libro exegesis che va sotto il nome del Venerabile Beda, PL 93, coll. 486-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Psalmorum_libro_exegesis_(Beda_il_Venerabile),De psalmorum libro exegesis,Beda il Venerabile,http://dbpedia.org/resource/Bede,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con <i>res publica</i> (rafforzato dal successivo richiamo alla <i>publica utilitas</i>). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la <i>publica utilitas</i> (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di <i>bonum commune</i>). <i>Cassell</i> vede qui un calco molto ravvicinato dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di <i>imbutus</i>: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (<i>Ps</i> 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la <i>De Psalmorum libro exegesis</i> che va sotto il nome del Venerabile Beda, <i>PL</i> 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di <i>documenta</i> in chiusura di <i>Mn</i> III XVI 8 e 10 (<i>phylosophica documenta</i>), ancora III XVI 8 (<i>documenta spiritualia</i>) e III XVI 12 (<i>universalia</i> <i>documenta</i>), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc <i>docimen</i> quod et <i>documen</i> invenitur, unde hoc <i>documentum</i>. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da <i>Vinay</i>, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende <i>res publica</i> come società, dando a <i>publicis documentis</i> il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al <i>De regimine Christiano</i> di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. <i>Nardi</i> sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da <i>Kay</i>, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare <i>Nardi</i>, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della <i>Politica</i> e dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","Ps 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con <i>res publica</i> (rafforzato dal successivo richiamo alla <i>publica utilitas</i>). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la <i>publica utilitas</i> (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di <i>bonum commune</i>). <i>Cassell</i> vede qui un calco molto ravvicinato dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di <i>imbutus</i>: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (<i>Ps</i> 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la <i>De Psalmorum libro exegesis</i> che va sotto il nome del Venerabile Beda, <i>PL</i> 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di <i>documenta</i> in chiusura di <i>Mn</i> III XVI 8 e 10 (<i>phylosophica documenta</i>), ancora III XVI 8 (<i>documenta spiritualia</i>) e III XVI 12 (<i>universalia</i> <i>documenta</i>), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc <i>docimen</i> quod et <i>documen</i> invenitur, unde hoc <i>documentum</i>. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da <i>Vinay</i>, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende <i>res publica</i> come società, dando a <i>publicis documentis</i> il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al <i>De regimine Christiano</i> di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. <i>Nardi</i> sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da <i>Kay</i>, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare <i>Nardi</i>, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della <i>Politica</i> e dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)",1181 a,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PUBLICIS DOCUMENTIS IMBUTUS,"l'espressione è variamente interpretata, ma il suo significato non può che trarsi dalla vicinanza con <i>res publica</i> (rafforzato dal successivo richiamo alla <i>publica utilitas</i>). Ritengo indispensabile conservare questa sequenza insistente sul carattere pubblico del debito di chi abbia ricevuto una formazione pubblica, debito la cui soddisfazione non può non riguardare la <i>publica utilitas</i> (concetto giuridico di radice ciceroniana, affine ma non coincidente con quello teologico-politico di <i>bonum commune</i>). <i>Cassell</i> vede qui un calco molto ravvicinato dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, 1181 a. Comunque sia pare qui doveroso conservare il senso originario di <i>imbutus</i>: non solamente formato o istruito, ma nutrito, imbevuto, abbeverato (cfr. più oltre, I XIII 6), perché prelude alla figura scritturale dell'albero piantato lungo il corso d'acqua (<i>Ps</i> 1, 3: Et erit tanquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, per il quale Dante può aver avuto presente la <i>De Psalmorum libro exegesis</i> che va sotto il nome del Venerabile Beda, <i>PL</i> 93, coll. 486-7). Ad ogni buon conto cfr. l'uso di <i>documenta</i> in chiusura di <i>Mn</i> III XVI 8 e 10 (<i>phylosophica documenta</i>), ancora III XVI 8 (<i>documenta spiritualia</i>) e III XVI 12 (<i>universalia</i> <i>documenta</i>), sempre nel significato esposto da Uguccione, D 78, 2: Item a doceo hoc <i>docimen</i> quod et <i>documen</i> invenitur, unde hoc <i>documentum</i>. Ogni accentuazione del carattere politico dell'espressione è rifiutata da <i>Vinay</i>, che esclude la resa ficiniana amaestrato di publiche dotrine (p. 328), simile a quella dell'Anonimo (amaestrato nella republicha), e intende <i>res publica</i> come società, dando a <i>publicis documentis</i> il generico significato di formazione; né appare del tutto pertinente il rimando al <i>De regimine Christiano</i> di Giacomo da Viterbo, che distingue la doctrina publica dalla privata, ma solo in relazione a ciò che la Chiesa insegna ad salutem et edificationem fidelium. <i>Nardi</i> sceglie insegnamenti concernenti la vita pubblica e comune benessere; Sanguineti 1985 preferisce questioni sociali e stato; Shaw 1996 teachings which form our common heritage e community, seguita da <i>Kay</i>, il quale, facendo cenno nel commento a ""public teachings"", i.e. doctrines that, by being made public (published), have become common property, traduce the common fund of knowledge e the common welfare, prendendo poi le distanze in nota da quanti si sono affaticati a fornire un elenco dei possibili contenuti di tali pubblici insegnamenti (in particolare <i>Nardi</i>, che ai libri di diritto civile e canonico con la loro Glossa affianca l'Aristotele della <i>Politica</i> e dell'<i>Etica a Nicomaco</i>, e Pizzica 1988, che a quell'elenco aggiunge Boezio e Cicerone e, in genere, tutti i venerati maestri di sapienza, antichi o meno, per il ruolo che hanno nella formazione dell'individuo di alta moralità e di nobile intelletto)","D 78, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in <i>Mt</i> 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in <i>Lc</i> 19, 12-27). <i>Vinay</i> cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, <i>In Evangelia</i> <i>S. Matthaei Commentaria</i>, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in Mt 25, 14-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in <i>Mt</i> 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in <i>Lc</i> 19, 12-27). <i>Vinay</i> cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, <i>In Evangelia</i> <i>S. Matthaei Commentaria</i>, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","parabola delle dieci mine in Lc 19, 12-27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK NE DE INFOSSI TALENTI CULPA ... REDARGUAR,"la parabola evangelica dei talenti, alla quale si allude, è in <i>Mt</i> 25, 14-30 (e come parabola delle dieci mine in <i>Lc</i> 19, 12-27). <i>Vinay</i> cita a tale proposito Tommaso d'Aquino, <i>In Evangelia</i> <i>S. Matthaei Commentaria</i>, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra","In Evangelia S. Matthaei Commentaria, 25 [14-30]: Si quando videris aliquem qui virtutem habet docendi et animabus proficiendi et hanc virtutem occultat, quamvis habeat quamdam religionem conversationis, non dubites dicere talem esse qui accepit unum talentum et abscondit ipsum in terra",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_Evangelia_S._Matthaei_et_S._Joannis_commentaria(Tommaso),In Evangelia S. Matthaei et S. Joannis commentaria,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PUBLICE UTILITATI,"alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di <i>publice</i> in E, come se il suo codice avesse <i>posteritati</i> traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la <i>ratio</i> del <i>ius publicum</i> nella partizione scolastica di pubblico e privato in <i>Inst</i>. 1, 1, § 4 e in <i>Dig</i>. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (<i>Vinay</i>, Ronconi 1966), a pro del viver civile (<i>Nardi</i>), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (<i>Imbach</i>); the benefit of all (Shaw 2006). <i>Pézard</i> non traduce","Inst. 1, 1, § 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK PUBLICE UTILITATI,"alla publica utilità ricalca l'Anonimo; Ficino, che forse riflette difficoltà di lettura testimoniate dalla lacuna di <i>publice</i> in E, come se il suo codice avesse <i>posteritati</i> traduce a' posteri). L'utilità pubblica è la <i>ratio</i> del <i>ius publicum</i> nella partizione scolastica di pubblico e privato in <i>Inst</i>. 1, 1, § 4 e in <i>Dig</i>. 1, 1, 1 § 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1). Non del tutto appropriate perciò traduzioni come bene comune (<i>Vinay</i>, Ronconi 1966), a pro del viver civile (<i>Nardi</i>), benessere collettivo (Pizzica 1988); für den öffentlichen Nutzen (<i>Imbach</i>); the benefit of all (Shaw 2006). <i>Pézard</i> non traduce","Dig. 1, 1, 1 § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “<i>monarchia</i>” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, <i>Temporale</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 552); cfr. <i>Cv</i> IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’<i>Introduzione</i> di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (<i>Litterae encyclicae Imperatoris</i>, <i>Encyclica in forma maiori</i>, in <i>MGH, Legum Sectio</i> IV, <i>Constitutiones et acta publica imperatorum et regum</i>, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, <i>Introduzione</i>). Che la nozione della <i>monarchia</i> temporale non avesse ancora trovato una esposizione <i>in forma tractatus</i>, cioè in una collana di <i>quaestiones</i> d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine <i>monarchia</i> non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone <i>Futuram ecclesiam</i> che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il <i>Polycarpus</i> passa nel <i>Decretum Gratiani</i>: ""Romani principes, qui <i>totius orbis monarchiam</i> tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, <i>Kay</i> ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua <i>Summa Decretorum</i> (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. <i>Futuram ecclesiam</i> scriveva: ""<i>monarchiam</i>, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (<i>Summa Decretorum</i>, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle <i>Etymologiae</i> isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""<i>Futuram eccl</i>. etc. usque <i>totius orbis monarchiam</i>, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et <i>monarchia</i> dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia <i>principatus</i> interpretatur"" (<i>Summa über das Decretum</i> <i>Gratiani</i>, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come <i>imperium</i>, <i>principatus</i>, <i>regnum</i>, <i>dominium</i>. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo <i>Defensor Pacis</i> può definire la <i>monarchia</i> regia ""temperatus <i>principatus</i>, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel <i>De translatione Imperii</i> scrive ""universale <i>dominium</i> dicitur <i>monarchia</i>"" (<i>Vinay</i>), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di <i>monarchia</i> nel <i>De regimine civitatis</i>: ""<i>monarchia</i> sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","enciclica emanata per l'incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret (Litterae encyclicae Imperatoris, Encyclica in forma maiori, in MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, Introduzione",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Exultet_in_gloria(Clemente_V),Exultet in gloria (Enciclica),Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “<i>monarchia</i>” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, <i>Temporale</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 552); cfr. <i>Cv</i> IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’<i>Introduzione</i> di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (<i>Litterae encyclicae Imperatoris</i>, <i>Encyclica in forma maiori</i>, in <i>MGH, Legum Sectio</i> IV, <i>Constitutiones et acta publica imperatorum et regum</i>, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, <i>Introduzione</i>). Che la nozione della <i>monarchia</i> temporale non avesse ancora trovato una esposizione <i>in forma tractatus</i>, cioè in una collana di <i>quaestiones</i> d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine <i>monarchia</i> non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone <i>Futuram ecclesiam</i> che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il <i>Polycarpus</i> passa nel <i>Decretum Gratiani</i>: ""Romani principes, qui <i>totius orbis monarchiam</i> tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, <i>Kay</i> ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua <i>Summa Decretorum</i> (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. <i>Futuram ecclesiam</i> scriveva: ""<i>monarchiam</i>, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (<i>Summa Decretorum</i>, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle <i>Etymologiae</i> isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""<i>Futuram eccl</i>. etc. usque <i>totius orbis monarchiam</i>, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et <i>monarchia</i> dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia <i>principatus</i> interpretatur"" (<i>Summa über das Decretum</i> <i>Gratiani</i>, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come <i>imperium</i>, <i>principatus</i>, <i>regnum</i>, <i>dominium</i>. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo <i>Defensor Pacis</i> può definire la <i>monarchia</i> regia ""temperatus <i>principatus</i>, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel <i>De translatione Imperii</i> scrive ""universale <i>dominium</i> dicitur <i>monarchia</i>"" (<i>Vinay</i>), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di <i>monarchia</i> nel <i>De regimine civitatis</i>: ""<i>monarchia</i> sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","Decretum Gratiani: Romani principes, qui totius orbis monarchiam tenebant (c. 15, C. XII, q",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “<i>monarchia</i>” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, <i>Temporale</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 552); cfr. <i>Cv</i> IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’<i>Introduzione</i> di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (<i>Litterae encyclicae Imperatoris</i>, <i>Encyclica in forma maiori</i>, in <i>MGH, Legum Sectio</i> IV, <i>Constitutiones et acta publica imperatorum et regum</i>, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, <i>Introduzione</i>). Che la nozione della <i>monarchia</i> temporale non avesse ancora trovato una esposizione <i>in forma tractatus</i>, cioè in una collana di <i>quaestiones</i> d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine <i>monarchia</i> non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone <i>Futuram ecclesiam</i> che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il <i>Polycarpus</i> passa nel <i>Decretum Gratiani</i>: ""Romani principes, qui <i>totius orbis monarchiam</i> tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, <i>Kay</i> ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua <i>Summa Decretorum</i> (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. <i>Futuram ecclesiam</i> scriveva: ""<i>monarchiam</i>, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (<i>Summa Decretorum</i>, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle <i>Etymologiae</i> isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""<i>Futuram eccl</i>. etc. usque <i>totius orbis monarchiam</i>, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et <i>monarchia</i> dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia <i>principatus</i> interpretatur"" (<i>Summa über das Decretum</i> <i>Gratiani</i>, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come <i>imperium</i>, <i>principatus</i>, <i>regnum</i>, <i>dominium</i>. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo <i>Defensor Pacis</i> può definire la <i>monarchia</i> regia ""temperatus <i>principatus</i>, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel <i>De translatione Imperii</i> scrive ""universale <i>dominium</i> dicitur <i>monarchia</i>"" (<i>Vinay</i>), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di <i>monarchia</i> nel <i>De regimine civitatis</i>: ""<i>monarchia</i> sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).","Summa Decretorum (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. Futuram ecclesiam scriveva: monarchiam, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps (Summa Decretorum, ed. Singer, p. 322);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretorum(Rufino),Summa decretorum,Rufino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rufino,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK TEMPORALIS MONARCHIE NOTITIA,"“temporale” è costante attributo di “<i>monarchia</i>” qui così come più sotto, I ii 1-2 e altrove (v. Alessandro Niccoli, <i>Temporale</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 552); cfr. <i>Cv</i> IV iv 5: ""Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere"". Per l’esplicita allusione al titolo dell’opera cfr. l’<i>Introduzione</i> di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LXXIV. Molte le assonanze con l’enciclica emanata per l’incoronazione di Enrico VII (29 giugno 1312): ""Magnus Dominus et laudabilis valde, qui in excelso divinitatis sue solio residens universis, que sue magestatis ineffabilis potencia condidit, clementer et suaviter imperat, tanto dignitatis honore et decore glorie hominem quem inter universa creaverat extulit, ut cui imaginem sue divinitatis impresserat, super cuncta que fecit tribueret principatum et ut creatura tam nobilis a celestium hierarchia non differret similitudine ordinis, cum quibus convenit grandi parilitate nature, voluit, ut quemadmodum sub se Deo uno omnes ordines celestium agminum militant, sic universi homines distincti regnis et provinciis separati uni principi monarche subessent, quatinus eo consurgeret machina mundi preclarior, quo ab uno Deo suo factore progrediens sub uno principe moderata et in se pacis ac unitatis augmenta susciperet et in unum Deum et dominum per amoris gressum et devote fidei stabilimenta rediret"" (<i>Litterae encyclicae Imperatoris</i>, <i>Encyclica in forma maiori</i>, in <i>MGH, Legum Sectio</i> IV, <i>Constitutiones et acta publica imperatorum et regum</i>, IV, 2, ed. Schwalm, n. 801, p. 802; e cfr. sopra, <i>Introduzione</i>). Che la nozione della <i>monarchia</i> temporale non avesse ancora trovato una esposizione <i>in forma tractatus</i>, cioè in una collana di <i>quaestiones</i> d’indole “monografica”, non è asserzione abusiva. L’acquisizione del termine <i>monarchia</i> non era recente; la si trova già nei Padri e in quel canone <i>Futuram ecclesiam</i> che dalle c.d. Decretali pseudo-isidoriane e attraverso Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e il <i>Polycarpus</i> passa nel <i>Decretum Gratiani</i>: ""Romani principes, qui <i>totius orbis monarchiam</i> tenebant"" (c. 15, C. XII, q. i: Friedberg, I, col. 682). Sulla scorta di Watt 1964, p. 180, <i>Kay</i> ricorda la prima parte di una glossa di Rufino, che nella sua <i>Summa Decretorum</i> (Schulte, I, pp. 121-30; Kuttner, pp. 131-2), in margine al c. <i>Futuram ecclesiam</i> scriveva: ""<i>monarchiam</i>, i. e. singularem et unicum principatum: monos enim grece, latine unus; archos i. e. princeps"" (<i>Summa Decretorum</i>, ed. Singer, p. 322); ma già prima di lui Paucapalea (Schulte, I, pp. 109-14; Kuttner, pp. 123-67), attingendo anch’egli al grande serbatoio delle <i>Etymologiae</i> isidoriane, aveva fornito un’interpretazione analoga, pur se di minore incisività: ""<i>Futuram eccl</i>. etc. usque <i>totius orbis monarchiam</i>, i. e. singularem principatum tenebant. Monarchae sunt, quicunque singularem possident principatum, qualis fuit Alexander apud graecos, Iulius apud romanos. Hinc et <i>monarchia</i> dicitur. Monos quippe graeco nomine latine singularitas, archia <i>principatus</i> interpretatur"" (<i>Summa über das Decretum</i> <i>Gratiani</i>, ed. Schulte, p. 80). Ciò non va dimenticato quando si pensi a un Dante immerso nella rinascenza del linguaggio politico dell’antichità più dei civilisti del suo tempo, che nel Digesto o nel Codice non trovavano che espressioni come <i>imperium</i>, <i>principatus</i>, <i>regnum</i>, <i>dominium</i>. Se Marsilio da Padova nel pressoché contemporaneo <i>Defensor Pacis</i> può definire la <i>monarchia</i> regia ""temperatus <i>principatus</i>, in quo dominans est unicus ad commune conferens et subditorum voluntatem sive consensum"" (I viii 3, ed. Scholz, I, p. 38), e se Landolfo Colonna, che muore dieci anni dopo Dante, nel <i>De translatione Imperii</i> scrive ""universale <i>dominium</i> dicitur <i>monarchia</i>"" (<i>Vinay</i>), a distanza di una generazione Bartolo deve ancora “tradurre” in linguaggio giuridico la parola e la nozione di <i>monarchia</i> nel <i>De regimine civitatis</i>: ""<i>monarchia</i> sive gubernatio unius regis"" (ed. Quaglioni 1983, p. 153).",attingendo anch’egli al grande serbatoio delle Etymologiae isidoriane,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; <i>Kay</i> rievoca, appigliandosi a <i>Nardi</i>, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in <i>Cv</i> IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come <i>vera philosophia</i> (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al <i>De regimine Chistiano</i> di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_christiano(Giacomo_da_Viterbo),De regimine christiano,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; <i>Kay</i> rievoca, appigliandosi a <i>Nardi</i>, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in <i>Cv</i> IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come <i>vera philosophia</i> (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al <i>De regimine Chistiano</i> di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT AB OMNIBUS INTEMPTATA,"cfr. sopra, I i 3; <i>Kay</i> rievoca, appigliandosi a <i>Nardi</i>, l’idea secondo cui l’originalità di Dante riposerebbe nella collocazione del discorso su di un piano filosofico anziché “legalistico”, e in particolare sulla sistematica ricerca di princìpi primi; analoghe semplificazioni si leggono già in Ricci 1965a. I “princìpi primi” tuttavia, così come sono già espressi in <i>Cv</i> IV iv 1 (""lo fondamento radicale della imperiale maiestade""), appartengono tanto alla filosofia quanto al diritto, che Dante, nemico di ogni concezione praticistica, non poteva intendere che come <i>vera philosophia</i> (cfr. Fenzi 2004, p. 100). Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al <i>De regimine Chistiano</i> di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001.","Una visione equilibrata del pensiero di Dante, in stretta relazione a Tommaso, Tolomeo da Lucca e al De regimine Chistiano di Giacomo da Viterbo è in Ghisalberti 2001",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT IN HIIS ET SUPER HIIS,"l'Anonimo ha sopra tutti, Ficino in quelle cose. Così tra i moderni anche <i>Nardi</i>, tra quelle cose e su quelle cose, <i>Imbach</i>, in allem und über alles, e Shaw 1996, in those things and over those things. Non vedo ragioni per intendere in ciò e al di sopra di ciò (Marcelli-Martelli 2004), e meno che mai tra quelle istituzioni che si definiscono in un ambito temporale e tuttavia superiore ad esse, come traduce Pizzica 1988, che segue Ricci 1965 rinviando a <i>Cv</i> IV IV 7; l' però Dante, con trasparente allusione al principio romanistico Quod principi placuit, legis habet vigorem (<i>Dig</i>. 1, 4, 1 pr.: Mommsen-Krüger, I, p. 7), si limita a definire l'ufficio della <i>maiestas</i> imperiale come vertice del potere: E questo officio per eccellenza Imperio è chiamato, sanza nulla addizione, però che esso è di tutti li altri comandamenti comandamento. E così chi a questo officio è posto è chiamato Imperadore, però che di tutti li comandatori elli è comandatore, e quello che esso dice a tutti è legge, e per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade. E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade essere altissima nell'umana compagnia. Io penso invece a <i>Cv</i> IV IX 8-9, dove appunto si ricorda che all'imperatore si deve un'obbedienza legittima, cioè limitata alla sua <i>iurisdictio</i> (che non eccede il temporale): questo officiale [...] di cui si parla, cioè lo Imperadore, al quale tanto quanto le nostre operazioni propie, che dette sono, si stendono, siamo subietti; e più oltre no; cfr. più sotto, I XIV 7",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Exultet_in_gloria(Clemente_V),Exultet in gloria (Enciclica),Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK OMNIS VERITAS QUE NON EST PRINCIPIUM,"ogni verità che nonn-è prencipio (Ficino), ongni verità che non è principio (Anonimo). Così con pulizia anche <i>Nardi</i>: ogni verità che non sia un principio. Non si vede la necessità di tradurre ogni verità che non sia assiomatica (Pizzica 1988), troppo distante dalla terminologia dantesca; similmente Ronconi 1966: un postulato; <i>Vinay</i> preferisce parafrasare: Per risolvere tali problemi, la prima cosa da fare mi sembra sia ricercare un principio tale da poter fondare su di esso il seguito del discorso, allegando il commento tomista ai <i>Secondi Analitici</i> di Aristotele (99 b 20), sulla necessità, per ogni scienza dimostrativa, di procedere da proposizioni per sé evidenti: necesse est quod demonstrativa scientia, idest que per demonstrationem acquiritur, procedat ex propositionibus veris primis et immediatis idest que non per aliquod medium demonstrantur sed per seipsas sunt manifeste. Si tratta appunto di ciò che Dante chiama lo fondamento radicale in <i>Cv</i> IV IV 1 (cfr. sopra, I I 5) e intelletto / de le prime notizie in <i>Pg</i> XVIII 55-6. Cfr. la voce <i>Proposizione</i> di Barbara Faes de Mottoni, <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 710-1; <i>Kay</i> allega a proposito la voce <i>Principio</i> di Alfonso Maierù, ivi, pp. 673-7 (pp. 675-6 per il luogo in esame); e cfr. del compianto studioso anche la già citata voce <i>Verità</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 962-4",99 b 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_libri_Posteriorum_Analyticorum(Tommaso),Expositio libri Posteriorum Analyticorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PRESENS TRACTATUS EST INQUISITIO QUEDAM,"qui <i>tractatus</i> ha il significato non generico di “raccolta ordinata di <i>quaestiones</i> intorno ad un unico soggetto”; stessa specificità ha il termine <i>inquisitio</i>, ""indagine"", ""inchiesta"", ""investigazione"" o solo ""inquisizione"" (Ficino e l’Anonimo, p. 129, conservano ""inquisitione"", ""inquisizione""), termine tecnico che allude al procedere del giudizio <i>per quaestiones</i>, tanto nel dominio della logica quanto in quello della prassi giudiziale (<i>ordo iudiciorum</i>); v. la voce <i>Inquisizione</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, p. 458, a proposito del luogo in esame e con rimando a Cicerone, <i>De officiis</i>, I 4 13 (""veri <i>inquisitio</i> atque investigatio""). <i>Vinay</i> intende ""una ricerca sillogistica"", Ronconi 1966 ""una ricerca deduttiva"" e Sanguineti 1985 ""un’indagine sillogistica""; <i>Kay</i> spiega: ""an investigation that follows Aristotle’s scientific method""; eludono il senso tecnico dell’espressione la traduzione ""una qualche ricerca"" (Marcelli-Martelli 2004).",I 4 13,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK SPECULARI ... OPERARI,"v. la voce <i>Speculare</i> di Emilio Pasquini, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 369-70. <i>Vinay</i> forza alquanto il testo col tradurre: ""vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico"". Spiega però opportunamente: ""È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica"". <i>Nardi</i> ricorda che ""per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a <i>Conv</i>., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla <i>Logica</i>"". Si veda Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 14, a. 16, <i>Resp</i>.: ""Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam <i>intellectus practicus differt fine a speculativo</i>, sicut dicit in III <i>de Anima</i> [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili"".",il capitolo introduttivo di Avicenna alla Logica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Introduzione_alla_logica(Avicenna),Introduzione alla logica,Avicenna,http://dbpedia.org/resource/Avicenna,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SPECULARI ... OPERARI,"v. la voce <i>Speculare</i> di Emilio Pasquini, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 369-70. <i>Vinay</i> forza alquanto il testo col tradurre: ""vi sono delle realtà le quali, non essendo in nostro potere, hanno per noi un interesse soltanto speculativo e non pratico"". Spiega però opportunamente: ""È la comune distinzione tra attività speculativa e attività pratica, rivolta la prima alla ricerca del vero, la seconda “ad finem operationis”: punto di contatto la speculazione “de re operabili” che è il fondamento di ogni studio teorico sulla politica ed ogni altra disciplina pratica"". <i>Nardi</i> ricorda che ""per la distinzione tra le cose che noi possiamo, sì, conoscere e considerare, ma non siamo in grado di produrre, e le cose che invece siamo in grado non solo di conoscere, ma altresì di fare, si suol rimandare a <i>Conv</i>., IV, ix, 4-7, ove il Busnelli [...] ha illustrato il concetto dantesco per mezzo di copiose citazioni da san Tommaso, ma ha dimenticato la fonte comune da cui Dante e Tommaso ed altri dipendono, cioè il capitolo introduttivo di Avicenna alla <i>Logica</i>"". Si veda Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 14, a. 16, <i>Resp</i>.: ""Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam <i>intellectus practicus differt fine a speculativo</i>, sicut dicit in III <i>de Anima</i> [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili"".","I, q. 14, a. 16, Resp.: Respondeo dicendum quod aliqua scientia est speculativa tantum, aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et secundum aliquid practica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis. Secundo, quantum ad modum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum definiendo et dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siquidem est operabilia modo speculativo considerare, et non secundum quod operabilia sunt: operabile enim est aliquid per applicationem formae ad materiam, non per resolutionem compositi in principia universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam intellectus practicus differt fine a speculativo, sicut dicit in III de Anima [433 a 14]. Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operationis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis. Unde, si quis aedificator consideret qualiter posset fieri aliqua domus, non ordinans ad finem operationis, sed ad cognoscendum tantum, erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re operabili",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (<i>Nardi</i>), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, <i>Politica</i>, 1279 a 22 e si fissa nel <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel <i>Defensor Pacis</i> di Marsilio e nel <i>De regimine civitatis</i> di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (<i>Pézard</i>), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (<i>Imbach</i>). Ha ragione <i>Kay</i> di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".","Politica, 1279 a 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (<i>Nardi</i>), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, <i>Politica</i>, 1279 a 22 e si fissa nel <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel <i>Defensor Pacis</i> di Marsilio e nel <i>De regimine civitatis</i> di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (<i>Pézard</i>), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (<i>Imbach</i>). Ha ragione <i>Kay</i> di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (<i>Nardi</i>), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, <i>Politica</i>, 1279 a 22 e si fissa nel <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel <i>Defensor Pacis</i> di Marsilio e nel <i>De regimine civitatis</i> di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (<i>Pézard</i>), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (<i>Imbach</i>). Ha ragione <i>Kay</i> di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (<i>Nardi</i>), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, <i>Politica</i>, 1279 a 22 e si fissa nel <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel <i>Defensor Pacis</i> di Marsilio e nel <i>De regimine civitatis</i> di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (<i>Pézard</i>), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (<i>Imbach</i>). Ha ragione <i>Kay</i> di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK FONS ATQUE PRINCIPIUM RECTARUM POLITIARUM,"bello e dantesco il ficiniano ""fonte et prencipio d’ogni repta civilità""; bene anche l’Anonimo: ""fonte e principio di tutte le regole politiche"". Si tratta della monarchia universale come fonte e principio di tutti i ""retti ordinamenti civili"" (<i>Nardi</i>), monarchia, aristocrazia, politìa, contrapposti alle forme oblique, tirannide, oligarchia, democrazia, com’è nella tradizione che nasce da Aristotele, <i>Politica</i>, 1279 a 22 e si fissa nel <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano, nell’omonimo trattato di Tommaso d’Aquino e di Tolomeo da Lucca e, più tardi, nel <i>Defensor Pacis</i> di Marsilio e nel <i>De regimine civitatis</i> di Bartolo; non tradurrei invece ""droites formes d’état"" (<i>Pézard</i>), né ""retti ordinamenti statuali"" (Pizzica 1988), né ""das Prinzip aller gerechten Staatsverfassungen"" (<i>Imbach</i>). Ha ragione <i>Kay</i> di notare ""that Dante’s assertion here that universal monarchy is “the source and the principle of the right forms of political organization” indicates that he assumed that in his ideal world order, kingdoms and city-states would exist as governmental units subordinate to the emperor"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK MOVET ENIM PRIMO AGENTEM,"come quello che per primo muove chi agisce (<i>Nardi</i>, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, <i>Principio</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 674-5 e <i>Imbach</i>, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 105, a. 5, <i>Resp</i>.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; <i>Ibid</i>., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae","I, q. 105, a. 5, Resp.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; Ibid., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK MOVET ENIM PRIMO AGENTEM,"come quello che per primo muove chi agisce (<i>Nardi</i>, che rammenta che tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici, da Avicenna a san Tommaso, da Averroè a Sigieri; cfr. anche Alfonso Maierù, <i>Principio</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 674-5 e <i>Imbach</i>, pp. 262-3). Si legge in Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 105, a. 5, <i>Resp</i>.: Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per unum acumen; <i>Ibid</i>., Ia-IIae, q. 1, a. 1, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae",_EMPTY,CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo <i>utilis</i>, attestato anche nella <i>princeps</i> K e <i>nel</i> volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha <i>ultimus utilis</i> e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da <i>Vinay</i>: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; <i>Nardi</i>: ""se v’è un fine <i>del</i> viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; <i>Imbach</i>: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma <i>Imbach</i> 1996a, p. 181, volge ""<i>la fin universelle du genre humain</i>""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; <i>universalis</i> si riferisce infatti a <i>civilitas</i>, com’è <i>del</i> resto in apertura <i>del</i> capitolo seguente, I iii 1: <i>finis totius humane civilitatis</i>, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di <i>Cv</i> IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della <i>imperiale maiestade</i>, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘<i>civiltà</i>’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""<i>civiltà</i> <i>del</i> quarto trattato <i>del</i> Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] <i>nel</i> momento di cruciale e radicale avvio <i>del</i> distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della <i>imperiale maiestade</i> e la “vita felice” non corrisponde più ad un <i>bonum commune</i> come felicità <i>del</i> e <i>nel</i> Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche <i>Vinay</i> ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in <i>Mn</i> III iii 2, o in <i>Ep</i> I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di <i>civilitas</i> e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio <i>del</i> <i>De regimine principum ad regem Cypri</i>, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". <i>Kay</i> riporta il concetto dantesco di <i>civilitas</i> a quello aristotelico di <i>politeia</i>; così anche la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I ix 4, <i>nel</i> vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano <i>del</i> <i>De regimine principum</i> (forma perfetta il <i>regno</i> [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una <i>domus</i>, le sue <i>domus</i> richiedono un’aggregazione in <i>vicinanze</i> e queste devono costituirsi in <i>cittade</i>; ma le città <i>circavicine</i> hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi <i>nel</i> sistema economico e politico d’un <i>regno</i>, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale <i>Monarchia</i>"".","De regimine principum ad regem Cypri, II 5: quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo <i>utilis</i>, attestato anche nella <i>princeps</i> K e <i>nel</i> volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha <i>ultimus utilis</i> e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da <i>Vinay</i>: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; <i>Nardi</i>: ""se v’è un fine <i>del</i> viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; <i>Imbach</i>: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma <i>Imbach</i> 1996a, p. 181, volge ""<i>la fin universelle du genre humain</i>""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; <i>universalis</i> si riferisce infatti a <i>civilitas</i>, com’è <i>del</i> resto in apertura <i>del</i> capitolo seguente, I iii 1: <i>finis totius humane civilitatis</i>, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di <i>Cv</i> IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della <i>imperiale maiestade</i>, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘<i>civiltà</i>’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""<i>civiltà</i> <i>del</i> quarto trattato <i>del</i> Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] <i>nel</i> momento di cruciale e radicale avvio <i>del</i> distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della <i>imperiale maiestade</i> e la “vita felice” non corrisponde più ad un <i>bonum commune</i> come felicità <i>del</i> e <i>nel</i> Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche <i>Vinay</i> ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in <i>Mn</i> III iii 2, o in <i>Ep</i> I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di <i>civilitas</i> e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio <i>del</i> <i>De regimine principum ad regem Cypri</i>, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". <i>Kay</i> riporta il concetto dantesco di <i>civilitas</i> a quello aristotelico di <i>politeia</i>; così anche la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I ix 4, <i>nel</i> vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano <i>del</i> <i>De regimine principum</i> (forma perfetta il <i>regno</i> [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una <i>domus</i>, le sue <i>domus</i> richiedono un’aggregazione in <i>vicinanze</i> e queste devono costituirsi in <i>cittade</i>; ma le città <i>circavicine</i> hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi <i>nel</i> sistema economico e politico d’un <i>regno</i>, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale <i>Monarchia</i>"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK FINIS UNIVERSALIS CIVILITATIS HUMANI GENERIS,"universalis è lezione di A1 B D L M, minoritaria rispetto all’erroneo <i>utilis</i>, attestato anche nella <i>princeps</i> K e <i>nel</i> volgarizzamento dell’Anonimo (""fine utile""); F ha <i>ultimus utilis</i> e ""hultimo fine di civilità della generatione humana"" traduce Ficino (su questo scambio ricorrente v. Favati 1970, p. 5 e Renello 2011, pp. 156-7). Al senso di un “fine universale”, come inteso da alcuni, preferisco quello indicato da <i>Vinay</i>: ""se l’universale consorzio umano tende ad un qualsivoglia fine unico""; <i>Nardi</i>: ""se v’è un fine <i>del</i> viver civile proprio di tutto quanto il genere umano""; <i>Imbach</i>: ""das Ziel der universalen Gemeinschaft der menschlichen Gattung"" (ma <i>Imbach</i> 1996a, p. 181, volge ""<i>la fin universelle du genre humain</i>""); e Shaw 1996: ""the purpose of the whole of human society""; <i>universalis</i> si riferisce infatti a <i>civilitas</i>, com’è <i>del</i> resto in apertura <i>del</i> capitolo seguente, I iii 1: <i>finis totius humane civilitatis</i>, “il fine dell’intera consociazione umana”. È d’obbligo citare qui il già menzionato luogo di <i>Cv</i> IV iv 1: ""Lo fondamento radicale della <i>imperiale maiestade</i>, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice"", sul quale v. Morghen 1973, pp. 158-9, e ora ampiamente e con finezza d’interpretazione Carpi 2004, I, pp. 58-60 e 265-6, a proposito delle ""forse più fascinose che in tutto vere considerazioni sulla parola ‘<i>civiltà</i>’ svolte in un drammatico 1943 olandese da Johan Huizinga"" e sulla concezione dantesca della ""<i>civiltà</i> <i>del</i> quarto trattato <i>del</i> Convivio [...] intimamente condizionata alla funzione della monarchia universale [...] <i>nel</i> momento di cruciale e radicale avvio <i>del</i> distacco ideologico dal Comune, appunto quando irrompe la novità della <i>imperiale maiestade</i> e la “vita felice” non corrisponde più ad un <i>bonum commune</i> come felicità <i>del</i> e <i>nel</i> Comune, ma viene connessa all’universalismo dell’“umana civilitade”"". Anche <i>Vinay</i> ricorda che in Dante ""il concetto è più sfumato e complesso"" di quanto suggeriscano le espressioni moderne, e addita significati meno pregnanti in <i>Mn</i> III iii 2, o in <i>Ep</i> I 7 (""ad sulcos bone civilitatis"") e VIII 3 (""sancte civilitatis exempla""), concludendo per una intraducibilità di <i>civilitas</i> e sottolineando che in alcuni contemporanei, come Tolomeo da Lucca, il termine ha un significato assai più preciso e ""nettamente politico"", con l’esempio <i>del</i> <i>De regimine principum ad regem Cypri</i>, II 5: ""quae ad substantiale esse civilitatis sive politiae seu regalis regiminis requiruntur"". <i>Kay</i> riporta il concetto dantesco di <i>civilitas</i> a quello aristotelico di <i>politeia</i>; così anche la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I ix 4, <i>nel</i> vol. I di questa edizione, p. 1220, a commento di ""sub eadem civilitatem morantes"". Ma ha ragione Carpi 2004, I, pp. 59-60, di notare che l’universalismo di Dante è ""scandito da una gerarchia giurisdizionale che va oltre Aristotele (forma politica perfetta la città) e va oltre l’Egidio Romano <i>del</i> <i>De regimine principum</i> (forma perfetta il <i>regno</i> [...]), perché l’uomo di Dante ha bisogno di far parte di una <i>domus</i>, le sue <i>domus</i> richiedono un’aggregazione in <i>vicinanze</i> e queste devono costituirsi in <i>cittade</i>; ma le città <i>circavicine</i> hanno a loro volta vitale esigenza di collegarsi <i>nel</i> sistema economico e politico d’un <i>regno</i>, e i regni, per godere fra loro della pace senza cui ad ogni organismo – dall’individuale al cittadino – resterebbe interdetto proprio l’essenziale obiettivo della felicità, devono sottostare ad una universale <i>Monarchia</i>"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK TOTUM HOMINEM,"tutto l'uomo (<i>Nardi</i>, che cita Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1097 b 24-33), non l'uomo nella sua totalità (Pizzica 1988)",1097 b 24-33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK COMUNITATEM DOMESTICAM ... VICINIAM ... CIVITATEM ... REGNUM,"sull’importanza di questi passi e del ""procedimento astratto di ascesa dal particolare al generale"" v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I xix 1, nel vol. I di questa edizione, pp. 1356-7; qui così come in <i>Mn</i> I iii 4 e I v 6, <i>vicinia</i> non è il ""borgo"" (<i>Vinay</i>) o ""la struttura del borgo"" (Pizzica 1988), non la ""contrada"" (Sanguineti 1985) o il ""rione"" (Marcelli-Martelli 2004), e neppure ""il villaggio"" (<i>Nardi</i>; <i>Imbach</i>: ""ein Dorf""), se non come una “struttura sociale-giuridica”; è la <i>vicinanza</i> di <i>Cv</i> IV iv 2: ""E sì come un uomo a sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famiglia, così una casa a sua sufficienza richiede una <i>vicinanza</i>: altrimenti molti difetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. E però che una <i>vicinanza</i> [a] sé non può in tutto satisfare, conviene a satisfacimento di quella essere la cittade. Ancora la cittade richiede alle sue arti e alle sue difensioni vicenda avere e fratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto lo regno"". La matrice aristotelica ovviamente risalta (cfr. Aristotele, <i>Politica</i>, 1252 a 24 – 1253 b 37, e v. in proposito la voce <i>Politica</i> di Enrico Berti, <i>ED</i>, I, 1970, p. 585, che nota la stretta aderenza alla fonte, la cui diretta conoscenza è invece contestata da Gilbert 1928). Qui è tracciata una ""interessante <i>gradatio</i>"" (Bruno Basile, <i>Vicinanza</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 10002), una gradazione ascendente che implica una scala delle potestà: da quella esercitata nella <i>domus</i> e nella <i>vicinia</i>, fino alla <i>civitas</i> e al <i>regnum</i>. Sia pure rovesciandone la sequenza, la ricalca con evidenza Bartolo, a poco più di una generazione dalla morte di Dante, nel suo <i>De tyranno</i> (ed. Quaglioni 1983, pp. 175-213).",1252 a 24 § 1253 b 37,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK GENUS HUMANUM,"Vinay, pp. 16-7 nota 2, ricordando che su questo luogo, a pochissimi anni dalla morte di Dante, cominciò ad appuntarsi la polemica del Vernani (ed. Matteini 1958, pp. 10-6), avverte: Il passo va considerato attentamente perché essenziale ad una esatta interpretazione della <i>Mon</i>. D. dice che, come ogni membro del corpo umano risponde ad un fine diverso da quello delle sue parti, così la umanità risponde ad un fine diverso da quello dei singoli uomini e dei singoli raggruppamenti politico-sociali. Non so se tutto il ragionamento dantesco rientri, secondo parve al <i>Vinay</i>, come costruzione logica (non nei risultati a cui porta) nell'ortodossia tomistica, ma certo è utile il raffronto con Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 65, a. 2, <i>Resp</i>.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem","I, q. 65, a. 2, Resp.: Unde [...] considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum universum sicut totum ex partibus. Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter perfectionem totius, sicut et materia propter formam: partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo [...]. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter perfectionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK UNIVERSALITER,"cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce <i>Universalmente</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 828. ARTE SUA, QUE NATURA EST: cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, Natura, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della scientia artificis (per es. in Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a Cv IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a Cv III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del ius naturale in Inst. 1, 2, pr. = Dig. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa Appendice III – La natura universale, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a Cv I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a VE I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137","I, q. 14, a. 8, Resp.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut scientia artificis se habet ad artificiata",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK UNIVERSALITER,"cfr. più oltre, II VI 8 e III XII 11, con la voce <i>Universalmente</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 828.",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "ARTE SUA, QUE NATURA EST","cfr. più avanti, II II 2-3; è uno dei significati in cui Dante parla della natura, quale idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare (Enzo Volpini, <i>Natura</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 14), qui in un'accezione strumentale che si basa sulla metafora della <i>scientia artificis</i> (per es. in Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 14, a. 8, <i>Resp</i>.: Respondeo dicendum quod scientia Dei est causa rerum. Sic enim scientia Dei se habet ad omnes res creatas, sicut <i>scientia artificis</i> se habet ad artificiata). Obbligato il richiamo a <i>Cv</i> IV IX 2 per l'officio e l'arte della natura, e a <i>Cv</i> III IV 10 per la natura universale, cioè Iddio, con palese riproduzione della glossa di Accursio alla definizione ulpianea del <i>ius naturale</i> in <i>Inst</i>. 1, 2, pr. = <i>Dig</i>. 1, 1, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), quod natura omnia animalia docuit: et tunc dic: natura, idest Deus (<i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 18). Per tutto ciò è sempre fondamentale la densa <i>Appendice III – La natura universale</i>, redatta da Busnelli 1964 (I, pp. 90-1) in margine a <i>Cv</i> I VII 9, con esaustiva rassegna dei luoghi danteschi e dei loro possibili supporti autoritativi. Più in generale sulle fonti e sull'ispirazione di Dante v. Vasoli 2008, e la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I I 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1137","Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK DEUS ET NATURA NIL OTIOSUM FACIT,"Aristotele, <i>De caelo</i>, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma <i>cum Deus et natura in necessariis non deficiat</i>. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, <i>Natura</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso <i>otiosum</i> è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. <i>Mn</i> III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a ""indarno"", come in <i>Cv</i> III xv 8-9: ""A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la <i>Natura</i> l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la <i>Natura</i> fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato"". <i>Pézard</i> rimanda a <i>Pd</i> VIII 113-4: ""E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”""; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: ""La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati"". <i>Cassell</i> nota che ""Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, <i>“<i>otiosum</i>”</i>, instead of William of Moerbeke’s rendering, <i>“frustra”</i>, in the <i>De cælo et mundo</i>"".",271 a 33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK DEUS ET NATURA NIL OTIOSUM FACIT,"Aristotele, <i>De caelo</i>, 271 a 33. Si tratta di un vulgato assioma scolastico, più avanti (I i 10) riproposto nella forma <i>cum Deus et natura in necessariis non deficiat</i>. La natura non può operare inutilmente (v. ancora Enzo Volpini, <i>Natura</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 15, e Imbach 1996b); in tal senso <i>otiosum</i> è tutto ciò che non è ordinato ad un fine o non ha i mezzi per conseguirlo (cfr. <i>Mn</i> III iv 15), e nella lingua di Dante corrisponde a ""indarno"", come in <i>Cv</i> III xv 8-9: ""A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade della cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di sé medesimo, che impossibile è; e la <i>Natura</i> l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile [...]. Avrebbe[lo] anco la <i>Natura</i> fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato"". <i>Pézard</i> rimanda a <i>Pd</i> VIII 113-4: ""E io: “Non già; ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi”""; cfr. Chiavacci Leonardi 1997, pp. 231-2: ""La natura [...] non può mai mancare al suo compito, cioè alla conservazione e al compimento di tutti gli esseri creati"". <i>Cassell</i> nota che ""Dante employs St. Thomas Aquinas’s word, <i>“<i>otiosum</i>”</i>, instead of William of Moerbeke’s rendering, <i>“frustra”</i>, in the <i>De cælo et mundo</i>"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/In_libros_Aristotelis_De_caelo_et_mundo_expositio(Tommaso),In libros Aristotelis De caelo et mundo expositio,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK AD ALIQUAM OPERATIONEM,"l'espressione ha carattere tecnico. L'<i>operatio</i> è essenziale nella perfezione delle creature, come argomenta Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 73, a. 1, <i>Resp</i>.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est <i>operatio</i>, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis","Summa Theologiae, I, q. 73, a. 1, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio: prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta [...]. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare: vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. – Prima autem perfectio est causa secundae: quia forma est principium operationis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK VIS ULTIMA,"in Ficino ""l’ultima forza"", nell’Anonimo ""potenzia ultima"". <i>Vinay</i> traduce ancora ""la proprietà specifica""; <i>Pézard</i> ""l’affaire dernière""; Ronconi 1966 e altri ""la massima facoltà""; <i>Imbach</i> ""die äußerste Kraft""; Gally 1993 ""la perfection suprême""; <i>Kay</i> ""the highest power"". <i>Nardi</i> interpreta ""l’ultimo grado della potenza"", spiegando, pp. 294-6: ""tutto il discorso che segue non è altro che una parafrasi, da parte di Dante, di quanto abbiamo udito da Aristotele [<i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1097 b 33 – 1098 a 17], per stabilire quale <i>operatio</i> è propria dell’uomo sì da potersi dire <i>ultimum de potentia hominis</i>. Lo Stagirita [...] si limita ad osservare che operazione propria dell’uomo non è la vita vegetativa ch’esso ha comune con le piante, né quella sensitiva che ha comune con gli altri animali privi di ragione [...]. Col suo discorso, insomma, Dante non fa altro che ribadire il concetto aristotelico che l’<i>opus</i> e l’<i>operatio</i> propria dell’uomo è l’<i>esse apprehensivum per intellectum possibilem</i>. E qui si debbono richiamare quei luoghi del <i>Convivio</i> ove lo stesso concetto è affermato con insolite vigoria e vivacità sfuggite al Ricci, e cioè II, vii, 3-4, IV, vii, 11-5, a dimostrare che chi da ragione si diparte, “morto è uomo e rimaso bestia”"".",1097 b 33 - 1098 a 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK APPREHENSIVUM PER INTELLECTUM POSSIBILEM,"Vinay spiega con il <i>Compendium Theologiae</i> tomista che il termine <i>apprehensivum</i> ""indica la capacità elementare di accogliere in sé delle forme"" mediante le facoltà sensitive; quanto all’intelletto possibile, ""id per quod homo intelligit"", appunto giusta la dottrina tomista, ""come potenza ricettiva invece che attiva di forma, non può compiere esso il lavorio occorrente ad astrarre dalle forme ‘particulares’ i concetti, cioè gli universali, che solo esso può accogliere perché costituiscono ciò ch’è veramente intelligibile""; perciò è necessario porre un altro intelletto (l’intelletto agente), che renda intelligibili in atto le specie intelligibili in potenza (come la luce rende attualmente visibili i colori visibili solo potenzialmente, secondo esemplifica lo stesso Tommaso).",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK INTELLECTUALES ET NON ALIUD,"traduco alla lettera, come del resto è già in Ficino (et none altro) e in molti dei moderni interpreti, a cominciare da <i>Pézard</i>; Gally 1993 ha uniquement intellectuelles, che echeggia il puramente intellettuali di <i>Vinay</i>, seguito da altri. Cfr. più oltre, I XII 5. Sono appunto queste le intelligenze angeliche che presiedono al moto dei corpi celesti, per le quali è d'obbligo il rimando a <i>Cv</i> II IV 1-17, dove Dante le definisce movitori [...] sustanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli, descrivendone il perfettissimo stato e affermando che lo 'ntelletto loro è uno e perpetuo, giacché esse non hanno altra operazione che l'intendere, come spiega Busnelli 1964 (I, p. 128), sottolineando una strettissima dipendenza di Dante dal Tommaso della <i>Summa contra Gentiles</i>, II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere. Per tutto ciò più in generale cfr. Bemrose 1983, p. 68. E","II 97: Substantiae separatae sunt substantiae viventes, nec habent operationem vitae nisi intelligere. Oportet igitur quod ex sua natura sint intelligentes actu semper. Item, substantiae separatae movent per intellectum corpora coelestia, secundum philosophorum doctrinam. Motus autem corporum coelestium est semper continuus. Intelligere igitur substantiarum separatarum est continuum et semper. Hoc autem item sequitur, etsi non ponantur moventes corpora coelestia, quum sint altiores corporibus coelestibus. Unde si propria operatio corporis coelestis, quae est motus ipsius, est continua, multo magis propria operatio substantiarum separatarum, quae est intelligere.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (<i>De reprobatione Monarchiae</i>, pp. 96-7). Con <i>Imbach</i>, p. 339 (e cfr. <i>Imbach</i> 1996a, p. 183) restauro il <i>quid est</i> di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il <i>quidem</i> di M e il <i>quod est</i> di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo <i>quid est sine</i>, Bertalot 1920 <i>quid est quod sunt, quod sine</i>. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i>; <i>quod est</i> sine interpolatione</i>; <i>Vinay</i>, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“<i>esse</i>” e l’“<i>intelligere</i>” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “<i>interpolatio</i>”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che <i>esse</i> e <i>intelligere</i> si identificano solo in Dio (<i>Summa Theologiae</i>, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i> quid quod est</i>, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di <i>interpolatio</i>, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (<i>Vinay</i>, pp. 22-3 nota 15). <i>Kay</i>, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel <i>quod est</i>, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” <i>interpolatio</i>, all’""interciso"" di <i>Pd</i> XXIX 79 (ma cfr. già <i>Nardi</i>, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico <i>Liber de causis</i> e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di <i>Vinay</i> traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il <i>sine interpolatione</i> di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo <i>continuus</i> –a –um, idest vicinus, <i>sine interpolatione</i>, quia simul teneatur, unde hec <i>continuitas</i>, et <i>continuo</i> –as, continuum facere vel continuum habere, unde <i>continuatim</i>, et est activum cum suis compositis; item a <i>continuus</i> <i>continue</i> adverbium pro quo sepe ponitur <i>continuo</i>, idest <i>continuatim</i> vel statim, <i>sine interpolatione</i>""; esso può dunque “tradurre” l’""<i>intelligere</i> [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper <i>continuus</i>"" nel passo della <i>Summa contra Gentiles</i> testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di <i>Cv</i> II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che <i>omnis substantia est propter suam operationem</i>, come riporta S. Tommaso, <i>Contra Gent</i>., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est <i>intelligere</i>”. E lo stesso Aquinate nel <i>De substantiis separatis</i>, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum <i>esse</i> eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum <i>esse</i>”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","Item a contineo continuus –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec continuitas, et continuo –as, continuum facere vel continuum habere, unde continuatim, et est activum cum suis compositis; item a continuus continue adverbium pro quo sepe ponitur continuo, idest continuatim vel statim, sine interpolatione",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (<i>De reprobatione Monarchiae</i>, pp. 96-7). Con <i>Imbach</i>, p. 339 (e cfr. <i>Imbach</i> 1996a, p. 183) restauro il <i>quid est</i> di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il <i>quidem</i> di M e il <i>quod est</i> di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo <i>quid est sine</i>, Bertalot 1920 <i>quid est quod sunt, quod sine</i>. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i>; <i>quod est</i> sine interpolatione</i>; <i>Vinay</i>, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“<i>esse</i>” e l’“<i>intelligere</i>” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “<i>interpolatio</i>”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che <i>esse</i> e <i>intelligere</i> si identificano solo in Dio (<i>Summa Theologiae</i>, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i> quid quod est</i>, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di <i>interpolatio</i>, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (<i>Vinay</i>, pp. 22-3 nota 15). <i>Kay</i>, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel <i>quod est</i>, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” <i>interpolatio</i>, all’""interciso"" di <i>Pd</i> XXIX 79 (ma cfr. già <i>Nardi</i>, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico <i>Liber de causis</i> e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di <i>Vinay</i> traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il <i>sine interpolatione</i> di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo <i>continuus</i> –a –um, idest vicinus, <i>sine interpolatione</i>, quia simul teneatur, unde hec <i>continuitas</i>, et <i>continuo</i> –as, continuum facere vel continuum habere, unde <i>continuatim</i>, et est activum cum suis compositis; item a <i>continuus</i> <i>continue</i> adverbium pro quo sepe ponitur <i>continuo</i>, idest <i>continuatim</i> vel statim, <i>sine interpolatione</i>""; esso può dunque “tradurre” l’""<i>intelligere</i> [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper <i>continuus</i>"" nel passo della <i>Summa contra Gentiles</i> testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di <i>Cv</i> II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che <i>omnis substantia est propter suam operationem</i>, come riporta S. Tommaso, <i>Contra Gent</i>., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est <i>intelligere</i>”. E lo stesso Aquinate nel <i>De substantiis separatis</i>, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum <i>esse</i> eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum <i>esse</i>”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","I, q. 54, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (<i>De reprobatione Monarchiae</i>, pp. 96-7). Con <i>Imbach</i>, p. 339 (e cfr. <i>Imbach</i> 1996a, p. 183) restauro il <i>quid est</i> di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il <i>quidem</i> di M e il <i>quod est</i> di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo <i>quid est sine</i>, Bertalot 1920 <i>quid est quod sunt, quod sine</i>. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i>; <i>quod est</i> sine interpolatione</i>; <i>Vinay</i>, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“<i>esse</i>” e l’“<i>intelligere</i>” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “<i>interpolatio</i>”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che <i>esse</i> e <i>intelligere</i> si identificano solo in Dio (<i>Summa Theologiae</i>, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i> quid quod est</i>, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di <i>interpolatio</i>, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (<i>Vinay</i>, pp. 22-3 nota 15). <i>Kay</i>, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel <i>quod est</i>, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” <i>interpolatio</i>, all’""interciso"" di <i>Pd</i> XXIX 79 (ma cfr. già <i>Nardi</i>, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico <i>Liber de causis</i> e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di <i>Vinay</i> traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il <i>sine interpolatione</i> di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo <i>continuus</i> –a –um, idest vicinus, <i>sine interpolatione</i>, quia simul teneatur, unde hec <i>continuitas</i>, et <i>continuo</i> –as, continuum facere vel continuum habere, unde <i>continuatim</i>, et est activum cum suis compositis; item a <i>continuus</i> <i>continue</i> adverbium pro quo sepe ponitur <i>continuo</i>, idest <i>continuatim</i> vel statim, <i>sine interpolatione</i>""; esso può dunque “tradurre” l’""<i>intelligere</i> [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper <i>continuus</i>"" nel passo della <i>Summa contra Gentiles</i> testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di <i>Cv</i> II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che <i>omnis substantia est propter suam operationem</i>, come riporta S. Tommaso, <i>Contra Gent</i>., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est <i>intelligere</i>”. E lo stesso Aquinate nel <i>De substantiis separatis</i>, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum <i>esse</i> eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum <i>esse</i>”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","l. 2, c. 92",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (<i>De reprobatione Monarchiae</i>, pp. 96-7). Con <i>Imbach</i>, p. 339 (e cfr. <i>Imbach</i> 1996a, p. 183) restauro il <i>quid est</i> di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il <i>quidem</i> di M e il <i>quod est</i> di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo <i>quid est sine</i>, Bertalot 1920 <i>quid est quod sunt, quod sine</i>. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i>; <i>quod est</i> sine interpolatione</i>; <i>Vinay</i>, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“<i>esse</i>” e l’“<i>intelligere</i>” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “<i>interpolatio</i>”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che <i>esse</i> e <i>intelligere</i> si identificano solo in Dio (<i>Summa Theologiae</i>, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i> quid quod est</i>, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di <i>interpolatio</i>, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (<i>Vinay</i>, pp. 22-3 nota 15). <i>Kay</i>, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel <i>quod est</i>, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” <i>interpolatio</i>, all’""interciso"" di <i>Pd</i> XXIX 79 (ma cfr. già <i>Nardi</i>, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico <i>Liber de causis</i> e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di <i>Vinay</i> traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il <i>sine interpolatione</i> di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo <i>continuus</i> –a –um, idest vicinus, <i>sine interpolatione</i>, quia simul teneatur, unde hec <i>continuitas</i>, et <i>continuo</i> –as, continuum facere vel continuum habere, unde <i>continuatim</i>, et est activum cum suis compositis; item a <i>continuus</i> <i>continue</i> adverbium pro quo sepe ponitur <i>continuo</i>, idest <i>continuatim</i> vel statim, <i>sine interpolatione</i>""; esso può dunque “tradurre” l’""<i>intelligere</i> [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper <i>continuus</i>"" nel passo della <i>Summa contra Gentiles</i> testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di <i>Cv</i> II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che <i>omnis substantia est propter suam operationem</i>, come riporta S. Tommaso, <i>Contra Gent</i>., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est <i>intelligere</i>”. E lo stesso Aquinate nel <i>De substantiis separatis</i>, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum <i>esse</i> eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum <i>esse</i>”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK EARUM ESSE NICHIL EST ALIUD QUAM INTELLIGERE QUID EST QUOD SUNT; QUOD EST SINE INTERPOLATIONE,"è uno dei luoghi più tormentati e più fraintesi del testo (cfr. Ricci 1965c), a cominciare dal Vernani, che vi scorse un ""intolerabilis error"", consistente nell’attribuire alle creature angeliche quell’identità di essere e intelletto che è propria solo di Dio (<i>De reprobatione Monarchiae</i>, pp. 96-7). Con <i>Imbach</i>, p. 339 (e cfr. <i>Imbach</i> 1996a, p. 183) restauro il <i>quid est</i> di K + B C D E H L Ph S U Z (ma anche di Ficino, che ha ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno senza intermessione"", e dell’Anonimo, p. 131, che traduce ""et ll’essere di loro non è altro che inendere che è ciò che sono; e questo senza interposizione di tempo""), lezione già ritenuta ""ineccepibile"" da Favati 1970, p. 12, contro il <i>quidem</i> di M e il <i>quod est</i> di Ricci 1965, fatto proprio da Shaw 2009 sulla base del consenso dei codici a (A1 T) e di F G N P, ai quali ora deve aggiungersi Y (V è lacunoso). Witte 1874 mise a testo <i>quid est sine</i>, Bertalot 1920 <i>quid est quod sunt, quod sine</i>. Rostagno 1921, con una mutata punteggiatura, ha <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i>; <i>quod est</i> sine interpolatione</i>; <i>Vinay</i>, che ne riproduce il testo, interpreta perciò ""il cui essere non è altro che un intendere attuantesi senza mediazione"", giudicando il passo di difficile interpretazione ""per due motivi: non si vede come D. possa identificare l’“<i>esse</i>” e l’“<i>intelligere</i>” delle intelligenze separate; è dubbio il significato di “<i>interpolatio</i>”""; ricordando perciò che Tommaso afferma ripetutamente che <i>esse</i> e <i>intelligere</i> si identificano solo in Dio (<i>Summa Theologiae</i>, I, q. 54, a. 1), propende per una verosimile ""imprecisione verbale"", suggerendo che il passo potrebbe interpretarsi in un senso equivalente a ""non sunt nisi actu intelligentes"", perché ""in caso diverso D. avrebbe difeso una affermazione che non è giustificata dal suo sistema filosofico"", e respinge poi come ""poco dantesca"" l’emendazione <i>nichil est aliud quam <i>intelligere</i> quid quod est</i>, proposta da Bigongiari 1927, pp. 460-1 (poi in Bigongiari 1964, p. 23), fantasticando infine sul significato di <i>interpolatio</i>, quasi Dante abbia voluto sottolineare che ""le intelligenze separate non sarebbero eterne se conoscessero “per interpolationem” di organi fisici"" (<i>Vinay</i>, pp. 22-3 nota 15). <i>Kay</i>, dopo aver tradotto ""and their existence is nothing other than understanding that they are essences"", ripropone l’intiera questione, sostenendo che mentre il senso è chiaro, controversa è proprio la traduzione, stando la difficoltà tutta nel <i>quod est</i>, e conclude suggerendo una soluzione che consiste nel distinguere tra l’eterna perfezione del Creatore e la sempiterna perfezione delle creature angeliche, richiamandosi infine, a chiarimento del “dubbio” <i>interpolatio</i>, all’""interciso"" di <i>Pd</i> XXIX 79 (ma cfr. già <i>Nardi</i>, che ritiene ""sia da cercare nello pseudo-aristotelico <i>Liber de causis</i> e nella sua fonte neoplatonica il significato preciso di questo paragrafo""). Meglio Shaw 1996, che sulla scia di <i>Vinay</i> traduce ""their very being is simply the act of understanding that their own nature exists"". Comunque stiano le cose, il <i>sine interpolatione</i> di Dante trova esatto riscontro in Uguccione, T 68, 30-1: ""Item a contineo <i>continuus</i> –a –um, idest vicinus, <i>sine interpolatione</i>, quia simul teneatur, unde hec <i>continuitas</i>, et <i>continuo</i> –as, continuum facere vel continuum habere, unde <i>continuatim</i>, et est activum cum suis compositis; item a <i>continuus</i> <i>continue</i> adverbium pro quo sepe ponitur <i>continuo</i>, idest <i>continuatim</i> vel statim, <i>sine interpolatione</i>""; esso può dunque “tradurre” l’""<i>intelligere</i> [...] continuum et semper"" delle creature angeliche che presiede al moto ""semper <i>continuus</i>"" nel passo della <i>Summa contra Gentiles</i> testé ricordato; e quanto poi a un Dante “verbalmente impreciso” o in contraddizione con un supposto “sistema filosofico” (concetto peraltro impensabile al suo tempo), sarà forse anche qui sufficiente ricordare il già citato luogo di <i>Cv</i> II iv 2-3, dove Dante, sulla scorta di Alberto Magno e di Tommaso, allega il vario sentire di Aristotele circa il numero delle intelligenze separate che presiedono al moto dei corpi celesti, scrivendo: ""E di queste creature, sì come delli cieli, diversi diversamente hanno sentito, avvegna che la veritade sia trovata. Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avegna che nel primo di Cielo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero nelli cieli, e non più: dicendo che l’altre sarebbero state etternalmente indarno, sanza operazione; ch’era impossibile, con ciò sia cosa che loro essere sia loro operazione""; e dove conclude (10-1 e 13): ""Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella della vita civile, e quella della contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere [la] beatitudine della vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella della contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. E con ciò sia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possa l’altra avere, perché lo ’ntelletto loro è uno e perpetuo, conviene essere altre fuori di questo ministerio che solamente vivano speculando [...]. E non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli motori"". Mi limito a riportare qui la dotta nota di Busnelli 1964, I, p. 124: ""È l’argomento d’Aristotile, fondato sul principio che <i>omnis substantia est propter suam operationem</i>, come riporta S. Tommaso, <i>Contra Gent</i>., l. 1, c. 45; ma poi, l. 2, c. 92, vi risponde che “natura substantiae intellectualis non dependet a movendo, quum movere sit consequens ad principalem eorum operationem, quae est <i>intelligere</i>”. E lo stesso Aquinate nel <i>De substantiis separatis</i>, c. 11, scrive: “In immaterialibus substantiis ipsum <i>esse</i> eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum <i>esse</i>”"". Per concludere, osservo che Ficino traduceva già: ""e l’essere loro non è altro che intendere che è quello ch’elle sono, e questo fanno sanza intermessione, altrimenti non sarebbono eterne"".","E lo stesso Aquinate nel De substantiis separatis, c. 11, scrive: ""In immaterialibus substantiis ipsum esse eorum est ipsum vivere eorum. Nec est in eis aliud vivere quam intellectivum esse""",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_substantiis_separatis_(Tommaso),De substantiis separatis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK AVERROIS,"cfr. <i>Commentum magnum in Aristotelis <i>De anima</i> libros</i>, III 5, p. 410. ""La “sententia” sulla quale anche Averroè sarebbe d’accordo, è la necessità di una pluralità per l’attuazione della potenza intellettiva umana. D., credo, allude genericamente al principio basilare del commento al terzo libro del <i>De anima</i> che la “continuatio” dell’intelletto separato con l’indivisuo avviene per mezzo delle “intentiones imaginatae”, donde la necessità di una esperienza molteplice senza la quale si cade nell’assurdo di una forza che non è forza di nulla"" (<i>Vinay</i>).","III 5, p. 410",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_al_De_anima(Averroè),Commento al De anima,Averroè,http://dbpedia.org/resource/Averroes,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK POLITICA PRUDENTIA,"non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. <i>Prudenza</i> di Philippe Delhaye, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c",1140 b 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK POLITICA PRUDENTIA,"non saggezza (Pizzica 1988), ma prudenza politica, virtù speciale, distinta da tutte le altre virtù e dalla stessa prudenza (recta ratio agibilium, secondo la definizione di Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1140 b 20 richiamata da Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3): si tratta infatti della prudenza relata ad bonum commune, di cui lo stesso Tommaso discute nell'a. 10 del luogo testé citato. Cfr. la v. <i>Prudenza</i> di Philippe Delhaye, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 730-1, e per la tradizione tomista anche Quaglioni 1992c","IIa-IIae, q. 47, a. 5, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SEDENDO ET QUIESCENDO,"Aristotele, <i>Physica</i>, 243 b 11-2: ""sedendo e riposando l’anima diventa sapiente e prudente"". Si suole ricordare che questa fu la risposta data a Dante, che lo aveva rimproverato per la sua pigrizia, dal liutaio Belacqua (v. la relativa voce di Francesco Salsano, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 556-8, e cfr. Carpi 2004, I, p. 141 e p. 286), di cui Dante traccia un sapido ritratto in <i>Pg</i> IV 97-139, in part. vv. 109-11: ""“O dolce segnor mio”, diss’io, “adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia”"". L’aneddoto, dell’Anonimo Fiorentino, è nel commento della Chiavacci Leonardi 1994, p. 128: ""Questo Belacqua fu uno cittadino da Firenze, artefice, e facea cotai colli di liuti e di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli veniva la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l’Auttore fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua negligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose con le parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l’Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te"". Ed è forse in questo contesto che occorre collocare la frase con cui Belacqua interrompe il colloquio di Dante e Virgilio nella penosa ascesa della montagna del Purgatorio, ai vv. 97-9: ""E com’elli ebbe sua parola detta, / una voce di presso sonò: “Forse / che di sedere in pria avrai distretta!”"".",243 b 11-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PRUDENTIA ET SAPIENTIA,"cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 45, a. 1, <i>Resp</i>., dov'è allegato Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 982 a 8. In <i>Cv</i> IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. <i>Vinay</i> ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del <i>De regimine Christiano</i> di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, <i>Tractatus testimoniorum</i>, v. <i>Prudentia est</i>: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [<i>Dig</i>. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [<i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)","IIa-IIae, q. 45, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PRUDENTIA ET SAPIENTIA,"cfr. I III 10. Per la sapienza come scienza delle cause prime (ad sapientem pertinet considerare causas altissimas) v. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 45, a. 1, <i>Resp</i>., dov'è allegato Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 982 a 8. In <i>Cv</i> IV XXI 12 è il primo dei doni di Spirito Santo. <i>Vinay</i> ricorda che nel linguaggio comune i due termini spesso si confondono, e cita a questo proposito un luogo del <i>De regimine Christiano</i> di Giacomo da Viterbo. Al contrario, per la rigorosa assunzione della distinzione secondo la dottrina tomista nel linguaggio dei giuristi, a non lunga distanza dalla composizione del trattato dantesco, v. Bartolo da Sassoferrato, <i>Tractatus testimoniorum</i>, v. <i>Prudentia est</i>: Ad quod declarandum sciendum est, quod sapientia, scientia et prudentia differunt. Est enim sapientia habitus speculativus, considerans causas altissimas, et haec pertinet principaliter ad Theologiam, et Metaphysicam, quae Deum, et primas causas considerat, et de principiis omnium aliarum scientiarum iudicat, et etiam [...] ad Iuristas, unde merito dicitur: est enim res sanctissima ista civilis sapientia, ut Ulp[ianus] ait [<i>Dig</i>. 50, 13, 1, § 5]; ipsa enim causas altissimas considerat, quia est divinarum, atque humanarum rerum notitia [<i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 2], et cognitio, iudicat de principiis aliarum scientiarum [...] et hac consideratione bonus iudex recte sapiens dicitur, et cum ad consilium sapientis recurritur, vulgo de iurisperito intelligitur. Scientia autem est habitus speculativus demonstrativus ratione vera, considerans causas inferiores, et haec ad scientias naturales spectat [...]; prudentia [...] differt a praedictis, quoniam prudentia consistit circa particularia, et ea quae contingenter eveniunt (in Quaglioni 1992c, p. 159; ora anche in Lepsius 2003, pp. 280-1; più ampiamente Segoloni 1979, pp. 42-4 e 54-7)",982 a 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK IN QUIETE SIVE TRANQUILLITATE PACIS,"vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società"" (<i>Vinay</i>), ma non sembra si possa affermare che ""“<i>tranquillitas</i>” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra"". Dante usa <i>tranquillitas</i>, da sola o insieme con <i>pax</i>, in I v 8: <i>cum maiori fiducia sue tranquillitatis</i>; I xvi 2: <i>in pacis universalis tranquillitate</i>; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui <i>pax</i> e <i>tranquillitas</i> si fondono: ""Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse <i>tranquillitas</i>, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt"". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che <i>tranquillitas</i> occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: ""in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit"" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).","I I 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IN QUIETE SIVE TRANQUILLITATE PACIS,"vero è che qui i due significati si fondono in quanto la pace suppone il raggiungimento di determinati fini parziali e la cessazione delle passioni perturbatrici della società"" (<i>Vinay</i>), ma non sembra si possa affermare che ""“<i>tranquillitas</i>” è in D. e nel linguaggio scolastico espressione generica; “quies” invece significa normalmente o “cessatio motus” o “complementum desiderii”, per cui si usa a indicare il raggiungimento di un fine, donde la “quies” di un grave che ha toccato la terra"". Dante usa <i>tranquillitas</i>, da sola o insieme con <i>pax</i>, in I v 8: <i>cum maiori fiducia sue tranquillitatis</i>; I xvi 2: <i>in pacis universalis tranquillitate</i>; e III xvi 10: genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, e mai, sembra, in modo generico, né qui né nelle Epistole. A questo proposito v. sopra l’Introduzione, dov’è ricordato l’atto di pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni, rogato il 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, documento in cui si è voluta cogliere la prima espressione delle idee politiche di Dante, con un richiamo a due passi delle Variae di Cassiodoro, I 1 e II 29, in cui <i>pax</i> e <i>tranquillitas</i> si fondono: ""Attendentes etiam quod omni regno desiderabilis debet esse <i>tranquillitas</i>, in qua populi proficiunt et gentium uctilitas custoditur, que bonarum est artium decora mater, mortalium genus reparabili subcessione multiplicat, facultates protendit, mores excolit vixque quante sit virtutis agnoscitur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum occiosa tranquillitate et pacis amenitate placida gloriantes, excelsi salvatoris gratia illustranti, ad infrascriptam pacem et concordiam devenerunt"". Cfr. Dolcini 2003a, pp. 57-64, che mette a frutto frutto un’intuizione di Zingarelli 1944, p. 500, mostrando uno stretto parallelismo col prologo del Defensor Pacis di Marsilio da Padova, I i 1, ed. Scholz, I, pp. 1-2; cfr. Dolcini 1999 e v. qui sotto i due paragrafi seguenti, che suggeriscono una lettura in parallelo con la Dictio I, cap. i, § 1 del Defensor Pacis. Si può ancora aggiungere che <i>tranquillitas</i> occupa una posizione-chiave nel testo della costituzione di Enrico VII Ad reprimenda: ""in cuius tranquillitate totius orbis regularitas requiescit"" (Constitutiones Pisanae [2 aprile 1313], in MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 2, ed. Schwalm, 1909-11, n. 929, p. 965). Sembra infine che nel ricordo della Monarchia siano scritte, nel 1355, le glosse di Bartolo per il cui tramite la costituzione fu incorporata nella compilazione giustinianea (cfr. Quaglioni 1994a).",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Variae(Cassiodoro),Variae,Cassiodoro,http://dbpedia.org/resource/Cassiodorus,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK IUXTA ILLUD MINUISTI EUM PAULOMINUS AB ANGELIS,"H legge <i>iuxta illud psalmiste</i>; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. <i>Ps</i> 8, 6, ripetuto in <i>Heb</i> 2, 7. Dante lo cita già in <i>Cv</i> IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe <i>Kay</i>, the comparison between men and angels in <i>Mn</i> I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7","Ps 8, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK IUXTA ILLUD MINUISTI EUM PAULOMINUS AB ANGELIS,"H legge <i>iuxta illud psalmiste</i>; così l'Anonimo: secondo quello, cioè, che dicie il salmo; Ficino invece ha secondo el detto di David. Cfr. <i>Ps</i> 8, 6, ripetuto in <i>Heb</i> 2, 7. Dante lo cita già in <i>Cv</i> IV XIX 7: Tu l'hai fatto poco minore che li angeli. Non sono sicuro che la citazione suoni qui puramente convenzionale, richiamando con ovvietà, come vorrebbe <i>Kay</i>, the comparison between men and angels in <i>Mn</i> I III 7. Ne sottolinea ampiamente il valore Cremascoli 2011, p. 32 e nota 7","Heb 2, 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Hebrews,Epistula ad Hebraeos,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PAX VOBIS,"Lc 24, 36; <i>Io</i> 20, 19, 21, 26; anche <i>Mt</i> 10, 12; <i>Lc</i> 10, 5: <i>Pax huic domui</i>. Cfr. ancora Marsilio da Padova, <i>Defensor Pacis</i>, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [<i>Io</i> 20, 19]: <i>Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis</i>. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [<i>Mr</i> 9, 49]: <i>Pacem habete inter vos</i>. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [<i>Mt</i> 10, 12]: <i>Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes:</i> <i>Pax huic domui</i>. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [<i>Io</i> 14, 27]: <i>Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis</i>. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Defensor Pacis, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK PAX VOBIS,"Lc 24, 36; <i>Io</i> 20, 19, 21, 26; anche <i>Mt</i> 10, 12; <i>Lc</i> 10, 5: <i>Pax huic domui</i>. Cfr. ancora Marsilio da Padova, <i>Defensor Pacis</i>, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [<i>Io</i> 20, 19]: <i>Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis</i>. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [<i>Mr</i> 9, 49]: <i>Pacem habete inter vos</i>. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [<i>Mt</i> 10, 12]: <i>Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes:</i> <i>Pax huic domui</i>. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [<i>Io</i> 14, 27]: <i>Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis</i>. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Lc 24, 36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PAX VOBIS,"Lc 24, 36; <i>Io</i> 20, 19, 21, 26; anche <i>Mt</i> 10, 12; <i>Lc</i> 10, 5: <i>Pax huic domui</i>. Cfr. ancora Marsilio da Padova, <i>Defensor Pacis</i>, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [<i>Io</i> 20, 19]: <i>Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis</i>. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [<i>Mr</i> 9, 49]: <i>Pacem habete inter vos</i>. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [<i>Mt</i> 10, 12]: <i>Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes:</i> <i>Pax huic domui</i>. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [<i>Io</i> 14, 27]: <i>Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis</i>. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Io 20, 19, 21, 26;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PAX VOBIS,"Lc 24, 36; <i>Io</i> 20, 19, 21, 26; anche <i>Mt</i> 10, 12; <i>Lc</i> 10, 5: <i>Pax huic domui</i>. Cfr. ancora Marsilio da Padova, <i>Defensor Pacis</i>, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [<i>Io</i> 20, 19]: <i>Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis</i>. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [<i>Mr</i> 9, 49]: <i>Pacem habete inter vos</i>. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [<i>Mt</i> 10, 12]: <i>Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes:</i> <i>Pax huic domui</i>. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [<i>Io</i> 14, 27]: <i>Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis</i>. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Io 14, 27",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PAX VOBIS,"Lc 24, 36; <i>Io</i> 20, 19, 21, 26; anche <i>Mt</i> 10, 12; <i>Lc</i> 10, 5: <i>Pax huic domui</i>. Cfr. ancora Marsilio da Padova, <i>Defensor Pacis</i>, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [<i>Io</i> 20, 19]: <i>Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis</i>. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [<i>Mr</i> 9, 49]: <i>Pacem habete inter vos</i>. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [<i>Mt</i> 10, 12]: <i>Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes:</i> <i>Pax huic domui</i>. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [<i>Io</i> 14, 27]: <i>Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis</i>. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Lc 10, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PAX VOBIS,"Lc 24, 36; <i>Io</i> 20, 19, 21, 26; anche <i>Mt</i> 10, 12; <i>Lc</i> 10, 5: <i>Pax huic domui</i>. Cfr. ancora Marsilio da Padova, <i>Defensor Pacis</i>, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [<i>Io</i> 20, 19]: <i>Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis</i>. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [<i>Mr</i> 9, 49]: <i>Pacem habete inter vos</i>. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [<i>Mt</i> 10, 12]: <i>Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes:</i> <i>Pax huic domui</i>. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [<i>Io</i> 14, 27]: <i>Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis</i>. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Mr 9, 49",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PAX VOBIS,"Lc 24, 36; <i>Io</i> 20, 19, 21, 26; anche <i>Mt</i> 10, 12; <i>Lc</i> 10, 5: <i>Pax huic domui</i>. Cfr. ancora Marsilio da Padova, <i>Defensor Pacis</i>, I I 1, ed. Scholz, I, pp. 2-3: Propter hoc eciam idem suis discipulis pacem optabat persepe. Unde Iohannes [<i>Io</i> 20, 19]: <i>Venit Iesus et stetit in medio discipulorum, et dixit: Pax vobis</i>. De pacis invicem observacione monens eosdem dixit in Marco [<i>Mr</i> 9, 49]: <i>Pacem habete inter vos</i>. Nec solum hanc invicem ipsos habere, verum eandem aliis optare docebat. Unde Mattheus [<i>Mt</i> 10, 12]: <i>Intrantes autem in domum salutate eam, dicentes:</i> <i>Pax huic domui</i>. Hec rursum fuit hereditas quam sibi passionis et mortis instante tempore suis discipulis testamento reliquit, dum Iohannis 14° dixit [<i>Io</i> 14, 27]: <i>Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis</i>. Cfr. ancora Cremascoli 2011, pp. 32-3 e nota otto","Mt 10, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK EX HIIS ... QUE DECLARATA SUNT PATET,"per <i>declarata</i> cfr. sopra, I iv 1; è “patente” ciò che “si mostra apertamente”, ciò che non ha bisogno di essere provato (cfr. Uguccione, P 38 1-2: ""pateo –es –ui passum, idest aperiri, videri, manifestari, manifestum esse vel diffundi; et dicitur patet quasi palam tenet [...]; unde <i>patens</i>""). Debole la traduzione di <i>Vinay</i> (""risulta""), così come quella di <i>Nardi</i> (""appare""); anche Shaw 1996 e <i>Kay</i> hanno semplicemente ""clear""; meglio Sanguineti 1985: ""risulta dunque evidente""; l’Anonimo (p. 133) e Ficino (p. 333) traducono ""è manifesto"". Cfr. più avanti, I x 2.",P 38 1-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK UNAM DOMUM,"""nella casa"" (Ficino), ""una casa"" (Anonimo, p. 134); <i>Nardi</i>: ""una famiglia"", ma in apparato precisa: ""unità familiare (<i>domus</i> per Dante come per la traduzione latina della <i>Politica</i> aristotelica ad opera di Guglielmo di Moerbeke; in greco o„k…a e o‡koj, 1252 b 10 sgg.)""; bene ""household"" (Shaw 1996 e <i>Kay</i>, che chiosa: ""Sometimes translated “family”, but “household” is more precise because Aristotle has in mind kinsfolk living under the same roof. For him, an extended family living under several roofs constitutes the next larger unit, the neighborhood"", con la citazione di Aristotele, <i>Politica</i>, 1252 b 15-9). A <i>Vinay</i> non par dubbio ""che “unam” sia articolo indeterminato"". Cfr. Domenico Consoli, <i>Famiglia</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 789-90. Sulla ""rassegna"" che qui comincia cfr. ancora, la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I xix 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1357.",1252 b 15-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK QUEM DICUNT PATREMFAMILIAS,"""el quale padre di famiglia si chiama"" (Ficino), ""il quale si dicie padre di famiglia"" (Anonimo); non certo ""il cosiddetto padre di famiglia"" (Pizzica 1988). La nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I xviii 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1346, a proposito del ""vere paterfamilias"" e del suo “riuso” ""in chiave politica"", ricorda con Marigo 1957: ""<i>Paterfamilias</i> è parola presa nel suo senso giuridico: “<i>Paterfamilias</i> appellatur qui in domo dominium habet...” (Paulus, <i>Digestum</i> 50, 16, 195)"".","Paulus, Digestum 50, 16, 195",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK OMNIS DOMUS REGITUR A SENISSIMO,"Aristotele, <i>Politica</i>, 1252 b 21-4: e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano. L'assunto è ripetuto dalla migliore giurisprudenza trecentesca: In domo propria potest dici patremfamilias habere aliquid iuris regalis. Ius enim sibi dicit in filios et in servos [...]. Item maior seu antiquior domus habet quodammodo quandam iurisdictionem in uxorem, liberos et servos; et etiam antiquior frater vel patruus in minores xxv. annis, qui sunt in illa domo (Bartolo da Sassoferrato, <i>De tyranno</i>, q. IV, ed. Quaglioni 1983, p. 183)",1252 b 21-4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK REGULARE OMNES ET LEGES IMPONERE ALIIS,"il luogo omerico (<i>Od</i>. IX 114) è in Aristotele, <i>Politica</i>, 1252 b 24: E ciascuno governa i suoi figli e la moglie. Cfr. <i>Cv</i> IV XXVII 10, col commento di Busnelli 1964, II, p. 234, che rinvia a questo luogo; v. inoltre Guido Martellotti, <i>Omero</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 145-8 ed Enrico Berti, <i>Politica</i>, ivi, p. 586",1252 b 24,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, <i>Politica</i>, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di <i>per se sufficientia</i> si veda ancora Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1097, b 7-21, e per la <i>civitas</i> come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp",1252 b 27-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, <i>Politica</i>, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di <i>per se sufficientia</i> si veda ancora Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1097, b 7-21, e per la <i>civitas</i> come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp","1097, b 7-21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK BENE SUFFICIENTERQUE VIVERE,"Aristotele, <i>Politica</i>, 1252 b 27-32, afferma che perfetta è la comunità che risulta di più villaggi [...] che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa; formata bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Sul concetto di <i>per se sufficientia</i> si veda ancora Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1097, b 7-21, e per la <i>civitas</i> come perfecta communitas Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp","Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUOD ASSUMMITUR SUPRA,"cfr. sopra, I V 2 e 3, <i>quando aliqua plura ordinantur ad unum</i>, con riferimento ad Aristotele, <i>Politica</i>, 1254 a 28-32. Il ragionamento è in sostanza questo: l'affermazione del Filosofo è vera perché di fatto vediamo che qualsiasi complesso rivolto ad un fine si sfalda in mancanza di una autorità che ne guidi e diriga i componenti (<i>Vinay</i>)",1254 a 28-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SIC ORDO PARTIALIS AD TOTALEM,"""per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti"", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.",1023 b 12 – 1024 a 10;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SIC ORDO PARTIALIS AD TOTALEM,"""per il concetto di “parte”, “intero” e “tutto” e dei loro rapporti"", Pizzica 1988 indica la fonte in Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1023 b 12 – 1024 a 10; 1034 b 31-2.",1034 b 31-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK FORMA HUIUS ORDINIS,"non c’è necessità alcuna di tradurre ""questo ordinamento “ad unum”"" (<i>Vinay</i>). Nel notarne l’imbarazzo e nel rinviare sia a quel che si legge più oltre, II vi 4-5, sia alla ""bella terzina"" di <i>Pd</i> I 103-5: ""“Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante”"", <i>Nardi</i> scrive: ""il discorso procede sempre movendo dalla distinzione fatta da Aristotele nel libro XII della <i>Metafisica</i>, dell’ordine che regna tra le parti dell’universo tra loro dall’ordine superiore che domina l’universo nella sua totalità, trasferita per certa analogia al duplice ordine che, per Dante, dovrebbe estendersi dalle parti al tutto della società umana come alle parti tra loro e al tutto d’un esercito comandato da un unico duce"". Scrive <i>Cassell</i> a commento: ""Dante’s syllogism is complicated but clear. He contrasts the relation <i>among</i> the parts to the relation <i>between</i> those parts and their leader, and considers the latter (by which he means the position of the emperor toward his subjects) a relationship superior to the former. The relation of the ruler to the ruled is parallel to the Deity’s ordering of Creation"".",libro XII,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, <i>Analitica Priora</i>, 25 b 26 e ss., e <i>Analitica Posteriora</i>, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, <i>Sillogismo</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 249). <i>Kay</i> ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue <i>Summulae logicales</i> da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in <i>Pd</i> XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",75 b 21-35,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_posteriora,Analytica posteriora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, <i>Analitica Priora</i>, 25 b 26 e ss., e <i>Analitica Posteriora</i>, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, <i>Sillogismo</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 249). <i>Kay</i> ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue <i>Summulae logicales</i> da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in <i>Pd</i> XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",25 b 26 e ss.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PER VIM SILLOGISMI PREMISSI,"cioè poco più sopra, I VI 1; Ficino traduce per la forza della rag[i]one predetta; manca all'Anonimo (p. 135). Sulla struttura del sillogismo dimostrativo, che Dante assume come strumento logico basilare, v. Aristotele, <i>Analitica Priora</i>, 25 b 26 e ss., e <i>Analitica Posteriora</i>, 75 b 21-35 (e cfr. Cesare Vasoli, <i>Sillogismo</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 249). <i>Kay</i> ricorda che la dottrina aristotelica fu codificata nelle sue <i>Summulae logicales</i> da Pietro Ispano (Pietro Spano, che Dante ricorda in un luogo famoso in <i>Pd</i> XII 134: v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 352)",25 b 26 e ss.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK CUM SIT ORDO MELIOR ... REPERIRI DEBET,"l'inciso <i>ut per ea que dicta sunt in capitulo precedenti satis est manifestum</i> manca alla traduzione di Ficino; analoga omissione nei codici M S. Cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, a. 52, a. 1, <i>Resp.</i>: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto. Pizzica 1988 richiama il luogo importantissimo rappresentato da <i>Cv</i> III II 4-5, con il commento di Busnelli 1964, I, pp. 263-8, e le diverse considerazioni sia in <i>Nardi</i>, sia in Nardi 1949, pp. 256-7","Ia-IIae, a. 52, a. 1, Resp.: Perfectio autem formae dupliciter potest considerari: uno modo, secundum ipsam formam; alio modo, secundum quod subiectum participat formam. Inquantum igitur attenditur perfectio formae secundum ipsam formam, sic dicitur ipsa esse parva vel magna; puta magna vel parva sanitas vel scientia. Inquantum vero attenditur perfectio formae secundum participationem subiecti, dicitur magis et minus; puta magis vel minus albus vel sanum. Non autem ista distinctio procedit secundum hoc, quod forma habeat esse praeter materiam aut subiectum: sed quia alia est consideratio eius secundum rationem speciei suae, et alia secundum quod participatur in subiecto.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PER UNUM PRINCIPIUM TANTUM,"Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 11, a. 3, <i>Resp</i>., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.","I, q. 11, a. 3, Resp., scrive: Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa: quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK BENE SE HABET ET OPTIME,"è ripetuto più sotto, I viii 2, I viii 5 e I ix 1. ""“Bene se habere et optime” vuol [...] dire realizzare “divinam similitudinem” “secundum quod effectum capere potest”"" (<i>Vinay</i>), come si legge in Tommaso d’Aquino, <i>Summa contra Gentiles</i>, II 45, e come Dante espone in <i>Cv</i> III vii 2: ""Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, dalle cose riceventi. Onde scritto è nel libro delle Cagioni: ""La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo della sua vertù e dello suo essere”"". Ficino traduce ""ogni cosa sta bene"", l’Anonimo ""ciascuna cosa bene sta e optimamente"" (p. 136); <i>Nardi</i> ""bene, anzi ottimamente, ordinato"" (cfr. <i>Nardi</i> 1924a, poi <i>Nardi</i> 1967, pp. 81-109: 106). Varie le soluzioni di alcuni tra i moderni interpreti, da ""è perfetto"" (<i>Vinay</i>) a ""en heureux état et au mieux possible"" (<i>Pézard</i>), ""uno stato di benessere e di felicità"" (Sanguineti 1985), ""in gutem und bestem Zustand"" (<i>Imbach</i>), ""in a good (indeed, ideal) state"" (Shaw 1996). <i>Kay</i> sostiene che la frase è ridondante in ragione di un voluto parallelismo con quanto si legge sopra, I vii 2.",II 45,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK RECIPERE POTEST,"""Creando il mondo, Dio ha voluto che le creature fossero a sua immagine secondo le possibilità della loro natura particolare. Il fine supremo a cui tendono le creature è l’attuazione di questa “intentio” divina che costituisce la ragione stessa del loro essere, punto di partenza e punto d’arrivo ad un tempo. Dio è principio e fine"" (<i>Vinay</i>, con la citazione di Tommaso d’Aquino, <i>Summa contra Gentiles</i>, II 25: ""unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem""). Cfr. la voce <i>Intenzione</i> di Tullio Gregory, in <i>ED</i>, III, 1971, p. 480.","II 25: unumquodque tendens in suam perfectionem, tendit in divinam similitudinem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK FACIAMUS HOMINEM AD YMAGINEM ET SIMILITUDINEM NOSTRAM,"Gn 1, 26; cfr. <i>Cv</i> IV xii 14: ""E la ragione è questa: che lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé (sì come è scritto: “Facciamo l’uomo ad imagine e similitudine nostra”), essa anima massimamente desidera di tornare a quello"". Su questa citazione scritturale v. Cremascoli 2011, p. 33 e nota 9.","Gn 1, 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK TOTUM UNIVERSUM,"l'idea che solo l'universo nella sua interezza rispecchi unitariamente quella bontà del creatore che le singole creature, ciascuna per sé, possono solo sparsamente rappresentare, è in Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 47, a. 1, <i>Resp</i>.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura","I, q. 47, a. 1, Resp.: Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia: nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK VESTIGIUM QUODDAM,"un'impronta, ovvero un segno impresso, un calco, un'<i>orma</i>; cfr. poco più sotto, I IX 1, e <i>Pd</i> I 106-8: Qui veggion l'alte creature l'<i>orma</i> / de l'etterno valore, il qual è fine / al quale è fatta la toccata norma, su cui v. Chiavacci Leonardi 1997, p. 33: <i>orma</i>: impronta; questa parola, che esprime con potente ed evidente metafora l'idea della ""somiglianza"" del creato al creatore, traduce il latino <i>vestigium</i>, termine usato già da Agostino e poi dagli scolastici per significare quella somiglianza, e da Dante stesso ripreso [...] in modo esplicito nella <i>Monarchia</i> (e v. anche ivi, <i>Introduzione</i>, p. XIX). Cfr. anche Bonaventura, <i>Breviloquium</i>, II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et <i>vestigium</i> reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum. Stretta l'aderenza al testo da parte dell'Anonimo: uno vestigio della divina bontà. Splendido Ficino (che trova in questo luogo una di quelle sententie platoniche ricordate nel proemio del suo volgarizzamento e con le quali Dante, parlando inn-ispirito con Platone, avrebbe adornato e libri suoi (p. 327): una honbra d'Iddio. Cfr. Bruno Bernabei, <i>Vestigio</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 986","II XI 2: primum principium fecit mundum istum sensibilem ad declarandum se ipsum, videlicet ad hoc, quod per illum tanquam per speculum et vestigium reduceretur homo in Deum artificem amandum et laudandum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Breviloquium(Bonaventura),Breviloquium,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUANDO MAXIME EST UNUS,"si veda ancora Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 11, a. 4, <i>Resp</i>.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus","I, q. 11, a. 4, Resp.: Respondeo dicendum quod, cum unum sit esse indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime esns, inquantum ens non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcumque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex [...]. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PERFECTI,"Vinay addita come luogo parallelo <i>Cv</i> IV XVI 7: Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo della Fisica quando dice: ""Ciascuna [cosa] è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propia, e allora è massimamente secondo sua natura, onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo"", cioè quando aggiugne la sua propia virtude; e allora è in tutta sua natura, e allora si può dire nobile circulo; trova però deludente la dimostrazione che segue, e che farebbe rimpiangere la teoria della generazione esposta da D. in <i>Conv</i>., IV, 21. Su tutto il contenuto di questo paragrafo si v. la lunga e dotta nota di <i>Nardi</i>, pp. 320-2, con quanto egli aveva già esposto in <i>L'arco della vita</i> (<i>Nardi</i> 1967, pp. 110-38: 110-4), e più succintamente <i>Imbach</i>, pp. 272-3",nel settimo della Fisica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PERFECTISSIMUM,"sulla perfezione del cielo <i>Vinay</i> allega un passo (III 9) del <i>De ecclesiastica potestate</i> di Egidio Romano, che Dante può aver avuto presente; Pizzica 1988 abbellisce e traduce qui sovranamente perfetto",III 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_ecclesiastica_potestate(Egidio_Romano),De ecclesiastica potestate,Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IUXTA SECUNDUM DE NATURALI AUDITU,"U ha una lacuna in luogo di <i>secundum</i>, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece <i>pħm</i> (<i>phylosophum</i>) i codici D F G N Y; M ha <i>secundum phylosophum</i>; Ficino traduce ""come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile"", l’Anonimo ""secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”"" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, <i>Fisica</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 933-4. ""Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi <i>De physico auditu</i>, <i>De physica consultatione</i>) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente <i>Lezioni intorno alla natura</i>"" (<i>Nardi</i>); cfr. Aristotele, <i>Physica</i>, 194 b 13 e <i>De anima</i>, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: ""Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol"". Si rammenti <i>Pd</i> XXII 116: ""quelli ch’è padre d’ogne mortal vita"", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita <i>Rime</i> 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: ""Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta""; nonché <i>Cv</i> III xii 8: ""Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica"".",194 b 13,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK IUXTA SECUNDUM DE NATURALI AUDITU,"U ha una lacuna in luogo di <i>secundum</i>, esattamente come T, dove però una mano diversa ha integrato tale lezione; leggono invece <i>pħm</i> (<i>phylosophum</i>) i codici D F G N Y; M ha <i>secundum phylosophum</i>; Ficino traduce ""come dice nel secondo della “Fisicha” Aristotile"", l’Anonimo ""secondo la sentenza del Filosafo “De naturali audito”, cioè nella “Fisicha”"" (pp. 136-7). Cfr. Enrico Berti, <i>Fisica</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 933-4. ""Questo titolo latino dell’opera aristotelica (e gli altri analoghi <i>De physico auditu</i>, <i>De physica consultatione</i>) è la traduzione del titolo greco Perˆ fusikÁj ¢kro£sewj, che significa semplicemente <i>Lezioni intorno alla natura</i>"" (<i>Nardi</i>); cfr. Aristotele, <i>Physica</i>, 194 b 13 e <i>De anima</i>, 427 a 25, luogo nel quale il commento di Tommaso sembra la fonte diretta di Dante: ""Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol"". Si rammenti <i>Pd</i> XXII 116: ""quelli ch’è padre d’ogne mortal vita"", luogo a commento del quale la Chiavacci Leonardi 1997, p. 618, cita <i>Rime</i> 27 (Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato), 96-101: ""Al gran pianeto è tutta simigliante / che dal levante / avante infino a tanto che s’asconde / con li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com’è disposta""; nonché <i>Cv</i> III xii 8: ""Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica"".",Dicitur autem sol pater virorum quia est aliqua causa humanae generationis. Homo enim generat hominem et sol.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sentencia_libri_De_anima(Tommaso),Sentencia libri De anima,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PAR IN PAREM NON HABET IMPERIUM,"vulgatissimo brocardo (v. ad es. Bracton, <i>De legibus et consuetudinibus Angliae</i>, II 33), qui impiegato a proposito nel caso del conflitto tra giurisdizioni di pari grado; contrariamente a quanto si vede affermato (Pizzica 1988, <i>Kay</i>), la citazione non risale ad Accursio e alla sua glossa a <i>Dig</i>. 4, 8, 3, § 3 e a <i>Dig</i>. 4, 8, 4, dove il testo ha magistratus superiore aut pari imperio nullo modo possunt cogi (Mommsen-Krüger, I, p. 67), o a <i>Dig</i>. 36, 1, 13, § 4 (ivi, p. 522), dove si legge praetorem quidem in praetorem, vel consulem in consulem nullum imperium habere; tanto meno alla glo. conferens generi alla Novella VI di Giustiniano (<i>Auth</i>. Coll. I, 6, Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem adduci, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), in cui quelle autorità legali sono allegate in relazione al Constitutum Constantini (<i>Furlan</i>); risale invece, nella formulazione qui usata, alla decretale Innotuit di Innocenzo III, già compresa nella <i>Compilatio III</i> (cap. 5, <i>III Comp</i>., I, 6: QCA, p. 105), ma che Dante leggeva ormai nel Liber Extra di Gregorio IX, cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62); il principio era già ricevuto nel c. 4, D. XXI del Decretum Gratiani (Friedberg, I, col. 70). In proposito v. Pennington 1993, p. 93, e più specificamente Pennington 1999, p. 260, con l'esempio, a Dante calzantissimo, di Guido da Suzzara","cap. 20, X, I, 6, De electione et electi potestate: quum par in parem non habeat imperium (Friedberg, II, col. 62);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK ENTIA NOLUNT MALE DISPONI,"Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1076 a 3-5, che ricorda tacitamente un verso omerico (<i>Il</i>. II 24; cfr. ancora la v. <i>Omero</i> di Guido Martellotti, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 145-8). Per il valore polisemico di <i>ens</i> nella scolastica medievale cfr. Vinay",1076 a 3-5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce <i>Rettitudine</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 894, per <i>rectitudo</i> come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con <i>Nardi</i>, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in <i>Cv</i> IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone <i>Tre donne intorno al cor mi son venute</i>, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a <i>Rime</i> 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di <i>Vinay</i>, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda <i>Cv</i> IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a <i>Summa theol</i>., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter <i>rectitudo</i>, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “<i>rectitudo</i>” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “<i>regula</i>”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della <i>regula</i> (del regolo) è in Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la <i>regula Lesbia</i>, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est <i>rectitudo</i>"" è in Anselmo, <i>De veritate</i>, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi <i>Opera omnia</i>, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di <i>rectitudo</i>, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce <i>Nardi</i>, pp. 328-9; <i>Kay</i> suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 63, a. 1, <i>Resp</i>., e avverte: ""Dante’s approach at this point <i>is</i> necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract <i>quality</i>; whereas it usually was defined a <i>virtue</i>, which <i>is</i> to say a habit of someone’s will [...]. As a <i>virtue</i>, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract <i>quality</i>, justice <i>is</i> a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di <i>Vinay</i>: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","2a 2ae, q. 58, art",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce <i>Rettitudine</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 894, per <i>rectitudo</i> come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con <i>Nardi</i>, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in <i>Cv</i> IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone <i>Tre donne intorno al cor mi son venute</i>, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a <i>Rime</i> 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di <i>Vinay</i>, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda <i>Cv</i> IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a <i>Summa theol</i>., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter <i>rectitudo</i>, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “<i>rectitudo</i>” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “<i>regula</i>”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della <i>regula</i> (del regolo) è in Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la <i>regula Lesbia</i>, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est <i>rectitudo</i>"" è in Anselmo, <i>De veritate</i>, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi <i>Opera omnia</i>, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di <i>rectitudo</i>, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce <i>Nardi</i>, pp. 328-9; <i>Kay</i> suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 63, a. 1, <i>Resp</i>., e avverte: ""Dante’s approach at this point <i>is</i> necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract <i>quality</i>; whereas it usually was defined a <i>virtue</i>, which <i>is</i> to say a habit of someone’s will [...]. As a <i>virtue</i>, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract <i>quality</i>, justice <i>is</i> a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di <i>Vinay</i>: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".",_EMPTY,CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce <i>Rettitudine</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 894, per <i>rectitudo</i> come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con <i>Nardi</i>, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in <i>Cv</i> IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone <i>Tre donne intorno al cor mi son venute</i>, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a <i>Rime</i> 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di <i>Vinay</i>, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda <i>Cv</i> IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a <i>Summa theol</i>., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter <i>rectitudo</i>, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “<i>rectitudo</i>” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “<i>regula</i>”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della <i>regula</i> (del regolo) è in Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la <i>regula Lesbia</i>, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est <i>rectitudo</i>"" è in Anselmo, <i>De veritate</i>, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi <i>Opera omnia</i>, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di <i>rectitudo</i>, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce <i>Nardi</i>, pp. 328-9; <i>Kay</i> suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 63, a. 1, <i>Resp</i>., e avverte: ""Dante’s approach at this point <i>is</i> necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract <i>quality</i>; whereas it usually was defined a <i>virtue</i>, which <i>is</i> to say a habit of someone’s will [...]. As a <i>virtue</i>, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract <i>quality</i>, justice <i>is</i> a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di <i>Vinay</i>: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".",1137 b 30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce <i>Rettitudine</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 894, per <i>rectitudo</i> come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con <i>Nardi</i>, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in <i>Cv</i> IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone <i>Tre donne intorno al cor mi son venute</i>, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a <i>Rime</i> 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di <i>Vinay</i>, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda <i>Cv</i> IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a <i>Summa theol</i>., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter <i>rectitudo</i>, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “<i>rectitudo</i>” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “<i>regula</i>”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della <i>regula</i> (del regolo) è in Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la <i>regula Lesbia</i>, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est <i>rectitudo</i>"" è in Anselmo, <i>De veritate</i>, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi <i>Opera omnia</i>, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di <i>rectitudo</i>, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce <i>Nardi</i>, pp. 328-9; <i>Kay</i> suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 63, a. 1, <i>Resp</i>., e avverte: ""Dante’s approach at this point <i>is</i> necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract <i>quality</i>; whereas it usually was defined a <i>virtue</i>, which <i>is</i> to say a habit of someone’s will [...]. As a <i>virtue</i>, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract <i>quality</i>, justice <i>is</i> a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di <i>Vinay</i>: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","I, q. 63, a. 1, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUEDAM RECTITUDO SIVE REGULA OBLIQUUM HINC INDE ABICIENS,"v. la voce <i>Rettitudine</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 894, per <i>rectitudo</i> come dirittura ""nel senso geometrico, morale e logico""); ad ogni altra traduzione preferisco appunto, con <i>Nardi</i>, ""dirittura"", che conserva la voluta ambiguità delle metafore del testo, aderendo nel contempo al lessico dantesco, come nella definizione della giustizia in <i>Cv</i> IV xvii 6 (""Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose"") e nella canzone <i>Tre donne intorno al cor mi son venute</i>, dove Drittura (la Giustizia) dice ad Amore: ""“nostra natura qui a te ci manda: / io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura; / povera, vedi, a panni ed a cintura”""; con la nota di C. Giunta a <i>Rime</i> 44, 33-36, nel vol. I di questa edizione, pp. 520-2 e 531, e la bibliografia recente indicata a p. 525. Alquanto arzigogolate mi paiono le preoccupazioni di <i>Vinay</i>, che respingendo la traduzione ficiniana (""una certa rettitudine et regola che da ogni parte schaccia el torto"") come forma di ""italiano anodino"" e ""assai più difficile del latino di D."", ricorda <i>Cv</i> IV xvii 6, ma per affermare: ""In realtà, questo passo non serve perché non vi è detto “giustizia è dirittura” ma “giustizia ordina a dirittura”, che ci richiama a <i>Summa theol</i>., 2a 2ae, q. 58, art. I: “neque enim iustitia est essentialiter <i>rectitudo</i>, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult”. Ravvicinando i due passi e osservando che più avanti D. accoglie senza riserve il concetto tomistico di giustizia, mi par chiaro che qui “<i>rectitudo</i>” è usata non nel senso figurato di rettitudine o dirittura, ma in quello proprio di “rettilineità” che richiama alla “riga” sola interpretazione qui ammissibile di “<i>regula</i>”. Cioè siamo di fronte non ad una definizione ma ad una similitudine con la quale D. non intende far altro che fissare il momento assoluto della giustizia considerata in se stessa e spiegare come, nella sua essenza, essa non possa rispecchiare un grado maggiore o minore di perfezione"". La metafora della <i>regula</i> (del regolo) è in Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1137 b 30, dove la convenienza è distinta dalla rettitudine proprio in ragione della sua adattabilità ai fatti (ne è simbolo la <i>regula Lesbia</i>, il regolo di piombo che si fletteva aderendo alle irregolarità della pietra); la formula ""iustitia est <i>rectitudo</i>"" è in Anselmo, <i>De veritate</i>, 12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi <i>Opera omnia</i>, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197). In tal senso Dante può parlare di <i>rectitudo</i>, “dirittura” o “rettitudine” (anche l’Anonimo traduce ""una retttudine overo regola""), astraendo dalla realtà relazionale della giustizia senza volerla negare. Cfr. quanto persuasivamente riconosce <i>Nardi</i>, pp. 328-9; <i>Kay</i> suggerisce un parallelo con Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 63, a. 1, <i>Resp</i>., e avverte: ""Dante’s approach at this point <i>is</i> necessarily original because he wants a definition of justice as an abstract <i>quality</i>; whereas it usually was defined a <i>virtue</i>, which <i>is</i> to say a habit of someone’s will [...]. As a <i>virtue</i>, justice disposes the one who possesses it to love and practice rectitude; but as an abstract <i>quality</i>, justice <i>is</i> a kind of rectitude"". Stimo inutili gli sforzi per rendere altrimenti il senso di questo passo, tutti sulla scia di <i>Vinay</i>: ""una rettilineità, una riga che non ammette alcuna deviazione""; cfr. Ronconi 1966: ""un procedere rettilineo o regola che rifiuta ogni deviazione""; Pizzica 1988: ""un comportamento rettilineo o regola che respinge tutto ciò che devia da una parte o dall’altra""; Marcelli-Martelli 2004: ""una “rettilineità” ovvero una riga che non si piega da una parte o dall’altra"".","12 (in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, rec. Franciscus Salesius Schmitt, 1968, I, 1, p. 197)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Anselmo_Aosta),De veritate,Anselmo d'Aosta,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Anselmo_Aosta,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK MAGISTER SEX PRINCIPIORUM,"Dante cita pressoché alla lettera dal <i>Liber sex principiorum</i> 1 1, p. 36: ""forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens"". Lo scritto, in passato a torto atribuito a Gilbert de la Porrée (v. la voce <i>Magister Sex Principiorum</i> in <i>ED</i>, III, 1971, p. 767, e cfr. <i>Cassell</i>) faceva parte del <i>corpus</i> delle opere logiche di Aristotele nel <i>curriculum</i> degli <i>artistae</i>; ciò suggerisce a <i>Kay</i> che Dante possa non averne avuto diretta conoscenza, dal momento che essa ""was widely quoted by later scholastics"". Commenta <i>Nardi</i>: ""E proprio per questo Dante cita il <i>Magister Sex Principiorum</i>, il quale <i>recte</i>, a buon diritto, ha affermato che <i>huiusmodi forme</i>, quali la “bianchezza” e la “giustizia”, pur trovandosi enunciate di un composto, in sé stesse consistono in una “semplice e invariabile essenza”. Quest’unica testimonianza chiede Dante al <i>Magister Sex Principiorum</i>; nient’altro. Quello che immediatamente precede e segue questa citazione è chiosa di Dante. Siffatte “forme”, come quelle della “bianchezza” e della “giustizia”, sono “essenze inviariabili” <i>in suo abstracto</i>, come appunto vuole Aristotele; ma in quanto entrano in composizione con soggetti variabili <i>quibus concernuntur</i> (da <i>concerno</i>, che ha il perfetto <i>concrevi</i> e il supino <i>concretum</i> uguali a <i>concresco</i>!), ossia <i>in concreto</i>, sono suscettibili di “magis et minus” “secundum quod magis et minus in subiectis de contrariis admiscetur”"". Così anche Alfonso Maierù, <i>Suggetto</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 475, che richiama questo luogo a proposito della ""sostanza individuante"", del ""‘<i>concretum</i>’ cui ineriscono le forme accidentali e i loro contrari; queste forme, in sé immutabili, sono suscettibili di variazioni in più o in meno a seconda del ‘concetto’ cui ineriscono, sicché propriamente il s. è capace di più o meno, non le forme"".","1 1, p. 36: forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_Sex_Principiorum,Liber Sex Principiorum,Magister Sex Principiorum,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Magister_Sex_Principiorum,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la <i>princeps</i> K legge <i>huius qualitatis</i>; <i>huius qualitates</i> hanno i codici C E H S Y Z; T ha <i>in subiectis de contrariis</i> e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, <i>Categoriae</i>, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (<i>Utrum habitus augeantur per additionem</i>); q. 53, a. 2 (<i>Utrum habitus possit diminui</i>); q. 66, a. 1 (<i>Utrum virtus possit esse maior vel minor</i>), Resp","Ia-IIae, q. 52, a. 2 (Utrum habitus augeantur per additionem)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la <i>princeps</i> K legge <i>huius qualitatis</i>; <i>huius qualitates</i> hanno i codici C E H S Y Z; T ha <i>in subiectis de contrariis</i> e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, <i>Categoriae</i>, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (<i>Utrum habitus augeantur per additionem</i>); q. 53, a. 2 (<i>Utrum habitus possit diminui</i>); q. 66, a. 1 (<i>Utrum virtus possit esse maior vel minor</i>), Resp","q. 53, a. 2 (Utrum habitus possit diminui)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK RECIPIUNT TAMEN MAGIS ET MINUS HUIUSMODI QUALITATES,"la <i>princeps</i> K legge <i>huius qualitatis</i>; <i>huius qualitates</i> hanno i codici C E H S Y Z; T ha <i>in subiectis de contrariis</i> e A1 mostra un'ampia omissione per omeoteleuto. è la risposta alle questioni poste da Aristotele, <i>Categoriae</i>, 10 b 30-5; cfr. sopra, I XI 3. Per l'affermazione di Dante cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 52, a. 2 (<i>Utrum habitus augeantur per additionem</i>); q. 53, a. 2 (<i>Utrum habitus possit diminui</i>); q. 66, a. 1 (<i>Utrum virtus possit esse maior vel minor</i>), Resp","q. 66, a. 1 (Utrum virtus possit esse maior vel minor), Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK DE CONTRARIO IUSTITIE,"Aristotele, <i>Categoriae</i>, 10 b 12-3, spiega così: Alla qualità appartiene inoltre la contrarietà. Ad esempio, la giustizia è contraria all'ingiustizia, la bianchezza è contraria alla nerezza, ed analogamente per le altre qualità",10 b 12-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK QUANTUM AD HABITUM ET QUANTUM AD OPERATIONEM,"cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult (cfr. sopra, I XI 3 e più in generale I III 3)","IIa-IIae, q. 58, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod neque etiam iustitia est essentialiter rectitudo, sed causaliter tantum: est enim habitus secundum quem aliquis recte operatur et vult",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NEQUE HESPERUS NEQUE LUCIFER ITA ADMIRABILIS EST,"Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia <i>Melanippe</i> di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58, a. 12, <i>Resp</i>.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V <i>Ethic</i>., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci <i>Espero</i> (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed <i>Etica</i> (Enrico Berti), in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 731 e 756-8",1129 b 28;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK NEQUE HESPERUS NEQUE LUCIFER ITA ADMIRABILIS EST,"Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 b 28; è la citazione di un frammento della tragedia <i>Melanippe</i> di Euripide (fr. 486 Nauck2, pp. 512-3); cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58, a. 12, <i>Resp</i>.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V <i>Ethic</i>., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis. Per questo passaggio v. anche le voci <i>Espero</i> (Giovanni Buti e Renzo Bertagni) ed <i>Etica</i> (Enrico Berti), in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 731 e 756-8","IIa-IIae, q. 58, a. 12, Resp.: Respondeo dicendum quod si loquamur de iustitia legali, manifestum est quod ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales: inquantum bonum commune praeeminet bono singulari unius personae. Et secundum hoc Philosophus, in V Ethic., dicit quod praeclarissima virtutum videtur esse iustitia, et neque est Hesperus neque Lucifer ita admirabilis.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (<i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in <i>Inst</i>. 1, 1, § 1 e in <i>Dig</i>. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 50, a. 5, <i>Sed contra</i>, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia <i>habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta</i>, ut dicitur in V <i>Ethic</i>.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58 (<i>Utrum convenienter definiatur quod</i> ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).",1129 a 7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (<i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in <i>Inst</i>. 1, 1, § 1 e in <i>Dig</i>. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 50, a. 5, <i>Sed contra</i>, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia <i>habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta</i>, ut dicitur in V <i>Ethic</i>.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58 (<i>Utrum convenienter definiatur quod</i> ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","1, 1, 10, pr.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (<i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in <i>Inst</i>. 1, 1, § 1 e in <i>Dig</i>. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 50, a. 5, <i>Sed contra</i>, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia <i>habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta</i>, ut dicitur in V <i>Ethic</i>.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58 (<i>Utrum convenienter definiatur quod</i> ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","1, 1, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (<i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in <i>Inst</i>. 1, 1, § 1 e in <i>Dig</i>. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 50, a. 5, <i>Sed contra</i>, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia <i>habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta</i>, ut dicitur in V <i>Ethic</i>.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58 (<i>Utrum convenienter definiatur quod</i> ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","Ia-IIae, q. 50, a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK CONTRARIETATEM HABET ... IN VELLE,"la giustizia può trovare ostacolo al suo attuarsi nella volontà, proprio perché la giustizia è volontà, sia nella definizione aristotelica (<i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 a 7, secondo cui è ""giustizia quella disposizione di animo, per la quale gli uomini sono inclini a compiere cose giuste e per la quale operano giustamente e vogliono le cose giuste""), sia nella vulgata definizione ulpianea di origine ciceroniana, depositata in <i>Inst</i>. 1, 1, § 1 e in <i>Dig</i>. 1, 1, 10, pr. (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1): ""Iustita est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi"", definizione che Dante richiama implicitamente poco oltre, I xi 7. Cfr. in proposito la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 50, a. 5, <i>Sed contra</i>, afferma: ""iustitia est in voluntate: est enim iustitia <i>habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta</i>, ut dicitur in V <i>Ethic</i>.""; ma occorrere innanzi tutto ricordare <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 58 (<i>Utrum convenienter definiatur quod</i> ‘iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens’), dove Tommaso difende la definizione romanistica esaminando la Glossa di Accursio; per tutto ciò v. Quaglioni 2003a, pp. 73-8; Quaglioni 2004a, pp. 75-9).","IIa-IIae, q. 58 (Utrum convenienter definiatur quod ""iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens"")",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di <i>Vinay</i>, che intende <i>cupiditas</i> nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1, <i>Resp</i>.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in <i>Cv</i> IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli <i>initia</i> dei due <i>corpora iuris</i>. Esso deve senz’altro intendersi riferito al <i>dictum ante</i> c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di <i>Mt</i> 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a <i>Inst</i>. 1, 1, § 3 = <i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i <i>praecepta iuris</i>: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del <i>Decretum</i> come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", <i>Inst</i>. 1, 1, § 3, in <i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il <i>Liber Extra</i>, scrive: ""Sed effrenata <i>cupiditas</i>, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","q. 84, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di <i>Vinay</i>, che intende <i>cupiditas</i> nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1, <i>Resp</i>.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in <i>Cv</i> IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli <i>initia</i> dei due <i>corpora iuris</i>. Esso deve senz’altro intendersi riferito al <i>dictum ante</i> c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di <i>Mt</i> 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a <i>Inst</i>. 1, 1, § 3 = <i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i <i>praecepta iuris</i>: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del <i>Decretum</i> come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", <i>Inst</i>. 1, 1, § 3, in <i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il <i>Liber Extra</i>, scrive: ""Sed effrenata <i>cupiditas</i>, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","dictum ante c. 1, D. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di <i>Vinay</i>, che intende <i>cupiditas</i> nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1, <i>Resp</i>.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in <i>Cv</i> IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli <i>initia</i> dei due <i>corpora iuris</i>. Esso deve senz’altro intendersi riferito al <i>dictum ante</i> c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di <i>Mt</i> 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a <i>Inst</i>. 1, 1, § 3 = <i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i <i>praecepta iuris</i>: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del <i>Decretum</i> come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", <i>Inst</i>. 1, 1, § 3, in <i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il <i>Liber Extra</i>, scrive: ""Sed effrenata <i>cupiditas</i>, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","1, 1, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di <i>Vinay</i>, che intende <i>cupiditas</i> nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1, <i>Resp</i>.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in <i>Cv</i> IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli <i>initia</i> dei due <i>corpora iuris</i>. Esso deve senz’altro intendersi riferito al <i>dictum ante</i> c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di <i>Mt</i> 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a <i>Inst</i>. 1, 1, § 3 = <i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i <i>praecepta iuris</i>: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del <i>Decretum</i> come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", <i>Inst</i>. 1, 1, § 3, in <i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il <i>Liber Extra</i>, scrive: ""Sed effrenata <i>cupiditas</i>, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","Dig. 1, 1, 10, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di <i>Vinay</i>, che intende <i>cupiditas</i> nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1, <i>Resp</i>.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in <i>Cv</i> IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli <i>initia</i> dei due <i>corpora iuris</i>. Esso deve senz’altro intendersi riferito al <i>dictum ante</i> c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di <i>Mt</i> 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a <i>Inst</i>. 1, 1, § 3 = <i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i <i>praecepta iuris</i>: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del <i>Decretum</i> come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", <i>Inst</i>. 1, 1, § 3, in <i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il <i>Liber Extra</i>, scrive: ""Sed effrenata <i>cupiditas</i>, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","glo. alterum non ledere, Inst. 1, 1, è 3, in Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK AB OMNI CUPIDITATE,"giusta l’osservazione di <i>Vinay</i>, che intende <i>cupiditas</i> nel senso generico di “passione”, e non di “avidità” (""radix omnium peccatorum"" e non semplicemente ""inordinatus amor divitiarum"", come dice Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1, <i>Resp</i>.). Sembrerebbe invece ristretto a quest’ultimo significato quando Dante scrive in <i>Cv</i> IV xii 9: ""E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d’avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, allo fine delli quali sanza ingiuria d’alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l’una e l’altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alla cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? Certo assai lo manifesta e l’una e l’altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono"". Busnelli 1964, II, pp. 140-1, equivoca ampiamente a proposito del senso di questo rinvio agli <i>initia</i> dei due <i>corpora iuris</i>. Esso deve senz’altro intendersi riferito al <i>dictum ante</i> c. 1, D. I, dove Graziano pone alla base di tutto l’ordinamento la norma evangelica di <i>Mt</i> 7, 12: ""Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos eadem facite illis"" (Friedberg, I, p. 1), e a <i>Inst</i>. 1, 1, § 3 = <i>Dig</i>. 1, 1, 10, § 1 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1), dove sono elencati i <i>praecepta iuris</i>: ""honeste vivere, alterum non laedere, cuique suum tribuere""); è proprio glossando quest’ultimo luogo che Accursio rinvia alla norma evangelica posta all’inizio del <i>Decretum</i> come a luogo parallelo: ""Unde illud: quod tibi non vis fieri, alii ne feceris"" (glo. ""alterum non ledere"", <i>Inst</i>. 1, 1, § 3, in <i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 16); eppure avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il Busnelli proprio la costituzione proemiale Rex pacificus, da lui stesso evocata, nella quale Gregorio IX, pubblicando nel 1234 il <i>Liber Extra</i>, scrive: ""Sed effrenata <i>cupiditas</i>, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur"" (Friedberg, II, coll. 1-2). Per tutto ciò cfr. più oltre, I xi 11 e 14, I xiii 7 e III xvi 9.","Sed effrenata cupiditas, sui prodiga, pacis aemula, mater litium, materia iurgiorum, tot quotidie nova litigia generat, ut, nisi iustitia conatus eius sua virtute reprimeret, et quaestiones ipsius implicitas explicaret, ius humani foederis litigatorum abusus exstingueret, et dato libello repudii concordia extra mundi terminos exsularet. Ideoque lex proditur, ut appetitus noxius sub iuris regula limitetur, per quam genus humanum, ut honeste vivat, alterum non laedat, ius suum unicuique tribuat, informatur (Friedberg, II, coll. 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. <i>Cv</i> I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro <i>Nardi</i>, <i>Furlan</i> cita Quintiliano, <i>Inst. orat</i>. II xvi 4 (in tema di <i>adfectus</i> eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di <i>passionare</i> il giudice"". <i>Vinay</i>, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice <i>Kay</i>: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che <i>passionare</i> abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s <i>Decretum</i> collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (<i>amore iustitiae</i>), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (<i>cupiditas</i>) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. <i>Cv</i> I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro <i>Nardi</i>, <i>Furlan</i> cita Quintiliano, <i>Inst. orat</i>. II xvi 4 (in tema di <i>adfectus</i> eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di <i>passionare</i> il giudice"". <i>Vinay</i>, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice <i>Kay</i>: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che <i>passionare</i> abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s <i>Decretum</i> collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (<i>amore iustitiae</i>), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (<i>cupiditas</i>) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.","Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUI IUDICEM PASSIONARE CONANTUR,"cfr. <i>Cv</i> I iv 8: ""E questi ... passionati mal giudicano"", dove Busnelli 1964, I, p. 26, rimanda a Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 77, a. 2, ad 2 (ma a. 2, ad 3: ""Passio igitur ligat rationem""); dietro <i>Nardi</i>, <i>Furlan</i> cita Quintiliano, <i>Inst. orat</i>. II xvi 4 (in tema di <i>adfectus</i> eccitati nel giudice). Ficino ha ""quelli che riducono el g[i]udice a perturbatione d’animo""; l’Anonimo, più semplicemente, ""quelli che si studiano di <i>passionare</i> il giudice"". <i>Vinay</i>, seguito dai più, traduce ""chi cerca di influenzare il giudice""; non piace Ronconi 1966: ""coloro che tentano di rendere il giudice meno spassionato""; indovinata ma parafrastica la resa di Pizzica 1988: ""coloro che tentano di suscitare passioni di parte nell’animo del giudice""; meno felice <i>Kay</i>: ""those who try to appeal to the judge’s passions"", il quale però, sottolineando che <i>passionare</i> abbraccia ""all [...] appeals to the emotions"", addita molto giustamente e con esatta precisione i luoghi della canonistica grazianea cui Dante sembra alludere in questo passaggio: ""Gratian’s <i>Decretum</i> collects a number of emotional motives for judging ex animo rather than from love of justice (<i>amore iustitiae</i>), which include fear, hatred, anger, friendship, and family loyalty, as well as greed (<i>cupiditas</i>) for material gain"" (p. 54 nota 16, con richiamo ai cc. 66-79, C. XI, q. iii: Friedberg, I, coll. 661-5). Non credo invece che cada esattamente a proposito il rinvio a quanto specificamente disposto in Cod. 7, 49 (de poena iudicis qui male iudicavit vel eius, qui iudicem vel adversarium corrumpere curavit), 1 (Mommsen-Krüger, II, p. 317), che sanziona la corruzione con la perdita della causa (amissio actionis), così come al relativo commento di Cino da Pistoia, In Codicem, f. 462r. Sul problema della responsabilità del giudice e del giusto giudizio v. la letteratura richiamata in Quaglioni 2003b, e cfr. Natalini 2007.",II XVI 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Institutio_Oratoria,Institutio oratoria,Quintiliano,http://dbpedia.org/resource/Quintilian,http://purl.org/bncf/tid/4567,WORK CUM IUSTITIA SIT VIRTUS AD ALTERUM,"la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. <i>Nardi</i>; cfr. anche <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (<i>Utrum iustitia sit semper ad alterum</i>), <i>Resp</i>., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza <i>Vinay</i>)",1129 b 26 – 1130 a 16,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK CUM IUSTITIA SIT VIRTUS AD ALTERUM,"la virtù della giustizia richiede la relazione con l'altro: cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 b 26 – 1130 a 16: Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro...; per il commento di Tommaso a questo luogo v. <i>Nardi</i>; cfr. anche <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIaee, q. 58, a. 2 (<i>Utrum iustitia sit semper ad alterum</i>), <i>Resp</i>., che Dante non poteva ignorare (come invece ipotizza <i>Vinay</i>)","IIa-IIaee, q. 58, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PROSILLOGISMUS,"ricorre solo in questo luogo; conservano questa forma la <i>princeps</i> K e parte dei manoscritti β (B D E F N P V Y); i restanti testimoni hanno <i>sillogismus</i> o altre lezioni assai corrotte (anche l'Anonimo conserva sillogismo, mentre Ficino ha argumento. È un sillogismo preliminare (preparatory syllogism, <i>Cassell</i>), ovvero il sillogismo introdotto a dimostrazione della verità della premessa di un altro sillogismo, in modo che la conclusione del p. venga a essere la stessa premessa da dimostrare (v. <i>Prosillogismus</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, 719-20): vedi Aristotele, <i>Analytica priora</i>, 42 b 5; 44 a 22, e cfr. ampiamente <i>Nardi</i>, p. 336",42 b 5; 44 a 22,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK CURRIT PER SECUNDAM FIGURAM CUM NEGATIONE INTRINSECA,"Aristotele, <i>Analytica priora</i>, 26 b – 28 a; il prosillogismo qui introdotto appartiene alla seconda delle tre figure in cui il sillogismo può presentarsi, cioè a quella in cui il termine medio è predicato di entrambe le premesse: ""“nessun uomo intelligente <i>trascura la sua cultura</i>, Caio <i>trascura la sua cultura</i>, dunque Caio non è un uomo intelligente” è un sillogismo di seconda figura e come tale è “privativus” non “affirmativus” (Cfr. Boezio, <i>Priorum analyt. interpretatio</i> I 5, <i>PL</i> 64, col. 643 sgg.)"" (<i>Vinay</i>).",26 b - 28 a,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK CUPIDITAS,"cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di <i>ab omni cupiditate</i>; in questo senso si può evocare la lupa ""che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza"" di <i>If</i> I 49-50; così il luogo paolino ""radix omnium malorum est <i>cupiditas</i>"" (<i>1 Tm</i> 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della <i>cupiditas</i> come ""radix omnium peccatorum"", e non semplicemente come ""inordinatus amor divitiarum"", in Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (<i>Utrum <i>cupiditas</i> sit radix omnium peccatorum</i>); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone <i>Doglia mi reca nello core ardire</i> (<i>Rime</i> 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. <i>Vinay</i> ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, <i>De regimine christiano</i>: ""reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum"" (ed. Arquillière 1926, p. 243).","Ia-IIae, q. 84, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK CUPIDITAS,"cfr. più oltre, I xi 14, I xiii 7 e III xvi 9; non l’avaritia come bramosia degli averi, ma come carico complessivo delle passioni, se è vero quel che si è detto sopra, I xi 6, a proposito di <i>ab omni cupiditate</i>; in questo senso si può evocare la lupa ""che di tutte le brame / sembiava carca ne la sua magrezza"" di <i>If</i> I 49-50; così il luogo paolino ""radix omnium malorum est <i>cupiditas</i>"" (<i>1 Tm</i> 6, 10), qui usualmente richiamato, sostiene l’idea della <i>cupiditas</i> come ""radix omnium peccatorum"", e non semplicemente come ""inordinatus amor divitiarum"", in Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1 (<i>Utrum <i>cupiditas</i> sit radix omnium peccatorum</i>); v. in proposito la nota di C. Giunta alla canzone <i>Doglia mi reca nello core ardire</i> (<i>Rime</i> 46), nel vol. I di questa edizione, pp. 558-9. <i>Vinay</i> ricorda un analogo passaggio in Giacomo da Viterbo, <i>De regimine christiano</i>: ""reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum"" (ed. Arquillière 1926, p. 243).","Ia-IIae, q. 84, a. 1, reges pauci regaliter principantur, plures autem ad tyrampnidem declinant, et maxime propter cupiditatem que radix est omnium malorum secundum Apostolum (ed. Arquillière 1926, p. 243)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_christiano(Giacomo_da_Viterbo),De regimine christiano,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK ARISTOTILES,"in Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1129 a 32 – b 10, il termine usato è pleonškthj, ""avido di avere e di potere, che nella versione latina è reso con la parola <i>avarus</i>"" (<i>Nardi</i>), alla lettera ""chi vuole avvantaggiarsi"" (plšon = vantaggio), chiamato ""ingiusto"" insieme al trasgressore della legge e all’iniquo.",1129 a 32 - b 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, <i>Rhetorica</i>, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, <i>De regimine principum</i>, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I <i>Rhetor</i>. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. <i>Nardi</i> aggiunge una serie di luoghi romanistici, <i>Inst</i>. 4, 17, <i>Dig</i>. 5, 1, 40, <i>Dig</i>. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine",1354 a 31 - b 11,CITAZIONE ESPLICITA,http://it.dbpedia.org/resource/Retorica_(Aristotele),Rhetorica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, <i>Rhetorica</i>, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, <i>De regimine principum</i>, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I <i>Rhetor</i>. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. <i>Nardi</i> aggiunge una serie di luoghi romanistici, <i>Inst</i>. 4, 17, <i>Dig</i>. 5, 1, 40, <i>Dig</i>. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine",III II 20,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, <i>Rhetorica</i>, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, <i>De regimine principum</i>, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I <i>Rhetor</i>. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. <i>Nardi</i> aggiunge una serie di luoghi romanistici, <i>Inst</i>. 4, 17, <i>Dig</i>. 5, 1, 40, <i>Dig</i>. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","4, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, <i>Rhetorica</i>, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, <i>De regimine principum</i>, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I <i>Rhetor</i>. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. <i>Nardi</i> aggiunge una serie di luoghi romanistici, <i>Inst</i>. 4, 17, <i>Dig</i>. 5, 1, 40, <i>Dig</i>. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","5, 1, 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SENTENTIA PHYLOSOPHI,"sentenzia del Filosafo (Anonimo), sententia d'Aristotile (Ficino); Aristotele, <i>Rhetorica</i>, 1354 a 31 – b 11, afferma: Soprattutto occorrerebbe che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesse tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile; anzitutto perché è più facile trovare uno o pochi che non molti uomini ben pensanti e capaci di legiferare e giudicare; quindi perché le disposizioni legislative sono stabilite dopo un lungo esame, invece i giudizi avvengono all'improvviso, cosicché è difficile che quelli che giudicano stabiliscano bene il giusto e l'utile. Ma, ed è la cosa più importante, perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il membro di assemblea e il giudice giudicano ogni volta su casi presenti e determinati. Ad essi sono spesso congiunti l'amicizia, l'odio e l'utilità particolare, cosicché non è più possibile vedere sufficientemente la verità, ma il piacere e il dispiacere personale ottenebrano il giudizio. Dante conosceva senz'altro la citazione di questo luogo aristotelico in Egidio Romano, <i>De regimine principum</i>, III II 20; e deve aver avuto presente anche Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 1, ad 2: Ad secundum dicendum quod, sicut Philosophus dicit, I <i>Rhetor</i>. [1354 a 31], melius est omnia ordinari lege, quam dimittere iudicum arbitrio. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia facilius est invenire paucos sapientes, qui sufficiant ad rectas leges ponendas, quam multos, qui requirerentur ad recte iudicandum de singulis. – Secundo, quia illi qui leges ponunt, ex multo tempore considerant quid lege ferendum sit: sed iudicia de singularibus factis fiunt ex casibus subito exortis. Facilius autem ex multis consideratis potest homo videre quid rectum sit, quam solum ex aliquo uno facto. – Tertio, quia legislatores iudicant in universali, et de futuris: sed homines iudiciis praesidentes iudicant de praesentibus, ad quae afficiuntur amore vel odio, aut aliqua cupiditate; et sic eorum depravatur iudicium. Quia ergo iustitia animata iudicis non invenitur in multis; et quia flexibilis est; ideo necessarium fuit, in quibuscumque est possibile, legem determinare quid iudicandum sit, et paucissima arbitrio hominum committere. <i>Nardi</i> aggiunge una serie di luoghi romanistici, <i>Inst</i>. 4, 17, <i>Dig</i>. 5, 1, 40, <i>Dig</i>. 48, 10, 1, § 3 (Mommsen-Krüger, I, pp. 56-7; p. 75 e p. 803), dove il giudice è severamente ammonito all'osservanza della legge e della consuetudine","48, 10, 1, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva <i>Nardi</i>, pp. 338-9). <i>Kay</i> è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione <i>Bene a Zenone</i>, nel titolo <i>De quadriennii praescriptione</i> del Codice Giustiniano (<i>Cod</i>. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in <i>Cv</i> IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come <i>dominus mundi</i> e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e <i>Bulgaro</i>, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli <i>iura regalia</i>; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al <i>dominium quoad proprietatem</i> e non solo <i>quoad iurisdictionem</i>. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il <i>Novellino</i> per Martino e <i>Bulgaro</i>, Odofredo nel commento a <i>Dig</i>. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e <i>Bulgaro</i>, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del <i>dominatus mundi</i> dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di <i>iurisdictio</i> imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. <i>Bulgaro</i> di Bruno Paradisi, in <i>DBI</i>, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",1160 b 2-5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva <i>Nardi</i>, pp. 338-9). <i>Kay</i> è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione <i>Bene a Zenone</i>, nel titolo <i>De quadriennii praescriptione</i> del Codice Giustiniano (<i>Cod</i>. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in <i>Cv</i> IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come <i>dominus mundi</i> e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e <i>Bulgaro</i>, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli <i>iura regalia</i>; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al <i>dominium quoad proprietatem</i> e non solo <i>quoad iurisdictionem</i>. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il <i>Novellino</i> per Martino e <i>Bulgaro</i>, Odofredo nel commento a <i>Dig</i>. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e <i>Bulgaro</i>, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del <i>dominatus mundi</i> dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di <i>iurisdictio</i> imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. <i>Bulgaro</i> di Bruno Paradisi, in <i>DBI</i>, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993","Cod. 7, 37, 3: Mommsen-Kruger, II, p. 310",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Codex_Justinianus,Codex Iustinianus,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva <i>Nardi</i>, pp. 338-9). <i>Kay</i> è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione <i>Bene a Zenone</i>, nel titolo <i>De quadriennii praescriptione</i> del Codice Giustiniano (<i>Cod</i>. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in <i>Cv</i> IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come <i>dominus mundi</i> e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e <i>Bulgaro</i>, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli <i>iura regalia</i>; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al <i>dominium quoad proprietatem</i> e non solo <i>quoad iurisdictionem</i>. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il <i>Novellino</i> per Martino e <i>Bulgaro</i>, Odofredo nel commento a <i>Dig</i>. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e <i>Bulgaro</i>, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del <i>dominatus mundi</i> dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di <i>iurisdictio</i> imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. <i>Bulgaro</i> di Bruno Paradisi, in <i>DBI</i>, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cronaca(Ottone_Morena),Cronaca,Ottone Morena,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Ottone_Morena,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva <i>Nardi</i>, pp. 338-9). <i>Kay</i> è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione <i>Bene a Zenone</i>, nel titolo <i>De quadriennii praescriptione</i> del Codice Giustiniano (<i>Cod</i>. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in <i>Cv</i> IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come <i>dominus mundi</i> e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e <i>Bulgaro</i>, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli <i>iura regalia</i>; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al <i>dominium quoad proprietatem</i> e non solo <i>quoad iurisdictionem</i>. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il <i>Novellino</i> per Martino e <i>Bulgaro</i>, Odofredo nel commento a <i>Dig</i>. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e <i>Bulgaro</i>, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del <i>dominatus mundi</i> dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di <i>iurisdictio</i> imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. <i>Bulgaro</i> di Bruno Paradisi, in <i>DBI</i>, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Novellino,Novellino,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/13406,WORK MONARCHA NON HABET QUOD POSSIT OPTARE,"l'imperatore è posto fuori da ogni competizione, poiché ""non può avere un altro sopra di sé"" nel temporale (ed è pertanto tutt'altro che proposizione di sicura ingenuità filosofica, come pare a Furlan 2004, p. LXIII). Si cita a questo proposito Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1160 b 2-5: Re infatti è una persona che è del tutto indipendente e sovrastante tutti per i suoi beni; e un tal uomo non ha bisogno di nulla; quindi egli baderà non alla sua utilità personale, ma ai suoi sudditi (cfr. quanto osserva <i>Nardi</i>, pp. 338-9). <i>Kay</i> è il solo a richiamare i parallels to this argument in Roman law citando Kantorowicz 1966, p. 473 nota 56. Io mi permetto di aggiungere un'autorità legale molto citata e frequentata dai giuristi nelle dispute sulla giurisdizione imperiale, cioè la costituzione <i>Bene a Zenone</i>, nel titolo <i>De quadriennii praescriptione</i> del Codice Giustiniano (<i>Cod</i>. 7, 37, 3: Mommsen-Krüger, II, p. 310), dove il testo dice cum omnia principis esse intelligantur. Non dubito che anche questa tradizione sia stata presente a Dante; cfr. sopra, I X 5, ed ampiamente in <i>Cv</i> IV IV 3-4: Onde, con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare, sé come per esperienza vedemo, discordie e guerre conviene surgere intra regno e regno, le quali sono tribulazioni delle cittadi, e per le cittadi delle vicinanze, e per le vicinanze delle case, [e per le case] dell'uomo; e così s'impedisce la felicitade. Il perché, a queste guerre e alle loro ragioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti nelli termini delli regni, sé che pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente; che è quello per che esso è nato. Sembra evidente che Dante alluda all'imperatore come <i>dominus mundi</i> e alla disputa, che egli non poteva certo ignorare, di cui sono protagonisti, a seconda delle versioni, Federico Barbarossa e i giuristi Martino e <i>Bulgaro</i>, o Enrico VI con Lotario e Azzone, richiesti di un responso intorno alla natura degli <i>iura regalia</i>; l'imperatore avrebbe fatto dono di un cavallo all'autore del parere più favorevole al <i>dominium quoad proprietatem</i> e non solo <i>quoad iurisdictionem</i>. Si v. in proposito Calasso 1957, pp. 85-6, con rimando alle fonti (la cronaca di Ottone Morena e il <i>Novellino</i> per Martino e <i>Bulgaro</i>, Odofredo nel commento a <i>Dig</i>. 2, 1, 3 per Lotario e Azzone) e alla letteratura (in particolare a Savigny, IV, 1850, pp. 180-3): la popolare leggenda del caval donato ha voluto raffigurarci i due simbolici rappresentanti di due opposte tendenze scientifiche, Martino e <i>Bulgaro</i>, divisi per l'appunto intorno alla fondamentale questione della latitudine del <i>dominatus mundi</i> dell'imperatore; leggenda che si ripeterà più tardi nei riguardi di Azzone e Lotario da Cremona, e anche qui per una controversia in tema di <i>iurisdictio</i> imperiale, né perde valore per il fatto ch'essa è storicamente provata per questi ultimi e dimostrata falsa per quegli altri. Per tutto ciò v. anche la v. <i>Bulgaro</i> di Bruno Paradisi, in <i>DBI</i>, 15 (1972), pp. 47-52, e più di recente Pennington 1993","2, 1, 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Lecturae_in_Digestum(Odofredo),Lecturae in Digestum,Odofredo,http://dbpedia.org/resource/Odofredus,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (<i>Ep</i> VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di <i>Aen</i>. I 286-7: <i>Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium <i>Oceano</i>, famam qui terminet astris</i>); cfr. la v. <i>Oceano</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di <i>iurisdictio</i>, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, <i>De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus</i> (<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore <i>dominus mundi</i>, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo <i>de lege Rhodia de iactu</i> (<i>Dig</i>. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata","I 286-7: Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (<i>Ep</i> VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di <i>Aen</i>. I 286-7: <i>Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium <i>Oceano</i>, famam qui terminet astris</i>); cfr. la v. <i>Oceano</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di <i>iurisdictio</i>, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, <i>De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus</i> (<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore <i>dominus mundi</i>, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo <i>de lege Rhodia de iactu</i> (<i>Dig</i>. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata",Novella VII di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SUA ... IURISDICTIO TERMINATUR OCCEANO SOLUM,"si tratta della stessa reminiscenza virgiliana dell'epistola a Enrico VII (<i>Ep</i> VII 13: vix ab inutili unda Oceani se circumcingi dignatur, con la citazione di <i>Aen</i>. I 286-7: <i>Nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium <i>Oceano</i>, famam qui terminet astris</i>); cfr. la v. <i>Oceano</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 121-2. Io credo anche che Dante, trattando qui di <i>iurisdictio</i>, non potesse non avere in mente la Novella VII di Giustiniano, <i>De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus</i> (<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 1 = Nov. VII, 1: Mommsen-Krüger, III, p. 52), dove l'imperatore parla di terrae nostrae ... usque ad oceanum, così come il luogo del Digesto che è all'origine della disputa dottrinale intorno all'imperatore <i>dominus mundi</i>, e cioè il rescritto antoniniano conservato nel fr. 9 del titolo <i>de lege Rhodia de iactu</i> (<i>Dig</i>. 14, 2, 9: Mommsen-Krüger, I, p. 188): (?) Ego quidem mundi dominus, lex autem maris, come traduce la Vulgata","Dig. 14, 2, 9: Mommsen-Kruger, I, p. 188",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK QUERIT DEUM ET HOMINEM,"Kay suggerisce un parallelo con Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 25, a. 1, <i>Resp</i>.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi","IIa-IIae, q. 25, a. 1, Resp.: Ratio autem diligendi proximum Deus est [...]. Unde manifestum est quod idem specie actus est quo diligitur Deus, et quo diligitur proximus. Et propter hoc habitus caritatis non solum se extendit ad dilectionem Dei, sed etiam ad dilectionem proximi",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SI NATURA PASSIVORUM ET ACTIVORUM CONSIDERETUR,"Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla <i>natura passivorum et activorum</i>. ""Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la <i>Fisica</i> e nel primo <i>De Generatione</i>” (<i>Conv</i>., IV, x, 9; cfr. <i>ibid</i>., III, x, 2), fra l’<i>agente</i> e il <i>paziente</i> è necessario vi sia <i>contatto</i>: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (<i>Conv</i>., III, x, 2)"" (<i>Nardi</i>).",settimo de la Fisica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SI NATURA PASSIVORUM ET ACTIVORUM CONSIDERETUR,"Dante fa appello, per dimostrare l’asserzione che “ogni cosa che possa essere amata tanto più è amata, quanto più è vicina a chi la ama”, alla dottrina aristotelica sulla <i>natura passivorum et activorum</i>. ""Secondo questa dottrina, che il Filosofo espone nel “settimo de la <i>Fisica</i> e nel primo <i>De Generatione</i>” (<i>Conv</i>., IV, x, 9; cfr. <i>ibid</i>., III, x, 2), fra l’<i>agente</i> e il <i>paziente</i> è necessario vi sia <i>contatto</i>: “onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore” (<i>Conv</i>., III, x, 2)"" (<i>Nardi</i>).",nel primo De Generatione,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/On_Generation_and_Corruption,De generatione et corruptione (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK DE CAUSIS,"cfr. Attilio Mellone, <i>De Causis</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 327. ""Il piccolo anonimo <i>Liber de causis</i> godé fra gli Scolastici di grande autorità e fortuna, e fu una delle opere più frequentemente citate [...]. Tradotto dall’arabo in latino, a Toledo, da Gherardo di Cremona, fra il 1167 e il 1184, fu [...] uno dei principali tramiti dell’influenza del pensiero neo-platonico sulla Scolastica cristiana [...]. Dante [...] vi si riferisce sempre come a scritto d’ignoto autore"" (Nardi 1924a, poi in Nardi 1967, pp. 81-3 e 88-9, con speciale riguardo a questo luogo e con rinvio ai commenti di Tommaso, Egidio Romano e Alberto Magno). Dante si riferisce qui alla prop. 1: ""Omnis causa primaria plus est influens super causatum suum quam causa universalis secunda"". Lo stesso Nardi 1942b, p. 118, spiega: ""La maggior vicinanza del Monarca a tutti gli uomini va intesa dunque nel senso che esso è sulla terra ‘causa universalis prima’ di ogni potere politico di cui partecipano i principi particolari, e perciò è ‘magis causa’"".",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Liber_de_Causis,Liber de causis,Aristotele (ps.),http://dbpedia.org/resource/Pseudo-Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK POTISSIME LIBERUM,"che la libertà, ""tra i vocaboli centrali del mondo dantesco"" (Bruno Bernabei, <i>Libertà</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, p. 641), in questo luogo sia ""sentita, più che come esigenza morale, come supremo attributo della razionalità"" (<i>Vinay</i>), pare considerazione un poco avventata, probabilmente nel ricordo di <i>Cv</i> III xiv 9-10, dove ""la nobile anima d’ingegno"" è detta ""libera ne la sua propria potestate"" in base al canone aristotelico ""che quella cosa è libera che per sua cagione è, non per altrui"" (v. più sotto, I xii 8, con richiamo a <i>Metaphysica</i>, 982 b 25-6). Credo superflua ogni correzione di tipo conciliatorio (v. Pizzica 1988, p. 224 nota 1). Non sarà invece superfluo ricordare che il diritto romano giustinianeo, tra le sue rare definizioni, ne possiede una della <i>libertas</i>. Un frammento di Fiorentino dice infatti che la libertà è una facoltà naturale, e che la schiavitù è un istituto del diritto delle genti contrario a natura: ""Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur. Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur"" (<i>Dig</i>. 1, 5, 4, pr.-§ 1: Mommsen-Krüger, I, p. 7): la libertà, che consiste nella capacità di possedere diritti e nell’assenza di uno stato di soggezione, è un diritto naturale innato in ogni essere umano, o per dirla altrimenti ogni uomo è in origine libero. Per tutto ciò v. l’insuperato studio di Wirszubski 1957.",982 b 25-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK LIBERTAS ARBITRII,"cfr. <i>Cv</i> I viii 14: ""la vertù dee avere atto libero e non sforzato""; opportunamente <i>Kay</i> si appella al significato di ""“full discretion” [...] in Roman law"", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel ""liberum arbitrium"" di <i>Dig</i>. 42, 5 (<i>de rebus auctoritate iudicis possidendis</i>), 8, § 3 e nel ""plenum arbitrium"" di <i>Dig</i>. 32, 1 (<i>de legatis III</i>), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). <i>Vinay</i> ricorda invece <i>Pg</i> VI 130-132 (""Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca""), sostenendo però curiosamente che mentre là ""la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”"", qui ""è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione"". Cfr. l’importante voce <i>Arbitrio</i> di Sofia Vanni Rovighi, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).","Dig. 42, 5 (de rebus auctoritate iudicis possidendis), 8, § 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK LIBERTAS ARBITRII,"cfr. <i>Cv</i> I viii 14: ""la vertù dee avere atto libero e non sforzato""; opportunamente <i>Kay</i> si appella al significato di ""“full discretion” [...] in Roman law"", indicando la radice giuristica del concetto teologico nel ""liberum arbitrium"" di <i>Dig</i>. 42, 5 (<i>de rebus auctoritate iudicis possidendis</i>), 8, § 3 e nel ""plenum arbitrium"" di <i>Dig</i>. 32, 1 (<i>de legatis III</i>), 11, § 7 (Mommsen-Krüger, I, p. 672 e p. 444). <i>Vinay</i> ricorda invece <i>Pg</i> VI 130-132 (""Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca / per non venir sanza consiglio a l’arco; / ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca""), sostenendo però curiosamente che mentre là ""la contrapposizione è fra “bocca” e “cuore” perché giustizia implica “dilectio”"", qui ""è invece fra “os” e “intellectus” perché il momento essenziale non è più la giustizia ma la ragione"". Cfr. l’importante voce <i>Arbitrio</i> di Sofia Vanni Rovighi, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 345-8 (p. 346 per il luogo in esame).","Dig. 32, 1 (de legatis III), 11, § 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK LIBERUM DE VOLUNTATE IUDICIUM,"Boezio, <i>In lib. Aristotelis</i> (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: ""sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis <i>de voluntate</i> iudicium""; cfr. anche Id., <i>Consolatio Philosophiae</i>, V 2 2-6, sulla ""arbitrii libertas"" come ""volendi nolendique libertas"" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di <i>Vinay</i> (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che ""il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”"", dall’altra sostiene che ""il passo non è perspicuo"", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: <i>de voluntate</i> risulta così gravemente frainteso: ""Nessun dubbio che “<i>de voluntate</i>” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”"" (p. 70); inoltre non è ""la formula adoperata dai “<i>multi</i>”"" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i <i>multi</i>, che saranno senz’altro i ""commentatori di Pier Lombardo, <i>Sententiae</i>, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum <i>de voluntate</i> iudicium”"". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale ""avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “<i>de voluntate</i>” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis"" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione ""libero giudizio portato sulla volontà"", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di <i>Pézard</i>, il quale ammette che ""l’expression est douteuse"" ma respinge come ""étrange"" la proposta di <i>Vinay</i>, traducendo invece ""un jugement librement formé par la volonté"" e spiegando (p. 649): ""Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine"". Lo ricalca Livi 2002: ""un libre jugement formulé par la volonté"". Ficino ha semplicemente ""libero g[i]udicio di volontà"", e l’Anonimo ""giudicie della volontà"". Per tutto ciò v. anche la voce <i>Volontà</i> di Giorgio Stabile, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 1134-40.",V 2 2-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK LIBERUM DE VOLUNTATE IUDICIUM,"Boezio, <i>In lib. Aristotelis</i> (?), III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6: ""sed est liberum arbitrium, quod ipsa quoque vocabula produnt, liberum nobis <i>de voluntate</i> iudicium""; cfr. anche Id., <i>Consolatio Philosophiae</i>, V 2 2-6, sulla ""arbitrii libertas"" come ""volendi nolendique libertas"" propria di tutti gli esseri intelligenti. Su questo luogo dantesco pesa una serie di difficoltà e di fraintendimenti, aggravata dalla lunga e, come spesso accade, imbrogliata matassa esegetica di <i>Vinay</i> (pp. 70-2 nota 3), che da una parte dichiara con Nardi 1942b, p. 135, che ""il pensiero di D. sul libero arbitrio è chiaro: “nel concetto di Boezio, come in quello di D., la libertà propria di ogni creatura intelligente consiste nel potere di giudicare quello che è da farsi secondo le leggi della ragione”"", dall’altra sostiene che ""il passo non è perspicuo"", rivolgendosi poi a Boezio per forzarne l’interpretazione tomista a conferma di una propria lettura del luogo di Dante: <i>de voluntate</i> risulta così gravemente frainteso: ""Nessun dubbio che “<i>de voluntate</i>” voglia dire “intorno alla v.” e non “dato dalla v.” [...] o “della v.”"" (p. 70); inoltre non è ""la formula adoperata dai “<i>multi</i>”"" che ripugna a Dante (ripugnanza che non dipende certo dalla sua scarsa conoscenza del vulgatissimo luogo boeziano), ma l’uso che ne fanno i <i>multi</i>, che saranno senz’altro i ""commentatori di Pier Lombardo, <i>Sententiae</i>, II, 25, 1: “redeamus ad liberi arbitrii tractatum quod philosophi definientes dixerunt liberum <i>de voluntate</i> iudicium”"". Tra questi c’è appunto Tommaso, il quale ""avverte (alludendo agli stessi vacui ripetitori presi di mira da D.) che “<i>de voluntate</i>” non va interpretato letteralmente: “de non denotat causam materialem quasi voluntas sit id de quo est iuditium sed originem libertatis quia quod electio sit libera hoc est de natura voluntatis"" (p. 71). Conseguenza di tutto ciò è la traduzione ""libero giudizio portato sulla volontà"", seguita variamente dai successivi interpreti, ad eccezione di <i>Pézard</i>, il quale ammette che ""l’expression est douteuse"" ma respinge come ""étrange"" la proposta di <i>Vinay</i>, traducendo invece ""un jugement librement formé par la volonté"" e spiegando (p. 649): ""Dante veut ici définir un jugement “provenant de” la volonté souveraine"". Lo ricalca Livi 2002: ""un libre jugement formulé par la volonté"". Ficino ha semplicemente ""libero g[i]udicio di volontà"", e l’Anonimo ""giudicie della volontà"". Per tutto ciò v. anche la voce <i>Volontà</i> di Giorgio Stabile, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 1134-40.","III 9, ed. C. Meiser, II, pp. 195-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarium_in_librum_aristotelis_perihermeneias(Boezio),Commentarium in librum aristotelis perihermeneias,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK SUBSTANTIE INTELLECTUALES ... INMUTABILES VOLUNTATES,"sulle intelligenze angeliche cfr. sopra, I iii 7; sui beati che non dismettono l’esercizio del libero arbitrio v. Giorgio Stabile, <i>Volontà</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 1139. ""La conseguenza che l’immutabilità del volere non sopprime il libero arbitrio nelle intelligenze separate le quali sono anzi perfettamente libere riposa su alcuni motivi della speculazione scolastica che ricorrono ripetutamente in S. Tommaso: negli angeli, volontà e appetito sono distinti come nell’uomo, quindi è identico il trinomio “apprehensio-iudicium-appetitus” con la differenza che negli angeli l’“iudicium” non risponde ad una “inquisitiva deliberatio consilii” ma ad una “subita acceptatio veritatis” (<i>Summa theol</i>., I, q. 49, art. III); la perfezione della loro libertà dipende da questa “subita acceptatio” che esclude a priori una sopraffazione dell’“appetitus” anche se questo dovesse intendersi per analogia all’“appetitus” umano"" (<i>Vinay</i>). Per il ""suggello poetico"" (Pizzica 1988) di tutto ciò cfr. <i>Pg</i> XVIII 55-60. Vedi anche la v. <i>Sustanza</i> di Alfonso Maierù, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 495.","Summa theol., I, q. 49, art. III",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono <i>ad celos</i> i codici H Z. <i>Kay</i> indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, <i>Resp</i>., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono <i>ad celos</i> i codici H Z. <i>Kay</i> indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, <i>Resp</i>., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","IIa-IIae, q. 28, a. 3, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK ANIME SEPARATE BENE HINC ABEUNTES,"aggiungono <i>ad celos</i> i codici H Z. <i>Kay</i> indica opportunamente i luoghi in cui Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 3, a. 4 ad 1; IIa-IIae, q. 28, a. 3, <i>Resp</i>., insiste sull'immutabilità del volere nelle anime beate, rivendicando al contempo ad esse il libero arbitrio: III, q. 18, a. 4, ad 3","III, q. 18, a. 4, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in <i>Pd</i> V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’<i>initium</i> della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". <i>Cassell</i> invita al confronto con Riccardo di San Vittore, <i>De statu interioris hominis post lapsum</i>, I, 3 e 14 (<i>PL</i>, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e <i>De eruditione hominis interioris</i> (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di <i>Pd</i> V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".",Novella VI di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in <i>Pd</i> V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’<i>initium</i> della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". <i>Cassell</i> invita al confronto con Riccardo di San Vittore, <i>De statu interioris hominis post lapsum</i>, I, 3 e 14 (<i>PL</i>, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e <i>De eruditione hominis interioris</i> (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di <i>Pd</i> V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, q. 13, a. 9, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in <i>Pd</i> V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’<i>initium</i> della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". <i>Cassell</i> invita al confronto con Riccardo di San Vittore, <i>De statu interioris hominis post lapsum</i>, I, 3 e 14 (<i>PL</i>, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e <i>De eruditione hominis interioris</i> (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di <i>Pd</i> V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"".",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in <i>Pd</i> V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’<i>initium</i> della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". <i>Cassell</i> invita al confronto con Riccardo di San Vittore, <i>De statu interioris hominis post lapsum</i>, I, 3 e 14 (<i>PL</i>, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e <i>De eruditione hominis interioris</i> (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di <i>Pd</i> V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, 3 e 14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_statu_interioris_hominis(Riccardo_di_San_Vittore),De statu interioris hominis,Riccardo di San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Richard_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK MAXIMUM DONUM HUMANE NATURE A DEO COLLATUM,"corrisponde a ciò che Beatrice proclama in <i>Pd</i> V 19-24: ""“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, fuoro e son dotate”"" (la Chiavacci Leonardi 1997, p. 135 sottolinea che i versi ""traducono, alzandone il livello nel loro splendido ritmo"", ciò che è detto in questo luogo); cfr. inoltre Seriacopi 2011, p. 1 nota 2. La stretta relazione tra la massima affermazione del principio di libertà e l’esistenza della monarchia universale suggerisce un possibile calco sull’<i>initium</i> della Novella VI di Giustiniano (cfr. sopra, I x 3): ""Maxima quidem in hominibus sunt dona Dei a superna collata clementia, sacerdotium et imperium..."". <i>Cassell</i> invita al confronto con Riccardo di San Vittore, <i>De statu interioris hominis post lapsum</i>, I, 3 e 14 (<i>PL</i>, CXCVI, coll. 1118-9 e 1126-7) e <i>De eruditione hominis interioris</i> (ivi, coll. 1280-2). [sicut in paradiso comedie iam dixi]: la ""autocitazione [...], insolita e isolata"" (Pizzica 1988), che Witte 1874 escluse conservando solo iam dixi, che Bertalot 1920 pubblicò per primo e che Rostagno 1921 nuovamente cassò, e che dunque anche per Vinay (Introduzione, p. XXXVII, e p. 74 nota 5) è solo una glossa, ""dantesca o meno"" (e se dantesca non suscettibile di alcuna dimostrazione che possa dirla ""coeva alla redazione del trattato""), anche dopo le edizioni Ricci 1965, Shaw (a) 1995, 2006 e 2009 costituisce una crux del testo dantesco: cfr. già Capitani 1965, poi in Capitani 1983, pp. 37-8. Sul punto, di decisiva importanza per la datazione del trattato, v. l’Introduzione di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, pp. LXXIII-IV, che stima altamente probabile ""l’ipotesi che si tratti di una interpolazione"", e che a p. CXXIX nota 43 si appoggia a Holmes 1997. Da ultimo v. Renello 2011, pp. 162-7 e 176-9, con ampio riesame, e Casadei 2011, che avanza la suggestiva ipotesi di un inserimento postumo dell’inciso al fine di fornire un elemento di identificazione di un’opera condannata e costretta ad una circolazione anonima. Io conservo l’inciso fra parentesi quadre (come fa Nardi nella traduzione, revocando in dubbio le ragioni addotte da Ricci 1965, pp. 158-9 per spiegarne l’assenza nella princeps); Nardi crede tuttavia ancora che l’inciso, presente nel volgarizzamento dell’Anonimo (""come dissi nella “Comedia” del Paradiso"") manchi in Ficino, che invece ha ""come g[i]à io dissi nel Paradiso della mia “Commedia”"", e confermando la sua propensione a datare l’opera tra il 1307 e il 1308 ritiene ""esagerato"" (p. 349) il complesso degli argomenti di Ricci 1965 a difesa del testo tradito dalla quasi totalità dei manoscritti: cfr. la Word Collation in Shaw 2006 e ora Shaw 2009, Introduzione, pp. 208-9, con l’apparato a p. 355. Una difesa ad oltranza della genuinità è in Favati 1970, pp. 23-9, e più recentemente in Furlan 2004, pp. XXX-I, e in Fenzi 2007a, che ha parole severe sull’opzione dell’atetesi; di prove ""incontestabili"" offerte dalla unanimità della tradizione manoscritta ha parlato recentemente anche Scott 2010, p. 247. L’interrogativo è però riaperto ora dal codice Y (l’Add. 6891 della British Library: v. sopra la Nota al testo e per una prima notizia Quaglioni 2011e; e cfr. Casadei 2011, p. 179, e Shaw 2011), che a c. 4r conserva la lezione sīc in inmu (?) adiso īmediate iā dixi, che ove non fosse frutto di una cattiva lettura dell’inciso tramandato dalla maggior parte dei codici potrebbe leggersi sicut in inmutabilibus voluntatibus in par>adiso iam dixi, rinviando cioè a quanto Dante ha appena scritto del libero arbitrio come supremo dono divino, che le anime beate non solo non perdono ma perfezionano. ut dii: ""come iddii"" (Ficino), ""come Dii"" (Anonimo); è omesso da F P Y. Favati 1970, p. 25 pensa che Dante citi se stesso ""mediante una riconoscibilissima parola-chiave: tanto più riconoscibile, anzi, quanto più, per così dire, “scandalosa”""; il riferimento è ai versi di <i>Pd</i> V 121-3 (""Così da un di quelli spirti pii / detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii”""), che però, a parte la rima, non pare abbiano alcunché di insolito (contra, v. ora persuasivamente Renello 2011, p. 166). Kay ne sottolinea la radice vetero e neotestamentaria (Ps 81, 6: ""Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes"", evocato in Io 10, 34-6) e cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 9, Resp. (""Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem: ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud: Ego dixi, dii estis [Ps. 81, 6]""); aggiunge inoltre che Dante anticipa qui la dottrina della duplice beatitudine di cui tratta più oltre, III xv 7-8. E Vinay, precisando che Dante ""si riferisce ai beati e alla beatitudine celeste"", per l’appellativo di dii rinvia a Boezio, Consolatio Philosophiae, III 10 23-5: ""Nam quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, beatitudo vero est ipsa divinitas, divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitiae adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus. Sed natura quidem unus; participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos"". Per l’inciso v. ora anche Ariani 2010, pp. 99-100, che suggerisce un’ulteriore corrispondenza con Cv IV xx 3-4: ""E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch’elli son quasi dei; ché, come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo dell’Etica per lo testo d’Omero poeta"".","I, 3 e 14",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_conditione_interioris_homoris(Riccardo_di_San_Vittore),De conditione interioris homoris,Riccardo di San Vittore,http://dbpedia.org/resource/Richard_of_Saint_Victor,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"""come nella “Metafisicha” dicie Aristotile"" (Ficino); ricalca, come al solito, l’Anonimo: ""come al Filosafo piacie inel libro “Di simpliciter ente”"". Così anche più oltre, I xiii 3; I xv 2; e III xiv 6; cfr. Aristotele, Mataphysica, 982 b 25-6; ""ma nel testo aristotelico si parla dell’“uomo che diciamo libero”"" (<i>Nardi</i>). Dante lo ricorda in Cv III xiv 10: ""e lo Filosofo dice, nel secondo della Metafisica, che quella cosa è libera, che per sua cagione è, non per altrui"".",982 b 25-6,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK POLITIE DIRIGUNTUR OBLIQUE,"sono raddrizzate le forme politiche deviate o perverse, cioè le tirannidi come esiti della corruzione delle rette costituzioni: v. Aristotele, <i>Politica</i>, 1279 a 23-39 (cfr. sopra, I II 6). Plastica la resa ficiniana: le torte republiche si dirizano; senza senso l'Anonimo, il cui volgarizzamento (però che allora solo politichamente siamo reti obliquamente) riflette una lezione assai vicina a quella di M, c. 14v: Tunc enim politicem dirigimur oblique",1279 a 23-39,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK IN SERVITUTEM COGUNT GENUS HUMANUM,"è la <i>servitus</i> ""que morti comparatur"", come scrive Bartolo nel <i>De regimine civitatis</i> (ed. Quaglioni 1983, p. 158), allegando una celebre <i>regula iuris</i> in <i>Dig</i>. 50, 17, 209 (Mommsen-Krüger, I, p. 873). Anche <i>Cassell</i> richiama qui Bartolo, non a torto come ""Dante’s follower"".","Dig. 50, 17, 209",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). <i>Nardi</i> traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione <i>bene</i> o <i>recte</i> da introdursi prima di <i>politizant</i> in corrispondenza del successivo <i>oblique politizantes</i>, proposta da <i>Nardi</i> 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro <i>Nardi</i> 1944 chiosa <i>Vinay</i>: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (<i>Pol</i>., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (<i>Defensor pacis</i>, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (<i>Vulg. eloq</i>., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della <i>Politica</i> del Moerbeke"". Cfr. <i>Cassell</i>, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Defensor pacis, I, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). <i>Nardi</i> traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione <i>bene</i> o <i>recte</i> da introdursi prima di <i>politizant</i> in corrispondenza del successivo <i>oblique politizantes</i>, proposta da <i>Nardi</i> 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro <i>Nardi</i> 1944 chiosa <i>Vinay</i>: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (<i>Pol</i>., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (<i>Defensor pacis</i>, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (<i>Vulg. eloq</i>., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della <i>Politica</i> del Moerbeke"". Cfr. <i>Cassell</i>, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Pol., VI, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). <i>Nardi</i> traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione <i>bene</i> o <i>recte</i> da introdursi prima di <i>politizant</i> in corrispondenza del successivo <i>oblique politizantes</i>, proposta da <i>Nardi</i> 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro <i>Nardi</i> 1944 chiosa <i>Vinay</i>: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (<i>Pol</i>., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (<i>Defensor pacis</i>, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (<i>Vulg. eloq</i>., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della <i>Politica</i> del Moerbeke"". Cfr. <i>Cassell</i>, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.","Pol., VI, 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK POLITIZANT,"""reghono"" (Ficino); ""e politizare"" (Anonimo). <i>Nardi</i> traduce ""ben governano"", come ultimo residuo della lezione <i>bene</i> o <i>recte</i> da introdursi prima di <i>politizant</i> in corrispondenza del successivo <i>oblique politizantes</i>, proposta da <i>Nardi</i> 1944, pp. 104-6 e contestata da Ricci 1965. Dietro <i>Nardi</i> 1944 chiosa <i>Vinay</i>: ""Le forme sul tipo di “politizo” sono molto comuni: ricordo “monarchizo” (<i>Pol</i>., VI, 10), “aristocratizo” (ivi, 8), “despotizo” (<i>Defensor pacis</i>, I, 16) e in D. stesso “armonizo” (<i>Vulg. eloq</i>., II, 7, 7; 8, 5, 6; 10, 2), “barbarizo” (ivi I, 12, 7). “Politizo” sembra essere entrato nell’uso con la traduz. della <i>Politica</i> del Moerbeke"". Cfr. <i>Cassell</i>, che rinvia a Gilbert 1928 e a Minio-Paluello 1956 per la discussione sulla diretta conoscenza del lessico di Aristotele da parte di Dante.",con la traduz. della Politica del Moerbeke,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UNDE PHYLOSOPHUS IN SUIS POLITICIS,"Honde Aristotile nella ""Politicha""; cfr. Aristotele, <i>Politica</i>, 1276 b 16 – 1278 b 5",1276 b 16 – 1278 b 5,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del <i>De regimine principum</i> tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della <i>Politica</i> (in tertio ... libro <i>Politicae</i> ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); <i>Imbach</i> suggerisce che Dante citi qui il libro III della <i>Politica</i> nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in <i>VE</i> I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (<i>Vinay</i>); dans un état de forme faussée (<i>Pézard</i>); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (<i>Nardi</i>); in einer ungerechten Staatsverfassung (<i>Imbach</i>); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (<i>Kay</i>)",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del <i>De regimine principum</i> tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della <i>Politica</i> (in tertio ... libro <i>Politicae</i> ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); <i>Imbach</i> suggerisce che Dante citi qui il libro III della <i>Politica</i> nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in <i>VE</i> I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (<i>Vinay</i>); dans un état de forme faussée (<i>Pézard</i>); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (<i>Nardi</i>); in einer ungerechten Staatsverfassung (<i>Imbach</i>); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (<i>Kay</i>)",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del <i>De regimine principum</i> tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della <i>Politica</i> (in tertio ... libro <i>Politicae</i> ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); <i>Imbach</i> suggerisce che Dante citi qui il libro III della <i>Politica</i> nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in <i>VE</i> I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (<i>Vinay</i>); dans un état de forme faussée (<i>Pézard</i>); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (<i>Nardi</i>); in einer ungerechten Staatsverfassung (<i>Imbach</i>); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (<i>Kay</i>)",libro III della Politica nella sua interezza,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK IN POLITIA OBLIQUA BONUS HOMO EST MALUS CIVIS,"Cassell nota che this is not a direct quotation from Aristotle, preferendo indicare un luogo del <i>De regimine principum</i> tomista, nel quale però il riferimento ai tiranni ha un diverso significato; cfr. però <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1130 b 27-9, che col commento di Tommaso sembra ai più esprimere il concetto cui qui Dante aderisce; Tommaso però rimanda genericamente al III libro della <i>Politica</i> (in tertio ... libro <i>Politicae</i> ostenditur quod non est idem simpliciter esse virum bonum et esse civem bonum secundum quamcunque politiam); <i>Imbach</i> suggerisce che Dante citi qui il libro III della <i>Politica</i> nella sua interezza. Fondamentale per la comprensione di questo luogo il passo parallelo in <i>VE</i> I XVI 3: Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illam intelligamus: nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus. In quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1330-1. Ficino traduce qui nel chattivo ghoverno, direttamente in opposizione al buon governo, nello buono ghoverno; solito calco nell'Anonimo: nella polizia obliqua ... nella diritta polizia. Anche in questo caso varie, e non tutte soddisfacenti, le soluzioni dei moderni interpreti: in un ordinamento politico traviato (<i>Vinay</i>); dans un état de forme faussée (<i>Pézard</i>); in una forma di degenerazione politica (Ronconi 1966); in una falsa forma di governo (Sanguineti 1985); in un governo obliquo (<i>Nardi</i>); in einer ungerechten Staatsverfassung (<i>Imbach</i>); in bad government (Shaw 1996); under a perverted form of government (<i>Kay</i>)",1130 b 27-9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK CONSULES PROPTER CIVES ET REX PROPTER GENTEM,"gens, <i>gentem</i> non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui ""la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica"" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e <i>Tolomeo da Lucca</i> nella continuazione del <i>De regimine principum</i>, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, <i>Tolomeo da Lucca</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 622).","Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK CONSULES PROPTER CIVES ET REX PROPTER GENTEM,"gens, <i>gentem</i> non hanno certo qui il valore di popolazione (Marcelli-Martelli 2004). Per il principio secondo cui ""la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica"" e per i suoi sviluppi nel pensiero della scolastica giuridico-politica v. l'esemplare trattazione in Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 90, aa. 2-3, e <i>Tolomeo da Lucca</i> nella continuazione del <i>De regimine principum</i>, III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, <i>Tolomeo da Lucca</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 622).","III 11: regnum non est propter regem sed rex propter regnum (cfr. Filippo Cancelli, Tolomeo da Lucca, in ED, V, 1976, p. 622)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di <i>Kay</i> all'attributo papale di <i>servus servorum Dei</i> (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di <i>servus apostolorum</i>, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione <i>minister omnium</i> è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene <i>Vinay</i>: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""<i>minister omnium</i>"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a <i>Rm</i> 13, 6, a Tommaso nel <i>De regimine principum</i>, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel <i>Policraticus</i>, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987","Rm 13, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di <i>Kay</i> all'attributo papale di <i>servus servorum Dei</i> (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di <i>servus apostolorum</i>, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione <i>minister omnium</i> è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene <i>Vinay</i>: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""<i>minister omnium</i>"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a <i>Rm</i> 13, 6, a Tommaso nel <i>De regimine principum</i>, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel <i>Policraticus</i>, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987",I 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regno_ad_regem_Cypri(Tommaso),De regno ad regem Cypri (De regimine principum),Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK MINISTER OMNIUM,"giusto il richiamo di <i>Kay</i> all'attributo papale di <i>servus servorum Dei</i> (purché se ne ricordi la derivazione dal titolo di <i>servus apostolorum</i>, proprio dell'imperatore in età ottoniana: cfr. Labande 1963, poi Labande 1974, I, pp. 297-313, 455-76). Di un'eco di non meglio precisate tesi di Giovanni da Parigi parla qui Pizzica 1988, che aggiunge: Comunque l'espressione <i>minister omnium</i> è caratteristica del lessico giuridico medievale. Bene <i>Vinay</i>: È fissato con la massima chiarezza il momento dell'autorità e il momento della ministerialità in cui si assomma la figura del governante; e ancora: I pubblicisti medievali preferivano di solito alla formula un po' cruda di ""<i>minister omnium</i>"", nonostante la sostanziale concordanza del loro pensiero con quello di D., quella biblica [...] di ""minister dei"", con rimando a <i>Rm</i> 13, 6, a Tommaso nel <i>De regimine principum</i>, I 8 e a Giovanni di Salisbury nel <i>Policraticus</i>, IV 1 e 2 (publicae ergo utilitatis minister et aequitatis servus est princeps). Per Giovanni da Parigi, insieme al vecchio Leclercq 1942, v. Coleman 1992 e per una discussione generale sul suo posto nel panorama delle idee sulla regalità medievale accanto a Dante cfr. ora Canning 2011, pp. 49-80. Sull'ideale ministeriale nella regalità medievale cfr. anche Quaglioni 1987",IV 1 e 2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Policraticus,Polycraticus,Giovanni di Salisbury,http://dbpedia.org/resource/John_of_Salisbury,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK OPTIME ALIOS DISPONERE POTEST,"cfr. sopra, I XI 20. <i>Cassell</i> dà, con <i>Vinay</i> e <i>Kay</i>, alla ripetizione di <i>potest</i> il significato di un'enfasi sulla perfezione potenziale della monarchia. Leggiamo in Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non <i>potest</i> inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X <i>Ethic</i>. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere","Ia-IIae, q. 90, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter indicat ad virtutem, ut Philosophus dicit, in X Ethic. [1180 a 20]. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere [...]. Et ideo solius eius est leges facere",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUALE PATIENS FIERI DEBET,"inconferente l'allegazione di Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1110 a 2-3, proposta da Kay",1110 a 2-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PHYLOSOPHUS IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"Aristotile nella ""Metafisicha""; cfr. sopra, I XII 8; riassume Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1049 b 24-7; corrisponde a quanto Dante, allegando però il libro VII della <i>Metafisica</i> (1032 a 18) scrive in <i>Cv</i> IV X 8: ""Ove è da sapere che, sé come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un'altra, generasi di quella, essendo in quello essere"". <i>Cassell</i> osserva che ""Dante applies the concept to the Church"", più avanti, III, XIV, 6",1049 b 24-7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PLUS PERSUASERUNT MANUS IACOB QUAM VERBA,"Gn 27, 1-29: i fatti, benché ingannevoli (come le mani ricoperte di pelle di capretto e le vesti indossate da <i>Giacobbe</i> in luogo del fratello Esaù, che indussero Isacco ormai cieco e morente a scambiare <i>Giacobbe</i> per il figlio primogenito, benedicendolo e ponendolo a capo della sua famiglia) sono più forti delle parole (come il suono della voce, che Isacco riconobbe per quello di <i>Giacobbe</i>, ma che non fu sufficiente a convincerlo della sua vera identità). In <i>Vinay</i>, <i>potuerunt</i> per <i>persuaserunt</i> è, come registrano Ricci 1965 e <i>Nardi</i>, una svista del Rostagno. Cfr. la v. <i>Giacobbe</i> di Gian Roberto Sarolli, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 145-6; Cremascoli 2011, p. 35 e note 19-20, richiama a questo proposito il <i>Contra mendacium</i> di Agostino","27, 1-29",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK UNDE PHYLOSOPHUS AD NICOMACUM,"Honde Aristotile ""A Nicomaco"" (Ficino); Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere",1172 a 34-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK AD HABITUM PHYLOSOPHICE VERITATIS,"cfr. sopra, I XI 5. D. si riferisce qui agli ""habitus"" propriamente umani, a quelli cioè che l'uomo non riceve direttamente dalla natura né da Dio, ma deve crearsi con le proprie forze, ad es. le virtù, la scienza ecc. Per creare un ""habitus"" occorre ripetere determinati atti e occorrerà ripeterli tanto meno quanto minore sarà l'opposizione attiva o passiva offerta dal corpo o dalle facoltà dell'anima o dall'uno o dalle altre. Così sarà tanto più facile acquistare l'abito alla scienza quanto il corpo sarà più resistente alla fatica o più pronta la memoria; sarà tanto più facile creare l'abito alla giustizia quanto minore sarà la resistenza della cupidigia, come è detto subito dopo (cfr. <i>Summa theol</i>., 1a 2ae, q. 49 sgg.) (<i>Vinay</i>). <i>Kay</i> ricorda le frequenti menzioni dell'abito di scienza in <i>Cv</i> I I 2 e 6; II XIII 6; III XIII 9; v. anche la nota di G. Gorni a <i>Vn</i> 16, 1, nel vol. I di questa edizione, p. 963. Riferendosi a questo luogo Alfonso Maierù, <i>Verità</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 963, scrive che l'abito della v. filosofica è l'insieme delle virtù che sostengono l'uomo nell'acquisizione della v. investigata dalla filosofia","1a 2ae, q. 49 sgg.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK CUPIDITAS ... CORRUPTIVA IUDICII ET IUSTITIE PREPEDITIVA,"cfr. sopra, I XI 6, 11 e 14; e si ricordi ancora Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 84, a. 1, <i>Resp</i>.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori. Cfr. anche la v. <i>Volontà</i> di Giorgio Stabile, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 1138","Ia-IIae, q. 84, a. 1, Resp.: dicendum est quod cupiditas, secundum quod est speciale peccatum, dicitur radix omnium peccatorum, ad similitudinem radicis arboris, quae alimentum praestat toti arbori",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK CUM ETIAM LEGES MUNICIPALES ... OPUS HABEANT DIRECTIVO,"Dante disegna qui con estrema concisione il paradigma della relazione tra diritti propri e diritto comune, ricordando che gli statuti cittadini (chiamati leges municipales, con precisione tecnica che si ritrova già, ad esempio, nella Glossa accursiana a <i>Dig</i>. 1, 1, 9) ricevono un'interpretazione passiva dal <i>ius commune</i>, in quanto norme nessariamente lacunose – non semplicemente difettose (Pizzica 1988), imperfette (<i>Nardi</i>), insufficienti (<i>Vinay</i>), défaillantes (<i>Pézard</i>), ma defective (Shaw 1996) in senso tecnico – e dunque bisognose di <i>correctio</i>, di corretione, come con altrettanta precisione tecnica sottolinea Ficino (p. 346); solito calco nell'Anonimo: àno di bisogno d'opera direttiva. La <i>princeps</i> K, riflettendo le incertezze di una parte dei codici β, ha <i>directione</i>. Per tutte le questioni relative alla dottrina degli statuti e alla loro interpretazione cfr. Sbriccoli 1969","Dig. 1, 1, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK INTER SE,"è la lezione dell’intiera tradizione manoscritta, nella quale Favati 1970, p. 7 nota 15, non ha ravvisato errore; anche Ficino legge ""tra·lloro"". Difesa da <i>Nardi</i>, per Ricci 1965 e Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, pp. 245-6 e note 73-4, è errore d’archetipo da correggersi con <i>intra se</i>, come nel volgarizzamento dell’Anonimo (""<i>intra</i> di sé"") e secondo Bigongiari 1950, p. 86 (poi in Bigongiari 1964, p. 37). Che sia una ""felice correzione"" Ricci 1965 lo scrive in apparato, spiegando nell’<i>Introduzione</i>, p. 48, che Dante allude alle ""leggi particolari adatte alle locali esigenze di ciascuna comunità"", senza riguardo ""a rapporti intercorrenti tra le varie comunità, ma invece alle caratteristiche (<i>proprietates</i>) che ciascuna ha in se stessa (<i>intra se</i>)""; e conclude sottolineando che è facile comprendere come ""lo scambio tra <i>intra</i> e <i>inter</i> sia nato da un’abbreviazione non bene sciolta"". <i>Nardi</i> rifiuta con ragione la correzione sulla base del successivo accenno alle differenze fra ordinamenti. Dante infatti non ha in mente alcun “carattere intrinseco”, ma il concetto relazionale di <i>iura propria</i>, di “diritti propri”, che sono tali per ciascun <i>populus</i> in rapporto agli <i>iura communia</i>, agli istituti del diritto delle genti e del diritto naturale, secondo lo schema che ha origine da Gaio in <i>Dig</i>. 1, 1 (<i>de iustitia et iure</i>), 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 1): ""Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque <i>populus</i> ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio <i>inter</i> omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur"". Sono queste le <i>proprietates</i>, le particolarità, le differenze specifiche dei “tra di loro”, <i>nationes, regna et civitates</i> <i>inter se</i>.","Dig. 1, 1 Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utuntur. nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile, quasi proprium ipsius civitatis : quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del <i>Decretum Gratiani</i> (= Isidoro, <i>Etymologiae</i>, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (<i>Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat</i>) e 4 (<i>Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum</i>). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, <i>Kay</i> afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","c. 1, D. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del <i>Decretum Gratiani</i> (= Isidoro, <i>Etymologiae</i>, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (<i>Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat</i>) e 4 (<i>Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum</i>). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, <i>Kay</i> afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","Ia-IIae, q. 95, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK LEGIBUS DIFFERENTIBUS,"non tradurrei da leggi differenziate (Pizzica 1988). A buon diritto, a partire da Chiappelli 1908, p. 19, si fa qui riferimento al c. 1, D. I del <i>Decretum Gratiani</i> (= Isidoro, <i>Etymologiae</i>, V 2): Omnes leges aut diuinae sunt, aut humanae. Diuinae natura, humanae moribus constant, ideoque he discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent (Friedberg, I, col. 1). Cfr. inoltre Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 3 (<i>Utrum Isidorus convenienter qualitatem legis positivae describat</i>) e 4 (<i>Utrum Isidorus convenienter ponat divisionem humanarum legum</i>). Ammettendo che Dante's point is implicit in Isidore, <i>Kay</i> afferma tuttavia: It was a commonplace that positive law should vary according to local circumstances, so no particular source need be sought for this assertion","Ia-IIae, q. 95, a. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SCITHAS,"gli <i>Sciti</i>, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la <i>Scithia</i>, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. <i>Sciti</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, <i>Sintaxis Mathematica</i>, II 6 30, e <i>Liber Quadripartitus</i>, II 3 8; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I II 52; Isidoro di Siviglia, <i>Etymologiae</i>, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il <i>Liber de aggregationibus</i> di Alfragano e Alberto Magno, <i>De natura locorum</i>, III 3",II 6 30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sintaxis_Mathematica(Tolomeo),Sintaxis Mathematic,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK SCITHAS,"gli <i>Sciti</i>, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la <i>Scithia</i>, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. <i>Sciti</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, <i>Sintaxis Mathematica</i>, II 6 30, e <i>Liber Quadripartitus</i>, II 3 8; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I II 52; Isidoro di Siviglia, <i>Etymologiae</i>, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il <i>Liber de aggregationibus</i> di Alfragano e Alberto Magno, <i>De natura locorum</i>, III 3",II 3 8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quadripartito,Quadripartito,Tolomeo,http://dbpedia.org/resource/Ptolemy,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK SCITHAS,"gli <i>Sciti</i>, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la <i>Scithia</i>, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. <i>Sciti</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, <i>Sintaxis Mathematica</i>, II 6 30, e <i>Liber Quadripartitus</i>, II 3 8; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I II 52; Isidoro di Siviglia, <i>Etymologiae</i>, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il <i>Liber de aggregationibus</i> di Alfragano e Alberto Magno, <i>De natura locorum</i>, III 3",I II 52,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK SCITHAS,"gli <i>Sciti</i>, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la <i>Scithia</i>, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. <i>Sciti</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, <i>Sintaxis Mathematica</i>, II 6 30, e <i>Liber Quadripartitus</i>, II 3 8; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I II 52; Isidoro di Siviglia, <i>Etymologiae</i>, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il <i>Liber de aggregationibus</i> di Alfragano e Alberto Magno, <i>De natura locorum</i>, III 3",XIV IV 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK SCITHAS,"gli <i>Sciti</i>, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la <i>Scithia</i>, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. <i>Sciti</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, <i>Sintaxis Mathematica</i>, II 6 30, e <i>Liber Quadripartitus</i>, II 3 8; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I II 52; Isidoro di Siviglia, <i>Etymologiae</i>, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il <i>Liber de aggregationibus</i> di Alfragano e Alberto Magno, <i>De natura locorum</i>, III 3",III 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_locorum(Alberto_Magno),De natura locorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SCITHAS,"gli <i>Sciti</i>, insieme ai Garamanti citati più sotto, sono i popoli che abitano gli estremi del globo terrestre (le fasce climatiche oltre il circolo polare ed equatoriale); per la <i>Scithia</i>, che Dante trovava evocata in Virgilio e Ovidio, e che nomina ripetutamente anche più avanti, II VIII 5 e III III 2, come luogo nordico per eccellenza di freddo intollerabile, v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, pp. 1202-3, e la v. <i>Sciti</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 81. Si vedano Tolomeo, <i>Sintaxis Mathematica</i>, II 6 30, e <i>Liber Quadripartitus</i>, II 3 8; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I II 52; Isidoro di Siviglia, <i>Etymologiae</i>, XIV IV 3; e quanto Dante conosceva senz'altro tramite il <i>Liber de aggregationibus</i> di Alfragano e Alberto Magno, <i>De natura locorum</i>, III 3",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_aggregationis,Liber aggregationis,Alfragano,http://dbpedia.org/resource/Ahmad_ibn_Muhammad_ibn_Kath%C4%ABr_al-Fargh%C4%81n%C4%AB,http://purl.org/bncf/tid/7996,WORK EXTRA SEPTIMUM CLIMA,"la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1195 (per universa mundi climata), sottolinea che in questo luogo, così come in <i>Cv</i> III V 12 e <i>Pd</i> XXVII 81, Dante intende <i>clima</i> secondo la nozione di Alfragano e Alberto Magno, cioè come una delle sette fasce latitudinali in cui si divide la terra emersa fra il polo boreale e l'equatore",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_natura_locorum(Alberto_Magno),De natura locorum,Alberto Magno,http://dbpedia.org/resource/Albertus_Magnus,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e <i>Cv</i> IV XXII 10-11. <i>Imbach</i> e <i>Kay</i> citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","Ia-IIae, q. 76, a. 1;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e <i>Cv</i> IV XXII 10-11. <i>Imbach</i> e <i>Kay</i> citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","q. 91, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK TANQUAM INTELLECTUS PRACTICUS,"cfr. sopra, I III 9 e <i>Cv</i> IV XXII 10-11. <i>Imbach</i> e <i>Kay</i> citano a questo proposito Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 76, a. 1; q. 91, a. 3; q. 94, a. 1, ad 2","q. 94, a. 1, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK MOYSES,"Ex 18, 19-24: Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent, ut referas quae dicuntur ad eum, ostendasque populo caeremonias et ritum colendi viamque, per quam ingredi debeant, et opus quod facere debeant. Provide autem de omni plebe viros potentes et timentes Deum, in quibus sit veritas et qui oderint avaritiam; et constitue ex eis tribunos et centuriones et quinquagenarios et decanos, qui iudicent populum omni tempore; quidquid autem maius fuerit referant ad te, et ipsi minora tantummodo iudicent; leviusque sit tibi, partito in alios onere. Si hoc feceris, implebis imperium Dei, et praecepta eius poteris sustentare ; et omnis hic populus revertetur ad loca sua cum pace; <i>Dt</i> 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam. A commento v. ancora Cremascoli 2011, pp. 35-6, nota 21","Ex 18, 19-24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK MOYSES,"Ex 18, 19-24: Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent, ut referas quae dicuntur ad eum, ostendasque populo caeremonias et ritum colendi viamque, per quam ingredi debeant, et opus quod facere debeant. Provide autem de omni plebe viros potentes et timentes Deum, in quibus sit veritas et qui oderint avaritiam; et constitue ex eis tribunos et centuriones et quinquagenarios et decanos, qui iudicent populum omni tempore; quidquid autem maius fuerit referant ad te, et ipsi minora tantummodo iudicent; leviusque sit tibi, partito in alios onere. Si hoc feceris, implebis imperium Dei, et praecepta eius poteris sustentare ; et omnis hic populus revertetur ad loca sua cum pace; <i>Dt</i> 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam. A commento v. ancora Cremascoli 2011, pp. 35-6, nota 21","Dt 1, 12-17: Non valeo solus negotia vestra sustinere et pondus ac iurgia: date ex vobis viros sapientes et gnaros et quorum conversatio sit probata in tribubus vestris, ut ponam eos vobis principes [...]. Tulique de tribubus vestris viros sapientes et nobiles et constitui eos principes, tribunos et centuriones, et quinquagenarios ac decanos, qui docerent vos singula. Praecepique eis dicens: Audite illos et quod iustum est iudicate, sive civis sit ille sive peregrinus. Nulla erit distantia personarum: ita parvum audietis ut magnum nec accipietis cuiusquam personam, quia Dei iudicium est. Quod si difficile vobis visum aliquid fuerit, referte ad me et ego audiam",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Deuteronomy,Deuteronomio,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (<i>Vinay</i>); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (<i>Pézard</i>); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (<i>Kay</i>); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". <i>Imbach</i>, pp. 285-286, richiama il commento alle <i>Sententiae</i>, I 8 1 3 e le questioni disputate <i>De veritate</i>, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.","Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (<i>Vinay</i>); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (<i>Pézard</i>); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (<i>Kay</i>); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". <i>Imbach</i>, pp. 285-286, richiama il commento alle <i>Sententiae</i>, I 8 1 3 e le questioni disputate <i>De veritate</i>, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.",I 8 1 3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Scriptum_super_sententiis,Scriptum super Sententiis,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK ENS ET UNUM ET BONUM GRADATIM SE HABENT,"""l’essere, l’uno et el bene ànno tra·lloro hordine"" (Ficino); ""‘quel che è’ e ‘uno’ et ‘il buono’ gradualmente stanno"" (Anonimo). Non diversamente i moderni interpreti: ""sono, nell’ordine, in rapporto di priorità"" (<i>Vinay</i>); ""sont entre eux dans le rapport de progression"" (<i>Pézard</i>); ""si presentano in modo graduale"" (Pizzica 1988); ""are related in a sequence"" (Shaw 1996); ""are to be ranked in that order"" (<i>Kay</i>); ecc. Cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 55, a. 4, ad 1: ""Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate"". <i>Imbach</i>, pp. 285-286, richiama il commento alle <i>Sententiae</i>, I 8 1 3 e le questioni disputate <i>De veritate</i>, q. I, ad 1, dello stesso Tommaso.","q. I, ad 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_veritate(Tommaso),Quaestiones disputatae de veritate,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK "SECUNDUM QUINTUM MODUM DICENDI ""PRIUS""","quintum è solo nella <i>princeps</i> e nei codici a (A1 T); tutti i manoscritti ? leggono <i>primum</i>, come Ficino (secondo el primo modo del chiamarsi ""prima"") e come l'Anonimo (secondo il primo modo diciendo alcuna cosa prima da altri). Cfr. Aristotele, <i>Categoriae</i>, 14 b 10-3: Oltre ai suddetti significati, parrebbe tuttavia che l'anteriorità debba assumerne ancora uno. In effetti, quando tra due oggetti sussista un rapporto convertibile, per cui la realtà di ciascuno di essi implica la realtà dell'altro, allora quello tra i due oggetti, la cui realtà è in qualsiasi modo la causa della realtà dell'altro, potrà dirsi verosimilmente anteriore per natura all'altro. Così pure, più succintamente, nelle <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, III 30, ed. de Rijk, p. 40",14 b 10-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK "SECUNDUM QUINTUM MODUM DICENDI ""PRIUS""","quintum è solo nella <i>princeps</i> e nei codici a (A1 T); tutti i manoscritti ? leggono <i>primum</i>, come Ficino (secondo el primo modo del chiamarsi ""prima"") e come l'Anonimo (secondo il primo modo diciendo alcuna cosa prima da altri). Cfr. Aristotele, <i>Categoriae</i>, 14 b 10-3: Oltre ai suddetti significati, parrebbe tuttavia che l'anteriorità debba assumerne ancora uno. In effetti, quando tra due oggetti sussista un rapporto convertibile, per cui la realtà di ciascuno di essi implica la realtà dell'altro, allora quello tra i due oggetti, la cui realtà è in qualsiasi modo la causa della realtà dell'altro, potrà dirsi verosimilmente anteriore per natura all'altro. Così pure, più succintamente, nelle <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, III 30, ed. de Rijk, p. 40","III 30, ed. de Rijk, p. 40",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di <i>Nardi</i>, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche <i>Pézard</i>, p. 656, e più recentemente <i>Imbach</i> e Shaw 1996), <i>Kay</i> solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",998 b 21-6;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di <i>Nardi</i>, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche <i>Pézard</i>, p. 656, e più recentemente <i>Imbach</i> e Shaw 1996), <i>Kay</i> solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",1001 a 20 – b 25;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di <i>Nardi</i>, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche <i>Pézard</i>, p. 656, e più recentemente <i>Imbach</i> e Shaw 1996), <i>Kay</i> solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",1015 b 16 – 1017 a 21;,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di <i>Nardi</i>, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche <i>Pézard</i>, p. 656, e più recentemente <i>Imbach</i> e Shaw 1996), <i>Kay</i> solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT PHYLOSOPHO PLACET IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"come dice Aristotile nella ""Metafisicha"" (Ficino); come piacie al Filosafo inn-el libro ""Di simpliciter ente"" (Anonimo); cfr. sopra, I XII 8 e I XIII 3. Anche dopo la lunga e dettagliata nota di <i>Nardi</i>, in questo luogo, a correzione di Ricci 1965 e con rinvio ad Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 998 b 21-6; 1001 a 20 – b 25; 1015 b 16 – 1017 a 21; e 1053 b 20-8 – 1054 a 9-13 (cfr. anche <i>Pézard</i>, p. 656, e più recentemente <i>Imbach</i> e Shaw 1996), <i>Kay</i> solleva obbiezioni sulla piena congruenza dei testi aristotelici con il pensiero di Dante, suggerendo un più vicino accostamento con Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, III 11 1-9. A commento v. Cremascoli 2011, p. 34, nota 12",III 11 1-9.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK QUOD EST ESSE MALUM,"chiosa <i>Vinay</i>: Ci sono due tipi di molteplice: c'è il molteplice del creato che è l'espressione dell'infinita bontà di Dio e come tale porta in sé una immanente unità (<i>Summa theol</i>., I, q. 47, art. II); e c'è il molteplice che ""de se tendit in infinitum"" all'infuori di ogni ordine e di ogni finalità cioè il molteplice per il molteplice che fa domandare allo scettico perché ci sia un mondo e non due (ivi, art. III). D. si riferisce a questo secondo concetto di molteplicità come negazione ""simpliciter"""" dell'unità","I, q. 47, art. II",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PICTAGORAS IN CORRELATIONIBUS SUIS,"""le dieci sujtoic…ai degli elementi pitagorici opposti tra loro “secundum coëlementationem” ed enumerate da Aristotele in <i>Metaph</i>., I, 5, 986 a 22-30"" (così <i>Nardi</i>, che propone anche un rinvio a <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1096 b 5-6, aggiungendo: ""ma non X, vi, 7, come pretenderebbe il nostro caro Pézard, che non so dove abbia presa questa citazione""). Leggono <i>Pictagoras</i> C D E H S; Favati 1970, p. 20 e nota 52, amerebbe, come esempio di ""altri recuperi [...] sul piano della grafia"", la forma <i>Pythagoras</i> attestata da K L T U (<i>Pitagoras</i> A1 G N Z, <i>Pyctagoras</i> B, <i>Phytagoras</i> M P, <i>Pictogoras</i> F, <i>Pittagoras</i> Ph V, <i>Pitogoras</i> Y). Per Giorgio Stabile, <i>Pitagora</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 538, <i>Pitagora</i> ""è uno dei pochi filosofi presocratici su cui D., basandosi soprattutto su dossografie di Aristotele o di suoi commentatori, torna più volte""; p. 540 per il luogo in esame.","I, 5, 986 a 22-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PICTAGORAS IN CORRELATIONIBUS SUIS,"""le dieci sujtoic…ai degli elementi pitagorici opposti tra loro “secundum coëlementationem” ed enumerate da Aristotele in <i>Metaph</i>., I, 5, 986 a 22-30"" (così <i>Nardi</i>, che propone anche un rinvio a <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1096 b 5-6, aggiungendo: ""ma non X, vi, 7, come pretenderebbe il nostro caro Pézard, che non so dove abbia presa questa citazione""). Leggono <i>Pictagoras</i> C D E H S; Favati 1970, p. 20 e nota 52, amerebbe, come esempio di ""altri recuperi [...] sul piano della grafia"", la forma <i>Pythagoras</i> attestata da K L T U (<i>Pitagoras</i> A1 G N Z, <i>Pyctagoras</i> B, <i>Phytagoras</i> M P, <i>Pictogoras</i> F, <i>Pittagoras</i> Ph V, <i>Pitogoras</i> Y). Per Giorgio Stabile, <i>Pitagora</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 538, <i>Pitagora</i> ""è uno dei pochi filosofi presocratici su cui D., basandosi soprattutto su dossografie di Aristotele o di suoi commentatori, torna più volte""; p. 540 per il luogo in esame.",1096 b 5-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK VIRTUS VOLITIVA POTENTIA QUEDAM EST,"La virtù volitiva è una delle potenze dell'anima è l'a. propriamente è una ""forma"" che include in sé tre potenze vitali: la <i>vegetativa</i>, la <i>sensitiva</i> e la <i>intellettiva</i> e da queste due ultime si svolge, nell'inclinazione al bene desiderato, la virtù volitiva. Principio formale di quest'ultima è la ""specie"", cioè la rappresentazione o ""intenzione"" in cui si rispecchia il bene appreso, intermediaria, nel processo gnoseologico, tra <i>cosa</i> e <i>soggetto</i>. Tale principio, nella sua duplice accezione, ontologica e gnoseologica, uno in se stesso, si moltiplica nella pluralità dei corpi (Pizzica 1988). <i>Nardi</i> rinvia a <i>Pg</i> XVII 99-139 e XVIII 22-39; <i>Kay</i> anche a Tommaso d'Aquino, <i>Summa contra Gentiles</i>, I 53",I 53,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK BLANDAS ... DELECTATIONES,"cfr. Uguccione, B 115, 1: ""blandior –diris –ditus sum, verbum deponens, et construitur cum dativo ut ‘blandior tibi’, idest adulor. Invenitur etiam cum accusativo in eodem sensu, et inde <i>blandus</i> –a –um et comparatur –dior –simus, unde <i>blande</i> –dius –sime adverbium""; v. più oltre, III xvi 10.","B 115, 1: ""blandior –diris –ditus sum, verbum deponens, et construitur cum dativo ut ‘blandior tibi’, idest adulor. Invenitur etiam cum accusativo in eodem sensu, et inde blandus –a –um et comparatur –dior –simus, unde blande –dius –sime adverbium"";",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK DOCET PHYLOSOPHUS,"Aristotile insegnia (Ficino, p. 348); come è manifesto (Anonimo, p. 150). Cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1179 b 31 è 1180 a 24",1179 b 31,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK DOCET PHYLOSOPHUS,"Aristotile insegnia (Ficino, p. 348); come è manifesto (Anonimo, p. 150). Cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1179 b 31 è 1180 a 24",1180 a 24,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente <i>Nardi</i>: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> per cacciarne la <i>cupiditas</i>, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'<i>Eneide</i>, la cui autorità nel secondo libro della <i>Monarchia</i> [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente <i>Nardi</i>: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> per cacciarne la <i>cupiditas</i>, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'<i>Eneide</i>, la cui autorità nel secondo libro della <i>Monarchia</i> [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente <i>Nardi</i>: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> per cacciarne la <i>cupiditas</i>, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'<i>Eneide</i>, la cui autorità nel secondo libro della <i>Monarchia</i> [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK OMNES CONSEQUENTIE SUPERIORES,"commenta ampiamente <i>Nardi</i>: la conclusione che qui tira Dante non riguarda dunque solo questo capitolo, ma tutto il primo libro, dal capitolo V, è 2 all'argomento trattato in questo capitolo XV. Si tratta di undici capitoli filosofici ispirati alla metafisica, alla fisica e all'etica aristotelica [...]. L'uomo di Aristotele è l'uomo peccatore che si dibatte per la riconquista della sua razionalità [...]. In questo primo libro si dimostra che al benessere del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> per cacciarne la <i>cupiditas</i>, conseguenza del peccato d'Adamo, e far cessare gli odi e le guerre, sé che con la giustizia ritorni la pace e il ""genus humanum"" possa attendere nella concordia al raggiungimento del suo fine ultimo, quaggiù, che è il totale appagamento della potenza dell'intelletto. E se Dio stesso ha decretato che al governo del mondo è necessaria la <i>Monarchia</i> universale, questa dov'è? Aristotele non ce lo dice. Lo dice invece Virgilio nell'<i>Eneide</i>, la cui autorità nel secondo libro della <i>Monarchia</i> [...] non è inferiore a quella del filosofo greco","Lo dice invece Virgilio nell'Eneide, la cui autorità nel secondo libro della Monarchia [...] non è inferiore a quella del filosofo greco",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK VEL EXPECTAVIT VEL CUM VOLUIT IPSE DISPOSUIT,"cfr. Tommaso d'Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, III, q. 35, a. 8 (<i>Utrum Christus fuerit congruo tempore natus</i>), <i>Resp</i>.: Christus autem, tanquam Dominus et Conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum.... È d'obbligo ricordare il notissimo passaggio, testé citato, in <i>Cv</i> IV V 4: E però che nella sua venuta nel mondo, non solamente lo cielo, ma la terra convenia essere in ottima disposizione; e la ottima disposizione della terra sia quando ella è monarchia, cioè tutta ad uno principe [...]; ordinato fu per lo divino provedimento quello popolo e quella cittade che ciò dovea compiere, cioè la gloriosa Roma","III, q. 35, a. 8 (Utrum Christus fuerit congruo tempore natus), Resp.: Christus autem, tanquam Dominus et Conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum....",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NISI SUB DIVO AUGUSTO MONARCHA ... MUNDUM UNDIQUE FUISSE QUIETUM,"Cassell, pp. 302-3, nota 108, ipotizza che siano qui presenti motivi cari alla tradizione francescana, particularly celebrative of Christ's coming in ""the quiet silence"" [...] of the reign of Augustus, così come si esprime nell'<i>Arbor vitae</i> di Bonaventura (I, 3-4) a commento di <i>Gal</i> 4, 4","(I, 3-4)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Arbor_Vitae_Crucifixae_JesuChristi(Umbertino_da_Casale),Arbor vitae,Ubertino da Casale,http://dbpedia.org/resource/Ubertino_of_Casale,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, <i>Augustus</i>, 22; Floro, <i>Epitoma</i>, II 34 64; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, <i>Svetonio, Caio Tranquillo</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in <i>VE</i> II VI 7 (cfr. l'<i>Introduzione</i> di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)","Augustus, 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Augustus(Svetonio),Augustus,Svetonio,http://dbpedia.org/resource/Suetonius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, <i>Augustus</i>, 22; Floro, <i>Epitoma</i>, II 34 64; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, <i>Svetonio, Caio Tranquillo</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in <i>VE</i> II VI 7 (cfr. l'<i>Introduzione</i> di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)",II 34 64,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK YSTORIOGRAPHI OMNES,"Svetonio, <i>Augustus</i>, 22; Floro, <i>Epitoma</i>, II 34 64; Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, VI 22. Nel primo caso Giorgio Brugnoli, <i>Svetonio, Caio Tranquillo</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 497-8, parla di una dipendenza assai discutibile. Per Floro (mai ricordato espressamente) v. la voce di Antonio Martina, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 948-52; Orosio è una delle fonti più familiari a Dante (cfr. ancora Antonio Martina in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 204-8, in particolare p. 207). In questo luogo i prosatori precedono i poeti, inversamente a quanto si legge nel duplice elenco in <i>VE</i> II VI 7 (cfr. l'<i>Introduzione</i> di M. Santagata nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> II VI 7, ivi, p. 1453; e più oltre, II III 6)",VI 22,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK POETE ILLUSTRES,"L'espressione è enfatica (<i>Vinay</i>). Cfr. Virgilio, <i>Eclogae</i>, IV 6 (per il quale v. sopra, I XI 1); Ovidio, <i>Fasti</i>, I 280-1",IV 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Eclogues,Eglogae,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK POETE ILLUSTRES,"L'espressione è enfatica (<i>Vinay</i>). Cfr. Virgilio, <i>Eclogae</i>, IV 6 (per il quale v. sopra, I XI 1); Ovidio, <i>Fasti</i>, I 280-1",I 280-1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Fasti_(poem),Fasti,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK SCRIBA MANSUETUDINIS CRISTI,"Lc 2, 1: ""Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis"". Dante cita lo stesso luogo anche più avanti, II viii 14; in <i>Cv</i> IV v 8; e nell’<i>Ep</i> VII 14, ""dove <i>Luca</i> è detto “bos noster evangelizans accensus ignis eterni flamma” nella quale immagine tradizionale è la spiegazione dello “scriba mansuetudinis”"" (<i>Vinay</i>); e v. anche II x 6. Cfr. Gian Roberto Sarolli, <i>Luca</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 696-7, e per il ""latinismo"" del ricorrente appellativo, Antonio Lanci, <i>Scriba</i>, ivi, V, 1976, p. 93, con rimandi a <i>Mn</i> II viii 14 e III iv 11, nonché a <i>Pd</i> X 27 (""quella materia ond’io son fatto scriba""), e con il commento: ""Infatti <i>Luca</i> e tutti coloro che hanno scritto il Vecchio e il Nuovo Testamento non erano veri e propri “scrittori”, nel senso di “autori”, ma “scrivani” (<i>scribae</i>) della parola di Dio"". Dante però usa il termine non solo per <i>Luca</i>, per gli <i>scribe divini eloquii</i> (<i>Mn</i> III iv 11) o per gli <i>scribe Cristi</i> (<i>Mn</i> III ix 9), ma anche per Livio (<i>Mn</i> II iii 6) e per gli <i>scribe romane rei</i> (<i>Mn</i> II iv 10), ai quali egli non negava di certo la qualità di “scrittori” nel senso di “autori” (tant’è che Ficino stesso, p. 384, gli <i>scribe divini eloquii</i> di <i>Mn</i> III iv 11 sono ""li scriptori del divino sermone"").","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK TUNICA ISTA INCONSUTILIS,"cfr. <i>Io</i> 19, 23: Erat autem tunica inconsutilis desuper contexta per totum. La tunica di Cristo, tessuta senza cuciture e che i soldati a guardia della croce non osano scindere, è assunta a simbolo della unità dell'Impero, spezzata il giorno della donazione di Costantino è seme e frutto di cupidigia [...] è ma non per questo meno legittima e indistruttibile perché voluta da Dio (<i>Vinay</i>). Cfr. più oltre, III X 6, e la v. <i>Inconsutilis</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, p. 414. Niente affatto superfluo ricordare, come opportunamente fano <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>, che nella extravagante <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8: Friedberg, II, col. 1245) si ricorre alla stessa figura come simbolo dell'unità indivisibile della Chiesa universale","(cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK BELLUA MULTORUM CAPITA FACTUM,"come il gran drago rosso <i>dell'Apocalissi</i> (12, 3) (<i>Furlan</i>); cfr. anche <i>Ap</i> 17, 9. <i>Cassell</i> rimanda ancora all'immagine analoga presente nella <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8: Friedberg, II, col. 1245: Igitur ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum) e addita come luogo parallelo <i>Ep</i> VII [6] 21, allegando <i>Kay</i> a proposito di una supposta eco di versi oraziani (<i>Epist</i>., I, 1, 76; <i>Carm</i>., II, 13, 34)","cap. 1, Extrav. comm., I, 8: Friedberg, II, col. 1245: Igitur ecclesiae unius et unicae unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce <i>Salmo</i> di Angelo Penna, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli <i>Atti degli Apostoli</i>, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della <i>Monarchia</i> al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche <i>Nardi</i> riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per <i>Vinay</i> il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo <i>De potestate regia et papali</i>, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (<i>Ep</i> VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del <i>Convivio</i> in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della <i>De Psalmorum libro exegesis</i> attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (<i>Pd</i> XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1","Ps 2, 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce <i>Salmo</i> di Angelo Penna, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli <i>Atti degli Apostoli</i>, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della <i>Monarchia</i> al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche <i>Nardi</i> riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per <i>Vinay</i> il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo <i>De potestate regia et papali</i>, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (<i>Ep</i> VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del <i>Convivio</i> in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della <i>De Psalmorum libro exegesis</i> attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (<i>Pd</i> XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1","Ac 4, 23-30",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK QUARE FREMUERUNT GENTES,"Ps 2, 1-3, e cfr. Ac 4, 23-30. Per questo esordio v. la voce <i>Salmo</i> di Angelo Penna, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 1079, e Puletti 1989, pp. 239-47, dove rispetto alla tradizione esegetica antica e nuova (Agostino, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Enrico da Cremona) si sottolinea la peculiarità dell’uso dantesco di questo salmo messianico per eccellenza, nel quale viene alimentata la speranza di Israele in un Salvatore e la fama del quale, con la sua interpretazione allegorica, è dovuta principalmente all’uso che ne è stato fatto negli <i>Atti degli Apostoli</i>, là dove viene messa in evidenza la regalità di Cristo sul mondo, nonostante le persecuzioni subite ad opera di Erode e Pilato (p. 240). L’interpretazione di Dante, che riferisce la citazione all’Impero e identifica l’Unto del Signore con l’imperatore, in quanto sottolinea la regalità non riconosciuta, sarebbe simile a quella di Enrico da Cremona, se riferita a Cristo. Ma Dante [...] attribuisce all’Imperatore le caratteristiche di Cristo, con procedimento inverso rispetto a quello degli esegeti del Vecchio Testamento, che riferivano allegoricamente al Messia i salmi composti per i sovrani ebraici (p. 246, con rimando a Kantorowicz 1966, Maccarrone 1976 e Mazzoni 1989 sulla prossimità della <i>Monarchia</i> al filone amplissimo di cultura giuridica che rilancia il modello della regalità cristocentrica e che rende il trattato aperto ad una dimensione e concezione sacrale, sacerdotale dell’Impero: p. 246 e nota 27). Ulteriori osservazioni in Cremascoli 2011, pp. 36-7 e note 25-8. Anche <i>Nardi</i> riconosce che il motto biblico esprime un concetto che [...] si estende a tutto il libro, diviso in due parti [...], e dà ad esso il tono. Per <i>Vinay</i> il capitolo è come un commento appassionato del salmo, il cui richiamo non era nuovo nella pubblicistica del tempo, com’è il caso di Giovanni da Parigi e del suo <i>De potestate regia et papali</i>, XI, 34. Le più recenti sottolineature del significato della scelta della citazione in avvio si devono a Fenzi 2004, pp. 102-3, e a Casadei 2011, pp. 182-7, che stabilisce uno stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ del 31 marzo 1311 (<i>Ep</i> VI [2] 5) e che ricorda l’inquadramento di queste citazioni nel novero di quelle bibliche anche del <i>Convivio</i> in Vasoli 1988 (poi in Vasoli 1995, pp. 65-81), rimandando anche a Brilli 2007. In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della <i>De Psalmorum libro exegesis</i> attribuita a Beda (col. 489: Introducitur hic per prophetiam caput Judæos et gentes objurgari, quod non advertentes medicum salutis, irrationabilem fremitum et impetum in ipsum facturi in ejus passione erant, che può ricordare la celebre terzina che segue alla profezia ex post dell’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia / verrà prima ch’ella sia disposta: La cieca cupidigia che v’ammalia / simili fatti v’ha al fantolino / che muor per fame e caccia via la balia (<i>Pd</i> XXX 137-41, col commento della Chiavacci Leonardi 1997, che rinvia all’Epistola VI, pp. 844-5). Cfr. la ripresa del testo scritturale poco più sotto, II I 4 e più oltre, II X 1",In tal senso si potrebbe ravvisare in Dante un’eco della De Psalmorum libro exegesis attribuita a Beda,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_Psalmorum_libro_exegesis_(Beda_il_Venerabile),De psalmorum libro exegesis,Beda il Venerabile,http://dbpedia.org/resource/Bede,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK ADMIRABAR ... ROMANUM POPULUM,"per Scott 2010, p. 249, uno dei frammenti autobiografici più preziosi che Dante ci abbia mai lasciato. Indispensabile una lettura in parallelo con <i>Cv</i> IV IV 8-9 e 11-2: Veramente potrebbe alcuno gavillare dicendo che, tutto che al mondo officio d’imperio si richeggia, non fa ciò l’autoritade dello romano principe ragionevolemente somma, la quale s’intende dimostrare; però che la romana potenzia non per ragione né per decreto di convento universale fu acquistata, ma per forza, che alla ragione pare esser contraria. A ciò si può lievemente rispondere, che la elezione di questo sommo officiale convenia primieramente procedere da quello consiglio che per tutto provede, cioè Dio [...]. Onde non da forza fu principalmente preso per la romana gente, ma da divina provedenza, che è sopra ogni ragione. E in ciò s’accorda Virgilio nel primo dello Eneida [<i>Aen</i>. I 277-8], quando dice, in persona di Dio parlando: “A costoro – cioè alli Romani – né termine di cose né di tempo pongo; a loro ho dato imperio sanza fine”. La forza dunque non fu cagione movente, sì come credeva chi gavillava, ma fu cagione instrumentale, sì come sono li colpi del martello cagione [instrumentale] del coltello, e l’anima del fabbro è cagione efficiente e movente; e così non forza, ma ragione, [e] ancora divina, [conviene] essere stata principio del romano imperio. <i>Nardi</i>, p. 365, opportunamente commenta: Qui, nella <i>Monarchia</i>, Dante non parla affatto di “gavillo”, ma di due momenti diversi nello sviluppo del suo pensiero. Dapprima anche lui, come altri, aveva creduto con sua meraviglia che il popolo romano avesse conquistato il mondo senza alcun diritto, “sed armorum tantummodo violentia”. E continua: “Sed postquam medullitus oculos mentis infixi...”. Dante confessa ora che ci fu un tempo nel quale anch’egli aveva creduto quel che gli avversari dell’Impero credevano. Cosa che nel <i>Convivio</i> non dice, tutto preso dalla scoperta fatta da poco. Sulla animosità antiromana diffusa negli ambienti curialisti, da Egidio Romano a Jean Lemoine (che secondo la testimonianza di Giovanni d’Andrea voleva Roma fundata a praedonibus). Cfr. <i>Vinay</i>, che si affida a Chiappelli 1908, p. 21, cui deve anche l’improbabile idea (fortemente accreditata ancora da Crosara 1962) della dipendenza di Dante dalle <i>Quaestiones de iuris subtilitatibus</i>, un tempo attribuite ad Irnerio, dove si difendono “i Romani dalle accuse di violenza ponendo in rilievo la loro clemenza verso i vinti, la fedeltà cogli amici, la giustizia coi popoli soggetti”, aggiungendo che “quel grande popolo ottenne il principato del mondo per tali doti e per la sua prudenza nel dettar leggi” e concludendo che “Cristo gli confermò la potestà della terra”. Cfr. Cremascoli 2011, p. 37 e nota 28, anche per l’usuale riferimento ad Agostino, <i>De civitate Dei</i>, V, 21","V, 21",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK NATURALIS AMOR,"allega Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 60, a. 1 e chiosa <i>Vinay</i>: L’amor naturale è il vincolo elementare che stringe gli esseri e costituisce la base dell’armonia del creato; di fronte ad esso la “derisio” rappresenta un atteggiamento antitetico e disarmonico che va superato con la “correctio” che è atto di carità, cioè, in questo caso, di amicizia. Cfr. però il richiamo di <i>Kay</i> ad <i>If</i> XI 56 (pur lo vinco d’amor che fa natura) e ad altri luoghi tomisti","I, q. 60, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK HOC IPSUM DE ROMANO POPULO MENDACITER EXTIMANTES,"curiosamente ‘legittimistica’ l’interpretazione di <i>Pézard</i>, il quale, rifiutandosi di pensare a un Dante che faccia qui figure de révolutionnaire, crede alterato il testo tràdito che vorrebbe integrato da <i>suum</i>, intendendo: considérant faussement comme leur bien cela même qui est le bien du peuple romain. Né vale a tranquillizzarlo <i>Vinay</i>, che citando Tommaso d’Aquino e il suo <i>De regimine principum</i>, I 6, scrive: D. non trae le conseguenze di questa premessa e non dice quale dovrà essere l’atteggiamento dei sudditi per liberarsi di fatto: evidentemente, aggiungiamo noi, non potrà essere che uno solo, e cioè non la ribellione ma l’appello all’imperatore secondo il principio comunemente accolto: “si ... ad ius alicuius superioris pertineat multitudini providere de rege, expectandum est ab eo remedium contra tyranni nequitiam. Bertalot 1920, Ricci 1979 e Shaw 1996 relegano in apparato (ma con significative discordanze) la lezione <i>existimantes</i>, già accolta da Witte 1874, conservata dalla <i>princeps</i> K e da una minoranza di codici (H P U Y)",I 6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SECUNDUM QUOD MATERIA PATITUR,"cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1094 b 12; 1098 a 27; a questi luoghi e ai relativi commenti tomistici rinvia <i>Vinay</i>, con ulteriore richiamo alla <i>Questio de aqua et terra</i>, XX, e a <i>Cv</i> IV XIII 8 (col commento di Busnelli 1964, II, p. 158), cui accenna anche <i>Nardi</i>, precisando tuttavia che Dante ne tratta lì ad altro proposito",1094 b 12,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SECUNDUM QUOD MATERIA PATITUR,"cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1094 b 12; 1098 a 27; a questi luoghi e ai relativi commenti tomistici rinvia <i>Vinay</i>, con ulteriore richiamo alla <i>Questio de aqua et terra</i>, XX, e a <i>Cv</i> IV XIII 8 (col commento di Busnelli 1964, II, p. 158), cui accenna anche <i>Nardi</i>, precisando tuttavia che Dante ne tratta lì ad altro proposito",1098 a 27,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT EX HIIS PATET QUE DE CELO PHYLOSOPHAMUR,"cfr. Aristotele, <i>De caelo</i>, 270 b 12-6, di cui è esplicito il riferimento nel volgarizzamento dell’Anonimo: come è manifesto per quelle cose che inel libro “De’ Cieli” parla Aristotile (p. 155); tutto l’inciso manca invece in Ficino",270 b 12-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SIMILITUDO DIVINE VOLUNTATIS,"Vinay cita ancora Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 19, a. 2, <i>Resp</i>.: In quanto il diritto appartiene all’essenza divina, Dio lo vuole in due modi: in quanto fa parte della sua essenza cioè della sua perfezione e in quanto vuole che le creature partecipino della sua perfezione: “cum ad perfectionem voluntatis spectet ut bonum quod quis habet aliis communicet, hoc praecipue divinam voluntatem decet, ut se et alia velit; se ut finem, caetera vero ut ad finem ordinata, id est propter se, quia condecet eius summam bonitatem alia eam participare","I, q. 19, a. 2, Resp",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK UT PHYLOSOPHUS DOCET,"come il Filosafo insegnia (Anonimo, pp. 155-6); come dice Aristotile (Ficino); cfr. <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1094 b 12; 1098 a 27. Cfr. sopra, II II 1",1094 b 12,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT PHYLOSOPHUS DOCET,"come il Filosafo insegnia (Anonimo, pp. 155-6); come dice Aristotile (Ficino); cfr. <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1094 b 12; 1098 a 27. Cfr. sopra, II II 1",1098 a 27,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK EX MANIFESTIS SIGNIS ATQUE SAPIENTUM AUTORITATIBUS,"sull’<i>auctoritas</i> come forma di premessa in in un sillogismo che conduce a conclusioni probabili v. qui <i>Imbach</i> (p. 293), <i>Kay</i> (pp. 100-1, nota 21) e <i>Cassell</i> (pp. 304-5, nota 121), con rimando a Pietro Ispano, <i>Summulae logicales</i>, V, 36, ed. de Rijk, pp. 75-6, Cfr. più oltre, II V 6","V, 36, ed. de Rijk, pp. 75-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK ET INVISIBILIA DEI PER EA QUE FACTA SUNT INTELLECTA CONSPICIUNTUR,"così Paolo, <i>Rm</i> 1, 20: ""Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur""; Dante lo cita in Ep V [8] 23. Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921 hanno qui <i>sed invisibilia</i>; Ricci 1965, p. 176, restaura l’et unanimemente attestato dalla tradizione, diretta e indiretta (con la sola eccezione di C, che legge <i>ž</i> = <i>etiam</i>) ricevendone consenso da <i>Nardi</i>. Cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 2, a. 2, <i>Resp.</i>: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur <i>propter quid</i>: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio <i>quia</i>: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae","Rm 1, 20: Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK ET INVISIBILIA DEI PER EA QUE FACTA SUNT INTELLECTA CONSPICIUNTUR,"così Paolo, <i>Rm</i> 1, 20: ""Invisibilia enim ipsius per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur""; Dante lo cita in Ep V [8] 23. Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921 hanno qui <i>sed invisibilia</i>; Ricci 1965, p. 176, restaura l’et unanimemente attestato dalla tradizione, diretta e indiretta (con la sola eccezione di C, che legge <i>ž</i> = <i>etiam</i>) ricevendone consenso da <i>Nardi</i>. Cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 2, a. 2, <i>Resp.</i>: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur <i>propter quid</i>: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio <i>quia</i>: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae","I, q. 2, a. 2, Resp.: Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid: et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia: et haec est per ea quae sunt priora quoad nos: cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK CUM HONOR SIT PREMIUM VIRTUTIS,"cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1123 b 35: poiché l’onore è il premio della virtù, e lo si conferisce ai buoni (ripetuto nel commento tomista, III 9, n. 539: Honor [...] est praemium virtutis)",1123 b 35,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi <i>Cv</i> IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero <i>e converso</i>, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a <i>Dig</i>. 2, 8, 5, § 1 (<i>Digestum Vetus</i>, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a <i>Dig</i>. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, <i>Digestum Vetus</i>, col. 1481) e demonstratae a <i>Dig</i>. 33, 4, 1, § 8 (<i>Infortiatum</i>, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","nella glossa evidentissime a Dig. 2, 8, 5, § 1 (Digestum Vetus, col. 139)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi <i>Cv</i> IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero <i>e converso</i>, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a <i>Dig</i>. 2, 8, 5, § 1 (<i>Digestum Vetus</i>, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a <i>Dig</i>. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, <i>Digestum Vetus</i>, col. 1481) e demonstratae a <i>Dig</i>. 33, 4, 1, § 8 (<i>Infortiatum</i>, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","le glosse quia manifestum fuit a Dig. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, Digestum Vetus, col. 1481)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK MERITO VIRTUTIS NOBILITANTUR HOMINES,"Kay commenta: Dante assumes this proposition is self evident and therefore cites no authority. La citazione però, a sostegno del carattere notorio della verità della massima, pur se implicita c’è, se solo si ricordi <i>Cv</i> IV XIX 4-5: E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n’è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ?ché? ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, e non è questo vero <i>e converso</i>, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, ?e? le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. Nel luogo allegato Dante cita espressamente il brocardo (la massima che per regola di Ragione si tiene, che tiene luogo di regola di diritto) quae manifesta sunt, idest notoria, probatione non indigent (v. di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, p. 168); così Accursio nella glossa evidentissime a <i>Dig</i>. 2, 8, 5, § 1 (<i>Digestum Vetus</i>, col. 139), con rinvio all’istituto canonistico del notorio, per il quale cfr. il cap. 3, X II 21, De testibus (Friedberg, II, col. 341); v. anche le glosse quia manifestum fuit a <i>Dig</i>. 19, 1, 11, § 12 (= 19, 1, 12, § 1, <i>Digestum Vetus</i>, col. 1481) e demonstratae a <i>Dig</i>. 33, 4, 1, § 8 (<i>Infortiatum</i>, col. 1036). Cfr. anche sopra, I I 4","demonstratae a Dig. 33, 4, 1, § 8 (Infortiatum, col. 1036)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, <i>Sat</i>. VIII 20; cfr. <i>Cv</i> IV XXIX 4: Alla prima questione risponde <i>Giovenale</i> nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due <i>auctoritates</i> per due <i>nobilitates</i> distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella <i>Monarchia</i>, dunque, <i>Giovenale</i> non nega più Aristotele, lo integra. <i>Nardi</i> precisa: Il verso di <i>Giovenale</i> però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal <i>Moralium dogma philosophorum</i> di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della <i>P.L</i>. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>, che ricorda che in <i>Cv</i> IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, <i>Tresor</i> 2:114, where Bruneto also cites the <i>Moralium</i> as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of <i>Juvenal</i>). Cfr. Ettore Paratore, <i>Giovenale</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, <i>Juvenal</i>, in <i>DEnc</i>, p. 550",Sat. VIII 20,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, <i>Sat</i>. VIII 20; cfr. <i>Cv</i> IV XXIX 4: Alla prima questione risponde <i>Giovenale</i> nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due <i>auctoritates</i> per due <i>nobilitates</i> distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella <i>Monarchia</i>, dunque, <i>Giovenale</i> non nega più Aristotele, lo integra. <i>Nardi</i> precisa: Il verso di <i>Giovenale</i> però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal <i>Moralium dogma philosophorum</i> di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della <i>P.L</i>. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>, che ricorda che in <i>Cv</i> IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, <i>Tresor</i> 2:114, where Bruneto also cites the <i>Moralium</i> as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of <i>Juvenal</i>). Cfr. Ettore Paratore, <i>Giovenale</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, <i>Juvenal</i>, in <i>DEnc</i>, p. 550",Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal Moralium dogma philosophorum di Gauthier da Lilla,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Moralium_dogma_philosophorum(Gauthier_da_Lilla),Moralium dogma philosophorum,Gauthier da Lilla,http://dbpedia.org/resource/Walter_of_Ch%C3%A2tillon,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK IUXTA IUVENALEM,"Giovenale, <i>Sat</i>. VIII 20; cfr. <i>Cv</i> IV XXIX 4: Alla prima questione risponde <i>Giovenale</i> nell’ottava satira, quando comincia quasi esclamando: “Che fanno queste onoranze che rimagnono dalli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che delli suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni?” Avegna [che ……… Chi dicerà], dice esso poeta satiro, “nobile per la buona generazione quelli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante”. Commenta bene Carpi 2004, I, pp. 20-1 e 24: Insomma, due <i>auctoritates</i> per due <i>nobilitates</i> distinte ma nient’affatto contrapposte, se ad assicurare il diritto alla signoria è proprio la loro compresenza [...] Nella <i>Monarchia</i>, dunque, <i>Giovenale</i> non nega più Aristotele, lo integra. <i>Nardi</i> precisa: Il verso di <i>Giovenale</i> però è questo: “Atria, nobilitas sola est atque unica virtus”. Probabilmente Dante cita a memoria il verso già aggiustato dal <i>Moralium dogma philosophorum</i> di Gauthier da Lilla, ricordato dal Bertalot, che cita il volume CLXXI della <i>P.L</i>. del Migne (colonna 1043) (gli fanno eco <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>, che ricorda che in <i>Cv</i> IV XXIX 4 Dante closely follows Brunetto Latini, <i>Tresor</i> 2:114, where Bruneto also cites the <i>Moralium</i> as he affirms the idea of virtue’s constituting nobility [...]; however, Bruneto atributes the “virtue alone” thesis to Horace instead of <i>Juvenal</i>). Cfr. Ettore Paratore, <i>Giovenale</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 197-202, in particolare p. 199, e Guy P. Raffa, <i>Juvenal</i>, in <i>DEnc</i>, p. 550",2:114,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK IUXTA ILLUD EVANGELICUM,"<i>Mt</i> 7, 2: ""et in qua mensura mensi fueritis remetietur vobis""","Mt 7, 2: et in qua mensura mensi fueritis remetietur vobis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK SUBASSUMPTA,"abbandono qui il testo dell’ed. Shaw 2009 per tornare alla lezione testimoniata dalla <i>princeps</i> K e dai manoscritti – ad eccezione di B, c. 91r, che ha <i>Sub sumptam</i> e di M, che legge <i>Sub assumptę</i> (c. 26r) – e respinta da tutti gli editori moderni in favore di <i>Subassumptam</i>: lezione congetturale che Ricci 1965 stima indiscutibilmente corretta, giudicando il neutro plurale <i>subassumpta</i> in contrasto con quanto si legge sopra, I XI 3; I XI 20; I XIII 8; e più avanti nel testo, II III 17; luoghi tutti dai quali si evincerebbe ""che siamo in presenza di un femminile singolare"". Con un ""E qui il Ricci si ferma"" <i>Nardi</i> contesta vivacemente tale scelta, proseguendo (pp. 374-5): Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della <i>Politica</i>: “Est enim nobilitas virtus et divitie antique” Aristotele aveva accennato alla nobiltà della schiatta, mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale: “Que <i>due sententie</i> ad <i>duas nobilitates</i> dantur: <i>propriam</i> scilicet et <i>maiorum</i>” (cfr. qui sopra, § 4). <i>Due sententie</i> e <i>due nobilitates</i>, nient’affatto identiche: poiché nei paragrafi che seguono (II, iii, 8-9, 10-6) Dante le tiene accuratamente distinte. Che male c’è a credere che egli le abbia comprese entrambe sotto il neutro plurale <i>subassumpta</i>? Le citazioni del Ricci per escludere questa interpretazione non mi paiono valide; poiché nei tre casi di I, xi, 3, I, xi, 20 e I, xiii, 8 è evidente che si tratta di una sola “propositio subassumpta”. Nel quarto caso invece di II, iii, 17 (“Hiis itaque ad evidentiam subassumpte prenotatis”), parrebbe che Dante intenda riferirsi non “ad <i>propriam eius</i> [Enee] <i>nobilitatem</i>” (II, iii, 8-9), bensì “ad hereditariam nobilitatem” (<i>ibid.</i>, 10-6), che è quella derivante dagli avi e dai matrimoni, e che si trasmette ai discendenti, sì che anche in questo caso si tratterebbe di una “propositio subassumpta” come negli altri tre. E fa bene <i>Nardi</i> a citare la traduzione ficiniana: ""Questo confermano et testimoniano gli antichi""; per contro, l’Anonimo traduce e chiosa: ""La subassunta, cioè la minore preposizione, li testimoni delli antichi la dimostrarono"". Per Favati 1970, p. 3, s’impone ""la reintegrazione del femminile, anche a non voler dire che l’accordo con <i>testimonia</i> non dà senso plausibile"". <i>Kay</i> sembra consentire a <i>Nardi</i>, intendendo così il senso del luogo in esame: ""The subassumed things [i.e. the opinions of Aristotle and Juvenal previously cited] are rendered credible by the testimonies of the ancients""; salvo poi concludere che ""subsequent commentators, however, have agreed with Ricci’s preference for <i>subassumptam</i>"" e tradurre quindi: ""On the other hand, the testimony of ancient writers substantiates the minor premise""",Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della Politica,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SUBASSUMPTA,"abbandono qui il testo dell’ed. Shaw 2009 per tornare alla lezione testimoniata dalla <i>princeps</i> K e dai manoscritti – ad eccezione di B, c. 91r, che ha <i>Sub sumptam</i> e di M, che legge <i>Sub assumptę</i> (c. 26r) – e respinta da tutti gli editori moderni in favore di <i>Subassumptam</i>: lezione congetturale che Ricci 1965 stima indiscutibilmente corretta, giudicando il neutro plurale <i>subassumpta</i> in contrasto con quanto si legge sopra, I XI 3; I XI 20; I XIII 8; e più avanti nel testo, II III 17; luoghi tutti dai quali si evincerebbe ""che siamo in presenza di un femminile singolare"". Con un ""E qui il Ricci si ferma"" <i>Nardi</i> contesta vivacemente tale scelta, proseguendo (pp. 374-5): Dante invece aveva dichiarato che con la definizione della <i>Politica</i>: “Est enim nobilitas virtus et divitie antique” Aristotele aveva accennato alla nobiltà della schiatta, mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale: “Que <i>due sententie</i> ad <i>duas nobilitates</i> dantur: <i>propriam</i> scilicet et <i>maiorum</i>” (cfr. qui sopra, § 4). <i>Due sententie</i> e <i>due nobilitates</i>, nient’affatto identiche: poiché nei paragrafi che seguono (II, iii, 8-9, 10-6) Dante le tiene accuratamente distinte. Che male c’è a credere che egli le abbia comprese entrambe sotto il neutro plurale <i>subassumpta</i>? Le citazioni del Ricci per escludere questa interpretazione non mi paiono valide; poiché nei tre casi di I, xi, 3, I, xi, 20 e I, xiii, 8 è evidente che si tratta di una sola “propositio subassumpta”. Nel quarto caso invece di II, iii, 17 (“Hiis itaque ad evidentiam subassumpte prenotatis”), parrebbe che Dante intenda riferirsi non “ad <i>propriam eius</i> [Enee] <i>nobilitatem</i>” (II, iii, 8-9), bensì “ad hereditariam nobilitatem” (<i>ibid.</i>, 10-6), che è quella derivante dagli avi e dai matrimoni, e che si trasmette ai discendenti, sì che anche in questo caso si tratterebbe di una “propositio subassumpta” come negli altri tre. E fa bene <i>Nardi</i> a citare la traduzione ficiniana: ""Questo confermano et testimoniano gli antichi""; per contro, l’Anonimo traduce e chiosa: ""La subassunta, cioè la minore preposizione, li testimoni delli antichi la dimostrarono"". Per Favati 1970, p. 3, s’impone ""la reintegrazione del femminile, anche a non voler dire che l’accordo con <i>testimonia</i> non dà senso plausibile"". <i>Kay</i> sembra consentire a <i>Nardi</i>, intendendo così il senso del luogo in esame: ""The subassumed things [i.e. the opinions of Aristotle and Juvenal previously cited] are rendered credible by the testimonies of the ancients""; salvo poi concludere che ""subsequent commentators, however, have agreed with Ricci’s preference for <i>subassumptam</i>"" e tradurre quindi: ""On the other hand, the testimony of ancient writers substantiates the minor premise""",mentre della virtù propria intendeva parlare il verso di Giovenale,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Satires_(Juvenal),Satire (Giovenale),Giovenale,http://dbpedia.org/resource/Juvenal,http://purl.org/bncf/tid/34535,WORK DIVINUS POETA NOSTER VIRGILIUS,"il divino poeta Virgilio (Ficino). Dopo la citazione dell’<i>Ecloga</i> IV (sopra, I XI 1) è questo il primo ricordo dell’<i>Eneide</i>, su cui v. Domenico Consoli, <i>Virgilio – Virgilio nelle opere minori</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 1033, il quale sottolinea che il grosso dell’opera virgiliana si presenta a D. senza sovrastrutture allegoriche, come lettera veridica. In tal senso qui come nel <i>Convivio</i> e nella <i>Commedia</i> Virgilio, insieme con Livio, non solo garantisce la verità storica (<i>Vinay</i>), ma offre il superiore insegnamento morale per il quale gli stessi giuristi contemporanei di Dante ammettevano che nel difetto o nel silenzio delle norme giuridiche fosse lecito allegare i poeti: è il caso di Alberto Gandino, il quale, citando Virgilio, <i>Aen</i>. VI 730, scrive: Quas auctoritates et maxime, ubi leges deficiunt, non est prohibitum allegare (<i>Tractatus de maleficiis</i>, Rubr. <i>Quid sit fama</i>, § 1, ed. Kantorowicz 1907, p. 52; v. anche Quaglioni 1999a e cfr. Minnucci 2000)",è questo il primo ricordo dell’Eneide,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK TITUS LIVIUS,"cfr. <i>Livio</i>, <i>Ab U. c</i>. I 1. Dubbi sulla conoscenza diretta di <i>Livio</i> da parte di Dante registra <i>Vinay</i> (Si tratta sempre di citazioni generiche, non letterali, o, per lo meno, tali che la reminiscenza sarebbe difficilmente dimostrabile se non soccorresse un richiamo esplicito), concludendo che è impossibile giungere ad una certezza obiettiva, o meglio vi è una certezza sola, che D., scrivendo la <i>Mon</i>., non aveva avuto il testo sottomano come non lo aveva avuto scrivendo il <i>Conv</i>., III, 11, 3: “vivea ... Pittagora. E che ello fosse in quel tempo pare che ne tocchi alcuna cosa Tito <i>Livio</i> ne la prima parte del suo volume incidentemente”. Cfr. Antonio Martina, <i>Livio</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, p. 675 e p. 677, dove si suppone che Dante abbia potuto disporre per qualche breve lasso di tempo delle <i>Deche</i> di L. o – ciò che è più probabile – di un’antologia contenente passi liviani e fissare nella sua memoria impressioni e immagini che poi ha utilizzato associandole a quelle di altri storici e poeti a cui egli si accostava con precisi interessi e che erano oggetto della sua quotidiana meditazione. <i>Livio</i> è evocato dopo i poeti (Virgilio, Ovidio, Stazio e Lucano) e con Plinio, Frontino, Paolo Orosio, qui nisi sunt altissimas prosas ... et multos alios quos amica sollicitudo visitare nos invitat in <i>VE</i> II VI 7: v. l’<i>Introduzione</i> di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. LX, e la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> II VI 7, ivi, p. 1453, che con Marigo 1957 e Mengaldo 1979 scrive che “il nome dei quattro scrittori citati ... desterà la più grande meraviglia” [...]; “lista abbastanza sorprendente e misteriosa sia per le inclusioni che per le esclusioni (soprattutto Cicerone)” [...]. Dei quattro, l’unico largamente diffuso nell’età di Dante e a lui veramente familiare è Orosio: lo si ricava non solo dal <i>Convivio</i>, dalla <i>Monarchia</i> e dalla <i>Commedia</i>, per i quali Dante attingerà a piene mani dalla <i>Historiae adversus paganos</i> tanto l’informazione storica quanto la visione provvidenziale dell’Impero romano [...]; ma anche dal <i>De vulgari</i>, dove Orosio rappresenta la principale fonte geografica per la descrizione dell’Europa e dell’Italia. Sull’altissima probabilità di una conoscenza di <i>Livio</i> per il tramie di uno dei suoi scopritori nella Biblioteca Capitolare di Verona (uno dei primissimi centri preumanistici italiani) e sulla necessità, anche a questo proposito, di un supplemento d’indagine in rapporto a Dante, v. ancora la nota di M. Tavoni, ivi, pp. 1453-5, che giustamente interpreta l’amica sollicitudo con Renucci 1974, p. 72, come “l’insistence d’un ami”, e scrive: Si tratta, ne sono convinto, di una precisa allusione personale: un amico ha suggerito a Dante alcune letture estremamente specifiche. Può trattarsi solo di un amico determinato; anzi, per saper dare un suggerimento così peculiare, dev’essere un amico con caratteristiche culturali peculiari. Amicus, nel <i>De vulgari</i>, è parola riservata a una sola persona: in sei casi su sei compare nel sintagma cristallizzato “amicus eius” [...], a designare Dante in quanto amico di Cino da Pistoia. Si può formulare l’ipotesi che anche l’“amica sollicitudo”, in linea col messaggio che tutto il testo comunica, alluda a Cino. Cino sarebbe un candidato adattissimo per il rapporto unico che lo lega a Dante in questo momento, e appare abbastanza plausibile per fisionomia culturale, date le citazioni di autori classici di cui dissemina i suoi scritti giuridici [...]; fra i quali però dei nostri quattro autori compare solo il più ovvio, Orosio. Ma una circostanza molto più stringente orienta in altra direzione. Tutti e tre gli autori più imprevisti, <i>Livio</i>, Plinio e Frontino, ognuno dei quali a questa data è una rarità, puntano alla Biblioteca Capitolare di Verona (che peraltro possedeva anche Orosio “et multos alios”): in essa, infatti, si trovano eccezionalmente riuniti le <i>Epistulae</i> di Plinio il Giovane [...]; la I e la III deca di <i>Livio</i>, e probabilmente anche la IV; gli <i>Stratagemata</i> di Frontino [...]. A Verona, presso Bartolomeo della Scala, Dante aveva risieduto dalla tarda primavera del 1303 ai primi mesi del 1304.... Per la “fortuna” di <i>Livio</i> fra tardo Medioevo e primo umanesimo è d’obbligo il rimando a Billanovich 1989a; e cfr. Billanovich 1981, che tuttavia dietro Moore 1896, pp. 273-8, vede solo un Dante isolato e durante tutta la vita ammiratore entusiasta delle vecchie posizioni che l’università gotica aveva conquistato, e che perciò non si familiarizzò mai con gli <i>Ab Urbe condita</i>, preferendo ricorrere al triviale Orosio (pp. 55-6, anche per l’interessante parallelo fra il come Livïo scrive, che non erra di <i>If</i> XXVIII 12, che giustamente la Chiavacci Leonardi 1991, p. 833, mostra in parallelo con il luogo in esame, e il Si Titus Livius ne ment di Jean de Meung nel <i>Roman de la rose</i>, v. 5634). Cfr. infine quanto già esposto a questo proposito più sopra, I XVI 2 e II IV 9",Ab U. c. I 1,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK IDEM IN SEXTO,"L ha item in vio., cui sembrerebbe corrispondere Ficino: Ancora nel sesto; l’Anonimo traduce anche, cioè Virgilio, nel sesto libro. Cfr. <i>Aen</i>. VI 162-235. Per Ettore v. la voce di Giorgio Padoan, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 762-3; per Miseno e Priamo le rispettive voci di Clara Kraus, in <i>ED</i>, III, 1971, p. 974, e dello stesso Padoan, ivi, IV, 1973, p. 660",Aen. VI 162-235,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK QUELIBET PARS TRIPARTITI ORBIS,"cfr. Orosio, <i>Historiae adversus paganos</i>, I 2 1: Maiores nostri orbem totius terre, oceani limbo circumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt, quamvis aliqui duas hoc est Asiam ac deinde Africam in Europam accipiendam putarint","I 2 1: Maiores nostri orbem totius terre, oceani limbo circumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt, quamvis aliqui duas hoc est Asiam ac deinde Africam in Europam accipiendam putarint",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK ASSARACO,"cfr. Virgilio, <i>Aen</i>. VI 648-50; e v. la relativa voce di Clara Kraus, in <i>ED</i>, I, 1970, p. 418",Aen. VI 648-50,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK NOSTER POETA,Ficino ha Vergilio; cfr. <i>Aen</i>. III 339-40,Aen. III 339-40,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK ET QUOD FUERIT CONIUNX,"et che fussi moglie (Ficino), e che fosse moglie (Anonimo). È necessario il confronto con <i>Cv</i> IV XXVI 8: E così infrenato mostra Virgilio, lo maggiore nostro poeta, che fosse Enea, nella parte dello Eneida ove questa etade si figura; la quale parte comprende lo quarto, lo quinto e lo sesto libro dello Eneida. E quanto raffrenare fu quello, quando, avendo ricevuto da Dido tanto di piacere quanto di sotto nel settimo trattato si dicerà, e usando con essa tanto di dilettazione, elli si partío, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa, come nel quarto dell’Eneida scritto è!. Si veda la lunga nota di <i>Nardi</i>, pp. 380-1, a proposito della <i>colpa</i> di Didone e di Enea: La <i>colpa</i> di Enea è chiara: egli consentì, sì, all’amore di Didone, ma non consentì mai di divenire suo coniuge. Che essa sia condannata nella schiera ov’è Francesca (<i>Inf</i>., V, 61-2), per aver rotto “fede al cener di Sicheo”, non vuol dire, come pensa <i>Vinay</i>, che “sarebbe difficile chiarire che cosa Dante abbia pensato effettivamente della legittimità o meno di un connubio pagano”; un connubio, pagano o no, è un connubio, fondato sul reciproco consenso, e il venir meno a questo consenso reciproco costituisce una <i>rottura</i>. Di questo connubio si parla in tutto il canto IV dell’<i>Eneide</i>, ma Virgilio lascia capire in modo chiaro che Didone chiamava <i>coniugium</i> quello che era un amore furtivo, e che con questo nome <i>coniugium</i> essa celava una <i>colpa</i>, non un reciproco contratto stipulato nell’intento di por fine alle peregrinazioni dell’ospite e di resistere all’intimazione di Giove: <i>Naviget!</i> (<i>Aen</i>., IV, 237). Ed Enea si dimostra disposto ad obbedire. Cfr. <i>Vinay</i>, pp. 124-5, nota 24","Aen., IV, 237",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK IDEM NOSTER VATES VATICINATUR,"il medesimo poeta nostro profetizza (Anonimo); al solito, Ficino ha dichiara Virgilio; cfr. <i>Aen</i>. IV 171-2. Preferisco <i>noster vates</i>, testimoniato dai manoscritti ?1 (B L), oltre che da S, a <i>noster poeta</i>, probabile integrazione tramandata da E M P e accolta da Bertalot 1920 e da Rostagno 1921. La <i>princeps</i> e i restanti codici hanno infatti <i>noster</i>; e <i>Idem noster</i>, con Ricci 1965, poco felicemente hanno tutti gli editori fino a Shaw 2009, che trasferisce la maiuscola dall’<i>idem</i> al <i>noster</i>, scrivendo <i>idem Noster</i>. Non convincono le giustificazioni di Ricci 1965, pp. 180-1, cui pare di dover escludere che il semplice <i>noster</i> nient’altro sia che una lezione lacunosa per il fatto che l’intera famiglia ? s’accorda [...] con la maggior parte della famiglia ? nel dare il semplice <i>noster</i> [...], saldo indizio che tale dovesse essere la lezione dell’archetipo. E dunque? Ciò che si deve escludere è che il semplice <i>noster</i> sia errore dell’archetipo (cosa non agevole, soprattutto a causa di quel <i>noster <i>vates</i> vaticinatur</i> che obbliga a considerare attentamente l’ipotesi della caduta per omeoteleuto, anche indipendentemente dall’uso precedente di <i>noster <i>Vates</i> ... cantat</i> in II III 12). Invece Ricci 1965 adduce a sostegno del semplice <i>noster</i> poco più della sua pura e semplice convinzione, e domandatosi: Ma posto che l’archetipo avesse il solo <i>noster</i>, potremo accoglierlo come lezione genuina?, risponde: Io ritengo di sì, offrendo questa sola ragione: Basta riflettere che, avendo Dante citato il <i>poeta Virgilius</i> [...], le tre volte successive si limita a dire <i>Poeta</i> [...]; o <i>Vates</i> [...], poi di nuovo <i>Poeta</i> e finalmente <i>Idem</i>. Ma tutte le volte aggiunge <i>noster</i>. Quindi <i>Idem noster</i> è lo stesso che <i>poeta <i>noster</i> Virgilius</i>. Basta davvero? Una ragione stilistico-grammaticale che milita troppo debolmente a favore del semplice <i>noster</i> non pare sufficiente. Ciò è reso evidente dalla stessa difficoltà degli interpreti che adottano la lezione di Ricci 1965 e tuttavia traducono, come ad es. <i>Nardi</i> o Marcelli-Martelli 2004, lo stesso <i>Poeta</i> nostro, il medesimo nostro <i>Poeta</i>, o notre poète (<i>Pézard</i>, Gally 1993, Livi 2002), o der Dichter (<i>Imbach</i>); solo Ronconi 1966 e Pizzica 1988 hanno, anticipando l’ed. Shaw 2009, il Nostro; ed eclatante è il fenomeno giusto nella versione della Shaw, che dopo aver tradotto il <i>noster <i>Vates</i> ... cantat</i> di II III 12 our bard proclaims, osserva: The word ‘bard’ [<i>vates</i>] underlines Virgil’s prophetic function, reiterated in the verb [<i>vaticinatur</i>] used in par. 15 (Shaw 1996, p. 36 nota 15); ma non solo nel verbo, se la stessa traduce nel luogo in esame l’<i>Idem noster</i> accolto dall’ed. Ricci our bard proclaims, integrando nella versione inglese il <i>vates</i> che non si vuol riconoscere come lezione genuina nel testo latino. Anche <i>Kay</i> adotta la stessa soluzione: our same bard sings divinely, chiosando infine (p. 111 nota 34): A <i>divinus vates</i> in action! Certo è che qui Virgilio non semplicemente dichiara (Ficino), afferma (<i>Vinay</i>) e neppure enseigne (<i>Pézard</i>, Livi 2002), lehrt (<i>Imbach</i>), ma <i>vaticinat</i>, profetizza (Anonimo), come nell’incontro con Dante in <i>If</i> I 100-5, dov’è utile ricordare Guido da Pisa, <i>Expositiones et glose super Comediam Dantis</i>, pp. 32-3: Postquam Virgilius contra avaritiam locutus est Danti, ponit quoddam vaticinium, dicens quod venturus est quidam dominus qui avaritiam exterminabit e mundo, ipsamque in Infernum reducet, de quo loco invidia dyabolica concitavit, ac per totam mundi machinam seminavit. Iuxta quod in Libro Sapientie dicitur secundo capitulo: Invidia dyaboli mors introivit in orbem terrarum. Hoc est, per invidiam dyaboli mors, hoc est avaritia, que totum mundum occidit, introivit in orbem terrarum. Sed circa istud vaticinium tria principaliter sunt dicenda [...]. Per primum accipere possumus nobilitatem Romani Imperii, quod quidem inter omnia regna obtinet principatum. Per secundum vero, personam possumus accipere imperantis, qui quidem ita largus erit quod nichil sibi preter honorem et gloriam reservabit, sed omnia rei publice et suis militibus assignabit [...]. Et ista duo pertinent ad sacrum imperium, sicut prophetatum fuit longo ante tempore, prout scribit Virgilius libro VI Eneydorum. Et beatus Augustinus etiam ponit in primo libro De Civitate Dei: Parcere subiectis et debellare superbos. Circa secundum est notandum quod iste poeta, more poetarum, futura <i>vaticinatur</i>; unde poeta <i>idem</i> est quod propheta. Nam quos Sacra Scriptura prophetas appellat, hos pagani denominabant poetas, et aliquando <i>vates</i>. <i>Vates</i> autem a <i>vi mentis</i> dicuntur, ut ait Varro. Vaticinando igitur dicit autor istum venturum dominum nasciturum inter <i>feltrum</i> et <i>feltrum</i>. Hoc est quia ista exterminatio quam faciet de avaritia erit virtualis et essentialis, non vitiosa et apparens; ideo dicit ipsam oriundam a corde. Cor autem medium est inter duas subascellas. Abscella autem lingua hyspana <i>feltrum</i> vocatur [...]. Circa tertium vero nota quod, licet ipsam avaritiam iste venturus dominus de toto mundo debeat effugare, nichilominus iste <i>vates</i> ponit vaticinando quod erit salus totius Ytalice regionis, quia in Ytalia magis avaritia viget, et in laycis clericis maxime propter symoniam prelatorum et presidum sacrosancte Romane Ecclesie cupidorum. Ea propter, ubi magis abundat infirmitas, ibidem succurrere magis debet efficacia medicantis. Veniet itaque venturus dominus qui avaritiam et symoniam de Ytalia ac orbe etiam universo repellet",Aen. IV 171-2,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK NOSTRI POETE,"in Ficino ancora Vergilio; cfr. <i>Aen</i>. XII 936-7, e v. le voci <i>Latino</i> e <i>Lavinia</i> di Clara Kraus, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 599 e 602",Aen. XII 936-7,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK IPSE PROBAT SOLI DEO,"cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa contra Gentiles</i>, III 102",III 102,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK AD SCINIPHES,"cfr. <i>Ex</i> 8, 16-7: Dixitque Dominus ad Moysen: Loquere ad Aaron: Extende virgam tuam et percute pulverem terrae, et sint <i>sciniphes</i> in universa terra Aegypti. Feceruntque ita. Et extendit Aaron manum virgam tenens percussitque pulverem terrae; et facti sunt <i>sciniphes</i> in hominibus et in iumentis; omnis pulvis terrae versus est in <i>sciniphes</i> per totam terram Aegypti. L’Anonimo ha quando fu venuto alli scivifes, cioè cienciali (p. 160), e Ficino a l’operare de’ segni, versione che, secondo <i>Furlan</i>, sembra riflettere un’errata lezione (<i>signa</i> per <i>sciniphes</i>?) del codice latino di cui si servì; o forse Ficino corresse, facendo appello all’interpretazione più larga possibile (le piaghe bibliche come “segni“ del volere divino) in presenza di lezioni inconferenti come quelle attestate in A1, <i>sinistros</i>, e in T, <i>ministros</i> corretto da <i>sinistros</i> (cfr. la <i>Word Collation</i> in Shaw 2006 e l’apparato in Shaw 2009, p. 374). <i>Vinay</i> traduce di fronte al miracolo delle zanzare, e zanzare hanno, in vario modo, tutti gli altri, salvo Gally 1993 che usa il generico insectes, <i>Nardi</i> che ha locuste, biasimato perciò da Pizzica 1988 e quindi da Kay","Ex 8, 16-7: Dixitque Dominus ad Moysen: Loquere ad Aaron: Extende virgam tuam et percute pulverem terrae, et sint sciniphes in universa terra Aegypti. Feceruntque ita. Et extendit Aaron manum virgam tenens percussitque pulverem terrae; et facti sunt sciniphes in hominibus et in iumentis; omnis pulvis terrae versus est in sciniphes per totam terram Aegypti.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK UT IPSE THOMAS ... PROBAT SUFFICIENTER,"cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa contra Gentiles</i>, III 99: minores effectus qui fiunt per causas inferiores potest facere immediate absque secundis causis. Cfr. Kenelm Foster, <i>Summa contra Gentiles</i>, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 480",III 99: minores effectus qui fiunt per causas inferiores potest facere immediate absque secundis causis.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SUBITA ET INTOLERABILI GRANDINE PERTURBANTE,"cfr. Livio, <i>Ab U. c</i>. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, <i>Historiae adversus paganos</i>, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut <i>turbata</i> agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent. Ammesso (e non concesso) che Orosio più di Livio sembri qui essere stato la fonte di Dante (Ricci 1965), non capisco perché il <i>turbata</i> di Orosio valga più del <i>turbavit</i> di Livio a sostenere <i>perturbante</i>, accolto in Ricci 1965 e Shaw 2009 contro <i>procumbante</i> della coppia H Z o <i>proturbante</i> di C E Ph U V, di K e di tutti gli editori moderni. Ficino ha per la subita et intollerabile gragniuola; l’Anonimo di subito venne una intollerabile grandine. Per Annibale v. la voce di Nicola F. Parise, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 288-9","Ab U. c. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, Historiae adversus paganos, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut turbata agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK SUBITA ET INTOLERABILI GRANDINE PERTURBANTE,"cfr. Livio, <i>Ab U. c</i>. XXVI 11: Postero die transgressus Anienem Hannibal in aciem omnes copias eduxit; nec Flaccus consulesque certamen detractauere. instructis utrimque exercitibus in eius pugnae casum in qua urbs Roma uictori praemium esset, imber ingens grandine mixtus ita utramque aciem turbauit ut uix armis retentis in castra sese receperint, nullius rei minore quam hostium metu. et postero die eodem loco acies instructas eadem tempestas diremit; ubi recepissent se in castra, mira serenitas cum tranquillitate oriebatur. in religionem ea res apud Poenos uersa es; Orosio, <i>Historiae adversus paganos</i>, IV 17: at ubi expositae utrimque acies constiterunt, in conspectu Romae praemium uictoris futurae tantus se subito imber e nubibus grandine mixtus effudit, ut <i>turbata</i> agmina uix armis retentis in sua se castra colligerent. Ammesso (e non concesso) che Orosio più di Livio sembri qui essere stato la fonte di Dante (Ricci 1965), non capisco perché il <i>turbata</i> di Orosio valga più del <i>turbavit</i> di Livio a sostenere <i>perturbante</i>, accolto in Ricci 1965 e Shaw 2009 contro <i>procumbante</i> della coppia H Z o <i>proturbante</i> di C E Ph U V, di K e di tutti gli editori moderni. Ficino ha per la subita et intollerabile gragniuola; l’Anonimo di subito venne una intollerabile grandine. Per Annibale v. la voce di Nicola F. Parise, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 288-9",IV 17,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK TRANSITUS CLELIE MIRABILIS,"cfr. Livio, <i>Ab U. c</i>. II 13: Ergo ita honorata uirtute, feminae quoque ad publica decora excitatae, et Cloelia uirgo una ex obsidibus, cum castra Etruscorum forte haud procul ripa Tiberis locata essent, frustrata custodes, dux agminis uirginum inter tela hostium Tiberim tranauit, sospitesque omnes Romam ad propinquos restituit; Orosio, <i>Historiae adversus paganos</i>, II 5: et nisi hostem uel Mucius constanti urendae manus patientia uel uirgo Cloelia admirabili transmeati fluminis audacia permouissent, profecto Romani conpulsi forent perpeti aut captiuitatem hoste insistente superati, aut seruitutem recepto rege subiecti. Ficino ha mirabile cosa el transito d’Oratio <i>Cocle</i>, sì che <i>Furlan</i> ipotizza che la versione del filosofo platonico, qualora non nasca da una sua errata interpretazione, rifletta forse una lezione (<i>Cocle</i> per <i>Clelie</i>?) del codice latino di cui si servì, rammaricandosì infine che neppure in quest’occasione il parco apparato dell’edizione Ricci possa essere d’aiuto. Soccorrono ora l’apparato nell’ed. Shaw 2009 (p. 375) e più ancora la <i>Word Collation</i> nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006), che registrano la lezione <i>cocle</i> di F ed altre similari, tra le quali <i>chloclie</i> di T (dove però a c. 181r io leggo chloeli?); coclee di A1 E G L P (corretto in Cloelie) Ph Y; colee di D H S Z. Ma un’occhiata almeno all’apparato dell’ed. Bertalot (p. 47) avrebbe già soddisfatto a sufficienza, così come uno sguardo alle note di Nardi (p. 386), che possono fornire una ragione alla fusione dei due nomi: Nello scudo d’Enea [...], Clelia è associata a Coclite nel distico: pontem auderet quia uellere Cocles / et fluuium uinclis innaret Cloelia ruptis” (Aen. VIII 650-1). Un’analoga associazione è del resto anche poco oltre nel passo di Livio sopra ricordato","Ab U. c. II 13: Ergo ita honorata uirtute, feminae quoque ad publica decora excitatae, et Cloelia uirgo una ex obsidibus, cum castra Etruscorum forte haud procul ripa Tiberis locata essent, frustrata custodes, dux agminis uirginum inter tela hostium Tiberim tranauit, sospitesque omnes Romam ad propinquos restituit; Orosio, Historiae adversus paganos, II 5: et nisi hostem uel Mucius constanti urendae manus patientia uel uirgo Cloelia admirabili transmeati fluminis audacia permouissent, profecto Romani conpulsi forent perpeti aut captiuitatem hoste insistente superati, aut seruitutem recepto rege subiecti.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK QUICUNQUE PRETEREA ... FINEM IURIS INTENDIT,"Colui che diriza el pensiero suo al bene della repubricha diriza el pensiero al fine della ragione (Ficino); qualunque persona adtende al bene della republica, la fine della ragione adtende (Anonimo); anacronistiche le traduzioni che fanno riferimento al bene dello stato. Con questa <i>sententia</i> Dante apre la sezione del secondo libro consacrata alla dimostrazione della giuridicità dell’Impero, nelle sue origini così come nella sua realtà presente, attraverso la ricerca di una definizione del fine del diritto e della sua stessa sostanza. Se l’idea della identità del <i>bonum rei publice</i> (la <i>salus rei publicae</i> ciceroniana) col fine stesso del diritto appartiene alla tradizione teologico-politica e giuridico-politica, a Dante si deve riconoscere la novità di una stretta formulazione di natura quasi aforistica. Naturalmente i “precedenti” a lui più vicini e per lui più autorevoli possono essere agevolmente indicati nel duplice strato, aristotelico e ciceroniano, della giuspubblicistica del XIII e XIV secolo, a cominciare dal commento tomista all’<i>Etica Nicomachea</i> (V 3). Cfr. anche l’ampia voce <i>Cicerone, Marco Tullio</i>, di Alessandro Ronconi, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 991-7",a cominciare dal commento tomista all’Etica Nicomachea,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il <i>diritto</i> come un’astrazione. Il suo è un <i>diritto</i> che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in <i>Dig</i>. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il <i>diritto</i> civile non può alterare il <i>diritto</i> naturale”; non coincide dunque con il <i>diritto</i> naturale, con il <i>ius quod semper bonum et aequum est</i>, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. <i>Vinay</i>: Il <i>diritto</i> è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; <i>Nardi</i>: il <i>diritto</i> è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). <i>Vinay</i> parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “<i>ius</i>” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, <i>Diritto romano in Dante</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con <i>Vinay</i>, il <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, <i>Nardi</i> nota che intorno a questa definizione del <i>diritto</i> (<i>ius</i>) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (<i>iustum</i>). Perciò dice Tommaso (<i>In Ethic. Nicom</i>., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum <i>iustum</i> dividitur in duo: quorum unum est <i>iustum</i> naturale, aliud est <i>iustum</i> legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam <i>iuristae</i> ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est <i>positivum</i>. Idem enim nominant <i>ius</i>, quod <i>Aristoteles iustum</i> nominat. Nam et Isidorus dicit in libro <i>Ethymologiarum</i> [V 3], quod <i>ius</i> dicitur quasi <i>iustum</i> ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud <i>Philosophum</i>, et aliter apud <i>iuristas</i>. Nam <i>Philosophus</i> hic nominat politicum <i>iustum</i> vel civile <i>ex usu quo cives utuntur</i>; <i>iuristae</i> autem nominant <i>ius</i> politicum vel civile <i>ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit</i>. Et ideo hoc convenienter <i>a Philosopho nominatur legale, idest lege positum</i>, quod et illi dicunt <i>positivum</i>. Convenienter autem per haec duo dividitur <i>iustum</i> politicum. Utuntur enim <i>cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege</i>”. Anche <i>Kay</i> riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’<i>Etica Nicomachea</i>, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, <i>In Eth</i>. 5, lect. 4 [...], no. 935, and <i>Summa theol</i>. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, <i>De regimine principum</i> 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the <i>Nicomachean Ethics</i> itself, since he knew it well",I II 11,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum,De regimine principum (Egidio Romano),Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il <i>diritto</i> come un’astrazione. Il suo è un <i>diritto</i> che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in <i>Dig</i>. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il <i>diritto</i> civile non può alterare il <i>diritto</i> naturale”; non coincide dunque con il <i>diritto</i> naturale, con il <i>ius quod semper bonum et aequum est</i>, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. <i>Vinay</i>: Il <i>diritto</i> è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; <i>Nardi</i>: il <i>diritto</i> è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). <i>Vinay</i> parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “<i>ius</i>” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, <i>Diritto romano in Dante</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con <i>Vinay</i>, il <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, <i>Nardi</i> nota che intorno a questa definizione del <i>diritto</i> (<i>ius</i>) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (<i>iustum</i>). Perciò dice Tommaso (<i>In Ethic. Nicom</i>., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum <i>iustum</i> dividitur in duo: quorum unum est <i>iustum</i> naturale, aliud est <i>iustum</i> legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam <i>iuristae</i> ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est <i>positivum</i>. Idem enim nominant <i>ius</i>, quod <i>Aristoteles iustum</i> nominat. Nam et Isidorus dicit in libro <i>Ethymologiarum</i> [V 3], quod <i>ius</i> dicitur quasi <i>iustum</i> ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud <i>Philosophum</i>, et aliter apud <i>iuristas</i>. Nam <i>Philosophus</i> hic nominat politicum <i>iustum</i> vel civile <i>ex usu quo cives utuntur</i>; <i>iuristae</i> autem nominant <i>ius</i> politicum vel civile <i>ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit</i>. Et ideo hoc convenienter <i>a Philosopho nominatur legale, idest lege positum</i>, quod et illi dicunt <i>positivum</i>. Convenienter autem per haec duo dividitur <i>iustum</i> politicum. Utuntur enim <i>cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege</i>”. Anche <i>Kay</i> riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’<i>Etica Nicomachea</i>, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, <i>In Eth</i>. 5, lect. 4 [...], no. 935, and <i>Summa theol</i>. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, <i>De regimine principum</i> 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the <i>Nicomachean Ethics</i> itself, since he knew it well","Dig. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il <i>diritto</i> come un’astrazione. Il suo è un <i>diritto</i> che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in <i>Dig</i>. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il <i>diritto</i> civile non può alterare il <i>diritto</i> naturale”; non coincide dunque con il <i>diritto</i> naturale, con il <i>ius quod semper bonum et aequum est</i>, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. <i>Vinay</i>: Il <i>diritto</i> è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; <i>Nardi</i>: il <i>diritto</i> è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). <i>Vinay</i> parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “<i>ius</i>” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, <i>Diritto romano in Dante</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con <i>Vinay</i>, il <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, <i>Nardi</i> nota che intorno a questa definizione del <i>diritto</i> (<i>ius</i>) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (<i>iustum</i>). Perciò dice Tommaso (<i>In Ethic. Nicom</i>., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum <i>iustum</i> dividitur in duo: quorum unum est <i>iustum</i> naturale, aliud est <i>iustum</i> legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam <i>iuristae</i> ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est <i>positivum</i>. Idem enim nominant <i>ius</i>, quod <i>Aristoteles iustum</i> nominat. Nam et Isidorus dicit in libro <i>Ethymologiarum</i> [V 3], quod <i>ius</i> dicitur quasi <i>iustum</i> ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud <i>Philosophum</i>, et aliter apud <i>iuristas</i>. Nam <i>Philosophus</i> hic nominat politicum <i>iustum</i> vel civile <i>ex usu quo cives utuntur</i>; <i>iuristae</i> autem nominant <i>ius</i> politicum vel civile <i>ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit</i>. Et ideo hoc convenienter <i>a Philosopho nominatur legale, idest lege positum</i>, quod et illi dicunt <i>positivum</i>. Convenienter autem per haec duo dividitur <i>iustum</i> politicum. Utuntur enim <i>cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege</i>”. Anche <i>Kay</i> riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’<i>Etica Nicomachea</i>, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, <i>In Eth</i>. 5, lect. 4 [...], no. 935, and <i>Summa theol</i>. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, <i>De regimine principum</i> 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the <i>Nicomachean Ethics</i> itself, since he knew it well","In Ethic. Nicom., V, in principio della 12a lez.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il <i>diritto</i> come un’astrazione. Il suo è un <i>diritto</i> che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in <i>Dig</i>. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il <i>diritto</i> civile non può alterare il <i>diritto</i> naturale”; non coincide dunque con il <i>diritto</i> naturale, con il <i>ius quod semper bonum et aequum est</i>, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. <i>Vinay</i>: Il <i>diritto</i> è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; <i>Nardi</i>: il <i>diritto</i> è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). <i>Vinay</i> parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “<i>ius</i>” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, <i>Diritto romano in Dante</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con <i>Vinay</i>, il <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, <i>Nardi</i> nota che intorno a questa definizione del <i>diritto</i> (<i>ius</i>) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (<i>iustum</i>). Perciò dice Tommaso (<i>In Ethic. Nicom</i>., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum <i>iustum</i> dividitur in duo: quorum unum est <i>iustum</i> naturale, aliud est <i>iustum</i> legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam <i>iuristae</i> ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est <i>positivum</i>. Idem enim nominant <i>ius</i>, quod <i>Aristoteles iustum</i> nominat. Nam et Isidorus dicit in libro <i>Ethymologiarum</i> [V 3], quod <i>ius</i> dicitur quasi <i>iustum</i> ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud <i>Philosophum</i>, et aliter apud <i>iuristas</i>. Nam <i>Philosophus</i> hic nominat politicum <i>iustum</i> vel civile <i>ex usu quo cives utuntur</i>; <i>iuristae</i> autem nominant <i>ius</i> politicum vel civile <i>ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit</i>. Et ideo hoc convenienter <i>a Philosopho nominatur legale, idest lege positum</i>, quod et illi dicunt <i>positivum</i>. Convenienter autem per haec duo dividitur <i>iustum</i> politicum. Utuntur enim <i>cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege</i>”. Anche <i>Kay</i> riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’<i>Etica Nicomachea</i>, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, <i>In Eth</i>. 5, lect. 4 [...], no. 935, and <i>Summa theol</i>. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, <i>De regimine principum</i> 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the <i>Nicomachean Ethics</i> itself, since he knew it well",1131 a 29-30,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il <i>diritto</i> come un’astrazione. Il suo è un <i>diritto</i> che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in <i>Dig</i>. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il <i>diritto</i> civile non può alterare il <i>diritto</i> naturale”; non coincide dunque con il <i>diritto</i> naturale, con il <i>ius quod semper bonum et aequum est</i>, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. <i>Vinay</i>: Il <i>diritto</i> è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; <i>Nardi</i>: il <i>diritto</i> è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). <i>Vinay</i> parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “<i>ius</i>” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, <i>Diritto romano in Dante</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con <i>Vinay</i>, il <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, <i>Nardi</i> nota che intorno a questa definizione del <i>diritto</i> (<i>ius</i>) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (<i>iustum</i>). Perciò dice Tommaso (<i>In Ethic. Nicom</i>., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum <i>iustum</i> dividitur in duo: quorum unum est <i>iustum</i> naturale, aliud est <i>iustum</i> legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam <i>iuristae</i> ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est <i>positivum</i>. Idem enim nominant <i>ius</i>, quod <i>Aristoteles iustum</i> nominat. Nam et Isidorus dicit in libro <i>Ethymologiarum</i> [V 3], quod <i>ius</i> dicitur quasi <i>iustum</i> ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud <i>Philosophum</i>, et aliter apud <i>iuristas</i>. Nam <i>Philosophus</i> hic nominat politicum <i>iustum</i> vel civile <i>ex usu quo cives utuntur</i>; <i>iuristae</i> autem nominant <i>ius</i> politicum vel civile <i>ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit</i>. Et ideo hoc convenienter <i>a Philosopho nominatur legale, idest lege positum</i>, quod et illi dicunt <i>positivum</i>. Convenienter autem per haec duo dividitur <i>iustum</i> politicum. Utuntur enim <i>cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege</i>”. Anche <i>Kay</i> riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’<i>Etica Nicomachea</i>, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, <i>In Eth</i>. 5, lect. 4 [...], no. 935, and <i>Summa theol</i>. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, <i>De regimine principum</i> 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the <i>Nicomachean Ethics</i> itself, since he knew it well","5, lect. 4 [...], no. 935",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IUS EST REALIS ET PERSONALIS ... ET CORRUPTA CORRUMPIT,"bella la traduzione di Ficino: la ragione è una proportione reale et personale tra huomo et huomo, la quale, quando s’osserva, conserva la humana congreghatione, et quando è corrotta la corronpe. Dante non vede il <i>diritto</i> come un’astrazione. Il suo è un <i>diritto</i> che può alterarsi – “corrompersi” – come nel frammento di Gaio in <i>Dig</i>. 4, 5, 8 (Mommsen-Krüger, I, p. 62): Civilis ratio naturalia iura corrumpere non potest, “il <i>diritto</i> civile non può alterare il <i>diritto</i> naturale”; non coincide dunque con il <i>diritto</i> naturale, con il <i>ius quod semper bonum et aequum est</i>, ma con la “ragione scritta”. Si perde il sapore “tecnico” della definizione in molte delle traduzioni moderne, in ispecie per l’elementare (in senso letterale; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 12: Mommsen-Krüger, I, p. 4) distinzione tra diritti reali e personali (per es. <i>Vinay</i>: Il <i>diritto</i> è proporzione fra cose e persone nei rapporti umani; <i>Nardi</i>: il <i>diritto</i> è un reale e personale rapporto dell’uomo con l’uomo; Shaw 1996: right is a relationship between one individual and another in respect of things and people). <i>Vinay</i> parla di questa definizione come del pezzo forte dei sostenitori della preparazione giuridica di D., una illusione, a suo giudizio, dovuta in parte agli aggettivi “realis” e “personalis” che hanno un certo sapore di modernità in confronto alla formula corrente “rerum et personarum”; in parte al pregiudizio che in D. dovesse esser chiara la distinzione di “<i>ius</i>” e “iustitia” mentre sappiamo che la contaminazione dei due concetti si è mantenuta nella tradizione giuridica fino ai tempi moderni. A correzione v. Filippo Cancelli, <i>Diritto romano in Dante</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 473-4; cfr. inoltre Fiorelli 1987; Quaglioni 2011a. Nel citare, d’accordo con <i>Vinay</i>, il <i>De regimine principum</i> di Egidio Romano (I II 11) come la sola fonte che abbraccia tutti i motivi della definizione dantesca, <i>Nardi</i> nota che intorno a questa definizione del <i>diritto</i> (<i>ius</i>) va osservato, anzi tutto, che a questo termine latino in greco corrisponde ??????? (<i>iustum</i>). Perciò dice Tommaso (<i>In Ethic. Nicom</i>., V, in principio della 12a lez.): “Dicit ergo primo, quod politicum <i>iustum</i> dividitur in duo: quorum unum est <i>iustum</i> naturale, aliud est <i>iustum</i> legale. Est autem haec eadem divisio cum divisione quam <i>iuristae</i> ponunt, scilicet quod iuris aliud est naturale, aliud est <i>positivum</i>. Idem enim nominant <i>ius</i>, quod <i>Aristoteles iustum</i> nominat. Nam et Isidorus dicit in libro <i>Ethymologiarum</i> [V 3], quod <i>ius</i> dicitur quasi <i>iustum</i> ... Sed attendendum est, quod aliter sumitur politicum vel civile hic apud <i>Philosophum</i>, et aliter apud <i>iuristas</i>. Nam <i>Philosophus</i> hic nominat politicum <i>iustum</i> vel civile <i>ex usu quo cives utuntur</i>; <i>iuristae</i> autem nominant <i>ius</i> politicum vel civile <i>ex causa, quod scilicet civitas aliqua sibi constituit</i>. Et ideo hoc convenienter <i>a Philosopho nominatur legale, idest lege positum</i>, quod et illi dicunt <i>positivum</i>. Convenienter autem per haec duo dividitur <i>iustum</i> politicum. Utuntur enim <i>cives et iusto eo quod natura menti humanae indidit et eo quod est positum lege</i>”. Anche <i>Kay</i> riconduce la definizione dantesca essenzialmente alla tradizione aristotelico-tomista e in particolare all’<i>Etica Nicomachea</i>, 1131 a 29-30, dove si afferma che il giusto è, in certo senso, una proporzione e che la proporzione ... è un’equità di rapporti, aggiungendo: Of course Dante could have found this concept of justice expressed more clearly by Aristotelianizing scholastics; e.g. Aquinas, <i>In Eth</i>. 5, lect. 4 [...], no. 935, and <i>Summa theol</i>. 2-2 q. 61 a. 2; also [...] in Giles of Rome, <i>De regimine principum</i> 1.2.11 [...]. But most likely his immediate source was the <i>Nicomachean Ethics</i> itself, since he knew it well",2-2 q. 61 a. 2;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PROPTER COMUNEM UTILITATEM,"cfr. Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 90, a. 2, <i>Resp</i>.: omnis lex ad bonum commune ordinatur.","Ia-IIae, q. 90, a. 2, Resp.: omnis lex ad bonum commune ordinatur.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK AB URBE SANCTA DISCESSIT,"la fonte, che <i>Vinay</i> dichiara di ignorare, è indicata da Ricci 1965 in Servio, <i>In Aen</i>. VI 825, e confermata da <i>Nardi</i>; cfr. anche Kay",Aen. VI 825,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK POETE NOSTRI DE IPSO CANENTI,"al solito, Ficino ha semplicemente Virgilio; cfr. <i>Aen</i>. VI 820-1",Aen. VI 820-1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK "UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante <i>potuit</i>, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla <i>princeps</i> K; questa ha inoltre <i>narrat</i> con B L G, mentre T ha <i>enarrat</i> (cfr. Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, <i>Ab U. c</i>. VIII 9; X 28; Virgilio, <i>Aen</i>. VI 824, e Servio, <i>In Aen</i>. VI 825. Ulteriori indicazioni in <i>Kay</i>. Dante ne parla già in <i>Cv</i> IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in <i>Pd</i> VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",Ab U. c. VIII 9;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK "UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante <i>potuit</i>, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla <i>princeps</i> K; questa ha inoltre <i>narrat</i> con B L G, mentre T ha <i>enarrat</i> (cfr. Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, <i>Ab U. c</i>. VIII 9; X 28; Virgilio, <i>Aen</i>. VI 824, e Servio, <i>In Aen</i>. VI 825. Ulteriori indicazioni in <i>Kay</i>. Dante ne parla già in <i>Cv</i> IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in <i>Pd</i> VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",Aen. VI 824,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK "UT LIVIUS, NON QUANTUM EST DIGNUM, SED QUANTUM POTEST GLORIFICANDO RENARRAT","la variante <i>potuit</i>, accolta da Witte 1874 e biasimata da Ricci 1965 come frutto di una miope pignoleria cronologica, appartiene in realtà alla <i>princeps</i> K; questa ha inoltre <i>narrat</i> con B L G, mentre T ha <i>enarrat</i> (cfr. Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, p. 265), lezione che ora sappiamo conservata anche da Y. Tutto l’inciso manca in Ficino. Cfr. Livio, <i>Ab U. c</i>. VIII 9; X 28; Virgilio, <i>Aen</i>. VI 824, e Servio, <i>In Aen</i>. VI 825. Ulteriori indicazioni in <i>Kay</i>. Dante ne parla già in <i>Cv</i> IV V 14: Chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita per la patria?, e ne fa cenno in <i>Pd</i> VI 46-48: onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e’ Fabi / ebber la fama che volontier mirro",In Aen. VI 825,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarii_in_Vergilii_Aeneidos_libros,Commentarii in Vergilii Aeneidos libros,Servio Mario Onorato,http://dbpedia.org/resource/Maurus_Servius_Honoratus,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/epica_latina_commenti,WORK SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione <i>severissimi <i>vere</i> libertatis</i>, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’<i>Introduzione</i>, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il <i>vere</i> che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra <i>severissimi</i> e <i>libertatis</i> attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la <i>vera libertas</i> di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione <i>vere</i> è rimasto nelle edizioni e traduzioni della <i>Monarchia</i> basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a <i>Kay</i> (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da <i>Vinay</i> e rinfocolata da <i>Pézard</i>, sul significato da darsi a <i>vere</i>, <i>Cassell</i> e <i>Furlan</i>, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano <i>vere</i>, con la traduzione conseguente di <i>Cassell</i>, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al <i>vere</i> di P (F N Y hanno <i>veri</i>; leggono <i>veritatis</i> Ph V), deve ricorrere alla <i>Word Collation</i> nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’<i>Introduzione</i>, p. 321. Registra invece la variante <i>severissime</i>, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra <i>tutoris</i> e <i>auctoris</i>: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi <i>tutoris</i> calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di <i>auctoris</i> da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, <i>Vinay</i> (e <i>Pézard</i>, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (<i>tutoris</i>) e ? (<i>auctoris</i>); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove <i>tutoris</i> trova il consenso della <i>princeps</i> K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di <i>auctoris</i> impostata da <i>Vinay</i> sulla base di <i>Cv</i> IV VI 5 (perché lì Dante parla di <i>autor</i> e non di <i>auctor</i>, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso <i>Vinay</i> all’omnium virtutum auctore di Cicerone, <i>De finibus bonorum et malorum</i>, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che <i>autoris</i> e <i>auctoris</i> si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del <i>Purgatorio</i> nella immaginazione dantesca (<i>Vinay</i>), Ricci allega Lucano, <i>Pharsalia</i>, II 374-378, e Seneca, <i>Epistulae morales</i>, XV III 69-73; <i>Nardi</i>, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, <i>Aen</i>. VIII 670, sottolineando da una parte come qui <i>Monarchia</i> e <i>Convivio</i> si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in <i>Cv</i> IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in <i>Cv</i> IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in <i>Pg</i> I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal <i>Convivio</i> il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella <i>Monarchia</i> (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del <i>Purgatorio</i>: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",II 374-378,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione <i>severissimi <i>vere</i> libertatis</i>, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’<i>Introduzione</i>, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il <i>vere</i> che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra <i>severissimi</i> e <i>libertatis</i> attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la <i>vera libertas</i> di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione <i>vere</i> è rimasto nelle edizioni e traduzioni della <i>Monarchia</i> basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a <i>Kay</i> (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da <i>Vinay</i> e rinfocolata da <i>Pézard</i>, sul significato da darsi a <i>vere</i>, <i>Cassell</i> e <i>Furlan</i>, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano <i>vere</i>, con la traduzione conseguente di <i>Cassell</i>, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al <i>vere</i> di P (F N Y hanno <i>veri</i>; leggono <i>veritatis</i> Ph V), deve ricorrere alla <i>Word Collation</i> nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’<i>Introduzione</i>, p. 321. Registra invece la variante <i>severissime</i>, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra <i>tutoris</i> e <i>auctoris</i>: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi <i>tutoris</i> calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di <i>auctoris</i> da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, <i>Vinay</i> (e <i>Pézard</i>, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (<i>tutoris</i>) e ? (<i>auctoris</i>); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove <i>tutoris</i> trova il consenso della <i>princeps</i> K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di <i>auctoris</i> impostata da <i>Vinay</i> sulla base di <i>Cv</i> IV VI 5 (perché lì Dante parla di <i>autor</i> e non di <i>auctor</i>, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso <i>Vinay</i> all’omnium virtutum auctore di Cicerone, <i>De finibus bonorum et malorum</i>, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che <i>autoris</i> e <i>auctoris</i> si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del <i>Purgatorio</i> nella immaginazione dantesca (<i>Vinay</i>), Ricci allega Lucano, <i>Pharsalia</i>, II 374-378, e Seneca, <i>Epistulae morales</i>, XV III 69-73; <i>Nardi</i>, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, <i>Aen</i>. VIII 670, sottolineando da una parte come qui <i>Monarchia</i> e <i>Convivio</i> si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in <i>Cv</i> IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in <i>Cv</i> IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in <i>Pg</i> I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal <i>Convivio</i> il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella <i>Monarchia</i> (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del <i>Purgatorio</i>: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",XV III 69-73,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistulae_morales_ad_Lucilium,Epistulae morales ad Lucilium,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK SEVERISSIMI LIBERTATIS TUTORIS MARCI CATONIS,"Ricci conserva la lezione <i>severissimi <i>vere</i> libertatis</i>, nonostante che ne proclami l’insostenibilità nell’<i>Introduzione</i>, p. 98, e scriva a commento (Ricci 1965, p. 189): Il <i>vere</i> che nelle edizioni del Witte e del Rostagno si trova incastrato tra <i>severissimi</i> e <i>libertatis</i> attesta l’intrusione nel testo di una glossa posta da qualche commentatore desideroso di sottolineare la <i>vera libertas</i> di cui parla, ad esempio, Engelbert d’Admont, e non merita nemmeno d’essere discusso. A dispetto di questa patente contraddizione <i>vere</i> è rimasto nelle edizioni e traduzioni della <i>Monarchia</i> basate sul testo di Ricci 1965 (fuorché in Ronconi 1966, Sanguineti 1985, Gally 1993 e Livi 2002, che lo cassano tacitamente) fino all’ed. Shaw (a) 1995 che non lo accoglie più, a <i>Kay</i> (che di ciò dà conto a p. 133 nota 30) e naturalmente alle edd. Shaw 2006 e 2009; esemplari, da questo punto di vista, Pizzica 1988, che a p. 298 nota 20 partecipa ancora della ingarbugliata discussione, aperta da <i>Vinay</i> e rinfocolata da <i>Pézard</i>, sul significato da darsi a <i>vere</i>, <i>Cassell</i> e <i>Furlan</i>, che a quasi dieci anni dalla correzione della Shaw (a) 1995 conservano <i>vere</i>, con la traduzione conseguente di <i>Cassell</i>, that sternest of supporters of true liberty, e di Marcelli-Martelli 2004, severissimo garante della vera libertà. Bisogna ancora aggiungere che chi vuole darsi ragione della lezione di Witte 1874 e Rostagno 1921, che dànno fede al <i>vere</i> di P (F N Y hanno <i>veri</i>; leggono <i>veritatis</i> Ph V), deve ricorrere alla <i>Word Collation</i> nell’edizione elettronica (Shaw 2006) o all’apparato in Bertalot, p. 51, perché l’apparato dell’ed. Shaw 2009, p. 380, semplicemente non la registra, dandone però conto nell’<i>Introduzione</i>, p. 321. Registra invece la variante <i>severissime</i>, conservata nei codici ? e ?1 (B L). In discussione è anche la scelta tra <i>tutoris</i> e <i>auctoris</i>: scelta difficile per Ricci (nonostante che egli trovi <i>tutoris</i> calzantissimo per significato e tale da non aver bisogno d’essere illustrato), sia a causa della difesa di <i>auctoris</i> da parte di Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921, <i>Vinay</i> (e <i>Pézard</i>, aggiungo io), sia perché nel suo stemma la tradizione si divide nettamente tra ? (<i>tutoris</i>) e ? (<i>auctoris</i>); la decisione è più facile, almeno dal punto di vista stemmatico, nell’ed. Shaw 2009, dove <i>tutoris</i> trova il consenso della <i>princeps</i> K + ? contro ?. Sia detto inoltre tra parentesi, che se vale poco la difesa di <i>auctoris</i> impostata da <i>Vinay</i> sulla base di <i>Cv</i> IV VI 5 (perché lì Dante parla di <i>autor</i> e non di <i>auctor</i>, come vuole Ricci; ben più forte il richiamo dello stesso <i>Vinay</i> all’omnium virtutum auctore di Cicerone, <i>De finibus bonorum et malorum</i>, IV, 16), poco più vale la risposta di Ricci, dal momento che <i>autoris</i> e <i>auctoris</i> si conservano insieme nei codici. Ficino ha giusto del severissimo huomo autore di libertà, e l’Anonimo autore severissimo della libertà. Per Catone l’Uticense, il custode del <i>Purgatorio</i> nella immaginazione dantesca (<i>Vinay</i>), Ricci allega Lucano, <i>Pharsalia</i>, II 374-378, e Seneca, <i>Epistulae morales</i>, XV III 69-73; <i>Nardi</i>, pp. 394-8, in una lunga, dotta e vibrante nota, ricorda giustamente Virgilio, <i>Aen</i>. VIII 670, sottolineando da una parte come qui <i>Monarchia</i> e <i>Convivio</i> si richiamino a vicenda e si completino, e [...] soprattutto abbiano le stesse fonti principali; Livio, Virgilio e Cicerone, e alcune altre secondarie, dall’altra avverte: Perciò è salvo [...]. Per avere amato sopra ogni cosa la libertà. Si veda Dante in <i>Cv</i> IV V 16-7: O sacratissimo petto di Catone, chi presummerà di te parlare? Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e delli altri divini cittadini, non sanza alcuna luce della divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, colli quali procedette la divina provedenza nello romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti; e in <i>Cv</i> IV VI 9-10: Furono filosofi molto antichi, delli quali primo e prencipe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno, la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto: ‘quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare’. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui di sopra oso di parlare; e infine i celebri versi in <i>Pg</i> I 70-5: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Antonio Martina, Catone l’Uticense, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 876-84, nota che in modo diverso dal <i>Convivio</i> il suicidio di Catone è presentato come il fatto più memorabile, anzi essenziale della personalità di C. nella <i>Monarchia</i> (p. 877), in cui Dante ci dà il migliore commento del canto I del <i>Purgatorio</i>: Il suicidio di C. non era per lui un atto che dovesse essere giustificato con l’ignoranza della legge divina, una colpa sì ma una colpa meno grave che per un cristiano, bensì un atto divinamente ispirato ed esemplare, come era stato per gli antichi, e che acquistava un nuovo senso e valore entro la sua concezione del mondo (p. 878). Su questo passaggio v. anche Rubinstein 1958 (poi in Rubinstein 2004, pp. 61-98: 88)",Aen. VIII 670,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK INQUIT ENIM TULLIUS,"Cicerone, <i>De finibus bonorum et malorum</i>, II 61",II 61,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_finibus_bonorum_et_malorum,De finibus bonorum et malorum,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK DE CATONE DICEBAT,"Cicerone, <i>De officiis</i>, I 112",I 112,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK SIC ET IN OPERABILIBUS,"Dante [...] aveva detto, a conferma della sua tesi, che “finem iuris intendentem oportet cum iure intendere”: si tratta qui del fine vero del diritto, per raggiungere il quale non vi è altro mezzo che il diritto; quello raggiunto con mezzi che nulla avessero a che fare col diritto sarebbe invece, secondo le parole stesse di Aristotele, un qualcosa che del fine del diritto avrebbe solo l’apparenza, come della vera elemosina avrebbe solo l’apparenza quella fatta con beni rubati (<i>Nardi</i>). Dante ricalca il testo del commento di Tommaso d’Aquino all’<i>Etica Nicomachea</i>, VI 10, n. 1229: Contingit in syllogisticis aliquando concludi veram conclusionem per falsum syllogismum. Et ita etiam in operabilibus contingit quandoque pervenire ad bonum finem per aliquod malum. Et hoc est quod dicit, quod contingit aliquando sortiri bonum finem quasi falso syllogismo, ita scilicet quod aliquis consiliando perveniat ad id quod oportet facere, sed non per quod oportet: puta cum aliquis furatur ut subveniat pauperi. Et hoc est ac si aliquis in syllogizando ut veniat ad veram conclusionem assumeret medium aliquem falsum terminum","VI 10, n. 1229: Contingit in syllogisticis aliquando concludi veram conclusionem per falsum syllogismum. Et ita etiam in operabilibus contingit quandoque pervenire ad bonum finem per aliquod malum. Et hoc est quod dicit, quod contingit aliquando sortiri bonum finem quasi falso syllogismo, ita scilicet quod aliquis consiliando perveniat ad id quod oportet facere, sed non per quod oportet: puta cum aliquis furatur ut subveniat pauperi. Et hoc est ac si aliquis in syllogizando ut veniat ad veram conclusionem assumeret medium aliquem falsum terminum",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NON TAMEN ELIMOSINA DICENDA EST,"l’esempio scolastico dell’elemosina, che non è tale quando sia elargita con il frutto del furto o della rapina (<i>bonus usus non iustificat iniuste quesita</i>), appartiene alla letteratura teologico-politica così come alla letteratura giuridica: cfr. soprattutto i testi escerpiti nel <i>Decretum</i> di Graziano, il c. 5, D","il c. 5, D",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NON TAMEN ELIMOSINA DICENDA EST,"l’esempio scolastico dell’elemosina, che non è tale quando sia elargita con il frutto del furto o della rapina (<i>bonus usus non iustificat iniuste quesita</i>), appartiene alla letteratura teologico-politica così come alla letteratura giuridica: cfr. soprattutto i testi escerpiti nel <i>Decretum</i> di Graziano, il c. 5, D",_EMPTY,CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/29623,CONCEPT MEDIA AUTEM NEGLIGERET,"cfr. sopra, II II 2-3; Ficino ha et la materia disprezassi, l’Anonimo e•lla materia abandonasse. Si v. su ciò Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, I-IIae, q. 9, a. 1","I-IIae, q. 9, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUOD BENE PHYLOSOPHUS,"E però Aristotile ... pruova (Ficino); cfr. <i>Physica</i>, 194 a 28-32",194 a 28-32,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK QUOD ETIAM POETA NOSTER VALDE SUBTILITER,"Virgilio, <i>Aen</i>. VI 848-54. La qual cosa il poeta nostro troppo sottilmente (Anonimo); Ficino ha semplicemente: Questo manifesta Virgilio; anche l’omissione di <i>valde subtiliter</i> (e cfr. subito sotto l’analoga omissione di <i>subtiliter tangit</i>) più che a un intervento ficiniano inteso ad abbreviare, può far pensare ad una nota marginale scivolata nel testo; di notazioni del genere sono pieni anche i commenti danteschi: cfr. Benvenuto da Imola, <i>Comentum super Dantis Aldigherij</i> <i>Comoediam</i>, ad <i>If</i> XVII 1-33: valde vigil et subtiliter sentit; ad <i>If</i> XXVIII 22-63: <i>valde subtiliter</i> et pulcre; ad <i>If</i> XXXI 46-81: Et hic nota quod autor loquitur <i>valde subtiliter</i>; ad <i>Pd</i> XXI 103-42: valde, et inter alia pulcra quae scribit ... disputat subtiliter. Sia come sia, <i>Vinay</i> si sofferma a fornire dell’avverbio più di una interpretazione",Aen. VI 848-54,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK PRO SALUTE PATRIE,"cfr. sopra, I I 1 per il principio evocato in <i>Dig</i>. 1, 1, 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 1) e in Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 101, a. 1",I I 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK PRO SALUTE PATRIE,"cfr. sopra, I I 1 per il principio evocato in <i>Dig</i>. 1, 1, 2 (Mommsen-Krüger, I, p. 1) e in Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 101, a. 1","IIa-IIae, q. 101, a. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK UNDE PHYLOSOPHUS,"E • ccome dicie Aristotile (Ficino); cfr. <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1094 b 9-10. Remigio de’ Girolami cites the same passage in the same vein in his exaltation of the common good (<i>Cassell</i>)",1094 b 9-10,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK INPOSSIBILE EST SINE FIDE PLACERE DEO,"Heb 11, 6","Heb 11, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Hebrews,Epistula ad Hebraeos,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK HOSTIUM TABERNACULI CRISTUM FIGURAT,"non mi riesce di dare una risposta all’interrogativo di <i>Vinay</i>, vale a dire fino a qual punto questa interpretazione arbitraria del passo del Levitico sia propria di D., poiché non sembra appartenere alla tradizione esegetica a noi nota",questa interpretazione arbitraria del passo del Levitico,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Leviticus,Levitico,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK IUDICIUM SAMUELI CONTRA SAULEM,"v. <i>1 Sam</i> 15, 1-23; per il giudizio divino espresso per bocca di <i>Samuele</i> v. più oltre, III VI 1-6. Cfr. le voci di Gian Roberto Sarolli, <i>Samuele</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 1098 e <i>Saul</i>, ivi, V, 1976, p. 43. È tutt’altro che un relatively insignificant point (<i>Cassell</i>). Sull’importanza del luogo scritturale nella letteratura medievale v. Quaglioni 1999c, e più in generale i saggi raccolti in Campos Boralevi – Quaglioni 2003a","1 Sam 15, 1-23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Samuel,Libri di Samuele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SICUT PHARAONI REVELATUM FUIT,"cfr. <i>Ex</i> 7, 8-12","Ex 7, 8-12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SECUNDO PARALIPOMENON,"2 <i>Par</i> 20, 12; è omesso da K D","2 Par 20, 12",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Chronicles,Libri delle cronache,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK CERTARE ETENIM .. DICTUM EST,"la scelta di <i>etenim</i>, lezione di B L T contro <i>enim</i> della coppia D M, di G e della <i>princeps</i> K, si deve a Bertalot 1920; Ricci 1965 la difende contro Witte 1874 e Rostagno 1921. <i>Vinay</i> indica con precisione l’origine della falsa etimologia dantesca nel <i>Catholicon</i> del Balbi (Certo derivatur a certus ... et est certare, litigare, pugnare. Certi non solemus litigare unde dicitur certare quasi certum se dicens habere), rinviando ovviamente anche alle <i>Derivationes</i> di Uguccione, C 151 18 (che Dante non vi abbia neppure dato uno sguardo, come pare credere <i>Kay</i>, io lo stimo sommamente improbabile); cfr. anche <i>Cassell</i>, p. 312, nota 187",C 151 18,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK IN SUBSTITUTIONE MATHIE,"cfr. <i>Ac</i> 1, 26: et cecidit sors super Mathiam; e v. <i>If</i> XIX 94-6: “Né Pier né li altri tolsero a Matia / oro od argento, quando fu sortito / al loco che perdé l’anima ria” (col commento della Chiavacci Leonardi 1991, p. 583). Cfr. la voce <i>Mattia</i> di Gian Roberto Sarolli, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 870-1","Ac 1, 26",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK "PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di <i>Cassell</i>: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, <i>Etym</i>., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – <i>de iure longobardo</i> – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). <i>Kay</i> ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. <i>Vinay</i> si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel <i>Decretum</i> di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = <i>COD</i>, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, <i>Summa</i>, II 3, <i>de duello</i>, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla <i>Politica</i> (IV, 13), ma che nella <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la <i>lex duellorum</i> al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla <i>divinatio</i> <i>sortium</i> inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel <i>De singulari certamine</i>, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione <i>de consuetudine</i> e ne ripete la tradizionale <i>definitio per etymologiam</i>: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, <i>Duello (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, <i>Duello</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","c. 22, C. II, q. V",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di <i>Cassell</i>: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, <i>Etym</i>., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – <i>de iure longobardo</i> – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). <i>Kay</i> ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. <i>Vinay</i> si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel <i>Decretum</i> di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = <i>COD</i>, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, <i>Summa</i>, II 3, <i>de duello</i>, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla <i>Politica</i> (IV, 13), ma che nella <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la <i>lex duellorum</i> al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla <i>divinatio</i> <i>sortium</i> inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel <i>De singulari certamine</i>, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione <i>de consuetudine</i> e ne ripete la tradizionale <i>definitio per etymologiam</i>: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, <i>Duello (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, <i>Duello</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18",XII 1 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Etymologiae,Etymologiae,Isidoro di Siviglia,http://dbpedia.org/resource/Isidore_of_Seville,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK "PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di <i>Cassell</i>: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, <i>Etym</i>., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – <i>de iure longobardo</i> – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). <i>Kay</i> ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. <i>Vinay</i> si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel <i>Decretum</i> di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = <i>COD</i>, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, <i>Summa</i>, II 3, <i>de duello</i>, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla <i>Politica</i> (IV, 13), ma che nella <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la <i>lex duellorum</i> al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla <i>divinatio</i> <i>sortium</i> inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel <i>De singulari certamine</i>, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione <i>de consuetudine</i> e ne ripete la tradizionale <i>definitio per etymologiam</i>: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, <i>Duello (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, <i>Duello</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK "PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di <i>Cassell</i>: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, <i>Etym</i>., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – <i>de iure longobardo</i> – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). <i>Kay</i> ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. <i>Vinay</i> si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel <i>Decretum</i> di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = <i>COD</i>, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, <i>Summa</i>, II 3, <i>de duello</i>, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla <i>Politica</i> (IV, 13), ma che nella <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la <i>lex duellorum</i> al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla <i>divinatio</i> <i>sortium</i> inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel <i>De singulari certamine</i>, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione <i>de consuetudine</i> e ne ripete la tradizionale <i>definitio per etymologiam</i>: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, <i>Duello (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, <i>Duello</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","II 3, de duello, § un., p. 154",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_de_casibus_poenitentiae,Summa de casibus poenitentiae,Raimondo di Peñafort,http://dbpedia.org/resource/Raymond_of_Penyafort,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK "PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di <i>Cassell</i>: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, <i>Etym</i>., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – <i>de iure longobardo</i> – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). <i>Kay</i> ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. <i>Vinay</i> si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel <i>Decretum</i> di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = <i>COD</i>, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, <i>Summa</i>, II 3, <i>de duello</i>, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla <i>Politica</i> (IV, 13), ma che nella <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la <i>lex duellorum</i> al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla <i>divinatio</i> <i>sortium</i> inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel <i>De singulari certamine</i>, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione <i>de consuetudine</i> e ne ripete la tradizionale <i>definitio per etymologiam</i>: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, <i>Duello (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, <i>Duello</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","IV, 13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_Libri_Politicorum(Tommaso),Sententia libri Politicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK "PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR","PER DUELLUM PUGILUM, QUI DUELLIONES ETIAM VOCANTUR: per duello pugilo, li quali ezindio duelioni sono chiamati (Anonimo); tra due conbattenti, e quali si chiamano e duelli, perché tra due è questo conbattimento (Ficino, pp. 366-7). Superfluo l’avvertimento di <i>Cassell</i>: It is clear that he does not mean, narrowly, champions who fight with their fists. Per questa formula cfr. Isidoro, <i>Etym</i>., XII 1 9. La apologia dantesca del duello come giudizio di Dio, metro – <i>de iure longobardo</i> – di legittimità giuridica e di legittimazione storica (Carpi 2004, p. 22 e 255) suscita ancora sorpresa: cfr. Scott 2010, pp. 254-5 (cfr. più avanti, II IX 1). <i>Kay</i> ne parla come di una anachronistic defense del duello giudiziario. <i>Vinay</i> si limita a dire che Dante accoglie come pienamente legittimo l’uso del giudizio di Dio, anzi se ne serve come canone di interpretazione storiografica, rinviando a II IX 1 per la discussione di questo punto, assai controverso soprattutto a causa della condanna canonistica del duello giudiziario, che Dante certamente non ignorava; v. il c. 22, C. II, q. V nel <i>Decretum</i> di Graziano (Friedberg, I, col. 464) e il can. 18 del IV Concilio Lateranense, poi accolto nel <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX: cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = <i>COD</i>, p. 244), e almeno Raimondo di Peñafort, <i>Summa</i>, II 3, <i>de duello</i>, § un., p. 154, che ne fissa la definizione in ambito teologico-giuridico: Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicitur etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium exspectatur). Né Dante poteva ignorare Tommaso, che stigmatizza come irrationabile il duello giudiziario nel suo commento alla <i>Politica</i> (IV, 13), ma che nella <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3, pur assimilando la <i>lex duellorum</i> al iudicium ferri candentis vel aquae ferventis, ed anzi ritenendolo ancor più vicino di questi alla <i>divinatio</i> <i>sortium</i> inquantum non expectatur ibi miraculosus effectus, eccepisce il caso in cui si sia in presenza di una straordinaria disparità di forze tra i contendenti, nisi forte quando pugiles sunt valde impares virtute vel arte. Ancor più marcate, fino alla fine del XIV secolo, le eccezioni nella tradizione civilistica, fino alla “sistemazione” quattro-cinquecentesca di Paride del Pozzo e dell’Alciato, il quale, nel <i>De singulari certamine</i>, dedicato al re di Francia Francesco I nel 1529 ma pubblicato a stampa solo nel 1543, pur citando la generale proibizione del diritto canonico e civile, ne ricorda l’approvazione <i>de consuetudine</i> e ne ripete la tradizionale <i>definitio per etymologiam</i>: Singulare certamen veteres Graeci monomachiam dixere, nostrates Iurisconsulti duellum: ita dictum existimantes, quasi duorum bellum sit. Cum apud antiquos duellum transmutatione literarum simpliciter diceretur, quod nunc bellum est. Cfr. Piero Fiorelli, <i>Duello (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIV, 1965, pp. 88-93; cfr. Giovanni Diurni, <i>Duello</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 605-7, Monorchio 1998, pp. 17-18","cap. 9, X, III, 50 (Friedberg, II, coll. 659-60 = COD, p. 244)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK CUIUS LUCANUS MEMINIT,"cfr. Lucano, <i>Pharsalia</i>, IV 609-61",IV 609-61,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK OVIDIUS ... DE RERUM TRANSMUTATIONE,"Hovidio nel nono “Metamorfoseos” (Ficino); cfr. Ovidio, <i>Metam</i>., IX 183-4: saevoque alimenta parentis / Antaeo eripui. Cfr. più oltre, II IX 11 e <i>Cv</i> III III 7-8: Onde si legge nelle storie d’Ercule, e nell’ Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti, che combattendo [Ercule] collo gigante che si chiamava <i>Anteo</i>, tutte ?le? volte che lo gigante era stanco, [ed] elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per sua volontà o per forza d’Ercule, forza e vigore interamente della terra in lui resurgea, nella quale e della quale era esso generato. Di che accorgendosi Ercule, alla fine prese lui; e stringendo quello e levatolo dalla terra, tanto lo tenne sanza lasciarlo alla terra ricongiugnere, che lo vinse per soperchio e uccise; e per <i>Anteo</i> <i>If</i> XXXI 100-5. L’esempio è riproposto più sotto, II IX 11; cfr. le voci di Giorgio Padoan, <i>Anteo</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 296-7, ed <i>Ercole</i>, ivi, II, pp. 817-8; e v. Alessandro Vettori, <i>Antaeus</i>, in <i>DEnc</i>, p. 49",IX 183-4,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK MELIUS TULLIUS,"Cicerone, <i>De officiis</i>, III 10 42",III 10 42,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: <i>per nonaginta annos et plures</i>; si deve notare che M D hanno rispettivamente <i>octuaginta</i> e <i>lxxxii</i>; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. <i>Vinay</i> e <i>Kay</i>, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente <i>Pézard</i>) che l’espressione <i>consorte thori</i> ha la sua fonte in Ovidio, <i>Metam</i>., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di <i>Vinay</i>, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in <i>If</i> V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce <i>Imperadore (imperatrice; imperadrice</i>), in <i>ED</i>, III, 1971, p. 381",I 4 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: <i>per nonaginta annos et plures</i>; si deve notare che M D hanno rispettivamente <i>octuaginta</i> e <i>lxxxii</i>; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. <i>Vinay</i> e <i>Kay</i>, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente <i>Pézard</i>) che l’espressione <i>consorte thori</i> ha la sua fonte in Ovidio, <i>Metam</i>., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di <i>Vinay</i>, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in <i>If</i> V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce <i>Imperadore (imperatrice; imperadrice</i>), in <i>ED</i>, III, 1971, p. 381",I 319,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK PER NONAGINTA ET PLURES ANNOS,"per novanta anni et più (Ficino), e così anche K: <i>per nonaginta annos et plures</i>; si deve notare che M D hanno rispettivamente <i>octuaginta</i> e <i>lxxxii</i>; Orosio, Historiae adversus Paganos, I 4 1, scrive che Nino quinquaginta annis per totam Asiam bella egit, e subito (I 4 4) aggiunge che Semiramide per duos et quadraginta annos caedibus gentium exercuit; più avanti (II 3 1) scrive ancora: Regnavit Ninus annis LII. Cui successit ... uxor sua Semiramis: quae cum et ipsa XLII annis regnaverit, medio imperii sui tempore Babylonam caput regni condidit. Cfr. <i>Vinay</i> e <i>Kay</i>, il quale rileva (come del resto aveva già fatto più corsivamente <i>Pézard</i>) che l’espressione <i>consorte thori</i> ha la sua fonte in Ovidio, <i>Metam</i>., I 319, e che, tentando di spiegare perché Dante abbia calcolato all’ingrosso, fraintende la traduzione di <i>Vinay</i>, attribuendole un errore che non esiste. Si ricorderànno infine i versi in <i>If</i> V 58-9, che traducono Orosio: Ell’è Semiramìs, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa. Ricorda che al regno di Semiramide Dante nega la qualità del vero impero, che fu solo di Roma Vincenzo Valente nella voce <i>Imperadore (imperatrice; imperadrice</i>), in <i>ED</i>, III, 1971, p. 381",I 4 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK OVIDIUS MEMORIAM FECIT,"fa mentione Hovidio (Ficino); Ovidio ne fa memoria (Anonimo); e <i>facit</i> anziché <i>fecit</i> legge Witte 1874 con i codici M N P S. Non si tratta dunque di una semplice banalità degli isolatissimi P e M, come avrebbe voluto Ricci 1965. Cfr. Ovidio, <i>Metam</i>. IV 58. Cfr. Antonio Martina, <i>Piramo</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 528",IV 58.,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metamorphoses,Metamorphoseon libri XV,Ovidio,http://dbpedia.org/resource/Ovid,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK UT OROSIUS MEMORAT,"Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent. <i>Kay</i> avverte che introducendo gli Egizi nella successione degli Imperi Dante ha alterato l’ordine derivato dalla <i>prophetia Danielis</i>, così come lo si legge nel commento di Girolamo a <i>Dn</i> 2, 31-35, poi passato nella Glossa ordinaria alla Scrittura. Per gli Sciti, ricordati anche nel paragrafo seguente, cfr. quanto già detto sopra, I XIV 6","I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent.",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK UT OROSIUS MEMORAT,"Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, I 14 1: Vesozes rex Aegypti meridiem et septemtrionem, divisas paene toto caelo ac pelago plagas, aut miscere bello aut regno iungere studens, Scythis bellum primus indixit missis prius legatis, qui hostibus parendi leges dicerent. <i>Kay</i> avverte che introducendo gli Egizi nella successione degli Imperi Dante ha alterato l’ordine derivato dalla <i>prophetia Danielis</i>, così come lo si legge nel commento di Girolamo a <i>Dn</i> 2, 31-35, poi passato nella Glossa ordinaria alla Scrittura. Per gli Sciti, ricordati anche nel paragrafo seguente, cfr. quanto già detto sopra, I XIV 6","nel commento di Girolamo a Dn 2, 31-35",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commento_a_ Daniele(Girolamo),Commento a Daniele,Girolamo,http://dbpedia.org/resource/Jerome,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK INTER QUASI ATHLOTETAS ET TERMINUM,"è omesso dalla <i>princeps</i> K e da Ficino; l’Anonimo ha infra la colonna termine. Bertalot 1920, p. 62, succintamente annota: <i>Vox</i> athloteta <i>ex Arist. Eth. 1, 2, 1095 b 1 hausta est</i>. Perciò <i>Nardi</i> può scrivere a commento: frase simbolica suggerita, come ha ben visto il Bertalot, da Aristotele, <i>Eth. Nicom</i>., I, 2, 1095 b 1. Gli <i>atloteti</i> erano coloro che presiedevano la corsa e stavano in principio; all’estremità opposta era la <i>mèta</i> o traguardo","I, 2, 1095 b 1.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK REX PERSARUM,"la <i>princeps</i> inverte <i>Persarum rex</i>; cfr. Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, II 7 6: Regina caput Cyri amputari atque in utrem humano sanguine oppletum conici iubet non muliebriter increpitans: “Satia te”, inquit, “sanguine quem sitisti, cuius per annos triginta insatiabilis perseverasti”; Dante lo ricorda in <i>Pg</i> XII 55-57: Mostrava la ruina e ’l crudo scempio / che fé Tamiri, quando disse a <i>Ciro</i>: “Sangue sitisti, e io di sangue t’empio”. Cfr. Clara Kraus, <i>Ciro</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 25","II 7 6: Regina caput Cyri amputari atque in utrem humano sanguine oppletum conici iubet non muliebriter increpitans: “Satia te”, inquit, “sanguine quem sitisti, cuius per annos triginta insatiabilis perseverasti”;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK LUCANUS ... MEMOR FUIT; CANIT ENIM IBI SIC,"fece menzione Luchano ... così dicendo (Ficino); per l’Anonimo semplicemente Lucano così ne canta. La <i>princeps</i> ha <i>meminit</i>. Cfr. Lucano, <i>Pharsalia</i>, II 672-3",II 672-3,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK MISERABILITER,"sembra a <i>Kay</i> che Dante qui echeggi Floro, <i>Epitoma</i>, II 18 9: non alia post Xerxen miserabilior fuga, piuttosto che Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, II 9-10",II 18 9,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Epitomae_de_Tito_Livio(Floro),Epitomae de Tito Livio,Floro,http://dbpedia.org/resource/Florus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK LUCANUS IN OCTAVO,"Lucano, <i>Pharsalia</i>, VIII 692-4",VIII 692-4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK O ALTITUDO DIVITIARUM SAPIENTIE ET SCIENTIE DEI,"cfr. <i>Rm</i> 11, 33: O altitudo <i>divitiarum</i> sapientiae et scientiae Dei. Se la <i>princeps</i> K omette per sé <i>divitiarum</i>, legge però <i>sapientiæ et scientiæ</i>, com’è nella Vulgata, insieme ai codici ?1 (B L) e G H. Critico della lezione <i>scientie et sapientie</i>, accolta da Ricci 1965 (e da tutti i precedenti editori) <i>Nardi</i> non vorrebbe si scegliesse un testo diverso solo per il dubbio che alcuni copisti scrivessero non ciò che leggevano, ma ciò che sapevano a memoria, avvertendo che ciò può accadere allo stesso autore, come può essere stato il caso di Dante, che cita lo stesso versetto paolino, e nello stesso modo, nella <i>Questio de aqua et terra</i>, XXII 77: Audiant vocem Apostoli ad Romanos: “O altitudo <i>divitiarum</i> scientiae et sapientiae Dei, quam incomprehensibilia iudicia eius et investigabiles vie eius!”; rimprovera dunque Ricci di non citare il luogo parallelo in <i>Cv</i> IV XXI 6: Per che io voglio dire come l’Apostolo: “O altezza delle divizie della sapienza di Dio, come sono incomprensibili li tuoi giudicii e investigabili le tue vie!”; luogo che la Simonelli 1970, pp. 387-8, ritiene lacunoso fin dalla prima edizione del 1490, e che dunque può essere letto “O altezza de le divizie de la sapienza e de la scienza di Dio”. Propone infine di leggere <i>sapientie et scientie</i> Favati 1970, p. 16. Cfr. a commento Cremascoli 2011, p. 38, nota 35","Rm 11, 33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Romans,Epistola ad Romanos,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK POETA NOSTER,Ficino ha ancora una volta Virgilio; cfr. <i>Aen.</i> I 234-6,I 234-6,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK LUCANUS IN PRIMO,"Lucano, <i>Pharsalia</i>, I 109-11",I 109-11,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK BOETIUS IN SECUNDO,"Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, II, metro 6, 8-13. Cfr. ancora la voce <i>Boezio</i> di Francesco Tateo, in <i>ED</i>, I, 1970, p. 656","II, metro 6, 8-13.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK EXIVIT EDICTUM,"cfr. <i>Lc</i> 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis. La lezione <i>exivit</i>, prescelta da Ricci 1965 contro l’<i>exiit</i> di Bertalot 1920 (nonché della Vulgata) per avere dalla sua l’accordo di K T con ottimi rappresentanti del ramo ? (p. 203), è criticata da <i>Nardi</i>, che ricorda con enfasi che però il Vernani [...] ha: “Lucas dicit: ‘Exiit edictum’”!. Cfr. anche <i>Kay</i>. Tace l’apparato dell’ed. Shaw 2009, e perfino la <i>Word Collation</i> nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006) registra la sola lezione <i>exivit</i> (non così però se si ricorre alla funzione <i>Show original spelling forms</i>: leggono <i>exiit</i> i codici A2 B D F G H L M S, ai quali si può aggiungere l’Anonimo, che scrive “<i>Exit</i> ... escì”); Ficino traduce solo “Mandò”. <i>Vinay</i> commenta: ""Più avanti [...], riprendendo un motivo notissimo, D. darà del testo evangelico un’interpretazione politico-giuridica: qui lo cita per il suo valore di testimonianza storica a riprova della vittoria di fatto del popolo Romano"". Per Augusto cfr. sopra, I XVI 1 e più oltre, II X 6, ed <i>Ep</i> VII [3] 14; e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, <i>Augusto</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 449-50","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK UT TULLIUS ET VEGETIUS CONCORDITER PRECIPIUNT,"come Tulio et Vegetio comandano (Ficino); cfr. Vegezio, <i>De re militari</i>, III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum; Cicerone, <i>De officiis</i>, I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore (e cfr. poco oltre, II IX 4 e 8, dov’è rifuso il testo del <i>De officiis</i>, I 34-38). Cfr. Moore 1893, p. 24; e ora Di Fonzo 2009, p. 53, e più ampiamente 2011. <i>Vinay</i> parla di un fraintendimento di Dante a proposito dell’accordo tra Cicerone e Vegezio; <i>Nardi</i> lo nega a ragione; per <i>Kay</i> <i>Vinay</i> is certainly right. Dissente dall’interpretazione data più in generale da <i>Vinay</i> a questo luogo <i>Cassell</i>, secondo cui Dante most likely learned of Vegetius from the twenty-three references to the <i>De re militari</i> that Giles of Rome makes in the <i>De regimine principum</i>, rimandando a Briggs 1999, p. 11","III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum;",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Re_Militari,Epitoma rei militaris,Vegezio,http://dbpedia.org/resource/Publius_Flavius_Vegetius_Renatus,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK UT TULLIUS ET VEGETIUS CONCORDITER PRECIPIUNT,"come Tulio et Vegetio comandano (Ficino); cfr. Vegezio, <i>De re militari</i>, III 9: Ideo omnia ante cogitanda sunt, ante temptanda, ante facienda sunt quam ad ultimum veniatur abruptum; Cicerone, <i>De officiis</i>, I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore (e cfr. poco oltre, II IX 4 e 8, dov’è rifuso il testo del <i>De officiis</i>, I 34-38). Cfr. Moore 1893, p. 24; e ora Di Fonzo 2009, p. 53, e più ampiamente 2011. <i>Vinay</i> parla di un fraintendimento di Dante a proposito dell’accordo tra Cicerone e Vegezio; <i>Nardi</i> lo nega a ragione; per <i>Kay</i> <i>Vinay</i> is certainly right. Dissente dall’interpretazione data più in generale da <i>Vinay</i> a questo luogo <i>Cassell</i>, secondo cui Dante most likely learned of Vegetius from the twenty-three references to the <i>De re militari</i> that Giles of Rome makes in the <i>De regimine principum</i>, rimandando a Briggs 1999, p. 11","I 11 34: cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK BENE TULLIUS,"Cicerone, <i>De officiis</i>, I 12 38: ""Sed ea bella quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt""","I 12 38: Sed ea bella quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK RESPONDIT,"i versi che seguono appartengono agli <i>Annales</i> di Ennio e sono conservati in Cicerone, <i>De officiis</i>, I 12 38. Che il testo così citato da Dante, mutilo nei vv. 5 e 8, abbia perciò un innegabile tono “oracolare”, meno evidente nell’originale, è osservazione di Pizzica 1988 accolta da <i>Kay</i>. I due versi 5 e 8 sono però conservati, come subito si dirà, da un’esigua minoranza dei testimoni, rappresentata dalla <i>princeps</i> K e dall’addottrinato (Ricci 1965) M",I 12 38,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK FORUM SANGUINIS ET INIUSTITIE,"merchato di sangue et d’ing[i]ustitia (Ficino), mentre l’Anonimo scrive merchato di sangue e di giustizia. <i>Imbach</i>, p. 164 (cfr. <i>Imbach</i>, p. 306), ha sposato, ma solo in questo luogo e non più avanti nel paragrafo successivo, la proposta, vivacemente avanzata da <i>Nardi</i>, di restaurare la lezione <i>iniustitie</i>, conservata, oltre che da Ficino, da D, c. 44v (non però da G, come vorrebbe Bertalot 1920 in apparato, p. 66, ché quel testimone ha chiaramente iustie = <i>iustitie</i> a c. 22r) e accolta dagli editori con l’eccezione di Ricci 1965. Questi poté sostenere che Witte 1874, preferendo <i>iniustitie</i>, era andato contro la testimonianza dell’intera tradizione, obbiettando: Ma è facile osservare – e non faccio altro che ripetere ciò che benissimo hanno già notato il Bigongiari e il Toynbee – che Dante costruisce le due frasi in relazione a un concetto di Ennio esplicitamente poco prima citato: <i>Nec mi aurum posco, nec mi pretium dederitis; non <i>cauponantes bellum</i>, sed belligerantes</i>. Nel duello inteso come giudizio di Dio, gli avversari devono essere guidati unicamente dall’amore della giustizia; se per cupidigia combattessero, non si dovrà dire che anelano alla giustizia, ma che ne fanno commercio, <i>iustitie mercatores</i> in quanto combattono da mercenari; <i>cauponantes bellum</i>, come dice Ennio (p. 207). Smentendo in base all’apparato di Bertalot l’affermazione secondo cui <i>iniustitie</i> mancherebbe alla totalità dei testimoni, <i>Nardi</i> contesta insieme Bigongiari 1927, p. 458, Toynbee 1929, p. 53, e Ricci 1965, negando che Dante si riferisca al <i>cauponantes bellum</i> di Ennio e ribattendo argutamente: No, qui Dante parrebbe dire un’altra cosa: il loro combattimento “non tunc duellum, sed forum sanguinis et <i>iniustitie</i> dicendum esset; <i>nec tunc arbiter Deus esse credatur, sed ille antiquus Hostis qui litigii fuerat persuasor</i>”. In quel “forum sanguinis” ci sarebbe rimasta proprio la giustizia ... a tener compagnia al diavolo?. Per <i>Pézard</i> le sens est le même; Pizzica 1988 considera <i>iniustitie</i> inaccettabile; <i>Kay</i> sostiene ancora che all the manuscripts read <i>iustitie</i> e ritiene decisive la difesa di Bigongiari, cui consente anche Shaw 2009. Così anche <i>Cassell</i>. Io preferisco dar fede alla lezione <i>iniustitie</i> di D, Ficino, Witte 1874, Bertalot 1920 e Rostagno 1921, difesa da <i>Nardi</i> e recuperata da <i>Imbach</i>; me ne rende persuaso, oltre tutto, il testo del c. 25, D. I De penitencia, nel <i>Decretum Gratiani</i>, dove si legge quanto Dante poteva riecheggiare in questo luogo: Omnis iniquitas, et oppressio, et iniusticia, iudicium sanguinis est (Friedberg, I, col. 1164)",De penitencia,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK UT ASSOLET,"cfr. sopra, II VII 9, con il richiamo a Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3","IIa-IIae, q. 95, a. 8, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PER VICTORIAM DAVID,"cfr. <i>1 Sam</i> 17, 38-51","1 Sam 17, 38-51",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Books_of_Samuel,Libri di Samuele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK PROPTER INSTANTIAM COGNOSCENDAM,"la tradizione si divide qui tra <i>iustitiam</i>, attestata da D F G N T U V e prescelta da Bertalot 1920, da Ricci 1965 e da Shaw 2009, e <i>instantiam</i> della <i>princeps</i> K e dei rimanenti codici, adottato da Witte 1874 e da Rostagno 1921; si veda altresì la versione ficiniana, per conoscere l’<i>instantia</i>, e quella dell’Anonimo, che pur mal traducendo ha la stessa base nella tradizione: per la fretta di cognioscere. Per Ricci <i>instantia</i> è soltanto un termine del linguaggio filosofico indicante una proposizione che si contrappone ad un’altra, e dunque qui evidentemente non può aver luogo. Ma in questo contesto il significato è quello giuridico: <i>instantiam cognoscere</i> significa infatti “giudicare la lite pendente” (come in <i>Dig</i>. 5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77): cfr. sopra, II V 23. Tanto più che in Livio è chiaro che i due popoli e i loro campioni non combattono per una causa di giustizia, ma a motivo della cupido imperii e per ottenere la supremazia: imperium agebatur (<i>Ab U. c</i>. I 23, 7 e 25, 2). Difficoltà tra i moderni interpreti (<i>Vinay</i> non traduce; e v. Marcelli-Martelli 2004: per trovare giustizia), che però tacitamente sembrano in parte accedere al significato tecnico: <i>Pézard</i>, in simmetria con afin de rechercher le bon plaisir divin (poco più sopra, II IX 13), ha afin de connaître la décision divine; <i>Nardi</i> per definir la lite; Sanguineti 1985, anch’egli per simmetria con II IX 13, al fine di conoscere il giudizio di Dio; Pizzica 1988 per dirimere legalmente la contesa; Shaw 1996 in order to reach a just settlement","5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK PROPTER INSTANTIAM COGNOSCENDAM,"la tradizione si divide qui tra <i>iustitiam</i>, attestata da D F G N T U V e prescelta da Bertalot 1920, da Ricci 1965 e da Shaw 2009, e <i>instantiam</i> della <i>princeps</i> K e dei rimanenti codici, adottato da Witte 1874 e da Rostagno 1921; si veda altresì la versione ficiniana, per conoscere l’<i>instantia</i>, e quella dell’Anonimo, che pur mal traducendo ha la stessa base nella tradizione: per la fretta di cognioscere. Per Ricci <i>instantia</i> è soltanto un termine del linguaggio filosofico indicante una proposizione che si contrappone ad un’altra, e dunque qui evidentemente non può aver luogo. Ma in questo contesto il significato è quello giuridico: <i>instantiam cognoscere</i> significa infatti “giudicare la lite pendente” (come in <i>Dig</i>. 5, 1, 73, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 77): cfr. sopra, II V 23. Tanto più che in Livio è chiaro che i due popoli e i loro campioni non combattono per una causa di giustizia, ma a motivo della cupido imperii e per ottenere la supremazia: imperium agebatur (<i>Ab U. c</i>. I 23, 7 e 25, 2). Difficoltà tra i moderni interpreti (<i>Vinay</i> non traduce; e v. Marcelli-Martelli 2004: per trovare giustizia), che però tacitamente sembrano in parte accedere al significato tecnico: <i>Pézard</i>, in simmetria con afin de rechercher le bon plaisir divin (poco più sopra, II IX 13), ha afin de connaître la décision divine; <i>Nardi</i> per definir la lite; Sanguineti 1985, anch’egli per simmetria con II IX 13, al fine di conoscere il giudizio di Dio; Pizzica 1988 per dirimere legalmente la contesa; Shaw 1996 in order to reach a just settlement","I 23, 7 e 25, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK LIVIUS IN PRIMA PARTE,cfr. <i>Ab U. c</i>. I 23-5,I 23-5,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Ab_Urbe_Condita_(book),Ab urbe condita,Livio,http://dbpedia.org/resource/Livy,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK IN MULTITUDINE DECERTANTIUM,"cfr. poco più sotto, II IX 18; la <i>princeps</i> K ha la variante <i>disceptantium</i>, accolta da Witte 1874 e respinta da Ricci 1965 (p. 210); trovo la medesima lezione in Y. Ficino traduce benché si conbattessi con gran moltitudine; l’Anonimo tace. <i>Vinay</i> ricorda ancora Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, II 4, dov’è solo un accenno, e osserva che tutto questo elenco dei successivi competitori di Roma trova esatto riscontro in Cicerone, <i>De officiis</i>, I 12 38",II 4,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK IN MULTITUDINE DECERTANTIUM,"cfr. poco più sotto, II IX 18; la <i>princeps</i> K ha la variante <i>disceptantium</i>, accolta da Witte 1874 e respinta da Ricci 1965 (p. 210); trovo la medesima lezione in Y. Ficino traduce benché si conbattessi con gran moltitudine; l’Anonimo tace. <i>Vinay</i> ricorda ancora Orosio, <i>Historiae adversus Paganos</i>, II 4, dov’è solo un accenno, e osserva che tutto questo elenco dei successivi competitori di Roma trova esatto riscontro in Cicerone, <i>De officiis</i>, I 12 38",I 12 38,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/De_Officiis,De officiis,Cicerone,http://dbpedia.org/resource/Cicero,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK LUCANUS ... REDUCIT SIC,"Lucano, <i>Pharsalia</i>, II 135-8; K inverte sic reducit",II 135-8,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Pharsalia,Pharsalia,Lucano,http://dbpedia.org/resource/Lucan,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK APOSTOLUS AD TIMOTHEUM,"2 <i>Tm</i> 4, 8","2 Tm 4, 8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Second_Epistle_to_Timothy,Seconda lettera a Timoteo,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK RATIONABILIBUS,"solo K legge <i>rationalibus</i>, lezione accolta da tutti gli editori e difesa da Ricci 1979, pp. 102-3, contro Favati 1970, p. 21, prima del doveroso restauro dell’ed. Shaw 2009 (cfr. <i>Introduzione</i>, pp. 305-6 e note 150-4; ma non si tratta certo di una congettura, come invece annota <i>Kay</i>). Anche Ficino ha rationali, mentre l’Anonimo scrive ragionevoli. Per il significato di <i>rationabilis</i> v. le <i>Derivationes</i> di Uguccione, R 26, 4, che distingue: et licet Boetius ista nomina indifferenter accipiat, differunt tamen, quia rationale dicitur quod utitur rationem ut homo, angelus, anima, rationabile quod ratione agitur vel dicitur vel quod ratione agit vel dicit; unde multi, immo omnes homines sunt rationales, sed non omnes sunt rationabiles","R 26, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK FREMUERUNT ET INANIA MEDITATI SUNT,"Dante rinnova l’annuncio del salmo con cui si apre il libro II (<i>Ps</i> 2, 1-3), rafforzando il senso dell’argomentazione già svolta in II I 1 e 4, che è tutto in quella constatazione della sostanziale identità dell’atteggiamento ribelle dei popoli dei suoi tempi con quello dei popoli già ribelli all’antica Roma: inane allora, inane oggi, la ribellione (Capitani 1965, poi Capitani 1983, p. 39); v. qui in proposito l’<i>Introduzione</i>, e più ampiamente Casadei 2011, p. 187 e note 12-3, a proposito dello stretto parallelismo con il fremuistis dell’Epistola ai Fiorentini ‘intrinseci’ (<i>Ep</i> VI [2] 5, datata 31 marzo 1311), con rimando, in generale, a Russo 1987, Gagliardi 2007 e Muresu 2009","2, 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. <i>Pd</i> XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non <i>decimas, quae sunt pauperum Dei</i>, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive <i>Vinay</i>: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (<i>Declamat</i>., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del <i>Decretum Gratiani</i> (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), <i>Kay</i> aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s <i>Decretum</i>, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, <i>Povertà</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 628","c. 59, C. XVI, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. <i>Pd</i> XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non <i>decimas, quae sunt pauperum Dei</i>, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive <i>Vinay</i>: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (<i>Declamat</i>., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del <i>Decretum Gratiani</i> (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), <i>Kay</i> aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s <i>Decretum</i>, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, <i>Povertà</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 628","Declamat., XVII, in P.L., 184, col. 449",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Declamationes_de_colloquio_Simonis_cum_Jesu(Goffredo_Auxerre),Declamationes de colloquio Simonis cum Jesu,Goffredo d’Auxerre,http://dbpedia.org/resource/Geoffrey_of_Clairvaux,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK QUORUM PATRIMONIA SUNT ECCLESIE FACULTATES,"cfr. <i>Pd</i> XII 92-6: non la fortuna di prima vacante, / non <i>decimas, quae sunt pauperum Dei</i>, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante; con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 345: La frase latina, che ripete la formula giuridica curiale, chiude con particolare solennità la serie delle prevaricazioni da tutti comunemente compiute, con quell’accorato richiamo ai “pauperes Dei” a cui gli ecclesiastici tolgono quel poco che loro spetta, con rimando a questo luogo per il lamento che i poveri di Cristo siano defraudati dai loro pastori. Scrive <i>Vinay</i>: Le “facultates Ecclesie” che sono “patrimonia pauperum” sono una reminiscenza quasi letterale di una frase notissima che potrebbe risalire a S. Bernardo: “sane patrimonia sunt pauperum facultates ecclesiarum, et sacrilega eius crudelitate surripitur quicquid sibi ministri et dispensatores, non utique domini vel possessores, ultra victum accipiunt et vestitum” (<i>Declamat</i>., XVII, in P.L., 184, col. 449). Nel ricordare questa nota, così come quella di Pizzica 1988 in cui si cita, come ad autorità normativa che Dante avrebbe avuto presente, il c. 59, C. XVI, q. I del <i>Decretum Gratiani</i> (Friedberg, I, col. 780: res Ecclesiae ... patrimonia pauperum), <i>Kay</i> aggiunge che the same idea had earlier been expressed by Ambrose, Augustine, and Jerome in texts that were likewise incorporated in Gratian’s <i>Decretum</i>, rimandando al c. 13, C. XII, q. I per il possesso delle facultates Ecclesiae (Friedberg, I, col. 681), e per la sua interpretazione canonistica, a Tierney 1959, pp. 39-44. Sulla corruzione della gerarchia ecclesiastica, in larga misura il risultato dell’assunzione da parte della Chiesa di ricchezza e potere temporale conseguenti alla donazione di Costantino, v. Dabney G. Park, <i>Povertà</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 628","c. 13, C. XII, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK REDEANT UNDE VENERUNT,"Ritornino honde vennono (Ficino); così anche l’Anonimo: Ritornino onde vennero. I due volgarizzamenti corrispondono alla lezione tramandata dai soli codici H Z; accolta da tutti gli editori moderni, è respinta recisamente da Ricci 1965 come un capriccio smentito dallo schieramento compatto della maggioranza dei codici e della <i>princeps</i>. Egli <i>si</i> spinge fino ad affermare (p. 213): Basta [...] analizzare il senso di questo passo, fino ad oggi interpretato sempre in modo errato, per capire che qui <i>Redeunt</i> e solo <i>Redeunt</i> va bene. Dante parla delle <i>facultates Ecclesie</i> provenienti da donazioni imperiali, e distingue due casi: 1. se tali beni non tornano all’Impero, chi li detiene non è grato del dono ricevuto; 2. se tali beni tornano all’Impero, allora <i>si</i> deve dire che tornano male, mentre invece erano venuti bene. Alla luce di tale svolgimento del pensiero dantesco, il congiuntivo esortativo <i>Redeant</i> è completamente privo di senso; mentre la frase <i>Redeunt unde venerunt</i> è una perfetta protasi con l’ellissi del <i>si</i>. L’improponibilità di tale interpretazione è denunciata da <i>Nardi</i> 1965, poi in <i>Nardi</i> 1966c, pp. 408-14; lo stesso <i>Nardi</i> conserva il testo dell’ed. Ricci 1965 (ciò che suona ancora fuorviante per <i>Cassell</i>, p. 316, nota 237) ma interpreta: Tornino onde vennero, commentando: perciò Dante ha il coraggio di gridare: “Tornino onde vennero: vennero bene e tornano male: giacché furono ben dati e mal posseduti”! (pp. 426-7). Questa correzione, tacitamente accolta già in <i>Pézard</i> (Qu’ils s’en retournent au lieu d’où ils sont venus) e nel testo corredato dalla traduzione del Ronconi 1966 (Tornino da dove sono venuti), è stata espressamente accolta da <i>Imbach</i>, che traduce di conseguenza: Diese Güter sollen dahin zurückkehren, woher sie gekommen sind (pp. 170-1 e p. 309); così anche Pizzica 1988, pur se limitatamente alla traduzione (Ritornino da dove provennero, corredata da un nota adesiva alle argomentazioni di <i>Nardi</i>). Riconosciuta come lezione genuina da Shaw 1981, pp. 207-8, adottata nelle edizioni-traduzioni della Shaw (a) 1995 e 1996: Let them return where they came from, e da <i>Cassell</i> (Let them go back where they came from!) che la giudica come la sola dotata di senso logico, è ancora contestata da <i>Kay</i>, che inclinando verso la lezione difesa da Ricci suggerisce che Dante possa aver adottato quella “più esitante costruzione” perché probabilmente a conoscenza del dissenso di san Tommaso verso le norme giustinianee sulla revoca della donazione. Ma Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3 (<i>Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda</i>), afferma solo che chi conferisce un beneficio deve sanzionare l’ingratitudine non statim, e deve prima mostrarsi pium medicum: ut scilicet iteratis beneficiis ingratitudinem sanet. Per un bilancio di tutta la questione cfr. <i>Furlan</i>, e soprattutto Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, p. 322. È forse lecito sospettare, infine, che nell’uso dell’espressione <i>redeant unde venerunt</i> possano ravvisarsi calchi di forme quasi proverbiali (cfr. ad es. Ausonio, <i>Cento Nuptialis</i>, 1: sin aliter, aere dirutum facies, ut cumulo carminis in fiscum suum redacto redeant versus, unde venerunt).","IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK REDEANT UNDE VENERUNT,"Ritornino honde vennono (Ficino); così anche l’Anonimo: Ritornino onde vennero. I due volgarizzamenti corrispondono alla lezione tramandata dai soli codici H Z; accolta da tutti gli editori moderni, è respinta recisamente da Ricci 1965 come un capriccio smentito dallo schieramento compatto della maggioranza dei codici e della <i>princeps</i>. Egli <i>si</i> spinge fino ad affermare (p. 213): Basta [...] analizzare il senso di questo passo, fino ad oggi interpretato sempre in modo errato, per capire che qui <i>Redeunt</i> e solo <i>Redeunt</i> va bene. Dante parla delle <i>facultates Ecclesie</i> provenienti da donazioni imperiali, e distingue due casi: 1. se tali beni non tornano all’Impero, chi li detiene non è grato del dono ricevuto; 2. se tali beni tornano all’Impero, allora <i>si</i> deve dire che tornano male, mentre invece erano venuti bene. Alla luce di tale svolgimento del pensiero dantesco, il congiuntivo esortativo <i>Redeant</i> è completamente privo di senso; mentre la frase <i>Redeunt unde venerunt</i> è una perfetta protasi con l’ellissi del <i>si</i>. L’improponibilità di tale interpretazione è denunciata da <i>Nardi</i> 1965, poi in <i>Nardi</i> 1966c, pp. 408-14; lo stesso <i>Nardi</i> conserva il testo dell’ed. Ricci 1965 (ciò che suona ancora fuorviante per <i>Cassell</i>, p. 316, nota 237) ma interpreta: Tornino onde vennero, commentando: perciò Dante ha il coraggio di gridare: “Tornino onde vennero: vennero bene e tornano male: giacché furono ben dati e mal posseduti”! (pp. 426-7). Questa correzione, tacitamente accolta già in <i>Pézard</i> (Qu’ils s’en retournent au lieu d’où ils sont venus) e nel testo corredato dalla traduzione del Ronconi 1966 (Tornino da dove sono venuti), è stata espressamente accolta da <i>Imbach</i>, che traduce di conseguenza: Diese Güter sollen dahin zurückkehren, woher sie gekommen sind (pp. 170-1 e p. 309); così anche Pizzica 1988, pur se limitatamente alla traduzione (Ritornino da dove provennero, corredata da un nota adesiva alle argomentazioni di <i>Nardi</i>). Riconosciuta come lezione genuina da Shaw 1981, pp. 207-8, adottata nelle edizioni-traduzioni della Shaw (a) 1995 e 1996: Let them return where they came from, e da <i>Cassell</i> (Let them go back where they came from!) che la giudica come la sola dotata di senso logico, è ancora contestata da <i>Kay</i>, che inclinando verso la lezione difesa da Ricci suggerisce che Dante possa aver adottato quella “più esitante costruzione” perché probabilmente a conoscenza del dissenso di san Tommaso verso le norme giustinianee sulla revoca della donazione. Ma Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 107, a. 4, ad 3 (<i>Utrum ingratis sint beneficia subtrahenda</i>), afferma solo che chi conferisce un beneficio deve sanzionare l’ingratitudine non statim, e deve prima mostrarsi pium medicum: ut scilicet iteratis beneficiis ingratitudinem sanet. Per un bilancio di tutta la questione cfr. <i>Furlan</i>, e soprattutto Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, p. 322. È forse lecito sospettare, infine, che nell’uso dell’espressione <i>redeant unde venerunt</i> possano ravvisarsi calchi di forme quasi proverbiali (cfr. ad es. Ausonio, <i>Cento Nuptialis</i>, 1: sin aliter, aere dirutum facies, ut cumulo carminis in fiscum suum redacto redeant versus, unde venerunt).","cfr. ad es. Ausonio, Cento Nuptialis, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Cento_nuptialis(Ausonio),Cento Nuptialis,Ausonio,http://dbpedia.org/resource/Ausonius,http://purl.org/bncf/tid/3005,WORK ERGO CONTRADICTORIUM ANTECEDENTIS EST VERUM,"Vinay cita il commento boeziano al Perˆ `Ermhne…aj (I, <i>P.L</i>. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur). <i>Imbach</i> rinvia alle <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, VII 153, ed. de Rijk, p. 169; cfr. anche <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>, che nota: Dante begins to use conditional arguments as opposed to syllogisms","I, P.L. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Commentarium_in_librum_aristotelis_perihermeneias(Boezio),Commentarium in librum aristotelis perihermeneias,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK ERGO CONTRADICTORIUM ANTECEDENTIS EST VERUM,"Vinay cita il commento boeziano al Perˆ `Ermhne…aj (I, <i>P.L</i>. 64, col. 364: Secundum esse et non esse contradictiones sibimet opponuntur). <i>Imbach</i> rinvia alle <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, VII 153, ed. de Rijk, p. 169; cfr. anche <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>, che nota: Dante begins to use conditional arguments as opposed to syllogisms","VII 153, ed. de Rijk, p. 169",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK UT PHYLOSOPHO PLACET,"come dice Aristotile (Ficino); cfr. <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1172 a 34-6: Infatti, per quanto riguarda le passioni e le azioni, i discorsi sono meno persuasivi delle opere. Cfr. sopra, I XIII 4",1172 a 34-6,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT SCRIBA EIUS LUCAS TESTATUR,"Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare <i>Augusto</i>, ut describeretur universus orbis; cfr. sopra, II VIII 14 ed <i>Ep</i> VII [3] 14, e v. ancora Manlio Pastore Stocchi, <i>Augusto</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 449-50, e Cremascoli 2011, p. 39, nota 36","Lc 2, 1: Factum est autem, in diebus illis exiit edictum a Caesare Augusto, ut describeretur universus orbis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta <i>Kay</i> osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di <i>singulari</i>, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (<i>Vinay</i>, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (<i>Nardi</i>): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e <i>Cassell</i>, ma è usato anche da <i>Pézard</i> e dalla Gally 1993; <i>Imbach</i>, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). <i>Vinay</i> cita in questo luogo estesamente un passo del <i>Tractatus super Romano Imperio</i> di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo <i>Memoriale de prerogativa Imperii Romani</i> indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". <i>Nardi</i>, che legge il <i>Memoriale</i> nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli <i>Staatsschriften des späteren Mittelalters</i>, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il <i>Tractatus</i>, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede <i>Kay</i>, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". <i>Kay</i> indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, <i>Historie adversus Paganos</i>, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. <i>Furlan</i> nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla <i>Monarchia</i>"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata <i>Sine nomine</i> 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della <i>Monarchia</i> dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).","un passo del Tractatus super Romano Imperio di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo Memoriale de prerogativa Imperii Romani indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Memoriale_de_prerogativa_Imperii_Romani(Alessandro_di_Roes),Memoriale de prerogativa Imperii Romani,Alessandro di Roes,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alessandro_di_Roes,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta <i>Kay</i> osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di <i>singulari</i>, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (<i>Vinay</i>, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (<i>Nardi</i>): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e <i>Cassell</i>, ma è usato anche da <i>Pézard</i> e dalla Gally 1993; <i>Imbach</i>, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). <i>Vinay</i> cita in questo luogo estesamente un passo del <i>Tractatus super Romano Imperio</i> di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo <i>Memoriale de prerogativa Imperii Romani</i> indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". <i>Nardi</i>, che legge il <i>Memoriale</i> nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli <i>Staatsschriften des späteren Mittelalters</i>, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il <i>Tractatus</i>, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede <i>Kay</i>, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". <i>Kay</i> indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, <i>Historie adversus Paganos</i>, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. <i>Furlan</i> nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla <i>Monarchia</i>"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata <i>Sine nomine</i> 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della <i>Monarchia</i> dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).",VI 22 6-8,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Historiae_adversus_paganos,Historiae adversus paganos,Orosio,http://dbpedia.org/resource/Orosius,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK ILLA SINGULARI GENERIS HUMANI DESCRIPTIONE,"""in quella singulare discritione della generatione humana"" (Ficino); ""in quella singhulare descripzione della umana natura"" (Anonimo). Così traducono anche Sanguineti 1985 e Livi 2002: ""singolare"", ""singulier"". Commenta <i>Kay</i> osservando che molti traduttori hanno qui evitato il senso letterale di <i>singulari</i>, concedendo a Dante il senso di ""eccezionale"" (<i>Vinay</i>, Pizzica 1988) o ""memorabile"" (<i>Nardi</i>): ""I have preferred the ambiguity of “unique”, which can mean “unusual” or “notable”"". ""Unique"" è nelle traduzioni di Shaw 1996 e <i>Cassell</i>, ma è usato anche da <i>Pézard</i> e dalla Gally 1993; <i>Imbach</i>, Marcelli-Martelli 2004 hanno ""straordinario"", ""besonderen""; Ronconi 1966 ""d’eccezione"". In realtà “singolare” è, per Dante, il carattere ecumenico del censimento, che coincide con l’incarnazione (l’umanità censita comprende in sé il suo Creatore). <i>Vinay</i> cita in questo luogo estesamente un passo del <i>Tractatus super Romano Imperio</i> di Giordano da Osnabrück († 1283), incorporato da Alessandro di Roes nel suo <i>Memoriale de prerogativa Imperii Romani</i> indirizzato a Jacopo e Pietro Colonna, gli avversari di Bonifacio VIII (pp. 12-3): ""In ingressu suo Dominus approbavit et honoravit romanum Imperium, mox ut natus est censui Cesaris se subdendo. Unde Augustinus in glosa super evangelium Luce sic dicit: ‘humilitas Christi commendatur, quia non solum incarnari voluit, sed etiam illo tempore nasci, in quo natus mox censui Cesaris subderetur’. Natus est enim in diebus professionis quando singuli ibant in suas civitates, unde oriundi erant, ut profiterentur tribum suam, censum et regem. Sic ergo Dominus mundum ingrediens dupliciter honoravit romanum Imperium sive Cesarem, et universum mundum ministerio Cesaris pacando et censui Cesaris se subiciendo"". <i>Nardi</i>, che legge il <i>Memoriale</i> nelle opere di Alessandro di Roes comprese negli <i>Staatsschriften des späteren Mittelalters</i>, I, 1, nell’ed. Grundmann – Heimpel, pp. 95-6 per il <i>Tractatus</i>, sottolinea l’amicizia di Dante con i Colonna, ma non suggerisce che Dante possa aver appreso questo tema dal contatto con i cardinali ribelli a Bonifacio VIII, come crede <i>Kay</i>, ché anzi dice che ""le idee circolano anche senza libri"". <i>Kay</i> indica invece come fonte più probabile (e comune a Dante e a Giordano) Orosio, <i>Historie adversus Paganos</i>, VI 22 6-8: ""Eodem quoque anno tunc primum idem Caesar, quem his tantis mysteriis praedestinaverat Deus, censum agi singularum ubique provinciarum et censeri omnes homines iussit, quando et Deus homo videri et esse dignatus est. Tunc igitur natus est Christus, Romano censui statim adscriptus ut natus est. Haec est prima illa clarissima professio, quae Caesarem omnium principem Romanosque rerum dominos singillatim cunctorum hominum edita adscriptione signavit, in qua se et ipse, qui conctos homines fecit, inveniri hominem adscribique inter homines voluit: quod penitus numquam ab Orbe condito atque ab exordio generis humani in hunc modum ne Babylonio quidem vel Macedonico, ut non dicam minori cuiquam regno concessum fuit. Nec dubium, quin omnium cognitioni fidei inspectionique pateat, quia Dominus noster Iesus Christus hanc urbem nutu suo auctam defensamque in hunc rerum apicem provexerit, cuius potissime voluit esse cum venit, dicendus utique civis Romanus census professione Romani"". Nessun dubbio che Dante avesse in mente Orosio; ma prima che a Orosio bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino, il cui commento sta accanto al luogo di Luca in forma di glossa ordinaria alla Scrittura, come lo stesso Giordano da Osnabrück ha cura di riportare. <i>Furlan</i> nota che ""Cola inserisce qui la più lunga delle sue glosse alla <i>Monarchia</i>"". E il nome di Cola non può non richiamare quello del Petrarca e della già ricordata <i>Sine nomine</i> 4, scritta appunto a difesa di Cola di Rienzo e fitta di echi della <i>Monarchia</i> dantesca: ""Quo potissimum tempore amator pacis ac iustitie nasci Deus ex virgine terrasque visitare dignatus est!"" (ed. Dotti 1974, p. 42).","bisogna pensare alla fonte a tutti più comune, e cioè ad Agostino",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,CONCEPT ET SI ROMANUM IMPERIUM DE IURE NON FUIT,"de iure (per ragione nel volgarizzamento ficiniano, p. 375; di ragione in quello dell’Anonimo) è, al solito, variamente tradotto dagli interpreti più recenti: di diritto, von Rechts, de droit, based on right, lawful, ecc. Canning 2011, pp. 68-9 e nota 20, scrive che Dante produced the extraordinary argument that for the atonement to be valid, Christ had to be condemned and punished by a judge appointed by legitimate, universal authority, namely the Emperor Tiberius [...]. This was a theologically idiosyncratic view to say the least: one which went against theological orthodoxy and was rapidly condenmned by his opponents, as for instance Guido Vernani showed. Dante of course considered that he had thereby produced an irrefutable argument in the emperor’s favour, but in this he seemed to have been alone. In this use of the Bible as sacred history he was going out on a limb far beyond the traditional providential view. Per gli stretti punti di contatto di questo passaggio con il <i>Defensor pacis</i> di Marsilio da Padova v. Garnett 2006, pp. 75-6. Scrive <i>Nardi</i> a commento, p. 430 (con riferimento a Remigio de’ Girolami, ed. Matteini 1958, pp. 108-9, e allo stesso <i>Nardi</i> 1966c, pp. 377-85): questo capitolo xi, conclusivo del secondo libro dantesco, ha fatto perdere addirittura la testa al “più antico oppositore politico” di Dante, che, appena enunciata la tesi dantesca, esclama: “Hic iste homo copiosissime deliravit et, ponendo os in celum, lingua eius transivit in terra [<i>Ps</i>., 72, 9]. Quis enim unquam tam turpiter erravit ut diceret quod pena debita pro peccato originali potestati alicuius terreni iudicis subiaceret?",Per gli stretti punti di contatto di questo passaggio con il Defensor pacis di Marsilio da Padova,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK CUM DICAT APOSTOLUS,"Eph 1, 5-8. La Vulgata ha in laudem gloriae gratiae suae invece di <i>in laudem et gloriam gratie sue</i>, e inoltre divitias gratiae eius in luogo di divitias glorie sue","Eph 1, 5-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK "‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe <i>iniuria</i>, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica <i>De penis reorum</i> del <i>Tractatus maleficiorum</i> di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce <i>Gandino, Alberto</i>, in <i>DBI</i>, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): <i>Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis</i> (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo <i>de verborum significatione</i> del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (<i>Dig</i>. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che <i>iniuria</i>, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo <i>de iniuriis</i> delle Istituzioni e del Digesto (<i>Inst</i>. 4, 4, pr. e <i>Dig</i>. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (<i>Dig</i>. 47, 10, 13, § 1, p. 781). <i>Vinay</i>, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 67, a. 1, <i>Resp</i>.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. <i>Iniuria</i> è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” <i>Nardi</i>, Pizzica 1988, <i>Kay</i> e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht <i>Pézard</i>, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, <i>Imbach</i> e <i>Cassell</i>; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’",ubrica De penis reorum del Tractatus maleficiorum,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tractatus_de_maleficiis(Alberto_Gandino),Tractatus de maleficiis,Alberto Gandino,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alberto_Gandino,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe <i>iniuria</i>, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica <i>De penis reorum</i> del <i>Tractatus maleficiorum</i> di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce <i>Gandino, Alberto</i>, in <i>DBI</i>, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): <i>Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis</i> (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo <i>de verborum significatione</i> del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (<i>Dig</i>. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che <i>iniuria</i>, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo <i>de iniuriis</i> delle Istituzioni e del Digesto (<i>Inst</i>. 4, 4, pr. e <i>Dig</i>. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (<i>Dig</i>. 47, 10, 13, § 1, p. 781). <i>Vinay</i>, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 67, a. 1, <i>Resp</i>.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. <i>Iniuria</i> è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” <i>Nardi</i>, Pizzica 1988, <i>Kay</i> e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht <i>Pézard</i>, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, <i>Imbach</i> e <i>Cassell</i>; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe <i>iniuria</i>, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica <i>De penis reorum</i> del <i>Tractatus maleficiorum</i> di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce <i>Gandino, Alberto</i>, in <i>DBI</i>, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): <i>Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis</i> (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo <i>de verborum significatione</i> del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (<i>Dig</i>. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che <i>iniuria</i>, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo <i>de iniuriis</i> delle Istituzioni e del Digesto (<i>Inst</i>. 4, 4, pr. e <i>Dig</i>. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (<i>Dig</i>. 47, 10, 13, § 1, p. 781). <i>Vinay</i>, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 67, a. 1, <i>Resp</i>.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. <i>Iniuria</i> è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” <i>Nardi</i>, Pizzica 1988, <i>Kay</i> e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht <i>Pézard</i>, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, <i>Imbach</i> e <i>Cassell</i>; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 47, 10, 13, § 1, p. 781",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe <i>iniuria</i>, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica <i>De penis reorum</i> del <i>Tractatus maleficiorum</i> di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce <i>Gandino, Alberto</i>, in <i>DBI</i>, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): <i>Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis</i> (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo <i>de verborum significatione</i> del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (<i>Dig</i>. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che <i>iniuria</i>, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo <i>de iniuriis</i> delle Istituzioni e del Digesto (<i>Inst</i>. 4, 4, pr. e <i>Dig</i>. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (<i>Dig</i>. 47, 10, 13, § 1, p. 781). <i>Vinay</i>, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 67, a. 1, <i>Resp</i>.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. <i>Iniuria</i> è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” <i>Nardi</i>, Pizzica 1988, <i>Kay</i> e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht <i>Pézard</i>, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, <i>Imbach</i> e <i>Cassell</i>; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Dig. 47, 10, 1,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe <i>iniuria</i>, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica <i>De penis reorum</i> del <i>Tractatus maleficiorum</i> di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce <i>Gandino, Alberto</i>, in <i>DBI</i>, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): <i>Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis</i> (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo <i>de verborum significatione</i> del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (<i>Dig</i>. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che <i>iniuria</i>, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo <i>de iniuriis</i> delle Istituzioni e del Digesto (<i>Inst</i>. 4, 4, pr. e <i>Dig</i>. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (<i>Dig</i>. 47, 10, 13, § 1, p. 781). <i>Vinay</i>, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 67, a. 1, <i>Resp</i>.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. <i>Iniuria</i> è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” <i>Nardi</i>, Pizzica 1988, <i>Kay</i> e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht <i>Pézard</i>, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, <i>Imbach</i> e <i>Cassell</i>; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","Inst. 4, 4, pr.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "‘PUNITIO’ NON EST, SED POTIUS ‘INIURIA’ EST DICENDA","perché la pena sia tale di diritto, ché altrimenti sarebbe <i>iniuria</i>, ingiustizia, occorre che essa sia inflitta dal giudice competente, da colui che legittimamente esercita il potere di punire come giudice ordinario. La definizione di Dante sembra quasi tolta di peso dalla rubrica <i>De penis reorum</i> del <i>Tractatus maleficiorum</i> di Alberto Gandino, il celebre pratico suo contemporaneo (v. Kantorowicz 1907 e 1926; per la biografia v. la mia voce <i>Gandino, Alberto</i>, in <i>DBI</i>, LII, 1999, pp. 620-4; per il suo posto nella storia della prima criminalistica di diritto comune cfr. anche Quaglioni 1999a e Minnucci 2000): <i>Pena autem est delicti vel pro delicto satisfactio, que propter delicta imponitur a lege vel ministro legis</i> (ed. Kantorowicz 1907, § 1, p. 209). Comunque sia essa dev’essere ricondotta alla definizione ulpianea poena est noxae vindicta, nel titolo <i>de verborum significatione</i> del Digesto, accompagnata dalla precisazione che irrogare la pena spetta a chi ha competenza ad amministrare la giustizia penale: poenam autem unusquisque inrogare potest, cui huius criminis sive delicti exsecutio competit (<i>Dig</i>. 50, 16, 131, pr. e § 1: Mommsen-Krüger, I, p. 862). Allo stesso modo occorre ricordare che <i>iniuria</i>, in un’altra definizione di Ulpiano conservata nel titolo <i>de iniuriis</i> delle Istituzioni e del Digesto (<i>Inst</i>. 4, 4, pr. e <i>Dig</i>. 47, 10, 1, pr.: ivi, p. 48; p. 779), è omne, quod non iure fit, e che sempre secondo Ulpiano iuris executio non habet iniuriam (<i>Dig</i>. 47, 10, 13, § 1, p. 781). <i>Vinay</i>, traducendo non si deve parlare di punizione ma piuttosto di violazione del diritto, cita Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 67, a. 1, <i>Resp</i>.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam. <i>Iniuria</i> è variamente inteso dagli interpreti: ricalcano “ingiuria”, an “injury” <i>Nardi</i>, Pizzica 1988, <i>Kay</i> e Marcelli-Martelli 2004; scelgono injustice, ‘ingiustizia’, Unrecht <i>Pézard</i>, Sanguineti 1985, Gally 1993, Livi 2002, <i>Imbach</i> e <i>Cassell</i>; Ronconi 1966 sceglie sopraffazione; Shaw 1996 opta per a ‘wrong’","IIa-IIae, q. 67, a. 1, Resp.: Potestatem autem coactivam non habet licite in rebus humanis nisi ille qui fungitur publica potestate. Et qui ea funguntur superiores reputantur respectu eorum in quos, sicut in subditos, potestatem accipiunt: sive habeant ordinarie, sive per commissionem. Et ideo manifestum est quod nullus potest iudicare aliquem nisi sit aliquo modo subditus eius, vel per commissionem vel per potestatem ordinariam.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK UNDE DICEBAT ILLE MOYSI,"<i>Ex</i> 2, 14: ""Quis te constituit principem et iudicem super nos?""","Ex 2, 14: Quis te constituit principem et iudicem super nos?",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Exodus,Esodo,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK ILLA PENA PUNITIO NON FUISSET,"Vinay, ricordando che il Vernani della <i>Reprobatio</i> (ed. Matteini 1958, p. 28) osserva ""che la sola cosa che conta è che Cristo abbia obbedito al Padre fino alla morte e alla morte in croce"" (come in Paolo, <i>Ph</i> 2, 8), giudica ""nuovo e paradossale nella sua forma l’argomento dantesco""; cita tuttavia un significativo passo del già menzionato <i>Tractatus super Romano Imperio</i> di Giordano da Osnabrück (ed. Grundmann, p. 14 = ed. Grundmann – Heimpel, pp. 97-8; cfr. sopra, II X 6): ""Dominus morte instante approbavit et honoravit romanum Imperium; dum enim Pylatus iactaret se de potestate quam habeet in Christum et diceret ei: ‘nescis quia potestatem habeo crucifigere et dimittere te?’ Dominus, ut dicit Iohannes, respondit: ‘non haberes ullam potestatem adversus me nisi datum esset tibi desuper’. Quod, secundum glosam, duobus modis exponitur. Uno modo sic: desuper, id est a Deo, quia non est potestas nisi a Deo; vel: desuper id est a Cesare, qui Pylatum prefecerat in presidem. Unde super verbis hiis ‘si hunc dimittis, non es amicus Cesaris’, dicit glosa: ‘Iudei terrent Pylatum a Cesare quem non potest ut auctorem sue potestatis contempnere’. Deus enim fuit auctor potestati Pylati primarius, Cesar autem fuit auctor sue potestatis secundarius. Secundum hunc posteriorem intellectum Dominus in verbis istis multum commendat romanum Imperium. Ostendit enim potestatem Cesaris aliis potestatibus mundanis preeminere et ipsas sub eo contineri. Quid est enim potestatem dari desuper nisi dari ab eo cuius supereminet potestas et alias potestates mundanas tamquam inferiores et minores sub se continet et includit?""","Ph 2, 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Philippians,Epistola ad Philippenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK ILLA PENA PUNITIO NON FUISSET,"Vinay, ricordando che il Vernani della <i>Reprobatio</i> (ed. Matteini 1958, p. 28) osserva ""che la sola cosa che conta è che Cristo abbia obbedito al Padre fino alla morte e alla morte in croce"" (come in Paolo, <i>Ph</i> 2, 8), giudica ""nuovo e paradossale nella sua forma l’argomento dantesco""; cita tuttavia un significativo passo del già menzionato <i>Tractatus super Romano Imperio</i> di Giordano da Osnabrück (ed. Grundmann, p. 14 = ed. Grundmann – Heimpel, pp. 97-8; cfr. sopra, II X 6): ""Dominus morte instante approbavit et honoravit romanum Imperium; dum enim Pylatus iactaret se de potestate quam habeet in Christum et diceret ei: ‘nescis quia potestatem habeo crucifigere et dimittere te?’ Dominus, ut dicit Iohannes, respondit: ‘non haberes ullam potestatem adversus me nisi datum esset tibi desuper’. Quod, secundum glosam, duobus modis exponitur. Uno modo sic: desuper, id est a Deo, quia non est potestas nisi a Deo; vel: desuper id est a Cesare, qui Pylatum prefecerat in presidem. Unde super verbis hiis ‘si hunc dimittis, non es amicus Cesaris’, dicit glosa: ‘Iudei terrent Pylatum a Cesare quem non potest ut auctorem sue potestatis contempnere’. Deus enim fuit auctor potestati Pylati primarius, Cesar autem fuit auctor sue potestatis secundarius. Secundum hunc posteriorem intellectum Dominus in verbis istis multum commendat romanum Imperium. Ostendit enim potestatem Cesaris aliis potestatibus mundanis preeminere et ipsas sub eo contineri. Quid est enim potestatem dari desuper nisi dari ab eo cuius supereminet potestas et alias potestates mundanas tamquam inferiores et minores sub se continet et includit?""",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Memoriale_de_prerogativa_Imperii_Romani(Alessandro_di_Roes),Memoriale de prerogativa Imperii Romani,Alessandro di Roes,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alessandro_di_Roes,http://purl.org/bncf/tid/9645,WORK IUDEX ORDINARIUS,"sembrerebbe di cogliere qui un’assonanza con la definizione della giurisdizione ordinaria come giurisdizione “totale”, che si legge nella <i>Summa Decretalium</i> di Bernardo da Pavia, I, 21 (<i>De officio et potestate iudicis delegati</i>), § 1, p. 16: Ordinarius iudex est qui in ecclesiasticis ab Apostolico, in secularibus ab Imperatore totalem quandam habet iurisdictionem","I, 21 (De officio et potestate iudicis delegati), § 1, p. 16: Ordinarius iudex est qui in ecclesiasticis ab Apostolico, in secularibus ab Imperatore totalem quandam habet iurisdictionem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretalium(Bernardo_da_Pavia),Summa decretalium,Bernardo da Pavia,http://dbpedia.org/resource/Bernardus_Papiensis,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SICUT ET CAYPHAS ... DE CELESTI DECRETO,"è allusione alla profezia di Caifa in <i>Io</i> 11, 49-52: Unus autem ex ipsis Caiphas nomine, cum esset pontifex anni illius, dixit eis: Vos nescitis quidquam nec cogitatis quia expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo, et non tota gens pereat. Hoc autem a semetipso non dixit; sed, cum esset pontifex anni illius, <i>prophetavit</i> quod Iesus moriturus erat pro gente et non tantum pro gente, sed ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum. Cfr. Pietro Mazzamuto, <i>Caifas</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, pp. 751-2. Rinviando a quanto già detto in <i>Nardi</i> 1966c, pp. 383-4, lo stesso <i>Nardi</i> sottolinea che a questo <i>prophetavit</i> di Caifa il Vernani non ha fatto attenzione. Dante invece costruisce la fine del secondo libro proprio su questa arcana parola","Io 11, 49-52",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK UT LUCAS IN EVANGELIO SUO TRADIT,"come Santo Lucha parla inel Vangielio <i>suo</i> (Anonimo); Ficino invece ha come parla Lucha nel <i>suo</i> Vangelio. Cfr. <i>Lc</i> 23, 11: Sprevit autem illum Herodes cum exercitu <i>suo</i> et illusit indutum veste alba, et remisit ad Pilatum. La variante <i>in <i>suo</i> Euangelio</i> è testimoniata dalla <i>princeps</i> K e da F; D T omettono suo","Lc 23, 11: Sprevit autem illum Herodes cum exercitu suo et illusit indutum veste alba, et remisit ad Pilatum",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK O AUSONIAM TE GLORIOSAM,"col virgiliano <i>Ausonia</i> (<i>Aen</i>. I 421-2) Dante indica qui l’intiera penisola italiana (cfr. <i>Pd</i> VIII 61-2: e quel corno d’<i>Ausonia</i> che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona). Cfr. Clara Kraus, <i>Ausonia</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, p. 452. <i>Kay</i> nota che l’enfasi sull’Italia è relativa agli effetti della donazione di Costantino, che consegnava al pontefice romano tam palatium ... quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates. Così nella <i>palea</i> <i>Constantinus</i> del <i>Decretum Gratiani</i>: c. 14 [§ 6], D. XCVI (Friedberg, I, col. 344 = <i>Constitutum Constantini</i>, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93), per la quale v. oltre, III X 1",Aen. I 421-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Aeneid,Aeneis,Virgilio,http://dbpedia.org/resource/Virgil,http://purl.org/bncf/tid/21865,WORK O AUSONIAM TE GLORIOSAM,"col virgiliano <i>Ausonia</i> (<i>Aen</i>. I 421-2) Dante indica qui l’intiera penisola italiana (cfr. <i>Pd</i> VIII 61-2: e quel corno d’<i>Ausonia</i> che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona). Cfr. Clara Kraus, <i>Ausonia</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, p. 452. <i>Kay</i> nota che l’enfasi sull’Italia è relativa agli effetti della donazione di Costantino, che consegnava al pontefice romano tam palatium ... quam Romanam urbem, et omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca et ciuitates. Così nella <i>palea</i> <i>Constantinus</i> del <i>Decretum Gratiani</i>: c. 14 [§ 6], D. XCVI (Friedberg, I, col. 344 = <i>Constitutum Constantini</i>, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93), per la quale v. oltre, III X 1","c. 14 [§ 6], D. XCVI",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK CONCLUSIT ORA LEONUM ... QUIA CORAM EO IUSTITIA INVENTA EST IN ME,"Dn 6, 22 (ripetuto più oltre, III I 3). Per il solenne esergo con le parole di <i>Daniele</i>, da cui D. attinge la forza di dire la verità benché sappia che gli avversari l’attaccheranno: Dio proteggerà Dante, v. Vincent Truijen, <i>Daniele</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 303, e ora più in generale Cremascoli 2011, p. 40 e nota 40. <i>Vinay</i> avverte che neppure questa citazione biblica era nuova nella pubblicistica dei tempi di Dante, come esempio degli interventi miracolosi di Dio nel governo del mondo, e cita in proposito Egididio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, III 3, aggiungendo: Ma lo scopo di D. è diverso: egli dirà parole dure per gli uomini di chiesa, prima di scendere in lizza vuole perciò affermare solennemente la sua consapevolezza di difendere la causa della giustizia e della verità, la sua ferma decisione di difenderla ad ogni costo, la sua fiducia piena nel soccorso divino. Tutto il capitolo mantiene il tono sostenuto dell’inizio, preannunzia la solenne profezia di Cacciaguida (<i>Par</i>., XVII) e richiama la canzone <i>Tre donne intorno al cor</i>: siamo nell’atmosfera dei grandi canti della giustizia e della fierezza di D.. Stupisce perciò che lo stesso <i>Vinay</i> s’interroghi subito dopo sul motivo di tanta solennità. <i>Furlan</i> avverte che Ficino ha Io ò chiuso le bocche a’ lioni [...], curiosamente in prima persona; ma non c’è nulla di curioso nella prima persona, sia perché l’identificazione tra <i>Daniele</i> e Dante è qui implicita, sia perché sono diversi i codici ? che leggono <i>conclusi</i> (A2 D E M S U); più chiaro ancora il volgarizzameno dell’Anonimo, che esplicita la lezione del proprio codice: “<i>Conclusi ora leonum</i>. Chonclusi le bocche de’ leoni et non mi nociettero, però che inanzi a•llui la giustizia è trovata in me”. Se inoltre è vero, com’è vero, che anche il carattere pedissequo del volgarizzamento dell’Anonimo può essere rivelatore dei suoi rapporti con la tradizione manoscritta, si noterà la coincidenza con la lezione di D, che inverte <i>iusticia est inventa</i> (A2 legge <i>inventa est iusticia</i>). Né Ricci 1965 né Shaw 2009 registrano queste varianti; la sola lezione <i>Conclusi</i> è invece nell’apparato di Bertalot 1920, p. 73, con l’esclusione dei codici S U, a lui sconosciuti; e v. la <i>Word Collation</i> nell’edizione elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006)","Dn 6, 22",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","Pv 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium.",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","Parabolae Salomonis che, dopo la sezione iniziale dei Proverbi, incominciano al capitolo 10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","Pv 1, 18 e 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","Pv 5, 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","Pv 8, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","Ps 7, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","12, 3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SALOMON ETIAM SILVAM PROVERBIORUM INGREDIENS,"cfr. <i>Pv</i> 8, 7: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium. Sembra nel giusto <i>Kay</i>, quando riferisce l’<i>ingrediens</i> alla vicinanza del luogo ricordato con le <i>Parabolae Salomonis</i> che, dopo la sezione iniziale dei <i>Proverbi</i>, incominciano al capitolo 10, e non all’apertura dell’intiera raccolta. <i>Vinay</i> stima che Dante citi a memoria e indica il luogo scritturale come ipotesi; Ricci 1965 pensa a echi diversi della Scrittura, dal luogo già ricordato a <i>Pv</i> 1, 18 e 22 fino a <i>Ps</i> 7, 16; Pizzica 1988 ritiene non del tutto probanti i paralleli che si sono stabiliti con il libro dei <i>Proverbi</i> e tuttavia stima che si possa tentare un riscontro con 5, 22; 8, 7 e 12, 3; <i>Imbach</i> rinvia più in generale a <i>Pv</i> 1 e 8, 3-11.","Pv 1 e 8, 3-11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK PRECEPTOR MORUM PHYLOSOPHUS,"il comandatore de’ costumi, il Filosafo (Anonimo); el preceptore de’ costumi, Aristotile (Ficino); cfr. <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1096 a 14-7: Ma può sembrare meglio e doveroso, per salvaguardare la verità, anche sacrificare i sentimenti personali, dal momento che noi siam pure filosofi: pur essendoci care entrambe le cose, gli amici e la verità, è dovere morale preferire la verità. Cfr. <i>Cv</i> IV VIII 15: E da questo fallo si guardò quello maestro delli filosofi, Aristotile, nel principio dell’Etica quando dice: “Se due sono li amici, e l’uno è la verità, alla verità è da consentire”; <i>Pd</i> XVII 118-20: “e s’io al vero son timido amico, / temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico” (col commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 490); <i>Ep</i> XI [5] 11: Habeo preter hec preceptorem Phylosophum qui, cuncta moralia dogmatizans, amicis omnibus veritatem docuit preferendam; per Aristotele maestro di filosofia morale cfr. <i>Cv</i> IV VI 15",1096 a 14-7,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK DE VERBIS DANIELIS PREMISSIS,"<i>Dn</i> 6, 22; cfr. sopra, III I 1","Dn 6, 22",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK DIVINA POTENTIA CLIPEUS DEFENSORUM VERITATIS ASTRUITUR,"cfr. <i>Pv</i> 30, 5: Omnis sermo Dei ignitus, clipeus est sperantibus in se","Pv 30, 5: Omnis sermo Dei ignitus, clipeus est sperantibus in se",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Proverbs,Libro dei Proverbi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK IUXTA MONITIONEM PAULI FIDEI LORICAM INDUENS,"cfr. <i>1 Th</i> 5, 8: Nos autem, qui diei sumus, sobrii simus induti loricam fidei et caritatis et galeam spem salutis","1 Th 5, 8: Nos autem, qui diei sumus, sobrii simus induti loricam fidei et caritatis et galeam spem salutis",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_Timothy,Prima lettera a Timoteo,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK IN CALORE CARBONIS ILLIUS ... TETIGIT LABIA YSAIE,"cfr. <i>Is</i> 6, 6-9: Et volavit ad me unus de seraphim et in manu eius calculus, quem forcipe tulerat de altari, et tetigit os meum et dixit: Ecce tetigit hoc labia tua, et auferetur iniquitas tua, et peccatum tuum mundabitur: Et audivi vocem Domini dicentis: Quem mittam? et quis ibit nobis? Et dixi: Ecce ego, mitte me. Commenta felicemente <i>Vinay</i>: Siamo in piena atmosfera profetica. Isaia vede il Signore ed è tormentato al pensiero di averlo visto “pollutus labiis”, un serafino lo purifica con un carbone ardente e Dio lo manda al suo popolo. Nel momento di affrontare l’ultima battaglia con le armi della dialettica D. sogna in cuor suo una investitura soprannaturale: resiste all’invito di più alto volo e col cap. 2 il trattato torna al tono consueto, ma le pupille del “loico” sembrano appena rideste da un gran sogno di poesia","Is 6, 6-9",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Isaiah,Libro di Isaia,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. <i>Col</i> 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; <i>Kay</i> segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche <i>Ps</i> 76, 16, <i>Lc</i> 1, 5 e 22, 20, <i>Ap</i> 1, 5","Col 1, 13",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Colossians,Epistola ad Colossenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. <i>Col</i> 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; <i>Kay</i> segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche <i>Ps</i> 76, 16, <i>Lc</i> 1, 5 e 22, 20, <i>Ap</i> 1, 5","Ps 76, 16,",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. <i>Col</i> 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; <i>Kay</i> segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche <i>Ps</i> 76, 16, <i>Lc</i> 1, 5 e 22, 20, <i>Ap</i> 1, 5","Lc 1, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. <i>Col</i> 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; <i>Kay</i> segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche <i>Ps</i> 76, 16, <i>Lc</i> 1, 5 e 22, 20, <i>Ap</i> 1, 5","Lc 22, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK IN BRACHIO ILLIUS QUI NOS DE POTESTATE TENEBRARUM LIBERAVIT,"cfr. <i>Col</i> 1, 13: eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in regnum Filii dilectionis suae; <i>Kay</i> segnala come luoghi scritturali paralleli al testo dantesco anche <i>Ps</i> 76, 16, <i>Lc</i> 1, 5 e 22, 20, <i>Ap</i> 1, 5","Ap 1, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK INTER DUO LUMINARIA MAGNA VERSATUR,"Sulla soglia della terza e più scottante “questio”, D. anticipa il classico argomento guelfo dei due “luminari”. Nell’entusiasmo del prologo, scritto con tutta l’anima, dimentica l’impassibilità del ragionatore e nella stessa formulazione del problema ne propone la soluzione: “duo luminaria magna”, foggiata com’è la frase, ricorda più i “due soli” di <i>Purg</i>., XVI, 107 che il sole e la luna tradizionali (<i>Vinay</i>). Per la metafora politica del sole e della luna, tratta da <i>Gn</i> 1, 16 e forse già adombrata sopra, I XI 5, cfr. più avanti, III IV 2 e 17-22; III XVI 18; oltre che in <i>Ep</i> V [10] 30 (splendor minoris luminaris); VI [2] 8 (Cur apostolice monarchie similiter invidere non libet, ut si Delia geminatur in celo, geminetur et Delius?); XI [10] 21 (Romam urbem, nunc utroque lumine destitutam), con le voci <i>Luna</i>, di Marcello Aurigemma, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 732-4 e <i>Sole</i>, di Giorgio Stabile (<i>Temi di simbologia solare in Dante</i>) e di Emmanuel Poulle (<i>Il pianeta sole</i>), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4. Su questo punto – senz’altro il più noto e discusso del trattato – mi limito per ora a ricordare Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, con la revisione critica di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82)","Gn 1, 16",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SICUT IN SUPERIORIBUS EST PERACTUM,"cfr. sopra, I II 4. <i>Nardi</i> vi sottolinea il richiamo al <i>principium inquisitionis directivum</i> di I III 2 (e cfr. II II 1), come radice dei “termini medi” [...], cioè degli argomenti da assumere per la determinazione di essa [ricerca], con rimando alle <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6); concordano Pizzica 1988 e <i>Kay</i>, che allegano anche Aristotele, <i>Analytica priora</i>, 25 b 37 – 26 a 1, e <i>Cassell</i> Cfr. sopra, I III 1, con la voce di Alfonso Maierù, <i>Principio</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 676","IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK SICUT IN SUPERIORIBUS EST PERACTUM,"cfr. sopra, I II 4. <i>Nardi</i> vi sottolinea il richiamo al <i>principium inquisitionis directivum</i> di I III 2 (e cfr. II II 1), come radice dei “termini medi” [...], cioè degli argomenti da assumere per la determinazione di essa [ricerca], con rimando alle <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, IV 3 e V 2 (ed. de Rijk, pp. 43-4 e 55-6); concordano Pizzica 1988 e <i>Kay</i>, che allegano anche Aristotele, <i>Analytica priora</i>, 25 b 37 – 26 a 1, e <i>Cassell</i> Cfr. sopra, I III 1, con la voce di Alfonso Maierù, <i>Principio</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 676",25 b 37 – 26 a 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK ILLUD QUOD NATURE ... DEUS NOLIT,"se <i>Nardi</i> si appella qui a Pietro Ispano, <i>Summulae logicales</i>, V 36, <i>Vinay</i> fa di questo passo (il principio che Dio non vuole quel che ripugna all’intenzione della natura) la spina dorsale del libro e non semplicemente una lustra logica per dare unità ad un discorso frammentario: In realtà si tratta di una presa di posizione assai meditata: “natura”, tutto sommato, vuol dire qui “ragione”. E fin qui bene; ma poi aggiunge, non senza qualche forzatura: affrontando il problema dei rapporti fra spirituale e temporale D. si sforza di ragionare filosoficamente rinunciando del tutto alla metafisica e all’autorità. Mentre nei primi due libri i “principia” sono effettivamente dei trampolini logico-metafisici, qui il “principium” si risolve in un metodo",V 36,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK CIRCULI QUADRATURAM,"cfr. Aristotele, <i>Physica</i>, 185 a 14-7 e <i>Sophistici elenchi</i>, 171 b 15 – 172 a 8; con <i>Cv</i> II XIII 27 testé citato v. <i>Pd</i> XXXIII 133-6: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova",185 a 14-7,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK CIRCULI QUADRATURAM,"cfr. Aristotele, <i>Physica</i>, 185 a 14-7 e <i>Sophistici elenchi</i>, 171 b 15 – 172 a 8; con <i>Cv</i> II XIII 27 testé citato v. <i>Pd</i> XXXIII 133-6: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova","Sophistici elenchi, 171 b 15 – 172 a 8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK THEOLOGUS VERO,"cfr. <i>Cv</i> II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. <i>Pd</i> XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; <i>Pd</i> XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a <i>Dn</i> 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a <i>Dn</i> 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. <i>Ap</i> 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 92, a. 4, ad 2","Ap 5, 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Revelation,Apocalisse,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK THEOLOGUS VERO,"cfr. <i>Cv</i> II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. <i>Pd</i> XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; <i>Pd</i> XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a <i>Dn</i> 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a <i>Dn</i> 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. <i>Ap</i> 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 92, a. 4, ad 2","Dn 7, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Daniel,Libro di Daniele,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK THEOLOGUS VERO,"cfr. <i>Cv</i> II IV 15: Dunque se noi, per le ragioni di sopra e per molt’altre, intendiamo Iddio aver possuto fare innumerabili quasi creature spirituali, manifesto è lui questo avere fatto maggiore numero. Intorno al numero incommensurabile degli angeli v. <i>Pd</i> XXVIII 91-3: L’incendio suo seguiva ogne scintilla: / ed eran tante, che’ l numero loro / più che’ l doppiar de li scacchi s’immilla; <i>Pd</i> XXIX 130-5: Questa natura sì oltre s’ingrada / in numero, che mai non fu loquela / né concetto mortal che tanto vada; / e se tu guardi quel che si revela / per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia / determinato numero si cela (il riferimento non è a <i>Dn</i> 8, 5, come vorrebbe Ricci 1965, ma a <i>Dn</i> 7, 10: milia milium ministrabant ei, et decies milies centena milia adsistebant ei; e cfr. <i>Ap</i> 5, 11: et erat numerus eorum milia milium). Tra i molti luoghi tomisti cfr. a questo proposito <i>Summa Theologiae</i>, I, q. 92, a. 4, ad 2","I, q. 92, a. 4, ad 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK EGIPTIUS VERO CIVILITATEM SCITHARUM IGNORAT,"per gli <i>Sciti</i> v. sopra, I XIV 6 e II VIII 5-6, con la v. <i>Sciti</i> di Adolfo Cecilia, in <i>ED</i>, V, 1976, p. 81; sulla Scizia come esempio [...] che non si può disputare intorno a cose che non si conoscono v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I VIII 3, nel vol. I di questa edizione, p. 1203; per il significato di <i>civilitatem</i> v. ancora la nota di Tavoni a <i>VE</i> I IX 4, ivi, p. 1220, e sopra, I, II, 8. Cfr. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1112 a 24-32: Ma neppure si delibera [...] intorno a ciò che avviene ora in un modo ora in un altro, come la siccità o la pioggia. Neppure intorno alle cose che avvengono per caso [...]. Ma neppure intorno a tutte le cose umane: ad esempio nessuno degli Spartani potrebbe deliberare sul modo migliore in cui gli <i>Sciti</i> potrebbero governarsi. Sembra dubitare della pertinenza di questo riferimento Pizzica 1988; il dubbio è tutt’altro che chiarito da Kay",1112 a 24-32,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK RATIONIS INTUITUM VOLUNTATE PREVOLANTIBUS,"Shaw 2009 dissente dalla correzione introdotta da Ricci 1965 ed elogiata dallo stesso <i>Nardi</i> come liberazione del testo da un grave errore (p. 438); e cfr. Pizzica 1988, che parla di motivi giustissimi; e <i>Kay</i>, che si limita a parlare di un’emendazione introdotta correctly; di una lezione messa a testo con piena ragione parla ancora <i>Furlan</i>, mentre nello stesso volume Martelli traduce allontandosi dalla lezione di Ricci per tornare a quella del Ficino e del cod. Trivulziano: Martelli 2004, pp. 635-6 nota 6). Ricci infatti legge <i>rationis <i>intuitu</i> voluntatem prevolantibus</i> contro tutti gli editori moderni, che appoggiandosi al Ficino e al codice Trivulziano, preferirono <i>rationis intuitum voluntate</i> credendo che qui Dante voglia accennare agli uomini che sottomettono la ragione al desiderio, mentre, al contrario, Dante avrebbe inteso distinguere qui, come in <i>Cv</i> I IV 3, due grandi categorie di uomini: quelli che vivono secondo ragione, da quelli – e sono i più – che vivono secondo il senso, e perciò si sarebbe riferito agli uomini nei quali, normalmente, la volontà è guidata dalla ragione; per gli altri ogni discorso è inutile (Ricci 1965, p. 226, con rimando a quel che Dante dice dei bruti sopra, I XII 5). La Shaw ha modificato il proprio parere (cfr. Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, pp. 324-6) dietro le contestazioni di diversi studiosi (cfr. la v. <i>Volontà</i> di G. Stabile, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 1134-40: 1138; e Sasso 2002, p. 303 nota 13) e soprattutto dietro gli argomenti addotti da Falzone 2006. Scrive la Shaw: Le traduzioni medievali della sezione dell’<i>Etica</i> di Aristotele a cui le righe dantesche alludono chiaramente liberano la questione da ogni dubbio [...]. Il commento di Tommaso d’Aquino all’<i>Etica</i> [...] è altrettanto chiaro: “quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec <i>incontinentia</i> dicitur <i>praevolatio</i>, propter sui velocitatem qua anticipat consilium” (con apporto ulteriore della <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 156, a. 1, <i>Resp</i>., dove sono divisi due tipi d’<i>incontinentia</i>: Uno modo, quando anima passionibus cedit antequam ratio consilietur: quae quidem vocatur <i>irrefrenata <i>incontinentia</i>, vel praevolatio</i>. Alio modo, quando non permanet homo in his quae consiliata sunt, eo quod debiliter est firmatus in eo quod ratio iudicavit: unde et haec <i>incontinentia</i> vocatur <i>debilitas</i>). Ancora una volta perciò T ha la lezione corretta [...] e anzi è l’unico testimone che così legge insieme alla traduzione di Ficino: Agli huomini che volano collo appitito innanzi alla consideratione della ragione (pp. 379-80); non molto dissimile il volgarizzamento dell’Anonimo: Li huomini che proponghono la volontà alla ragione. La <i>princeps</i> K ha <i>intuitu</i> con tutti i codici ? e <i>uoluntatem</i> con la maggior parte degli stessi (cfr. Renello 2011, p. 156)","“quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec incontinentia dicitur praevolatio, propter sui velocitatem qua anticipat consilium”",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Ethicorum(Tommaso),Sententia libri Ethicorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK RATIONIS INTUITUM VOLUNTATE PREVOLANTIBUS,"Shaw 2009 dissente dalla correzione introdotta da Ricci 1965 ed elogiata dallo stesso <i>Nardi</i> come liberazione del testo da un grave errore (p. 438); e cfr. Pizzica 1988, che parla di motivi giustissimi; e <i>Kay</i>, che si limita a parlare di un’emendazione introdotta correctly; di una lezione messa a testo con piena ragione parla ancora <i>Furlan</i>, mentre nello stesso volume Martelli traduce allontandosi dalla lezione di Ricci per tornare a quella del Ficino e del cod. Trivulziano: Martelli 2004, pp. 635-6 nota 6). Ricci infatti legge <i>rationis <i>intuitu</i> voluntatem prevolantibus</i> contro tutti gli editori moderni, che appoggiandosi al Ficino e al codice Trivulziano, preferirono <i>rationis intuitum voluntate</i> credendo che qui Dante voglia accennare agli uomini che sottomettono la ragione al desiderio, mentre, al contrario, Dante avrebbe inteso distinguere qui, come in <i>Cv</i> I IV 3, due grandi categorie di uomini: quelli che vivono secondo ragione, da quelli – e sono i più – che vivono secondo il senso, e perciò si sarebbe riferito agli uomini nei quali, normalmente, la volontà è guidata dalla ragione; per gli altri ogni discorso è inutile (Ricci 1965, p. 226, con rimando a quel che Dante dice dei bruti sopra, I XII 5). La Shaw ha modificato il proprio parere (cfr. Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, pp. 324-6) dietro le contestazioni di diversi studiosi (cfr. la v. <i>Volontà</i> di G. Stabile, in <i>ED</i>, V, 1976, pp. 1134-40: 1138; e Sasso 2002, p. 303 nota 13) e soprattutto dietro gli argomenti addotti da Falzone 2006. Scrive la Shaw: Le traduzioni medievali della sezione dell’<i>Etica</i> di Aristotele a cui le righe dantesche alludono chiaramente liberano la questione da ogni dubbio [...]. Il commento di Tommaso d’Aquino all’<i>Etica</i> [...] è altrettanto chiaro: “quidam vero ducuntur a passione propter hoc quod non consiliantur, sed statim concupiscentia superveniente eam sequuntur, et haec <i>incontinentia</i> dicitur <i>praevolatio</i>, propter sui velocitatem qua anticipat consilium” (con apporto ulteriore della <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 156, a. 1, <i>Resp</i>., dove sono divisi due tipi d’<i>incontinentia</i>: Uno modo, quando anima passionibus cedit antequam ratio consilietur: quae quidem vocatur <i>irrefrenata <i>incontinentia</i>, vel praevolatio</i>. Alio modo, quando non permanet homo in his quae consiliata sunt, eo quod debiliter est firmatus in eo quod ratio iudicavit: unde et haec <i>incontinentia</i> vocatur <i>debilitas</i>). Ancora una volta perciò T ha la lezione corretta [...] e anzi è l’unico testimone che così legge insieme alla traduzione di Ficino: Agli huomini che volano collo appitito innanzi alla consideratione della ragione (pp. 379-80); non molto dissimile il volgarizzamento dell’Anonimo: Li huomini che proponghono la volontà alla ragione. La <i>princeps</i> K ha <i>intuitu</i> con tutti i codici ? e <i>uoluntatem</i> con la maggior parte degli stessi (cfr. Renello 2011, p. 156)","Ia-IIae, q. 156, a. 1, Resp.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK EX PATRE DYABOLO SUNT,"cfr. <i>Io</i> 8, 44: Vos ex patre diabolo estis et desideria patris vestri vultis facere. <i>Nardi</i> commenta: Questa seconda categoria di avversari comprende certamente i “reges et principes in hoc unico concordantes: ut adversentur Domino suo et Uncto suo, romano principi” (<i>Mon</i>., II, i, 3-5); ma non sono i soli; dubbi sulla possibilità di estendere l’accusa agli scrittori regalisti esprime Vinay","Io 8, 44",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK TRADITIONES ECCLESIE,"a differenza della traduzione letterale dell’Anonimo, le tradizioni della chiesa, Ficino scrive e loro decreti; <i>Furlan</i> ha ragione di notare che Ficino traduce sempre <i>traditiones</i> con riferimento alla legislazione pontificia (più oltre in questo paragrafo, custitutione, e in III III 14-6, costitutioni, ordini, ordinatione; ma non c’è alcun bisogno di supporre che egli leggesse nel suo codice <i>constitutiones</i>, che la tradizione manoscritta non registra mai; vero è invece che di ecclesiasticas <i>constitutiones</i> parla Graziano nel <i>dictum</i> ante c. 1, D. XV, che Dante ha qui costantemente presente. <i>Kay</i> osserva che è Dante, e non il “protervo canonista”, ad identificare le “tradizioni della Chiesa” con le decretali in III III 14; perciò non sembra avere molto senso la discussione su cui ancora insiste <i>Vinay</i>, se si debba intendere tutta la tradizione ecclesiastica posteriore ai “concilia principalia” e ai Padri o la tradizione quale è espressa nelle Decretali, propendendo per la prima ipotesi, che cioè Dante abbia proposto e abbia risolto in modo radicale la questione di principio sulla “tradizione” in genere nel senso che tutte le “<i>traditiones</i>” scritte emananti dalla Chiesa non hanno alcuna autorità se non in quanto la mutuano dalla Bibbia, dalle deliberazioni dei “Concilia principalia” e dai Padri","dictum ante c. 1, D. XV",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK UT AIT PROPHETA,"cfr. <i>Ps</i> 110, 9: Redemptionem misit populo suo, mandavit in aeternum testamentum suum: sanctum et terribile nomen eius","Ps 110, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SUNT VENERANDA ILLA CONCILIA PRINCIPALIA,"Vinay rinvia alla <i>Determinatio compendiosa</i>, VIII, e nota giustamente che Dante ripete qui quanto si legge nella <i>distinctio</i> XV del <i>Decretum</i> Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3, in cui sono escerpiti testi di Isidoro, Gregorio Magno e Gelasio I sull’autorità dei quattro concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. In ispecie il c. 2, D. XV recita: Sicut sancti euangelii quatuor libros, sic quatuor concilia suscipere et uenerari me fateor [...]; hec tota deuotione amplector, integerrima approbatione custodio, quia in his uelut in quadrato lapide sanctae fidei structura consurgit, et cuiuslibet uitae atque actionis norma existit (Friedberg, I, col. 35). Si noti che Giovanni Teutonico, nella Glossa ordinaria al <i>dictum</i> grazianeo posto innanzi ai tre canoni della <i>distinctio</i> XV, scrive: Hactenus tractavit magister de naturali iure: hic incipit tractare de iure canonico; assignat itaque rationem et originem ipsius, et ostendit quae opuscula recipiantur ab ecclesia, et quae non (glo. quoniam de iure naturali, <i>dictum</i> ante c. Canones, D. XV, in <i>Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis</i>, col. 52)","Dante ripete qui quanto si legge nella distinctio XV del Decretum Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SUNT VENERANDA ILLA CONCILIA PRINCIPALIA,"Vinay rinvia alla <i>Determinatio compendiosa</i>, VIII, e nota giustamente che Dante ripete qui quanto si legge nella <i>distinctio</i> XV del <i>Decretum</i> Gratiani, riassumendo il contenuto dei canoni 1-3, in cui sono escerpiti testi di Isidoro, Gregorio Magno e Gelasio I sull’autorità dei quattro concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. In ispecie il c. 2, D. XV recita: Sicut sancti euangelii quatuor libros, sic quatuor concilia suscipere et uenerari me fateor [...]; hec tota deuotione amplector, integerrima approbatione custodio, quia in his uelut in quadrato lapide sanctae fidei structura consurgit, et cuiuslibet uitae atque actionis norma existit (Friedberg, I, col. 35). Si noti che Giovanni Teutonico, nella Glossa ordinaria al <i>dictum</i> grazianeo posto innanzi ai tre canoni della <i>distinctio</i> XV, scrive: Hactenus tractavit magister de naturali iure: hic incipit tractare de iure canonico; assignat itaque rationem et originem ipsius, et ostendit quae opuscula recipiantur ab ecclesia, et quae non (glo. quoniam de iure naturali, <i>dictum</i> ante c. Canones, D. XV, in <i>Decretum Gratiani emendatum et notationibus illustratum, una cum glossis</i>, col. 52)","il c. 2, D. XV",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK UT MATHEUS TESTATUR,"cfr. <i>Mt</i> 28, 20; T ha <i>Marcus</i> (così anche poco oltre, III III 15)","Mt 28, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK ET ALIORUM,"B L hanno <i>Ieronimi et aliorum</i>; il loro capostipite ripeteva con tutta probabilità mnemonicamente il <i>dictum</i> di Graziano ante c. <i>Decretales</i> (c. 1, D. XX), dov’è posto il problema della equiparazione delle decretali ai canoni conciliari e alla dottrina dei Padri ad esposizione della Scrittura: Unde nonnullorum Pontificum constitutis Augustini, Ieronimi atque aliorum tractatorum dicta eis videntur esse preferenda; simile <i>lapsus</i> in H, che legge Gregorii et aliorum",dictum di Graziano ante c. Decretales,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 981 a 30; 981 b 31-2. <i>Nardi</i> commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. <i>Vinay</i> avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della <i>Metaphysica</i> testé ricordato, insieme alla <i>Summa contra Gentiles</i>, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",981 a 30; 981 b 31-2,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 981 a 30; 981 b 31-2. <i>Nardi</i> commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. <i>Vinay</i> avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della <i>Metaphysica</i> testé ricordato, insieme alla <i>Summa contra Gentiles</i>, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della Metaphysica testé ricordato,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Sententia_libri_Metaphysicae(Tommaso),Sententia libri Metaphysicae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK VELUT ARTIFEX INFERIOR DEPENDET AB ARCHITECTO,"letterale il volgarizzamento dell’Anonimo: come l’arteficie di sotto dipende dall’architetto, cioè dal maestro principale; più incisivo Ficino: come lo artefice ministro dal capo maestro; cfr. Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 981 a 30; 981 b 31-2. <i>Nardi</i> commenta: L’architetto ha una superiorità speculativa sull’artigiano che da lui dipende ed è un semplice ???????????, il quale esegue con la mano quel che gli ordina l’architetto che con la mente vede la ragione del disegno. <i>Vinay</i> avverte che si tratta di una similitudine comunissima nella tradizione aristotelico-tomistica per indicare la gerarchia delle operazioni e dei fini, e cita il commento di Tommaso d’Aquino al luogo della <i>Metaphysica</i> testé ricordato, insieme alla <i>Summa contra Gentiles</i>, III 114 (sicut inferior artifex ab architectore)",III 114,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_contra_Gentiles,Summa contra Gentiles,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SECUNDUM SCRIPTURAM GENESEOS,"è il luogo a ognuno noto di <i>Gn</i> 1, 16-8: Fecitque Deus duo luminaria magna: luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti, et stellas. Et posuit eas in firmamento caeli, ut lucerent super terram et praeessent diei ac nocti et dividerent lucem ac tenebras. Et vidit Deus quod esset bonum. Per la metafora politica del sole e della luna, forse già adombrata sopra, I XI 5 e III I 5 (ma v. <i>Ep</i> V [10] 30; VI [2] 8; XI [10] 21), e sviluppata più avanti, III IV 17-22 e III XVI 18, cfr. ancora le voci <i>Luna</i>, di Marcello Aurigemma, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 732-4 e <i>Sole</i>, di Giorgio Stabile (<i>Temi di simbologia solare in Dante</i>) e di Emmanuel Poulle (<i>Il pianeta sole</i>), ivi, V, 1976, rispettivamente pp. 298-302 e 303-4, e più ampiamente Maccarrone 1955 e 1976, Nardi 1992, Vinay 1962, con le fondamentali note critiche di Capitani 1978 (poi in Capitani 1983, pp. 57-82), e con nuova ed ampia analisi di Puletti 1989 e, più recentemente, di <i>Cassell</i> 2001 e <i>Cassell</i>, pp. 86-90, Quaglioni 2004e e 2005, e Ferrara 2005 e 2007","1, 16-8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK ALLEGORICE DICTA,"cfr. in generale la voce <i>Allegoria</i> di Jean Pépin, in <i>ED</i>, I, pp. 151-5, e per la <i>Monarchia</i> in particolare pp. 153-4. L’allegoria innocenziana, alla quale correntemente si rinvia (in ispecie alla decretale <i>Solitae</i>, inclusa nella <i>Compilatio Tertia</i> dello stesso pontefice nel 1210 [cap. 2, <i>Comp. III</i>, I, 21: QCA, p. 110] e quindi nel Liber Extra di Gregorio IX nel 1234 [cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8]), trova appiglio in una già consolidata tradizione esegetica intorno al libro della Genesi, dove la creazione del firmamentum è intesa come originaria costituzione dell’Ecclesia. Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro, ad Gn 1, 7, Allegorice, v. Firmamentum: Ecclesia (In universum Vetus et Novum Testamentum, I, f. 1vB)","cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK ALLEGORICE DICTA,"cfr. in generale la voce <i>Allegoria</i> di Jean Pépin, in <i>ED</i>, I, pp. 151-5, e per la <i>Monarchia</i> in particolare pp. 153-4. L’allegoria innocenziana, alla quale correntemente si rinvia (in ispecie alla decretale <i>Solitae</i>, inclusa nella <i>Compilatio Tertia</i> dello stesso pontefice nel 1210 [cap. 2, <i>Comp. III</i>, I, 21: QCA, p. 110] e quindi nel Liber Extra di Gregorio IX nel 1234 [cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8]), trova appiglio in una già consolidata tradizione esegetica intorno al libro della Genesi, dove la creazione del firmamentum è intesa come originaria costituzione dell’Ecclesia. Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro, ad Gn 1, 7, Allegorice, v. Firmamentum: Ecclesia (In universum Vetus et Novum Testamentum, I, f. 1vB)",Così è nella Postilla super Genesim di Ugo di San Caro,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Postilla_super_Genesim(Ugo_di_San_Caro),Postilla super Genesim,Ugo di San Caro,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint-Cher,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale <i>Solitae</i>, <i>De maioritate et obedientia</i> (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’<i>argumentum</i> era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa <i>principaliter et finaliter</i>, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, <i>Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim</i>, I, n. 401, <i>PL</i>, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella <i>Compilatio III</i> apponendovi tranquillamente il <i>dictum</i> di Tolomeo nell’<i>Almagesto</i> (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al <i>Liber Extra</i> (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (<i>Decretales D. Gregorii Papae IX</i>., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’<i>argumentum</i> a perfezionamento nella sua diffusissima <i>Summa</i> sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [<i>Auth</i>., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [<i>Auth</i>., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (<i>Summa Aurea</i>, IV, <i>Qui filii sint legitimi</i>, § <i>Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur</i>, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella <i>Unam sanctam</i> (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa <i>Allocucio</i> di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina <i>Romani principes</i> (cap. un., <i>Clem</i>., II, 9, <i>De iureiurando</i>: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. <i>Cassell</i>, p. 323, nota 307)","cap. 6, X, I, 33, De maioritate et obedientia: Friedberg, II, coll. 196-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale <i>Solitae</i>, <i>De maioritate et obedientia</i> (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’<i>argumentum</i> era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa <i>principaliter et finaliter</i>, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, <i>Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim</i>, I, n. 401, <i>PL</i>, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella <i>Compilatio III</i> apponendovi tranquillamente il <i>dictum</i> di Tolomeo nell’<i>Almagesto</i> (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al <i>Liber Extra</i> (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (<i>Decretales D. Gregorii Papae IX</i>., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’<i>argumentum</i> a perfezionamento nella sua diffusissima <i>Summa</i> sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [<i>Auth</i>., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [<i>Auth</i>., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (<i>Summa Aurea</i>, IV, <i>Qui filii sint legitimi</i>, § <i>Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur</i>, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella <i>Unam sanctam</i> (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa <i>Allocucio</i> di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina <i>Romani principes</i> (cap. un., <i>Clem</i>., II, 9, <i>De iureiurando</i>: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. <i>Cassell</i>, p. 323, nota 307)","cap. 1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK NISI PROUT RECIPIT A SOLE,"così nella decretale <i>Solitae</i>, <i>De maioritate et obedientia</i> (cap. 6, X, I, 33: Friedberg, II, col. 198), richiamata immediatamente qui sopra: Praeterea nosse debueras, quod fecit Deus duo magna luminaria in firmamento coeli, luminare maius, ut praeesset diei, et luminare minus, ut praeesset nocti; utrumque magnum, sed alterum maius [...]. Ad firmamentum igitur coeli, hoc est universalis ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, id est, duas [...] instituit dignitates, quae sunt pontificalis auctoritas, et regalis potestas. Sed illa, quae praeest diebus, id est spiritualibus, maior est; quae vero [...] carnalibus, minor, ut, quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia cognoscatur (§ 4). L’<i>argumentum</i> era stato anticipato altrove da Innocenzo III, che se non aveva dubbio alcuno nell’affermare che l’Impero dipendeva dalla Chiesa <i>principaliter et finaliter</i>, a più forte ragione poteva dire dei re: “sicut luna lumen suum a sole sortitur quae re vera minor est illo quantitate simul et qualitate, situ pariter et effectu; sic regalis potestas ab auctoritate pontificali suae sortitur dignitatis splendorem” (Calasso 1957, p. 51, che cita Innocenzo III, <i>Regestorum sive Epistolarum Libri sexdecim</i>, I, n. 401, <i>PL</i>, CCXIV, col. 377). Si ricordi che Lorenzo Ispano, un [...] allievo di Azzone che insegnò diritto canonico a Bologna forse a partire dal 1190, sicuramente tra il 1210 e il 1214, e che fu maestro [...] di Bartolomeo da Brescia (oltre che di Tancredi e – secondo una tradizione però incertissima – di Sinibaldo Fieschi, il futuro Innocenzo IV (Cortese 1995, II, p. 234 nota 112), aveva glossato il luogo innocenziano nella <i>Compilatio III</i> apponendovi tranquillamente il <i>dictum</i> di Tolomeo nell’<i>Almagesto</i> (V 16): Manifestum est quod magnitudo solis continet magnitudinem terræ centies et quadragesies septies, et duas medietates eius. Item palam est quod magnitudo solis continet magnitudinem lunae septies millies et septingenties, et quadragesies quater, et insuper eius medietatem. Item dicit quod terra continet magnitudinem lunæ trigesies novies. Nell’apparato al <i>Liber Extra</i> (c. 1241-63), Bernardo da Parma ripeteva nella glossa inter solem et lunam l’interpretazione matematico-astronomica (<i>Decretales D. Gregorii Papae IX</i>., col. 417); fu poi l’Ostiense a condurre l’<i>argumentum</i> a perfezionamento nella sua diffusissima <i>Summa</i> sulle Decretali (1250-3), riecheggiando il pensiero di Alano Anglico e di Tancredi: Ala. et T. dixerunt quod quamvis imperium a solo Deo dicatur processisse, executionem tamen gladij temporalis accepit ab ecclesia: quare Papa maior est: et utroque gladio uti potest, nam et dominus utroque gladio usus est [...]. Ego iurisdictiones distinctas assero: et utranque a Deo processisse: ut dicit authen. quomodo oportet Episcopos [<i>Auth</i>., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.]: tamen quanto altera magis Deo appropinquatur, tanto maior est: ergo sacerdotium maius, quod probatur ex ordine scripture. d. authen. [<i>Auth</i>., Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.] Et sic intellige quod non multum discrepant sacerdotium et imperium [...]; non multum discrepant quo ad principium unde procedunt: sed multum discrepant quo ad maioritatem (<i>Summa Aurea</i>, IV, <i>Qui filii sint legitimi</i>, § <i>Qualiter et a quo filii illegitimi legitimentur</i>, n. 9, f. 319v). Ed è a questa tradizione dottrinale che bisogna porre mente, anche quando si indichi nella <i>Unam sanctam</i> (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), o nella famosa <i>Allocucio</i> di Bonifacio VIII dell’aprile del 1303, o nella Clementina <i>Romani principes</i> (cap. un., <i>Clem</i>., II, 9, <i>De iureiurando</i>: Friedberg, II, coll. 1147-50) che ne riassume il contenuto e il senso, i documenti a Dante più prossimi (cfr. <i>Cassell</i>, p. 323, nota 307)",nella Clementina Romani principes,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Liber_Septimus,Clementina Romani principes,Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK "QUOD, SICUT PHYLOSOPHO PLACET","che•ccome dicie Aristotile; Aristotele, <i>De sophisticis elenchis</i>, 176 b 29-35: Dal momento poi che la risoluzione corretta consiste nel rivelare la falsità di un sillogismo, indicando da quale domanda discende l’errore, e poiché d’altro canto un sillogismo si dice falso in due sensi (in un senso, se la conclusione dedotta è falsa, in un secondo senso, se il ragionamento appare come un sillogismo, pur non essendolo), sussisteranno dunque tanto la suddetta risoluzione, quanto la correzione del sillogismo apparente, la quale consiste nell’indicare la domanda, su cui si fonda l’apparenza del sillogismo. <i>Imbach</i>, p. 317, cita il commento di Tommaso, I, 22, n. 181: Contingit autem per aliquem syllogismus deceptionem accidere dupliciter: uno modo qui peccat in materia, procedens ex falsis; alio modo, quia peccat in forma, non servando debitam figuram et modum. Et est differentia inter hos modos duos: quia ille qui peccat in materia, syllogismus est, cum observentur omnia, quae ad formam syllogismi pertinent. Ille autem qui peccat in forma non est syllogismus, sed paralogysmus, idest apparens syllogismus","De sophisticis elenchis, 176 b 29-35",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Organon,Organon,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK "QUOD, SICUT PHYLOSOPHO PLACET","che•ccome dicie Aristotile; Aristotele, <i>De sophisticis elenchis</i>, 176 b 29-35: Dal momento poi che la risoluzione corretta consiste nel rivelare la falsità di un sillogismo, indicando da quale domanda discende l’errore, e poiché d’altro canto un sillogismo si dice falso in due sensi (in un senso, se la conclusione dedotta è falsa, in un secondo senso, se il ragionamento appare come un sillogismo, pur non essendolo), sussisteranno dunque tanto la suddetta risoluzione, quanto la correzione del sillogismo apparente, la quale consiste nell’indicare la domanda, su cui si fonda l’apparenza del sillogismo. <i>Imbach</i>, p. 317, cita il commento di Tommaso, I, 22, n. 181: Contingit autem per aliquem syllogismus deceptionem accidere dupliciter: uno modo qui peccat in materia, procedens ex falsis; alio modo, quia peccat in forma, non servando debitam figuram et modum. Et est differentia inter hos modos duos: quia ille qui peccat in materia, syllogismus est, cum observentur omnia, quae ad formam syllogismi pertinent. Ille autem qui peccat in forma non est syllogismus, sed paralogysmus, idest apparens syllogismus","I, 22, n. 181",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Expositio_libri_Posteriorum_Analyticorum(Tommaso),Expositio libri Posteriorum Analyticorum,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK QUE DUO PHYLOSOPHUS OBICIEBAT,"e queste due cose apponeva Aristotile (Ficino); Aristotele, <i>Physica</i>, 186 a 6-8. Cfr. in generale <i>Cv</i> II I 13: Ancora, posto che possibile fosse, sarebbe inrazionale, cioè fuori d’ordine, e però con molta fatica e con molto errore si procederebbe. Onde, sì come dice lo Filosofo nel primo de la Fisica, la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che conoscemo non così bene: dico che la natura vuole, in quanto questa via di conoscere è in noi naturalmente innata; e più in particolare <i>Pd</i> XII 121-6: Vie più che ’ndarno da riva si parte, / perché non torna tal qual e’ si move, / chi pesca per lo vero e non ha l’arte. / E di ciò sono al mondo aperte prove / <i>Parmenide</i>, <i>Melisso</i> e <i>Brisso</i> e molti, / li quali andaro e non sapëan dove, con il commento della Chiavacci Leonardi 1997, p. 378, con ampio rinvio a questo luogo. Cfr. anche Clara Kraus, <i>Melisso</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, pp. 885-6 e le voci di Giorgio Stabile, <i>Parmenide</i>, ivi, IV, pp. 311-4 e <i>Brisso</i>, ivi, I, 970, pp. 700-1",186 a 6-8,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Physics_(Aristotle),Physica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (<i>Vinay</i>, con allegazione di Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 1. a. 5). <i>Imbach</i>, p. 318, cita le <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum","IIa-IIae, q. 1. a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (<i>Vinay</i>, con allegazione di Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 1. a. 5). <i>Imbach</i>, p. 318, cita le <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum","IIa-IIae, q. 1. a. 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PRO INOPPINABILI,"Nelle scienze pratiche, la distinzione falso-vero è sempre insufficiente, occorre un termine intermedio che è l’opinabile, “l’opinatum” con cui si afferma senza tuttavia escludere che “aliter res se habeat”. Come “opinabile” non equivale a “vero”, così “inopinabile” non equivale a “falso”, quando però la materia in discussione è soltanto probabile, è indifferente ai fini della discussione stessa chiamar falso l’inopinabile perché non può a rigore nascere equivoco: funzionalmente, i due termini si identificano e a nessuno può venire in mente che dalla “probabilitas” della materia trattata possa venire altro che l’“opinio” o la “fides” (<i>Vinay</i>, con allegazione di Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 1. a. 5). <i>Imbach</i>, p. 318, cita le <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano, VII 16 (ed. de Rijk, p. 94): Inopinabile est quod est contra opinionem omnium aut plurium aut sapientum, et horum vel omnium vel plurium vel maxime notorum",VII 16,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK AUGUSTINUS IN CIVITATE DEI,"Agostino, <i>De civitate Dei</i>, XVI 2. Scrive Puletti 1989, p. 252: La sottigliezza dell’Alighieri non deve destare stupore: tutti i teologi, soprattutto allorché scrivevano su problemi politici, insegnavano a togliere peso alle argomentazioni avversarie attraverso le pedanti diastinzioni logiche tipiche della scolastica, fossero esse a carattere filosofico o teologico (p. 252). Sull’importanza della citazione di Agostino da parte di Dante v. l’<i>Introduzione</i> di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, p. XXXVII e Cremascoli 2011, p. 40 e nota 42. Rammenta questa stessa autorità Pietro Alighieri, nella terza redazione del suo <i>Comentum super poema Comedie Dantis</i>, nel proemio dell’Inferno",XVI 2,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/City_of_God_(book),De civitate Dei,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK IDEM AIT IN DOCTRINA CRISTIANA,"Agostino, <i>De doctrina Christiana</i>, I 36. La <i>princeps</i> K e G hanno <i>in libro de Doctrina Christiana</i>; così anche l’Anonimo: ello medesimo Aghostino inello libro di “Dottrina Cristiana”; e così Ficino: esso ancora disse nel libro della “Dottrina cristiana",I 36,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_doctrina_christiana,De doctrina christiana,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK DE ILLO QUI VULT ALIUD IN SCRIPTURIS SENTIRE QUAM ILLE QUI SCRIPSIT EAS DICIT,"che•cchi sente altrimenti nelle Scripture che•ccolui che•lle scripse (Ficino, p. 384); di quello, altro inelle Scritture <i>sentire</i> che quello che•lle scrisse, dicie (Anonimo). A dispetto della lunga e sprezzante nota di Ricci 1965, pp. 234-5, che la considera null’altro che un’erronea, arbitraria, saccente giunta, inserita da chi, per propria balordaggine non comprendendo il testo, credette necessario lavorare di congettura per guarire un passo che in effetti era sanissimo e non aveva alcun bisogno di cure, anch’io ho deciso di tornare alla lezione <i>qui vult</i> tramandata da D L M U, accolta da Witte 1874, Bertalot 1920, Rostagno 1921 e arditamente propugnata da <i>Nardi</i>, pp. 446-8, ripresa parzialmente da Pizzica 1988 (che del <i>qui vult</i> salverebbe solo <i>qui</i>, concordandolo con <i>dicit</i> riferito a <i>illo</i>), riproposta da <i>Imbach</i>, p. 192 e p. 318, e, sia pure con l’avvertenza che the question must remain open, da <i>Kay</i>, ma non da Shaw 2009. Già tutta formulata in Ricci 1959, la soppressione suscitò la reazione, tanto curiosa e interessata quanto perplessa, di Capitani 1961 (poi in Capitani 1983, pp. 13-7), i cui dubbi, espressi in modo garbato ma pungente, riguardavano sia la mancanza di una chiara posizione stemmatica dei codici considerati <i>deteriores</i>, sia la struttura logica e grammaticale del testo proposto, sia – soprattutto – il suo rapporto con la fonte agostiniana, che male si riconosceva nella forma impersonale proposta da Ricci. Il quale nell’edizione del 1965 ripropose quasi parola per parola quanto esposto sei anni prima, confermando di ritenere ovvio nel latino classico e medievale l’uso delle proposizioni infinitive con valore neutro, accennando al suo critico senza degnarsi di farne il nome e facendo letterariamente spallucce (Che farci?). L’ed. Ricci 1965 legge pertanto <i>idem ait in Doctrina Cristiana loquens <i>de illo</i> <i>aliud</i> in Scripturis sentire</i>, intendendo <i>illo</i> come forma neutra, riferita a <i>sentire</i> usato in senso oggettivo e giungendo perfino a correggere puntigliosamente e pesantemente la traduzione proposta da Vinay: Il <i>qui vult</i> parve necessario a chi si ostinò nel credere che <i>illo</i> fosse maschile; invece è neutro, e si riferisce all’intera frase <i>sentire in Scripturis <i>aliud</i> quam <i>dicit</i> ille <i>qui</i> scripsit eas</i>: “parlando di quell’attribuire alla Scrittura un significato diverso da quello voluto da colui che l’ha scritta”. Non v’è errore, non v’è lacuna nel testo testimoniato dalla quasi totalità dei codici... (p. 235). <i>Nardi</i>, nel restituire il nome al critico di Ricci 1959, ne ripercorre gli argomenti, precisando: il testo agostiniano cui Dante si riferisce [...] dice: “Sed <i>quisquis</i> [var. <i>si quis</i>] in scripturis <i>aliud</i> <i>sentit</i> quam ille <i>qui</i> scripsit, illis non mentientibus fallitur”. Ma se Dante avesse avuto sotto gli occhi l’opera di sant’Agostino che cita, avrebbe avuto la certezza che quel <i>quisquis</i> e il <i>sentit</i> che segue danno alla frase un senso personale, al quale egli ritorna anche poco dopo (“ita fallitur” ecc.), e non si riesce a capire il senso impersonale che vorrebbe cavarne il Ricci [...], come gli obbietta O. Capitani [...]. “Quisquis in scripturis <i>aliud</i> <i>sentit</i> quam ille <i>qui</i> scripsit” non è certo reso fedelmente dalle parole della lezione attribuita a Dante: “loquens <i>de illo</i> <i>aliud</i> in Scripturis <i>sentire</i> quam ille <i>qui</i> scripsit eas”. Fedelmente Dante avrebbe riassunto il pensiero di Agostino se fra <i>illo</i> e <i>aliud</i> avesse inserito un semplice <i>qui</i>, e avesse lasciato stare <i>sentit</i> all’indicativo. Ma probabilmente, per maggior chiarezza, invece del semplice <i>qui</i> avrà messo un <i>qui vult</i>, e il <i>vult</i> lo ha obbligato a lasciare l’indicativo <i>sentit</i> per l’infinito: <i>qui <i>vult</i> sentire</i>: nel modo più semplice e naturale, senza il putiferio del <i>de illo</i> come neutro e di <i>sentire</i> come infinito campato in aria, che il Ricci ne ha tirato fuori... (pp. 447-8). <i>Cassell</i>, p. 324, nota 314 aderisce alla lezione delle edd. Ricci 1965 e Shaw 2009",in Doctrina Cristiana loquens de illo aliud in Scripturis sentire,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/De_doctrina_christiana,De doctrina christiana,Agostino,http://dbpedia.org/resource/Augustine_of_Hippo,http://purl.org/bncf/tid/11978,WORK PUBLICA IURA,"bene l’Anonimo: le publiche ragioni, e meglio ancora Ficino: le publiche costitutioni. Efficace ma anacronistico <i>Vinay</i>: lo stato, così come <i>Nardi</i>: pubbliche istituzioni, e più ancora Ronconi 1966: le leggi dello Stato; bene <i>Pézard</i> e Shaw 1996: les droits publics, public rights, e meglio ancora <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>: public laws. Si ricordi che la <i>summa divisio</i> dettata nelle Istituzioni di Giustiniano dà del <i>ius publicum</i> la seguente definizione (<i>Inst</i>. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3): publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, e con maggiore ampiezza nel Digesto (<i>Dig</i>. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit","(Inst. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK PUBLICA IURA,"bene l’Anonimo: le publiche ragioni, e meglio ancora Ficino: le publiche costitutioni. Efficace ma anacronistico <i>Vinay</i>: lo stato, così come <i>Nardi</i>: pubbliche istituzioni, e più ancora Ronconi 1966: le leggi dello Stato; bene <i>Pézard</i> e Shaw 1996: les droits publics, public rights, e meglio ancora <i>Kay</i> e <i>Cassell</i>: public laws. Si ricordi che la <i>summa divisio</i> dettata nelle Istituzioni di Giustiniano dà del <i>ius publicum</i> la seguente definizione (<i>Inst</i>. 1, 1, § 4: Mommsen-Krüger, I, p. 3): publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, e con maggiore ampiezza nel Digesto (<i>Dig</i>. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit","Dig. 1, 1, 1, § 2: Mommsen-Krüger, I, p. 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IN SPIRITUM SANCTUM QUI LOQUITUR IN ILLIS,"per il significato di questa espressione come tipica del profetismo dantesco v. l’<i>Introduzione</i> di M. Santagata, nel vol. I di questa edizione, pp. XXXVI-VII; per <i>Vinay</i> il passo riecheggia la rampogna paolina in <i>1 Cor</i> 1, 12: Hoc autem dico, quod unusquisque vestrum dicit: Ego quidem sum Pauli, ego autem Apollo, ego vero Cephae, ego autem Christi; e <i>2 Pt</i> 1, 21: Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines","1 Cor 1, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK UNICUS ... DICTATOR EST DEUS,"per <i>dictator</i> v. Uguccione, D 52, 6 (a dicto <i>dictator</i>, qui dictat), e per il suo uso in Dante cfr. <i>VE</i> II VI 4 e <i>Pg</i> XXIV 59; per la specificità del suo significato in questo luogo v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> II VI 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1442, con riferimento a Mengaldo 1979, e Chiavacci Leonardi 1994, p. 712. Cfr. anche la voce <i>Dittare</i> di Bruno Basile, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 520, con la voce <i>Dittatore</i> relativa a questo luogo, ivi, p. 521","D 52, 6 (a dicto dictator, qui dictat)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK ACCIDENTIA QUEDAM IPSIUS HOMINIS,"I due “regimina” [...] non aggiungono o tolgono nulla alla essenza dell’uomo (<i>Vinay</i>, che allega Boezio, <i>In Isagogen Prophyrii</i>, I 16, dove “sostanziale” nella natura dell’uomo è solo l’elemento razionale, e dove si afferma che solo se perisse questo perirebbe anche la speciei substantia)","I 16, Porfirio nella traduzione di Boezio",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Isagoge,Isagogen Prophyrii,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/7111,WORK PRODUCERE REMEDIA FUISSET OTIOSUM,"sull’assioma scolastico <i>Deus et natura nil otiosum facit</i> e sulla sua fonte in Aristotele, <i>De caelo</i>, 271 a 33, cfr. quanto annotato sopra, I III 3",271 a 33,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_caelo,De caelo,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK ARGUMENTUM PECCABAT IN FORMA,"si deve notare la variante <i>peccabit</i>, attestata da T M, e che trova corrispondenza nel volgarizzamento di Ficino: l’argumento peccherà <i>in forma</i> (l’Anonimo ha la ragione pecchava inn-ella forma); <i>peccat</i> legge G. Sulla falsità del sillogismo <i>in forma</i>, quando cioè il ragionamento appare come sillogistico pur non essendolo (parasillogismo, sillogismo apparente), cfr. ampiamente sopra, III IV 4, con le ulteriori precisazioni in margine a questo luogo in <i>Vinay</i>, <i>Nardi</i> e <i>Kay</i>, che rinviano tutti alle <i>Summulae logicales</i> di Pietro Ispano (ed. de Rijk, p. 44)",rinviano tutti alle Summulae logicales di Pietro Ispano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK QUIA PREDICATUM IN CONCLUSIONE NON EST EXTREMITAS MAIORIS,"nel sillogismo, che necessariamente si compone di tre termini (cfr. Aristotele, <i>Analytica priora</i>, 41 b 36), il predicato nella conclusione deve coincidere con il termine estremo della premessa maggiore, diversamente non ci sarà un solo termine medio ma due, come nel caso contestato da Dante, e il sillogismo sarà falso (“apparente”) perché avrà quattro termini anziché tre",41 b 36,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Analytica_priora,Analytica priora,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK DE LICTERA MOYSI,"Gn 29, 34-5. Sul mancato uso di questo argomento scritturale prima di Dante, sul suo disdegno da parte del Vernani e sulla sua successiva, modesta comparsa nella <i>Summa de potestate ecclesiastica</i> di Agostino Trionfo (I 7) v. <i>Vinay</i>, pp. 222-3 nota 2 (il quale però, benché parli sulla scorta di Chiappelli 1908, p. 30, salta a conclusioni infelici, sostenendo di ritrovare in ciò conferma che D. non aveva una conoscenza approfondita della pubblicistica del suo tempo); v. anche le osservazioni di <i>Kay</i>, con riferimento all’ipotesi formulata da Maccarrone 1955, p. 57, che cioè Dante abbia potuto avere esperienza dell’uso di tale argomento in some oral dispute (e cfr. quanto detto sopra a proposito dell’<i>audiverim</i> di III III 10)","Gn 29, 34-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK FIGURA HORUM DUORUM REGIMINUM,"cfr. sopra, III IV 3 e soprattutto III IV 16, sia per i <i>duo regimina</i>, sia per il valore di <i>fingo / figura</i> (v. ancora Uguccione, F 42, 7-8: Item a fingo hic <i>figulus</i>, idest ollarius, luti compositor, qui lutum confingit et redigit in aliquam formam; et hec <i>figura</i> –e; est <i>figura</i> hominis, forma nature, et accipitur <i>figura</i> multis modis quos diligentia lectoris distinguet; unde <i>figuratus</i> –a –um, et <i>figuro</i> –as et hinc verbalia)","F 42, 7-8",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK ALIUD EST ESSE NUNTIUM SIVE MINISTRUM,"cfr. Uguccione, M 10, 17 e 21: Item a maior <i>maius</i> adverbium [...]. Et componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic <i>magister</i> –tri, quasi maior in statione, sicut <i>minister</i>, minor in statione [...]; quod autem dicitur <i>magister</i>, quasi magis doctus, ethimologia est; M 106, 10: Minor componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic <i>minister</i>, quasi minor in statione; vel <i>minister</i> dicitur quia officium debitum manibus exequatur","M 10, 17 e 21",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK ALIUD EST ESSE NUNTIUM SIVE MINISTRUM,"cfr. Uguccione, M 10, 17 e 21: Item a maior <i>maius</i> adverbium [...]. Et componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic <i>magister</i> –tri, quasi maior in statione, sicut <i>minister</i>, minor in statione [...]; quod autem dicitur <i>magister</i>, quasi magis doctus, ethimologia est; M 106, 10: Minor componitur cum sterion, quod est statio, et dicitur hic <i>minister</i>, quasi minor in statione; vel <i>minister</i> dicitur quia officium debitum manibus exequatur","M 106, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK DE LICTERA MATHEI,"<i>Mt</i> 2, 10-11: ""Videntes autem stellam gavisi sunt gaudio magno valde et intrantes domum invenerunt puerum cum Maria matre eius et procidentes adoraverunt eum et, apertis thesauris suis, obtulerunt ei munera, aurum, tus et myrrham""","Mt 2, 10-11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","IIIa, q. 67, a. 5, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","IIIa, q. 64, a. 5, 1:",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Ia, q. 75, a. 1, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 54",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,CONCEPT NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Seneca,http://dbpedia.org/resource/Seneca_the_Younger,http://purl.org/bncf/tid/25917,CONCEPT NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto",CONCORDANZA GENERICA,_EMPTY,_EMPTY,Duns Scotus,http://dbpedia.org/resource/Duns_Scotus,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 59",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 120",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 160, § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NEMO POTEST DARE QUOD SUUM NON EST,"cfr. più oltre, III XIV 6: <i>Nichil est quod dare possit quod non habet</i>. Fuor di dubbio che Dante, qui così come in <i>Cv</i> IV X 9-10, echeggi immediatamente il luogo tomista appena ricordato a proposito della <i>potestas baptizandi</i> (Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIIa, q. 67, a. 5, 1: <i>Nullus</i> enim <i>dat quod non habet</i>, ripetuto anche in Ia, q. 75, a. 1, 1: nihil dat alteri quod non habet; Ia-IIae, q. 81, a. 3, 2: nullus dat alteri quod ipse non habet; IIIa, q. 64, a. 5, 1: <i>nullus dat quod non habet</i>); ma è altrettanto evidente, e non solo per il contesto in cui Dante colloca la massima (il trasferimento dei diritti nella persona del <i>successor Petri</i>), che sullo sfondo c’è il brocardo <i>vicarius non dat vicarium</i> (cap. 4, X, I, 28, De officio vicarii: Friedberg, II, col. 157), “variante” canonistica della <i>regula iuris</i> posta in <i>Dig</i>. 50, 17, 54: Nemo plus iuris ad alium transferre potest, quam ipse haberet (Mommsen-Krüger, I, p. 869; cfr. Chiappelli 1908, p. 12; Nardi 1992, p. 220 nota 143, con ulteriori riferimenti a fonti classiche come Aristotele e Seneca, e medievali come Duns Scoto); ma v. inoltre le massime, relative appunto alla successione ereditaria, in <i>Dig</i>. 50, 17, 59: Heredem eiusdem potestatis iurisque esse, cuius fuit defunctus constat; <i>Dig</i>. 50, 17, 120: Nemo plus commodi heredi suo relinquit, quam ipse habuit; <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2: Absurdum est plus iuris habere eum cui legatus sit fundus, quam heredem aut ipsum testatorem, si viveret; e soprattutto <i>Dig</i>. 50, 17, 175, § 1: Non debeo melioris conditionis esse quam auctor meus, a quo ius in me transit (Mommsen-Krüger, I, pp. 869 e 871-3)","Dig. 50, 17, 175, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NULLUS PRINCEPS SE IPSUM AUCTORIZARE POTEST,"nessuno prencipe può autorizare sé medesimo (Anonimo, pp. 200-1); nessuno prencipe può autorità a•ssé medesimo dare (Ficino). <i>Vinay</i> azzarda che l’affermazione abbia un fondamento teologico e non giuridico, e giunge a conclusioni del tutto inconferenti. Ma se è vero che la forma aforistica di questa <i>sententia</i> rimanda ad una massima giuridica, non vedo perché si debba lamentare che per essa non si trovi no precedent (<i>Kay</i>, p. 245 nota 11, che rinvia a <i>Kay</i> 1990, p. 266, nella convinzione che Dante probably coined it himself). Sicuramente Dante è un produttore di <i>auctoritates</i>, e pertanto invece di limitarsi a incastonare e glossare detti memorabili [...] egli ne produce dei suoi, e conferisce lo stesso piglio legislativo a tutti i suoi enunciati, come in un noto giudizio avverte Contini 1970, pp. 376-7 (cfr. in generale Ascoli 2008, e in particolare per il significato di <i>auctoritas</i> nella <i>Monarchia</i> pp. 240-63); tuttavia qui <i>auctorizare</i> ha ancora una volta il significato giuridico di “costituire in un diritto”, secondo il brocardo che vuole che sia <i>auctor</i> omnis a quo ius in nos transit, e più ancora il significato preciso di <i>extollere ad dignitatem</i>, di <i>honorem assumere</i>, proprio come nella formula nemo debet sibi <i>honorem assumere</i> del <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58), che a parer mio qui Dante ricalca e conforma al suo discorso. Sarà anche bene ricordare che così come nessuno può essere all’origine del suo potere, se non gli è conferito da un’autorità superiore, allo stesso modo nessuno può fondare la limitazione del suo potere; così Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 96, a. 5, ad 3, quando ponendo la questione dell’indipendenza del <i>princeps</i> dai vincoli giuridici positivi, afferma che nullus cogitur a se ipso, cioè che nessuno può obbligare giuridicamente se stesso verso se stesso ed essere perciò principio di limitazione al suo stesso potere (cfr. Quaglioni 2004c, p. 26)","Ia-Iiae q. 96, a. 5, ad 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK NULLUS PRINCEPS SE IPSUM AUCTORIZARE POTEST,"nessuno prencipe può autorizare sé medesimo (Anonimo, pp. 200-1); nessuno prencipe può autorità a•ssé medesimo dare (Ficino). <i>Vinay</i> azzarda che l’affermazione abbia un fondamento teologico e non giuridico, e giunge a conclusioni del tutto inconferenti. Ma se è vero che la forma aforistica di questa <i>sententia</i> rimanda ad una massima giuridica, non vedo perché si debba lamentare che per essa non si trovi no precedent (<i>Kay</i>, p. 245 nota 11, che rinvia a <i>Kay</i> 1990, p. 266, nella convinzione che Dante probably coined it himself). Sicuramente Dante è un produttore di <i>auctoritates</i>, e pertanto invece di limitarsi a incastonare e glossare detti memorabili [...] egli ne produce dei suoi, e conferisce lo stesso piglio legislativo a tutti i suoi enunciati, come in un noto giudizio avverte Contini 1970, pp. 376-7 (cfr. in generale Ascoli 2008, e in particolare per il significato di <i>auctoritas</i> nella <i>Monarchia</i> pp. 240-63); tuttavia qui <i>auctorizare</i> ha ancora una volta il significato giuridico di “costituire in un diritto”, secondo il brocardo che vuole che sia <i>auctor</i> omnis a quo ius in nos transit, e più ancora il significato preciso di <i>extollere ad dignitatem</i>, di <i>honorem assumere</i>, proprio come nella formula nemo debet sibi <i>honorem assumere</i> del <i>Liber Extra</i> di Gregorio IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58), che a parer mio qui Dante ricalca e conforma al suo discorso. Sarà anche bene ricordare che così come nessuno può essere all’origine del suo potere, se non gli è conferito da un’autorità superiore, allo stesso modo nessuno può fondare la limitazione del suo potere; così Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 96, a. 5, ad 3, quando ponendo la questione dell’indipendenza del <i>princeps</i> dai vincoli giuridici positivi, afferma che nullus cogitur a se ipso, cioè che nessuno può obbligare giuridicamente se stesso verso se stesso ed essere perciò principio di limitazione al suo stesso potere (cfr. Quaglioni 2004c, p. 26)","IX (cap. 17, X, I, 6: Friedberg, II, p. 58)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Liber_extra(Gregorio_IX),Liber extra,Gregorio IX,http://dbpedia.org/resource/Pope_Gregory_IX,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SUBSTITUERE VICARIUM IN OMNIBUS EQUIVALENTEM,"la creazione di un sostituto di pari potere è perciò una <i>absurditas</i>, come nella <i>regula iuris</i> in <i>Dig</i>. 50, 17, 160, § 2, ricordata qui sopra, III VII 7","Dig. 50, 17, 160, § 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SIMILITER ET IOHANNIS,"cfr. <i>Io</i> 20, 21-3: Dixit ergo eis iterum: Pax vobis: sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Haec cum dixisset, insufflavit et dixit eis: Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis, retenta sunt","Io 20, 21-3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK SIGNUM UNIVERSALE,"cfr. <i>Kay</i>, p. 249 nota 9, che cita Pietro Ispano, <i>Summulae logicales</i>, I, 8 e XII, 2 (ed. de Rijk, pp. 4, 209)","I, 8 e XII, 2 (ed. de Rijk, pp. 4, 209)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summulae_Logicales(Pietro_Ispanico),Summulae logicales,Pietro Ispano,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXI,http://purl.org/bncf/tid/762,WORK SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi <i>manente vinculo</i>, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (<i>Mr</i> 10, 11; <i>Lc</i> 16, 18; <i>Mt</i> 19, 9 con l’eccezione della <i>fornicatio</i>) v. a commento <i>Kay</i>; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, <i>Divorzio (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, <i>Separzione personale dei coniugi (Storia</i>), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Mr 10, 11",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi <i>manente vinculo</i>, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (<i>Mr</i> 10, 11; <i>Lc</i> 16, 18; <i>Mt</i> 19, 9 con l’eccezione della <i>fornicatio</i>) v. a commento <i>Kay</i>; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, <i>Divorzio (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, <i>Separzione personale dei coniugi (Storia</i>), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Lc 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK SOLVERE UXOREM A VIRO ... QUOD NULLO MODO POTEST,"la giurisdizione ecclesiastica può legittimare la separazione dei coniugi <i>manente vinculo</i>, così come può dichiarare nullo, cioè mai posto in essere, il contratto tra gli sposi che sia radicalmente viziato, ma non può annullare un vincolo indissolubile per costituirne un altro. Per l’opposto comando scritturale (<i>Mr</i> 10, 11; <i>Lc</i> 16, 18; <i>Mt</i> 19, 9 con l’eccezione della <i>fornicatio</i>) v. a commento <i>Kay</i>; per la tradizione normativa e dottrinale della Chiesa in questa materia v. la voce di Antonio Marongiu, <i>Divorzio (Storia</i>), in <i>EDir</i>, XIII, 1964, pp. 482-507, e di Gigliola Di Renzo Villata, <i>Separzione personale dei coniugi (Storia</i>), ivi, XLI, 1989, pp. 1350-76, e la mia sintesi Divortium a diversitate mentium. La eparazione personale dei coniugi nelle dottrine di diritto comune, in Seidel Menchi – Quaglioni 2000, pp. 95-118; più diffusamente Le Bras 1968, Gaudemet 1989, Brundage 1993, Marchetto 2008","Mt 19, 9",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK DECRETA IMPERII SIVE LEGES,"cfr. sopra, III VIII 3. Mi pare che anche in questo caso Dante ponga il problema nei termini generali ed astratti relativi alla pretesa di sovraordinare la norma canonica alle norme secolari, e la giurisdizione spirituale alla temporale, senza alcun necessario riferimento ad episodi lontani o receni. <i>Cassell</i> lega invece questo passo ancora una volta alla bolla <i>Si fratrum</i> di Giovanni XXII e alla sua revoca dei decreti imperiali di conferimento dei titoli vicariali, in particolar modo quello di Cangrande, conferito a vita da Enrico VII nel marzo del 1311. Di ciò sopra, II X 1, e nella mia Introduzione",Cassell lega invece questo passo ancora una volta alla bolla Si fratrum di Giovanni XXII,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Si_fratrum(Giovanni_XXII),Si fratrum,Giovanni XXII,http://dbpedia.org/resource/Pope_John_XXII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","Lc 22, 38",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa(Agostino_Trionfo),Summa de ecclesiastica potestate,Agostino Trionfo,http://dbpedia.org/resource/Augustinus_Triumphus,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69","1, Extrav. comm., I, 8, De maioritae et obedientia: Friedberg, II, coll. 1245-6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Unam_sanctam,Unam Sanctam Ecclesiam,Bonifacio VIII,http://dbpedia.org/resource/Pope_Boniface_VIII,http://purl.org/bncf/tid/1546,WORK ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Enrico da Cremona,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Enrico_da_Cremona,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Giacomo da Viterbo,http://dbpedia.org/resource/James_of_Viterbo,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Giovanni da Parigi,http://dbpedia.org/resource/John_of_Paris,http://purl.org/bncf/tid/762,CONCEPT ILLUD LUCE,"Lc 22, 38; è l’ultimo degli argomenti basati sulla Scrittura ad essere discusso da Dante; attorno a questo luogo è soprattutto sorto il dissenso degli interpreti recenti: cfr. Maccarrone 1955, pp. 67-71; Nardi 1992, pp. 235-8; e Maccarrone 1976, pp. 281-2, richiamati da <i>Kay</i> con una breve ma dettagliata esposizione dello sviluppo dell’allegoria politica delle “due spade”, a partire dai luoghi del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 2, C. XV, q. VI; c. 6, C. XXXIII, q Friedberg, I, col. 755 e col. 1152), certamente notissimi a Dante, fino alla <i>Summa</i> di Agostino Trionfo e alla <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII ( 1, <i>Extrav. comm.</i>, I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6), con la Glossa di Jean le Moine (cfr. Stickler 1954, Tierney 1954, Wilks 1963, Watt 1964, Watt 1972, Mc Cready 1977 e in sintesi Watt 1988). Ma v. Capitani 1978 (poi Capitani 1983, pp. 75-7), e dello stesso Capitani la voce <i>Papato</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 276-80, in particolare p. 277. Ampia discussione in Puletti 1989, pp. 254-63, con riferimento a Enrico da Cremona, Giacomo da Viterbo e Giovanni da Parigi, alle cui posizioni Dante sarebbe più vicino: Per dimostrare l’erroneità dell’assegnare all’immagine delle due spade il significato delle due <i>potestates</i>, l’Alighieri mostra come un tal senso non corrispondesse alle parole dette da Cristo precedentemente, alla quale la frase “ecce duo gladii hic” era risposta. Per provare questo, lo scrittore narra tutte le vicende relative all’Ultima Cena, attuando un’esegesi letterale a carattere storico, non nuova ma non molto usuale a quel tempo (p. 260). <i>Cassell</i> ricorda opportunamente anche il contributo di riflessione di Ullmann 1949 all’individuazione dello sviluppo del tema nella decretistica, in paritcolare nell’opera di Alano Anglico (p. 151). Cfr. inoltre Cremascoli 2011, p. 46 e nota 69",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,_EMPTY,_EMPTY,Alano Anglico,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Alano_Anglico,http://purl.org/bncf/tid/5750,CONCEPT UNDE LUCAS ... SUPERIUS SIC,"<i>Lc</i> 22, 7","Lc 22, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK VENIT AD HOC,"Lc 22, 35-36. Ficino e l’Anonimo traducono venne a questo, venne ad questo. Con la <i>princeps</i> K (<i>ad hæc</i>) e con i codici che leggono <i>ad hec</i> (A2 E P) consentono tutti i moderni editori fino a Ricci 1965, che confessa la difficoltà dichiarando d’intrupparsi con gli altri editori sperando in bene (p. 253); Shaw (a) 1995 adotta <i>ad hoc</i>, giudicando a ragione imperativa la sua scelta (Shaw 2009, <i>Introduzione</i>, p. 311); la rifiuta invece Kay","Lc 22, 35-36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK SCRIBIT AUTEM MATHEUS,"<i>Mt</i> 16, 15-6","Mt 16, 15-6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK ITEM SCRIBIT,"<i>Mt</i> 26, 33","Mt 26, 33",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK CONTESTATUR MARCUS,"cfr. <i>Mr</i> 14, 29 e 31: Petrus autem ait illi: Etsi omnes scandalizati fuerint in te, sed non ego [...]. At ille amplius loquebatur: Et si oportuerit me simul commori tibi, non te negabo. Similiter autem et omnes dicebant","Mr 14, 29 e 31",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK LUCAS VERO SCRIBIT,"<i>Lc</i> 22, 33","Lc 22, 33",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"<i>Io</i> 18, 10; cfr. <i>Mt</i> 26, 51; <i>Mr</i> 14, 47; <i>Lc</i> 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, II 5) cfr. <i>Vinay</i>, riecheggiato da <i>Kay</i> (e cfr. sopra, III IX 1)","Io 18, 10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"<i>Io</i> 18, 10; cfr. <i>Mt</i> 26, 51; <i>Mr</i> 14, 47; <i>Lc</i> 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, II 5) cfr. <i>Vinay</i>, riecheggiato da <i>Kay</i> (e cfr. sopra, III IX 1)","Mt 26, 51",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"<i>Io</i> 18, 10; cfr. <i>Mt</i> 26, 51; <i>Mr</i> 14, 47; <i>Lc</i> 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, II 5) cfr. <i>Vinay</i>, riecheggiato da <i>Kay</i> (e cfr. sopra, III IX 1)","Mr 14, 47",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Mark,Vangelo di Marco,Marco,http://dbpedia.org/resource/Mark_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK DICIT ETIAM ... OMNES QUATUOR,"<i>Io</i> 18, 10; cfr. <i>Mt</i> 26, 51; <i>Mr</i> 14, 47; <i>Lc</i> 22, 50. Sull’uso paradigmatico della citazione scritturale nella <i>Unam sanctam</i> di Bonifacio VIII (cap. 1, <i>Extrav. comm</i>., I, 8, <i>De maioritae et obedientia</i>: Friedberg, II, coll. 1245-6) così come nella letteratura c.d. ierocratica (per esempio in Egidio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, II 5) cfr. <i>Vinay</i>, riecheggiato da <i>Kay</i> (e cfr. sopra, III IX 1)","Lc 22, 50",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK DICIT ETIAM IOHANNES,"<i>Io</i> 20, 6","Io 20, 6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK DICIT ITERUM,"<i>Io</i> 21, 7","Io 21, 7",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK IN LAUDEM SUE PURITATIS CONTINUASSE,"""in laulde della sua purità avere narrate"" (Ficino); <i>puritas</i> è in genere tradotto ""purezza"", ""candore"", ""ingenuousness"" (Shaw 1996); preferisce ""schiettezza"" <i>Nardi</i>, e ""lack of sophistication"" <i>Kay</i>. Cfr. ancora Uguccione, P 124, 1-2: ""PURUS –a –um, mundus, liquidus, sine commixtione alicuius rei, immunis, innocens, expers, et comparatur –or –mus, unde <i>pure</i> –ius –me adverbium et hec <i>puritas</i> -tis"". Ad Uguccione, T 68, 30-1, si può ricorrere anche per il significato di <i>continuo</i> (“tenere insieme”, e dunque “elencare”): ""Item a contineo <i>continuus</i> –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec <i>continuitas</i>, et <i>continuo</i> –as, continuum facere vel continuum habere, unde <i>continuatim</i>, et est activum cum suis compositis; item a <i>continuus</i> <i>continue</i> adverbium pro quo sepe ponitur <i>continuo</i>, idest <i>continuatim</i> vel statim, sine interpolatione"". <i>Vinay</i> si dilunga nella citazione di esempi del vocabolario tecnico del linguaggio aristotelico-scolastico (dietro di lui <i>Kay</i>)","P 124, 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK IN LAUDEM SUE PURITATIS CONTINUASSE,"""in laulde della sua purità avere narrate"" (Ficino); <i>puritas</i> è in genere tradotto ""purezza"", ""candore"", ""ingenuousness"" (Shaw 1996); preferisce ""schiettezza"" <i>Nardi</i>, e ""lack of sophistication"" <i>Kay</i>. Cfr. ancora Uguccione, P 124, 1-2: ""PURUS –a –um, mundus, liquidus, sine commixtione alicuius rei, immunis, innocens, expers, et comparatur –or –mus, unde <i>pure</i> –ius –me adverbium et hec <i>puritas</i> -tis"". Ad Uguccione, T 68, 30-1, si può ricorrere anche per il significato di <i>continuo</i> (“tenere insieme”, e dunque “elencare”): ""Item a contineo <i>continuus</i> –a –um, idest vicinus, sine interpolatione, quia simul teneatur, unde hec <i>continuitas</i>, et <i>continuo</i> –as, continuum facere vel continuum habere, unde <i>continuatim</i>, et est activum cum suis compositis; item a <i>continuus</i> <i>continue</i> adverbium pro quo sepe ponitur <i>continuo</i>, idest <i>continuatim</i> vel statim, sine interpolatione"". <i>Vinay</i> si dilunga nella citazione di esempi del vocabolario tecnico del linguaggio aristotelico-scolastico (dietro di lui <i>Kay</i>)","T 68, 30-1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK QUOD DICEBAT LUCAS AD THEOPHILUM,"<i>Ac</i> 1, 1","Ac 1, 1",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK ADHUC QUIDAM,"K inverte <i>quidam adhuc</i>; i <i>quidam</i> genericamente evocati formano la larga schiera delle <i>auctoritates</i> e degli scrittori a sostegno del <i>constitutum Constantini</i>, così come Dante e i contemporanei potevano leggerlo, sia pure in forma di <i>excerptum</i>, nella <i>palea</i> <i>Constantinus</i> del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5), esito di una tradizione che dagli <i>Actus beati Sylvestri</i> e dalle antiche collezioni canoniche giunge fino alla <i>Legenda aurea</i> di Iacopo da Varazze. Bene, a questo proposito, <i>Kay</i>, che ricorda che il testo del <i>Constitutum</i>, abbreviato nella <i>palea</i> grazianea, è il solo ad avere rilievo nella controversia (si aggiunga: non solo perché ivi depositato, ma soprattutto perché ivi “recepito” ed eretto a norma universale dell’<i>utrumque ius</i>, dell’ordine giuridico della cristianità). Superflua, da questo punto di vista, ogni residua considerazione (Pizzica 1988, p. 381 nota 2) della polemica intorno alla conoscenza “diretta” del testo da parte di Dante, a partire dai dubbi di <i>Nardi</i> 1942a, poi con aggiunte in <i>Nardi</i> 1944, pp. 109-59, in particolare pp. 144-7 (cfr. <i>Vinay</i> e Maccarrone 1955, p. 72), con le ulteriori note di <i>Nardi</i> 1992, p. 240, intese ad innalzare il tono della disputa col rifiuto di attribuire un ""carattere politico-giuridico"" alla confutazione di Dante (fino alla sconcertante dichiarazione, secondo la quale ""dal punto di vista politico e giuridico la <i>Monarchia</i> dantesca è cosa da far sorridere uomini che del governo degli stati e di diritti s’intendevano molto bene anche nel medio evo. La vera importanza della <i>Monarchia</i> è nella sua concezione filosofica e religiosa della vita""), salvo poi confondere il problema della autenticità della Donazione con quello della sua validità, tacciando <i>Vinay</i> di conoscere ""poco la storia del diritto medievale, specialmente del periodo del Barbarossa e di Accursio"", e scambiare la <i>palea</i> con ""una glossa del Paucapalea"" (<i>Nardi</i>, p. 475). Cfr. Horst Fuhrmann, <i>Kostantinische Schenkung</i>, in <i>LexMA</i>, V, 1999, coll. 1385-7, e per il testo critico del <i>Constitutum</i> Fuhrmann 1968. Per una ricostruzione dettagliata della vicenda normativo-dottrinale v. Laehr 1926 e 1931-32, quindi Maffei 1969, con amplissima bibliografia; e cfr. Maffei 1987, con ampie postille e note bibliografiche. Si veda in sintesi anche Fried 2007 e Vian 2004. Un punto non eludibile della critica storiografica è quello stabilito un trentennio fa da Capitani 1982, poi in Capitani 1983, pp. 83-114, in part. 90-112; cfr. anche Fenzi 200, p. 94 nota 93, a proposito della Donazione di Costantino nel pensiero di Dante nella ricerca di Cristaldi 2000, pp. 223-392.","nella palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK "CONSTANTINUS IMPERATOR, MUNDATUS A LEPRA","il passo dipende forse direttamente dalla <i>Legenda aurea</i> di Iacopo da Varazze (XII, pp. 83-5), come già sopra, II v 5 (ma v. anche Brunetto Latini, <i>Tresor</i>, I 87). Cfr. <i>If</i> XXVII 94-7: ""“Ma come Costantin chiese Silvestro / dentro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi per maestro / a guerir de la sua superba febbre”""; e a commento Chiavacci Leonardi 1991, p. 818 e p. 586 (per il parallelo <i>If</i> XIX 115-7: ""Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!""). Cfr. ancora Enzo Petrucci, <i>Costantino</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 236-9, e Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 109-59).","XII, pp. 83-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Golden_Legend,Legenda aurea,Jacopo da Varazze,http://dbpedia.org/resource/Jacobus_de_Voragine,http://purl.org/bncf/tid/24527,WORK "CONSTANTINUS IMPERATOR, MUNDATUS A LEPRA","il passo dipende forse direttamente dalla <i>Legenda aurea</i> di Iacopo da Varazze (XII, pp. 83-5), come già sopra, II v 5 (ma v. anche Brunetto Latini, <i>Tresor</i>, I 87). Cfr. <i>If</i> XXVII 94-7: ""“Ma come Costantin chiese Silvestro / dentro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi per maestro / a guerir de la sua superba febbre”""; e a commento Chiavacci Leonardi 1991, p. 818 e p. 586 (per il parallelo <i>If</i> XIX 115-7: ""Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!""). Cfr. ancora Enzo Petrucci, <i>Costantino</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 236-9, e Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 109-59).",I 87,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK IMPERII SEDEM ... CUM MULTIS ALIIS DIGNITATIBUS,"""donò la sedia dello inperio, c[i]oè Roma, alla chiesa, con molte altre degnità d’inperio"" (Ficino); <i>Vinay</i> intende <i>dignitates</i> come ""prerogative imperiali"", seguito da Ronconi 1966, mentre ""diritti imperiali"" traduce Sanguineti 1985, ""imperial privileges"" Shaw 1996 e <i>Cassell</i>, ""dignities of the Empire"" <i>Kay</i>. Nel principio e nel § 6 della <i>palea</i> <i>Constantinus</i> del <i>Decretum Gratiani</i> (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5 = <i>Constitutum Constantini</i>, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93) si può leggere: ""<i>Constantinus</i> inperator quarta die sui baptismi priuilegium Romanae ecclesiae Pontifici contulit, ut in toto orbe Romano sacerdotes ita hunc caput habeant, sicut iudices regem [...]. Unde ut pontificalis apex non uilescat, sed magis quam terreni inperii dignitas gloria <i>et</i> potentia decoretur, ecce tam palatium nostrum, ut predictum est, quam Romanam urbem, <i>et</i> omnes Italiae seu occidentalium regionum prouincias, loca <i>et</i> ciuitates, prefato beatissimo Pontifici nostro Syluestro uniuersali Papae contradimus atque relinquimus, <i>et</i> ab eo <i>et</i> a successoribus eius per hanc diualem nostram <i>et</i> pragmaticum constitutum decernimus disponenda, atque iuri sanctae Romanae ecclesiae concedimus permansura"". Oltre alla variante <i>Romana donavi</i> in T e nei codici A2 D G M H Z, è importante notare la lezione presente di seguito nel solo U (per le <i>lectiones singulares</i> del quale cfr. Shaw 1969 e Shaw 1991, pp. 285-6), che insieme alla <i>palea</i> <i>Constantinus</i> allega espressamente al modo dei giuristi la precedente e più sintetica <i>palea</i> <i>Constantinus inperator coronam</i>: è il solo caso in tutta la tradizione del trattato. Questa è la lezione di U, c. 52: <i>quia coronam <i>et</i> et</i> (sic) <i>omnem Regiam dignitatem in urbe Romana <i>et</i> in Italia <i>et</i> in Italia</i> (sic) <i>et in partibus occidentalibus ut xcvi. di. c. coronam <i>et</i> c. Constantinus</i>. Si deve infatti leggere così, e non già <i>quia coronam <i>et</i> etonem</i>, come si ha tanto nella <i>Word Collation</i> quanto nella funzione <i>Image/Text</i> nell’ed. elettronica su DVD-Rom (Shaw 2006). Per evitare tale errore di lettura, dovuto al mancato avvertimento della duplicazione, nel codice U, di <i>et</i> davanti a o?3 (= omnem), sarebbe bastato uno sguardo al testo della <i>palea</i> (c. 13, D. XCVI: Friedberg, I, col. 342): ""<i>Constantinus inperator coronam</i>, <i>et</i> omnem regiam dignitatem in urbe Romana, <i>et</i> in Italia, <i>et</i> in partibus occidentalibus Apostolico concessit. Nam in gestis beati Sylvestri [...] ita legitur"".","Nel principio e nel § 6 della palea Constantinus del Decretum Gratiani (c. 14, D. XCVI: Friedberg, I, coll. 342-5 = Constitutum Constantini, 17, ed. Fuhrmann 1968, p. 93)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK EX QUO ARGUUNT ... CUIUS EAS ESSE DICUNT,"per <i>Kay</i> Dante seems to have had no particular writer in mind, poiché al tempo l’<i>argumentum</i> (in senso tecnico; v. Uguccione, A 307, 1, 3-4: ARGUO [...], idest convincere [...]. Item ab arguo hoc <i>argumentum</i> [...]; dicitur enim <i>argumentum</i> res ficta que tamen fieri potuit [...]. Dicitur etiam <i>argumentum</i> rei dubie probatio) era a commonplace, tale da render superfluo l’elenco dei suoi sostenitori, a cominciare da Placido di Nonantola e Onorio di Autun, fornito da Laehr 1926 e preso a base da Nardi 1942a (poi in Nardi 1944, pp. 111-22). Opportunamente <i>Vinay</i> nota già che era stato Enrico VII, alla vigilia della sua incoronazione imperiale, a rinnovare <i>specialiter et expresse</i> la concessione dei privilegi contenuti nel <i>Constitutum</i> (de novo concedimus omnia privilegia Constantini: <i>MGH</i>, <i>Constitutiones et acta publica</i>, IV, 1, ed. Schwalm, n. 393, p. 344; e cfr. n. 454, p. 396 (11 ottobre 1310); v. Bowsky 1958, p. 56, e più in generale Bowsky 1960, Menache 1998","A 307, 1, 3-4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK NEMINI LICET EA FACERE ... CONTRA ILLUD OFFITIUM,"cfr. Pier Giorgio Ricci, <i>Donazione di Costantino</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 569-70. il principale argomento contro gli avversari è quello della contraddittorietà, e perciò dell’impossibilità, logica e giuridica, della validità dell’esecuzione <i>in officio</i> di atti ad esso contrari. L’enunciazione dantesca ha il tono e lo stile di un brocardo, di cui può facilmente ravvisarsi l’origine in luoghi del <i>corpus</i> giustinianeo già noti per risalenti indagini (cfr. Chiappelli 1908, p. 12), come ad esempio <i>Dig</i>. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda; o come nella <i>regula iuris</i> in <i>Dig</i>. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872). Sul passo v. anche Lansing 1976","Dig. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK NEMINI LICET EA FACERE ... CONTRA ILLUD OFFITIUM,"cfr. Pier Giorgio Ricci, <i>Donazione di Costantino</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 569-70. il principale argomento contro gli avversari è quello della contraddittorietà, e perciò dell’impossibilità, logica e giuridica, della validità dell’esecuzione <i>in officio</i> di atti ad esso contrari. L’enunciazione dantesca ha il tono e lo stile di un brocardo, di cui può facilmente ravvisarsi l’origine in luoghi del <i>corpus</i> giustinianeo già noti per risalenti indagini (cfr. Chiappelli 1908, p. 12), come ad esempio <i>Dig</i>. 2, 15, 8, § 17: praetori enim ea res quaerenda commissa est, non negligenda nec donanda; o come nella <i>regula iuris</i> in <i>Dig</i>. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872). Sul passo v. anche Lansing 1976","Dig. 50, 17, 170: Factum a iudice, quod ad officium eius non pertinet, ratum non est (Mommsen-Krüger, I, p. 34 e p. 872).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SED CONTRA OFFITIUM DEPUTATUM IMPERATORI EST SCINDERE IMPERIUM,"ogni lacerazione dell’indivisibile unità dell’Impero, simboleggiata dalla tunica inconsutile del Cristo evocata sopra, I XVI 3 e qui poco più avanti, contraddice alla natura dell’Impero e allo stesso officio imperiale, che è quello del suo potenziale accrescimento. Bene qui <i>Vinay</i>, che nota che il ragionamento di Dante non è diverso da quello desunto dall’etimologia “augustus ab augeo”; e a questo proposito cfr. sopra, II XI 8, col richiamo alla glossa accursiana semper augustus al proemio delle Istituzioni di Giustiniano: Quia huius debet esse propositi quilibet imperator, semper ut augeat, licet hoc non semper faciat (<i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 2). All’etimologia anzidetta si appiglia lo stesso Accursio nella sua glossa conferens generi all’autentica <i>Quomodo oporteat episcopos</i> (<i>Auth</i>. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la Novella giustinianea che afferma solennemente che <i>sacerdotium</i> e <i>imperium</i> procedono entrambi ex uno eodemque principio. La glossa, che costituisce la fonte autoritativa principale della confutazione dantesca, premesso il principio generale della separazione tra le due giurisdizioni, spirituale e temporale (ergo apparet quod nec papa in temporalibus nec imperator in spiritualibus se debeant immiscere), formula subito dopo la <i>quaestio</i> qui riproposta e la risolve, allegando come d’uso per primi gli argomenti che si vogliono confutare e solo in secondo luogo gli argomenti contrari, muniti gli uni e gli altri degli appigli autoritativi della tradizione giuridica: Nunquid habet ergo papa temporalem iurisdictionem in ijs qu? sunt imperij, quod Constantinus imperator donavit beato Silvestro Papæ? Videtur quod sic, licet immensa fuerit donatio, infra, titu. j. §. sinimus [<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1]; præterea quod vult princeps, hoc est lex: ut ff. de const. prin. l. j. [<i>Dig</i>. 1, 4, 1]. Item sicut patrimonialia, ita imperialia donare potest, cum nulla sit differentia: ut C. de quadri. præscr. l. fi. in prin. [<i>Cod</i>. 7, 37, 3] econtra videtur quod non: quia tunc non esset Augustus dictus: ut in rubrica proœmij instit. [<i>Inst</i>. Prooem., <i>De confirmatione Institutionum</i>, pr.] Item imperare non potuit pari, idest imperatori venienti post se: ut ff. de arbi. l. nam magistratus [<i>Dig</i>. 4, 8, 4]. et ff. ad Treb. ille a quo. §. tempestivum [<i>Dig</i>. 36, 1, 13, § 4]. Item ne turbetur opus Dei si clerici intromittant se in temporalibus: ut C. de epis. et cle. l. placet [<i>Cod</i>. 1, 3, 17]. Item ne unus duorum officium habeat: ut ff. de pact. l. si plures [<i>Dig</i>. 2, 14, 9]; sed licet solutio facti ad nos non pertineat, solvimus quod de iure non valuit talis collatio sive donatio: ut infra eo. ti. §. [quae] igitur [<i>Auth</i>. Coll. I, 6, epil. = Nov. VI, epil.]. et C. de leg. et consti. l. digna in fi. [<i>Cod</i>. 1, 14, 4] et insti. qui. mo. test. infir. §. fi. [<i>Inst</i>. 2, 17, § 8]. nec ob[stat] infra tit. j. in prin. [<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 2, § 1 = Nov. VII, 1, 2, § 1] quia auxit honorem ecclesiæ quantum in eo fuit Constantinus vel in aliis: non autem in iurisdictione: quia sic posset totum <i>imperium</i> perire, ut dictum est (<i>Volumen</i>, col. 41). Sulla glossa conferens generi e sulla sua rigorosa coerenza alla concezione dualistica v. ampiamente Maffei 1965, pp. 66-8","Quia huius debet esse propositi quilibet imperator, semper ut augeat, licet hoc non semper faciat (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 2).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK HUMANUM GENUS UNI VELLE ET UNI NOLLE TENERE SUBIECTUM,"ad un volere et uno nonvolere tenere la humana generatione subg[i]ughata (Ficino), e similmente l’Anonimo: l’umana gienerazione ad uno volere et ad uno non volere tenerlo subgietto (p. 208). A tale formula si tengono stretti per lo più anche i moderni interpreti. Schiva la difficoltà della traduzione <i>Vinay</i> (ad una sola ed unica volontà); efficace Pizzica 1988, al volere positivo e negativo di uno solo, che però “copre” troppo la formula dantesca; meglio Ronconi 1966, sotto un’unica volontà che comanda e proibisce; Shaw 1996, to a single will (its commands and its prohibitions); <i>Kay</i>, to a single will or to a single prohibition; e <i>Cassell</i>, to a single will in choosing and refusing. Una tale dualità appartiene alla tradizione esegetica di <i>Gn</i> 2, 16-7, intorno alla duplicità del comando divino, positivo e negativo (comede, ne comedas; cfr. la <i>Postilla in Genesim</i> di Ugo di S. Caro, ad v. <i>Praecepit</i>, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini). Lo stesso farà Bartolo nelle sue glosse alla costituzione <i>Ad reprimendum</i> di Enrico VII, ponendo nei duo praecepta facta primis duobus parentibus l’origine di ogni diritto positivo e dunque le due “briglie di ogni debita fedeltà” (v. sopra, I IV 2, e cfr. Quaglioni 1994a, pp. 390-1)","Gn 2, 16-7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK HUMANUM GENUS UNI VELLE ET UNI NOLLE TENERE SUBIECTUM,"ad un volere et uno nonvolere tenere la humana generatione subg[i]ughata (Ficino), e similmente l’Anonimo: l’umana gienerazione ad uno volere et ad uno non volere tenerlo subgietto (p. 208). A tale formula si tengono stretti per lo più anche i moderni interpreti. Schiva la difficoltà della traduzione <i>Vinay</i> (ad una sola ed unica volontà); efficace Pizzica 1988, al volere positivo e negativo di uno solo, che però “copre” troppo la formula dantesca; meglio Ronconi 1966, sotto un’unica volontà che comanda e proibisce; Shaw 1996, to a single will (its commands and its prohibitions); <i>Kay</i>, to a single will or to a single prohibition; e <i>Cassell</i>, to a single will in choosing and refusing. Una tale dualità appartiene alla tradizione esegetica di <i>Gn</i> 2, 16-7, intorno alla duplicità del comando divino, positivo e negativo (comede, ne comedas; cfr. la <i>Postilla in Genesim</i> di Ugo di S. Caro, ad v. <i>Praecepit</i>, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini). Lo stesso farà Bartolo nelle sue glosse alla costituzione <i>Ad reprimendum</i> di Enrico VII, ponendo nei duo praecepta facta primis duobus parentibus l’origine di ogni diritto positivo e dunque le due “briglie di ogni debita fedeltà” (v. sopra, I IV 2, e cfr. Quaglioni 1994a, pp. 390-1)","la Postilla in Genesim di Ugo di S. Caro, ad v. Praecepit, f. 5r: Iussio in duobus consistit, in praecepto et prohibitione, et ideo utrumque datur homini",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Postilla_super_Genesim(Ugo_di_San_Caro),Postilla super Genesim,Ugo di San Caro,http://dbpedia.org/resource/Hugh_of_Saint-Cher,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/esegesi_biblica_vecchio_testamento,WORK UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. <i>1 Cor</i> 3, 11; e inoltre <i>Eph</i> 2, 20 e <i>1 Pt</i> 2, 6","1 Cor 3, 11",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. <i>1 Cor</i> 3, 11; e inoltre <i>Eph</i> 2, 20 e <i>1 Pt</i> 2, 6","Eph 2, 20",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Ephesians,Epistola ad Ephesios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK UNDE APOSTOLUS AD CORINTHIOS,"onde lo Appostolo “A’ Corinti” così parla (Ficino); cfr. <i>1 Cor</i> 3, 11; e inoltre <i>Eph</i> 2, 20 e <i>1 Pt</i> 2, 6","1 Pt 2, 6",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_of_Peter,Epistola Petri I,Pietro,http://dbpedia.org/resource/Saint_Peter,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK IPSE EST PETRA SUPER QUAM HEDIFICATA EST ECCLESIA,"cfr. <i>1 Cor</i> 10, 4: <i>petra</i> autem erat Christus. Non sono sicuro che con questa allegazione Dante abbia voluto implicitamente negare l’interpretazione “ierocratica” di <i>Mt</i> 16, 18 (quia tu est Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam), come vuole <i>Kay</i>, ed è assai più probabile che qui si aderisca al significato fissato ad opera della Glossa ordinaria al luogo evangelico, ad v. <i>petra</i>: id est Christum in quem credis","1 Cor 10, 4: petra autem erat Christus",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/First_Epistle_to_the_Corinthians,Epistola I ad Corinthios,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK IPSE EST PETRA SUPER QUAM HEDIFICATA EST ECCLESIA,"cfr. <i>1 Cor</i> 10, 4: <i>petra</i> autem erat Christus. Non sono sicuro che con questa allegazione Dante abbia voluto implicitamente negare l’interpretazione “ierocratica” di <i>Mt</i> 16, 18 (quia tu est Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam), come vuole <i>Kay</i>, ed è assai più probabile che qui si aderisca al significato fissato ad opera della Glossa ordinaria al luogo evangelico, ad v. <i>petra</i>: id est Christum in quem credis","Glossa ordinaria al luogo evangelico Mt 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", <i>Vinay</i> equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del <i>ius divinum</i>. Ha perciò ragione <i>Kay</i> di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di <i>ius humanum</i>, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del <i>Decretum</i> di Graziano, sia nel <i>dictum ante</i> c. 1, D. I (""<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus</i>""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel <i>dictum</i> posto dopo il medesimo canone, che indica nella <i>lex humana</i> i ""<i>mores ipso iure conscripti et traditi</i>"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è <i>lex</i> ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella <i>Summa Decretalium</i> di Bernardo da Pavia, I, 1 (<i>De constitutionibus</i>), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di <i>Furlan</i>, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. <i>Cassell</i>), mentre <i>Kay</i> preferisce far seguire <i>ius</i> tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",nell’inizio stesso del Decretum di Graziano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", <i>Vinay</i> equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del <i>ius divinum</i>. Ha perciò ragione <i>Kay</i> di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di <i>ius humanum</i>, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del <i>Decretum</i> di Graziano, sia nel <i>dictum ante</i> c. 1, D. I (""<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus</i>""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel <i>dictum</i> posto dopo il medesimo canone, che indica nella <i>lex humana</i> i ""<i>mores ipso iure conscripti et traditi</i>"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è <i>lex</i> ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella <i>Summa Decretalium</i> di Bernardo da Pavia, I, 1 (<i>De constitutionibus</i>), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di <i>Furlan</i>, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. <i>Cassell</i>), mentre <i>Kay</i> preferisce far seguire <i>ius</i> tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","Ia-IIae, q. 95, a. 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", <i>Vinay</i> equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del <i>ius divinum</i>. Ha perciò ragione <i>Kay</i> di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di <i>ius humanum</i>, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del <i>Decretum</i> di Graziano, sia nel <i>dictum ante</i> c. 1, D. I (""<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus</i>""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel <i>dictum</i> posto dopo il medesimo canone, che indica nella <i>lex humana</i> i ""<i>mores ipso iure conscripti et traditi</i>"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è <i>lex</i> ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella <i>Summa Decretalium</i> di Bernardo da Pavia, I, 1 (<i>De constitutionibus</i>), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di <i>Furlan</i>, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. <i>Cassell</i>), mentre <i>Kay</i> preferisce far seguire <i>ius</i> tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","nella Summa Decretalium di Bernardo da Pavia, I, 1 (De constitutionibus), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"".",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Summa_decretalium(Bernardo_da_Pavia),Summa decretalium,Bernardo da Pavia,http://dbpedia.org/resource/Bernardus_Papiensis,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", <i>Vinay</i> equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del <i>ius divinum</i>. Ha perciò ragione <i>Kay</i> di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di <i>ius humanum</i>, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del <i>Decretum</i> di Graziano, sia nel <i>dictum ante</i> c. 1, D. I (""<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus</i>""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel <i>dictum</i> posto dopo il medesimo canone, che indica nella <i>lex humana</i> i ""<i>mores ipso iure conscripti et traditi</i>"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è <i>lex</i> ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella <i>Summa Decretalium</i> di Bernardo da Pavia, I, 1 (<i>De constitutionibus</i>), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di <i>Furlan</i>, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. <i>Cassell</i>), mentre <i>Kay</i> preferisce far seguire <i>ius</i> tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.","nel dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", <i>Vinay</i> equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del <i>ius divinum</i>. Ha perciò ragione <i>Kay</i> di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di <i>ius humanum</i>, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del <i>Decretum</i> di Graziano, sia nel <i>dictum ante</i> c. 1, D. I (""<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus</i>""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel <i>dictum</i> posto dopo il medesimo canone, che indica nella <i>lex humana</i> i ""<i>mores ipso iure conscripti et traditi</i>"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è <i>lex</i> ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella <i>Summa Decretalium</i> di Bernardo da Pavia, I, 1 (<i>De constitutionibus</i>), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di <i>Furlan</i>, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. <i>Cassell</i>), mentre <i>Kay</i> preferisce far seguire <i>ius</i> tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",sia nello stesso canone 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUS HUMANUM,"conseguentemente all’idea che Dante contrapponga qui simpliciter ""i due “fundamenta”, della Chiesa e dell’Impero"", ponendo i due istituti ""sullo stesso piano"" ed escludendo ""dal terreno politico rivelazione e redenzione"", <i>Vinay</i> equivoca gravemente, scrivendo: ""È la più bella conferma della naturalità dell’Impero [...]: il diritto umano non può essere il fondamento di un istituto voluto e attuato da Dio allo stesso titolo della redenzione: non si vede perché in tal caso Cristo non dovrebbe essere anche il “fundamentum Imperii”"". E ancora: ""Per “ius humanum”, che è espressione giuridicamente vaga, D. intende il diritto in quanto espressione della pura razionalità dell’uomo, cioè in quanto deriva dall’“ius naturale” [...]. Noi diremmo quindi che l’Impero ha la sua giustificazione nella sua razionalità"". Ciò è verissimo, a patto che si ricordi che il diritto naturale, nella tradizione canonistica così come in quella civilistica come interpretata dalla Glossa accursiana, è null’altro che la declinazione del <i>ius divinum</i>. Ha perciò ragione <i>Kay</i> di ricordare la contrapposta interpretazione di Nardi 1992, p. 251, a proposito dell’Impero come ""a God-given remedy for corrupt human nature"". Vale infine la pena di ricordare che il concetto di <i>ius humanum</i>, sul quale Dante insiste nei due paragrafi successivi, lungi dall’essere espressione giuridicamente vaga, è allo stesso tempo un concetto teologico e giuridico, scolpito nell’inizio stesso del <i>Decretum</i> di Graziano, sia nel <i>dictum ante</i> c. 1, D. I (""<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus</i>""), sia nello stesso canone 1, di derivazione isidoriana (""Omnes leges aut divinae sunt, aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant""), sia nel <i>dictum</i> posto dopo il medesimo canone, che indica nella <i>lex humana</i> i ""<i>mores ipso iure conscripti et traditi</i>"", vale a dire il diritto scritto che ha origine dalla consuetudine e che è <i>lex</i> ""quod ratione constiterit dumtaxat, quod religioni conveniat, quod disciplinae congruat, quod saluti proficiat"" (c. 5, D. I: Friedberg, I, col. 1). In tal senso esso forma la base di tutto il pensiero canonistico dell’età intermedia, come si può vedere ad es. nella <i>Summa Decretalium</i> di Bernardo da Pavia, I, 1 (<i>De constitutionibus</i>), § 1, ed. Laspeyres, p. 3 (cfr. Schulte, I, pp. 175-82; Kuttner, pp. 387-90): ""Constitutio est ius humanum in scriptis redactum. Ius etenim aliud divinum, aliud humanum, item humanum aliud in scriptis redactum, aliud solo utentium usu roboratum; quod in scriptis redactum est, constitutio, quod usu obtentum, consuetudo vocatur"". È in relazione a questa tradizione che deve essere letto lo stesso concetto tomista espresso nella <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 95, a. 2, che di certo Dante non può aver ignorato, né potevano ignorarlo i volgarizzatori quattrocenteschi traducendo ""la ragione umana"" (Anonimo), ""la humana ragione"" (Ficino: espressione che difficilmente, con buona pace di <i>Furlan</i>, ""può suonare ambigua, se non equivoca""). Perciò pare impropria la traduzione ""human right"" (Shaw 1996. <i>Cassell</i>), mentre <i>Kay</i> preferisce far seguire <i>ius</i> tra parentesi dopo ""human law"". L’espressione ritorna subito qui sotto nei paragrafi 8-9.",nel dictum post canone 1,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IUXTA ILLUD CANTICUM,"Cn 8, 5. Lo stemma impone qui <i>Canticum</i>, conservato solo da K T (a meno di considerare la loro lezione come errore poligenetico: v. Favati 1970, pp. 10-2, che conclude affermando che ""il meno che si può fare è sospendere il giudizio di erroneità""; e cfr. p. 13 nota 35), contro varie lezioni, abbreviate e no, dei restanti testimoni, tra le quali <i>Canticorum</i> è tramandata da D G H M; Ficino ha ""secondo la “Canticha”"", che sembra condurre alla lezione <i>iuxta canticam</i> di E; l’Anonimo scrive ""secondo quello della Canticha"". Implicito il precedente richiamo, sopra, III iii 12; v. ancora Angelo Penna, <i>Cantico dei Cantici</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, p. 793.","Cn 8, 5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Song_of_Songs,Cantico dei cantici,Salomone,http://dbpedia.org/resource/Solomon,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SCINDERE IMPERIUM ESSET DESTRUERE IPSUM,"""Fondandosi sulle conclusioni del primo libro, D. riprende sostanzialmente l’argomento classico già ricordato dell’“Augustus ab augendo”"" (<i>Vinay</i>, che cita a questo proposito la <i>Quaestio in utramque partem</i>, mentre Dante qui ha ancora in mente l’accursiano ""quia sic posset totum imperium perire"" nella chiusa della glossa ""conferens generi"" alla Novella VI di Giustiniano, di cui v. sopra, III x 5).","mentre Dante qui ha ancora in mente l’accursiano ""quia sic posset totum imperium perire"" nella chiusa della glossa ""conferens generi"" alla Novella VI di Giustiniano",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK OMNIS IURISDICTIO PRIOR EST SUO IUDICE,"non c’è bisogno di dire che l’argomentazione è “più chiara” when put in modern American terms, for the Constitution is evidently prior to the president and other officials established thereby (<i>Kay</i>). Sono convinto che più che alle definizioni di stampo etimologico della tradizione scolastica (Chiappelli 1908, p. 14; Calasso 1953; Costa 1969, pp. 99-100) la formula dantesca si richiami al testo della costituzione Omnis iurisdictio del “buon Barbarossa” (Omnis iurisdictio et districtus apud principem est et omnes iudices a principe administrationem accipere debent et iuramentum prestare quale a lege constitutum est), una delle “leggi perdute” di Roncaglia che, non ancora espunta dalle raccolte feudistiche, poteva essere allegata da Jacques de Revigny nella sua <i>Lectura Feudorum</i> (ed. Pecorella 1956, dove però l’allegazione è stimata frutto di memoria erronea) prima di essere recuperata integralmente da Baldo degli Ubaldi alla fine del secolo XIV (Colorni 1967 e Colorni-Dolezalek 1969, Dilcher 2003, Quaglioni 2007a e 2008b). Cfr. quanto già notato sopra, I X 5 e II X 8",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Omnis_iurisdictio(Federico_ Barbarossa),Omnis iurisdictio,Federico Barbarossa,"http://dbpedia.org/resource/Frederick_I,_Holy_Roman_Emperor",http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SEQUERETUR QUOD ... POSSET ANNICHILARI,"corrisponde al quia sic posset totum imperium perire della glossa accursiana conferens generi (cfr. sopra, III X 5). Strettamente adesive le versioni di Ficino (anicchillare si potrebbe) e dell’Anonimo (si potrebbe annicchillare). <i>Kay</i> indica in <i>Cv</i> IV XXIX 11 una similarità esemplificativa. Cfr. ancora Pier Giorgio Ricci, <i>Donazione di Costantino</i>, in <i>ED</i>, II, 1970, pp. 569-70",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK CUM CONFERENS ... PER MODUM PATIENTIS,"prosegue l’esplicazione di quanto espresso in III X 4, e già specificato per la prima parte qui sopra nel paragrafo 11: se l’imperatore non poteva <i>de iure</i> alienare la minima parte della giurisdizione imperiale, la Chiesa non aveva <i>de iure</i> la facoltà di riceverla, perché la liceità di una donazione è soggetta al duplice requisito della <i>dispositio conferentis</i> (la facoltà di donare da parte del donante) e della <i>dispositio eius cui confertur</i> (l’idoneità a ricevere da parte del donatario). Mi sembra che Dante non interpreti la <i>dispositio</i> aristotelica in senso puramente soggettivo (la volontà del donante, la gratitudine nel donatario), ma nel senso prevalentemente oggettivo di facoltà e attitudine. Né poteva essergli estranea la conoscenza del principio giuridico espresso in <i>Dig</i>. 39, 5 (<i>de donationibus</i>), 9, per il quale non può esser donato se non ciò che può diventare proprietà del donatario: Donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur (Mommsen-Krüger, I, p. 608)","Dig. 39, 5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK CUM CONFERENS ... PER MODUM PATIENTIS,"prosegue l’esplicazione di quanto espresso in III X 4, e già specificato per la prima parte qui sopra nel paragrafo 11: se l’imperatore non poteva <i>de iure</i> alienare la minima parte della giurisdizione imperiale, la Chiesa non aveva <i>de iure</i> la facoltà di riceverla, perché la liceità di una donazione è soggetta al duplice requisito della <i>dispositio conferentis</i> (la facoltà di donare da parte del donante) e della <i>dispositio eius cui confertur</i> (l’idoneità a ricevere da parte del donatario). Mi sembra che Dante non interpreti la <i>dispositio</i> aristotelica in senso puramente soggettivo (la volontà del donante, la gratitudine nel donatario), ma nel senso prevalentemente oggettivo di facoltà e attitudine. Né poteva essergli estranea la conoscenza del principio giuridico espresso in <i>Dig</i>. 39, 5 (<i>de donationibus</i>), 9, per il quale non può esser donato se non ciò che può diventare proprietà del donatario: Donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur (Mommsen-Krüger, I, p. 608)",in quarto ad Nicomacum,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK UT PLACET PHYLOSOPHO IN QUARTO AD NICOMACUM,"come dicie Aristotile nella “Eticha” (Ficino); cfr. <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1120 a 14: Ed è chiaro che all’elargire ricchezze s’accompagna il far del bene e il compiere belle azioni, mentre all’acquisirne s’accompagna il ricever del bene e il non agir male","Ethica ad Nicomachum, 1120 a 14",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK DISPOSITIO,"v. Uguccione, P 107, 17: <i>dispono</i> –is, ordinare, dispensare","P 107, 17",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK UT HABEMUS PER MATHEUM,"<i>Mt</i> 10, 9-10. Si veda in proposito l’ampia disamina di Puletti 1989, pp. 263-7, che ritiene che Dante interpreti il versetto evangelico in senso strettamente letterale, non ritenendolo dunque ""una metafora per indicare i beni temporali in genere"" (p. 266)","Mt 10, 9-10",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PER LUCAM,"ché se in <i>Luca</i> (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. <i>ibid</i>., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (<i>Nardi</i>)","Lc 9, 3",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PER LUCAM,"ché se in <i>Luca</i> (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. <i>ibid</i>., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (<i>Nardi</i>)","Lc 10, 4",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PER LUCAM,"ché se in <i>Luca</i> (ove pure, 9, 3, è ribadito lo stesso comando: “Nihil tuleritis in via, neque virgam neque peram, neque panem neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis”; cfr. <i>ibid</i>., 10, 4), più tardi (22, 35-6), nell’imminenza della passione, dirà loro: “Sed nunc, qui habet sacculum tollat, similiter et peram; et qui non habet, vendat tunicam suam, et emat gladium”, neppure con questa attenuazione concede loro di procurarsi oro e argento (<i>Nardi</i>)","Lc 22, 35-6",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Luke,Vangelo di Luca,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PER MODUM POSSESSIONIS,"a titolo di possesso, qui (e non solo più sotto nell’ultimo paragrafo, come vuole <i>Kay</i>) nel significato strettamente giuridico del termine (un fatto – la detenzione della cosa con l’intenzione di tenerla per sé – da cui emanano dei diritti). L’esclusione della Chiesa dall’idoneità all’acquisto del possesso configura perciò la detenzione delle <i>dignitates</i> imperiali come una <i>vitiosa possessio</i> (cfr. <i>Dig</i>. 41, 2, 53: Mommsen Krüger, I, p. 656), difendibile solo contro gli <i>extranei</i>, ma non contro l'Impero stesso. In questo caso la traduzione (a titolo di proprietà) e il commento di <i>Vinay</i> raggiungono un notevole grado di confusione terminologica e concettuale","Dig. 41, 2, 53",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce <i>Pauperum</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, <i>Povertà</i>, ivi, p. 629; <i>Kay</i> ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, <i>De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus</i> (<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (<i>Volumen</i>, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel <i>Rosarium</i> di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del <i>dispansator pauperum</i>, che il Codice Giustiniano identifica con l’<i>oeconomus ecclesiae</i> (<i>Cod</i>. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476; v. inoltre il <i>Decretum Gratiani</i>, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle <i>res ecclesiasticae</i> ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per <i>Vinay</i> è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera <i>Pézard</i> nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","c. 13, C. XII, q. I",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce <i>Pauperum</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, <i>Povertà</i>, ivi, p. 629; <i>Kay</i> ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, <i>De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus</i> (<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (<i>Volumen</i>, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel <i>Rosarium</i> di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del <i>dispansator pauperum</i>, che il Codice Giustiniano identifica con l’<i>oeconomus ecclesiae</i> (<i>Cod</i>. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476; v. inoltre il <i>Decretum Gratiani</i>, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle <i>res ecclesiasticae</i> ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per <i>Vinay</i> è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera <i>Pézard</i> nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SED TANQUAM FRUCTUUM ... PRO CRISTI PAUPERIBUS DISPENSATOR,"per i “poveri di Cristo” v. già sopra, II X 1-2, e v. la voce <i>Pauperum</i>, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 349, e Dabney G. Park, <i>Povertà</i>, ivi, p. 629; <i>Kay</i> ricorda la glossa pauperum alla Novella VII di Giustiniano, <i>De non alienandis aut permutandis rebus ecclesiasticis immobilibus</i> (<i>Auth</i>. Coll. II, 1, 7 = Nov. VII, 7: Mommsen-Krüger, III, p. 59): idest, ex rebus ipsius ecclesiae. Et no[ta] res ecclesiarum pauperum esse (<i>Volumen</i>, col. 64), aggiungendo che Maccarrone 1955, p. 85 nota 2, indica nel <i>Rosarium</i> di Guido da Baisio una fonte ancor più probabile (ad c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores); ma cfr. a questo proposito Chiappelli 1908, p. 35. Per l’ufficio del <i>dispansator pauperum</i>, che il Codice Giustiniano identifica con l’<i>oeconomus ecclesiae</i> (<i>Cod</i>. 1, 3, 32 [33], § 4: Mommsen Krüger, II, p. 23), v. la voce <i>Diritto romano in Dante</i> di Filippo Cancelli, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 476; v. inoltre il <i>Decretum Gratiani</i>, c. 13, C. XII, q. I, sul potere del vescovo sulle <i>res ecclesiasticae</i> ad dispensandum erga omnes qui indigent (Friedberg, I, col. 681), che per <i>Vinay</i> è il luogo con il quale Dante concorda per la sostanza della questione. Esagera <i>Pézard</i> nel tradurre: mais comme usufruitier, dépensant au nom de l’Église","c. 4, C. X, q. XI, f. 204r: Rerum ecclesiae non sumus domini, sed dispensatores",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Rosarium(Guido_da_Baisio),Rosarium,Guido da Baisio,http://dbpedia.org/resource/Guido_de_Baysio,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK ET IPSI ADVOCATI ECCLESIE SUNT ET DEBENT AB ECCLESIA ADVOCARI,"citando Chiappelli 1908, p. 36, <i>Vinay</i> ricorda che le scuole dei giuristi consideravano l’imperatore come <i>advocatus Ecclesiae</i> per la difesa dei beni materiali e dell’autorità morale, e scrive: Il concetto è riaffermato solennemente da Clemente V nella sua lettera del 26 luglio 1309 ad Arrigo VII: “sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. <i>MGH, Constitutiones et acta publica</i>, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)","“sacerdotium vero pium et tutum debet habere recursum ad imperialem mansuetudinem debita sibi veneratione coniuncta, ut Imperii romani fastigium et eius culminis presidens specialis advocati et defensoris precipui circa Ecclesiam gerat officium, et in ipsius fortitudine brachii defensentur Ecclesie libertates et iura manuteneantur ipsarum, extirpentur hereses, cultus christiane fidei amplietur et, inimicis costernatis eiusdem, in pacis pulcritudine sedeat populus christianus et in requie opulenta quiescat” (Baluze-Mollat 1914-21, III, pp. 224-5; v. MGH, Constitutiones et acta publica, IV, 1, ed. Schwalm, nn. 390-94, pp. 338-47; e cfr. Menache 1998, pp. 152-73)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Divinae_Sapientiae(Clemente_V),Divinae Sapientiae,Clemente V,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Clemente_V,http://purl.org/bncf/tid/2921,WORK USURPATIO ENIM IURIS NON FACIT IUS,"l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in <i>Dig</i>. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (<i>Kay</i> 1990, p. 266), <i>Kay</i> commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel <i>Decretum</i> di Graziano nei canoni <i>Principatus</i> e <i>Neque enim</i> (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)","Dig. 1, 3, 15",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK USURPATIO ENIM IURIS NON FACIT IUS,"l’usurpatione della ragione non fa rag[i]one (Ficino), l’usurpazione della ragione non fa la ragione (Anonimo, p. 211). La frase ha, come non di rado accade nel testo dantesco, il tono di una massima giuridica, e a proposito il Chiappelli 1908, p. 13, poteva citare il principio espresso in <i>Dig</i>. 1, 3, 15 (Mommsen-Krüger, p. 6): In his, quae contra rationem iuris constituta sunt, non possumus sequi regulam iuris; di ciò ampiamente Fiorelli 1997, poi in Fiorelli 2008, pp. 129-84, in particolare p. 135. Citando un suo precedente studio (<i>Kay</i> 1990, p. 266), <i>Kay</i> commenta: Although this has the ring of a legal maxim, Dante apparently coined it himself and considered its truth to be self evident. Io sono più propenso a credere che Dante avesse qui in mente, ancora una volta (cfr. sopra, II V 25), le autorità di Leone Magno e di Agostino escerpite nel <i>Decretum</i> di Graziano nei canoni <i>Principatus</i> e <i>Neque enim</i> (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740)), escludenti entrambi la possibilità di legittimazione della ricchezza o del potere malamente acquisiti, quand’anche di essi si faccia un buon uso se proverebbe (Anonimo); Ficino ha un si direbbe, che Shaw 1978 sospetta essere “corruzione” di si di[moste]rebbe (o forse di si di[mostre]rebbe) (Furlan, p. 602)","nei canoni Principatus e Neque enim (c. 5, D. LXI e c. 9, C. XIV, q Friedberg, I, col. 228 e col. 740))",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK RATIONE VERO SIC ARGUUNT,"commenta <i>Nardi</i>: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’<i>usurpatio iuris</i> del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla <i>Prima filosofia</i> (per questa espressione cfr. Aristotele, <i>Metaph</i>., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e <i>Conv</i>., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “<i>Ratione</i> vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica","VI, 1, 1026 a 24 [...]",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK RATIONE VERO SIC ARGUUNT,"commenta <i>Nardi</i>: ai sei argomenti che canonisti e teologi avevano dedotto da sei testi biblici, e all’argomento “storico” della donazione di Costantino, cui viene aggiunta l’<i>usurpatio iuris</i> del papa che creò il Sacro Romano Impero nella persona di Carlo Magno, si aggiunge ora, secondo il metodo scolastico, un argomento di “ragione”, fondato cioè sul ragionamento filosofico e ispirato alla <i>Prima filosofia</i> (per questa espressione cfr. Aristotele, <i>Metaph</i>., VI, 1, 1026 a 24 [...]; XI, 4, 1061 b 30; e <i>Conv</i>., I, i, 1). La nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 1, nel vol. I di questa edizione, p. 1326, avverte che Dante sviluppa un’argomentazione molto simile a questa [...], introdotta da “<i>Ratione</i> vero sic arguunt”, riferito ai suoi avversari: cioè ‘con la ragione’, s’intende filosofica, ovvero con argomentazione formale aristotelica","XI, 4, 1061 b 30;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato <i>de xp</i>o (= de christo) in luogo di <i>de decimo</i> in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al <i>De perfectione evangelica</i> di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in <i>Imbach, Einleitung</i>, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana <i>Antiquorum habet</i>, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’<i>auctoritas in concedendo</i> come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della <i>reductio ad unum</i> le ragioni che fanno del papa l’unico capo del <i>corpus mysticum</i> della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, <i>Extrav. Comm.</i>, V, 9, in <i>Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes</i>, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto <i>Nardi</i>, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’<i>Elementatio theologica</i> di Proclo e la <i>Metafisica</i> di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da <i>Kay</i>, pp. 278-9",1052 b 18-9,CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato <i>de xp</i>o (= de christo) in luogo di <i>de decimo</i> in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al <i>De perfectione evangelica</i> di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in <i>Imbach, Einleitung</i>, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana <i>Antiquorum habet</i>, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’<i>auctoritas in concedendo</i> come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della <i>reductio ad unum</i> le ragioni che fanno del papa l’unico capo del <i>corpus mysticum</i> della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, <i>Extrav. Comm.</i>, V, 9, in <i>Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes</i>, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto <i>Nardi</i>, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’<i>Elementatio theologica</i> di Proclo e la <i>Metafisica</i> di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da <i>Kay</i>, pp. 278-9",_EMPTY,CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Quaestiones_de_perfectione_evangelica(Bonaventura),Quaestiones de perfectione evangelica,Bonaventura da Bagnoregio,http://dbpedia.org/resource/Bonaventure,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SUMMUNT ETENIM ... DE DECIMO PRIME PHYLOSOPHIE,"Ficino scrive: ""E’ pigliano el prencipio del decimo della “Metafisicha”"" (p. 398); difficile spiegare perché l’Anonimo invece abbia ""Assumono il principio dello etterno del decimo libro “Della Prima Filosofia”"", se non con l’isolato <i>de xp</i>o (= de christo) in luogo di <i>de decimo</i> in D, c. 53v. Per la stessa citazione di Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1052 b 18-9 v. la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, pp. 1326-7, con ampi rimandi a questo luogo. Pare che Dante si riferisca al <i>De perfectione evangelica</i> di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, col commento di Averroè, per sostenere il primato del papa come ""reductio ad summum in genere hominum, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus"" (cfr. Maccarrone 1952, pp. 135-6; Maccarrone 1976, p. 294; Flüeler in <i>Imbach, Einleitung</i>, p. 38 nota 13). Dante però deve aver mirato più direttamente alla Glossa di Giovanni Monaco alla decretale bonifaciana <i>Antiquorum habet</i>, la bolla d’indizione del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone l’<i>auctoritas in concedendo</i> come prima giustificazione dell’indulgenza, riassumendo nel principio della <i>reductio ad unum</i> le ragioni che fanno del papa l’unico capo del <i>corpus mysticum</i> della Chiesa, ""caput unum habens plenitudinem potestatis"": ""Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum [...]. Oportet igitur quod multitudo hominum reducatur ad unum, et in genere hominum sit reperire unum hominem primum, qui sit supremum in illo genere, qui sit mensura et regula omnium aliorum hominum: huiusmodi autem est Romanus Pontifex, qui est inter omnes homines supremus, existens mensura et regula directiva omnium aliorum, cui plene omnes catholici simpliciter sunt subiecti"" (glo. ""confitebuntur"", ad c. 1, <i>Extrav. Comm.</i>, V, 9, in <i>Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes</i>, col. 331). Si vedano Maccarrone 1955, pp. 93-4, Nardi 1992, pp. 263-72 e soprattutto <i>Nardi</i>, pp. 484-5, che colloca la glossa e le sue autorità (l’<i>Elementatio theologica</i> di Proclo e la <i>Metafisica</i> di Aristotele) in rapporto con la formula ""mensura omnium aliorum, et ydea ut dicam"", che Dante usa più sotto, III XII 7. Tutta la questione è sunteggiata da <i>Kay</i>, pp. 278-9","(glo. confitebuntur, ad c. 1, Extrav. Comm., V, 9, in Liber Sextus Decretalium D. Bonifacii Papae VIII. Clementis Papae V. Constitutiones. Extravagantes tum viginti D. Iohannis Papae XXII. tum Communes, col. 331)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Antiquorum_habet(Giovanni_Monaco),Glossa ad Antiquorum habet,Giovanni Monaco,http://dbpedia.org/resource/Jean_Lemoine,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK UNIUS GENERIS,"Nota <i>Vinay</i> che “genus” è usato qui nel senso improprio di “species” per non introdurre un termine nuovo, come in Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, q. 18, a. 2, <i>Resp</i>.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus <i>humanum genus</i> totam humanam speciem","Ia-IIae, q. 18, a. 2, Resp.: Et dicitur malum ex genere, genere pro specie accepto, eo modo loquendi quo dicimus humanum genus totam humanam speciem",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK SUMMUS ANTISTES,"per <i>antistes</i> v. Uguccione, A 196, 4: et ab ante et sto fit hic et hec <i>antistes</i> –stitis, idest sacerdos quasi ante stans pro populo; e S 301, 45: Sto –as componitur hic et hec <i>antistes</i> –tis, idest sacerdos qui ante stat et orat pro plebe. La scelta del vocabolo non può essere casuale; l’Anonimo spiega: sommo antiste, cioè ponteficie; Ficino traduce direttamente sommo pontefice; così fanno anche tutti i moderni interpreti, con qualche sfumatura e poche eccezioni: <i>Imbach</i> traduce der Papst; più aderente al testo la versione Marcelli-Martelli 2004: il sommo Sacerdote","A 196, 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK "ET REPONITUR SUB GENERE AD ALIQUID, SIVE RELATIONIS","Ficino traduce in breve: ""e riponsi sotto el predicamento della relatione""; l’Anonimo ha qui la stessa omissione per omeoteleuto che si trova in P. Il codice E legge <i>illud</i>; K e parte dei manoscritti β (D M P Ph S) hanno <i>ad aliud</i>. Giudicando ""impossibile [...] una scelta perentoria"", Ricci 1965 scrive che l’incertezza dei manoscritti ""deriva certo da un’abbreviazione ambigua di questo tipo: ad"" (effettivamente attestata in Ph), ma dichiara anche che ""è da aggiungere che nella terminologia scolastica l’equivalenza di <i>relatio ad aliud</i> e di <i>relatio ad aliquid</i> è perfetta e lo scambio continuo"". <i>Imbach</i> e <i>Kay</i> rimandano alla categoria di relazione (<i>praedicamentum ad aliquid</i>) definita da Aristotele, <i>Categoriae</i>, 6 a 36-7: ""‘Relative’ si dicono poi le nozioni, ciascuna delle quali, proprio ciò che è, in sé, si dice esserlo di qualcos’altro, o in qualsiasi altro modo viene riferita a qualcos’altro""","Categoriae, 6 a 36-7",CITAZIONE ESPLICITA,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Categoriae(Aristotele),Categoriae,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo <i>et</i> è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una <i>et</i> piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione <i>et</i> ydea appartiene a K D T (<i>et</i> idea) G N, mentre Ph ha <i>et</i> ydeam e tutti gli altri codici leggono <i>et</i> ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist <i>et</i> crea le monde <i>et</i> toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage <i>et</i> la figure coment il feroit le monde <i>et</i> les autres choses, <i>et</i> ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce <i>et</i> ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard <i>et</i> si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","Ia, q. 15, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo <i>et</i> è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una <i>et</i> piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione <i>et</i> ydea appartiene a K D T (<i>et</i> idea) G N, mentre Ph ha <i>et</i> ydeam e tutti gli altri codici leggono <i>et</i> ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist <i>et</i> crea le monde <i>et</i> toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage <i>et</i> la figure coment il feroit le monde <i>et</i> les autres choses, <i>et</i> ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce <i>et</i> ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard <i>et</i> si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist et crea le monde et toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage et la figure coment il feroit le monde et les autres choses, et ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Tresor,Trésor,Brunetto Latini,http://dbpedia.org/resource/Brunetto_Latini,http://purl.org/bncf/tid/9214,WORK ET PAPA ET IMPERATOR,"cfr. ancora la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> I XVI 2, nel vol. I di questa edizione, p. 1326. La tradizione è qui divisa, giacché il primo <i>et</i> è omesso da T, da B e da altri autorevoli testimoni ? come D E G M P S V; così è anche in Ficino e nell’Anonimo (p. 213): questa lezione, adottata da Rostagno 1921, è ripudiata da Ricci 1965 per tornare alla lezione di Witte 1874 e Bertalot 1920, stimando più probabile che alcuni copisti abbiano saltato una <i>et</i> piuttosto che altri abbiano voluto deliberatamente introdurre un’eleganza stilistica. HOMINEM, QUI EST MENSURA OMNIUM ALIORUM, ET YDEA UT DICAM: cfr. la lunga e polemica nota di Ricci 1965 a difesa dell’interpunzione (una virgola dopo hominem, un’altra dopo aliorum) che modifica il senso inteso da Vinay, della costruzione di ydea con ad e l’accusativo (sulla base di Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 15, a. 3 Sed contra e q. 44, a. 3 Sed contra) e del ripudio della lezione ut ita dicam, adottata da Witte 1874 sulla sola fede della princeps K e contro ut dicam dei restanti testimoni, ma non da Bertalot 1920 e Rostagno 1921. La lezione <i>et</i> ydea appartiene a K D T (<i>et</i> idea) G N, mentre Ph ha <i>et</i> ydeam e tutti gli altri codici leggono <i>et</i> ideo, da cui dipende l’Anonimo (e inperò acciò che dicha). Tutto l’inciso manca in Ficino. Alfonso Maierù, Idea, in ED, III, 1971, p. 354, scrive a questo proposito, indicando il significato di “norma”, che ydea vale “modello”, “paradigma”, e quindi “misura ideale” in una specie, nel caso specifico dell’uomo. Cfr. più avanti, III XV 3, per Cristo “misura ideale”. Si può ricordare a questo proposito Brunetto Latini, Tresor, I VI 1, p. 16: Les saiges dient que Nostre Sire Dieu, qui est comencement de toutes choses, fist <i>et</i> crea le monde <i>et</i> toutes autres choses en .iiii. manieres; car tot avant ot il en sa pensee l’ymage <i>et</i> la figure coment il feroit le monde <i>et</i> les autres choses, <i>et</i> ce ot il tozjors eternelment, si que cele pensee n’ot onques comencement. Per idea in un significato più attenuato e prudente v. Uguccione, I 27, 1. Commenta Nardi: Dante [...] infatti, nel Convivio (III, vi, 5-6), aveva detto, ispirandosi al De causis [...], che la forma umana “è per intenzione regolata ne la divina mente”, e che all’idea divina han rivolto lo sguardo le intelligenze motrici, “però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma generale, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua”. Misura e regola della “umana forma, essemplata e individuata”, e cioè di tutti gli uomini con le loro maggiori o minori imperfezioni, è pertanto “l’essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente”. Pertanto Nardi, rifiutando l’assimilazione di Ricci 1965 con typo ut dicam di I II 1, traduce <i>et</i> ydea ut dicam con e, per così dire, loro esemplare; Vinay aveva inteso e – per così dire – il loro modello ideale; Pézard <i>et</i> si je puis dire l’idée de l’homme; Imbach und die Idee des Menschen ist, wie ich sagen möchte, also auf jenen Menschen; Shaw 1996 and the model, as it were; Kay For the best human [...] is their exemplar, as it were; ecc","I 27, 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK VEL ALIQUA SUBSTANTIA DEO INFERIOR,"Kay, p. 287 nota 26, suggerisce che la “sostanza a Dio sottostante” che Dante ha in mente sia il cielo del sole, moved by the order of angels called “<i>Powers</i> (<i>Potestates</i>)”, e aggiunge: In the <i>Paradiso</i>, Dante follows the astrologers in associating both fathers (including popes) and rulers with the heaven of the sun [...]. Aquinas suggests what the relation of superiority is that pope and emperor have in common: “Therefore, to the [angelic] order of <i>Powers</i> it belongs to regulate (<i>ordinare</i>) what is to be done by those who are subject to them (subditis), con rimando a <i>Summa Theologica</i>, Ia, q. 108, a. 3 e a <i>Kay</i> 1994, pp. 117-9. Cfr. in proposito Cassell","Ia, q. 108, a. 3",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK AD FESTUM,"manca in Ficino (p. 401), e l’Anonimo equivoca traducendo alla festa; cfr. <i>Ac</i> 25, 10. <i>Kay</i> ricorda che Tolomeo da Lucca, nella sua continuazione del <i>De regimine principum</i>, III 5, fa già uso del luogo paolino per provare la legittimità dell’Impero di Roma (cfr. Maccarrone 1955, p. 101). Cfr. la voce <i>Festo, Porcio</i> di Clara Kraus, in <i>ED</i>, II, 1970, p. 847",III 5,CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_regimine_principum(Tolomeo_da_Lucca),De regimine principum (Tolomeo da Lucca),Tolomeo da Lucca,http://dbpedia.org/resource/Bartholomew_of_Lucca,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PAULO DIXERIT PARUM POST,"<i>Ac</i> 27, 24","Ac 27, 24",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PAULUS AD IUDEOS EXISTENTES IN YTALIA,"<i>Ac</i> 28, 19","Ac 28, 19",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Acts_of_the_Apostles,Atti degli Apostoli,Luca,http://dbpedia.org/resource/Luke_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK CUPIO DISSOLVI ET ESSE CUM CRISTO,"è ancora una volta un luogo paolino: <i>Ph</i> 1, 23. Sull’importanza di questa serie di citazioni dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere di <i>Paolo</i>, quale fonte preziosa per Dante, v. la lunga nota di <i>Nardi</i>, pp. 488-90, e v. la voce <i>Paolo</i> di Angelo Penna, in <i>ED</i>, IV, 1973, pp. 272-3","Ph 1, 23",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Epistle_to_the_Philippians,Epistola ad Philippenses,Paolo,http://dbpedia.org/resource/Paul_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK PRECIPIATUR LEVITIS,"<i>Lv</i> 11, 43. Cfr. la voce di Angelo Penna, <i>Leviti</i>, in <i>ED</i>, III, 1971, p. 636","Lv 11, 43",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Leviticus,Levitico,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK EX ILLIS PREVALENTIUM,"dalla maggiore parte (Anonimo, Ficino); se si tratti della maggioranza numerica o della parte qualitativamente prevalente o di entrambe (come abbiamo nell’espressione valenciorem [...] partem, considerata quantitate personarum et qualitate del quasi coevo <i>Defensor Pacis</i> di Marsilio da Padova, I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63), non è facile dire; preferisce dei migliori fra essi <i>Vinay</i>; <i>Nardi</i> traduce quelli che eccellono fra di essi; <i>Imbach</i> der wichtigsten unter ihnen; Gally 1993 d’une élite d’entre eux; Shaw 1996 the most exceptional among them; invece <i>Pézard</i> du plus grand nombre; Ronconi 1966 e Sanguineti 1985 maggioranza; <i>Kay</i> their greater part; <i>Cassell</i> those in the majority. Ma qui non è certo in questione a <i>vote</i> or referendum of all mankind, come un po’ sopra le righe sembra intendere <i>Cassell</i>, che conclude: Note the tone of Dante’s puckish argument in allowing such a possibility – but it does give him the opportunity to wave a haughty dismissal of his stooping opponents with a flourish of tongue-in-cheek legalese!. Cfr. più oltre, III XIV 7, con la nota 18 di <i>Kay</i>, p. 300","I XI 3, ed. Scholz, I, p. 63",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Defensor_pacis,Defensor pacis,Marsilio da Padova,http://dbpedia.org/resource/Marsilius_of_Padua,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK SUPER HANC PETRAM HEDIFICABO ECCLESIAM MEAM,"<i>Mt</i> 16, 18","Mt 16, 18",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK OMNIS ... DIVINA LEX DUORUM TESTAMENTORUM GREMIO CONTINETUR,"senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra <i>lex vetus</i> e <i>lex nova</i> come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel <i>dictum</i> ante c. 1, D. I (<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur</i> <i>[...]. Haec est enim Lex, et Prophetae</i>); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad <i>Inst</i>., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (<i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 18)","dictum ante c. 1, D. I (Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur [...]. Haec est enim Lex, et Prophetae);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK OMNIS ... DIVINA LEX DUORUM TESTAMENTORUM GREMIO CONTINETUR,"senza dubbio alcuno in questo passaggio c’è molto di più che un ovvio rimando al nesso fra <i>lex vetus</i> e <i>lex nova</i> come solo deposito del diritto divino positivo, giacché non è possibile non notare il tacito richiamo alla (e la tacita presa di distanza dalla) concezione canonistica del diritto naturale, con apparente coincidenza con la legge divina nella definizione grazianea che si legge nel <i>dictum</i> ante c. 1, D. I (<i>Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est, quod in lege et Evangelio continetur</i> <i>[...]. Haec est enim Lex, et Prophetae</i>); lo stesso dicasi per Accursio e per la sua glossa ius naturale est quod natura, ad <i>Inst</i>., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (<i>Glossa ad Institutiones</i>, ed. Torelli, col. 18)","ad Inst., 1, 2, pr.: Secundum canones ius naturale dicitur quod in lege mosaica vel in Evangelio continetur, ut in principio Decretorum (Glossa ad Institutiones, ed. Torelli, col. 18)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_perpetua(Accursio),Glossa perpetua,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. <i>Nm</i> 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e <i>Dt</i> 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in <i>Pg</i> XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde <i>ad unguem</i> a questo luogo, in cui <i>remotos</i> è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","Nm 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel;",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Numbers,Libro dei Numeri,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. <i>Nm</i> 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e <i>Dt</i> 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in <i>Pg</i> XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde <i>ad unguem</i> a questo luogo, in cui <i>remotos</i> è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","Dt 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis.",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Deuteronomy,Deuteronomio,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK PER EA QUE DEUS AD MOYSEN,"cfr. <i>Nm</i> 18, 20: Dixitque Dominus ad Aaron: In terra eorum nihil possidebitis, nec habebitis partem inter eos: ego pars et hereditas tua in medio filiorum Israel; e <i>Dt</i> 18, 1-2: Non habebunt sacerdotes et levitae et omnes, qui de eadem tribu sunt, partem et hereditatem cum reliquo Israël, quia sacrificia Domini et oblationes eius comedent, et nihil aliud accipient de possessione fratrum suorum; Dominus enim ipse est hereditas eorum, sicut locutus est illis. Quel che Dante dice e fa dire a Marco Lombardo in <i>Pg</i> XVI 127-32 (“Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma”. / “O Marco mio”, diss’io, “bene argomenti; / e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti”) non solo corrisponde <i>ad unguem</i> a questo luogo, in cui <i>remotos</i> è la forma latina di essenti, ma sottolinea fortemente l’uso politico dell’argomento scritturale (v. il commento della Chiavacci Leonardi 1994, pp. 486-7). Limita al possesso dei beni materiali la sua interpretazione Egidio Romano, <i>De ecclesiastica potestate</i>, II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent","II, 1: Aaron et filiis eius et etiam Levi et filiis eius non est permissum quod habeant partem haereditatis in populo Iudaico sed dictum est omnibus quod vivant de decimis primitiis et de oblationibus. Cum ergo per populum Iudaicum significaretur populus Christianus et cum per Aaron et Levi et per eos qui erant de stirpe eorum figurentur et significentur universaliter clerici, videtur quod omnes clerici in populo Christiano nullam partem, nullam haereditatem, nullas possessiones habere debent",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/De_ecclesiastica_potestate(Egidio_Romano),De ecclesiastica potestate,Egidio Romano,http://dbpedia.org/resource/Giles_of_Rome,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PER EA QUE CRISTUS AD DISCIPULOS,"cfr. <i>Mt</i> 10, 9-10: Nolite possidere aurum neque argentum neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via neque duas tunicas neque calceamenta neque virgam; dignus enim est operarius cibo suo. Cfr. sopra, III X 14. <i>Nardi</i> respinge altri riferimenti proposti da Ricci 1965, e <i>Kay</i> nota ancora una volta che Dante tratta della <i>sollicitudo temporalis</i> in un <i>governmental sense</i>, as political responsibility rather than as a concern for wordly goods. Di diverso avviso Puletti 1989, che però della meditazione di Dante sottolinea la tendenza a privilegiare un’esegesi diversa rispetto a quella in voga al suo tempo, esegesi che testimonia una spiritualità nuova e un’esigenza di rinnovamento che non coinvolge solo le istituzioni politiche, ma che riguarda la coscienza (p. 271)","Mt 10, 9-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_Matthew,Vangelo di Matteo,Matteo,http://dbpedia.org/resource/Matthew_the_Apostle,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK UT HABETUR IN HIIS QUE DE SIMPLICITER ENTE,"""come dicie il Filosafo ine’ libri “De Semplici Ente”"" (Anonimo); ""secondo la “Metafisicha”"" (Ficino). Cfr. Aristotele, <i>Metaphysica</i>, 1049 b 24-7; e v. sopra, I XIII 3, col rimando a <i>Cv</i> IV X 8: ""Ove è da sapere che, sì come vuole lo Filosofo, tutte le cose che fanno alcuna cosa, conviene essere prima quelle perfettamente in quello essere; onde dice nel settimo della Metafisica: Quando una cosa si genera da un’altra, generasi di quella, essendo in quello essere""",1049 b 24-7;,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Metaphysics_(Aristotle),Metaphysica (Aristotele),Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK VEL PREVALENTIUM,"per Ficino e per l’Anonimo ""o della maggiore parte"", ""o della maggior parte"". Traduce ""o dei migliori"" <i>Vinay</i>; ""ou du plus grand nombre"" <i>Pézard</i>; ""o dei più eccellenti fra di essi"" <i>Nardi</i>; ""oder der wichtigsten Menschen"" <i>Imbach</i>; ""ou d’une élite"" Gally 1993; ""or of the most exceptional among them"" Shaw 1996; ""or of their prevailing part"" <i>Kay</i>. <i>Kay</i> si riferisce soprattutto a quanto già visto sopra, III XIV 1 e ricorda che l’espressione, usata qui da Dante in un senso molto vicino a quello di Marsilio da Padova, ha origine dalla traduzione di Guglielmo di Morbeke della <i>Politica</i> di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29)",traduzione di Guglielmo di Morbeke della Politica di Aristotele (1296 b 14; 1332 b 29),CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Politics_(Aristotle),Politica,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla <i>maior pars</i> dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del <i>ius gentium</i> in diritto comune; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 1 e <i>Dig</i>. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); <i>Decretum</i>, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Inst. 1, 2, § 1",CONCORDANZA STRINGENTE,http://live.dbpedia.org/resource/Institutes_of_Justinian,Institutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla <i>maior pars</i> dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del <i>ius gentium</i> in diritto comune; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 1 e <i>Dig</i>. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); <i>Decretum</i>, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Dig. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1);",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Digest_(Roman_law),Digesta,Ulpiano,http://dbpedia.org/resource/Ulpian,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK ASYANI ET AFFRICANI OMNES,"cioè tutto il mondo extraeuropeo, unitamente alla <i>maior pars</i> dei popoli europei: contrario alla commistione del potere spirituale col secolare è il consenso di quasi tutti i popoli, come nel paradigma del <i>ius gentium</i> in diritto comune; v. <i>Inst</i>. 1, 2, § 1 e <i>Dig</i>. 1, 1, 9 (Mommsen-Krüger, I, p. 3; p. 1); <i>Decretum</i>, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)","Decretum, c. 9, D. I (Friedberg, I, col. 2)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Decretum_Gratiani,Decretum Gratiani,Graziano,http://it.dbpedia.org/resource/Graziano_(giurista),http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IPSE IN IOHANNE,"<i>Io</i> 13, 15","Io 13, 15",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK UT IN EODEM HABEMUS,"<i>Io</i> 21, 19","Io 21, 19",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK CORAM PILATO ABNEGAVIT,"<i>Io</i> 18, 36. Nell’interpretazione di questa frase D. ripete quel che dicevano i teocratici salvo ad attribuire poi alle parole un significato preciso e impegnativo dal quale i suoi avversari rifuggivano (<i>Vinay</i>). Su questo luogo v. la voce <i>Pilato, Ponzio</i> di Angelo Penna, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 521","Io 18, 36",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Gospel_of_John,Vangelo di Giovanni,Giovanni,http://dbpedia.org/resource/John_the_Evangelist,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_nuovo_testamento,WORK CUM PSALMISTA DICAT,"<i>Ps</i> 94, 5. La lezione <i>Psalmista</i> è di K + A2 E F G Ph V; tutti gli altri testimoni leggono <i>psalmus</i> (anche Ficino ha perché dicie el salmo così, mentre l’Anonimo scrive con ciò sia cosa che dicha il Salmista). Si è già fatto riferimento sopra, I XV 3, a quanto rileva Favati 1970, p. 11, circa le testimonianze equipollenti sul piano della documentazione codicologica in questo luogo","Ps 94, 5",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK ET ARIDAM,"la Vulgata ha <i>et siccam</i>, e non essendo attestata una variante <i>aridam</i> nella tradizione della Vulgata <i>Kay</i> suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et <i>aridam</i> manus eius fundaverunt, tanto nella versione del <i>Breviarium Ambrosianum</i> quanto in quella del <i>Psalterium Romanum</i>. Peraltro, <i>arida</i> appartiene al racconto della creazione, <i>Gn</i> 1, 9-10: ""Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat <i>arida</i>. Et factum est ita. E vocavit Deus <i>aridam</i> terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum""; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (<i>yabbashāh</i>), יַבֶּשֶׁת (<i>yabbēshet</i>): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (<i>xerà</i>), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente ""la terra"", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: ""e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche"". Cfr. anche le voci <i>Salmista</i> (Maurizio Dardano) e <i>Salmo</i> (Angelo Penna), in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079","Gn 1, 9-10",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Book_of_Genesis,Genesi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK ET ARIDAM,"la Vulgata ha <i>et siccam</i>, e non essendo attestata una variante <i>aridam</i> nella tradizione della Vulgata <i>Kay</i> suppone un’errata citazione mnemonica; ma Dante citava evidentemente dal Salterio, dove appunto si legge et <i>aridam</i> manus eius fundaverunt, tanto nella versione del <i>Breviarium Ambrosianum</i> quanto in quella del <i>Psalterium Romanum</i>. Peraltro, <i>arida</i> appartiene al racconto della creazione, <i>Gn</i> 1, 9-10: ""Dixit vero Deus: Congregentur aquae quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat <i>arida</i>. Et factum est ita. E vocavit Deus <i>aridam</i> terram congregationesque aquarum appellavit maria. Et vidit Deus quod esset bonum""; e sia il testo masoretico, יַּבָּשָׁה (<i>yabbashāh</i>), יַבֶּשֶׁת (<i>yabbēshet</i>): “l’asciutto”, “la terra ferma”, sia la Settanta, ξηρά (<i>xerà</i>), “la terraferma”, usano nei due luoghi la stessa parola. Ficino traduce semplicemente ""la terra"", laddove l’Anonimo eccede nella sua solita tendenza a chiosare, nel probabile ricordo della lezione della Vulgata: ""e•lla parte arida overo le cose secche, cioè le parti della terra che sono secche"". Cfr. anche le voci <i>Salmista</i> (Maurizio Dardano) e <i>Salmo</i> (Angelo Penna), in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 1078 e p. 1079",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Psalms,Salmi,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (<i>Nardi</i>); cfr. <i>Cv</i> IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",1107 a 28 – 1108 b 10,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (<i>Nardi</i>); cfr. <i>Cv</i> IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",1139 a 14 – 1141 b 23,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Nicomachean_Ethics,Ethica Nicomachea,Aristotele,http://dbpedia.org/resource/Aristotle,http://purl.org/bncf/tid/19144,WORK SECUNDUM VIRTUTES MORALES ET INTELLECTUALES OPERANDO,"""in quanto queste sono i mezzi per frenare i piaceri e i dolori"" (<i>Nardi</i>); cfr. <i>Cv</i> IV XVII 3-9: ""Dove è da sapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudi, però che da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente da diversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che in quella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d’Aristotile da lasciare mi pare ogni altrui sentenza, volendo dire quali queste sono, brevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelle ragionando. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l’audacia e la timiditate nostra, nelle cose che sono corruzione della nostra vita. La seconda [si] è Temperanza, che è regola e freno della nostra gulositade e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Liberalitade, la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la quale è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d’onore, la quale è moderatrice e ordina noi alli onori di questo mondo. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li mali esteriori. L’ottava si è Affabilitade, la quale fa noi ben conversare colli altri. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e dallo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, faccendo quelli [e] usando debitamente. L’undecima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall’abito della nostra buona elezione: onde generalmente si può dicere di tutte, che siano abito elettivo consistente nel mezzo. E queste sono quelle che fanno l’uomo beato, o vero felice, nella loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo dell’Etica quando diffinisce la Felicitade, dicendo che “Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta”. Bene si pone Prudenza, cioè senno, per molti, essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per ch’elle si compongono e sanza quella essere non possono. Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale, avegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo dell’Etica"". Per tutto ciò v. Aristotele, <i>Ethica ad Nicomachum</i>, 1107 a 28 – 1108 b 10, 1139 a 14 – 1141 b 23, e per la loro distinzione Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5","Ia-IIae, a. 58, aa. 1-5",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione <i>Kay</i> di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (<i>Ketuvīm</i>) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (<i>Torāh</i>), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (<i>Navīm</i>), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: <i>Mon.</i> 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già <i>Vinay</i>, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur <i>agyographya</i> –e, idest sancta scriptura, unde hic <i>agyographus</i> –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al <i>Catholicon</i> di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" <i>Kay</i>; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), <i>Nardi</i> (""scrittori ispirati""), <i>Imbach</i> (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e <i>Cassell</i> (""holy writers"")","A 103, 1-2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione <i>Kay</i> di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (<i>Ketuvīm</i>) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (<i>Torāh</i>), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (<i>Navīm</i>), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: <i>Mon.</i> 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già <i>Vinay</i>, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur <i>agyographya</i> –e, idest sancta scriptura, unde hic <i>agyographus</i> –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al <i>Catholicon</i> di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" <i>Kay</i>; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), <i>Nardi</i> (""scrittori ispirati""), <i>Imbach</i> (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e <i>Cassell</i> (""holy writers"")",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Ketuvim,Libri della scrittura,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione <i>Kay</i> di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (<i>Ketuvīm</i>) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (<i>Torāh</i>), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (<i>Navīm</i>), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: <i>Mon.</i> 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già <i>Vinay</i>, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur <i>agyographya</i> –e, idest sancta scriptura, unde hic <i>agyographus</i> –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al <i>Catholicon</i> di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" <i>Kay</i>; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), <i>Nardi</i> (""scrittori ispirati""), <i>Imbach</i> (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e <i>Cassell</i> (""holy writers"")",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://it.dbpedia.org/resource/Nevi'im,Libri dei profeti,_EMPTY,_EMPTY,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/bibbia_vecchio_testamento,WORK PER PROPHETAS ET AGIOGRAPHOS,"""pe’ profeti et sagri scriptori"" (Ficino); ""per li profeti e scrittori storiografi"" (Anonimo). Ha però ragione <i>Kay</i> di osservare che qui Dante usa il termine “Agiografi” in senso tecnico, alludendo ai libri della Scrittura che nel canone ebraico sono appunto detti כְּתוּבִים (<i>Ketuvīm</i>) e che seguono alla Legge mosaica o Pentateuco, תּוֹרַה (<i>Torāh</i>), e ai libri dei Profeti, נָבִיאם (<i>Navīm</i>), ""for the agiographos are listed between the prophets (who for Dante included Moses, writer of the Pentateuch: <i>Mon.</i> 1. 14. 9, 2. 4. 2, 3. 4. 11) and the makers of the New Testament"". Già <i>Vinay</i>, pur rimandando con Toynbee 1902, p. 105 a Uguccione, A 103, 1-2 (""AGYOS grece, latine dicitur sanctum, ab a, quod est sine, et ge, quod est terra; inde dicitur agyos, idest sine terra, quasi celeste; et inde et grafia, quod est scriptura, dicitur <i>agyographya</i> –e, idest sancta scriptura, unde hic <i>agyographus</i> –phi, idest sancta scribens, et ponitur adiective""), scrive che Dante ""sembra alludere agli scritti non profetici dell’Antico Testamento"". Ricci 1965 rimanda al <i>Catholicon</i> di Giovanni Balbi. Traduce tuttavia ""the sacred writers"" <i>Kay</i>; similmente Ronconi 1966 (""autori dei libri sacri""), <i>Nardi</i> (""scrittori ispirati""), <i>Imbach</i> (""die Verfasser der Heiligen Schriften""), Shaw 1996 (""sacred writers"") e <i>Cassell</i> (""holy writers"")",_EMPTY,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Catholicon_(book),Catholicon,Giovanni Balbi,http://dbpedia.org/resource/John_of_Genoa,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK SECUNDUM REVELATA HUMANUM GENUS PERDUCERET,"è ancora allusione all’autentica <i>Quomodo oporteat episcopos</i> (<i>Auth.</i> Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6), la già ricordata Novella giustinianea che afferma solennemente che <i>sacerdotium</i> e <i>imperium</i> procedono l’uno e l’altro, come <i>maxima dona Dei</i>, ""ex uno eodemque principio""; cfr. sopra, III X 5","Quomodo oporteat episcopos (Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr.: Mommsen-Krüger, III, pp. 35-6)",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IN AREOLA ISTA MORTALIUM,"in questa <i>areola</i>, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono <i>in arcula ista mortalium</i> T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo <i>aresco</i> –scis inchoativum, quod componitur <i>inaresco</i> et <i>exaresco</i>; et ab <i>aresco</i> hec <i>area</i> –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur <i>area</i> quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec <i>areola</i> –e diminutivum. <i>Vinay</i> traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di <i>Par</i>., XXII, 151; l’“angustissimi mundi <i>area</i>” di <i>Ep</i>. VII, 4. (Cfr. Boezio, <i>De consolatione</i>, II, pr. 7); e v. la voce <i>Aiuola</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [<i>areola</i>] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per <i>Pd</i> XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in <i>Pd</i> XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche <i>Cassell</i> e Scott 2010, p. 270 e nota 101","A 310, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK IN AREOLA ISTA MORTALIUM,"in questa <i>areola</i>, cioè piazza picchola, de’ mortali (Anonimo, pp. 222-3); in questa abitatione mortale (Ficino); leggono <i>in arcula ista mortalium</i> T Ph S. Cfr. Uguccione, A 310, 2: Item ab areo <i>aresco</i> –scis inchoativum, quod componitur <i>inaresco</i> et <i>exaresco</i>; et ab <i>aresco</i> hec <i>area</i> –e, locus ubi teritur frumentum, quia non triturantur ibi nisi arida, vel dicitur <i>area</i> quasi erea, quia eradatur pro triturandis frugibus, et ponituir pro domus latitudine et pro mari, quia latum et spatiosum, et pro tabularum equalitate; et inde hec <i>areola</i> –e diminutivum. <i>Vinay</i> traduce in questa aiuola mortale, e annota: È questa “l’aiuola che ci fa tanto feroci” di <i>Par</i>., XXII, 151; l’“angustissimi mundi <i>area</i>” di <i>Ep</i>. VII, 4. (Cfr. Boezio, <i>De consolatione</i>, II, pr. 7); e v. la voce <i>Aiuola</i>, in <i>ED</i>, I, 1970, p. 86, che con gli stessi rimandi sottolinea la comunanza del concetto alla tradizione classica. Anche Shaw 1996, intendendo on this threshing-floor of mortals, commenta: The threshing-floor or small patch of earth [<i>areola</i>] is the inhabitable land mass of the Northern hemisphere; the choice of word emphasizes the insignificance of human life seen in the perspective of the cosmic order. Per <i>Pd</i> XXII 151 (ma l’immagine ritorna anche in <i>Pd</i> XXVII 85-7: E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito) v. il commento della Chiavacci Leonardi 1997, pp. 622-3, con ampi ragguagli sulla fonte boeziana e sulla sua diffusione nella letteratura medievale. Cfr. anche <i>Cassell</i> e Scott 2010, p. 270 e nota 101","II, pr. 7",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK SINE ULLO MEDIO,"""sanza nessuno mezzo"" (Anonimo); ""sanza mezo alcuno"" (Ficino). Scrive a commento <i>Kay</i>, che ricorda ancora una volta la principale fonte romanistica di Dante, cioè la Novella VI di Giustiniano: ""This is the conclusion of the proof positive in this chapter; it excludes both the pope and the electors"". Cfr. sopra, III XVI 13 e quanto ricordato a commento di III I 5",Novella VI di Giustiniano,CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Novellae_Constitutiones,Novellae constitutiones,_EMPTY,_EMPTY,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK IN ARCE SUE SIMPLICITATIS UNITUS,"nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di <i>arx</i> Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec <i>arx</i> –cis pro roca, quia arceat hostem. <i>Vinay</i> traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; <i>Nardi</i> nella rocca; <i>Imbach</i> in der Höhe; Shaw 1996 e <i>Kay</i> in the citadel; ecc. <i>Pézard</i>, traducendo dans le fort château, propone di emendare <i>unitus</i> in <i>munitus</i> (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da <i>Kay</i> e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore <i>monitus</i>); cfr. anche <i>Pézard</i> 1967-79, II, pp. 160-5","IV, pr. VI, 8",CITAZIONE ESPLICITA,http://dbpedia.org/resource/Consolation_of_Philosophy,De consolatione philosophiae,Boezio,http://dbpedia.org/resource/Boethius,http://purl.org/bncf/tid/25917,WORK IN ARCE SUE SIMPLICITATIS UNITUS,"nella torre della sua semplicità unita (Anonimo); nella sommità della senplicità sua unito (Ficino); cfr. Boezio, <i>Consolatio Philosophiae</i>, IV, pr. VI, 8: Haec in sua simplicitatis arce composita multiplicem regendis modum statuit; e per il significato di <i>arx</i> Uguccione, A 308, 12: Item ab arceo hec <i>arx</i> –cis pro roca, quia arceat hostem. <i>Vinay</i> traduce nella roccaforte; Ronconi 1966 nelle altezze; <i>Nardi</i> nella rocca; <i>Imbach</i> in der Höhe; Shaw 1996 e <i>Kay</i> in the citadel; ecc. <i>Pézard</i>, traducendo dans le fort château, propone di emendare <i>unitus</i> in <i>munitus</i> (lezione non attestata nella tradizione), à l’abri, accolto da Gally 1993 (fortifiée) e ricordato in nota anche da <i>Kay</i> e da Livi 2002, p. 515 (con l’errore <i>monitus</i>); cfr. anche <i>Pézard</i> 1967-79, II, pp. 160-5","A 308, 12",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK ILLA IGITUR REVERENTIA,"v. la voce <i>Reverenza</i> di Alessandro Niccoli, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la <i>paternitas</i>) rispetto a quella dell’imperatore (il <i>dominium</i>), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. <i>Kay</i> <i>Cv</i> I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e <i>Cv</i> IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il <i>sacerdotium</i> e l’<i>imperium</i> sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, <i>Auth</i>. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., <i>Volumen</i>, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. <i>Iuramentum Imperatoris</i> (6 luglio 1313), in <i>MGH, Legum Sectio</i> IV, <i>Constitutiones et acta publica imperatorum et regum</i>, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione","P 17, 2",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Derivationes_Magnae,Derivationes Magnae,Uguccione da Pisa,http://dbpedia.org/resource/Huguccio,http://purl.org/bncf/tid/9228,WORK ILLA IGITUR REVERENTIA,"v. la voce <i>Reverenza</i> di Alessandro Niccoli, in <i>ED</i>, IV, 1973, p. 899, e cfr. ancora la nota di M. Tavoni a <i>VE</i> II IX 4, nel vol. I di questa edizione, p. 1485. La reverenza filiale consegue alla determinazione della relazione potestativa propria del papa (la <i>paternitas</i>) rispetto a quella dell’imperatore (il <i>dominium</i>), anticipata sopra, III XII 4-6 (e cfr. anche III XII 10) quasi a ricordo dell’etimologia di Uguccione, P 17, 2: papa quasi pater patrum. <i>Kay</i> <i>Cv</i> I XII 7 a proposito dei primogeniti (più propinqui e perchè più propinqui, più amati) e <i>Cv</i> IV VIII 11 per la definizione dantesca di reverenza: Dico che reverenza non è altro che confessione di debita subiezione per manifesto segno. Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Dante poteva trovare una diversa analogia, quella tra la Chiesa-madre e l’Impero, che tuttavia può avergli ispirato la chiusa del trattato. Interpretando l’affermazione secondo cui il <i>sacerdotium</i> e l’<i>imperium</i> sono ex uno eodemque principio utraque procedentia, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, <i>Auth</i>. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., <i>Volumen</i>, col. 41). Si ricordi che la formula cum reverentia debita appare nel giuramento prestato da Enrico VII per la sua incoronazione romana: v. <i>Iuramentum Imperatoris</i> (6 luglio 1313), in <i>MGH, Legum Sectio</i> IV, <i>Constitutiones et acta publica imperatorum et regum</i>, IV, 2, ed. Schwalm, n. 807, pp. 807-9: 808; e cfr. qui la mia Introduzione","Nella Glossa accursiana alla più volte citata Novella VI di Giustiniano, Accursio scrive: Cur ergo mater imperij dicitur ecclesia [...] cum magis soror sit ut hic? Respon. illud dicitur ratione dignitatis, scilicet quod res divinæ digniores sunt [...]; idem tamen principium habent ut hic: et ideo parum differunt (glo. utraque, Auth. Coll. I, 6, pr. = Nov. VI, pr., Volumen, col. 41).",CONCORDANZA STRINGENTE,http://perunaenciclopediadantescadigitale.eu/resource/Glossa_ad_Institutiones(Accursio),Glossa ad Institutiones,Accursio,http://dbpedia.org/resource/Accursius,http://purl.org/bncf/tid/5750,WORK QUA PRIMOGENITUS FILIUS DEBET UTI AD PATREM,"The crucial question, however, is whether filial reverence involves obedience. Dante’s answer is negative, for in the Convivio he considers reverence and obedience to be mutually exclusive. An adolescent son owes his father obedience (<i>Conv</i>. 4.24.14-15), but when the son reaches the age of discretion, which Dante takes to be twenty five, then he no longer needs to rely on paternal guidance, and his obedience is replaced by reverence towards his father, which is product of his discretion (<i>Conv</i>. 4.8.1). Accordingly, Dante is saying here that the emperor owes the pope reverence but not obedience (<i>Kay</i>). Che la filiale <i>reverentia</i> dantesca (confessione di debita subiezione) non possa essere interpretata semplicemente come una relazione potestativa in senso dominativo, è chiaro anche da quanto spiega Tommaso d’Aquino, <i>Summa Theologiae</i>, IIa-IIae, q. 57, a. 4, distinguendo tra <i>ius paternum</i> e ius dominativum","IIa-IIae, q. 57, a. 4",CONCORDANZA STRINGENTE,http://dbpedia.org/resource/Summa_Theologica,Summa Theologiae,Tommaso,http://dbpedia.org/resource/Thomas_Aquinas,http://purl.org/bncf/tid/29623,WORK